Due avventure di Lemuel Gulliver

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DUE AVVENTURE

DI LEMUEL GULLIVER

Titolo originale:  "Dwie Przygodny Lemuela Gullivera"

Dramma in due atti unici

di Jerzy Broszkiewicz

Versione italiana  di  A.  M.  Raffo

PERSONAGGI

LEMUEL GULLIVER HULGO - lillipuziano

GLUM - gigante

Le parti di Hulgo e di Glum, pur non essendo mera formalità, non richiedono attori.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Sulla scena figura in quest'atto Lemuel Gulliver, il qua­le porta con sé una gabbia minuscola, ma solida. Dentro la gabbia si trova il lillipuziano Hulgo. La cosa ha peral­tro significato relativo, in quanto solo Gulliver è in grado di vedere e udire il lillipuziano imprigionato nella gabbia.

Come si deduce dal posteriore sviluppo degli eventi, l'azione ha luogo la sera di quel giorno in cui Gulliver si risolse definitivamente a lasciare le isole di Lilliput nonché Blefusk. L'indomani all'alba riprenderà la via del ritorno in patria. È quindi la sera del tre di settembre dell'anno 1701.

Come è noto, non si è purtroppo conservata una descri­zione dettagliata del tempo che faceva quel giorno, né di quel tratto di costa marina, e nemmeno dello stato d'a­nimo in cui si trovava allora Lemuel Gulliver. È anche per tale motivo che non è possibile attenersi a una com­pleta verisimiglianza nel riprodurre l'accaduto. Tralascian­do ogni altra difficoltà, è doveroso sottolineare che so­prattutto non possediamo nessun buon ritratto dello stesso Gulliver, mancando anzi addirittura un qualunque schizzo attendibile. Le mappe di cui disponiamo sotto quanto me­no imprecise. Del resto, per essere al massimo possibile fedeli nel riprodurre tutte le circostanze di questo primo atto, bisognerebbe per esempio rappresentarle su una sco­gliera, il che sarebbe alquanto scomodo sia per gli attori che per il pubblico. Non ci resta quindi che accettare di buon grado le possibilità e i limiti di un comune palco­scenico, nonché le possibilità e i limiti dell'attore che re­citerà la parte di Gulliver. Consolante è almeno il fatto che, come ho già accennato, sia stata eliminata la mag­giore difficoltà: la personificazione della parte del lillipu­ziano Hulgo. Tutti i restanti problemi vengono lasciati da risolvere al teatro che vorrà sobbarcarsi l'ingrato compito di mettere in scena le sottodescritte "Avventure di L. Gulliver."

Quando dunque si leva il sipario Gulliver entra o è già entrato con la sua gabbia in scena. Nel caso che stia entrando in quel momento                                             - si guarda attorno oppure no, depone la gabbia sull'assito del proscenio a destra op­pure a sinistra, ma può anche deporia sul fondo, al cen­tro, o addirittura sui gradini che portano in platea. Qua­lora invece all'alzata del sipario si trovasse già in scena, vuol dire che in quel momento starà in piedi, o seduto, o sdraiato, ovvero potrà anche camminare su e giù per la scena in una luce più o meno chiara e sullo sfondo di questo o quello scenario, ammesso che uno scenario vi sia.

Tale descrizione scenica mi sembra per il momento più che sufficiente.

 Gulliver                        - Dunque domani: al primo sole Lemuel Gulliver riprende la via del ritorno al paese natale. Lo stare su queste isole mi è diventato ormai un peso intol­lerabile, e di voi ne ho fin sopra i capelli. Di là dal mare mi aspettano la casa, la moglie, i figli... Oh, paparino, grideranno, paparino! E mia moglie sospirerà, si metterà a piangere, Lemuel adorato, pensavamo di già... e non dix-à che cosa pensavano. Oh, papà, grideranno i ragazzi, cos'hai in quella gabbia, papà? E io dirò: attenzione ra­gazzi, in questa gabbia c'è un lillipuziano vivo. Cosi pic­colo? Certo, cosi piccolo, dopo ve lo mostrerò meglio. E ci siederemo tutti nel salotto, e io incomincerò a narrare, e mostrerò loro tante rarità, e soprattutto te, mio caro Hulgo. (Pausa) Speriamo che domani faccia bel tempo. Ma stai tranquillo, ti prometto che proteggerò premuro­samente la tua gabbia dalle ondate. Ti garantisco il mas­simo di sicurezza che sarà possibile avere. Ma poi non la facciamo tanto lunga, non ho la minima intenzione di stare a discutere sul fatto se io abbia o non abbia il di­ritto di portarti via con me, se tu sia consenziente a ciò, o se per caso non lo sia. Non mi interrompere, tanto non serve a niente. Più ti opporrai, tanto maggiore sarà l'as­surdità della cosa. Cosi ho deciso e basta! Ti piaccia o no, ti faccia caldo o freddo, tu sia d'accordo oppure no, tutto ciò non servirà proprio a niente, perché ormai ho deciso. Domani di primo mattino ci metteremo in mare. Anche se qualcuno venisse a sapere della tua strana av­ventura e se addirittura qualcuno volesse prendersi la briga di inseguirci, in ogni caso le forze necessarie non potrebbero arrivare qui prima del pomeriggio di domani. E domani pomeriggio noi saremo in alto mare. (Pausa) Del resto ritengo che nessuno pensi a inseguirci. In mez­zo ai tuoi tu rappresenti qualcosa di speciale, ma al tempo stesso di gravoso. Il fatto che tu venga via con me sarà di notevole sollievo per molti tuoi compatrioti. E al tem­po stesso... al tempo stesso la nostra partenza ti salva da molti gravi pericoli. Forse ti sto proprio salvando la vita, caro il mio ometto. Non ti sembra? (Pausa) Te l'ho già detto: ti piaccia o non ti piaccia, tu sia o no d'accordo, che tu impazzisca per la gioia oppure per la disperazio­ne, non cambia proprio un bel niente. Quanto più tu ri­calcitri, tanto più palesemente dai a vedere la tua stu­pida impotenza. Ma a me non importa neanche questo. Tra noi due sussiste una ben netta differenza, e questa fa si che io possa svolgere nei tuoi confronti il ruolo del destino. E tu? Cosa sei tu rispetto a me? Prenditela pure con la sorte, se vuoi, a me non interessa affatto, io torno a casa. 0 moglie, figli miei! Sto ritornando a casa! Fi­nalmente torno! (Dopo un istante) Purché il mare sia calmo. Spero che lo sia. Proprio lo spero. (Pausa) E l'al­tra volta? L'altra volta l'avevo già perduta la speranza. Quando le ondate rovesciarono la nostra scialuppa feci ancora degli sforzi per mettermi in salvo. Gridavo: Si­gnore, aiutami! Ma Lui mi lasciava sommergere ancora di più. Udii un tremendo fragore, un fragore e uno schianto come quello di una testa che si fracassi contro il bordo della barca. E poi rimasi solo, solo, solo con il mare, solo con il mio terrore, con la mia morte, con il frastuono e le bestemmie che nascevano dentro di me con mio stupore e malgrado la mia volontà. E me ne vennero fuori di bestemmie! Mi fa spavento a ricordarle, piccoletto. In quel momento non c'era nient'altro dentro di me, se non terrore e bestemmie. Andavo a fondo... (Dopo un istante) Ti sei mai sentito sommergere dal ma­re, tu? L'acqua può avere il peso e la durezza della pie­tra. Pietra negli occhi, pietra nelle vene, pietra nella gola, nei polmoni, ogni ondata è come un colpo di pietra al cuore, un colpo dopo l'altro al ventre, al fegato, al cuore. Non mentire, non ti è mai accaduto niente di simile. Nes­suno è mai andato a fondo come me. Cosi a lungo, cosi maledettamente a lungo e senza più speranza. Non puoi crederci! (Dopo un istante) In un certo qual modo tutto questo dura ancora. Perché anche ora annego. Specie la notte, subito prima di addormentarmi, oppure prima del risveglio, oppure un attimo dopo, tutto torna, torna, si ingigantisce e mi sommerge, e affogo, aiuto! Affogo! Non mi aiuti, non mi aiuti, Hulgo? (Dopo un istante) Si, si, certo, capisco, tu non potevi. Non era possibile. Accetto la tua giustificazione. Non puoi portare aiuto ora, non lo potevi e non ne saresti stato capace allora. Primo, non lo sapevi; secondo, anche se l'avessi saputo, a che ser­viva; terzo, anche avessi tentato, a che prò; quarto, an­che se mi avessi aiutato, a che prò, e che giovamento sa­rebbe venuto da questo aiuto? Come avreste potuto aiu­tare un gigante alle prese col mare, un'enorme massa di carne terrorizzata, un bestione grande come una monta­gna, una montagna che periva in mezzo all'oceano? E poi perché mai doveva importarvene qualcosa? Due maledi­zioni ostili fra loro, due terrori primordiali: una monta­gna vivente e il mare infuriato. Soltanto a un pazzo po­trebbe venire in mente di immischiarsi nella lotta tra una montagna e il mare. Io stesso dinanzi a un simile spettacolo avrei fatto una cosa sola: sarei fuggito, sarei fuggito il più lontano possibile, fino a dimenticare, fino a non pensare nemmeno di aver mai potuto vedere qual­cosa di simile. (Pausa) O mio Dio! Tu, Signore infinita­mente buono! Tu hai perdonato il Tuo servo Lemuel. L'hai perdonato e l'hai portato in salvo. Chiunque Tu sia, dovunque Tu sia, le mie maledizioni non Ti hanno spa­ventato, forse addirittura non Te ne sei neanche curato. O infinitamente buono! Per Te non esiste la minima dif­ferenza tra la briciola di carne e di paura che io ero quella notte, e questa insignificante goccia di fango che è per Te l'oceano! E malgrado ciò mi salvasti! Mi con­servasti un briciolo di fiato e di conoscenza, finché non calcai il suolo, splendido, meraviglioso suolo, quella terra dura per cui con minimo sforzo la Tua mano mi ricon­duceva sulla soglia della vita, di nuovo a riva. O Si­gnore, fosti Tu a salvarmi, a tendermi la mano. (Pausa) Io mi sforzo di comprenderli, o Signore. Faccio di tutto per capire quanto in effetti Tu abbia fatto per me. Tu volesti che io soffrissi ancora. Capisco, non Ti lasci poi troppo impietosire, poiché sarebbe una limitazione della Tua altissima giustizia, e comprendo pure che non in­tendi viziare la gente. Quel mezzo miglio che dovetti fare prima di toccare finalmente terra fu peggiore di tutti gli inferni precedenti. Non puoi stupirli che proprio allora Ti maledicessi e bestemmiassi nel modo più fe­roce, raffigurandomi la Tua sottile perfidia nel porgere aiuto, nel dare una speranza, ma una speranza vana per opprimere maggiormente, nel sollevare l'infelice, per poi sprofondarlo ancora più in basso. Tu... (Dopo un istante) Perdono, perdono, o mio Signore! Ti sono grato... Nella Tua magnanimità hai voluto confondermi, e ora vivo! Si, si, capisco, e credo che sia stato un segno particolare della Tua grazia, che già tornato alla vita ancora non me ne rendevo conto, che già trascinandomi sulla costa rocciosa ancora non credevo in questa grazia. Tanto più splendido doveva essere il giorno successivo, quel giorno, ah, quello splendido giorno! (Pausa) E voi? Voi, chiedo. Eh? (Pausa) Cerca di ricordare, Piccolino, e non abbas­sare gli occhietti, non fare smorfie. Ecco che il nostro Signore, Colui che opprime e riscatta, mi ha salvato. Dall'abisso  spaventoso   di  tutte   quelle  bestemmie  e maledizioni, aprii gli occhi per vedere, per scorgere il mondo che mi veniva restituito,  a cui risorgevo, come Lazzaro dal   suo  sepolcro  di pietra.  E   voi? Che resurrezione mi apparecchiaste  voi?  Che  razza  di  grazia veniste a elar­girmi?  Eh,  sporchi vermiciattoli?  (Dopo  un  istante) Per tre giorni interi ho continuato a perire, affogare. Poi ago­nizzai per tutta una maledetta eternità, trascinandomi a riva.  Tre   giorni   e   un'eternità,   capisci?   Proprio  cosi. E finalmente viene il momento gaudioso della resurrezione dai morti. Gloria al Signore nell'alto dei cieli, apro dun­que  gli   occhi  per  rendergli   gloria.  Apro   gli occhi, tiro quel  primo   respiro   cosciente  e  già,   già  dovrei  esultare per la felicità di essere tornato a vivere.  E qui di che esultare? Come lodare il Signore e protendere a Lui le mani, quando mi trovo legato come un salame, attorniato da vermiciattoli che hanno accalappiato e inchiodato alla loro  sudicia terra ogni  dito, ogni   ruga, ogni pelo delle orecchie? Ah,  voi, voi, sporca minutaglia!  Taci,   mostri­ciattolo!   Perché lo  sai  anche  tu com'è andata poi, no? Solo per aver aperto gli occhi: una salva negli occhi. Se mi lamentavo: una salva in gola. Se chiedevo pietà, pietà, misericordia,  sugli  occhi,   sulla gola, sul viso, senza ri­guardo, né pietà, né misericordia.  Credi che ti abbia di­menticato? Eri proprio tu, proprio tu che stavi sulla mia guancia destra e con la baionetta mi punzecchiavi la palpe­bra, come fosse stata il fianco di un elefante, una puntura dopo   l'altra,   una   dopo   l'altra!   Non   è   vero,  Piccolino? (Pausa)  E  non  venirmi   a  dire  che non è vero!   Tanto non serve a niente! Per me siete tutti uguali, tutti la stessa razza, per me quello eri proprio   tu, e mi basta! (Pausa) E sta bene, supponiamo pure che non fossi tu. Hai   il   diritto   di   difenderti.   Dio mi vede se voglio es­sere   giusto.   Per   questo voglio   ammettere   che non  sia stato tu. Ma di grazia: dove eri quel giorno, di' un po'? Si può chiedere dov'eri? Si può, benone. Dunque? Aaaaa! A casa tua eri, all'altra estremità dell'isola  eri, a casa, occupato nelle consuete faccende quotidiane. Proprio quel che pensavo io: non li, ma là, non da quella parte, ma da quella opposta, e magari addirittura stavi ancora dor­mendo  innocentemente. Ohi, ohi!  Come ho potuto pren­dere un simile abbaglio?  Ma certo, tu non eri li, bensì là e da tutt'altra parte. Ma  guarda un po', sicuro! Na­turale che ti credo. Non può essere che cosi. (Dopo un istante) E i testimoni ce li hai? Li hai i testimoni? Ma si, si.  Certo che hai i  testimoni. Ohibò!   Come? Non li hai? Eri solo? Non hai i testimoni. Dormi da solo, lavori da solo? Ah, vedi che li hai. Uno, due, tre, quattro. Mi rassicuri, mio caro Hulgo. Cominciavo già a preoccupar­mi. Credimi, mi hai davvero levato una pietra dal cuore. Meno male. Con la testimonianza di ben quattro persone non mi resta che tacere. Mi ritiro in buon ordine. Caro Hulgo, ti chiedo immediatamente scusa. Ecco, sono qui a chiederti   perdono.   Ti  chiedo   scusa,  ho  detto.  Scusami, non lo farò più. Ma come ho potuto fare una   cosa si­mile? Come ho  potuto? Ah, mi  sento avvilito, amareg­giato. E stando cosi le cose, non mi resta da fare che questo, solo questo:   sei libero, Hulgo. Hai sentito? (Co­mincia a ridacchiare) Ma si, davvero, sei libero. Sei li­bero, libero. (Ride) Libero, ah, ah, ah, ah! E come libero! (Risata di Gulliver, indi prolungato silenzio) C'è una giu­stizia o non c'è? C'è o non c'è una responsabilità collet­tiva, comune? Io cercherò di dimostrarti che c'è. Per che cosa mai mi legaste e tormentaste peggio di una bestia al macello? Soltanto per la mia povera vita? Perché vi­vevo? Per il fatto stesso della mia esistenza tormentata, della mia vita,  mi serravate la gola,  per i miei occhi aperti verso il cielo, mi colpivate sugli occhi! Dio stesso mi aveva rimesso al mondo, aveva compiuto il miracolo di perdonarmi e salvarmi, e voi mettendovi contro di Lui, contro la Sua grazia, mi deste addosso! Non avete avuto timore di Dio! Non faccio questione di me, ma del Crea­tore in persona, del Suo onore e della Sua gloria. Nella mia persona avete vergognosamente ingiuriato, deriso, co­perto di sputi il Suo onore e la Sua maestà. Perdona, o Signore. Per voi non basterebbero cento flagelli! Non ci sarebbe  miglior modo di ringraziarvi di tutto, dell'acco­glienza e del commiato che mi avete riservato, che schiac­ciarvi uno a uno tra le unghie, come tante pulci! (Pausa) Cosa vuol dire, che non sia stato tu? C'è o no una re­sponsabilità collettiva? Per me sei stato tu! (Pausa prolungata) Bisognerebbe metter qualcosa sotto i denti. Non è bene prendere il largo a stomaco vuoto. Il mare non ama gli affamati, e peggio ancora chi ha la pancia ti­rata. Ti rigiri dall'altra parte, ti vien su tutta la bile e niente altro. Se io dico che mangerai, vuol dire che man­gerai. E poi facciamola finita con queste sciocchezze. Non è il caso di arrabbiarsi. Ci aspetta un viaggio, lunghi giorni in comune. Se non vuoi intenderti con me, tanto peggio. Peccato, ti... volevo bene. Ma se non vuoi, pa­zienza. Se tuttavia possiamo arrivare a comprenderci, sarebbe da idioti stare a angustiarci l'un l'altro. Molto ci aspetta ancora, capisci? Abbiamo entrambi tanta strada da fare, prima di sentirci dire: Ah, papà, finalmente sei ar­rivato, pensavamo che... Abbiamo troppa strada da fare insieme, Hulgo mio, per poterci accusare l'un l'altro, spu­tarci negli occhi, guastarci vicendevolmente l'umore. Io ti ho sempre voluto molto bene. E se ora tra noi qual­cosa si è guastato, se la buona armonia di un tempo se n'è andata e non deve più tornare, taciamo almeno. Al­meno l'indifferenza. In mare è meglio scordare l'odio, il mare non lo vuole, è meglio piuttosto non parlare. (Pau­sa) Mangia qualcosa. Dai retta a me, è meglio. Prima di dormire e di mettersi in cammino è sempre bene mandar giù qualcosa. E magari anche qualcosa di liquido. Non ti pare? Ci si sente meglio, la terra è più leggera, il mare più liscio. È vero? (Dopo un istante) Fa' come vuoi. Non starò a pregarti. Io, per me, te l'ho detto... però, però, se proprio vuoi saperlo, io insisterei a farti mangiare qualcosa. Vuoi magari del vino? Tra l'altro ti dirò che mi sono preso quello della vostra migliore annata, con quel sapore aspretto. Io ti consiglierei, be', io... io ti pre­go perfino. Io ti ho voluto sempre bene, capisci. Dunque sinceramente: alla nostra salute, Hulgo! (Pausa. Cantic­chia)

Chi ha ucciso la capinera?

Chi ha ucciso la capinera?

Non lo  so, diceva il merlo.

Non lo so, diceva il tordo.

Hulgo, questo vino è delizioso. (Pausa) No. Non ti serve a niente neanche questa tattica, Piccolino. Io non sono sciocco, mio caro Hulgo. Mi stai ostentando il disprezzo del debole verso il più forte. Ti ammiro e ti dico che sono sinceramente commosso. Ah, ah, ah! Ma c'è davve­ro da ridere. Ci viene qua a recitare la commedia del disprezzo per il più forte. Ma sicuro! Il granchio canta, la capra fa le uova e il fiume prende fuoco per la pioggia. Ma lo sai, mio caro Hulgo, cosa ci faccio io su codesto aristocratismo della debolezza? Mi ci siedo sopra io, per allusione e anche in concreto. Sicuro, lo so! Fin dall'i­nizio incominciaste a storcere il naso. Vi turavate i na­setti con i vostri ditini, facevate smorfiette, storcevate le boccucce. Sibilavate con le vostre linguette acide paroline, vi scambiavate occhiatine d'intesa, vi tappavate la bocca. Puzzavo, eh? E la mia voce? Il mio sussurro più delicato vi faceva scappare come il fetore di un bue in putrefa­zione. L'enunciazione dei miei più sottili concetti era per voi come lo schianto di un baobab. I vostri cervelletti fun­zionavano in modo tanto più misterioso della mia ma­teria grigia. E con ciò? Bisognerebbe piluccare tutti i crani della vostra città per mettere insieme una porzione decente di cervello alla besciamella. Non venir quindi a recitarmi il melodramma. Non ti serve un bel niente, non serve né a te, né a me, né allo stesso Creatore su in cielo. Mangia! Hai capito? Te lo ordino: mettiti a mangiare, domatore di cavallette, eroe tascabile! Silen­zio! Silenzio, oppure io... (Pausa) Io... (Pausa) Hulgo! Ehi, Hulgo! Ascolta, io... (Dopo un istante) Scusami, Hulgo. (Dopo un istante). No, ora non mi tiro più indie­tro. Te lo dico: scusami. Finora non ho fatto altro che mentire, mentire, mentire stupidamente, senza senso, sen­za regola, senza abilità. Dico una menzogna dopo l'altra, e ciononostante anche un cieco si accorgerebbe che ho solo vergogna, e proprio questa orribile vergogna è quella che mi fa cianciare tanto, e impappinare a volte di fron­te a te, di fronte a me stesso, a noi due insieme. Dove? Perché? Ma si, certo, è chiaro. Lo sapevi fin dall'inizio. Lo sai, saggio ometto, fin troppo bene. E dunque perché io ho fatto questo, mi chiederai? Ascolta, Hulgo! (Dopo un istante)  Devo   raccogliere  e   coordinare   le  premesse. Mi occorrono degli argomenti, delle motivazioni, anzitut­to devo sapere con che diritto io ti porto via di qui, per­ché ti trascino in una terra remota, per quale ragione ce ne andiamo in un altro mondo, a te del tutto estra­neo, in mezzo a quelle mostruose montagne umane che sono i miei simili? Perché sei solo? Per quale motivo non è possibile che io almeno ti rintracci la tua Mirej, la tua bella Mirej, per renderti la solitudine meno desolata, e far si che le montagne non ti paiano cosi grandi? Hulgo, io... io ti avverto: cerca di comprendere, comprendere e scusare. Nessuna vigliaccata reca vergogna, purché se ne possa dare una giustificazione verisimile. Eppure io... Aspetta! Nel comune interesse di entrambi dobbiamo tra; vare una giustificazione il più possibile verisimile e one­sta di tutta questa porcheria. Ti pare, piccolo? Lo capisci tu stesso, devi saperlo. In quella tua testolina in minia­tura c'è una sorgente cosi limpida, un cristallo cosi lu­minoso di logica! Pensaci un po', fratellino! Solo... (Dopo un istante) Aspetta, aspetta... lasciami dire. Voglio sola­mente ricordarti e farti presente come la vedo io tutta questa maledetta storia di Mirej. Fatti, solo fatti. L'ho cercata per quasi tutta la notte, in condizioni estrema­mente difficili. L'allarme era stato già dato e di minuto in minuto la situazione andava peggiorando. Tu lo sapevi, cosa intendevo fare. E invece di aiutarmi mi creavi in­tralci di ogni genere. Che avevi in mente? Si, lo so, che almeno lei... era questo che pensavi. Eppure qui il più savio sono io. Sapevo dove ti avrei portato, e avevo de­ciso di aiutarti con tutte le mie forze. Sai tu stesso che cosa stava accadendo, quali minacce incombevano su di me. Il vostro stato maggiore aveva elaborato diverse va­rianti molto astute della mia cattura, tutto un piano di difesa, di attacco, di accerchiamento. Sfuggii all'insidia mortale in extremis. Ed è stato tutto per colpa tua, stu­pido, lo so qual era il pericolo che correvo in ogni istante. Sudando freddo, maledicendo me stesso e il mio senti­mentalismo idiota la cercai a lungo, finché non la trovai e te la resi. Credevo che avresti apprezzato il mio gesto, che mi avresti capito. Con lei ti davo veramente tutto. Il meglio di questo mondo. In lei avresti avuto tutto, tutto. Lo feci, pur sapendo che se mi aveste preso, sta­volta per me non ci sarebbe stata salvezza. Ma lo feci. (Pausa) È solo... (Grida) È solo colpa tua! (Dopo un istante) Ho fatto più di quanto chiunque avesse diritto di aspettarsi da me. E lui, cretino, va a sacrificarsi! Questa bella prodezza ti è riuscita soltanto perché io mi ero impietosito. Non vi avevo legati. Non vi sorvegliavo. Sai che cosa avevo pensato? Avevo pensato questo: l'a­more consola, che si consolino, gli darò tempo, che ri­prendano coscienza, che la riperdano, e poi ancora, e poi ancora. (Dopo un istante) È solo colpa tua, io non ho nessuna responsabilità in tutto questo. Ho rischiato tutto solamente per offrirti quanto di meglio c'era nel tuo mondo. E lui approfitta della prima occasione per libe­rarla, proprio lei! Da che cosa poi? Da te stesso, solo da te stesso! Non è forse cosi? Che razza di deficiente. Tra un mese sarà già a raccontare il tuo sacrificio nel letto di qualcun altro. Oh, certo, e puoi star sicuro che sarà perfino commossa, e che sospiri farà. Lui mi amava immensamente, dirà, e poi riprenderà a sospirare e a gemere per tutt'altra ragione, Piccolino mio, per tutt'altra ragione. Adorano rammentare qualcosa di molto nobile proprio in certi momenti. Come se non sapessimo anche troppo bene perché proprio in quei momenti loro sospi­rano cosi languidamente, "ah", "oh", "ah caro". Stupido, stupido, stupido! È solo colpa tua, perché se lei ha ac­condisceso a fuggire senza di te, vuol dire che non vo­leva... (Grida) Non voleva restare con te! (Pausa) Abbi pazienza, Hulgo. Non posso perdere l'abitudine di urlare. Ancora un po', e ti farò credere perfino quelle porcherie che non ti ho fatto. Per il momento, caro Hulgo, penso che basti. (Dopo un istante) Forse... avresti voglia di uscire un po'? No? Allora... allora riposiamoci. (Pausa più lunga) Sarà quel che sarà. Ma non possiamo nascon­derci, piccolo, che in tutto ciò che ho detto c'è una gran parte di ragione. (Dopo un istante) Bisogna riconoscere come un fatto naturale che la mia improvvisa comparsa nel vostro paese abbia provocato un'ovvia sensazione di pericolo, con l'ulteriore conseguenza di rigorosi provvedi­menti   amministrativi   e   militari.   Che  prendeste   tali  misure dinanzi alla minaccia di mie mosse impreviste mi sembra più che giustificato. Non ho quindi alcun risenti­mento per il fatto che i vostri reparti specializzati mi avessero preso di mira. Ragion di stato. Devi tuttavia ri­conoscere che le vostre truppe approfittarono a fondo dell'occasione. Furono veramente crudeli nei miei confronti, e io non potevo, spero sarai d'accordo su questo, non legarmela al dito. In fondo io lo so benissimo che non eri tu a infierire sul mio occhio destro. Ma l'occhio mi duole ancora oggi. È dunque perfettamente naturale che quando ti guardo con quest'occhio non possa fare a meno di identificarti col mio torturatore, il che non è affatto piacevole, né per te, né tanto meno per me. (Dopo un istante) Capisco, capisco. È forse possibile trattenersi di­nanzi a un gigante immobilizzato, a un pericolo addome­sticato? La natura stessa esige una compensazione: ah, rifarsi, rifarsi una sola volta nella vita! La natura stessa. Lo capisco come se fossi uno di voi, e se anche l'occhio mi duole, non importa, in coscienza non posso darvi torto. Sono sicuro che non fosti tu, Hulgo, lo so benis­simo. In effetti è per qualcos'altro che ce l'ho con voi. (Pausa) Lasciamo stare tutte quelle vostre smorfie, quel-l'arricciar nasini e storcere boccucce. Tu del resto sei sempre stato pieno di tatto e ti limitavi a trattenere il re­spiro. Eri molto delicato e ben diverso dagli altri. Ma anche gli altri del resto erano a posto, finché... che cosa fu fatto di me? Venni considerato come un mostro di rango animale, malgrado le evidenti manifestazioni della mia intelligenza. Che cosa fecero di me i vostri antro­pologi? I vostri antropologi mi considerarono una mo­struosa caricatura del vostro genere, un monumento di deformità. E anche questo avrei potuto sopportarlo co­me una cosa in fondo spiegabile. C'è chi ha ribrezzo per i negri, posso capire che a voi facesse ribrezzo la mia statura. Ma con quale diritto, con quale vostro sporco diritto stabiliste di fare di me una bestia, e per giunta questo mostro che vi faceva ribrezzo ridurlo in stato di cecità? Eh? Molto caritatevole da parte vostra, bella tro­vata, ingegnosa e astuta, non c'è che dire. Credi che non lo sappia? Ecco il vostro piano: a) accecarmi, b) castrar­mi, e) utilizzarmi per l'economia nazionale, d) per la scienza. Tanto a che prò lasciarlo sognare spingendo lo sguardo in spazi lontani? Dice uno. E gli altri caritate­volmente gridano: accecarlo! E poi perché lasciarlo a tormentarsi per la mancanza di una femmina? Dice un al­tro. E ancora tutti in coro, impietositi: castrarlo. Biso­gna tuttavia procurargli dei valori sostitutivi, dice un ter­zo. E sorge allora la discussione: metterlo a ingrassare nello Zoo, oppure utilizzarlo per girare le macine nei mu­lini reali? E la decisione finale testimonia magnificamen­te della saggezza di Sua Maestà, il quale mi destinò a entrambe le carriere: dovevo ingrassarmi sotto il giogo. Non è cosi? (Ride) Vedi dunque! (Grida) E questo pro­prio quando stavo incominciando a comprendervi, forse perfino ad amarvi, quando avevo deciso in tutta sinceri­tà di esservi utile! Sporca razza di vermi! (Dopo un istan­te) E cosa vuol dire, che tu sia stato contrario? (Dopo un istante) Sai cosa ne deriva? Ne deriva che proprio te, solo te, essendo l'unico che aveva capito e che si era op­posto, devi e puoi venire via con me. E ci verrai. (Pausa) Una bestia accecata e ingrassata al giogo. Bel disegno! Ma in tutto e sopra a tutto c'è l'interesse del paese, non è vero? In quanto è fondamento della ragion di stato servirsi di ogni forza sia pure mostruosa, a condizione tuttavia che tale forza si lasci in qualsivoglia momento controllare e indirizzare. Cosa importava che io fossi un amico? Il fatto è che ero sospetto. Ed ero sospetto non come amico, ma come forza. Ma non è idiota tutto ciò? (Dopo un istante) Seriamente; non è idiota? (Dopo un istante) Nient'affatto. (Pausa) Dunque non è idiota. D'accordo. Ep­pure fosti proprio tu a venire a mettermi in guardia. Mi domandasti: Vuoi far ritorno tra i tuoi, Lemuel? Si. Ti vendicherai, Lemuel? No. Ed eccoci qua ora, e tu, Hulgo, ti ritrovi non soltanto prigioniero, ma anche traditore. Hai scelto male, hai scelto male, fratellino. Proprio in quel momento, quando alla tua domanda: Ti vendicherai, Lemuel? risposi di no, proprio allora pensai dentro di me: farò vedere loro la fine del mondo, ci divertiremo, Lemuel! E incominciai a architettare tutto il piano di azione. Bisognava solamente prendere di sorpresa le vostre guarnigioni militari, impedire che si concentrassero, e poi mi sarei divertito davvero, nella parte del Dio ven­dicatore e degli elementi scatenati! Si, caro Hulgo. In­cominciando dalla vostra bella capitale. Dapprima le ar­terie principali, il centro, i parchi e i viali. A ogni cal­cio, un quartiere che si sbriciola, a ogni passo, a ogni salto il fragore di muri che crollano, e gli edifici pub­blici, le scuole, gli ospedali, i monumenti, i musei! Io sono meticoloso, accurato nelle cose che faccio, mi hanno sempre lodato per questo, cosi mi serbavo per ultimo, come dessert, il palazzo reale: dargli fuoco dai quattro lati, e poi sfondare le dighe. E qui veniva il bello! Gli alluvionati presi tra le fiamme, e chi si salva dall'incen­dio finisce annegato. Devi riconoscere, Piccolino, che per secoli il mio ricordo sarebbe rimasto tra voi. Migliaia di generazioni si sarebbero ricordate di me, e alla fine sa­rei entrato nella mitologia, come minacciosa personifi­cazione della punizione divina. Ah, che spasso! E che carriera mi si prospettava! (Piccola pantomima della "pu­nizione divina") Per me era soltanto un focherello, una pozzanghera d'acqua, quel che per voi sarebbe stato il terrore degli elementi scatenati, la fine del mondo, la catastrofe. Lo vedi tutto ciò? Lo senti quel fragore? (Do­po un istante) Cos'hai da gridare? Non l'ho fatto e non lo farò. Siamo stati entrambi degli sciocchi, tu hai tra­dito loro, e io me stesso. (Pausa) (Canticchia) Chi ha ucciso la capinera? Chi ha ucciso la capinera? Non lo so, diceva il merlo. Non lo so, diceva il tordo. Perché non provi  a cantare qualcosa? (Pausa più lunga) Eh, ti piaccia o non  ti piaccia, tu sia o no d'accordo, non  vuol   dire  proprio   niente,  perché  tutto è già stato deciso,  e  indietro  non   si   torna. Né  tu né io possiamo contrastare il  destino. Tu, comunque, no di certo! Pro­prio  no, Piccolino.   E  quindi   atteniamoci  alla realtà dei fatti, mio caro Hulgo. È vero, non possiamo negare che stai subendo un sopruso. Io mi accingo a condurti con­tro la tua volontà in un mondo estraneo e che per ora non riesci neppure a figurarti. Ti tolgo tutto, non ti do niente in cambio, divengo la causa della tua infelicità. E non basta: non posso nemmeno garantirti il ritorno. Tut­to questo è vero. E tuttavia, mio caro, quando ci mettia­mo in contrasto   col  destino che si annida in noi colla sua crudele prepotenza, malgrado tutto possiamo ancora scegliere.   Non  sto  cercando   di illuderti,  Hulgo. Pensaci un po': io in quanto io e io in quanto tuo destino getto su di te un peso enorme. E tu? Cosa scegli? La pura e semplice viltà di piegarti, oppure magari scegli con sag­gio orgoglio di sopportare ciò che non è in alcun modo possibile?   Hulgo,   pensaci,   Hulgo!   Un  comune  senso  di dignità ci impone, se liberi non  possiamo più essere, di accettare la servitù come uno stato di cose normale. So­lo cosi potremo padroneggiarla, utilizzarla, coltivarla, la servitù.  E solo cosi potremo conseguire   l'effettiva liber­tà dell'intelletto, una volta che saremo riusciti a renderlo convenientemente   sgombro   dal  concetto   di   libertà, allo stesso modo in cui si cessa di subire il sopruso sottomettendovisi in pieno. In fondo è proprio su simili assiomi che poggia tutta la nostra fede nel mondo, nel suo Creatore, in  Dio  stesso. Devi ammettere che è questa l'unica no­stra possibilità di intenderci con Dio: tutta la Sua insen­sata crudeltà accettarla come la Sua grazia, tutte le Sue perfidie   definirle   come   l'unica   via   di   salvezza.   Capisci dunque?   La   libertà   ottenuta   sbarazzandosi  del concetto stesso di servitù o di libertà, attraverso un capovolgimen­to  dei valori  della realtà, oppure eliminando addirittura qualsiasi valore, in quanto già il tendere a stabilire dei valori in una realtà determinata costituirebbe... oh, insom­ma, vattene al diavolo! Puoi rassegnarti o ribellarti, non m'interessa proprio niente. Se vuoi, rifattela pure con la sorte.  Non mi   fai   neanche ridere. (Pausa) Io di te ho bisogno. Varrai più tu di un cesto pieno di perle. Ah, pa­pà, grideranno i bambini, ma è possibile? Si, risponderò, si figli miei, non conosceremo mai più la miseria, e, oh! Dio   sia lodato, sospirerà mia moglie. (Dopo un istante) Ma la verità è ancora un'altra. (Pausa) Tu ci sei neces­sario. (Dopo  un  istante)  Per che cosa in concreto, ora come ora non saprei dirtelo. Sono ignorante io. Mi man­darono a scuola a scapaccioni, e me ne cacciarono via col bastone. Non sono in grado di definire con precisione in quale branca delle scienze risulterai maggiormente uti­le. Ma  vedi,  Piccolino, nonostante la mia  ignoranza   io l'ho capito subito: tu solo scorgesti in me  qualcosa di più che una mostruosa difformità. In quanto in me scor­gesti e riconoscesti l'intero genere cui appartengo. Solo tu venisti a mettermi in guardia dalle insidie che mi si prepa­ravano, mostrando in tal modo di essere proprio tu quello con cui il nostro genere potrà stabilire buoni e proficui contatti. A cosa potrai servire? Non ne ho la minima idea, e neppure è affar mio. Il Signore nella sua bontà mi ha illuminato facendomi capire che in un campo o nell'al­tro ti renderai senz'altro utile, ed è stata un Sua grazia a metterti tra le mie mani, per soccorrere la povera uma­nità nei suoi svariati e innumerevoli mali. Sono ignorante, certo, ma tuttavia quando stemmo, subito dopo la mia pri­ma liberazione, a chiacchierare, per tanti giorni e tante not­ti e tu mi andavi esponendo la relazione scientifica che pre­paravi per la vostra Accademia, compresi subito in ma­niera  sufficiente  quanto fosse vasta e profonda  la tua dottrina.   Per esempio, la   tua   affermazione,   secondo   la quale   esisterebbero nel moto  infinite   simale  degli  stati ciclicamente ripetibili occupati da più di due elettroni di­retti in spirali convergenti, è affascinante. Oppure la tua teoria sui corsi a ritroso nel metodo della trasformazio­ne del circolo. E infine tutta la tua mirabile scienza me­dica. Ti ricordi, mio caro Hulgo, quel che nei miei rac­conti ti fece soprattutto inorridire, e al tempo stesso sor­ridere? Te lo ricordi? Cerca di ricordare... Ah, non ricor­di. (Dopo   un   istante)   Quando   ti   raccontai   delle   epi­demie di peste. (Dopo un istante) Be'? Perché ora non dici niente? Eppure allora ti fece ridere, stupire e inorri­dire, eri tutto orrore e pietà a sentire che tra noi, gigan­ti grandi e possenti come montagne, di ogni generazione per lo meno la metà si perde per strada, soccombendo an­zitempo come ammorbata dall'aria stessa, che ogni fami­glia previdente tiene sempre alcune bare di riserva, che le madri singhiozzano e i figli gemono, quando la morte si ag­gira per la città e nulla vale a fermarla, e solamente i fab­bricanti di bare allora si fregano le mani giulivi, e cigolano i carri funebri in tutti i vicoli, e gli inservienti muniti di arpioni cavano fuori i morti fra i vivi come denti da fau­ci ammutolite dal terrore, e via via che si spopolano le città sempre  più  affollati  si fanno  i  cimiteri. Di  quel che mi venivi dicendo dopo, compresi solo che ti avevo ispirato una gran pietà di queste miserie, e che a quanto pare tu la sai ben più lunga di tutti i nostri accademici in fatto di medicina. Fin da quel momento ripromisi a me stesso che non mi sarei lasciato sfuggire dalle mani que­sto prezioso ometto, altrimenti con che faccia sarei tor­nato dinanzi all'opinione pubblica del mio paese se  co­me esploratore e scopritore non avessi  riportato una si­mile preziosa fonte di progresso per tutto il genere uma­no? Te l'ho già detto: nonostante la mia ignoranza ho abbastanza intuito per capire  che tu ci sarai utile. Per questo Dio ti ha creato, e per questo io ti ho scoperto. Proprio cosi, caro signor Hulgo! Tu sarai il nostro bene­fattore, capisci? Benefattore!   È  una croce dura da sop­portare, lo so, ma pensa che merito ti acquisterai, che profonda soddisfazione, anche se mista a una certa ama­rezza. Rallegrati, Hulgo! Sarò io il primo a renderti glo­ria, e tu, minuscolo come sei, sarai annoverato tra i mas­simi, la gente ti accoglierà in ginocchio, e, se ti piacerà, potrai farti delle passeggiate camminando sopra fronti rea­li. 0 nostro buon benefattore! Questo è il destino che ti preparo. Ti  chiedo  solo   umilmente   di   ricordarti   di  me quando sarai cosi in alto, di non scordare   che fui pro­prio io, che fu per merito mio, benché io non avessi asso­lutamente pensato  a un  lucro personale, avendolo   anzi fatto per puro altruismo, tuttavia ti prego, mio Hulgo, ti prego di non dimenticarti di me. Capito? È meglio per te, piccolo, se lo capisci con le buone. Altrimenti non so... ma te ne ricorderai  senz'altro, nevvero, o   mio signore, Hulgo? (Pausa) Credo che sarà una bella giornata. (Dopo un istante) Il vento soffia da terra, verso oriente sta già schiarendo.   Tra   poco... (Dopo  un  istante)   Del   resto   è solo e unicamente colpa tua! (Dopo un istante) Ala forse provi il desiderio di dare un'occhiata in giro per l'ultima volta? Fai pure! Non ho niente in contrario. Be', se non vuoi, affar tuo. Faremo rotta in direzione dei Gemel­li, il vento è favorevole, e vedrai che andrà tutto bene. Cosa ne dici, Piccolino? (Pausa) Devi comprendere che non ci sono mai altre strade ali'infuori di quella che si ha davanti. Non badare a tutte le stupidaggini che ti va­do dicendo. Anche se dalle mie ciance può sembrare che io abbia commesso una gran porcheria nei tuoi confronti, in effetti mi sono comportato nel modo più onesto. Mi senti? (Dopo un istante) Certo! E molto anche! Lo posso dire ad alta voce, con te sono stato onesto e generoso! Generoso, si! (Pausa) Be', Hulgo! Ehi, piccolo, mi senti?... Hulgo! Ascolta, Hulgo! (Dopo un istante) Ometto! Hul­go! Amico mio! (Dopo un istante) Che cosa ci hai com­binato? Che hai fatto?

ATTO SECONDO

Gli avvenimenti rappresentati in questo atto non sono riportati nella versione ufficiale della storia di Gulliver, e come è noto non furono mai presi troppo sul serio dai biografi del viaggiatore inglese. Cosa del resto piti che spiegabile, se si pensa che anche la versione generalmen­te accolta presenta una conclusione che lascia molto a desiderare, che deprime e indigna per quella che potrem­mo chiamare una smodata glorificazione dell'elemento equino, dandoci peraltro una misura della mania osses­siva dell'autore nella sua insistenza a diffamare con inau­dito malanimo il suo proprio genere! Poiché tuttavia già nel primo atto ci sforzammo di ricostruire un episodio su cui la versione generalmente accolta sorvola, anche in questo caso non ci tireremo indietro dinanzi a fatti sino­ra accuratamente sottaciuti. L'episodio del lillipuziano Hul­go, a quanto affermano taluni, fu annotato dallo stesso Gulliver nella prima redazione delle sue memorie. In se­guito tuttavia, dietro le insistenze degli amici e dell'edi­tore, i quali consideravano quell'episodio una palese sto­natura, lo stesso Gulliver accondiscese a eliminarlo so­stituendolo con un altro aneddoto. L'episodio del gigante non fu mai annotato da Gulliver personalmente. Come si vedrà, sarebbe stato materialmente impossibile. Si sono conservate solamente alcune descrizioni molto generiche e per lo più allusive di quest'ultima avventura di Lemuel Gulliver, le quali, a quel che sembra, sarebbero l'eco di un viaggio intrapreso più tardi da un memorialista rima­sto semisconosciuto, il quale per vie non ben precisate riusci a raccogliere tali informazioni e trasmetterle alla famiglia di Gulliver in due lettere, delle quali non si con­serva del resto l'originale. Queste lettere vennero consi­derate dagli amici e dall'editore di Gulliver come il par­to di uno sciocco pettegolezzo o di un'antipatica fantasia. È vero che copia di tali lettere venne conservata presso la famiglia di una delle figlie di Gulliver, ma iti effetti non c'è da sorprenderci che i successivi studiosi e biogra­fi quasi di regola non ne abbiano tenuto alcun conto, ri­tenendole materiale di scarsissima attendibilità, non me­ritevole di elaborazione e neppure di un semplice cenno critico. Si tratta in fondo di un atteggiamento quanto mai coerente, che se da un lato si esclude l'episodio del lil­lipuziano Hulgo, dall'altro accettare per buono quello ri­guardante il gigante Glum verrebbe ad essere non solo una stonatura, bensì una vera e propria assurdità. Stan­do cosi le cose esso si salva unicamente in quanto ci di­mostra la verisimiglianza del primo episodio, e dobbiamo riconoscere che il secondo assomiglia molto di più a un'i­potesi di lavoro che non a una verità storica documenta­ta e degna di fede. Resta ancora da chiarire il perché di quest'ultima avventura di Gulliver. Per quale motivo an­cora una volta si era messo in viaggio e era capitato pro­prio a Brobdignan? È difficile ammettere che quella fosse fin da principio la sua meta. E allora dove era diretto? Bramava forse, spinto da nostalgia per gli Huyknahms, visitare ancora una volta il loro paese, andando invece a finire per caso a Brobdignan? Ò intendeva ritornare a Lilliput, mosso dal desiderio non troppo razionale di ria­bilitarsi dopo la faccenda di Hulgo? Oppure infine non volendo soccombere alla vecchiaia voleva soltanto respi­rare per l'ultima volta il pungente profumo della brezza marina e trovarsi ancora da solo a tu per tu col mare sconfinato? Sembra che nessuna di queste supposizioni possa essere accettata senza ombra di dubbio, e che, peg­gio ancora, nessuna di esse si possa senz'altro respinge­re. Ma poiché il problema è irrisolvibile, lo lasceremo all'intuito e alla buona volontà degli spettatori, ovvero ai lettori di questo episodio.

Quanto alla messinscena, sarà essenziale solo tener pre­sente il fatto che in scena figura Gulliver, il quale si tro­va ora imprigionato in una gabbia alquanto simile a quel­la in cui egli stesso aveva tenuto tempo addietro Hulgo. Detta gabbia appartiene a un abitante di Brobdignan, il gigante Glum. Il gigante, quantunque si trovi li appresso, non è visibile sulla scena: ci si deve infatti ricordare che Gulliver gli arriva appena alla caviglia. Cosa ben più strana, non si sente neppure la sua voce. Può darsi che non ritenga Gulliver un degno interlocutore. Per il resto, analogamente a quanto detto per il primo atto, ogni par­ticolare più o meno rilevante viene lasciato all'iniziativa del teatro che se ne vorrà occupare.

Gulliver                         - Egregio signore! Mi permetto di elevare la mia vibrata protesta. Ho compiuto molti viaggi, ho visi­tato molti paesi e fatto conoscenza di un numero di po­poli superiore a qualsiasi altro viaggiatore al mondo. Tra l'altro ebbi già una volta occasione di visitare il vostro paese. Ne ripartii allora in circostanze assai piacevoli e circondato dalla simpatia generale. E adesso invece? Fac­cio appello alla sua gentilezza d'animo. Non ammetto as­solutamente di essere imprigionato e protesto! Sono anche convinto che le autorità del suo paese e persino il so­vrano in persona con la sua consorte saranno stupiti, per non dire indignati, del suo comportamento. Al tempo del mio precedente soggiorno un suo compatriota, per aver messo a repentaglio la mia salute, fu condannato alla tor­tura per espresso ordine del sovrano! Malgrado la mia intercessione peri miseramente in seguito alla perdita di sangue, alle bruciature e alle terribili sofferenze. Non vor­rei dunque esporla a un simile... non vorrei, illustre si­gnore... (Dopo un istante) Che hai da ridere, bestione ot­tuso? (Dopo un istante) Chiedo umilmente perdono. Il disdicevole epiteto mi è stato dettato solo dall'esaspera­zione. Che cosa sono io infatti rispetto a sua signoria? Un'inezia impotente, un ridicolo nanerottolo dotato per uno scherzo di natura di un'intelligenza simile alla sua, anche se non altrettanto pronta, nonché di un certo sa­pere, benché non cosi vasto come il suo. Mi rendo conto che questo può essere divertente, ridicolo perfino. Si trat­ta tuttavia della normale diiferenza tra due diversi ge­neri, e non esclude la possibilità di intendersi e perfino di provare un reciproco senso di solidarietà. Anzi, dirò di più, proprio da questa enorme sproporzione di forza e statura mi viene una particolare speranza. Sono sicuro che la coscienza di tale sproporzione non può dettarle che un unico modo di comportarsi, ispirato alla compren­sione e alla tolleranza. Non è vero forse? Ed è proprio nella sua monumentale statura che io scorgo queste ca­ratteristiche rassicuranti. La sua risata assordante, ha un tono amichevole e cordiale, e vedo le sue mani dotate di tanta forza muoversi con grande precauzione. Ah, sono sicuro di non sbagliarmi! Entrambi stiamo solo par­tecipando a un piacevole gioco. Anche se è solo il mio ruolo a esser fonte di comicità, ne apprezzo sinceramente tutto il fine umorismo e ah, ah, ah, davvero di cuore, co­me lei, ah, ah, ah, ah visto, ah, ah, ah, che ridere! (Pau­sa) Un bel gioco però deve essere breve, sintetico. Credo che... (Dopo un istante) Ritengo che da parte mia siano necessarie ancora alcune spiegazioni, sia pure limitate al­l'essenziale. Per cominciare le dirò che sono un uomo. Appartengo cioè al genere umano, quello che secondo un concetto più astratto si suole definire l'umanità. Personal­mente porto il nome di Lemuel Gulliver. Sono navigante e viaggiatore, oltre a trastullarmi, nei momenti liberi dal vero lavoro, con un passatempo non troppo serio, vale a dire la letteratura, ovverossia lo scrivere di fatti più so­vente inventati che realmente accaduti. Comunque non so che cosa ne pensi lei di un siffatto modo di ammaz­zare il tempo. Per conto mio sono per principio incline a ritenere che persino fatti veri, una volta che siano messi per iscritto, acquistino una nuova veste che li rende più simili  a  un parto di fantasia.  Sarei persino portato ad asserire che gli avvenimenti inventati sono più vicini alla verità della vita e alla realtà di quelli veramente accadu­ti. Per esempio, se mi provassi a descrivere la situazione in cui presentemente ci troviamo, con molta probabilità, e anzi contro la mia volontà, sarei spinto a rappresentar­la   sotto una luce fosca,  prospettando  quasi la crudeltà della  natura   che   sembrerebbe   averci   creati  l'uno ostile all'altro. Oppure anche, pur senza una mia specifica in­tenzione, la pura e semplice descrizione della situazione e del rapporto di forze che sussiste tra noi due potrebbe indurre il  lettore  della   nostra avventura a biasimare il comportamento   di   sua   signoria,   attribuendole losche e malvage intenzioni. Ma che cosa avrebbe mai questo in comune con la verità, con la realtà effettiva, con la vita? Niente, assolutamente niente, mio buon signore! Nevve-ro? Ecco  cos'è la letteratura! (Pausa) La divertirà forse apprenderlo, e sarò sinceramente lieto di poterle procura­re un divertimento, ma noi uomini siamo il genere più numeroso  che  ci  sia  sulla  terra.  Oserei affermare che malgrado la nostra piccolezza siamo anche il genere più potente che ci sia. Proprio cosi, signor Glum. Non men­to, non ne avrei l'ardire. Ho addirittura in odio la men­zogna ed è per questo che mi spingo anche oltre: affermo, si, affermo che nessuno si può opporre a noi!  Neppure la natura, egregio signore. È cosi. Non intendo con que­sto mettere minimamente in dubbio la potenza e la gran­dezza del vostro paese. Ma, caro signore, ma... supponia­mo, a puro titolo di esempio, perché evidentemente non ci sarebbe alcuna ragione, supponiamo tuttavia, per cosi dire... (Dopo  un istante) La faccenda in fondo è molto semplice. Tanto semplice e automatica che si stenterebbe persino a crederci. Eppure è la verità. Egregio signore, gli uomini sono solidali! Insolitamente solidali! Si sosten­gono gli uni con gli altri con la mente, col cuore, con tut­te le loro forze. È assai caratteristico che lo stesso con­cetto di umanità racchiuda in sé due distinti significati. Uno, che è appunto quello che designa la collettività de­gli uomini. E l'altro? È semplicemente sinonimo di bontà, generosità, comprensione. Cosi stanno le cose, illustre si­gnor Glum! L'uomo costituisce ai propri occhi un valore supremo. L'uomo è il patrimonio più prezioso dell'umani­tà.  A difendere e proteggere uno di noi accorrono tutti gli altri. Per il bene del più misero di noi si mettono in moto eserciti e scienziati, autorità e sudditi, tutti, tutti, tutti!   Proprio per questo noi  siamo  invincibili. Si, mio buon  signore, niente ci può resistere. Oso anzi  afferma­re: niente e nessuno! Può sembrare tutta un'invenzione, mentre  non è che la pura e semplice verità. (Dopo un istante)  Si, signor Glum!  Proprio cosi sta la faccenda! (Pausa)  In   questa  solidarietà umana, lodevole e buona, sotto tutti gli aspetti, si cela una sola grave pecca: siamo vendicativi. Molto vendicativi. Ho perfino vergogna a dir­lo. Ma... c'è poco da fare, siamo tremendamente vendica­tivi. Per un torto fatto a uno di noi si vendica l'intera specie; è cosa da incutere spavento in tutto il creato. Quel che è peggio, ci vendichiamo orrendamente, in misura di molto superiore al torto subito. In modo che resti bene impresso il ricordo della nostra vendetta. E questa si ri­versa anche su tutta la stirpe dell'offensore. È cosi, pur­troppo. Se per esempio lei... supponiamo che a me... cosa di cui dubito... ma se, poniamo solo in via di ipotesi, io subissi una  qualche offesa, in tal caso non solo lei, ma i suoi congiunti, se ha delle figlie graziose o una moglie affezionata, e tutto il resto della famiglia, tutti i conoscen­ti e gli amici, insomma tutta quanta la sua cerchia, se non addirittura tutto il paese, sarebbero esposti a un ter­ribile pericolo. Io dunque la metto in guardia, sia pure in via del tutto ipotetica. L'avverto per il suo bene, per­ché le sono sinceramente amico. Dopo non servirebbe più a niente né la vostra mole, né la vostra forza. Purtroppo è atroce a dirsi, ma vendicando i torti subiti cessiamo di essere umani. La terra brucia, l'aria si secca, l'acqua fug­ge nella profondità delle rocce. Per questo io l'avverto! Se qualcuno qui mi farà un torto, non rimarrà di tutti voi che ossa e cenere. Prima di morire, l'offensore agoniz­zerà con la più tremenda lentezza. Morirà tra i tormenti più atroci e più prolungati.   Ogni cellula del suo corpo scoppierà  di disperazione, si gonfierà di sofferenza. Pro­vatevi soltanto! Oh, si, provati solo a torcermi un capello! Maledirai il giorno in cui sei nato. Griderai, pigolerai, frignerai invano. Sarà troppo tardi, nessuno ti potrà sal­vare. Hai capito? Gli uomini sono tremendi! Tremendi e spietati!   In   ginocchio,   animale!   Inginocchiati,   e   prega, supplica che io ti perdoni! Hai capito? Forse sei ancora in tempo, può darsi che ti perdoni. In ginocchio, stupida bestia!   (Pausa)   Signor   Glum!    Gentile,   illustre   signor Glum! Ho voluto recitarle una scena drammatica, e deve riconoscere che non mi manca del talento. Eh, eh, non è vero? Era uno scherzo di effetto, e forse lei è rimasto un po' sorpreso. Ma ogni vera arte è essenzialmente  costi­tuita dalla sorpresa che essa suscita, sia essa più o meno scherzosa. Ci siamo divertiti, eh? (Dopo un istante) Che scena! Io che mi metto a gridare a sua signoria tutti que­gli improperi! Niente male, vero? (Pausa) A giudicare dal suo silenzio e a vederla cosi soprappensiero, ho il sospet­to di aver suscitato in lei qualche più seria riflessione. Se è cosi non posso che approvarla, signor Glum. La vita è cosi strana, piena  di inaspettati mutamenti. Sebbene lei sia molto potente, e io tanto insignificante, entrambi av­vertiamo lo stesso senso di smarrimento dinanzi alla pro­blematicità dell'esistenza. Non è vero? Perché sono sicu­ro di non averla offesa. È impossibile che lei si sia offe­so, ci comprendiamo troppo bene noi due. Abbiamo già fatto amicizia, non le sembra? Anzi, giacché ci siamo, sa­rei ben lieto se ci fosse una maggiore intimità. Mi chia­mi pure per nome, mi fa molto piacere. Davvero. (Dopo un istante) Semplicemente Lemuel. (Dopo un istante) Mi fa­rà molto piacere. (Pausa) Dio mio! Sii giusto, o Signore! Eppure lo vedi come mi trovo! (Dopo un istante) Oh, in­cendialo, distruggilo, soffocalo, fa' che si pieghi, che ge­ma   e   chieda invano  perdono.   Mostrati,   o   Signore!   Mi senti, Signore Iddio? Palesa la Tua potenza. Che cosa co­sta a Te gettarmelo dinanzi in ginocchio? Meno che nien­te. È per la giustizia che Te lo chiedo, fallo per giusti­zia.  Signore,  fallo!   Io  credo,  credo,   credo!  (Dopo  un istante) Devi sapere, signor Glum, che il nostro Dio è as­solutamente onnipotente. Non sempre sollecito, ma sem­pre giusto. E anche se per lui, nella Sua immensità, tra noi due non passa alcuna differenza, tuttavia Egli ci ri­corda e ci giudica, ciascuno di noi. Vede te, te e me, ci vede entrambi qui e in questo momento ci osserva con attenzione e riflette sul da farsi. Lui sa tutto in anticipo. E come agisce? Agisce semplicemente secondo giustizia: Egli non permette che il debole venga maltrattato. Non lo permette mai. Dunque attento, mio caro Glum. Se an­che tu riuscissi a eliminarmi, Lui non te lo perdonereb­be, se lo ricorderebbe fino alla fine  dei tempi. È nella Sua stessa natura divina. Se anche volesse perdonarti, se anche lo volesse, non potrebbe farlo. Benché sia onnipo­tente. (Dopo un istante) Oh, Signore, non mi  deludere! Gettalo in ginocchio dinanzi a me. Ma guarda, Signore! Dinanzi a chi tace sprezzante questo muso? Dinanzi a chi sorride ottusamente? Chi è colui che in effetti insulta con la sua alterigia? Signore, Signore! Non posso credere che Tu permetta a questa insensibile montagna di carne e di ottusità di opporsi al Tuo bene supremo, alla Tua giusti­zia!   Mi  senti, o  Signore?   Io  sono  sempre  stato il  Tuo servo più umile, sempre, sempre, sempre Ti fui fedele e sottomesso, ma almeno una volta, una volta almeno po­trai manifestarti a me, o Signore! Un miracolo, Signore! Mi ascolti? Altrimenti... (Dopo un istante) Ah, ma Tu non sei che una mera invenzione, una menzogna! (Pausa) È a te che sto parlando, signore mio, ottimo, gentilissimo Glum! (Dopo un istante) In te io credo, o mio signore. È vero, è vero. Ho bestemmiato irragionevolmente e fuor di misura contro il tuo onore e la tua potenza, ma ora ho visto. In tempo. Ho visto fino in fondo la tua grandezza, la tua divinità, e certamente l'ho fatto in tempo. Poiché sono ancora vivo! Non è vero? Ah, mio signore! Ma da questo momento ti loderò dall'alba al tramonto. Nessun dio ha ancora avuto un tale profeta e credente, quale tu hai già trovato in me.  Grazie a te, signore. Diventerò il primo e più solerte tra i guardiani del tuo tempio. Andrò pieno di ardire tra gli uomini a convertirli all'unica e ve­ra fede. E dirò loro: egli si ricorda di ciascuno di voi, perché egli è grande e quindi riesce anche a vedere cia­scuno di voi. L'unico giusto, l'unico onnipotente, l'unico vero Glum! (Pausa) Però io, o mio signore, vorrei sape­re come sei in realtà. Questo punto dovresti chiarirmelo compiutamente. Dobbiamo per cosi dire discutere razio­nalmente di questa tua essenza. Certo, capisco... Io come tuo sacerdote non sono tenuto a dire loro tutto, anzi non lo devo assolutamente. Noi due tuttavia dobbiamo, sia pure nelle linee generali, definire la tua concezione. Co­me vuoi essere, o per dir meglio: come sei in realtà, si­gnore mio, immortale Glum. (Dopo un istante) Tenendo presenti taluni tratti della psicologia della gente penso che si debba fin da ora metter da parte la tua indifferen­za. Sei un dio, e sei pertanto imperscrutabile. Ma gli uomi­ni, anche se questo forse ti farà ridere, non tollerano le divinità indifferenti. Che vantaggio si può avere a credere in un essere indifferente? (Dopo un istante) Ah, signore, benché l'avessi visto fin dal primo momento, solo adesso me ne rendo conto appieno: siamo creati a immagine e somiglianza tua! Oh, grazie, grazie! (Pausa) Hem, si, pro­prio cosi. Non c'è che dire, tutto andrebbe a meraviglia, è chiaro come la luce del giorno. Ma la mia predicazione non basta, è troppo poco. Ci vuole dell'altro, bisogna in­ventare qualcosa da dare in pasto alla gente. Gli uomini non credono se non alle cose in qualche modo tangibili, o mio signore. Sono marmaglia, non te Io nascondo. Tut­to quel che ti ho detto prima su di loro non aveva alcun senso. Sappi che gli uomini sono solo dei poveri uomini, e tu devi abbassarti fino a loro. Non c'è altro da fare: bisogna gettar loro un'immagine di Dio nella quale essi possano ritrovare se stessi. Di qui deriva anche che un dio può mostrarsi anche con il volto sorridente come te in questo momento, o signore. Oh, ecco, cosi, cosi, magni­fico, divino! Appena un tantino più cordiale, più affabile. Ecco, bene cosi! Quell'ombra di ironia e di sprezzo che rimane nel fondo delle pupille è soltanto il normale at­tributo della tua divinità. Ma il sorriso in sé è geniale, ineguagliabile, scusa il modo banale in cui mi esprimo, ma... ecco, ho trovato, è unico, unico, cosi come sei uni­co tu, mio signore. (Dopo un istante) Permetti che mi in­ginocchi. (Dopo un istante) Ah, signore! Come sei grande e buono... (Pausa) Vedi, io li conosco. Con la bontà si può far di loro quel che si vuole, a una sola condizione: che essi al tempo stesso la temano mortalmente. Buffe bestiole, eh, signore? (Dopo un istante) Tu del resto non hai da preoccuparti di nulla, penserò io a tutto. Basterà che ci sia io, e che magari di tempo in tempo, tanto per prenderti uno svago, tu intervenga direttamente. Come ricompensa potrai applicare la grazia oppure, diciamo, una caritatevole misericordia. D'altro canto, signore, tieni pre­sente che è sempre preferibile la punizione, è migliore e più facile. E soprattutto se ne ricordano meglio. Un dio principiante in ogni caso è sempre bene che incominci dal terrore. (Dopo un istante) Devi tuttavia valutare in maniera adeguata la mia funzione. È una faccenda piut­tosto essenziale. In tutto questo processo della tua deifi­cazione costituisco un elemento assolutamente insostitui­bile. Puoi esser certo che mi rivelerò all'altezza del com­pito. E del resto potrai fare di me ciò che vorrai. La mia rassegnata accettazione è senza dubbio la prova più bel­la della mia fede. Puniscimi o ricompensami a tuo pia­cere. Io chino il capo e aspetto, aspetto, o signore... (Dopo un istante) Ma... non disdegnare tutto questo, signore! Non credere che la razza umana sia cosi meschina come potrebbe sembrarti dalle mie minacce di poco prima. Trat­tandoli opportunamente si può conseguire grande popola­rità fra gli uomini, e ottenere molto da loro, sia pure nell'ambito dei tuoi criteri, secondo la tua misura. Pen­saci un po': dapprima migliaia, poi milioni, decine e cen­tinaia di milioni di uomini ti si inchineranno fino a ter­ra. Sarai il loro... che cosa sarai? Ma tutto! Stammi a sentire, è solo un esempio: grazie a te si leva e tramonta il sole. E in coro diranno: Oh, signor nostro Glum! Gra­zie a te sorgono e periscono le stelle. E il coro ripete: O signor nostro, Glum! Grazie a te nasce e vive l'uomo. E ancora il coro: O signor nostro, Glum! Grazie a te il fiore si tramuta in frutto. E il coro: O signor nostro, Glum! (Dopo un istante) Fa un certo effetto, vero? (Dopo un istante) Non ho fatto altro, signore, che improvvisarti una formula di litania assai semplice e banale. Qualora ci fosse effettivamente bisogno, nevvero, di un'ulteriore elaborazione, si troveranno delle preghiere migliori, più interessanti, si ingaggeranno degli specialisti, differen­ziandole a seconda degli ambienti, delle capacità intellettuali, delle sensibilità. E solo un elemento resterà in tutte come valore costante e immutabile, quest'invocazione che ovunque e in eterno dovrà echeggiare: o signor nostro, Glum! Mi ascolti? (Dopo un istante) Dunque? (Dopo un istante) Ma cosa vuoi allora, accidenti?! (Pausa) Sua ec­cellenza non gradisce la metafisica? Se è cosi, mi scuso tanto. Effettivamente mi sono sbagliato, sono caduto nell'esagerazione, mi sono lasciato prendere dall'ispirazione oltre la necessità. Dato il progresso delle scienze bisogna­va seguire un'altra via. Ma... (Dopo un istante) Ma ciò non vuol dire che io non possa esserle utile, eccellenza. Nean­che per sogno. E davvero non ti consiglio di disdegnare il mio aiuto. Ti dirò di più: senza la mia consulenza, sen­za di me, qualunque tua spedizione contro gli uomini può finire in modo molto spiacevole. Ti ritroverai in un grovi­glio di tranelli e di agguati. Non sarai in grado di valu­tare le distanze. Non saprai quando convenga far grazia all'avversario e quando invece si deve colpire, colpire, colpire e bruciare senza pietà. La migliore arma dell'in­vasore, eccellenza, è un buon traditore. E la provvidenza del traditore è l'invasore. Siamo uniti da un'inscindibile comunanza di interessi. E non devi sottovalutare le mie capacità: sono in grado di sottoporti nel giro di ventiquattr'ore un piano concreto e accuratamente documen­tato per colonizzare il mio paese, e nel corso della setti­mana successiva il progetto per soggiogare tutto un con­tinente. Eh, signore? Che ne dici? Mettimi solo alla pro­va! Ti assicuro che tu stesso resterai stupito dalle quali­tà e dalla sapienza del tuo servo, del tuo consigliere, del tuo... schiavo. Credi che non ti piacerò? Vedrai come ti affezionerai a me! Ti sarò più necessario che non l'aria o l'acqua. Scommessa? (Pausa) Di che si tratta? (Dopo un istante) Insomma, di che si tratta? (Dopo un istante) Ah, non ti fidi di me! Ah, ah, ah! Questa è bella, non ti fidi... O forse invece hai paura? Di che? Di un'in­sidia, di un trabocchetto? Di un tradimento notturno? Ah, ah, ah, che razza d'ingenuità! Lo vedi che anche una mi­nuscola creatura come me ti può intimorire? Non ti na­scondo, caro mio, che mi hai davvero divertito. (Dopo un istante) E va bene. Ho famiglia. Una moglie che adoro sopra ogni altra cosa, dei figli dolci come angioletti. Te li darò come ostaggi, cosi avrai una garanzia e potrai essere tranquillo sul mio conto. Tutte le volte che mi al­lontanerò, li avrai a portata di mano. Credimi, resterai incantato solo a vederli. La mia figlia maggiore canta più melodiosamente di tutti gli uccelli del paradiso. I suoi fratelli l'accompagnano col flauto e con l'oboe. Sono si­curo che ti commoverai. E forse conoscerai il fascino dol­ce e triste che emana dalla bellezza di una piccola e in­difesa creatura. (Dopo un istante) Oh, loro accetteranno senz'altro. Lo faranno per me, e accetteranno con gioia. E anche se, chissà, in un primo momento... puoi essere certo che dopo qualche po' di esitazione e di lacrimucce per il padre e marito non si tireranno indietro, puoi star sicuro! Eh! Starebbero freschi! Non si tireranno indietro, no. (Dopo un istante) Ci mancherebbe altro che osassero disubbidirmi! Sarei capace... (Pausa) Signore, ma come non ti vergogni? (Dopo un istante) Come puoi non vergo­gnarti ad approfittare in modo cosi vile, cosi animalesco della tua forza, del tuo predominio fisico? C'è davvero di che vantarsene! Bella prodezza! Ha riportato un grande successo su di una pulce! Ha vinto uno gnomo! È vera­mente rivoltante, viene da vomitare! Puzzi come un eser­cito di caproni, per non parlare del tuo fiato paradisiaco! Ma si può sapere che cosa vuoi infine da me? Che cosa pensi di ricavarne? Su, parla, parla! Che sappia almeno cosa si nasconde dietro codesta zucca grande come una torre, che razza di porcherie vi partorisce la tua ottusi­tà. Su, sentiamo? (Dopo un istante) Perdonami, signor Glum. Ma vorrei che la faccenda in qualche modo si chia­risse. È la protesta morale che parla attraverso di me, la disperazione del debole. Sii per lo meno tanto indulgente da dire qualcosa. Almeno questo. Ti prego, ti supplico, Glum, in fondo lo puoi fare, cosa ti costa, eh, dimmi, co­sa ti costa parlare, Glum? Tu sei grande e splendido, che cos'è un uomo dinanzi a te? Niente altro che polvere. Lo so che tu sei tanto al di sopra di me, ma cosa ti costa, signore mio? Solo un po' di indulgenza, una goccia di ge­nerosità. Di' una sola parola, una sola: che sorte mi pre­pari? Per cosa ti sono necessario? (Pausa) Ma levati dalla testa di poter avere a che fare con gli uomini. Deponi ogni ambizione riguardo a loro.  Qualunque tuo tentativo con loro sarebbe una farsa in cui sprofonderesti come nella merda. Non sono più quei tempi in cui un bue qualsiasi poteva  aspirare  al posto   di   signore  iddio.  E  comunque anche allora bastava che il bue fosse ingrassato a dovere per finire sotto il coltello. Un due tre, e i fedeli sacerdoti avevano la loro brava bistecca di signore iddio. Diverten­te, no? (Ride) Oppure volevi regnare, mio povero Glum? C'è   da  crepar  dal   ridere.   Prima   ancora  che  tu  potessi muovere un solo passo verso il trono, saresti già lungo disteso per terra legato come un salame, ogni capello in­catenato al suolo. Avresti, si, una carriera davanti a te: allo zoo.  Ti taglierebbero  qualcosa per calmare i  nervi, ti allungherebbero il cibo tra le sbarre e vivresti per la gioia dei piccoli e l'erudizione degli adulti. Ti piace co­me idea? Sarebbe proprio una bella carriera per te. Il re del giardino zoologico di Londra. Pensaci, Glum! I ragaz­zi ti adorerebbero. "Quello è un monte?" "O è un bison­te?" "No, è il nostro amato Glum!" Inoltre vitto e allog­gio gratis, la possibilità di contatti con insigni scienziati, le personalità più rinomate della cultura e dell'arte ver­rebbero a farti visita, e le belle donnine ti ammirerebbero con un certo perverso compiacimento. Eh, Glum? Non ti attira? (Pausa) Sei muto o sordo? (Dopo un istante) Idio­ta! (Pausa) A cosa ti servo? Vuoi vendermi? Consegnarmi a un laboratorio, per la gioia dei microbiologi? Perché si divertano a tagliarmi l'appendicite sotto una lente, a con­tarmi le costole e i denti? Oppure devo finire in un mu­seo  come un  embrione   sotto   spirito?  Per far restare a bocca  aperta i vostri   scolaretti:   guardate quell'esserino, che  miracolo di natura!  Ma forse neanche questo. Non scorgo nel  tuo faccino il lampo  della passione scientifica. Non hai certe ambizioni. Non credo neppure che tu voglia vendermi. Non ti converrebbe poi tanto... E allora si può sapere che cosa intendi fare di me? Mi vuoi sfrut­tare in proprio? Aha, ma si, certo!  Ho capito. È quello che farei io stesso. (Pausa) E sia. Ma io avanzo le mie richie­ste. Anzitutto  devi   assicurarmi   certe  condizioni  di esi­stenza: un giorno settimanale di riposo, libertà di scelta per i numeri del programma, determinati svaghi e vitto adeguato. Inoltre firmeremo un contratto a termine. Tra un anno, o al  massimo tra due anni, mi libererai e mi fornirai i mezzi per il ritorno. Chiaro? Senza questa ga­ranzia io non muovo un dito, signor impresario! Il circo è circo, ma persino una scimmia, per ben divertire il pub­blico, deve avere l'umore adatto. (Dopo un istante) Furbo lui. Come se tanto non sapessi come va a finire. Si co­mincia per le fiere di paese, e dopo sei mesi bisognerà in­dorare la gabbia per gli spettacoli a corte. Ma io non mi lascio imbrogliare. Fino a che non c'è un contratto con tanto di firma, io non mi produco. Vitto, vestiario, e non più di   tre spettacoli al giorno.  Siamo intesi? Intanto si può  cominciare   a preparare  il  programma per le fiere. (Si mette a cantare) Un   bel   di  una   principessa s'invaghì di un ciabattino...

                                      - (Dopo un istante) Vedrai che ti metterai a ridere anche tu come un matto. Non ci credi? Ah, ah! (Canta e accen­na qualche passo di danza) Sorpresero nel bosco la nonnina...

                                      - (Dopo un istante) E cosi di seguito. Prima la canzoncina e poi la pantomima, fino a far scoppiare le pance dal ri­dere. Poi via via si cambia repertorio. Ti detterò io stes­so gli slogan per la pubblicità. Ma ti ripeto, dobbiamo sta­bilire fin da ora le condizioni, e soprattutto la durata del contratto. Altrimenti non se ne fa di nulla. (Pausa) Hem, però in fondo... (Dopo un istante) In fondo io mi fido di lei. Non è detto che si debba firmare il contratto fin da oggi. Ma neanche domani. Il datore di lavoro ha diritto a un periodo di prova, e poi naturalmente su tante cose possiamo ancora metterci d'accordo, io sono disposto a qualunque accomodamento ragionevole. Nei limiti del pos­sibile mi adatterò a qualsiasi prestazione lei esigerà da me. Ho un discreto senso dell'umorismo, molta buona volontà, egregio signore, e non sono uno di quegli stolti che non hanno abbastanza acume per vedere la propria comicità. Per esempio, credo  che dinanzi a un pubblico colto e raffinato potremmo inscenare qualcosa sul genere di un duello, magari di una lotta a corpo a corpo tra noi due. Le assicuro che l'effetto sarebbe esilarante. Oh, vedo già lo spettacolo... Alla fine lei, vincitore, con fare freddo e distaccato decide di darmi il colpo di grazia, di finirmi come un insetto molesto.  Estrae il coltello e come se si trattasse di recidere un filo d'erba, proprio cosi, fa per tagliarmi  la  testa...   Un  istante  col  fiato   sospeso per  lo spavento e poi subito tutto cambia. Un delizioso, comicis­simo colpo di scena! Invece di vibrare il colpo mortale, sorridendo di commiserazione, si limita a tirarmi giù de­licatamente, con licenza parlando, i calzoni e le mutande e a darmi qualche colpetto sul sedere: una bella sculac­ciata,  con l'accompagnamento   dei miei  strilli  indignati. Considerate le dimensioni del suo umile servo non credo che offenderemo il pudore delle signore. Non punteranno mica i loro occhialetti proprio su quella parte, eh, signor Glum? He, he, he...  Le assicuro che soltanto con questa scena faremo carriera. È il tragigrottesco quello che ci vuole,   signor   Glum!   Il   tragigrottesco!   Se   la   figura  lei questa scena? (Dopo un istante) Quanto al resto ci mette­remo d'accordo, ne sono più che sicuro. Non ho poi gran­di esigenze, lo  constaterà lei  stesso nel giro di qualche giorno.  Mi basta dormire a sufficienza e avere del  cibo adatto. A qualunque altra cosa mi possa mancare troverò un compenso nella soddisfazione della mia vena artistica. C'è un solo punto su cui non posso scendere a compro­messi: io ho un palato sensibile e uno stomaco delicato. Mangiare per me non è solamente una necessità, ma un vero piacere. (Dopo un  istante)  Proprio  cosi, trovare le vivande   che soddisfino i miei gusti costituisce un serio problema. Ma penserò io stesso a risolverlo: basta che lei mi procuri delle carni crude, di cui io provvederò a pre­sentarle una lista domani mattina, della verdura e della frutta. So quel che si può trovare in questo paese, e fa­cendo del mio meglio avrò una tavola da far invidia a un re. Per esempio la carne dei vostri colibrì è superiore al manzo più prelibato. Oppure i funghi delle vostre muf­fe marinati. I nomi non sono molto  raffinati, ma   è un fatto che leccornie da noi introvabili sono cosa comunis-sima da queste parti. È proprio quello che avevo sempre sognato:  cucinarmi da me, cavarmi la voglia di far frit­ti e arrosti. Due orette intorno ai fornelli, e poi un'altra oretta a tavola. Si, si... senza tanti  affanni e preoccupa­zioni. In fondo che altro scopo c'è nella vita? Vuol dire che mi dedicherò alle gioie del palato e della sazietà. Mi troverò delle buone erbe per la digestione. Senza contare che lavorare in un circo aguzza l'appetito. La vostra ac­quavite per me è troppo forte, ma ci faremo un apparec­chio per la rettificazione. In fondo avevo sempre aspira­to a   qualcosa  di  simile:   vita   tranquilla,   pasti  regolari, ingegnosa preparazione di nuove pietanze, qualche picco­la e gustosa innovazione, comodità, giornate regolari rit­mate secondo il susseguirsi dei pasti, un'esistenza raccol­ta e serena. È veramente una prospettiva invitante. Vero? Ma in fondo, signor Glum, a pensarci  bene, cosa potrei sperare di meglio   per trascorrere questi ultimi due de­cenni di vita che mi restano? Non vedo perché darsi tan­to da fare, accapigliarsi con Dio o col destino, quando esi­ste la possibilità di   organizzarsi un tenore di vita tran­quillo e confortevole, dalla colazione al pranzo, dal pran­zo alla cena. Non ho ragione? In tutta sincerità, non c'è nulla  di  più  disgustoso   di   quei  trafficoni  che   a  tutti  i costi cercano brighe a destra e sinistra pur di mettersi in vista. Arrivisti!  Avventurieri.  Se ormai sappiamo che l'uomo è un animale, e lo sappiamo, cosa dobbiamo con­cludere logicamente? La conclusione è una sola. E dun­que, mio caro signor Glum!   Ecco  che siamo finalmente arrivati   a  intenderci.   Cominciamo   a   preparare  la   lista delle   mie   ordinazioni. (Annota)   Oh,   vediamo...   intanto questo, per cominciare. Oppure, oppure... Ma si, come no, anche questo. Ottimo!  Eh, eh, benone. Mi viene l'acquo­lina in bocca... (Dopo un istante) Ecco fatto. (Dopo un istante) Mi domando che bisogno c'era di tirar fuori tut­ti quei discorsi. Quando potevamo fin da principio... ar­rossisco solo a pensarci. Vero, gentilissimo signor Glum? (Dopo un istante) Quasi quasi mi faccio un sonnellino. Il giorno si preannuncia piuttosto caldo. Bene, siamo d'accordo. Non è vero che è bello questo mondo? (Dopo un istante) Mi sembra, Lemuel, che siamo giunti al modo più appropriato di intendere la felicità umana. Come è dolce approdare in un porto tranquillo. Vero? (Canticchia. Do­po qualche istante) Eh, si sta bene qui. (Pausa) He, he, si­curo... Sembrava che non ci dovessimo capire, e invece ci siamo capiti a meraviglia. Sembrava che... e invece tut­to il contrario. È proprio divertente. (Pausa) Vero? (Pau­sa) Dico, non è vero? (Pausa) No che non è vero! Non è vero! (Dopo un istante) Niente di tutto questo. Vorresti forse costringermi a far qualcosa che io non voglio? Spia­cente, ma non accetto. (Pausa) Sarà sciocco, sarà assur­do, se vuoi. Ma non ho alcuna voglia di piegarmi alla tua volontà. (Mette mano al coltello) Se io ritengo che le mie faccende abbiano un loro senso, nemmeno tu potrai co­stringermi a pensare in maniera diversa. Anche se sei più forte di me, che vuol dire? Non ti serve a niente, mio buon Glum. (Pausa) Lo faccio per questioni di prin­cipio. E non senza gioia, malgrado le apparenze. Povero stupido, a me è difficile farla. Anche se ho paura del do­lore e non lo posso sopportare, con me tu hai perso la partita. Non mi piace il tuo comportamento, e ora te ne do la prova. (Pausa) Per poter disporre della mia sorte ti manca, caro Glum, solo un'inezia: me. (Si volta di spal­le. Ride) Solo, non ti meravigliare. E non venirmi a gri­dare: ma perché l'hai fatto, piccolo? Sarebbe superfluo. (Ultimo gesto, accompagnato dalle ultime parole) E ri­pugnante.

FINE

Qui finisce questo episodio della vita di Gulliver: mal­grado il triste finale, non deve lasciarci depressi. Cono­scendo infatti le altre sue peripezie ed esperienze, possia­mo affermare che ha agito in modo degno di approva­zione.

A commento di questo ultimo gesto di Lemuel Gulliver, viaggiatore e letterato, si può citare una frase che egli ebbe ad esprimere in altra occasione, e che come molti altri suoi detti è stata regolarmente omessa dai suoi edi­tori. Questa frase, scritta da Gulliver dopo il suo ritorno dal paese degli Huyknahms, suona come segue: "Giacché malgrado tutte le circostanze avverse io riconosco un sen­so alla mia esistenza, mi sforzo persino nelle situazioni più assurde di scoprire il suo elemento ordinatore."

Ci sembra che tale elemento ordinatore fosse per Gul­liver il principio della giustizia che deve regolare i rap­porti tra tutti gli esseri viventi. Ci sembra anche che alla formazione di tale principio debba aver contribuito in modo essenziale l'episodio del lillipuziano Hulgo.

Non dobbiamo considerare il suicidio di Gulliver, com­piuto contro Glum, come un atto di cieca disperazione. Al contrario. Saremmo portati ad affermare che quello fu un gesto consapevole e nel caso specifico assai concreto. Secondo le già menzionate lettere dell'anonimo viaggia­tore, Gulliver seppe comportarsi con molta calma, pro­nunciando quelle ultime frasi senza ombra di pathos o di rammarico. Glum affermò in seguito che anche quello sembrava volesse essere solo un argomento convincente nella discussione. Le ulteriori sorti dello stesso Glum, il quale per una sequela di lettere indirizzate contro la mo­narchia e per il suo atteggiamento critico verso i rappor­ti di classe vigenti a Brobdignan, si tirò addosso l'accusa di preparare un colpo di stato con relativa condanna a morte, sembrano confermare in pieno il nostro modo di valutare il gesto di Gulliver.

Quest'ultimo fatto potrebbe anche apparire poco veri­simile. E sarebbe del resto facile estendere tale critica a tutto il resto degli avvenimenti qui descritti. Ci può es­sere rimproverata l'eccessiva libertà con cui abbiamo rap­presentato situazioni abbastanza dubbie e fatti tutt'altro che documentati. D'altro canto sappiamo che qua e là si ripetono situazioni identiche a quelle che abbiamo visto in entrambi questi episodi della vita di Lemuel Gulliver. Ricordando tali episodi abbiamo voluto a modo nostro protestare, esprimere cioè la nostra adesione al principio che lo stesso Gulliver aveva chiamato "l'elemento ordi­natore dell'esistenza". Non pretendiamo invece difendere la verisimiglianza storica degli eventi rappresentati. Sia­mo infatti dell'opinione che ciò sia stretta pertinenza del teatro che vorrà sobbarcarsi questa ingrata fatica.