Due in altalena

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Commedia in tre atti

di William Gibson

Titolo  originale Two for the Seesaw Alfred A. Knopf,  1959

Traduzione di Laura del Bono

G. C. Sansoni - Firenze 1963

Personaggi

Jerry Ryan

Gittel Mosca

L'azione ha luogo l'anno precedente a questo11, tra l'autun­no e la primavera,

e si svolge in due stanze, quella di Jerry e quella di Gittel, a New York.

Atto primo

Scena     I: le due stanze. Settembre, tardo pomeriggio.

Scena   II: la stanza di Gittel. Mezzanotte dello stesso giorno.

Scena III: le  due  stanze.  Qualche  ora  dopo l'alba.

Atto secondo

Scena    I: la stanza di Jerry.  Ottobre, tramonto.

Scena   II; le due stanze. Dicembre, mattina.

Scena III: la stanza di Gittel. Febbraio, un sabato sera.

Atto terzo

Scena     I: la stanza di Gittel. Marzo, mezzogiorno.

Scena   II : la stanza di Jerry. Maggio, tramonto.

Scena III: le due stanze. Alcuni giorno dopo, pomeriggio.


La scena consiste in due stanze, messe leggermente ad an­golo una contro l'altra. Sono in casamenti diversi, a New York, qualche miglia distanti l'una dall'altra, ha stanza di destra è quella di Jerry Ryan.

È il minuscolo soggiorno di uno squallido appartamentino di due stanze al sesto piano di un casamento popolare. La mobilia è composta di un sommier molto corto e stretto, di una sedia da cucina che fa da tavolino da notte e si ha subito la deprimente sensa­zione che il trasloco sia avvenuto da poco e con poche cose. Il telefono, per esempio, è per terra. A sinistra c'è la finestra dalla quale si vedono i tetti delle case circostanti.

Nella parete di fondo c'è un passaggio che conduce nella cucinetta tanto oscura che è quasi invisibile; nella cucinetta c'è un fornello a gas, una bagnarola coperta, e la porta d'ingresso. La parete ha il muro sezionato o addirittura soppresso per permettere allo spettatore la vista completa dell'altra stanza.

L'altra stanza è quella di Gittel Mosca. È il soggiorno di un appartamento all'ultimo piano di un vecchio casamento di mattoni color fango, scrostati, verso la sessantesima strada. Questa è ad un livello più basso di quella di Jerry. È molto più grande dell'altra, ha più luce e vi regna un piacevole ed accogliente disordine ed ha il calore del luogo abitato da tempo: sebbene mobiliata con gusto borghese rivela la presenza di un essere umano e caldo.

Avanti, nella parete di sinistra, la porta di ingresso all'appartamentino ed in fon­do il passaggio che porta in cucina, visibile, questa, in parte. Tra l'altro, la stanza contiene un letto a due piazze, un tavolino da notte con sopra una lampada e un telefono; un bureau, delle sedie, un manichino per sarta, una macchina da cucire, in un angolo, ed una finestra che guarda sulla strada.


ATTO PRIMO

Scena I.

Le due stanze. È un tardo pomeriggio di settembre. Le finestre d'ambo le stanze sono aperte e il rumore del traf­fico invade le stanze.

La stanza di Gittel è vuota. Nell'altra stanza Jerry è seduto sul divano-letto, sigaretta in mano, cercando con un dito nel­le pagine della guida telefonica che tiene aperta tra i piedi. Jerry è alto, sulla trentina, piacente, con un'ombra di malin­conia e, studiandolo più profondamente, si scopre in lui un astio nascosto. Il suo modo di vestire è, senza volere, di­stinto e ordinato, in contrasto con la stanza disordinata e squallida dove si trova. Il divano-letto è disfatto, sulla sedia accanto c'è la macchina per scrivere e vi sono abiti appesi alla spalliera. Una bella valigia è aperta, per terra, su un pavimento che da secoli non viene scopato, con polvere ammassata in quantità sullo zoccolo intorno. Jerry ha tro­vato il numero che cerca e lo forma. Il telefono squilla nella stanza di Gittel. Al quarto squillo Jerry riattacca il ricevitore. Simultanea­mente si sente il rumore di una serratura e di una maniglia alla porta di entrata di Gittel. Gittel entra di corsa senza fermarsi ad appoggiare la borsa con la spesa e afferra il ricevitore.

Gittel [senza fiato]  Sì, pronto? [Aspetta un secondo] Al diavolo!

[Gittel è una ragazza dai capelli neri, magra, di età indefinita, con troppa personalità per essere definita bella. È nervosa, sciatta e con una deli­ziosa gioia di vivere. Il suo abbigliamento, dal­la sottana di grosso cotone, alla blusa un po' alla contadina, ai sandali, non le va a misura e tutto ciò che fa, lo fa con gli scatti e la leg­gerezza intensa di un uccellino sul suolo. Ora Gittel e Jerry sono occupati ognuno alle pro­prie faccende. Jerry mette la valigia sul letto, ne va togliendo i vestiti — una bella giacca, un bel completo e un bel soprabito — che appende ad una canna messa ad angolo tra le due pareti; mentre sta mettendo a posto anche le scarpe, la canna esce di posto e gli cade in testa] .

Jerry    Figlio di un cane! [Lascia tutto per terra com'è, va in cucina e torna con un tassello di legno, un martello e dei chiodi e inchioda il pezzetto di legno sotto il sostegno da dove è caduta la canna, poi la rimette a posto e riappende i ve­stiti. Questa volta la canna sta su. Contempo­raneamente Gittel, diretta in cucina con la borsa con le provviste, si ferma davanti ad un mani­chino e lo guarda con occhio critico. Vi è su appuntata una vistosa casacca. Gittel resta im­mobile un momento, poi con la mano libera toglie le spille e ne stacca il colletto comin­ciando a lavorarci su. Dopo un momento fa qualche passo indietro e guarda la casacca con disgusto] .

GittelGesù!!

[Rinuncia, posa con violenza le spille e riprende la via della cucina dove la vediamo versare del latte in una casseruolina che mette a scaldare sul gas; le altre provviste le ripone nell'armadietto e nella ghiacciaia. Jerry finisce coi vestiti e si volta a guardare il telefono; siede sul letto, si assicura di nuovo che il nu­mero che vuole è quello esatto e per la terza volta lo forma. Il telefono squilla da Gittel. Gittel torna di corsa e risponde proprio quando Jerry stava per metter giù il ricevitore, dopo due squilli] 

Sì, pronto!

[Ora la voce di Jerry è educata, ironica, di­stante] .

Jerry    Gittel Mosca, per favore.

GittelSono io, chi parla?

Jerry    Sono Jerry Ryan. Ci siamo visti in mezzo a un branco di sconosciuti ieri sera da Oscar. Sono un suo amico d'infanzia.

GittelEh?

Jerry    Peso settantasette chili. Alto un metro e ot­tanta. [Aspetta, poi aggiunge]  Rosso di capelli.

GittelHo capito. Quello col cappello nero in testa che non ha mai aperto bocca!

Jerry    [con umorismo forzato]  Perché, i vostri amici vanno forse senza cappello? Ieri sera parlavate di un frigidaire che volevate vendere. Posso venire?

GittelA vedere il frigidaire?

Jerry    Beh... sì... il frigidaire...

GittelNon è un frigidaire, è una ghiacciaia.

Jerry    Tanto meglio, risparmio di elettricità! Aggeggi in serie, gloria dell'industria americana. Potrei essere lì...

GittelL'ho data via!

Jerry    [pausa: non sa più che scusa trovare]  Non è molto gentile...

GittelL'ho perfino aiutato a portarsela a casa. Un tipo che non conosco mandato qui da Sofia. Gliel'ho regalata, purché me la togliesse dai piedi. Per­ché non me ne avete parlato ieri sera?

Jerry    Perché non appartenevo al mondo dei vivi, ieri sera.

GittelUmmm?

Jerry    Ma oggi ho cambiato idea e voglio vivere. Vita nuova. Oggi è un gran giorno e... avrei pen­sato di cominciarlo col passare da voi per darci un'occhiata.

GittelNon c'è più.

Jerry    Me lo avete detto. [Pausa. Ambedue aspetta­no]  Grazie lo stesso.

Gittel [si affretta a rispondere]  Prego!

Jerry    [mette giù il ricevitore]  Al diavolo!

[Anche Gittel mette giù il ricevitore. Jerry, dopo un momento di sconforto, si alza, fruga nel pac­chetto delle sigarette, ma è vuoto. Andando alla finestra dà contro il letto col ginocchio e nell'alzare il piede per il dolore dà contro la parete, l'altro estremo della canna cade e i vestiti van­no tutti per terra].

Figlio di un cane!

[Jerry rac­coglie la canna, se la mette contro il ginocchio per spezzarla, ma questa si piega soltanto e gli rimbalza in viso. Torna all'attacco, ma non rie­sce. La canna cade per terra, ci inciampa su e con una collera che ha del comico non sa più che pesci pigliare. Poi, senza nulla di comico, dà un pugno violento al vetro della finestra che va in frantumi. Resta immobile, si contempla la mano, contempla la stanza, e il suo stato d'animo. Lascia la finestra e si avvicina al tele­fono per terra, lo guarda, lo prende in mano e forma il numero di prima. Contemporaneamente il latte di Gittel si è messo a bollire e straripa mentre lei si sta togliendo i sandali. Balza in piedi e sta correndo verso il luogo del disastro quando squilla il telefono] .

GittelGesù!

[Esita, corre al telefono, prende in mo­no il ricevitore] 

Un minuto, sta andando di fuori!

[Appoggia il ricevitore sul tavolino, spegne il gas e di corsa è di ritorno. Il latte, tutto sui fornelli]

 Sì?

[Jerry resta seduto con gli occhi chiusi, il ricevitore contro la fronte].

Pron­to?

[Jerry allontana dal viso il ricevitore] 

Pron­to, nessuno all'apparecchio?

Jerry    No.

GittelCome! [Jerry mette giù il ricevitore]  Ehi!...

[Gittel fissa il ricevitore, poi lo mette giù. De­cide di non pensarci più e torna al suo latte che fa raffreddare aggiungendone del freddo preso dalla bottiglia. Resta sulla soglia della porta tra cucina e stanza, sorseggiando il latte, poi va al telefono. Forma un numero ed aspet­ta. Jerry torna nella stanza, si accorge che la mano sanguina e se la fascia col fazzoletto, liti­gando da solo, poco fiero di sé].

Jerry    Verme schifoso che non sei altro! Avanti, vita nuova! Volta pagina!... [Guarda la stanza spo­glia, risponde a se stesso, ironico]  Quale pa­gina? Questa? [Spinge via dal letto la valigia, si distende sul letto e da sotto a questo estrae pagine e pagine e pagine del « Sunday Times », che fa volar per aria. Gittel intanto ottiene risposta].

GittelSofia. Oscar è lì? Non importa, senti, quel tipo con cappello nero, ieri sera, quello alto! Che numero ha di telefono?... Cara, fammi la cor­tesia!... Non pensar male e corri giù a vedere se Oscar lo avesse segnato da qualche parte.

[Le gambe di Jerry penzolano fuori dal letto. Jerry si tira un po' su, ma ora è la testa che gli batte contro la parete. Si alza, guarda il giaci­glio con tristezza e borbotta].

Jerry    Un metro e ottanta contro un metro e cin­quanta. Ci vuole un uomo più corto.

[Mette la valigia in fondo al letto e si corica di nuovo coi piedi sulla valigia, buttando in aria il resto del giornale. Gittel scrive in fretta un numero].

Gittel   69 cosa? Sì, sì, sì, ho capito. [Gittel interrompe la comunicazione formando quel numero im­mediatamente. Squilla il telefono di Jerry e Jerry lo lascia suonare ancora una volta prima di chinarsi a rispondere].

Jerry    [prudente]  Sì?

Gittel [in fretta, nervosa]  Ecco, ho ripensato alla ghiac­ciaia, quello che potremmo fare... Potrei ac­compagnarvi io qui all'angolo, da quel tale, se gli offrite un dollaro forse ve la cede di corsa. Facilmente ne vale cinque e può essere un af­fare. Che ne dite?

[Jerry, appoggiato al gomito, mette a prova la sua pazienza] 

Pronto, siete lì?

Jerry    [divertendosi]  Non lo so, volete che sia in para­diso? Nella guida telefonica non ci sono; co­me avete avuto il mio numero.

GittelMe lo ha dato Sofia. Per la ghiacciaia: a quello gliela ho data gratis. Poco che gli offriate a lui può convenire cedervela. Cosa ne dite?

Jerry    [secco]  Dico che non ci credo che  mi telefo­niate per la ghiacciaia, per una ghiacciaia che avete spinto fuori di casa a pedate pur di liberarvene.

GittelCosa volete dire?

Jerry    Mi telefonate perché, o come me,  non avete niente di meglio da fare, oppure perché avete creduto che...

Gittel [indignata]  Ho mille cose diverse da fare!

Jerry    Diverse non vuol dire migliori. Perché non le fate? Oppure perché avete creduto che sia stato io a metter giù il ricevitore.

Gittel [non capisce più]  Eh? non siete stato voi!?

Jerry    Chi lo ha fatto aveva una buona ragione per farlo. E la vostra buona ragione? Se un uomo telefona a una donna per dirle che vuole andare a casa sua e poi non le ritelefona più — se la donna lo richiama lei, o si sente molto sola, o è premurosa, o è una ficcanaso, o in cerca di un'avventura, o una grande risorsa, o una grande scocciatrice...

GittelAh! Adesso la colpa sarebbe mia?

Jerry    ...e sono curiosissimo di sapere quale delle due cose.

GittelPrima avete telefonato per la ghiacciaia, sì o no?

Jerry    No.

[Gittel sbatte giù il ricevitore, si alza e strappa in mille pezzetti il foglietto sul quale aveva scritto il numero di Jerry e lo butta nel cestino. Jerry, dopo un attimo di stupore, trova la cosa divertente e riforma il numero. Il tele­fono squilla in casa di Gittel e Gittel va a ri­spondere. Il tono di Jerry è ora piuttosto canzo­natorio].

GittelSì, pronto?

Jerry    Ho detto che non ho telefonato per la ghiacciaia.

Gittel [sordamente]   Come!?

Jerry    Sembrava, ma non lo era.

GittelScusate, non capisco. Prima non avevate tele­fonato qui perché...

Jerry    Ho telefonato perché non ne potevo più! L'uni­ca voce di donna che mi sia consentito ascol­tare è quella del robot dell'ora esatta, al tele­fono! Stava per darmi di volta il cervello. Vi ho chiamato per... per... comunicare...

GittelAh!

Jerry    ...con qualcuno del sesso debole che fosse vera­mente debole.

Gittel [pausa]  Okay, eccomi qua. [Jerry sorride, tra­sognato]  Comunicare!

Jerry    Vi avevo telefonato per invitarvi a pranzo sta­sera. Ed a teatro.

GittelPerché non lo avete fatto?

Jerry    Avevo paura che diceste di sì o di no.

Gittel  Ummm...?  avrei  detto  « eccome »!

Jerry    Lo vedete? Allora... quale teatro? Oggi è do­menica e a New York è difficile...

Gittel  Sì, ma ora non so più se direi « eccome ».

Jerry    Perché?

GittelNon ho voglia di imbarcarmi in complicazioni, mi sembrate così complicato!

Jerry    Complicato? Un uomo vi telefona per invi­tarvi a pranzo — tramite una ghiacciaia — voi gli rispondete che la ghiacciaia non c'è più, lui aspetta che voi diciate di venire a casa vo­stra anche senza ghiacciaia, ma voi non avete in mente che quella. Lui manifesta il suo inte­resse alla vostra personalità, non a quella della ghiacciaia, ma voi niente, non avete altro pen­siero che la ghiacciaia e buttate giù il ricevi­tore. Cosa c'è di complicato?

Gittel [pausa]  Dove volete arrivare?

Jerry    [divertendosi]  Sono senza meta. E voi?

GittelIo sono una donna. Voi siete un uomo, voglio dire. Tocca a voi decidere.  Prima cercate  di sapere cosa volete, poi invitatemi a pranzo e allora deciderò.

Jerry    È più di un mese che sono a New York e an­cora non so cosa decidere.

GittelSe invitarmi a pranzo o no?

Jerry    Se uscire dal pantano... verso una nuova vita. [Pausa]  Quando uno si rompe una gamba in cinque posti ci pensa due volte prima di rimet­tersi a camminare, no?

GittelAh!

Jerry    Questa è la sera dell'anno in cui non voglio mangiar solo. [Pausa]  Prima ho messo giù il ricevitore perché non volevo dire « per piace­re ». Aiutatemi.

GittelBeh, allora come mi venite a prendere?

 Jerry   È molto lontano?

GittelDopo la seconda strada.

Jerry    Sarò lì tra mezz'ora.

GittelForse non dovreste o quella è okay?

Jerry    Okay chi?

GittelLa gamba.

Jerry    Quale gamba? Ah!... [Si diverte, inscrutabile] Non so, credo che il male sia passato al cervello. A tra poco.

[Jerry mette giù il ricevitore e mette il telefono sul letto. Gittel resta con lo  sguardo fisso, poi scuote la testa e guarda la sveglia sul tavolino da notte e in fretta mette giù il ricevitore. Corre fuori nella hall e si sente che fa correre l'acqua del bagno. Contempora­neamente l'umore di Jerry è migliorato.  Rac­coglie gli abiti caduti a terra e li mette sul letto.  Pulisce la giacca con la mano, e se la infila.   Sta per  uscire,  col cappello  in  mano, quando squilla il telefono.  Torna per rispon­dere, e credendo che sia Gittel parla asciutto nel ricevitore].

Il mio cervello sta meglio del vostro, state tranquilla.   [La sua espressione cambia, la voce diventa prudente]  Sì, sono io Il  signor Ry... [La bocca gli si irrigidisce]  Chi è che parla da Omaha?

[Di colpo mette giù il ricevitore,  tenendovi appoggiata la mano,  fin­ché  il telefono  ricomincia a  squillare.   Allora lentamente si mette il cappello  ed esce dalla stanza. Spegne la luce di cucina ed esce chiu­dendo la porta di casa. Il telefono continua a squillare].

Scena II.

La stanza di Gittel. È quasi mezzanotte della stessa sera e le due stanze sono nell'oscurità eccetto per le luci della città, nello sfondo delle due finestre aperte. Gli ultimi ru­mori della strada sono udibili. Da sotto la porta di entrata di Gittel entra una fascia di luce gialla che viene dalla hall e subito si sentono voci e rumori di passi. La porta non è chiusa a chiave e Gittel entra seguita da Jerry, tutti e due profilati nell'oscurità. Sono di umore leggermente euforico sebbene il modo di Jerry rimanga essenzialmente ironico e preoccupato.

GittelAttento ai mobili. Ci vuole una civetta per orientarsi in questa oscurità.

Jerry    I miei amici migliori sono le civette e i... cor­nuti... Ahiiii!

GittelEcco qua! [Gittel accende una lampada che dà una luce accogliente. Butta sul letto la bor­setta ed il programma del teatro. Jerry, con in braccio una cassetta di dodici bottiglie di coca-cola e un sacchetto di carta, si strofina il ginoc­chio; Gittel torna indietro e ride]  Perché non dài retta!

Jerry    [le molla le cose che ha in mano]  Casa mia casa mia, per più buia che tu sia... anche se mici­diale. In America il settanta per cento degli incidenti gravi succedono in casa... [Gittel porta le cose in cucina] ...senza contare i divorzi. Vuoi vivere sicuro? Non ti sposare!

Gittel [si affaccia alla cucina, ride della spiritosaggine] Birra o coca?

Jerry    Fa lo stesso. Basta che sia roba liquida.

GittelIo mi scaldo un po' di latte.

Jerry    [diffidente]  Latte caldo? [Pensa. Poi mette il cappello sul manichino mentre Gittel mette sul gas in cucina una pentolina con del latte]  Sono un po' cresciutino per il latte. Dammi quella infernale coca e mandami alla perdizione.

GittelLa coca-cola contiene cafeina. Ti do una birra, meglio, no?

Jerry    Meglio per cosa?

GittelPer dormire.  Distende i nervi. A pranzo hai bevuto tre caffè e se ci aggiungi la coca fanno...

Jerry    Gittel, ti prego, smettila con quelle arie da can San Bernardo. Voglio dire — basta di occu­parti di me — sono già stato oggetto di troppe cure. [Gittel è richiamata nella stanza dal tono della sua voce, aspra]  Coca-cola e al diavolo i nervi.

GittelHai detto che non dormi. Così non dormirai. [Torna in cucina. Jerry ci pensa su, secco].

Jerry    Ne ho persa l'abitudine. Se mi garantisci che la birra mi farà dormire vada per la birra.

Gittel [torna sulla soglia della cucina]  Allora, ripren­diamo da capo e decidi da solo: birra o coca-cola?

Jerry    [divertito]  Latte caldo.

GittelJerry, andiamo...

Jerry    Se devo distendermi i nervi, non voglio cor­rere rischi...

[Gittel scuote la testa e torna in cucina e da là continua a parlare mentre Jerry ispeziona la stanza].

GittelChe razza di letto hai che non dormi?

Jerry    Roba presa dalla Croce Rossa — otto dollari.

GittelMisericordia! E ti meravigli? Prova quello. [È sulla soglia della porta di cucina e addita col bicchiere in mano il letto che Jerry si ferma a guardare]  Vuoi sapere quanto ho speso per il solo materasso? Cinquantanove dollari! Il più caro del negozio.

Jerry    Un buon metro e ottanta, che Dio lo benedica! È largo abbastanza per due!

GittelA tutto potrei rinunciare fuorché a un buon letto e tu devi comperartene uno come si deve. [Torna in cucina]  Non ci pensi che un terzo della vita lo passiamo a letto?

Jerry    [secco]  È un preventivo molto puritano.

GittelCome? Ah!... Va bene, metà della vita.

Jerry    [interessato]  'm' Nè — quasi tutte le notti qui a New York le ho passate vagando sui ponti. Non posso spendere cinquantanove dollari solo per far felici le cimici!

GittelHai le cimici? [Rientra accigliata con una sca­tola di dolcetti e due bicchierini di latte. Gliene porge uno].

Jerry    Beh, qualcosa che mi rode di notte.

GittelSei disoccupato?

Jerry    [guarda dentro il bicchiere]  Io lo so perché bevo questo, ma tu?

GittelIo ho un'ulcera. [Indica lo stomaco]  Duodenale.

Jerry    Grave?

[Gittel fa segno di no con la testa strin­gendosi nelle spalle. Si mette comoda nel letto con le gambe rannicchiate].

Credevo che le ul­cere, nelle donne, fossero scomparse col tandem. L'ulcera oggi è una malattia da uomini.

Gittel [filosoficamente]  Beh, io ce l'ho!

Jerry    [carino, scherzoso]  Cosa sei — tipo tandem, tu — o sei una ragazza moderna?

GittelImporta?

Jerry    Importa. Nel primo caso finirei di bere e me ne andrei, nel secondo caso resterei qui tutta la notte.

[Jerry lancia un'occhiata a Gittel e questa sostiene il suo sguardo impassibile. È un istante di sincera speculazione da ambo le parti].

GittelPer essere chiaro, sei chiaro...

Jerry    Stanotte non ho fatto che camminare senza mai dormire. Il dilemma è verso dove camminare. [Cambia discorso fermandosi davanti al mani­chino  secco  e  leggero]   Parlando  di  civette... questa roba cos'è?

GittelÈ un costume, per un'amica — per un numero che farà domenica a un ballo di beneficenza.

Jerry    Senza la parte bassa?... Non ha parti basse la tua amica?

Gittel  Va con la calza di maglia, no?

Jerry    [vicino alla macchina da cucire]  Meno male. E qui ti guadagni immodestamente da vivere, eh?

Gittel [esitando]  Metà metà.

Jerry    E l'altra metà?

GittelDisoccupata.

Jerry    [guarda le foto alla parete]  La soluzione è sem­plice: vestiti più lunghi! Aha — Acrobati! Chi è questa bellezza in maglia nera presa dai crampi?

GittelSono io.

Jerry    Tu?

GittelCerto.  Non  fare  quella  faccia.  Ballo.   È  una danza.

Jerry    Ah! Credevo che tu avessi rinunciato a quella roba. O che quella roba avesse rinunciato a te.

Gittel [indignata]  È la mia professione. Ho studiato con Josè cosa credi?

Jerry    Josè chi?

Gittel [fissandolo]  Parli sul serio?

Jerry    Vuoi dire che questa è la vera Gittel?

GittelCerto, se no avrei buttato fuori dalla finestra settantacinque dollari per mesi e mesi.

Jerry    E questo Mister America è forse il tuo ex-er­rore?

GittelChi?

Jerry    Tuo marito.

GittelNaa...! Con Willy non ci fu tempo per foto­grafie. Ci lasciammo quasi subito. Quello è Larry.

Jerry    [savio]  Ah. Il tuo errore presente. [Ammira le foto]  Eppure la vera Gittel è più magra della fotografia. Hai le gambe così belle?

Gittel [guardando le foto]  Certo! Voglio dire — le avevo... È di molti anni fa. Prima di amma­larmi: ho perso molto peso da allora.

Jerry    [in punta di piedi, alla foto]  Per via dell'ulcera démodé? Qui quasi la si vede...

GittelNo, con l'ulcera si aumenta di peso, per via della dieta. Una dieta caro mio, a base di sei pasti al giorno. Nove chili dopo l'ultima emorragia. Stavo benissimo. [Jerry si volta verso di lei e aggrotta la fronte]  Lo dicevano tutti.

Jerry    L'ultima.

GittelSì, spero che sia stata l'ultima. Mi era rimasto tanto sangue così.

Jerry    È una cosa seria. Quante emorragie hai avuto?

GittelDue. Poi, proprio quando sembrava che scop­piassi di salute, mi dovettero operare.

Jerry    Di ulcera.

GittelDi appendicite. [Diventa conscia di essere fis­sata da Jerry con tanta insistenza]  Dico sul se­rio. Fisicamente sono quasi un relitto.

Jerry    [dopo un momento, alzando il bicchiere di latte, brinda]  Al tuo relitto. Così com'è. Senza ap­pendice. Senza un grammo di più, senza un grammo di meno. [Beve alla salute di Gittel e lei accetta bevendo un sorsetto nel suo bic­chiere].

GittelBene! Questi sono i miei guai. Ora sentiamo i tuoi.

Jerry    [divertendosi]  Io? Non ne ho.

GittelCome hai fatto a spezzarti la gamba in cinque punti?

Jerry    Oh, la gamba? Si è spezzata dal dolore. [Vuota il bicchiere, lo posa, si ferma alla radio, l'apre, si assicura che sia accesa, quindi la richiude e continua a camminare tirando  fuori di  tasca un sigaro].

GittelPerché non ti metti a sedere e ti riposi?

[Jerry si volta a guardarla. Lei legge il suo pensiero]

Non è per fare il cane San Bernardo. Ma mi fai girare la testa.

Jerry    [secco]  L'ultima volta che fui invitato a seder­mi... restai seduto nove anni.

[Si abbandona su una sedia lontano da Gittel. Toglie l'invo­lucro al sigaro.  Gittel lo fissa].

GittelChi era?

Jerry    Il nome mi sfugge. Il dilemma presente è que­sto:  cosa dobbiamo decidere.

GittelSu cosa?

Jerry    Andare o restare. Apprezzo il tuo invito, ma non dovresti insistere. D'altra parte si sta mol­to bene qui e non posso inventare la scusa di un impegno precedente.

Gittel [pausa]  Jerry, non ti seguo...

Jerry    Sembrerebbe che volessi fare il prezioso... Mac­ché, sono facilissimo da ottenere.

GittelVoglio dire... da principio non sai nemmeno se hai voglia di invitarmi a pranzo — poi, di colpo — zam! dentro al mio letto. Sono solo chiacchiere, lo so, ma perché?

Jerry    Chiacchiere esplorative...  Come la  vecchia signora sorda che disse ad uno: « Come faccio a sapere quello che penso se prima non sento quello che dico? ».

GittelUmmm!  Prendi sempre così le tue decisioni?

Jerry    Come?

GittelCon la testa.

Jerry    Ecco, io qui dentro, ho una certa robetta gri­gia che dovrebbe aiutare a salvarmi dai passi falsi. E tu come le prendi?

GittelBeh, questa certo no con la testa! Io penso che un paio di passi falsi ti farebbero fare qualche passo avanti.

Jerry    [la studia un momento]  Non mi spingere. Devo prima esaminare la cosa.

Gittel [alza le sopracciglia]  Io non ho detto di sì!

Jerry    Prima di decidere anche tu dovresti pensarci. E se invece io potessi permettermi [addita con la mano le fotografie] ...una ragazza in fotogra­fia soltanto e non una tutta vera, con emorragie e via discorrendo?

Gittel [indignata]  Chi te le offre, vorrei sapere.

Jerry    Ecco. Ho bruciato i miei ponti prima di pas­sare. Mettiamo su un po' di musica e scordiamo il futuro. Anche questa mi è molto mancata.

GittelMamma mia!! Non hai nemmeno la radio?

Jerry    No, perché?

GittelChi è che non ha la radio oggi giorno!

[Lui accende il sigaro. Gittel lo fissa, con la mano cerca una stazione. Gira il pomello della radio finché trova un programma musicale] 

Sei pro­prio a zero?

Jerry    [esaminando il sigaro]  Che razza di nome è Gittel? Ha un suono esotico — come... esquimese.

GittelPolacco. Lo sei?

Jerry    Polacco?

GittelA zero.

Jerry    Perché me lo chiedi?

GittelSoltanto per sapere se è questo che ti tiene sveglio di notte e se è così perché mi hai invi­tata a pranzo e a teatro? Avremmo potuto fare all'inglese.

Jerry    [la prende in giro. Serio]  Inglese? Ti credevo italiana.

GittelChi, io? Ebrea.

Jerry    Mosca? Gittel Questo sì che è esotico. È il mio nome d'arte.

Jerry    [divertito]  Quale arte?

GittelUmmm?

Jerry    Qual'è il tuo vero nome?

GittelÈ troppo lungo per i manifesti. Moscowitz.

Jerry    E ti sei italianizzata. Mosca, senza il « witz ». È là dove sei nata?

GittelItalia?

Jerry    Polonia.

Gittel [indignata]  Sono nata qui, a Bronx. Senti: per­ché non ti assicuri contro la disoccupazione? Io sono assicurata.

Jerry    Ecco — prima cosa — legalmente parlando non sono residente in questo Stato.

GittelAh. [Ci pensa su]  Allora dov'è la tua residen­za?... legale?

Jerry    Nebraska.

GittelNebraska. Da qualche parte in California?

Jerry    Quella in California si chiama Nevada... credo.

GittelVoglio dire, sei lontanissimo da casa tua. Qui non conosci nessuno a cui chiedere un presti­to?

[Jerry, seduto, la valuta un momento].

Jerry    Nessuno, tranne te.

[Un momento di silenzio. Si guardano ancora.  Poi Gittel prende il bic­chiere, lo riempie di nuovo].

GittelQuanto ti occorre?

Jerry    [occhi abbassati]  Sei molto generosa. [Poi si alza e la sua voce sì appiattisce. Si allontana da lei]  Troppo generosa. Non recitare la nonna della fiaba. Il lupo ti mangerà.

GittelNon hai detto che eri a zero?

Jerry    Lo hai detto tu. L'anno scorso ho guadagnato quindicimila volgari dollari.

Gittel [stupita]  Facendo cosa?

Jerry    Sono un principe del Foro.

GittelAvvocato, vuoi dire?

Jerry    Avvocato. Principe. Per essere esotico.

Gittel [indignata]  E io che devo arrivare alla fine del mese con diciotto dollari! Perché mai sto cer­cando.di aiutarti!

Jerry    [alla finestra, con indifferenza]  Così ad occhio e croce, direi che adori soccorrere i vagabondi.

GittelEh?

Jerry    Sei una vittima nata.

GittelVittima di chi?

Jerry    Di te stessa.

Gittel [fissandolo]  Hai una bella faccia tosta! Mi hai fatto pena, cosa c'è di male?

Jerry    [voltandosi]  Io?

GittelCerto.

Jerry    Quanti anni hai?

Gittel  Ventinove, va bene?

Jerry    Va bene, ma, ti prego, non parlare come una di... vent’otto. A trenta si è già in cima alla salita, metà della vita è andata. E tu cosa hai concluso?  È ora che cominci a pensare a te stessa.

Gittel [con uno sguardo amaro]  Ci penso. Stai tran­quillo! Ho fatto i miei piani.

Jerry    Quali piani?

GittelParecchi. Con questo Larry di cui ti parlavo ci siamo messi d'accordo per organizzare un saggio di danze classiche. Perché non potrem­mo diventare anche noi una coppia famosa co­me Humphrey e Weidman? Sono anche alla ricerca di una soffitta a buon mercato dove in­stallare lo studio e poterlo subaffitare. Senza contare che molto probabilmente farò io i co­stumi per uno spettacolo a Broadway. Oscar, sai, è dentro a un nuovo gruppo di gente di teatro e lui dice che mi...

Jerry    [secco]  Nulla di questo accadrà. [Questa verità basta a toglierle il fiato per un istante].

Gittel [arrabbiata]  Penserò a qualcos'altro. Ma si può sapere perché t'intrometti?

Jerry    Vuoi saperlo?

GittelCerto!

Jerry    Perché mi sei simpatica e la vita è corta e se la sperperi come un marinaio in vacanza tanto vale che tu ne sperperi un briciolino con me. Forse non sono un buon affare perché oggi ci sono e domani potrei non esserci e preferirei non accollarmi la responsabilità di una pretta come te. Ho detto.

Gittel [guardandolo di traverso]  Cosa vuol dire pretta —  dritta?

Jerry    Ingenua. Minchiona.

Gittel  Poverino! A sedici anni vivevo già da sola, in una camera mobiliata a Greenwich Village — cosa credi, che sia nata ieri? Tutte scuse, tutte scuse, perché hai paura.

Jerry    [pausa. Sereno]  Ci vai a letto?

GittelCon chi?

Jerry    Mister America — Larry.

GittelLarry è un ballerino.

Jerry    Così mi hai detto.

GittelVoglio dire — siamo amici — sì ottimi amici —  ma... Dio mio, forse mi credi un tipo un po'... scentrato? [spalanca gli occhi]  tu lo sei?

Jerry    Cosa?

GittelUno di quelli.

Jerry    [pausa. Scuote la testa]  Ohi! Non esageriamo! [Posa il sigaro]  Nessuno nella tua vita — in questo momento?

GittelNessuno — Libera come una rondine, viva Dio!

Jerry    Libero come un verme. Un vermiciattolo per la rondinella — ottima dieta. Tienla a mente

[Le sue braccia aspettano Gittel e Gittel va verso di lui. Lui la bacia. Dapprima è un bacio moderato, ma quando Gittel coopera il bacio diventa appassionato e lungo. È Gittel che si scioglie per prima dalla stretta lasciando Jerry con le mani che gli tremano. Anch'essa è piut­tosto emozionata].

GittelSei affamato! Eri forse a dieta?

Jerry    Da un anno.

GittelDove sei stato, in prigione?

[Jerry la raggiunge e l'afferra con tale violenza che lei protesta. La bacia di nuovo, lei debolmente resiste, poi si arrende, corpo morto tra le sue braccia finché le loro bocche si staccano per respirare].

È inu­tile scaldarci troppo se non dobbiamo andarci in fondo — uh?

Jerry    Chi ha intenzione di non andarci in fondo. Uh!

GittelMangia un altro dolcetto e stai buono. Poi è meglio che tu te ne vada.

Jerry    Andarmene?!

GittelPer favore [Jerry la lascia andare. Un silenzio].

Jerry    È questo, secondo te, il passo falso che potreb­be farmi fare qualche passo avanti?

GittelNo — io...

Jerry    Andarmene dove? [Si volta molto seccato. Si trova  davanti  alla  radio.   Beffardo]    Alla   mia stanza senza una radio?

Gittel [debolmente]  Una radio costa diciannove dollari.

Jerry    Non è cara. È tutta la sera che mi stai pro­vocando. Per convincermi a comperare una ra­dio? [Con gesto seccato chiude la radio e si mette a camminare].

Gittel [sulla difensiva]  Ecco — è una mia regola fissa, irremovibile — mai a letto al primo incontro, mai — nemmeno con Rodolfo Valentino. E poi per chi mi prendi? Secondo: sei un donnaiolo di quelli! [Le aumenta l'indignazione]  Terzo: non sopporto la puzza di sigaro e, quarto: ti ho raccontato tutto di me, ed io cosa so di te? Un bel nulla e non vedo perché dovrei andare a letto con uno che non so nemmeno se...

[Jerry si volta verso di lei così di scatto che la fa am­mutolire].

Jerry    Perché sto affogando nel cemento armato qui!

GittelDove?

Jerry    Qui a New York. [Cammina su e già, bor­bottando quasi a se stesso]  Era un mese che non parlavo con anima viva — finché non ho telefonato a Oscar — e non siamo mai stati amici per la pelle — tutte le altre conoscenze si sono trasferite nel Connecticut o al Polo Nord.  Ho consumato un  paio  di scarpe nei musei e un paio di brache a vedere dei brutti film. Se ricomincio a vagare da solo sui ponti è la volta che mi butto giù. Se torno nella mia prigione, a ventun dollari il mese, coi secchi della spazzatura sui pianerottoli, una mattina mi trovano asfissiato col gas. [Si volta verso Gittel]  E non posso spendere diciannove dol­lari per una radio!

Gittel [pensando ai vicini]  Sssssst! Perché?

Jerry    [la voce è un sibilo]  Perché sono arrivato a New York con cinquecento dollari in tasca. In questo momento vivo con tre dollari e cinquanta al giorno.

Gittel [c. s.]  Stasera, con me, ne hai spesi sedici e cinquanta!

Jerry    [c. s.]  Mi sono dato alla pazza gioia.

GittelPer causa mia?

Jerry    No, mia. Oggi compio trentatré anni.

[Gittel resta senza parole. Jerry si porta il sigaro alla bocca e aggiunge con amarezza] 

Per questo mi sono comprato un sigaro da un dollaro.

GittelÈ il tuo compleanno?

Jerry    Scusa, mi è scappato. [Spegne il sigaro nel por­tacenere].

Gittel [allarmata]  Non lo sciupare! E il giorno del tuo compleanno devi farti il regalo da solo? Dio mio, perché non me l'hai detto?

Jerry    Perché, vorresti farmene uno tu?

GittelCerto!

Jerry    [prende il cappello dal manichino]  Non vado chiedendo regali a povere vagabonde scervellate. Ma non dire ad un uomo vattene dopo avergli fatto capire tutta la sera che può restare. Non è da signora. [Si avvia].

Gittel [punta]  Ma tu cosa credi di aver fatto finora? [Questa frase lo inchioda].

Jerry    Cosa?

Gittel  Chiedere l'elemosina, non hai fatto altro tutta la sera.

Jerry    Parli a me?

GittelA te. A te. Tutte quelle allusioni: al verde — infelice, le cimici...

Jerry    Infelici, le cimici?

GittelInfelice — virgola — cimici!

Jerry    Cosa stai inventando?

GittelPerfino un minuto fa. Se non vengo a letto con te ti troveranno asfissiato o affogato.

Jerry    [sorpreso]  Chi l'ha detto?

GittelTu. Coi secchi della spazzatura, no?

Jerry    Oh, smettila. Io...

GittelO giù dal ponte — no? Non è l'ultima cosa che hai detto?

Jerry    Ero... ero... [Si interrompe e la guarda meno incredulo]  Tutta oratoria elettorale. E lo chia­mi « tutta la sera »?

GittelLa prima cosa che hai detto è stato « aiutami » al telefono — sì o no?

Jerry    [la fissa, muto, poi tenta di nuovo, senza con­vinzione]  Ecco, veramente ho detto che non volevo quella parola. Io...

GittelAndiamo!   Hai chiesto aiuto  e  ho detto:   va bene.

[Jerry non riesce a toglierle gli occhi di dosso e non trova le parole] 

Non è un rimpro­vero — ne ho conosciuti di ogni sorta, caro mio — ma perché insultarmi? Non puoi avere tutto!

[Jerry continua a fissarla, ma qualcosa si è risvegliato in lui che lo fa allontanare da lei e lo porta verso il proscenio. Ha la mano sulla fronte, quasi sognasse. Gittel si allarma].

Ehi, ho detto qualcosa che ti ha ferito?

Jerry    [con sforzo]  Un po'. Stavo... [Scuote la testa, abbandonando un tentativo di ironia]  Stavo ri­cordando. Ricordando qualcosa di [è un ricordo lontano. Il tono della sua voce è ora semplice e vulnerabile]  tredici anni fa. Attraversavo la piazza dell'Università di Omaha con una meravigliosa fanciulla dai capelli color rame, figlia di un pezzo grosso di lì. Quell'estate ci vedem­mo molto io e lei. Le dissi che avrei dovuto interrompere gli studi, perché non avevo fa­miglia in grado di aiutarmi finanziariamente: il giorno dopo — il giorno del mio compleanno, il più fortunato della mia vita — vinsi la borsa di studio George Norris. Mi permise di conti­nuare l'Università e di finire gli studi. Divenni avvocato. Io e lei continuammo a vederci. [Tace e aspetta].

Gittel  È tutto qui?

Jerry    Sposai quella ragazza.

GittelSei sposato?

Jerry    Lo ero. Lei ha chiesto il divorzio.

Gittel [con compassione]  Oh. Anche tu... eh?

Jerry    Anch'io. Fu prima di sposarmi che venni a sapere che Luciano — suo padre — me l'aveva combinata lui la borsa di studio. Vuoi sapere la mia reazione?

GittelCosa?

Jerry    [apre le braccia, rassegnato]  Stetti zitto, accet­tai. Avevi ragione di dire... di dire di me quello che hai detto.

GittelCosa ho detto?

Jerry    Che chiedo l'elemosina. Non me ne  ero mai accorto, è così chiaro. [Scuote la testa, trova di nuovo il cappello e si avvia ancora una volta].

GittelE ora dove vai?

Jerry    Torno alla mia solitudine. [Mortificato]  Ecco che ricomincio!

GittelRimani! Dio mio, se ti secca tanto tornare là dentro il giorno della tua festa, rimani. Nel­l'altra stanza ho un lettino. Tu prendi questo. Un bel sonno e domattina ti sentirai un altro. Eh? [Jerry fissa lo sguardo dall'altra parte]  Vuoi rimanere?

Jerry    Rimanere?

GittelUn bel sonno e domattina ti sentirai un altro.

Jerry    Scacciando via te?

GittelNon mi scacci via, nel lettino di là ci sto dentro a misura. Voglio dire, tu hai le gambe lunghe...

Jerry    Sì.

[Gittel gli guarda le gambe con interesse. I loro occhi si incontrano ed è come se si incon­trassero per la prima volta. Qualcosa di più caldo passa tra di loro e diventano timidi di colpo] 

Tutte e due!

GittelSì. Ecco... io... non t'importa le mie lenzuola? [con uno strappo toglie il copriletto e prende uno dei cuscini, raccoglie le sue cose] Le ho messe pulite ieri e ho fatto il bagno.

Jerry    No. È molto gentile la tua ospitalità — un po' assurda — ma gentile.

GittelPerché « assurda »? Hai un letto pidocchioso, domani ci spruzzerai un po' di petrolio e sa­premo da dove provengono.

Jerry    [divertito]  Gittel. Sei una cara ragazza.

Gittel [impacciata]  Anche tu sei... una cara ragazza. Il gabinetto è là, dietro di te...

Jerry    ...ma  io  intendevo un'altra ospitalità1.

GittelE io intendevo un buon riposo. Vedrai, dopo un buon sonno...

Jerry    [insieme a Gittel] ...ti sentirai un altro domat­tina. Ne sono certo.

Gittel [d'accordo]  Allora va bene! [Scompare nella cu­cina con le braccia cariche della sua roba, spe­gnendo la luce].

Jerry    Gittel!...

Gittel [fuori]  Che c'è?

Jerry    Non posso scacciarti via.

GittelIl trasloco è fatto!

Jerry    [pausa]  È assurdo! [Nonostante ciò il letto at­trae il suo sguardo che poi distoglie]  Gittel!

[Gittel riappare sulla porta della cucina sempre con la roba in braccio] 

Dammi ragione. Sarebbe un atto di... di imperdonabile vigliaccheria re­stare dopo...

GittelIl giorno della tua festa?

[Esce di nuovo. Jerry, in piedi, medita per un lungo istante queste parole. Guarda il letto, la camera e sospira].

Jerry    Gittel. [Gittel appare di nuovo. Il tono di Jerry è umile]  Devo proprio restare?

GittelProprio non mi conosci! Ti fa piacere o non ti fa piacere restare?

Jerry    [pausa]  È un mese che non metto piede in un ambiente che odori di... di essere umano. Certo che mi fa piacere.

GittelE allora resta.

[Gittel gli prende di mano il cappello e lo lascia cadere sul letto. Gli dà un asciugamano e scompare di nuovo in cucina. Quando Jerry spiega l'asciugamano si vede un bel buco nel mezzo. Scuote il capo divertito, un po' mesto].

Jerry    Inverosimile!  

[Entra nella hall lasciando la por­ta aperta. Dopo un momento Gittel rientra dal­la cucina, sempre col suo carico di biancheria].

GittelSenti, Jerry...

[Vede la stanza vuota, si ferma, fissa il cappello sul letto, lo guarda combattuta. Poi scuote la testa e torna in cucina col suo carico. Sulla soglia si ferma, poi si volta e dà un'altra occhiata al cappello. Sospira e con aria di disgustata rassegnazione borbotta fra sé] 

Al diavolo! Felice compleanno!

[Riporta tutto do­v'era. La biancheria torna nel cassetto, la sveglia sul comodino, il cuscino accanto all'altro sul let­to, si sbottona e toglie la blusa e l'appende su una sedia, siede sul letto e si toglie i sandali. Si mette in piedi e si toglie la sottana e torna al cassetto in reggipetto e sottoveste alla vita. Prende la giacca di un pigiama e mentre fa que­sto sente Jerry nella hall. Sgattaiola via con in mano la giacca del pigiama, nel buio, oltre la cucina. Jerry ritorna, cammina per la stanza, nervoso, poi inciampa senza volere sui sandali di Gittel, li fissa. Poi gli occhi si posano sulla sottana per terra, poi sul cuscino accanto al suo e guarda verso la cucina: ha capito le intenzioni di Gittel. Prende tra le dita la blusa, se la porta al viso e respira di nuovo odore di donna. Se la strofina contro la guancia e sogna, corrugando la fronte, poi, uscendo dal sogno, con voce secca].

Jerry    No.

[Rimette la blusa sulla sedia, si volta, pren­de il cappello dal letto ed esce nella hall chiu­dendo la porta dietro di sé. Dopo un momento Gittel si affaccia dalla cucina, con indosso la giacca del pigiama ed in mano la biancheria che si è tolta di dosso. Vede che la stanza è ancora vuota ed entra. In fretta tira la cordicina della luce e spegne. Prepara le lenzuola ed ha già un ginocchio dentro quando si ricorda del cappello, e si gira verso il fondo del letto, allungando una mano per prenderlo. Il cappello non c'è più. Cerca, non capisce, poi si accorge che la porta di uscita è chiusa. Salta giù dal letto, guarda nel­la hall, nel gabinetto e giù dal pozzo delle scale. Due piani di sotto si sente il portone di strada che si chiude. Gittel riappare sulla soglia della porta di controluce; dopo un istante di perples­sità si dà una pacca sulla coscia, rassegnata].

Scena III.

Le due stanze. Molte ore più tardi. Le prime luci dell'alba illuminano le parti salienti dei mobili nelle due stanze. Gittel è a letto — dorme — con le lenzuola tirate su, fin sopra le orecchie. La stanza di Jerry è vuota, ma presto lo sen­tiamo che apre la porta; si affaccia dentro, posa gli occhi su un telegramma per terra. Si china a raccoglierlo. Entra nella stanza senza distogliere gli occhi dal telegramma. Ha i capelli in disordine, l'aria scarmigliata, la barba non fatta. È stanco per aver camminato tutta la notte, ma relativa­mente di buon umore. Va alla finestra col telegramma, ne strappa la busta, poi si ferma nell'atto di togliere il tele­gramma dalla busta. Lo rimette nella busta, lo appoggia sul lettino e accende una sigaretta. Gira un po' per la stanza, deliberatamente si ferma tra telegramma e telefono, poi di scatto siede per telefonare. Torma un numero e aspetta. Il telefono squilla da Gittel. Gittel si rivolta nel letto prima di svegliarsi completamente. Con la mano cerca il telefono a tastoni, finché lo trova e prende il ricevitore.

Gittel [con gli occhi chiusi]  Sì... pronto. [Jerry non sa come incominciare]  Pronto!

Jerry    [secco]  È per la ghiacciaia. Secondo me gliel'hai data troppo a buon mercato.

GittelEh?

Jerry    Se continui a regalare le cose — così, al primo venuto — il giorno del giudizio ti troverai sen­za ghiacciaia, moralmente parlando.

Gittel [saltando ritta nel letto]  Jerry! Ehi, stai bene? Ti ho chiamato due o tre volte, senza risposta.

Jerry    Ho provato un altro ponte. Queensboro domina una distesa d'acqua meravigliosa per... [Si ferma a tempo]  Stavo per dire — meravigliosa per scomparirci dentro. Scusa non lo farò più. Me ne sono andato, Gittel. Ho rinunciato.

GittelMe ne sono accorta.

Jerry    Cos'è che ti aveva fatto venir meno alla tua regola fissa, irremovibile?

GittelIl tuo cappello. Non ho potuto resistergli!

Jerry    Se lo sapevo te lo lasciavo: avevo creduto un'altra cosa.

GittelCioè?

Jerry    Carità. Il tuo guaio è di essere troppo altruista.

GittelEh??

Jerry    Il mio guaio è di essere capito da mia moglie. Oggi tu hai festeggiato il mio compleanno e la luce della festa ha illuminato il mio passato fino a raggiungere Omaha — Nevada.

GittelCome?

Jerry    Tess. Il suo nome è Tess. Mi torna alla me­moria di tanto in tanto. Anche lei mi soffo­cava di amorose premure. Ma allora ero io che le chiedevo, quindi la colpa non era tutta sua. Non avrei dovuto lavorare nell'ufficio di suo padre. Non avrei dovuto accettare che ci man­tenesse in un gran treno di vita. Ha avvelenato la fonte.

Gittel [non comprendendo]  La fonte?

Jerry    La fonte. Ha inquinato il pozzo con molto lusso, ma nessuna intimità1. Ero nato per fare il marito eroico, non importa di chi. Invece... Ne sta per sposare un altro... un mio collega, uno che... [Si interrompe]  Ma questo è un altro discorso. Quello che volevo dirti è questo, che fino a stasera — più di metà della mia esistenza trascorsa — non ho fatto che chiedere e accet­tare, e ieri sera, per la prima volta, ho avuto la forza di rinunciare. A te, Gittel.

GittelCredevo che mi... che non mi avessi ritenuta...

Jerry    Cioè?

GittelCredevo che mi... che non mi avessi ritenuta... [prende fiato]  voglio dire, ho creduto che tu ti fossi accorto che non ero... Hai capito?

Jerry    No.

Gittel  ...il tuo tipo!

Jerry    [pausa]  E mi hai telefonato lo stesso, due o tre volte?

Gittel [ha il suo orgoglio]  Due.

Jerry    Perché?

GittelEh... sparire in quel modo — sono stata tre­mendamente in pensiero.

Jerry    [il tono è gentile, pieno di affetto, per la prima volta fa attenzione a lei; i loro rapporti stanno pigliando una piega diversa] 

Gittel, voglio dirti due verità. Una, che sei una ragazza molto piacente; e l'altra, che non hai cura di te.

GittelCerto che ho cura di me!

Jerry    No. Se fosse così ti arrabbieresti di più.

GittelPer cosa?

Jerry    Per molte cose. Ora per esempio, perché non mi mandi all'inferno per averti svegliata a quest'ora?

GittelPerché? Che ore sono?

Jerry    Nemmeno le cinque. Ci vuole allenamento. Avanti, prova.

GittelProvo, cosa?

Jerry    A sdegnarti, a cacciare urli, a danni una strapazzata.

GittelEh?

Jerry    A mandarmi a quel paese!

GittelMa perché?

Jerry    È un'ora maledetta per telefonate a chicchessia. Chi mi credo di essere — svegliarti a que­st'ora — mio suocero, forse? Io ti manco di rispetto e tu sei livida dallo sdegno.

GittelScusa, perché urli come un dannato?

Jerry    [gentile]  Per il tuo bene!

GittelMa io odio le scenate, mi scombussolano. E poi sono contenta che tu abbia telefonato.

Jerry    Contenta?

Gittel [perdendo la pazienza]  Sei diventato sordo? Ero-in-pensiero-per-te!

Jerry    Così va meglio.

GittelMeglio!

Jerry    Ti manca solo un po' di allenamento. Prova di nuovo.

Gittel [con ira]  Chi è che si allena — tu o io? Mi prendi per scema — mi chiami alle cinque del mattino per allenarti i polmoni?

Jerry    [si diverte]  No, ti ho chiamata per chiederti di non dar via più nulla. Finché non ti rivedo.

GittelCome?

Jerry    Ti sto chiedendo se, se non vorresti  tentare di formare la metà di un paio.

Gittel [pausa]  Per favore — non daccapo!

Jerry    E non intendo carità.

GittelAllora cosa?

Jerry    Vorrei... aver cura di te, emorragie comprese. [Gittel fissa il telefono]  Me lo permetti? [Gittel scuote il capo, troppo incerta dei suoi senti­menti per sapere cosa rispondere. È commossa, ma ha anche voglia di ridere].

GittelSono — sono... Ma perché?

Jerry    Potrei esserti utile. Non sono un grande af­fare, lo so — gran parte di me è ancora in preda... a lotte intestine. Potrei raccontarti la mia storia se facessimo colazione insieme.

GittelDove?

Jerry     Qui. Verrai?

GittelBeh — alle otto e un quarto mi devono to­gliere un dente. Voglio dire, continuerò a spu­tar sangue per un po'. Non potremmo far niente.

Jerry    Verrai?

GittelCerto che verrò.

Jerry    [pausa. Affettuoso]  Ti aspetto. [Sta per posare il ricevitore,  ma gli viene in mente un'altra cosa]  Gittel!

GittelSì?

Jerry    Cosa si fa quando sanguina una gengiva?

Gittel [sempre altruista]  Ti devi cavare un dente an­che tu?

Jerry    Sei una macchietta. Parlo di te, sciocchina.

GittelAh! Si lascia che sanguini, perché? Poi smette da sola.

Jerry    Lo sapevo che quella ghiacciaia mi sarebbe ser­vita. Beh, terrò pronto del ghiaccio in cucina.

GittelPer farne che?

Jerry    Per la borsa di ghiaccio che andrò a comprare per il tuo dente.

Gittel [pausa. Divertita]  Cominci subito, Eh!

Jerry    Non un minuto da perdere. È la prima giornata del mio trentaquattresimo anno e mi sento come un'allodola al risveglio. Ora dormi.

[Met­te giù il ricevitore. Gittel resta seduta sul letto per un momento, poi anch'essa mette già il ricevitore e scuote la testa con una specie di stupore].

GittelChe mascalzone!...

[Quasi subito si alza e va in cucina, si versa del latte dal pentolino e torna a letto col bicchiere del latte. Jerry mette per terra il telefono e rimane sorridente finché gli occhi non si posano sul telegramma. Lo prende in mano, lo gira con le dita e finalmente si decide a toglierlo dalla busta. Lo legge due volte in silenzio. La terza volta lo legge ad alta voce a se stesso, senza manifestare emozione].

Jerry    « Ho telefonato per farti auguri tua festa fili­bustiere stop non estromettermi stop Dio as­sista entrambi stop ricorda che ti amo stop ti amo Tess ».

            [Si accorge che il telegramma gli trema fra le mani. Dopo un istante lo accar­toccia facendone una pallottola che lentamente lascia cadere dalla finestra dal vetro rotto. Tor­na a letto, si toglie i vestiti che mette sulla se­dia e si distende per finire la sigaretta. Ognuno è coi suoi pensieri, nella cruda luce dell'alba. Jerry fumando e Gittel sorseggiando il suo latte; unico rumore il suono in distanza, dei rintocchi dell'orologio di una chiesa che suona le cinque].


ATTO SECONDO

Scena I.

La stanza di Jerry. Ora è ottobre, pomeriggio, verso il cre­puscolo. La stanza di Gittel non è molto cambiata, col letto disfatto e i cuscini spiegazzati. La grande trasforma­zione l'ha subita la stanza di Jerry e con poca spesa. Ora è in ordine: accogliente, piacevole, con un copriletto, una lampada alla parete, tappetini qua e là, simpatiche tendine di stoffa pesante, scaffaletti per libri di legno lucido, tutti miglioramenti che portano l'impronta inconfondibile del rozzo gusto di Gittel. Accanto alla finestra un tavolo da bridge con due sedie è apparecchiato per pranzo. La radio di Gittel è su uno degli scaffali, accesa, e trasmette musica sinfonica della WNYC. La luce nella cucinetta è accesa ed ha ora un paralume. Gittel è in cucina e sta preparando il pranzo con un canovaccio messo a mo' di grembiule. Entra con una insalatiera piena di insalata, la mette sul tavolo e ascolta, concentrata, la musica. Poi lentamente fa due o tre movimenti sconnessi che dopo un attimo ci accorgiamo essere passi di danza moderna; poi, scontenta di sé, si interrompe, si gratta la testa, prova altri passi, rinuncia e torna in cucina. Apre il forno, guarda dentro e col mestolo bagna la pietanza. Chiude il forno. Torna nella stanza, riprova altri passi e nel mezzo di questi si ferma di colpo, ascolta verso la porta, poi in fretta accende due candele sulla tavola. Allora vediamo Jerry aprire la porta di casa.

Gittel [lo chiama, allegra]  Tesoro!

Jerry    Oilà!  [Si ferma,  tira su col naso sentendo il buon odorino che viene dal forno]  Mmm — che buon odorino!  Chi c'è lì dentro — il pollo?

GittelCon insalata verde e patate fritte.  Il vino è in ghiaccio.

Jerry    Vino!

[È sulla soglia della stanza; si appoggia alla parete e da là la guarda, ammirato, men­tre lei accende le candele. È vestito in com­pleto da città e cappello e ha sotto il braccio due o tre grossi testi di legge e in mano due o tre pacchi] 

Cos'è — un varo? Il mio?

GittelHo fatto un affare. Sessantanove cents la bot­tiglia. Forse stava invecchiando. [Si avvicina a Jerry per dargli un bacio e lui, divertito, la prende tra le braccia]  Cosa c'è da ridere?

Jerry    Sei così buffa! [Guarda la finestra oltre la spalla di lei]  Mi hai messo su le tendine!

GittelCerto. Credi che sia venuta qui solo per ve­dere te?

Jerry    Molto accogliente. In due settimane l'hai fatta diventare una casa modello. Gittel, sei mi­gliore  del  vino,  invecchiando  migliori.

GittelCos'hai lì?

Jerry    C'è tutto.  Non dir quattro finché...

GittelIn quel pacco!

Jerry    Ferma. Non ti muovere!

GittelEhm? [Allarmata].

Jerry    Attenzione. Un passo indietro.

GittelPerché?

Jerry    [serio]  Perché è tutto il pomeriggio che guardo libri e preferisco guardare te. Ti ho preso il filo per la Singer. [Le dondola uno dei sacchetti all'orecchio].

GittelOh! Grazie! Frank Taubman l'hai veduto?

Jerry    Certo. Il dessert. [Dondola un altro sacchetto] Budino di soia. Senza sale, senza uova, senza burro, senza sapore.

GittelBeh, cosa ti ha detto?

Jerry    Dopo. È un quarto di luna. Da me a te. [De­posita il terzo sacchetto nelle mani di lei]. Gittel Un regalo?

Jerry    Un quarto di luna.

[Gittel, vicina alla candela, disfa il pacchetto  mentre Jerry si libera dei libri, del cappello e si toglie la giacca].

GittelSono impaziente di sapere cosa c'è dentro. Co­sa c'è dentro?

Jerry    [serio]  Le cose andarono così: « Lei aprì tutta ansiosa la scatola che l'amante le aveva portato in regalo perché sperava di trovarla piena di dolci; invece, al posto dei dolci, trovò il famoso diamante che egli stesso aveva rubato all'occhio dell'idolo. A questa vista lei cacciò un grido e... »1.

Gittel [non  comprendendo,  lo  prende in  mano]   Un pezzo di sapone?

Jerry    [avvicinandosi a lei]  Devi immaginare che sia il famoso diamante tolto dall'occhio...

GittelPerché puzzo?

Jerry    Ottima idea, investighiamo! [Affonda il naso nei capelli di lei, le braccia intorno alla sua vita].

GittelChe razza di regalo è un pezzo di sapone? Ho forse bisogno di un bagno?

Jerry    Che razza di regalo è un... Hai guardato la scatola?

GittelNo.

Jerry    Leggi.

Gittel [alla luce delle candele]  Chanel numer...

Jerry« Chanel numero cinque, signorina, usate Cha­nel numero cinque e sposerete un principe... ». Signorina, voi avete tra le mani bolle di sapone per il valore di due dollari e cinquanta.

Gittel [sbalordita]  Due dollari  e... per un pezzo  di sapone!

Jerry    E guai a te se ci fai il bagno. Lo mangeremo, a fettine, invece del budino di soya.

GittelLo sai che a volte penso che il più matto sia tu!  Due dollari e cinquanta. Dovremo digiu­nare!

Jerry    Macché  digiunare!   Sarà  un  banchetto. Come va il pancino?

GittelBene:   ho  preso  una  compressa ed è  andato via.

Jerry    Non del tutto. Eccone lì un po'.

Gittel  Un po' di cosa?

Jerry    Di pancino.

GittelSono troppo grassa?

Jerry    Per carità!

GittelTroppo magra?

Jerry    Perfetta — una nave armoniosa sulle onde a vele spiegate.

GittelAh. Troppo sexi! Per questo mi comperi il sapone.

Jerry    Gonfie le vele, leggiadra la prora, ondeggiante la poppa, piccante giù nella stiva. Che ne dici?

GittelBellissimo. [Si sono baciati.  Ora Gittel butta all'indietro la testa]  Troppo sexi?

Jerry    Mm?

GittelVoglio dire — troppo sensuale?

Jerry    Sei un po' di tutto. La poppa, osservata con calma è su...perlativa. [Ride].

GittelPovera nave, andrà a fondo! [Lo bacia di nuo­vo;  quando  alzano il capo Gittel si svincola dalla stretta]  Ad ogni modo, tra un po' rice­verai una telefonata. Interurbana.

Jerry    Da chi?

Gittel [con  tono  leggero]   Tua   moglie.   [Respira  nel sapone]  È il suo profumo, Jerry?

Jerry    [pausa]   No.  Di  rado le  facevo regali.  Aveva sempre di tutto.

GittelAllora.  [Porta il  sapone  in  cucina  e attende al forno.  Jerry resta solo,  immobile,  per un lungo  istante, poi con aria indifferente].

Jerry    A che ora ha chiamato?

Gittel [sulla soglia]  Quando sono rientrata. Ha detto che richiamerà alle otto.

[Jerry guarda l'ora del suo orologio a polso, fissa con lo sguardo il telefono, libera il tavolo dalle cartacce, dà una altra occhiata, va alla finestra e guarda fuori. Gittel torna col piatto del pollo e il piatto delle patate. È allegra e loquace] 

Ne deve avere dei soldi da buttar via, eh? Voglio dire, due interurbane in un giorno. Lo sai che io ne ho fatta una sola in vita mia? [È alla tavola e serve le porzioni]  A Tallahassee; in Florida, subito dopo sposati. Willy lavorava là. Cioè, mi disse che là aveva un lavoro. Ma quando scoprii che il suo lavoro era una bella biondona — una sua ex-fiamma — no, non mi venne un colpo apoplettico, gli telefonai!

Jerry    Preferirei non risponderle. [Gittel continua a servire, ma aggrotta la fronte]  Gittel.

GittelAllora non le rispondere. Ma, quando dovetti pagare il conto, allora sì che mi venne un colpo apoplettico!

Jerry    Non risponderò. [Accende la radio].

GittelCome  preferisci.   Vuoi  andare  a   prendere  il vino?

Jerry     Con piacere, madame. [Jerry va in cucina, aprendo la radio]  Berremo al calice della vita fino alla feccia. Tutti i sessantanove cents. Ab­biamo a cosa brindare. Ho avuto una lunga seduta oggi con Frank...

[Gittel guarda fisso il telefono, poi chiude la radio; l'umore nella stanza cambia e il telefono ora comincia ad amareggiare quanto fanno o dicono. Jerry torna  con la bottiglia e il cavatappi]   Cosa  c'è, tesoro?

Gittel [siede]  Non è morto nessuno.

Jerry    Perché ho detto che  non  voglio rispondere?

GittelNon-ho-niente.

Jerry    È un passato morto e sepolto [stappa la bot­tiglia]  due metri sotto terra — la cassa saldata — il funerale pagato — non voglio riaprirla. [Con tono allegro]  Parliamo di argomenti pia­cevoli. Come vanno i preparativi per il saggio?

GittelLo chiami un argomento piacevole? Sono tor­nata a vedere la soffitta, quel porco vuole un contratto di due anni e non scende neanche di un centesimo. Voglio dire — i soldi non li fabbrico... Certo, è uno splendido locale, ma per un Rockefeller.

Jerry    Non hai bisogno di Rockefeller. Hai qua la Banca d'America.

GittelDove?

Jerry    [battendosi la fronte]  Oggi ho avuto una lunga seduta con Frank Taubman.

GittelCosa ti ha detto? [I suoi occhi sono sempre sul telefono].

Jerry    Che se non sono iscritto all'albo di New York può offrirmi soltanto delle cause da preparare.

GittelOh!

Jerry    Domattina vengo con te e gli diamo due mesi di pigione a quel bastardo.

GittelCon che soldi?

Jerry    Ho accettato. Mi paga tanto per causa, farò i soldi a palate.

GittelPrenderò  la  soffitta  quando   « io »   avrò   trovato  un  impiego.  [Guarda  di  nuovo  il  telefono. Questa volta Jerry se ne accorge].

Jerry    [pausa]  Tace.

GittelUhm?

Jerry    Il telefono.

GittelSì.  Ho  sentito che da Schrafft  aumentano il personale. Andrò a sentire domani.

Jerry    Schrafft? Per servire a tavola?

Gittel  O il  posto  che  avranno  disponibile!  L'anno scorso ero al reparto pasticceria. Aumentai di tre chili!  Che dolci!

Jerry    Vuoi farmi un grande favore? Lasciare che ti faccia un piccolo tavore.

Gittel              Certo. Cosa?

Jerry    Vorrei  installarti  nella  soffitta invece  che da Schrafft. Lo sai quanto posso fare preparando le cause? Cento alla settimana!  I dolci te li comprerò io, è assurdo che tu lavori da Schrafft.

GittelCos'hai contro Schrafft?

Jerry    [si siede, si diverte]  È un ristorante. Ho paura che ti mangino. Niente Schrafft. Chiuso. [Si rimettono a mangiare] Lo sai che questo pollo è sublime? Cos'è che gli dà sapore di gin?

GittelIl gin.

Jerry    Sublime. Sai cucinare, cucire, sai... [Si accorge delle palate fritte]  Perché patate fritte?

GittelTi piacciono!

Jerry    Dopo che sei stata su tutta la notte col mal di stomaco!

Gittel [indignata]   Hai detto che era il tuo piatto preferito!

Jerry    [con soavità]  Preferito un piatto che ti fa dei buchi nelle pareti dello stomaco? La parete del tuo stomaco è la mia preferita. Quante ne hai mangiate?

GittelTre.

Jerry    [si alza]  Tre di troppo.

Gittel  Mi piacciono!

Jerry    [esita]   Quattro e basta. 

[Con  le mani  gliele porta  via dal piatto,  poi gliene rimette una, lasciandola cadere dall'alto e porta il recipiente in cucina].

GittelNo!... [Ma protesta debolmente e si contenta di rubarne alcune dal piatto di Jerry e di cacciarsele in  bocca].  

Jerry    [torna con due o tre fette di pane]  Invece! Hai bisogno di amido per assorbire gli acidi, tesoro. Mi sono letto l'intera pato­logia delle ulcere e i tuoi acidi, non hai la più pallida idea di come trattarli. In termine medico noi la tua ulcera la chiamiamo ulcera da iperacidità. Limitiamoci a mangiare le cose che puoi mangiare tu, intesi?

Gittel [a bocca piena]  Certo!

[Jerry sta per risedersi, consulta l'orologio a polso;  arriccia la fronte e guarda il telefono. Poi si siede e si accorge che Gittel lo sta guardando] 

Tace.

Jerry    Mmm?

GittelIl telefono.

Jerry    E tacerà.  Sai che ho dimenticato il suono della sua voce? Che voce aveva?

Gittel [seria]  Cosa vuol dire — che voce?

Jerry    [con aria distratta]  Che suono aveva.

GittelOh — un bel suono — bellissimo!  Se vuoi sentire il suono della sua voce, parlale. Di cosa hai paura?

Jerry    [posa la forchetta e la guarda a lungo, serio]  Vuoi proprio che risponda?

Gittel  Chi — io?

Jerry    Perché?

GittelPerché no?

Jerry    Perché mi trovo in stato di grazia in questa valle dell'Eden — io, te e il pollo arrosto. Adamo ed Eva, e lo sai cos'è la telefonata in­terurbana da mille e duecento miglia? Il ser­pente. Non dobbiamo lasciarlo entrare. È già stato abbastanza faticoso liberarsi dalle cimici.

Gittel  La odii tanto?

Jerry    Non la odio. Cambiamo discorso. [Continuano a mangiare] Domani vengo con te per l'attico. Gli diremo che sono il tuo avvocato e che mi occupo esclusivamente dei tuoi affari. Porterò anche la mia borsa da avvocato, lascia fare a me.

GittelChe razza di pane è?

Jerry    Pane per convalescenti. Convalescenti come te.

GittelMisericordia! Sembra un pezzo di sughero!

Jerry    [si appoggia alla spalliera della sedia e si diverte]  Sei una cimicetta. Sei la mia cimicetta da qualsiasi parte ti guardi. Cosa ho fatto mai per abituarmi a te? Dunque, se sei una ballerina è ora che tu cominci a far qualcosa, i giorni passano...

Gittel [con veemenza]  Certo che sono una ballerina, c'è da impazzire! Tutti diventano famosi meno io, io continuo solo a  pagare le fatture  per le riparazioni della macchina da cucire.

Jerry    Benissimo, ti darò una  mano per la soffitta! Tu ti allenerai per il saggio ed io me ne andrò a lavorare alle mie cause.

GittelDi cosa si tratta?

Jerry    Ricerche di procedura legale. [Gittel non ca­pisce e Jerry spiega meglio]  Ecco: quando un tizio fa una causa ad un altro tizio il tribunale non può decidere quale dei due tizi ha ra­gione se prima non sa come se la cavarono, in circostanze eguali, in altro tribunale, altri due tizi, nel 1888, per esempio.

GittelÈ un lavoro divertente?

Jerry    No, a meno che uno non ci sia tagliato. Mo non sarà per tutta la vita. Se dessi gli esami potrei anche discutere le cause.

GittelPerché non li dai?

Jerry    [sorride]  Ho paura.

GittelMa va! Li lasceresti tutti a bocca aperta.

Jerry    [divertito]  Cosa te lo fa credere?

Gittel [serena]  Ho le mie convinzioni.

Jerry    Ogni Stato ha le sue leggi. Dello Stato di New York conosco a mala pena il codice stradale!

GittelNon importa, puoi studiare!

Jerry    [secco]  Un po' vecchiotto per la scuola.

GittelLo si legge tutti i giorni sul giornale! Nonne settantenni con undici nipotini che si iscri­vono  all'Università!...

Jerry    Ho forse la faccia di nonna? Non vecchio a questo punto, ma... ho già esercitato... [Si in­terrompe e si butta indietro con la testa e la contempla, poi]  Sei un fenomeno!

GittelPerché?

Jerry    Si era d'accordo che io avrei dato una mano a te e cosa succede? Sei tu che mi spedisci all'Università.

GittelNon ho bisogno di nessuna mano io, mi ar­rangio da sola. [Questo a Jerry non garba. Dopo un po' abbassa la testa nel piatto]  Prima o poi dovrai  prenderla  una  laurea,  qui,  no?

Jerry    No.

GittelCome finirai se no, qui a New York da vec­chio?

Jerry    Non mi seppellire anzi tempo. Non mi piace guardare tanto in là.

[Gittel se ne dispiace e dopo un istante abbassa la testa sul piatto. Mangiano. Poi Gittel salta su in piedi. Marcia in cucina e torna col recipiente delle patate e se ne mette una manciata nel piatto].

GittelSei qui in vacanza, per caso? [Si siede]..

Jerry    [allunga la mano, le prende dal piatto le patate che si è servita, le rimette nel recipiente e lo porta in cucina; poi ritorna]  Non necessariamente... Però potrei morire... al­trove. Sarebbe un delitto aver studiato tanto per esercitare a New York per poi finire in un altro Stato. [Si siede].

[Gittel si alza per mar­ciare di nuovo in cucina. Jerry l'afferra per un polso e se la prende sulle ginocchio] 

Gittel senti...

[Allunga un braccio e prende uno dei grossi volumi sul letto e lo apre appoggiandolo in grembo a Gittel. Gittel guarda il volume di traverso. Jerry le parla con tono dolce e pacato] 

Questo l'ha scritto Clevenger, il gran­de giurista. Queste sono le norme di proce­dura per le cause civili nello Stato di New York. Non so un'acca di quanto c'è in questo... libricino, e meno che meno di quanto c'è in tutta la biblioteca legale. Dare questi esami significa stare due giorni sotto il torchio degli esaminatori, con il rischio di uscirne scoten­nato vivo. Vuoi che...

GittelLo sai, Jerry, ciò che possiedi a bizzeffe? Man­canza di fiducia in te stesso!

Jerry    È vero.

GittelPerbacco, eri  così famoso come avvocato nel Nevada. Non  vedo la differenza.

Jerry    Nebraska, tesoro. [La bacia sul collo].

GittelNebraska. Non vedo la differenza.

Jerry    Circa  duemila  chilometri. Lo sai che sai di buono anche senza il sapone Chanel?

Gittel [schermendosi]  Mi fai venire la pelle d'oca! Jerry, parlo seria... [Jerry le prende il viso e la bacia. Gittel dopo un po' prende fiato] ...mente!  Com'è che laggiù eri cosi famoso se ora qui...

Jerry    [le bacia la gola]  Ero un campione.

Gittel [lo fissa]  Di cosa?

Jerry    [le bacia il mento]  Di golf.

GittelÈ questo che ti ha reso famoso?

Jerry    In quell'ambiente di snob. [Le bacia la bocca; questa volta si risveglia con gli occhi chiusi; respira, si arrende].

GittelMascalzone!   [gli  prende  le  orecchie  e lo   bacia  con  passione;   il  volume,   mentre  il bacio  continua,  scivola a  terra  senza  che  se ne  accorgano.   Ora  il  telefono  squilla.   Gittel alza la testa,  ma presto Jerry gliela  tira giù con la mano. Al secondo squillo Gittel tira su di  nuovo la testa e guarda corrucciata il te­lefono]. Il telefono!

Jerry    Non voglio intrusi. [L'attira a sé nuovamente. Il  telefono torna a squillare].

GittelNon posso!  

[Jerry scosta Gittel che si trova in piedi, si alza a sua volta, va al telefono e stacca il ricevitore lasciandolo penzolare. Poi torna al suo posto].

Jerry    Meglio così?

GittelLasciami!!... [e corre rapida al ricevitore, qua­si in atto di sfida]  pronto!...

Jerry    [arrabbiato]  Mettilo giù!

GittelMa perché non chiamare prima...

[Jerry si av­vicina in un baleno e le strappa il ricevitore di mano, pronto a sbatterlo giù].    

È Larry!

[Jerry la fissa, si mette il ricevitore all'orec­chio, ascolta, si convince che è davvero Lar­ry e passa il ricevitore a Gittel allontanan­dosi] 

Pronto?... No, credevamo che fosse... il padrone di casa... e cosa ha risposto quello strozzino? Quanto?

[Jerry immobile guarda fuori dalla finestra. È già notte. Gittel lo guar­da mentre telefona]   

Ascolta — ora non posso. No. Proveremo un altro posto. Ora non ho tempo, sono nel mezzo del mio pranzo, Larry, ti richiamo più tardi... No, no, l'attico è caro, non ce la faccio, parleremo di tutto.

[Mette giù il ricevitore e resta davanti al telefono. Jerry lascia la finestra, va alla tavola e beve tutto d'un fiato il vino del bicchiere. Poi posa il bicchiere e resta un momento in silenzio. Gittel non gli toglie gli occhi di dosso].

Jerry    [brusco] Scusa se ho alzato la voce.

GittelCosa ti ha fatto quella carogna?

Jerry    [voltandosi] Carogna? [Pausa. Poi cupo] Mi ha sposato, mi ha aiutato a finire gli studi, mi è stata vicina nei momenti difficili, mi ha vo­luto bene come nessuno mi ha mai voluto be­ne, non è mai stata una carogna. Ti proibisco di chiamarla così.

Gittel [provocata]  Perché te ne sei andato se era così cara?

Jerry    Me ne sono andato perché non sopportavo di vivere nella stessa città assieme a lei e il suo fidanzato!

GittelAllora sei scappato.

Jerry    Se voler ricominciare da zero tu lo chiami scap­pare... sì, sono scappato.

GittelNon correre più,  fermati, perché sei arrivato all'Oceano.

Jerry    Nessuno corre.

GittelStai ancora correndo. Perché non vuoi rispon­derle al telefono?

Jerry    [si volta verso di lei]  Chiedimi di farlo, ma non per me. Se è un piacere che mi chiedi forse te lo faccio. Vuoi che risponda?

GittelÈ tua moglie.

Jerry    Vuoi che risponda?

GittelÈ il tuo telefono.

Jerry    Vuoi? Sì o no?

GittelNo.

Jerry    Cosa è che vuoi da me?

GittelNiente! [Accende una sigaretta e aspira. Jerry passando gliela toglie dalla bocca e Gittel, seccatissima, ne scuote un'altra fuori dal pacchet­to mentre Jerry spegne nel portacene la pre­cedente].

Jerry    Perché fumi? Lo sai che per il tuo stomaco è veleno?

GittelAl mio stomaco ci penso io. Sono quasi trenta anni che viviamo insieme io e lui. Ci inten­diamo! [Gittel accende un fiammifero per la nuova sigaretta. Ma Jerry si volta e la osserva impassibile, poi scoppia].

Jerry    Non fare sempre la donna forte!

GittelCosa?

Jerry    Mi sono stufato, sono un idiota a preoccu­parmi di te e del tuo stomaco debole! Debole? Sei forte come un cavallo!

GittelUno dei due è meglio che lo sia! [Jerry la fissa cupo, ma poi parla pacato senza rispar­miarla].

Jerry    E uno dei due è meglio che non lo sia! Mac­ché cavartela! Inganni te stessa e basta. Così, al momento, da un lavoro all'altro, da un uomo all'altro forse sì, credi di cavartela. Ma niente dura —  tutti  taglian  la corda e  finiscono  a Tallahassee.  Per caso  glielo  pagasti  tu  il  bi­glietto del  treno per Tallahassee?  [La sua  è una domanda scherzosa, ma la bocca aperta di Gittel  è  la  risposta]   Dio  onnipotente,  glielo ha pagato!   Tu  paghi e loro  fanno ressa per un viaggio gratis. E non lo sai mai perché la festa finisce, vero? Ebbene, te lo dico io per­ché.  Finisce quando l'uomo fa per darti una mano e tu ci metti dentro un'elemosina. Per­ché non ci sputi su? Ecco perché ti sfruttano e ti piantano. Con quanti uomini sei andata a letto finora, venticinque? [Aspetta]  Cinquanta? [Gittel lo fissa e  tace.  Lui prosegue, inesora­bile]   Cinquecento?  La cuccagna è finita,  mia cara, non hai più vent'anni, sei sull'orlo della disperazione e ti trovi sola. E tutti se ne fre­gano, eccetto io. Non sputare sulla mia mano, Gittel — perché hai bisogno di me, anche se non lo sai. Prova — prova una volta a chie­dere  qualcosa  ad  un  uomo  —  potrebbe  la­sciarti a bocca aperta.  [Aspetta.  Gittel conti­nua a tacere ed a fissarlo pallida. La voce di Jerry è dura]  Capisci quel che voglio dire?

Gittel [scossa]  Certo.  [Poi reagisce,  saltando da un sentimento all'altro]  Sei formidabile... come av­vocato! Di che cosa hai paura?

Jerry    Non hai capito un'acca di quanto ti ho...

GittelCerto che ho capito e se fossi la giuria mi con­dannerei a cinque anni. Dico sul serio. [Si alza e vuole rifugiarsi in cucina, ma  Jerry l'afferra tempestivamente per i polsi].

Jerry    Anch'io dico sul serio!

GittelCosa vuoi da me — lasciami  andate...

Jerry    Ho bisogno di qualcuno!

GittelJerry, lasciami andare, mi fai male!

Jerry    Ho bisogno di te!

GittelPer farne cosa!  Lasciami o grido!

Jerry    Prova. Andiamo, Gittel...

GittelAiuuuuto!

[Jerry la lascia andare e Gittel tra­ballando si allontana con le lagrime agli occhi ed esaminandosi i polsi].

Jerry    Sei impazzita, farai accorrere gente!

GittelNon aver paura, questa è New York. [Ma la voce le trema mentre mostra il braccio]  Guar­da! Sarò tutta un livido, mostro che non sei altro! Dovrei scappare e mettermi in salvo pri­ma che tu mi picchi!

Jerry    Picchiare? È questo che ti aspetti dai tuoi spa­simanti?

GittelMi aspetto di peggio! Quando si tratta di uomini mi aspetto sempre il peggio! [Lotta con le lagrime]  Perché non rispondi al tele­fono se sei così maledettamente forte?

Jerry    Vuoi che risponda?

GittelCome faccio a saperlo. Non so più a che gioco giochiamo, non so più dove sono...

Jerry    [inesorabile]  Vuoi che risponda?

GittelMi troverò anch'io un lavoro. È forse un de­litto se non voglio che... [Le lagrime arrivano finalmente, cerca di celare i singhiozzi voltan­dosi, ma non vi riesce].

Jerry    Gittel, non avrei dovuto parlarti così...

Gittel [voltandosi  verso  di lui  impetuosamente]   Va bene, va bene, posso disperarmi ed urlare, tan­to nessuno mi viene in aiuto...  Su chi posso contare se non su di me?

Jerry    Su di me Gittel.

[Il telefono squilla. Solo Jerry si volta a guardarlo, impassibile. Gittel si domina  e aspetta la decisione di Jerry. Il telefono squilla di nuovo e finalmente Gittel parla].

GittelSu di te! Se mi appoggio a te casco, chissà dove, in Nevada. [Si avvicina alla tavola per spegnere la sigaretta, ma Jerry è svelto a fer­marle la mano e a prendere la sigaretta. Poi con la sigaretta va al telefono e alza il rice­vitore].

Jerry    Pronto... sì, sono io...

[Pausa, aspetta di es­sere in linea. Gittel è in piedi, Jerry aspira a fondo una boccata di fumo che sembra dargli conforto, quando sente la voce in linea alza la testa]  Pronto, Tess... [La voce è deliberatamen­te casuale] 

Le altre volte non mi andava di par­larti. Questa volta lo faccio dietro speciale ri­chiesta... cos'hai detto, intuito femminile... Sì sì... è...

[Ora Gittel si muove silenziosa sparec­chiando e porta in cucina una pila di piatti] 

Si chiama Gittel... Se mi piace? Certo che mi pia­ce... non intendevo rimaner celibe tutta la vita, per te a cosa avrebbe giovato? Non ha giovato a me un anno di celibato in casa tua. [Sardo­nico]  Sarò felice di essere il tuo avvocato nella causa di divorzio se tuo padre però accetta di essere il mio... Anch'io ho bisogno di un buon avvocato per sbancare tuo padre... [Più irrita­bile]  Oh che se li tenga stretti nella cassaforte; se ho bisogno di soldi me li posso guadagnare da me... ho un lavoro, l'ho accettato oggi. Ho una donna, una casa, un lavoro, cosa si vuole di più? Sono all'inizio di... non ho nessuna in­tenzione di oppormi al divorzio. Di' a tuo pa­dre che può iniziare la causa quando vuole, io comparirò anche senza essere citato... più presto fa, meglio è... non ci tengo ad andare d'ac­cordo col tuo fidanzato, siete voi due quelli che dovete andare d'accordo... [Poi a denti stretti] Tess,  non puoi dare una coltellata e sperare che uno sorrida...  [Osservandolo, con la siga­retta, ci accorgiamo quanto gli costerà questa conversazione: si domina, poi esausto]  Tess, mi chiami attraverso mezzo continente per parlar­mi dei nostri mobili?... se la casa è popolata di fantasmi bruciala, divideremo il premio del­l'assicurazione a metà...

[Gittel entra per finire di sparecchiare. Jerry parla molto scosso] 

Non sono senza cuore, ma voglio essere lasciato in pace! Hai fatto tu la scelta, no? Allora escimi dalla pelle per Dio!

[Gittel a queste parole si irrigidisce.  Jerry chiude gli  occhi dalla soffe­renza] 

Tess... aspetta... noo... per favore, per...

[Ma Tess ha tolto la comunicazione. Jerry guar­da il ricevitore e lentamente lo rimette a posto. È in un bagno di sudore e lacrime improvvise gli riempiono gli occhi. Quando dà una lunga boccata alla sigaretta la mano gli trema.  Non guarda Gittel. Gittel con le dita spegne la can­dela.  La stanza piomba nell'oscurità ad ecce­zione della luce che viene dalla cucina. Senza proferire verbo Gittel giace sul letto prona, im­mobile].

Gittel!

[Gittel non risponde. Jerry le va accanto, le mette una mano sui capelli. Gittel si scosta] 

Gittel, io...

Gittel [di scatto]  Non è quello che tu credi.

Jerry    Cos'è che credo?

GittelLarry dice che l'Associazione vuole seicento­venticinque dollari per una sola sera, per il locale dove si pensava di dare il saggio. Se non riesco a racimolare nemmeno sessantacin­que al mese per la maledetta soffitta! [Altro silenzio].

Jerry    [tremando]  Non è vero. Vediamo il serpente.

[Jerry tira il filo della luce a muro e una luce fredda invade la stanza. Jerry è in piedi, da­vanti a lei, malfermo]  Gittel, guardami — vol­tati... per favore.

[Gittel non si muove]  Vol­tati!

[Gittel rotola mezzo giro e lo guarda con occhi di bragia]  Non fingere! Ti ho fatto male. Fammi vedere se ti ho fatto male...

GittelCosa... Cosa?

Jerry    Ho bisogno di te, Gittel.

GittelPer cosa?

Jerry    Dammi una ragione di vivere! Come ne esco fuori?... Come trovare un punto di appog­gio?... Per chi lavorare? Cosa costruire? E dentro tremo. Gittel, cerca di avere bisogno di me, sono al limite non fosse altro che per quella  maledetta  soffitta.

Gittel [lo guarda a lungo, poi parla con voce tenera, quasi inudibile]  Certo che mi hai fatto male. È una cosa che a me tu non dirai mai.

Jerry    Cosa?

GittelDi uscirti dalla pelle.

Jerry    [pausa]  Non chiedere troppo. Incontrami a me­tà strada.

Gittel [dopo un po' sorride, amara]  Nella soffitta, vuoi dire? Va bene. Va, spegni quella luce della malora. [Jerry spegne]  Vieni più vicino — patatina fritta.

[Egli le si avvicina. Gittel lo afferra per il collo, lo tira a sé e giacciono così, nel letto di rose e di spine, nelle braccia uno dell'altro].

Scena II.

Le due stanze. Parecchie settimane dopo. È mezzogiorno. Una fredda giornata di dicembre. In ambedue le stanze la stufa è accesa. In quella di Gittel la stufetta è a gas, fis­sata alla parete, in quella di Jerry la stufa è a petrolio, nel mezzo della stanza.

La stanza di Gittel è vuota, la porta socchiusa. Jerry è nella sua stanza, disteso sul letto. Una confusione di carte legali e gambe, in posizione disordinata. Il rice­vitore è appoggiato alla spalla, ed è nel mezzo di una conversazione.

Jerry    Sì... ecco, questo fu l'esito del processo tra McCuller e la società di trasporti. Se il recla­mante, non il consegnatario, prende possesso... Esattamente! Ricorsero in appello e la situa­zione si capovolse. Nel nostro caso... ecco, la cosa non si presenta affatto rosea per i credi­tori, signor Taubman, temo che non abbiamo la minima probabilità di recuperare un centesi­mo... Secondo me, signor Taubman... Come?... Va bene Frank, grazie — come volete — come vuoi tu. Secondo me, Frank, non credo che ci convenga di discutere una transazione... Non si corre nessun rischio... Forse molti avvocati esaminerebbero la questione da un punto di vista completamente nuovo... Per carità, grazie a te... No, la sorpresa è vedermi trattato come un luminare del Foro... Lo so cosa prova — prova che persino un luminare lontano da casa sua diventa un ignorante qualsiasi...

[Il telefo­no suona da Gittel]

Frank, questi esami per me sono più necessari dell'aria che respiro... Per cosa?... Ma perché dovrebbero iscrivermi nell'albo soltanto perché lo chiedo?... Sì, la cono­sco bene la procedura — tu ti rendi garante per me e io gli snocciolo un sacco di documenti che potrei ottenere nel Nebraska... Perché no, se questo mi evita di dover dare gli esami?... Ma perché dovresti farti garante tu per me?... Ah! In esclusiva per te, capisco. Quanto mi paghe­resti? Di' una cifra... 6500 biglietti da due dol­lari l'uno?... È poco, signor... è poco, Frank. Se mi vuoi in esclusiva ne valgo almeno 7500, ma per inchiodarmi ce ne vogliono 8000, perciò dovrei cominciare col chiederne 9000 per...

[Il telefono squilla di nuovo da Gittel]

Dico sul serio, è mio interesse lasciarmi in­chiodare... ma non alla croce, da questi esami. Se tu ti fai garante per me io mi occupo subito per avere al più presto tutti i documenti che potrò racimolare a Omaha...

[Intanto Gittel arriva correndo dalla hall per rispondere; indossa una vestaglia qualunque e vediamo che si è fatta due baffi bianchi con la pasta all'acqua ossigenata, e una barbetta da ca­pra. Ha l'aria distratta].

GittelSì, pronto?... Oh, Sofia, ciao...

Jerry    [guardando l'ora all'orologio da polso] ...sì,posso prendere un taxi e...

Gittel  ...meno male che hai telefonato! Quanto tem­po devo tenerla su questa roba? Sembro un colonnello dai lancieri.

Jerry    ...no, l'incartamento del processo Wharton te lo avrei portato lì in tutti i modi, dopo co­lazione...

Gittel  ...dà un prurito...

Jerry    ...sta bene,  al bar dell'hotel  St.   Regis,  alle...

Gittel  ...quale vecchio amico?... Sam?

Jerry    D'accordo, a tra poco. [Mette giù il ricevitore, lo riprende in mano, guarda l'orologio e forma un numero].

GittelGli hai raccontato che sono sempre insieme a chi?! Voglio dire, come fai a saperlo se non lo so nemmeno io?... Lascia che me la sbrighi io con loro... Non so perché dovrei avere una voce preoccupata — ho la voce preoccupata?

Jerry    [ancora occupato]  Avanti, Sofia! Basta con quel bottone! [Rimette giù il ricevitore e senza pren­dere le sue cose esce dall'appartamento].

Gittel ...così, così, lo stomaco mi ha dato dei doloretti... giù dietro... No, tutto a gonfie vele... Uh, sta per sposarne un altro... Non so come ho fatto ad impegolarmi in questo guazzabuglio, ma non è un guazzabuglio... Macché — Willy era diverso... Anche Milton era un'altra cosa... Quale Max? [Trova il bicchiere del latte e ne prende un sorso]  Andiamo! chi mi ha mai rega­lato una soffitta prima di Jerry?...Max? quello mi deve ancora 72 dollari, non li vedrò mai più. Il fatto è che sono una vittima nata! Eccomi qua, trent'anni quasi suonati, e solo adesso mi rendo conto...

[Jerry torna con un mucchio di posta, dove spicca una busta celeste molto fem­minile: questa lo ferma. Scarta le altre e apre la celeste, con uno strappo, turbato] 

Cosa c'è di male, vediamo, se siamo sempre insieme?... Non sono mica matta! Presentarlo alla mamma per farlo scappare come il diretto?... Non ca­pisci. Gioca al golf — per dirtene una. Non avevo mai conosciuto uno che giocasse al golf — in carne ed ossa, voglio dire... Cosa ne vuoi sapere tu... Fa un sacco di cose! Si consuma il cervello dalla mattina alla sera con quelle cause della malora, poi mi viene a prendere all'attico e mi aiuta a pulire... che te ne pare?.. Certo! questo mese mi ha reso 22 dollari e a giorni Molly trasloca su da noi la sua classe per bam­bini...

[Jerry consulta di nuovo l'orologio e forma un solo numero].

Jerry    Signorina, vorrei parlare con Omaha, Ne-bra-ska — il numero è Atlantico 5756...

Gittel [demoralizzata]  Sì, sto provando molto.  Ecco, stiamo facendo del nostro meglio...

Jerry    Il mio numero è Algonquin — 46099.

Gittel  ...è faticoso, sai, ricominciare, dopo tanto tem­po...

Jerry    ...mi richiami lei, per favore. [Mette giù il ri­cevitore, poi lentamente si porta la lettera alle narici con ricordi nostalgici].

Gittel  ...chissà che invece non impari io a giocare al golf... Ma certo che si telefonano!... Il divor­zio? Lei non si vuol togliere dai piedi... Sofia ripeto che sono stata io a dirgli di telefonarle. Devono parlarsi, voglio che si parlino. Allora perché mi tormenti le orecchie?... Sofia, vuoi che mi arrabbi?... Perché sei insopportabile!... E allora non essermi così amica! Siimi nemica, e lasciami in pace! [Mette giù il ricevitore con collera, poi forma un numero. Prima di com­pletarlo,

il telefono di Jerry squilla. Lui ri­sponde].

Jerry    Sì...grazie, signorina.

Gittel [il numero che ha formato è occupato]  Maledizione.   [Riattacca,   raccoglie  i  suoi  vestiti e va oltre la cucina].

Jerry    Chi è — Ruth? Salve, il principale è 11?... Sono suo genero. Quello a riposo... Grazie, Ruth, anche tutti voi mi mancate molto... Pron­to, Luciano, come stai? Puoi non rispondere, se vuoi. [Si allontana il ricevitore dall'orecchio] No grazie, ho trovato lavoro, infatti sto per fare domanda per essere ammesso nell'Albo di New York... Certo, dillo pure a Tess. Tess crede ancora che l'unica persona capace di far­mi stare a galla sia lei?... Ho telefonato per parlarti di lei. Ho ricevuto ora una lettera sua, porta il timbro postale di San Joe. Cosa sta facendo a San Joe... [Allontana il ricevitore dall'orecchio]  È improbabile che una lettera se ne parta per San Joe da sola e si imposti da sola! È tutto ieri che provo a telefonarle, ma in casa non c'è risposta. Tu quando l'hai ve­duta, Luciano?... Andata dove per tre giorni con la macchina? Per il gusto di guidare e basta? Se tu potessi starle più accanto! Sem­pre meglio di niente... Voglio dire... il tuo con­cetto di aiutare è di sgridare, strapazzare! Par­lare per telefono con te è una fatica da atleti... [Di nuovo allontana il ricevitore dall'orecchio] Il denaro non è tutto, ma su questo avrei trop­po da dire, telefonami un giorno e sentirai...

Non sta bene un accidente, lo sento qui, tra le righe... Quale donna?... Certo che ho una donna con me, Tess lo sa...  Vuoi dire che è così da quando ha saputo... Affranta da cosa?... Dio mio, Luciano, ho aspettato un anno, lo sai, un anno intero, senza un briciolo di amor pro­prio! Abbandonata? Ha detto?... Se mi spieghi come si fa ad abbandonare la sposina di un altro  giuro  che   vengo  alle  nozze...   Luciano, ascolta, non perderla di vista, me lo prometti? È soltanto per questo che ti ho telefonato... Dille tante cose

[Gittel rientra vestita per usci­re. Jerry mette giù il ricevitore, prende sopra­bito, cappello e borsa, consulta l'orologio e si affretta a formare un numero. Gittel prende il ricevitore  e  comincia  a  formare  un   numero. Jerry riceve il segnale di occupato]  Al diavolo!

[Mette giù ed esce dall'appartamento in fretta mentre Gittel finisce di formare il numero che ha cominciato.  Il telefono di Jerry squilla di nuovo,   squilla  una  volta,   due   volte,   mentre Gittel nella sua stanza fissa il telefono con ira crescente. Al terzo squillo Jerry torna di cor­sa, afferra il ricevitore, appena in tempo per sentire Gittel dire]

GittelEra lì un minuto fa, perdio!

Jerry    Sono qui.

GittelOh! Jerry...

Jerry    Ho chiamato due volte. Non ha niente di me­glio da fare, Sofìa?

GittelNo.  Io ho chiamato tre volte. Con chi spet­tegolavi?

Jerry    Ho parlato con Omaha.

GittelAncora? [Pausa].

Jerry    Cosa significa « ancora »?  Tess  mi ha  scritto una lettera molto strana. Dice che...

GittelLe hai chiesto a che punto è il divorzio?

Jerry    No, era Luciano. Non c'è stato tempo per par­lare   del  divorzio.   Luciano   dice   che  Tess   è annientata, distrutta.

Gittel [in fretta]  Jerry, sono in ritardo, all'attico mi aspettano, perché mi telefoni?

Jerry    Mi pareva che avessi telefonato tu.

GittelIo?

Jerry    Non   importa.   Ho   chiamato   Luciano   perché devo sapere quello che sta succedendo là. Dice che Tess si è isolata e non vuoi vedere nes­suno.

Gittel [interrompendolo]  Jerry, devo scappare. Dammi un colpo di telefono domattina.

Jerry    [stupito]  E stasera?

GittelÈ venerdì, dopo le prove vado dalla mamma.

Jerry    Come mai di venerdì? Gittel C'è la zuppa di pesce.

Jerry    [protestando]  Ehi! dovevamo andare fuori...

[Gittel ha messo giù il ricevitore. Jerry guarda il telefono muto, la voce gli si spegne] ...a cena.

[Dopo un istante anche lui mette giù il rice­vitore. Gittel si allontana dal telefono, sempre guardandolo. Jerry guarda l'orologio. Ambedue sono riluttanti ad andarsene. Gittel si ferma, Jerry esita al telefono, tutti e due sono ten­tati di ritelefonare, ma nessuno dei due lo fa. Dopo un momento melanconico, si voltano e se ne vanno, in direzioni opposte].

Scena III.

La stanza di Gittel. Ora è febbraio. Un sabato sera, molto tardi. Le due stanze sono nell'oscurità e i bagliori della città rivelano un paesaggio di neve fuori delle finestre. Per un momento nelle due stanze non c'è movimento. Poi rumore di chiavi e la porta di casa di Gittel si apre. La figura di Gittel si profila nell'oscurità, appoggiata allo stipite della porta, dalla testa ai piedi. Poi si raddrizza ed entra, malferma sulle gambe. Ha ancora un po' di neve sui capelli e sul mantello. Lascia cadere a terra la borsetta, barcolla attorno al letto, senza luce — eccettuata quella della hall — va in cucina, prende in un bicchiere acqua del rubinetto e beve, poi riempie di nuovo il bicchiere e se lo porta nella stanza sedendo sul letto con la testa recli­nata sulla mano. Dopo un momento allunga la mano e accende la lampada, prende il libretto degli indirizzi e cer­ca un numero. Lo forma e aspetta. Quando parla ha una voce stanca ed intossicata dall'alcool.

Gittel    Il dottor Segen c'è?... Sono io — lei chi è? Voglio dire, è lì o è uno stupido disco che dice che il dottore è assente?... Cerca di rin­tracciarlo lei il dottor Segen?... Sì, urgente... Gittel Mosca, ero una sua cliente, dica che sto molto male... Il numero? Canal 2-2098... Grazie.

[Si sgroviglia dal filo ricevitore e sen­za togliersi il mantello si lascia cadere sul letto. La luce della lampada le dà proprio sul viso e con una mano a tentoni la spegne. Resta così, al buio, un braccio sulla faccia. Dopo un mo­mento Jerry, col cappello in testa e soprabito, sale silenziosamente le scale, passa la ringhiera e rimane sulla soglia delta porta di Gittel. È abbondantemente coperto di neve. Vede per terra la borsetta di Gittel, la raccoglie, vede la chiave nella serratura e la toglie; a questo rumore Gittel solleva la testa dal cuscino, sul gomito, sorpresa, impaurita] 

Ah, Jerry! Da do­ve vieni?...

[Jerry la guarda serio e cupo. Lei prende un'aria gaia] 

Ti sei divertito al tuo party?

Jerry    Non come tu al tuo... Sei ubriaca, almeno?

Gittel [risolino nervoso]  Ne ho bevuti un paio. Per forza! Quella sete maledetta, tutta la sera. Non mi sono fermata a pensare — voglio dire — non ho pensato a fermarmi.

[Jerry lascia ca­dere la chiave nella borsetta che butta sul letto e chiude la porta. Va alla finestra e si appog­gia allo scaffale, in silenzio, senza togliersi il cappello].

Jerry    [finalmente]   ...Poi  non  ne  parliamo più.   Chi era quel pugile?

GittelQuale pugile?

Jerry    Quello dal collo  taurino  che  ti ha accompa­gnata a casa, proprio ora.

GittelSergio? [Si raddrizza sul letto]  Non è un pugile, è un pittore — di pittura moderna.

Jerry    È per questo che l'hai baciato, sei patrona delle belle arti?

Gittel [stupita]  Tu dov'eri?

Jerry    Molto vicino a te. Non in un senso soltanto.

GittelNon l'ho baciato, è lui che ha baciato me. Non sei andato al party di Frank Taubman. [Si alza, poi cambia idea, e siede sul letto, tremando]

Accendi la stufa, tesoro. Ho un freddo cane.

[Jerry dopo un momento tira fuori un fiammi­fero, si inginocchia davanti alla stufetta e ac­cende il gas. La stufa, diventando incandescen­te, illumina debolmente Gittel che beve il bic­chiere d'acqua tutto in un sorso; Jerry nel rialzarsi se ne accorge e le afferra il polso].

Jerry    Hai bevuto abbastanza!

GittelÈ acqua! [Jerry la costringe a mollare il bic­chiere del quale assaggia il contenuto. Poi glie­lo restituisce. Gittel fa una smorfia]  Cosa c'è, non mi credi?

Jerry    Crederti!   Sei rimasta un'ora nel suo studio!

Gittel [stupita]  Come lo sai?

Jerry    Cosa ti ha fatto ammirare, i suoi quadri pre­ziosi, i suoi bei muscoli, cosa!

[Gittel non risponde e Jerry dà uno strappo al filo della lampada e l'accende. Siede dalla parte oppo­sta del letto voltandole il viso contro la luce].

Cosa!

[Gittel legge nei suoi occhi. Jerry in quelli di Gittel. Un lungo istante durante il quale Gittel ha voglia di piangere sulla spalla di Jerry. Ma preferisce concludere con un ri­solino beffardo].

GittelCosa leggi, il tuo futuro?

Jerry     Il tuo. E quel che vedo non mi  piace. Hai l'aria... maneggiata1. Cosa vuoi diventare?

Gittel    [arrabbiata]  Ho bevuto del whisky, sono dan­nata per questo?

Jerry     Bere fa bene. Hai dormito con lui, no?

Gittel    Perché non ti togli il cappello e resti qui un po'? [Con una mano gli spinge indietro il cap­pello e gli passa la mano sulla tempio e sulla guancia]  Povero Jerry, tu...

Jerry     [tirandole giù la mano]  Tu hai dormito con lui.

Gittel    Ti vien voglia di piangere?   Io  ho voglia di piangere.

Jerry     Se i contrasti potessero sciogliersi con le la­crime,  questa città sarebbe tutta un pantano. Hai dormito con lui?

[Gittel rotola via contro il cuscino voltandogli la schiena].

GittelSono scema, lo sappiamo tutti e due, sei pre­gato di usare un linguaggio più chiaro perché una scema possa capire.

Jerry    Molto chiaro?

GittelSì.

Jerry    Come vuoi tu. Ci sei andata a letto? [Gittel piange in silenzio con gli occhi aperti]  Ti ho chiesto se...

GittelE se fosse? Sarebbe forse la fine del mondo? [Gittel ora si alza, per scostarsi da lui, ma mal­ferma sulle gambe presto si abbandona su una sedia. Jerry si mette una mano sulla faccia e resta sul letto. Ce ne vuole per rassegnarsi all’idea].

Jerry    Forse. Del nostro mondo. [Ma non riesce a reprimere la sua collera e butta per terra dal tavolino il bicchiere, con violenza, si alza stu­pito e selvaggio].  Perché, perché?

Gittel [stanca]  Importa?

Jerry    Importa perché mi trovo ad un bivio e in qua­lunque direzione vada vado verso di te. Anche tu. Gittel, vuoi andare a finir male, vuoi finire nella cloaca ed in mare? Te ne importa così poco...

Gittel              Non lo so... io...

Jerry     ...di me?

Gittel  Oh, Jerry, se...

Jerry    ...o di te?

Gittel              Di me? Ho ben altri pensieri...

Jerry    Perché l'hai fatto?

Gittel              Non lo so! Perché! Ma chi dice che l'ho fatto?

Jerry   [la fissa]  L'hai fatto, sì o no?

Gittel  Beh? Se ci è stato lui, non vuol dire che ci sia stata io.

Jerry    [la fissa, stringe le labbra per costringersi alla pazienza]  Va bene. Ricominciamo da capo. Per­ché sei andata a casa sua?

GittelÈ una vecchia storia. Vivevo con Sergio, due o tre anni fa.

Jerry    Dico stasera.

GittelHo bevuto due bicchieri di troppo, troppi brindisi agli amici assenti...

Jerry    Agli assenti...

GittelSai com'è...

Jerry    Se lo so!  Sono un esperto in materia, specie stasera. Perché hai bevuto?

Gittel [stufa]  Non eri da Frank a divertirti?

Jerry    È questa la ragione?

GittelPer carità! Chi ci teneva ad andare da Frank!

Jerry    Sono andato da Frank per dei documenti che mi mancavano e appena finito sono corso a prenderti da Sofia, ma tu stavi uscendo con lui e ridevi come una scema.

GittelEro sbronza —  l'ho già detto — vuoi  una confessione scritta?

Jerry    Non ci si ubriaca così rovinando tutto senza una ragione. E il party da Frank non è una ragione. Voglio sapere la vera...

[Gittel si al­za, stanca, sempre per allontanarsi da lui] 

Non scappare, sto parlando a te.

GittelAllora continua,  parli  pure,  signor  avvocato!

Jerry    Quando una cosa mi succede due volte ho di­ritto di saperne il motivo! Cosa ho fatto que­sta volta, qual'è la tua lagnanza?

GittelChi si lagna?... sei tu che ti lagni!

Jerry    Non ne ho forse il diritto, perdio?

GittelNon cambiare discorso.

Jerry    Non lo cambio. Sto parlando di te e di me.

GittelE io sto parlando di tua moglie!

[Un silenzio. Gittel cammina massaggiandosi lo stomaco con il dorso della mano. Jerry si calma].

Jerry    Va bene. Parliamo di lei. Anche lei parla di te. Mi sembra di essere un centralino. Allora, cosa c'è con mia moglie?

GittelHo visto il conto del telefono del mese scorso. A Omaha, Nebraska, 9 dollari e 81 cents. Per A Omaha, Nebraska, 12 dollari e 63 cents. Per­ché non mi hai detto che eri il santo protet­tore dei telefoni?

Jerry    Devo starle vicino, Gittel, sta passando un mo­mento difficile.

GittelChi è che non lo sta passando? Ho mal di te­sta, lasciami sola.

Jerry    Ah, è così? Ti tradisco con mia moglie per telefono. È il conto del telefono che ti spinge nel letto di come si chiama lui?

GittelSergio.

Jerry    Sergio! Non mi aizzare, Gittel, finirò per ta­gliare la corda. Non ti è mai passata per la mente un'idea simile? Se è questo ciò che vuoi, per poterli provare tutti, i pantaloni di New York che ancora non hai provato?

[Gittel si è lasciata cadere sul letto, bocca in giù, resta immobile, disperata. Jerry la contempla, la col­lera gli sta passando e la compassione sta pren­dendone il posto. Finalmente si rassegna e so­spira] 

Va bene, va bene, rimandiamo a domani. Ne discuteremo quando ti sentirai meglio e avrai le idee più chiare.

[Lascia cadere il cap­pello su una sedia, va a letto. Si inginocchia per slacciarle le scarpe. Questo atto di bontà aggiunge disperazione alla già disperata Gittel. Le spalle le tremano e singhiozza].

GittelOh Jerry!

Jerry    Cosa c'è?

GittelNon ti piaccio più...

Jerry    Ti odio, non è abbastanza? Voltati. [Gittel si volta e Jerry comincia a sbottonarle il man­tello. Lei, per opporsi, alza le mani, lui fa fin­ta di nulla].

GittelFaccio da sola.

Jerry    È un gran favore che ti chiedo. Vuoi star ferma?

Gittel [obbedisce]  Non è vero che mi odi.

Jerry    Forse no.

GittelTi faccio soltanto pietà.

Jerry    Cosa ti fa pensare di essere un caso pietoso? Tira.

Gittel [liberando una manica]  Jerry, se tu mi ve­dessi alle prove nella soffitta, non diresti più che non sono un caso pietoso. Passo delle ore aspettando l'ispirazione... che non viene. Solo ora ho capito, dopo tanti anni, lo sai cos'è che non va?

Jerry    [pausa, gentile]  Non sei una ballerina.

GittelCome fai a saperlo?

Jerry    Non lo sapevo. Con la soffitta intendevo aiu­tarti, non sgonfiare un pallone.

GittelSe non sono una ballerina  allora cosa sono?

Jerry    È per questo che ti ubriachi? Voltati. [Gittel si volta di nuovo, faccia in giù. Jerry libera l'altra manica e le sfila il mantello. Comincia a sbottonarle la blusa che è abbottonata di die­tro]  Se te lo faccio lo bevi un caffè?

Gittel [tremando]  No.

Jerry    O un emetico, per liberarti lo stomaco?

GittelPer vomitare, vuoi dire.

Jerry    Sì.

Gittel [di colpo, seccata, si svincola dalle sue dita e si rotola, supina, fissandolo] 

Si deve parlare sempre del mio stomaco? Non ho altre sedu­zioni?

[Jerry la raggiunge di nuovo]  Non mi toccare!

[Si sfila dalla testa la blusa ancora ab­bottonata, ma questa rimane bloccata a metà. Lotta alla cieca per togliersela].

Jerry    [comprensivo]  Gittel.

[Torna a toccarla per aiu­tarla, ma quando Gittel sente le mani di lui si mette a calciare come una furia].

GittelNon voglio i tuoi maledetti favori!

[Uno dei calci lo prende alla coscia e lo paralizza. Gittel si libera dalla blusa togliendosela con uno strap­po e la scaraventa via; va a finire contro Jerry. Nel buttarsi di nuovo giù  si tira sulla testa il mantello e rimane immobile.  Un silenzio].

Jerry    Mi dispiace che tu non li voglia. Io li vorrei.

[Raccoglie la blusa, rivolta le maniche dalla par­te dritta, l'appende alla spalliera della sedia e resta in piedi a guardarla] 

Vuoi smaltire la sbornia senza spogliarti?

[Gittel da sotto il mantello non risponde e non si muove] 

Git­tel? Vuoi che stia o che me ne vada? [Aspetta un momento, poi si avvicina al cappello e lo prende in mano]  Che me ne vada. [Guarda la stufa]  Devo lasciarla accesa? Sì. Non ti occorre nulla da me? No. Che domanda!

[Poi spegne la lampada, gira ai piedi del letto, va alla por­ta e l'apre. Ma non esce, richiude la porta sbat­tendola, butta il cappello sulla stessa sedia e si avvicina là dove ha buttato il cappello. Git­tel, al rumore della porta che si chiude si tira su nel letto ed emette un gemito di scora­mento].

GittelJerry... Jerry!...

Jerry    [le è accanto]  Cos'hai? [Gittel rotolando si vol­ta verso di lui e lo vede che guarda fuori dalla finestra].

Gittel [indignata]  Sei ancora là?

Jerry    Non posso aspettare domani. [Prende un gior­nale e lo arrotola stretto mentre cammina su e giù, cupo. Gittel in ginocchio sul letto, lo guarda].

GittelCos'hai?

Jerry    Devo parlarti. Ho telefonato a casa, oggi.

GittelCosa ti ha detto questa volta?

Jerry    Non ho parlato con lei. [Continua in su e giù] Non riesco ad avere quei documenti che mi abbisognano senza chiedere a suo padre di muovere qualche pedina. Ho telefonato per chiedere, ma le parole non mi sono uscite di bocca.

GittelUrrà!

Jerry    Sì, urrà. Ciò significa che non potrò essere iscritto nell'albo facendo la sola domanda. Ma basta con questo noioso lavoro! Non ne posso più! Voglio tornare ad esercitare la mia pro­fessione e l'unica via di uscita sono gli esami di marzo.

GittelAllora dalli.

Jerry    Ho paura. Da quando ho cominciato a lavo­rare sono stato sempre sotto l'ala protettrice di Luciano e non so bene di cosa sia capace oltre che ricevere la sua protezione. Dare gli esami è un gioco al lotto. Cosa faccio se non ce la spunto?

Gittel [lentamente]  Ma che altro puoi fare?

Jerry    Vivere dove sono iscritto all'Albo.

[Gittel lo fissa e nessuno dei due si muove. Poi Gittel si siede all'indietro alla turca].

Gittel [incredula]  Vuoi tornare da lei?

[Il telefono squilla. Gittel guarda l'apparecchio coi nervi tesi sapendo chi è che la chiama. Poi guarda Jerry] 

Parla!

Jerry    Rispondi!

GittelNo. Avanti, parla! 

[Il telefono squilla per la seconda volta. Jerry si alza per rispondere con in mano il giornale arrotolato] 

Lascialo suona­re, non ci sono per nessuno.

[La veemenza del tono di Gittel ferma Jerry, che la fissa. Il tele­fono squilla altre due volte o tre durante il seguente dialogo, poi smette].

Jerry    [secco]  Chi è a quest'ora? Lui?

GittelNon lo so. Parla... allora te ne andrai?

Jerry    [arrabbiato]  Perché no? Guadagnerei tre volte quel che guadagno qui, esercitando la mia pro­fessione che adoro. La cosa mi tenta, mentre qui cosa c'è di tentante? Sergio? Sudare per degli esami per costruire su che? Sulle sabbie mobili? Per Sergio? [Gittel non risponde. Lui guarda fuori dalla finestra. Ora Gittel cerca le pillole nella borsetta].

GittelEd io dove credi che sia fino al collo? Non sulle sabbie mobili? [Va in  cucina,  accende la luce, mette a scaldare un po' di latte, e Jerry la segue con lo sguardo].

Jerry    Allora rispondi a una domanda: perché non parlare se qualcosa dentro ti rode? Nossigno­re, è più semplice accoppiarsi al primo gorilla che ti viene dietro. Come osi trattare te stessa come un vecchio straccio nel quale il primo venuto ci si può soffiare dentro il naso?

Gittel [è sconvolta da questa frase, ma lo sfugge e torna, fredda come l'acciaio, svitando la boc­cetta delle pillole]  Va... bene! Allora, quando?

Jerry    Quando cosa?

GittelQuando parti?

Jerry    [duro]  Ascolta. Non mi spingere a Tallahassee.. Non ci si sbarazza di me con tanta facilità.

GittelBeh — devo fare i miei piani.

Jerry    Quali piani?  Adesso?

Gittel [senza badargli]  Probabilmente mi rimetterò as­sieme a Sergio. Ha molto da dare a una donna — non so se mi spiego — resteresti a bocca aperta.

[Jerry resta in piedi come una statua. Gittel lo guarda con un'ombra di malizia negli occhi. Jerry esasperato brandisce in alto il gior­nale arrotolato e la colpisce in testa. Gittel per­de l'equilibrio e la boccetta delle compresse le scappa di mano e tutte le compresse volano per aria. Lei cade sul letto].

Jerry    [furioso]  È tutto qui quello che rappresento per te! Fuori, la verità, per una volta!

[Gittel si tiene in mano la guancia senza smettere di guardare Jerry. Poi Jerry si guarda intorno, raccoglie le compresse per terra e il flaconcino, ne legge l'etichetta per sapere di che medi­cina si tratta. Va in cucina, versa il latte scal­dato nel bicchiere, ritorna e lo porge a Gittel. Gittel lo prende in mano sempre fissandolo mentre lui soppesa nella mano le compresse] Quante?

GittelDue. [Jerry gliene da' due che lei butta giù aiutata da un sorso di latte. Jerry rimette le altre nel flacone].

Jerry    Se ti duole lo stomaco, perché non vai dal dot­tore?

GittelDottore, per cosa! Mi direbbe di evitare le emozioni.

Jerry    [avvita il coperchio della boccetta, la butta sul letto e guarda Gittel]  Ti duole molto?

GittelNo!!!

Jerry    Ti ho fatto male?

GittelCerto che mi hai fatto male. Di cosa credi che sia fatta la mia testa, di ferro? [Aspetta rispo­sta]  Non mi hai chiesto scusa.

Jerry    L'hai sentito venire?

GittelCerto!...

Jerry    Scusa.

Gittel [beve un altro sorso di latte tenendo il bicchie­re con le due mani, come i bambini. Alza gli occhi e lo guarda con una smorfietta]  Hai vi­sto? Ho detto che mi avresti picchiata e lo hai fatto.

Jerry     Se ti fa così felice posso farlo tutti i giorni.

Gittel [imbronciata]  Felice? Mamma mia, che botta! [Aspetta]  Tutti i giorni?... allora non parti!

Jerry    [si volta da un'altra parte]  Non mi hai lasciato finire. [È alla finestra, guarda fuori, giù nella strada]  Ora che la causa di divorzio è comin­ciata Tess è... è come in un vortice, suo padre dice che non si risposerà.

Gittel [questo è per lei un colpo più forte forse di quello ricevuto in testa e riesce solo a sedersi restando imbambolata. Dopo un po']   Gesù, al­lora hai qualche speranza?

Jerry    Forse. [Ma scuote subito il capo, di colpo ac­casciato. Sempre alla finestra]  Non so dove sono — o cosa mi faccia — cosa scordare e cosa sperare — dove andare — aiutami — io...

[Si interrompe. Gittel si stringe nelle spalle: ha freddo. Le ci vuole un momento per tro­vare il coraggio della disperazione].

Gittel  Va bene,  Jerry  vuoi sapere  la verità...  [Non trova le parole per cominciare]  Stasera con Sergio. Io... io... Sarei voluta venire al party di Frank. Soltanto, non sono all'altezza dei tuoi amici, come lo è lei.

Jerry    [si volta e la guarda]  Come?

GittelCosa credi, che non lo sappia? [Si stringe le braccia al petto, tremante nel mettere a nudo se stessa. Abbozza un sorriso]  Voglio dire, sono quella che sono, eccomi qua. Anche Willy vo­leva che mettessi la macchinetta ai denti. « So­no quelli che sono, Willy, devi accettarmi co­me sono, ho due palette davanti, lo so, ma non ne ho mai fatto un segreto, vero? Willy, devi accettarmi come sono, i denti a paletta li ho e li ho ».

Jerry    [con tenerezza]  Sei bella, Gittel, lo sai?

GittelMa non sono lei. Tu non hai mai smesso di pensare a lei; dal primo momento in cui ci siamo incontrati.

Jerry    Non è vero.

GittelÈ vero. Sergio per me? Non conta una cicca. Ma lei per te? Io sono l'esclusa, è lei che hai dentro di te e ce l'hai ancora. Me non mi hai mai presa sul serio, ma allora perché dire sempre ho bisogno di te! Ho bisogno di te. Ho bisogno di te! [Si alza per accusarlo, ma deve premersi lo stomaco dolente col dorso della mano]  Vorresti forse che mi accucciassi e ti di­cessi picchiami pure, pesta, picchia di più? No, caro, questo no! Lo so, sai, che fin dal primo momento hai avuto in testa una cosa sola: dar­le una prova, una prova!

Jerry     Darla a  me.

Gittel    No! A lei. Tutto quello che mi hai dato era per dimostrare a lei che... Non aspettavi che un suo cenno per correre là. Perciò quando tu mi chiedi di immolarmi... [Si era prefissa di ri­manere obbiettiva, ma il grido di accusa scop­pia]  Per cosa? Per cosa? A me cosa me ne viene! Sergio, lui dà quello che può, ma tu, tu puoi dare molto, moltissimo, ma per me non ci sono che le briciole! Sei un imbroglio­ne!

[Jerry ascolta immobile l'attacco, ma è scon­volto, e la fissa. Gittel si stringe nelle spalle, coi nervi tesi, finché non riesce a controllarsi]

Volevi sapere la verità? Ecco cosa hai fatto questa volta.

[Un silenzio. Aspetta attenta, sem­pre coi nervi tesi perché tante cose dipendono da questo momento; Jerry vaglia dolorosamen­te ciò che ha ascoltato].

Jerry    [poi]   Vuoi  dire che chiedo  la  resa  completa senza fare altrettanto?

GittelSì. Ho detto solo questo? [Jerry la guarda e chiude gli occhi].

Jerry    Questa volta. E anche l'altra volta. Perché an­che con lei sono stato un imbroglione, non è così?

Gittel [disperata]  Non sto parlando di lei in questo momento, ecco di cosa ti sto parlando!

Jerry    [si allontana da lei, va verso la scrivania, di­stante. Gittel rinuncia, si siede, picchia la se­dia, e si prende la testa fra le mani]  Hai ra­gione. Dio, abbi pietà di me, hai ragione.

GittelEd io avrei provato Sergio.

Jerry    Logico.

GittelUn ripiego, d'accordo. Siamo due falliti, tutti e due.

Jerry    Tutti e due?

[Gittel fa segno di sì col capo, ma quando lui la guarda e vede la sua figura smarrita, gli occhi gli si riempiono di lacrime]

No. Niente affatto. [Si avvicina, dietro di lei, in piedi. Gittel non alza la testa]  Tutti questi mesi non ho fatto che dirti una cosa, bambi­na, che vivi male. Volevo cambiarti. Adesso voglio dirti un'altra cosa: hai ragione di vive­re così. [Abbassa gli occhi e le contempla i ca­pelli. Sta per accarezzarglieli, ma si trattiene] Tu sei un dono di Dio, non sei una fallita, sei un dono caduto dal Cielo. Creature come te Iddio ne crea poche, perciò quando le crea de­vono servire a tutti i derelitti, me compreso. [Scuote appena la testa]  Il numero non conta. Il numero degli uomini non conta. Te lo giu­ro. Se ti usano e ti piantano non importa:  se ne vanno più ricchi e migliori. Dimenticali perché non uno ti ha insozzata. Nessuno ti ha posseduta, nessuno è andato mai vicino a pos­sederti. Ti ho detto che sei bella, ma non in­tendevo di sembianze. Che sei una gioia degli occhi... tutti lo vedono. Che più sotto c'è in te un po' della megera attaccabrighe... qualcuno lo vede. Ma sotto alla  megera attaccabrighe c'è qualcosa di fresco, di estroso, di timido, come un puledro, qualcosa di... di verginale. Quello nessuno lo vede perché lì nessuno c'è stato. Nemmeno io. Perché non lasci entrare nessuno.  Beh,  sono affari che non  mi  riguardano. [Trova il suo cappello, resta in piedi, ora sen­za guardarla più]  Farò tesoro di quello che mi hai dato. Sempre. Sempre di più. Ma io a te? Cosa ho dato? Il dono di me, quasi tutto fro­de, che ti manda a letto con un poco di buono. Il puledro ha bisogno di una mano generosa, bambina. Non quella di Sergio e nemmeno la mia. [Si avvia alla porta; l'apre, si ferma, cerca le parole e dice dietro la spalla]  Voglio bene ai tuoi denti a paletta!

[Dopo un istante si incammina per uscire e la testa di Gittel si sol­leva. Jerry è già sulle scale quando Gittel si alza dalla sedia vacillante e gli grida]

GittelJerry!... Non te ne andare! [Jerry si ferma sen­za voltarsi]  Da Sergio l'unica cosa che ho fatto è stato... svenire in bagno. Questo quando mi sono accorta... [La voce le manca, le trema finendo in un singhiozzo]  Sto... sto sanguinan­do, Jerry!

Jerry    [sulle scale, voltandosi in fretta]  Cosa??

GittelPer quello avevo tanta sete, ho paura, Jerry, questa volta, ho paura... di sanguinare.

Jerry    Gittel! [Accorre da lei, sostenendola nelle brac­cia; Gittel si appoggia a lui].

GittelAiutami, Jerry!

Jerry    [fulminato]  Chi è il tuo dottore?

GittelNon importa, basta che chiami un'ambulanza...

Jerry    Chi è il tuo dottore?

GittelSegen. Nel mio libretto. Era lui che telefona­va, non volevo che tu sapessi.

Jerry    Pazza. Coricati... pazza, pazza... sciocchina. [La dirige verso il letto dove si corica. Jerry siede accanto a lei e cerca il numero nel libretto].

Gittel [piangendo]  Jerry, non mi odiare!

Jerry    Perché non mi hai detto niente?

GittelPerché non volevo intrappolarti,  intrappolarti in una cosa che...

Jerry    Intrappolarmi?   Intrappolarmi?

GittelMi odio, mi vergogno, ma non mi lasciare.

Jerry    Non parlare, pazza, pazza...

GittelNon mi lasciare!

Jerry    Non ti lascio! [Ha trovato il numero di Segen. Si china su di lei e piega un ginocchio]  Sono qui, sciocchina. Calmati, non vedi che sono qui?

[La bacia e con la mano libera forma il numero del dottore. Gittel si preme l'altra ma­no contro la guancia].


ATTO TERZO

Scena I.

La stanza di Gittel. Una calda giornata di marzo piena di sole. È mezzogiorno. La stanza di Jerry ha un aspetto in­solito. La finestra è chiusa e lo scuro è tirato giù. Un cu­scino, senza federa, è sul letto e le tende che formano l'ar­madio ad angolo sono aperte e si vedono gli attaccapanni quasi tutti vuoti. Nella stanza di Gittel la finestra è aperta e il sole entra nella stanza. La mobilia è stata spostata. In un angolo c'è la valigia di Jerry. Sono spariti manichino e macchina da cucire e al loro posto c'è una scrivania co­perta di manoscritti, copie fotostatiche, libri, libretti di ap­punti e taccuini, programmi, lapis in un vasetto. Una lam­pada da ufficio, la macchina da scrivere portatile di Jerry, una tazzina da caffè, due o tre piatti sporchi ed un piat­tino pieno di cicche. Il tavolino da notte dal lato di Gittel è diventato una farmacia, pieno di bottigliette e bicchieri, compreso quello del latte; la radio nuova, più di lusso, sta suonando in sordina. Gittel è a letto — con camicia da notte in cotonina — pallida, magra e triste. È reclinata con la testa verso la finestra e guarda fuori. Un grosso volume di legge che sta cercando di leggere, ora le giace in grembo, con un dito dentro per non perdere il segno; ma non ascolta la radio. Poi la musica cessa e la voce dell'annunciatore parla con animazione. La voce annuncia che è la stazione WAXR e che ora è in onda il programma del « New York Times » e che per essere in­formati su tutto quanto succede nel mondo i signori ascol­tatori debbono abbonarsi al « New York Times » conse­gnato a domicilio tutte le mattine prima del breakfast, in tempo per leggerlo sorseggiando il caffè. E dice che biso­gna abbonarsi al « New York Times » per far parte della classe migliore...

Gittel [disgustata]  Aah, sta' zitto, cosa ne sai. [Gira un pomello e trova musica in un'altra stazione, ma non è in vena di ascoltare e chiude la ra­dio del tutto. Riapre il libro e cerca di concen­trarsi arricciando la fronte. Prima emette un sospiro annoiato, e poi getta via il libro che va quasi a colpire Jerry che sta aprendo la porta col piede perché ha le braccia ingombre di li­bri e roba da mangiare. Ha il soprabito but­tato sulle spalle e il cappello in testa, buttato all'indietro. A Gittel, vedendolo, si illumina il viso].

Jerry    Cessa il fuoco, sono disarmato!

GittelJerry, tesoro! Credevo che non tornassi più!

[Jerry si china per darle un bacio, poi molla sul tavolo i libri, il soprabito e una scatola legata con un nastro. Per tutta la scena si affacenda in cose di ogni genere, senza fermarsi, rilassarsi mai; come se non potesse star fer­mo dalla contentezza. Indica la scatola].

Jerry    Ho fatto un giro lunghissimo per portarti qualcosa dalla Cina. Però non sono dovuto an­dare fin là!

GittelNon voglio che mi porti regali.

Jerry    Allora dopo colazione. Sono nel mezzo di una discussione con Kruger per l'affare Lever, devo esser di ritorno da lui all'una. [Porta la roba da mangiare in cucina].

Gittel [cupa]  Cioè due minuti fa.

Jerry    Sì. Se non mi sbrigo arriverò in ritardo. Però ho avuto una gran mattinata stamattina. Gli ho tenuto testa, cara mia, a quel titano, l'ho la­sciato a bocca aperta, come un pesce rosso. Sembrano rimpicciolirsi però, tutti questi tita­ni da un tempo a questa parte. Dev'essere l'u­midità. E la tua com'è andata?

GittelCosì così.

Jerry    [disapprovando]  Non ti sei mossa dal letto?

GittelQuasi quasi mi sono dovuta alzare per andare al gabinetto.

Jerry    Quello sì che sarà un gran giorno, hum?

GittelSì. Verrà anche sul telegiornale!

[Jerry, in si­lenzio, in cucina, accende il forno, toglie dal cellofane una piccola bistecca e la mette sotto la griglia] 

Proverò domani, oggi mi sento troppo debole.

Jerry    Cosa pretendi, far la scalata dell'Everest il pri­mo giorno?

Gittel [pausa]  È per questo che si arrampicano fin lassù? [Guarda fuori dalla finestra mentre Jerry apre un barattolo di patate e le butta in un pentolino]  Sai dove vorrei essere in questo momento?

Jerry    A letto, altrimenti saresti alzata.

GittelA Central Park, sull'erba. Se no cosa ci sta a fare Central Park? Specie in una giornata come oggi — là è già primavera mentre qui siamo ancora in inverno.

Jerry    [rientra snodandosi la cravatta diretto alla scri­vania e fruga nei cassetti]  Voglio farti una pro­posta. Sarai in grado di far le scale venerdì prossimo? Pomeriggio?

Gittel [poco a suo agio]  Perché?

Jerry    Stamattina ho telefonato al dottor Segen, si raccomanda caldamente di farti cambiar aria. Venerdì pomeriggio andiamo a Central Park in tassì. D'accordo?

GittelPerché venerdì pomeriggio?

Jerry    Gli esami saranno finiti e stramazzerò sull'erba a Central Park. Verrò a prenderti in taxi direttamente dall'Università. D'accordo?

Gittel [evadendo la risposta]  Quando saranno finiti gli esami sarò contenta di una cosa: avrai tem­po per prendere fiato e dirmi « cara ».

Jerry    Cara! D'accordo?

Gittel [aggrottando la fronte]  Quando provo ad al­zarmi, mi sembra che lo stomaco mi si scre­poli, come un uovo. Non voglio più emorragie.

Jerry    [le lancia un'occhiata severa mentre appende la giacca sopra la spalliera di una sedia e ne tira fuori di tasca parecchia posta]  Il dottore dice che se non esci presto da quel letto il san­gue ti si arrugginirà nelle vene. Non dovevo dirti « cara », guarda, non ho ancora avuto tempo di guardare chi mi scrive. [Scorre le buste scartando una ad una le lettere sul let­to]  Harpes — la Casa Editrice — vorrebbero che comperassi tutta la loro collana — son matti!! Il conto dell'ospedale — ohibò — « da bruciare sul gas, dopo colazione »! Cancelleria del Tribunale distrettuale di Omaha... [Questa busta lo paralizza. Si allontana e con uno strap­po l'apre e ne tira fuori un documento legale, cucito su un foglio celeste, che sarà facile ri­conoscere più tardi, che guarda a lungo].

Gittel  C'è qualcosa?

Jerry    [un silenzio]  Roba legale. Ne ho fin sopra i ca­pelli in questi giorni. Io... [Non gli è facile di­stogliere gli occhi dal documento, e lo fa con evidente sforzo. Lascia cadere busta e docu­mento sulla scrivania e riprende le sue faccen­de]  Per te, prima che me ne dimentichi. [Tira fuori dalla giacca un assegno e lo porge a Gittel]  Ho dato le chiavi del granaio a Molly e lei mi ha dato questo assegno. Ha detto che quan­do ha finito lascia le chiavi sopra la cornice della porta: passerò a ritirarle prima di anda­re a lezione.

GittelJerry, non voglio che tu perda tempo. [Gli prende la mano insieme all'assegno e ci appog­gia su la guancia].

Jerry    Sono i tuoi dollari che mi fanno gola, sciocchina.

Gittel [allegra]  Lo so. È bello essere capitalisti, hum? Te ne stai in panciolle e il denaro ti piove addosso.

Jerry    E subito evapora! Se non ti alzi e fai un po' di moto un giorno scoppierai! [Prende da sot­to il letto una padella per malati e la porta oltre la cucina mentre Gittel lo guarda stu­pefatta].

GittelEhi, Jerry, cosa... Ho perso un litro di sangue, cosa  credi!

Jerry    Te ne ho comperato un litro e mezzo. Hai guadagnato mezzo litro. I capitalisti che non si contentano di guadagni del 50% alla fine fini­scono in prigione. [Rientrando prende il volu­me e una copia del testo delle materie di esa­me caduta dal volume]  Cosa stai facendo con... Sgobbando per me?

GittelVolevo solo  vedere.

Jerry    [sfogliando]  1953. Questo devo ripassarlo tutto, stanotte. [Rimette tutto sul letto. Si toglie la camicia, resta a torso nudo e soltanto ora si to­glie il cappello che mette sulla lampada della scrivania. Prende i piatti sporchi, e il piattino delle cicche mentre Gittel sta a guardare].

Gittel  Quando ti deciderai a dormire un po'? Sei diventato pelle e ossa.

Jerry    Muscoli. Sono tutti muscoli da un po' di tem­po a questa parte. A proposito, se non ti de­cidi presto a « funzionare » sarò costretto a metter un avviso sul giornale per trovarne una che funzioni. [Porta i piatti in cucina dove apre il forno. Volta la bistecca].

Gittel [guardandolo di traverso]  Io funziono. Ho sem­pre funzionato!

Jerry    Sei disoccupata. Credi che la polizza contro la disoccupazione vada avanti in eterno? [Dice così per celia, mentre si rinfresca la faccia nel secchiaio in cucina. Ma Gittel guarda nel futu­ro con tanto pessimismo che deve reagire].

GittelQuando  hai   tempo?   Adesso.

Jerry    Venerdì alle tre e mezzo, dopo la battaglia, marna. D'accordo?

GittelA Central Park?

Jerry    [non sente]  Ai vostri ordini, signora, da vener­dì in poi.

Gittel [triste]  Per quanto?

Jerry    Eh?

GittelHo detto per quanto.

Jerry    Non ti sento. [Chiude il rubinetto dell'acqua e torna nella stanza asciugandosi la faccia con un asciugamano]  Eh?

GittelHo detto che  ti   amo.  [Jerry  resta immobile un momento, Gittel abbassa gli occhi]  Non oc­corre che te lo dica: lo sai già.

Jerry    [gentile]  Sì.

GittelCercherò di non dirtelo troppo spesso. Ecco, due volte la settimana.

Jerry    Non me lo dirai mai abbastanza. Fa parte del mio nuovo vigore.

GittelForse il mio regalo più grosso è stato quello di ammalarmi.

Jerry    Posso benissimo farne a meno. Il regalo più  grosso sarà quello di guarire.

[Gittel ha ab­bassato gli occhi. Jerry guarda l'ora all'orologio a polso, si china per baciarla sulla guancia e va alla scrivania].

Gittel [a mezza voce]  Quante probabilità ci sono? [Jerry apre un cassetto e arriccia la fronte. Prende una camicia pulita e se la infila].

Jerry    [finalmente]  Cento per cento.

Gittel  Mangi così presto?

Jerry    Lo so cosa vuoi dire. Quando ti ho detto che volevo aver cura di te cosa hai creduto, un'op­zione di trenta giorni? [Si abbottona la cami­cia e torna in cucina dove passa le patate in un piatto e le mette al caldo in forno]  Pronta per colazione?

GittelMangi così presto?

Jerry    Io mi porterò un panino in ufficio. Che ne diresti di alzarti e di fare tre giri intorno al piatto per farti venire appetito? [Jerry, ai suoi ordini sulla soglia della porta della cucina. Git­tel non lo guarda].

GittelMa io « ho » appetito!

Jerry    Uhm!  [Jerry poi torna in cucina dove prepara il vassoio: un bicchiere di latte, un tovagliolo di carta, posate e le pietanze].

GittelUn panino non ti basta, Jerry!  Se ti ammali anche tu come facciamo? Prometti che ti farai fare uno zabaione, anzi, già che ci sei fatti fare anche un guggle-muggle!

Jerry    Un cosa?

GittelC'è dell'uovo sbattuto. Due giorni di esami, voglio dire, devi essere in forma per affron­tare quei bastardi. [Jerry arriva col vassoio e glielo mette in grembo, sul letto].

Jerry    Il condannato consumò un pasto copioso e bev­ve un sostanzioso guggle-muggle e visse felice per altri trentaquattro anni. Non ho nessuna intenzione di ammalarmi, bambina, nemmeno per farti alzare da quel letto. [Raccoglie carte e libri sulla scrivania, li mette nella borsa di cuoio e si sofferma a guardare il documento che aveva testé appoggiato lì. Lo prende in mano e dando la schiena a Gittel lo rilegge, rannuvolato].

GittelJerry.

Jerry    Sì.

Gittel [accorata]  Non voglio approfittare di te, ecco, voglio dire, da quando sei venuto a dormire qui, io... Nessuno è stato buono con me come lo sei stato tu e questo indebolisce la volontà, mi capisci?

Jerry    [la guarda voltando la testa, poi torna a guar­dare il documento.  È combattuto da pensieri opposti]  Rafforza la mia.

GittelMi sono abituata a vedere le tue cravatte in giro, voglio dire... mi mancheranno molto. [Un silenzio. Jerry pesa con la mano il docu­mento e pesa al tempo stesso qualcosa assai più grave, dentro di sé].

Jerry    [poi]  Sentiamo, per chi credi che li dia questi esami, sciocchina? Per tenermi allenato il cer­vello? Intendo vivere qui, lavorare qui, e ser­vire a qualcuno. Il mio guaio è di non essere mai servito a nessuno.

GittelHo paura del dopo.

Jerry    Dopo cosa?

GittelQuando mi alzerò e le tue cravatte torneranno a casa loro. Ho paura di... di tornare a vivere sola.

[Jerry sta per un lungo momento col documento in mano. Poi con un movimento bru­sco e improvviso lo mette nella borsa e si siede alla scrivania spingendo dai lati libri e carte per far posto, e scrive].

Jerry     Mangia.

Gittel    [obbedisce e mangia  due o  tre  bocconi e  lo guarda perplessa]  Cosa stai scrivendo?

Jerry     Una promessa. Ti prometto di parlare duran­te i pasti. [Quando ha finito di scrivere, Jerry piega il foglio; in piedi prende il regalo dalla scatola]  Ed altre cose meno elevate. [Tira fuo­ri una giacchetta cinese in broccato di seta. Gittel lascia cadere la forchetta dalla sorpresa].

GittelEhi!  Che bella!...  Cos'è?

Jerry    Perché tu pensi a me... fino alle sei.

GittelUn giacchettino per stare a letto! Giuro che non mi alzo più. [Con le dita fa come per af­ferrare il regalo, ma Jerry in cambio le sven­tola il foglio scritto].

Jerry    È una lettera per il mio padrone di casa. [Jerry la mette nella tasca del giacchettino]  Devi im­postarla tu.

GittelEh?

Jerry    Qui all'angolo. Appena ti sentirai abbastanza forte da fare le scale.

GittelCosa c'è scritto?  [Spalanca gli occhi]   Di cer­carsi un altro inquilino, uhm?

Jerry    Leggi.

GittelLe tue cravatte non si muoveranno più di qui?

Jerry    Leggi. [Dal lato opposto della stanza Jerry apre il giacchetto, pronto perché Gittel ci si infili dentro, la lettera molto in evidenza].

Gittel [con  rimprovero]  Jerry.

Jerry    Alzati e vieni a prendertelo.

Gittel [con rimprovero]  Jerry, devo proprio star bene per averti?

Jerry    Forse. Prova. [Gittel scuote la testa]  È poi tanto strano che io non abbia voglia di muover le mie cravatte? Avanti!

[Gittel lo guarda, gli occhi umidi di pianto]  Avanti! Vieni e pren­dilo.

[Gittel mette da un lato il vassoio, ap­poggia per terra i piedi e resta immobile]  Co­raggio, sciocchina.

[Gittel è in piedi, dapprin­cipio malferma, poi va verso di lui, preoccupata per il suo stomaco e le gambe, cammina come chi non ha messo piede a terra da un mese. Finalmente raggiunge Jerry e la lettera. La spie­ga e legge].

GittelLasci l'appartamento.

Jerry    Risparmio di affitto.

GittelMi rovini, Jerry! [Volta la faccia da un'altra parte, ha voglia di piangere]  Non sono mai stata una... sporca... una ricattatrice... [pausa] e non voglio diventarlo! Quel che è troppo è troppo! [E con improvvisa decisione strappa la lettera in mille pezzetti].

Jerry    [senza scomporsi]  Spreco di carta. Adesso devo scriverne un'altra.

GittelNo se non vuoi!

Jerry    Voglio. [La avvolge nel giacchettino e la tiene stretta a sé. La bacia, studia i suoi occhi, lei scruta quelli di lui, poi guarda l'ora, le dà un colpetto sulla guancia e prende la borsa]  Non ti stancare, per oggi hai fatto abbastanza. Tor­na a letto. Mastica bene prima di mandar giù. Non scordare la medicina. Non fare le scale da sola. Abbottonati bene il mantello prima di uscire. Sei mia. [È quasi sulla porta, quando la vocina di Gittel lo ferma].

GittelLo sono, Jerry, lo sai?

Jerry    Certo che lo so, sciocchina.

GittelTi amo, Jerry. [Jerry resta muto, finché lei non lo trattiene oltre]  L'ho già detto due volte. La razione di tutta una settimana.

Jerry    [sorridendo]  Forse dovrai ripetermelo ancora prima degli esami, per darmi coraggio.

GittelPasserai.

Jerry    Risponderò tutto quello che so.

[Le manda un bacio con la mano e sparisce lasciando Gittel in piedi nella stanza, col giacchettino cinese, luminosa come l'arcobaleno, un misto di do­lore e di gioia. Si tocca il giacchettino, si sie­de, se lo porta al viso. È molto turbata].

Scena II.

La stanza di Jerry. È maggio. Sono trascorsi otto mesi da quando l'idillio è cominciato. L'estate è vicina. È un cre­puscolo umido e caldo. Di nuovo le finestre delle due stan­ze sono aperte e il rumore del traffico della città invade le stanze. Nella stanza di Gittel l'unico cambiamento è che la scrivania è ormai libera da libri e carte, e il tavolino da notte libero da medicine. Il letto è fatto. L'appartamento di Jerry è tutto per aria. Le valige semifatte e nulla è a posto; cassette per imballare qua e là. Jerry è in cucina, in maniche di camicia e sta imballando, lentamente, stovi­glie in carta di giornale. Gittel, nella stanza, sta mettendo via biancheria nelle scatole. È senza scarpe e guarita, si capisce che è triste. Lavorano così, separati e taciturni, fin­ché Jerry non rompe il silenzio dalla cucina. Il suo tono è demoralizzato e così quello di Gittel.

Jerry    E questa saliera, tesoro? La vuoi separata?

GittelSeparata da che cosa?

Jerry    Dai piatti.

GittelDirei di sì. Anzi, sì. [Riprendono i loro lavori in silenzio. Sono ambedue accaldati per il la­voro prosaico ed ingrato dell'imballare. Sono avviliti, ma nessuno dei due vuole ammetterlo, come se ci fosse qualcosa nell'aria che non vo­gliono affrontare. Poi Gittel monta su una sedia per tirare giù la tenda che faceva da arma­dio, e nel farlo da contro ad uno dei sostegni e la tenda casca giù. Gittel la afferra con la mano]  Aiuto...!

Jerry    [lascia di fare ciò che sta facendo e accorre] Che c'è?

GittelQuesta canna maledetta!

Jerry    [dà un respiro di sollievo]  Meno male!... Cre­devo che... [Prende la canna e i vestiti dalle mani di Gittel e li mette sul letto]  Non sono mai riuscito a fissarla bene. Forse, in cuor mio, sapevo che non sarebbe stato per molto... Ba­stano due viti e un... [Jerry è conscio degli occhi imbronciati  di Gittel su di lui]   Uhm?

GittelNiente. [Si guardano un momento. Qualcosa di non detto è tra loro. Poi Jerry l'afferra alla vita e la posa a terra].

Jerry    Tu rimani giù, scoiattolino.

Gittel [seccata]  Perché?

Jerry    Perché io ho scalato Long's Peak quattro vol­te. Sono abituato alle altitudini. [Sale sulla sedia e comincia a staccare la tenda].

GittelCredevi che volessi fare un tuffo di testa? Per tua disgrazia no.

Jerry    [la guarda di nuovo]  Che razza di discorsi sono?

GittelPer tua fortuna, voglio dire.

Jerry    Sciocchina.

GittelCos'è Long's Peak?

Jerry    Una montagna. Nel Colorado. Quattromilasei­cento metri. Sono andato su con le mani e coi piedi e sono sceso col...

Gittel [pausa]  E io sono andata in cima al grattacielo Empire State diciannove volte, e con questo?

Jerry    [sorride, scuote il capo e si volta per porgerle la tenda]  Ecco  qua.  [Ma  Gittel si è avviata in cucina imbronciata. Jerry pensa un momen­to, butta la tenda sul letto dove c'è il nudo materasso, poi guarda le tendine della finestra] Vuoi tirar giù anche quelle?

Gittel [fuori]  Quelle quali?

Jerry    Quelle della finestra.

Gittel [fuori]  Tu le vuoi tirar giù?

Jerry    [senza capire]  Sì.

Gittel [fuori]  Allora tirale giù.

Jerry    [aggrotta la fronte]  Cos'hai?

Gittel [corrucciata]  Una banana!

Jerry    Cosa?

GittelUna banana. [Entra mangiando una banana]  Ne vuoi un boccone?

Jerry    Ho detto cos'hai tu. [Porta la sedia sotto la finestra, ci monta su, e toglie la mantovana].

GittelOh, «io»!  E tu, cos'hai?

Jerry    L'ho chiesto io per primo.

GittelEcco ho... ho ho che vorrei sapere cos'hai tu.

Jerry    E io vorrei sapere cos'hai tu. E ciò chiude l'in­chiesta. Inchiesta infruttifera, eccetto che per la banana. [Butta sul letto le tende]  Vuoi an­che i sostegni?

[Gittel non risponde e dà un altro morso alla banana. Da sopra la sedia Jerry la guarda] 

Ehm?

GittelNon voglio niente. Se li vuoi tu?

Jerry    [pausa]  Rettifica. Se li vogliamo noi.

GittelCerto che li vogliamo. Costan denaro.

Jerry    E come. Dieci cents al paio. Prendo il caccia­vite. [Scende dalla sedia per avviarsi in cucina].

GittelAllora lasciali su.

Jerry    Voglio dire... cosa ce ne facciamo di tante cianfrusaglie — da te le tende ci sono — non vorrai spero...

GittelQuali cianfrusaglie? [Ha in mano le tende. Toc­ca  il tessuto]  È una stoffa ottima, è costata quarantasette cents al metro e in liquidazione! Ci potrei fare undici cose diverse.

Jerry    Nominane dieci.

GittelMille cose. Copri-letto, copri libri, copri cu­scini, copri teiera, avevo perfino pensato a del­le cravatte per te.

Jerry    [poco soddisfatto]  Beh!...

GittelNon ti va?

Jerry    Non mi vedo in tribunale con una cravatta co­sì.

[Va in cucina. Gittel da un morso all'ulti­mo pezzetto della banana e poi scaraventa la buccia fuori della finestra, siede cupa sul letto. Jerry torna col cacciavite e la osserva passan­do] 

Sarebbe meglio smettere per stasera, pic­cola. Hai la faccia stanca.

Gittel [testarda]  Non sono stanca!

Jerry    Allora perché hai  quella faccia?

GittelChe faccia?... Sono al settimo cielo!

[Jerry si fer­ma a guardarla prima di montare di nuovo sul­la sedia] 

Lasciami in pace. Mi ammazzi con troppe premure.

[Jerry rimane un momento a riflettere, poi con violenza pianta il cacciavite dentro la sedia e ce lo lascia; Gittel spalanca gli occhi. Jerry ora si è calmato e nel parlare non c'è veemenza di tono].

Jerry    In cambio delle tue punzecchiature.

Gittel [cupa]  Scusa.

Jerry    Dovrebbe essere un trasloco allegro, per an­dare a vivere insieme. Perché fare come se in­vece...

GittelMa chi vuoi che sia allegro! Ad ogni maledetto  asciugamano che  metto via mi sento mo­rire.

Jerry    [spiritoso]  È una sgobbata. Spezza il cuore di­struggere un focolare felice. [Cerca in tasca le sigarette]  Eppure, a modo suo, questo lo è sta­to. Non scorderò facilmente questa prima sta­zione di pronto soccorso.

Gittel  Ci sarà sempre la prossima.

Jerry    Quale?

GittelQuella che stiamo preparando per me.

[Jerry la guarda, accende la sigaretta e per evitare un argomento scottante rimonta sulla sedia con il cacciavite. Gittel riprende allegramente e con lena] 

Jerry! Ecco... Perché non ci sposiamo e non ci pensiamo più? Uhm?

Jerry    [si volta a metà e la guarda oltre la spalla]  Bi­gamia?!  Ohé, ho moglie.

GittelDopo il divorzio, naturalmente. Non sarò un piombo al tuo piede, sai. Ora che tu hai dato gli esami, lo sai che cosa voglio fare, subito? Stenografia!

Jerry    Stenografia! L'unica cosa che è mancata al no­stro idillio fin dal primo momento.

GittelCosì  quando aprirai il tuo studio io sarò là. Segretaria stenodattilografa, ti farò risparmia­te un sacco di soldi. E — appena la soffitta comincerà a rendere bene, il nostro apparta­mentino voglio metterlo su come mi intendo io. Verrà un amore.

Jerry    Non lo è già?

GittelÈ schifoso.

Jerry    Cos'ha di schifoso?

GittelÈ una topaia. Credi che non lo sappia? Caro, come fai ad avere un ospite se ogni volta un esercito di scarafaggi parte dal secchiaio per andargli a dare il benvenuto? È dai tempi di Noè che non ci è stato messo un po' di veleno.

Jerry    Per avvelenare chi?

GittelEh?...

Jerry    Per invitare, chi, volevo dire.

GittelBeh, chi vorrai. O chi dovremo invitare: clien­ti, soci, i Taubman, dei criminali forse, an­cora non sappiamo. Ma non potrai certo in­vitare in una topaia.

Jerry    [pausa]  No di certo. A un mio cliente tossico­mane e matricida non potrei certo imporre la vista di uno scarafaggio! [Con i supporti]  Dove li metto?

Gittel [ma Gittel sta piegando le tende mettendole in una cassetta, e Jerry scende dalla sedia]  Chissà,  un giorno  forse  potremo comperarci un vero appartamento, o anche un villino;  lo sai quel che vorrei nella casa nuova? Indovina!

Jerry    Il tuo Jerry!

GittelL'ascensore. Con l'ascensore allora sì che puoi invitare chi vuoi.

[Jerry butta i due supporti nel sacco di Gittel vicino alla radio portatile. La radio richiama l'attenzione di Jerry che la contempla e accarezza col pollice. Si accorge che Gittel lo sta osservando].

Jerry    [sorride ricordando]  Stavo pensando al giorno in cui me la lasciasti fuori della porta. Ci sia­mo tenuti buona compagnia. Mi dispiace che vada a finire tutta sola in qualche magazzino.

Gittel  Naa! Ci verrà utile, vedrai.

Jerry    [dolce]  Se è per delle cravatte di plastica per me, no, grazie. Ho posto per lei di là coi piat­ti. [porta la radio in cucina].

[Gittel, in gi­nocchio, comincia un'altra cassetta, mettendo via roba: libri, carte, ecc.].

Gittel [chiamando]  Jerry, e tutti questi conti? tele­fono, gas, elettricità...

Jerry    [fuori]  Lasciali a portata di mano, sono fatture che devo ancora pagare...

Gittel [le esamina una per una prima di metterle via] Pagare ora che te ne vai? Taglieranno tutto, che tu paghi o no. Lettere... [Ne spiega una di un celeste molto femminile]  «Jerry, mio diletto. Ieri...» Mamma mia! [La chiude in fret­ta senza leggerla, ma nel metterla via le capita tra le mani un documento legale legato su car­ta celeste che le solletica la memoria. L'ultima volta che ha visto quel foglio è stato a casa sua, Jerry lo aveva in mano. Legge, corrugan­do la fronte. Dapprima legge articolando solo le labbra, poi la voce diviene udibile]  « Quan­tunque la condotta della richiedente sia stata quella di una moglie devota e fedele nei ri­guardi del marito, questi è colpevole di atti di crudeltà nei riguardi della moglie avendone minato la pace [ora Jerry è sulla soglia della porta di cucina con una tazzina in mano]  con­trariamente ai fini del matrimonio. Per questi motivi il  Tribunale decide che  il  vincolo... »

Jerry    [completando la frase a memoria]  «...matri­moniale esistente sino ad oggi tra le parti ven­ga sciolto e annullato. E alla richiedente è ac­cordato il pieno divorzio. Eccetera, eccetera ».

[Un silenzio].

GittelPerché non me lo hai detto, Jerry?

Jerry    [pausa]  Volevo prima abituarmi all'idea, libe­rarmi, guarire. [Altra pausa].

GittelTu volevi che io non lo sapessi.

Jerry    Sì, finché non avessi superato la crisi. Lo sai cosa vuoi dire mai — mai più? Mai più for­ma un'ulcera  profonda, lenta a rimarginarsi.

GittelDopo cosa farai?

Jerry    Dopo?

GittelQuando l'ulcera sarà rimarginata.

Jerry    [pausa. Soave]  Una cosa alla volta.

GittelCome?

Jerry    Imballiamo   questa   tazza.   [Si   inginocchia  ac­canto a lei, vicino alla cassetta].

GittelFarabutto! [Jerry si volta, sempre in ginocchio, la fissa]  A lei invece le si dice tutto di me, vero? [Jerry continua a guardarla]  Le hai detto che sei venuto a vivere da me?

Jerry    [pallido]  Sì.

Gittel  ...perché ho avuto una emorragia?

Jerry    Non sono un farabutto...

GittelLe hai detto o non le hai detto della emor­ragia?

Jerry    Sì.

GittelE di questo — a me — niente! [Lo colpisce in piena faccia col documento. Jerry si china rigido. Gittel si alza e cerca le scarpe. Jerry si alza e butta con forza la tazza nella cassetta da imballaggio]  Fracassale tutte, ormai chi le vuole più?

Jerry    Gittel, cosa vuoi fare ora...

GittelAndarmene di qua, lontano da te, dalla ma­ledetta... [Ma il dolore è più forte di lei e non può continuare, come disperata]  Jerry, perché non hai detto niente?

Jerry    Non ho potuto.

Gittel [lo guarda e capisce. Finisce di mettersi le scar­pe e corre a prendere la borsetta]  Invece a lei si dice tutto di me, tutto. Se un giorno ci spo­seremo sarà lei la prima a saperlo! [Quando va per uscire Jerry le ostruisce il passo].

Jerry    Non ti muovere.

Gittel              Jerry, lasciami passare!

Jerry    Mettiti a sedere.

Gittel              Lasciami passare o non so cosa faccio!

Jerry    Passa pure, megera-attaccabrighe.

[Gittel gli dà uno schiaffo e lui resta impassibile; poi Gittel gliene dà un altro col dorso della mano e lui resta come una statua, poi Gittel cerca qual­cosa da tirargli addosso e nella scatola trova la tazza rotta. La prende, è pronta a scagliar­gliela, ma esita. Jerry, immobile aspetta] 

Dài. Guarda che ti sculaccio.

Gittel [scaglia con forza la tazza in cucina e si butta sul letto, distante, piangendo di collera]  Farabutto! In tutta la mia vita non ho ancora im­broccato un uomo buono! È ingiusto.

Jerry    Perché, secondo te, le ho detto della emorragia?

GittelPer provarle qualcosa, a mie spese.

Jerry    Per esempio?

GittelChe sei straordinario, premuroso, che non hai bisogno di lei.

Jerry    Le ho detto della emorragia perché anche lei aveva chiesto il mio aiuto. Mi vuole a casa.

[Gittel si volta nel letto e lo guarda].

GittelTi vuole a casa?

Jerry    Quando, finalmente, ha bisogno di me, e sono in grado di aiutarla... le ho dovuto dire di no, e il perché.

Gittel [un respiro profondo]  Bene! Un giorno tu mi hai detto — prova a chiedere qualcosa ad un uomo...

Jerry    È vero.

GittelTi voglio qui con me. Ti voglio « tutto » qui con me. Non mi contento della metà — vo­glio — [esita]  dimmi la verità, Jerry, non po­trai mai dirmi « ti amo », mai nemmeno una volta?

Jerry    [per Jerry è una tortura]  L'ho detto una volta sola in vita mia, bambina. È una promessa eterna.  [Ma quando Jerry  si avvia in cucina Gittel alza la  voce per  paura di non essere sentita].

GittelJerry, Jerry, dammi una opportunità, una sola! Jerry! Non continuare a prendermi in giro. È amicizia la tua? [Questa parola inchioda Jerry che si volta con gli occhi umidi]  Jerry, te lo dico chiaro e tondo — se vieni a vivere con me, io... non rinuncerò mai alla speranza di sposarti. Adesso parla chiaro tu. [Jerry in pie­di la fissa]  Jerry, mi sei amico?

Jerry    [alla fine]  Ti sono amico. Ecco, chiaro come vuoi tu, Gittel. Tu parli di amore, ma credo che tu intenda infatuazione. Per ora, « amore » significa molto, molto di più...

GittelPer me amore è bisogno, bisogno di qualcuno, disperatamente...

Jerry    Amore non è bisogno, amore è avere, avere avuto, avere avuto così intensamente, ogni giorno, ogni minuto, sempre da far di un uo­mo e di una donna una cosa sola, un corpo solo, un'anima, un intelletto solo. Amore è vedere con gli occhi dell'altro. A lei piaccio­no i ponti e io non posso vedere un ponte, qui a New York, senza diventare triste perché lei non lo può vedere. E mille cose come que­sta. Non è solamente un'amica, in certe cose è la mia nemica mortale,  ma è mia  moglie, cresciuta, sviluppata qui, dentro di me. Cosa potevo dirti? Che nonostante quel pezzetto di carta i nostri vincoli non erano sciolti? O che non dovrei voler bene alla mia mano destra perché l'ho perduta? Ecco cos'è amore per me, oggi.

[Gittel lo guarda un momento, poi chiu­de gli occhi].

GittelGlielo hai mai detto questo?

Jerry    Mai. Avrei dovuto dirglielo anni fa, ma allora non lo sapevo.

Gittel [si volta, si alza, sale sulla sedia alla finestra e guarda fuori per ritrovare se stessa]  Non mi sposerai mai, Jerry.

Jerry    Non posso, bambina.

GittelCome posso competere con lei? Con una emor­ragia ogni sei mesi? Intrappolarti in quel mo­do, ammalandomi sempre di più? Essere un relitto nelle tue mani, pur di averti d'attorno?

Jerry    Non mi muoverò finché avrai bisogno di me.

Gittel [si volta sulla sedia, lo fissa e intuisce la ve­rità]  E vuoi venire a vivere da me, anche adesso.

Jerry    Quello che  posso dare,  senza  chiedere  nulla in cambio, te lo darò...

GittelOh, Dio ora la intrappolata sono io!  [Pausa Jerry assente con la testa]  Per te, per te sarei capace di perdere il mio braccio destro... sarei capace...

Jerry    Sì. Saresti capace di perder... molto tempo. Stai diventando donna, bambina. E delle due cose che veramente desidero, una è vederti di­ventare donna. E soddisfatta.

Gittel [pur conoscendo già la risposta]  E l'altra co­sa?...

Jerry    Tess.

GittelJerry, Jerry, Jerry. [Lo guarda con gli occhi che le tremano, quel che sta per dire non è fa­cile a dirsi]. Non voglio le briciole, voglio qualcuno che un giorno... che un giorno possa dire a me le cose che tu hai detto a lei. [Prende la borsetta. È in piedi, non lo guarda]  Jerry, cosa ne diresti se ci dicessimo addio? [Si muove per uscire passandogli davanti, ma Jerry la fer­ma prendendole il viso nel palmo delle mani e scrutando i suoi occhi].

Jerry    Per chi lo fai?

Gittel   Jerry, è dall'ultima emorragia che non respiro a pieni polmoni. Devo uscire di qui a... respi­rare.

[Dopo un momento Jerry la lascia andare. Git­tel scompare silenziosa, dalla cucina e dall'appartamento. Jerry sulla porta la segue con lo sguardo, le mani appoggiate allo stipite della porta. Resta immobile finché le luci si spen­gono].

Scena III.

Le due stanze. Un grigio pomeriggio, pochi giorni dopo. La stanza di Jerry è completamente vuota eccetto per la valigia e la macchina da scrivere portatile e il telefono per terra, accanto alle suddette. Jerry non lo si vede, ma lo si può sentire in cucina.

Gittel, nella sua stanza, sta staccando dalla parete le foto di lei, ballerina. Fa questo con indifferenza, quasi la cosa non la riguardasse: qualcosa da fare mentre aspetta. Sta aspettando che il telefono squilli come lo dimostrano i suoi occhi rivolti all'apparecchio. Va con le foto al tavolino da notte, le lascia cadere nel cassetto e gira e rigira nervosa, per la stanza, guardando il telefono e l'orologio a sveglia. Nel frattempo Jerry, nella cucina buia, ha acceso un fiam­mifero e ispeziona per un'ultima volta. Quando entra è già pronto per andarsene, cappello in testa. Spegne il fiam­mifero scuotendolo; nell'altra mano ha le ultime cose di toeletta, cioè una spazzola, il rasoio, la crema per la barba, ecc. Mette tutto via nella valigetta della macchina da scri­vere, inginocchiandosi, lento e preciso. Poi guarda l'ora al braccio. Resta un momento, grave, da­vanti al telefono, poi prende il ricevitore in mano e forma il numero. Il telefono suona da Gittel e Gittel corre a ri­spondere sedendosi sul letto.

GittelSì, pronto? Jerry [pausa]  Cara, io qui ho finito e...

Gittel [a mezza voce]  Come va... Jerry...

Jerry    [pausa]  Alcune delle cassette... con cose... con le ultime cose che... sono in cucina. Lascio la chiave al portiere. Se c'è qualcosa che ti può servire...

GittelNon ho bisogno di niente.

Jerry    Ho detto « se ». [Pausa]  Ecco, se ti serve qual­cosa, qualcosa di importante, voglio dire, sono all'Hotel Commodoro a Lincoln. Il numero non ce l'ho, ma lo puoi chiedere alla signo­rina del telefono. Lincoln, Nebraska, non Nevada.

GittelNon Nevada.

Jerry     E non Omaha. Non ricascherò mai più in quell'errore.   Appena  avrò un  ufficio ed un   tele­fono ti manderò il numero. E se... se ti occor­resse qualcosa di urgente, senza tempo per te­lefonarmi, voglio dire, rivolgiti a Frank Taubman.  Siamo d'accordo  e non dovrai  spiegar­gli nulla. Telefonagli e basta.

Gittel [pausa]  Sì.

Jerry    No, promettimelo.

GittelPrometto. [Pausa]  Sta tranquillo per me, Jerry. Spero che tu trovi là quello che cerchi.

Jerry    Proverò. È un ritorno alla lotta. Le mie con­dizioni sono dure. Rifiuto di lavorare per Luciano e rifiuto di vivere a Omaha. Il nostro solo capitale sarà il mio lavoro. Comincio mol­to... modestamente: una scrivania, un telefono e una penna da scrivere. E quello che ho nel cervello.

GittelÈ assai.

Jerry    Farò tutto quello che posso per lei, senza chie­dere nulla in cambio. Vita nuova, anche per Tess.

GittelVoglio il tuo bene, Jerry.

Jerry    Anche tu, niente passi indietro, mi raccoman­do. E non ti arrendere neppure tu, capito?

GittelArrendermi? Sento in me mille vite, Jerry!

Jerry    Anch'io voglio il tuo bene, Gittel. New York è una grande metropoli e tu sei fatta d'oro zecchino, non ti buttar via. Troverai l'uomo per te, non può tardare.

GittelLo cercherò. Ora che ho di me una opinione migliore, mi farò più coraggio. Ti manderò una cartolina per il tuo compleanno, ogni tanto.

Jerry    Ogni tanto!

GittelDue volte alla settimana!

Jerry    [si strofina gli occhi, è emozionato]  Gittel, quel­lo che sto per fare... in certi momenti, credimi Gittel,  quasi...

GittelQuello che stai per fare è ben fatto, Jerry. E nemmeno io, sai, voglio elemosina. È nociva.

Jerry    Se lo so!

GittelE d'ora in poi non ne voglio più fare. Voglio trovare un uomo che abbia cura di me e che sia tutto mio. Me lo hai insegnato tu. Non un Sam o un Sergio, tra tutti e due non sapreb­bero avere cura di un cane. La vita mi appare diversa ora. Jerry, mi hai fatto un gran bene!

Jerry    Davvero? Dio! Se potessi credere che uno ha aiutato un po' l'altro, anche solo un po­chino...

GittelSei stato un grandissimo aiuto, Jerry, è la pri­ma volta che ne esco più ricca di quando ho cominciato. Chiunque sarà dovrà esserti grato!

Jerry    [pausa. Umile]  Grazie per queste parole. Tess non saprà mai quanto deve a te. « Dopo il... [cerca di ricordare]  dopo il verbo amare il ver­bo aiutare... è... »

Gittel [pausa]  Cos'è, Jerry?

Jerry    «...è il più dolce da pronunciare ». Qualcuno ha detto così. Gittel. [Guarda l'ora]  Gittel. Addio, bambina.

Gittel [cerca di dire addio, ma gli occhi le si riem­piono di lacrime; il cuore la soffoca in bocca e lotta disperatamente per contenersi, ma non può]  Jerry, ti amo!

[Jerry è rigido. Ci vuole un momento prima che lei possa continuare]

Voglio che tu ricordi, finché vivi, che l'ultima cosa che ti ho detto è « ti amo »!

Jerry    [lunga pausa]  Anch'io ti voglio tanto bene, sciocchina!

[Mette giù il ricevitore e per un momento nes­suno dei due fa una mossa. Poi Jerry mette l'apparecchio per terra e accende una sigaret­ta. Dalla prima aspirata ci rendiamo conto di quanto avesse bisogno di fumare. Dopo un'al­tra aspirata si inginocchia di nuovo, chiude la valigetta della macchina da scrivere, poi si al­za. Prende una valigia per mano, sigaretta in bocca, e dà un ultimo sguardo intorno di con­trollo; nel frattempo Gittel non ha messo giù il ricevitore. Con la mano toglie la comunica­zione e riforma in fretta il numero di Jerry, ma al primo squillo con decisione mette giù il ricevitore. Jerry si sta avviando all'uscita con valigia e valigetta quando sente l'unico squillo. Si ferma, senza posare le valige, fissa il telefono a lungo. Gittel è seduta, la testa al­ta, occhi chiusi. Nessuno dei due si muove. Poi Gittel toglie la mano dal telefono. Jerry si volta ed esce dall'appartamento].


1   Nel 1958, anno della prima rappresentazione della commedia, che è stata poi pubblicata nel 1959 [n. d. T].

1   Lett.:  « Ma io intendevo solo cambiare compagne di letto » [cioè le cimici]  [n. d. T.].

1   Lett.: « Ma nessuna monogamia » [n. d. T.]. 48

1   La traduzione letterale è: « Lei aprì tutta ansiosa la scatola che l'amante le aveva portato in regalo, perché sperava di trovarla piena di dolci; invece al posto dei dolci, riconosce il cervello conservato del padre infedele che era scappato per raggiungere una gang di delin­quenti minorenni. A questa vista lei caccia un grido e... ». Ho pre­ferito sostituire a questa traduzione, quella della prima versione, in cui appunto si trova « il famoso diamante » ecc. [n. d. T.].

1   Oppure:  « Hai l'aria pestata » [n. d. T.].