Due ladri e una ballerina

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DUE LADRI E UNA BALLERINA

DUE LADRI  E  UNA  BALLERINA

Avventura in un atto

di Mario BUZZICHINI

PERSONAGGI

Prima signora

Il fattorino

Primo passeggero

Secondo passeggero

Terzo passeggero

Filippo

Max

Seconda signora

Quarto passeggero

Quinto passeggero

                                                                 

Le voci e i rumori dell'interno di una vettura tramviaria sa­ranno la « quinta sonora » di sfondo al dialogo di Filippo e Max. Questo breve dialogo si svolgerà a bassa voce, ma nettamente rapido, interrotto da lunghe pause.

Prima signora                - Via Imbriani?

Il fattorino                    - La prossima fermata.

Primo passeggero          - Ha letto sul giornale?

Secondo passeggero     - Impressionante.

Terzo passeggero          - Moneta, per favore. (Suono di campanello. Stridìo e soffio di freni).

Filippo                           - Il signore a destra.

Max                               - Attento. Il bigliettario ci osserva.

Il fattorino                    - Biglietto, signori.

Primo passeggero          - L'altro ieri.

Seconda signora            - Via Imbriani, la terza a destra.

Secondo passeggero     - La politica dell'Inghilterra.

Filippo                           - Non aspettiamo troppo. La vettura si sfolla.

Max                               - Dopo quest'altra fermata.

Il fattorino                    - Biglietto.

Terzo passeggero          - Non spinga, perbacco, dove vuol che vada?

Quarto passeggero        - Permesso?

Il fattorino                    - Signori, biglietto.

Seconda signora            - Ahi!

Terzo passeggero          - Dovrebbero vedere il numero dei posti.

Quarto passeggero        - Scusi, permesso? (Campanello. Soffio dei freni allentati).

Secondo passeggero     - Io l'avevo pensato: il Giappone.

Prima signora                - Scendo ora. Grazie.

Seconda signora            - Parallela a via Quintino Sella.

Max                               - Pronta la lametta?

Filippo                           - Pronta.

Il fattorino                    - Non ho moneta.

Terzo passeggero          - Ma che educazione, perbacco!

Primo passeggero          - Ora bisogna veder l'atteggiamento degli industriali.

Prima signora                - Arrivederla. Grazie. (Campanello. Freni).

Max                               -  Ecco.  (Pausa).  Fatto.  L'ho  in mano io.  Presto  a uscire. (A voce alta) Permesso, scusi... Permesso.

Il fattorino                    - Biglietti, signori.

Secondo passeggero     - Ho ancora da vedere la posta.

Il fattorino                    -  ...e cinquanta, una lira. Signori, biglietti.

Quinto passeggero        - (con un grido) Il portafoglio! Il mio portafoglio !

Voci di tutti gli altri      - Che è? - Che è stato?

Quinto passeggero        - Qui, vede. Con un rasoio.

Voci                              - Con un rasoio? Che cos'ha perduto? Quando?... Ma è sicuro?... - Tagliata la giacchetta? - Che è suc­cesso?  - Impossibile... - Ora, qui?

Quinto passeggero        - I due... quei due che sono discesi ora... Mi hanno urtato... Quei due... là, eccoli là. (Gridando) Ferma! Ferma! Al ladro!

(Scalpiccio,  rumori della strada,  motori di auto, clacksons, scampanellìi).

Voci                              - Quali? Quei due.- Che audacia.

Scappano. Telefonate. - Malfattori. Un vigile, non c'è un vigile? In piena città!

Che è stato? Pare impossibile. - Li stan­no rincorrendo. - Un portafoglio. Là, hanno girato quel cantone. - Un'auto, un tassì, presto! Sul tranvai. Oh, non li acchiapperanno. Con un rasoio. Parevano saette. Dove sono? Ma non c'è una guardia, possibile?... Ha sentito urtarsi. Ma chi li prende?

Quinto passeggero        - Al ladro! Al ladro! Cor­rete! Quelli là! Sì, quelli. Ferma, ferma.

(Il frastuono e le voci a poco a poco si af­fievoliscono: su essi si sente affiorare sempre più nettamente lo scalpiccio di quattro piedi in fuga e l'ansimare dei due fuggiaschi).

Max                               - (col fiato mozzo) Accidenti! Un buon allenamento olimpionico sui millecinquecento metri.

Filippo                           - Zitto, bel moretto, risparmia il fiato.

Max                               - Ormai son lontani.

Filippo                           - Non fidarti, Max. Gira ancora a destra.

Max                               - Scoppio.

Filippo                           - Scoppia girando a destra.

Max                               - Filippo, qui siamo nel buio più per­fetto.

Filippo                           - Quello che ci vuole.

Max                               - E se inciampo? Mi seccherebbe. C'è fango. Sai che ho addosso il vestito di Sir Ro­bert Gilbertson.

Filippo                           - Quando si lavora, bando all'ele­ganza !

Max                               - Non è vero. Un certo stile va bene sempre. Io, per esempio, adesso ho il colletto bagnato di sudore, e ti giuro che mi fermo.

Filippo                           - Qui posso concedertelo. Sentiamo se qualcuno arriva.

Max                               - Sentiamo.

(Calma. Lontano, il ballabile di un disco di grammofono: un lontano suono di tromba di tassì).

Max                               - Nessuno. Auff, che trottata.

Filippo                           - L'amico se n'è accorto subito. Gri­dava come un'aquila.

Max                               - Per fortuna c'erano queste strade de­serte a portata di gambe.

Filippo                           - Zitto ancora un momento.

(L'orologio di un campanile batte nove colpi).

Max                               - Già le nove! Pare impossibile che noi sì debba lavorare sempre alle ore più sco­mode.

Filippo                           - Hai fretta? Mariarosa ti aspetta a cena?

Max                               - No, e poi l'ho abituata ad aspettare.

Filippo                           - Non fare lo spaccone, Max.

Max                               - Perchè dici così?

Filippo                           - Perchè sei sempre stato schiavo delle donne. Bravo ragazzo, svelto, coraggioso, ma uno straccio di fronte alle gonnelle.

Max                               - Uno straccio... puah, che espressione da rigattiere.

Filippo                           - Mi hanno detto che a Parigi Max-bel-Moretto ha trascurato anche qualche lavoro in grande stile per le donne.

Max                               - Ebbene... sì! Non lo nego. Anche in quel campo, certe volte, c'è da far dei colpi che ti danno soddisfazione. Basta, guardiamo questo di stasera come è andato.

Filippo                           - Andiamo là, fra il lampione e la staccionata.

Max                               - Quanto fango. Questa periferia così maltenuta è proprio roba da ladri da strada maestra. Il Comune dovrebbe pensarci. Non ci merita.

Filippo                           - Il portafoglio?

Max                               - Eccolo. Ahi, ahi... Soldi, pochi. Cento lire. Bell'affare. Tessere. Accidenti. Bi­glietti di visita. Lettere. Accidenti. Una lettera ancora chiusa. Ma guarda un po' che male­detta guignel

Filippo                           - Aspetta a stracciare quella lettera.

Max                               - Euh. Non è una raccomandata.

Filippo                           - Non importa: aprila.

Max                               - Eccola aperta...

Filippo                           - Non si sa mai.

Max                               - Lettera dì donna... (Con sorpresa) Toh, vedi chi è! Vedi, vedi questa firma: «Ma­rion Dixbill».

Filippo                           - La ballerina?

Max                               - Lei. Proprio la firma riprodotta sui manifesti. Vedi infatti la carta delle Folies.

Filippo                           - Strano che il piccioncino avesse così pochi soldi in tasca.

Max                               - Lo avremo sorpreso «dopo la cura».

Filippo                           - Una star come Marion Dixbill deve costare, e...

Max                               - (interrompendolo) Ecco, ecco... leg­gi... stai a sentire... Che cosa ti dicevo? Dopo la cura! Senti, senti che cosa dice... (Con un crescendo di sorpresa) Oh, oh... oh... senti... ma ascolta... oh, oh, oh!

Filippo                           - Avanti, dunque, che cosa dice?

Max                               - (con viva emozione) ...Incredibile! «Vi restituirò i gioielli...». Ma è meraviglioso! «...Non mancate... vi prego, non mancate». Ah! È davvero sorprendente!

Filippo                           - Insomma, fai vedere anche a me; tu hai già letto.

Max                               - Rileggo. Non so convincermi. Una tal fortuna!... Sì, sì, aspetta, ti leggo io. «Riccar­do, my dear, diletto... ».

Filippo                           - (con impazienza) Va bene, grazie, avanti.

Max                               - «... Voi sapete che io vi amo, e quan­to; ma sapete anche che ciò deve finire. Deve. È arrivata l'ora. Forse avrò forza, dear. Pas­sate stasera dopo il mio " numero " dal mio camerino:  vi restituirò i  gioielli...».

Filippo                           - Eh?!

Max                               - Sì ! «... Vi restituirò i gioielli che non posso, assolutamente non posso tenere con me. Non mancate, vi prego. Molte tristezze affet­tuose dalla vostra...».

Filippo                           - (con ansietà) Ebbene? E ora, tu? !

Max                               - Eh, già: io.

Filippo                           - Tu pensi...?!

Max                               - Precisamente: penso.

Filippo                           - Tu andrai là?

Max                               - Un obbligo di cortesia. Nota come prega di non mancare.

Filippo                           - È pazzesco.

Max                               - È semplicemente audace.

Filippo                           - E se trovi l'altro?

Max                               - Non è probabile. La lettera era chiu­sa. Si vede che il signor Riccardo De Semblat ha avuto nella giornata affari più importanti dell'amore. Forse sarà in teatro. Ma io filerò in camerino prima del « numero » di Miss Dix-bill e mi sbrigherò rapidamente. Sarò un amico di Riccardo arrivato in macchina, che deve ri­partire, e che ha fretta.

Filippo                           - E credi che ella ti consegnerà...?

Max                               - Questo poi non so. Lo spero. Le mo­strerò la lettera. D'altronde le donne innamo­rate di solito non sono molto perspicaci.

Filippo                           - E se...?

Max                               - Insomma, basta con le obiezioni. Si risica. Se va, va. È il mestiere.

Filippo                           - Rene, questo è giusto. Mi piace.

Max                               - Lo spettacolo è cominciato alle nove.

Filippo                           - Sono le nove e dieci.

Max                               - Debbo darmi una spazzolata.

Filippo                           - Sei già elegantissimo. Sir Gil-bertson aveva un gusto tutto particolare. Sa­rebbe bella fosse in teatro e riconoscesse per esempio la sua cravatta.

Max                               - Dovrebbe provare a dirmi qualcosa. Lo metterei a posto. Ladri in guanti gialli: un modo di dire. I guanti non c'entrano: è tutta quistione d'educazione... Ecco, sono pronto. Addio.

Filippo                           - Addio, Rei-Moretto. Giudizio.

Max                               - Non pensarci.

Filippo                           - In bocca al lupo.

Max                               - Se riesco avrai la tua parte.

Filippo                           -  (la sua voce si allontana) Ti aspet­to all'Isola Rossa fino all'una. Se no domattina da Giacomino.

Max                               - Va bene. Se Mariarosa è all'Isola, av­vertila. Ruona notte.

(/ suoi passi risuonano nella strada solitaria. Si cominciano poi a mescolare con i rumori del­la strada, appena Max gira la cantonata di una arteria affollata: fragore di ruote, campanelli di tranvai, scalpiccio di pedoni, trombe e clacksons).

Max                               - Tassì!

(Rumore di una macchina che si avvicina, si ferma. Ansare del motore tenuto acceso. Colpo dello sportello richiuso).

Il guidatore                   - Dove andiamo, signore?

Max                               - Folies Rergère.

(Motore accelerato, clacksons. Rumori della strada: più forte la tromba della macchina su cui viaggia Max. Max fischietta a fior di labbra un facile refrain: poi:)

Max (a se, baldanzoso) Bene, bene, e ora conosceremo anche la signorina Marion... (Al guidatore) Di', autista... (A se) Meglio infor­marsi... (Al guidatore) È questo, nevvero, il rouli-rouli di Marion Dixbill: tarai-taratèro... (accenna il motivo).

Il guidatore (con entusiasmo) Oh, sì, sì, signore: tar aitar aita... (accenna la successiva frase musicale).

Max                               - Sei andato a vederla, eh?

Il guidatore                   - Sette volte, signore; tarai, tarai...

Max                               - Ti piace?

Il guidatore                   - Più... di Greta Garbo! È la donna più bella del mondo, signore! Il mio tipo.

Max                               - Attento, per poco non entri in una vetrina.

Il guidatore                   - Siamo arrivati, signore. (Scat­to della maniglia della portiera, che poi viene richiusa con un colpo. Intanto:) Lei va a ve­derla adesso? La invidio.

Max                               - La saluterò per conto tuo. Quanto il tassametro?

Il guidatore                   - Cinque e cinquanta... Tarai-taratèro... Grazie, signore. Buon divertimento. Tor aitar aita... (Motore che riparte. Passi di Max nell'atrio).

Max                               - Una poltrona.

Il bigliettario                 - Esaurite. Una poltroncina? Centododici? Duecentouno?

Max                               - Lo stesso.

(Breve intinnìo di soldi. Passi di Max).

La maschera                  - Uno.

L'inserviente                 - Centododici, a destra.

(Altri pochi passi. Colpo sordo di una porta imbottita. Si ode improvvisamente una musica e un coro di cosacchi).

L'inserviente                 - (sottovoce) Ecco, da questa parte, si accomodi.

Max                               - No, aspettate, non seggo. A che nu­mero del programma siamo?

L'inserviente                 - Quinto numero.

Max                               - Marion Dixbill?

L'inserviente                 - Nella seconda parte.

Max                               - Ma è arrivata in teatro?

L'inserviente                 - Credo di sì. Ma scusi, usciamo, qui si disturba. (Colpo della porta imbottita. Il coro giunge ancora, ma attutito).

L'inserviente                 - È entrata la signorina Dix­bill?

La maschera                  - Sì. (Riprendendo a segnare chi entra) Due ingressi. Stampa.

(Passi. Colpi della porta imbottita seguiti da ondate di musica).

Max                               - Debbo parlare alla signorina Dixbill.

L'inserviente                 - Adesso? Non so se potrà.

Max                               - Oh, potrà certamente.

L'inserviente                 - Sentiamo. Il suo nome?

Max                               - Non importa. Ditele, un amico di Riccardo... Riccardo De Semblat.

L'inserviente                 - (con improvvisa premura) Ah, il signor conte!

Max                               - Lo conoscete?

L'inserviente                 - Il signor Riccardo? Oh, sì. Capisco. Si accomodi... Venga... venga intanto in palcoscenico. La signorina starà vestendosi. Ora sentiremo. È un affare urgente? Sì? Urgen­tissimo? Credo che la riceverà; benché prima di scena non voglia veder nessuno. Ma per il signor conte... Ecco, ora sentiremo. Aspetti qui un momento.

(Durante questa battuta si sarà sentito il chiu­dersi di due o tre porte, il bisbiglio e lo scalpic­cio degli attori e dei macchinisti, la fine del coro che ora viene seguito da un cakewalk. Pausa).

L'inserviente                 - Ecco, signore. Venga avanti. Si accomodi... Passi. (Pausa).

Max                               - È permesso?

Marion                          - Avanti.

(Pausa).

Max                               - Permette?... Ernesto Matrice.

Marion                          - Piacere. Si accomodi.

Max                               - Grazie.

Marion                          - Lei... da parte di Riccardo?

Max                               - Sì, signorina... Ho un incarico...

Marion                          - Io l'ascolto, continuando la mia toletta.

Max                               - (con lieve imbarazzo) S'immagini, prego, molto...

Marion                          - Molto...? (Alla cameriera) Gina, la crema.

Max                               - (c. s.) Molto piacevole... Sì, assistere alla toletta di una signorina...

Marion                          - È di questo genere l'incarico di Riccardo? (Ride).

Max                               - (riprendendosi) • Oh, no, signorina... Quello che mi ha dato il mio caro Roberto..., pardon, il mio caro Riccardo... è un incarico strano e delicato. Io sono molto amico di Ric­cardo, signorina... un fratello, le giuro, un fra­tello di latte...

Marion                          - Strano. A Riccardo non piace il latte.

Max                               - È stato questo l'unico dissidio di tutta la nostra vita. Quanto al resto siamo stati sem­pre così vicini! Egli mi ha confidato sempre tutto della sua vita, i suoi segreti più gelosi, i suoi pensieri più intimi.

Marion                          - Ernesto Matriciò...

Max                               - Matrice.

Marion                          - Strano. Non ho mai sentito questo nome. Riccardo non mi ha mai parlato di lei.

Max                               - Lo credo. E sa forse perchè?... Per­chè... è geloso! Sì, geloso. Il suo affetto per me, la sua intrinsichezza, il suo bisogno di con­fidenza sono tali, che egli dubita che dalla co­noscenza di altri possa nascere, come spesso ac­cade, qualche malumore, qualche malinteso, qualche gelosia... qualche panne, insomma, per la nostra amicizia! D'altronde ne vuole una prova? Guardi qui, prego.

Marion                          - (vivacemente, con un lieve grido di sorpresa) La mia lettera?

Max                               - Sì, signorina.

Marion                          -  (turbata) E lei viene per quella?

Max                               - Precisamente.

Marion                          -  (c. s.) Perchè... Lei sa?

Max                               - (gravemente) Certo. So. Appena ha ricevuto questo biglietto, Riccardo l'ha passato a me. « Stasera non potrò andare da lei », mi ha detto...

Marion                          - E perchè non è potuto venire?

Max                               - (con imbarazzo, ma improvvisando feli­cemente; con slancio) Non... non me lo chieda !

Marion                          - 0 bella. Perchè?

Max                               - (sincero) Perchè non potrei dirglielo. È... è un segreto. D'altronde lei lo saprà. Pre­sto. Domattina, probabilmente.

Marion                          - (seccamente) Lei parla per enigmi. La avverto che io non posso sopportare più nemmeno quelli di Riccardo, i suoi misteri, i suoi raggiri. Basta. L'ho amato, lo amo... sì, lo. amo con tutto il cuore! (Chiamando la came­riera) Gina, le calze. Ma basta! Non voglio per­dermi. Glielo dica. Egli sarebbe dovuto venir qui stasera...

Max                               - È quello che gli ho detto anch'io.

Marion                          - E lui?

Max                               - Lui invece mi ha detto: «Va'!... va' tu!... ».

Marion                          - (sorpresa) Ah, sì?

Max                               - (audacemente) Sì, « va' tu ! » ha det­to. «Vuole renderti i gioielli? A tutti i costi? D'urgenza? («Non mancare», lei gli ha scritto). Ebbene, li renda. Li consegni a te! Subito! Il denaro mette ombre spesso terribili... Voglio spazzarle!».

Marion                          - (palpitante) Lui ha detto così?

Max                               - (solenne) Così... (Con calda improv­visazione) « Ella », mi ha detto, « ha forse l'or­goglio di lasciarmi da pari a pari... senza trat­tenere nulla del mio... nemmeno un anello...».

Marion                          - (sempre più agitata) Ha detto co­sì... lui?

Max                               - Lui... « Nemmeno una spilla con bril­lanti... nulla! Ebbene, ti renda tutto. Domani mattina passerò io a salutare la donna orgo­gliosa che forse non mi ha mai amato!».

Marion                          - (vicina a scoppiare in lagrime) Lui... lui... così vi ha detto?

Max                               - L'ha detto. Lo giuro.

Marion                          - (con uno scoppio di pianto) Ah, cattivo! cattivo! cattivo!... Non capisce, non ha capito niente di me. Mai. Ecco i suoi gioielli... eccoli...

Max                               - (ansimante) Oh...

Marion                          - Ecco... anche questo braccialetto... anche questo anello...

Max                               - Anche quell'orologio?

Marion                          - No, quello non è suo... Ecco. Tutto. Non ho più nulla di lui. Cattivo. Ma glielo dica. (Con impeto) Non sa quanto ho sofferto! Non sa quanto soffro! L'orgoglio? Sciocchezze. Non ricorda quante volte mi sono umiliata di fronte a lui. Non arriva a pensare che batta­glia con me stessa ho dovuto sostenere per giun­gere a ciò, a restituire quei gioielli. A parte il loro valore, essi erano la testimonianza del suo amore, forse della sua follìa. Io ho vent'anni, signore. È stato il mio primo amore, lo giuro. Lei sa che cos'è. Ma non potevo, lei capisce, non potevo più tenerli. Non volevo perdermi. Mi scottavano. Diventare complice sua, mai! Lei sa che cos'è perder la testa. Un momento. Lo amavo; ma non potevo; no! Ho passato not­tate insonni. Mi crede? Non ho avuto più bene, non ho avuto più pace, per questi gioielli, fino dal momento in cui ho saputo che essi erano rubati.

Max                               - (trasalendo) Eh?

Marion                          - Come «eh?».

Max                               - (imbarazzato) Già.

(Pausa).

Marion                          - (trasalendo a sua volta) Come... ma lei non sapeva?

Max                               - (come sopra) Io?... certo... perbacco, vuole che non sapessi? Sapevo... ma non sa­pevo che fossero proprio rubati.

Marion                          - E che cosa allora?

Max                               - Truffati, semplicemente.

Marion                          - Non so precisamente come sia an­data questa storia... So solamente che è stata una cosa losca... Me lo hanno detto, che Ric­cardo è sull'orlo del precipizio per me! (Scop­pia di nuovo in lagrime).

Max                               - (con imbarazzo, ma con dolcezza; con calore crescente) Suvvia, si calmi... È triste, non posso negarlo... ma si calmi... Che cosa posso dirle?

Marion                          - (sempre fra le lagrime) Niente, niente; che vuol dirmi? È finita.

Max                               - Lei non sa come vorrei trovare una parola... Non sa come mi dispiace vederla così addolorata... Veder piangere questi occhi, ' gli occhi più belli d'Europa.

Marion                          - Lasci stare.

Max                               - No, permetta, permetta che glieli ac­carezzi. E poi sciuparli per Riccardo.

Marion                          - Perchè dice così?

Max                               - Perchè... perchè questo francamente non doveva farlo: rubare! (Scandalizzato) Ru-ba-re! Mi permetta di dirlo: orrore!

Marion                          - Non sia severo. Nella vita non si sa mai.

Max                               - Ha ragione. Non lo dico per me. Sono sdegnato per lei, cara. Mi permetta di chiamar­la cara. Mi dia la sua mano. È così dolce, lei, così buona. Sembra \ma bimba. Mi sorprende, creda, che ella abbia potuto innamorarsi così follemente d'un...

Marion                          - Un...?

Max                               - (schizzinoso) Un disonesto.

Marion                          - Questo, che c'entra?

Max                               - C'entra, mi pare: scusarlo è un conto, ma affidare il suo cuore a un uomo simile...

Marion                          - ... Ma non so. Non so precisamente come in me a poco a poco si è sviluppata que­sta gran fiamma, dal momento in cui io ho sa­puto...

Max                               - Come, prima non lo amava?

Marion                          - Ripensandoci, credo che potrei dire di no. Una cosa tiepida. Lei capisce. Ric­cardo era un'uomo qualunque. Sono così uguali, così monotoni, spesso, gli uomini.

Max                               - Gli uomini onesti.

Marion                          - Non voglio dir questo. Comunque, io non ho conosciuto che uomini freddi, aridi, calcolatori, senza incognite, senza sorprese...

Max                               - E quanti uomini ha conosciuto? Fan­ciulla terribile. Io, in Riccardo, sarei stato ge­loso.

Marion                          - Lo era.

Max                               - (con calore) Pazzamente geloso, Ma­rion!

Marion                          - Ma ciò non bastava a dare vibra­zioni al nostro amore. Invece appena seppi...

Max                               - Mi dica: quando seppe...?

Marion                          - ...Il mio cuore ne fu sconvolto. Pensai che egli precipitava per me. Oppure, no, non fu nemmeno questo che io pensai. Signore, non so che cosa pensai, non so che cosa suc­cesse in me stessa. Forse fu romanticismo... forse fu morbosità... Io Sono sempre stata così. Da piccina mi divertivo al temporale. La notte mi eccitava. Così, allora, la vita di Riccardo, segreta e drammatica, mi apparve con un fa­scino torbido e nuovo, piena di zone buie, nelle quali egli appariva e spariva suggestivamente. Una curiosità nuova, sottile, piena di calore, mi conquistò a poco a poco. Lo guardavo negli occhi cercando di indovinare quali oscuri pen­sieri passassero dietro quella fronte. A volte gli prendevo la testa fra le mani, così...

Max                               - Marion!

Marion                          - E me la appoggiavo sul petto, con un'emozione, con un brivido mai provato, pen­sando all'uragano che sconvolgeva la sua vita, ai pericoli, ai dubbi, al suo tormento segreto, alle ore gravi del suo domani che egli dimenti­cava per me.

Max                               - E fu così che lo amò?

Marion                          - Si! Appena nella nostra vita entrò l'incognita, l'avventura, il romanzo... lo amai, sì, lo amai pazzamente!

Max                               - Marion!

Marion                          - Ed è stata veramente una pazzia, sa... Ma., ahi, non mi stringa così questa mano.

Max                               - Scusi, la prego... la lasci fra le mie.

Marion                          - Ma perchè? Lei... in un momento come questo insidierebbe Riccardo?

Max                               - No... non lo insidio: lo invidio! Lo invidio, Marion, con tutte le forze: essere riu­scito a interessare, a conquistare lei, così... con così poco.

Marion                          - Che cosa vuol dire?

Max                               - Non mi domandi.

Marion                          - Ricomincia con i rebus?

Max                               - (agitato) Stasera non so che cosa ho... Lei dice, cara... Ma lasci, prego, questa mano nelle mie... Lei dice: «incognita», «romanzo», «avventure»... Ma faccia il piacere. Quale ro­manzo? Quali avventure? Riccardo... non so bene... ma non sarà infine che il solito impie­gato infedele. Che fascino può avere un uomo simile ?

Marion                          - Perchè dice questo? Per me l'ha avuto.

Max                               - (con calore sempre maggiore, trascinato dal dialogo stesso, dal desiderio di Marion) Mi fa ridere. Perchè lei non avrà mai vissuto un vero romanzo, non avrà mai conosciuto una vera avventura...

Marion                          - Può darsi.

Max                               - Non avrà mai incontrato un vero ladro !

Marion                          - Un vero ladro?

Max                               - Sì. Un ladro... professionista. Un la­dro, insomma.

Marion                          - Taccia. Mi fa venire i brividi... Ma vede, è appunto questo brivido. Che cosa le dicevo dianzi? Forse, il fatto è che sono ter­ribilmente romantica.

Max                               - È terribilmente... deliziosa. Terribil­mente: è la parola. Quella di Riccardo? Roba da ridere. Ogni pazzia per lei, Marion, è poca cosa. Poca cosa, creda, Marion.

Marion                          - Oh, ma che fa ora?... Mi lasci.

Max                               - Marion, la prego...

Marion                          - Mi lasci.

Max                               - No! Ho da dirle una cosa in un orecchio.

Marion                          - Che cosa?

Max                               - Questo: lei mi respinge. Io non la interesso: ma se lei sapesse...

Marion                          - Che cosa?

Max                               - Che anch'io, come Riccardo...

Marion                          - Che dice?

Max                               - È giusto: che cosa dico? Riccardo, un falso conte, un truffatorello, un impiegato infedele; auh, niente da far con me. Mi in­tende, Marion?

Marion                          - Non capisco.

Max                               - È naturale. Se le dicessi...

Marion                          - Ma dica!

Max                               - Che io, sì, sono un ladro!

Marion                          - (trasalendo) Lei?

Max                               - (ormai fuori di se) Io, sì, Marion. Vi racconterò. Vi interesserà. Vi amo. Vi de­sidero pazzamente, Marion.

Marion                          - Voi...? Un ladro?

Max                               - Sì. Non mi scapperete. Non vi la­scerò questa mano, cara! Vi dirò, sì. Io sono un ladro, un ladro vero, un autentico ladro.

Marion                          - No!

Max                               - Sì! Tutto quello che vi ho narrato è falso. Il nome, falso. L'amicizia con Riccardo, inventata. Riccardo non lo conosco. È uno dei babbei che si lasciano mettere le mani in tasca. Sì, io, proprio io, sapete, gli ho rubato stamani il portafoglio. La vostra lettera era dentro. Ascoltatemi. Questa è l'avventura. Questo è il coraggio. Questo è il romanzo. Amare un donna e mettersi nelle sue mani. Voi siete romantica? Ebbene non sentite un che di eroismo appas­sionato in tutto questo? Io vi amo. Dite, Ma­rion, dite!

Marion                          - (all'improvviso, con uno strillo acu­tissimo) - Ah ! ! !

Max                               - (disperato) Marion!

Marion                          - Al ladro! Al ladro!

Max                               - Tacete! Io... per voi...

Marion                          - Al ladro! Al ladro! Al ladro!

(Breve pausa. Poi il cominciare a udire il tramestìo della gente che accorre).

Max                               - (con voce allarmata e angosciata, sbat­tendosi la porta alle spalle) Ah, le donne!

(Colpo di porta sbattuta mentre il brusìo au­menta. Mormorio, nocche sulla porta).

Voci                              - Che c'è? Dove? Un ladro? Signorina! - Quello là? Maledizione!            - Fugge!- Ferma! Ferma!

(Confusione altissima. Scalpiccìi, cigolìi, altri colpi di porte sbattute misti a ondate di jazz, dal palcoscenico).

FINE