Ebbrezza

Stampa questo copione


EBBREZZA

Dramma in quattro atti e otto quadri

di AUGUSTO STRINDBERG

PERSONAGGI

Maurizio Gerard, autore drammatico

JEANNE - MARION, sua figlia

ADOLFO, pittore

ENRICHETTA MAUCLERC, scultrice

EMILIO, fratello di Jeanne

LA SIGNORA CATERINA

L'ABATE

UN COMMISSARIO DI POLIZIA

PRIMO AGENTE DI POLIZIA

SE­CONDO AGENTE DI POLIZIA

UN GUARDIANO DEL CIMITERO

UN CUSTODE DEL GIARDINO DEL LUSSEMBURGO

UN CAMERIERE UNA DOMESTICA

L’azione si svolge a Parigi

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

II viale superiore dei Cipressi nel Cimitero Montparnasse di Parigi; nel fondo sepolcreti, lapidi, croci, ecc., e le rovine di un molino, coperte di edera. Su una croce di pietra si legge l'iscrizione: « O Cruxl Ave, Spes unica! ».

 (Nel fondo, inginocchiata davanti ad una lapide, adorna di fiori, una signora, elegantemente vestita a lutto, prega fervidamente).

Jeanne                           - (va su e giù per la scena come se aspettasse qualcuno; Marion giuoca con dei fiori appassiti, che ha raccolti in un fosso, vicino al viale. L'Abate, assorto nella lettura del suo breviario, cammina nel fondo).

Il Guardiano                 - (entro e dice a Jeanne) Ma credete che questo luogo sia un campo di giuoco?

Jeanne                           - (umilmente) Sto aspettando una persona, che dovrebbe essere qui a momenti...

Il Guardiano                 - Sarà come lei dice, in ogni modo l'avverto che è proibito raccogliere fiori...

Jeanne                           - (a Marion) Marion! Getta via quei fiori!

L'Abate                         - (s'avvicina al guardiano che lo saluta) Non capisco perché la bambina non possa giuocare con dei fiori che sono stati buttati via!

Il Guardiano                 - Il regolamento proibisce di toccare anche i fiori che sono stati gettati via.

L'Abate                         - (a Marion) Quando è così non ci resta altro che obbedire al regolamento! Come ti chiami, pic­cina?

Marion                          - Mi chiamo Marion.

L'Abate                         - Ed il tuo babbo?

 Marion                         - (tace).

L'Abate                         - (a Jeanne) Le chiedo scusa, signora, non avevo altro scopo che calmare la bambina. (Il guardiano esce).

Jeanne                           - Ho compreso subito lo scopo della sua do­manda, monsignore: ed è perciò che ora la prego di rivolgere anche a me qualche parola di conforto per calmare la mia inquietudine. Io sto aspettando qui qual­cuno già da due ore.

L'Abate                         - Da due ore?! Come è mai possibile che le creature si sottomettano a simili torture? «  O Crux! Ave, Spes unica! ».

Jeanne                           - Che cosa significano queste parole che ho veduto incise su molte lapidi?

L'Abate                         - Significano: « Ave, o Croce, unica spe­ranza! »

Jeanne                           - E' quella proprio l'unica nostra speranza?

L'Abate                         - Sì: è l'unica e la più sicura delle nostre speranze!

Jeanne                           - Credo che lei abbia ragione, monsignore!

L'Abate                         - Scusi... perché?

Jeanne                           - Perché lei ha già indovinato il vero stato delle co3e. Difatti se egli ha così poco cuore da far aspet­tare per due ore al cimitero la sua sposa e la sua bam­bina, è evidente che vuole finirla con me.

L'Abate                         - E se proprio vi abbandonasse?

Jeanne                           - Ci getteremmo nel fiume.

L'Abate                         - No, no! Non dica queste cose!

Jeanne                           - Sì, certamente.

Marion                          - Mamma, andiamo a casa... ho fame.

Jeanne                           - Abbi ancora un po' di pazienza, amor mio. Poi andremo subito a casa.

L'Abate                         - Guai a coloro che chiamano male il bene e bene il male.

Jeanne                           - Che cosa fa quella signora inginocchiata davanti a quella lapide?

L'Abate                         - Sembra che parli col morto.

Jeanne                           - Non è possibile parlare coi morti.

L'Abate                         - Dal suo fervore, si direbbe che quella si­gnora lo possa fare.

Jeanne                           - Allora si dovrebbe ammettere che con la morte non cessano le nostre miserie...

L'Abate                         - Come? Ha aspettato sino ad oggi per con­vincersi di ciò?

Jeanne                           - E dove si apprendono queste cose?

L'Abate                         - Hm! Se un'altra volta sentisse il bisogno di avere delle spiegazioni su questi argomenti pure tanto conosciuti, venga a cercarmi nella cappella di Nostra Signora a Saint-Germain. Guardi! Ora sta venendo cer­tamente la persona che lei attende.

 Jeanne                          - (imbarazzata) No, non è lui... però conosco bene l'uomo che viene da quella parte...

L'Abate                         - (a Marion) Addio piccola Marion! Dio ti protegga! (La bacia, poi mentre sta per avviarsi dice a Jeanne) A Saint-Germain des Prés! (Esce).

Emilio                           - (entrando) Buon giorno, sorèlla mia, che fai qui?

Jeanne                           - Aspetto Maurizio.

Emilio                           - Puoi aspettarlo ancora un bel pezzo! L'ho visto un'ora fa al « boulevard », dove stava facendo co­lazione... Buon dì, piccola Marion! (Bacia la bambina).

Jeanne                           - Era in compagnia di donne?

Emilio                           - Sì. Del resto in ciò io non vedo nulla di male.. E' un autore drammatico e stasera andrà in scena il suo nuovo lavoro. E' quindi probabile che quelle donne siano attrici interpreti del suo dramma.

Jeanne                           - Ti ha riconosciuto?

Emilio                           - No, egli non sa nemmeno chi io sia... Del resto questo mi è indifferente dal momento che io, come operaio, conosco il mio posto; e poi non mi piacciono le cortesie di coloro che stanno più in alto di me.

Jeanne                           - Ma se egli abbandonasse me e la bam­bina?...

Emilio                           - In tal caso andrei subito da lui. Tu, però, non devi ritenerlo capace di una simile azione: sai be­nissimo che egli ti stima ed è molto affezionato alla bambina.

Jeanne                           - Sì, va bene... ma io ho un presentimento: come se mi dovesse accadere qualche cosa di terribile.

Emilio                           - Ha promesso di sposarti?

Jeanne                           - No, non mi ha promesso nulla; soltanto me lo ha fatto sperare...

Emilio                           - La speranza è una gran bella cosa, certo, ma è un po' poco... Ti ricordi ancora ciò che ti dicevo fin da quando iniziasti la tua relazione con lui? «Non spe­rare nulla - ti dicevo. - Gli uomini superiori non sposano mai una donna che non sia del loro rango!».

Jeanne                           - In molti casi, però...

Emilio                           - Tutto è possibile, lo ammetto. Ma credi che ti troveresti a tuo agio con tutte quelle persone con le quali egli vive? Sono certo che non capiresti una sillaba di ciò che dicono. Io, per esempio, vado a desinare tutti i giorni nella cucina della stessa latteria dov'egli non manca mai; ebbene, vuoi crederlo?, non son mai riuscito a comprendere una sola parola dei loro discorsi.

Jeanne                           - Tu vai nella stessa latteria?

Emilio                           - Nella cucina della stessa latteria.

Jeanne                           - Non mi ha mai invitata ad andare con lui in quel locale!

Emilio                           - E dovresti essergliene grata, invece, perché se non ti ha mai condotta con se in quel locale, vuol dire che ha troppa buona opinione della madre della sua Marion... In quella latteria, infatti, bazzicano certe donnine...

Jeanne                           - Davvero?

Emilio                           - Però Maurizio non s'interessa affatto di loro. Il suo contegno è così corretto!

Jeanne                           - E' vero. Ma ciò non toglie che quando egli s'incontra con una donna perda un po' troppo facilmente il controllo!

Emilio                           - (sorridendo) Non dire sciocchezze!... Dimmi, piuttosto: hai bisogno di denaro?

Jeanne ----------------- - No, grazie:

 Emilio                          - Tanto meglio!... Ma guarda... guarda laggiù nel viale! Non è forse lui che viene a raggiungerti?™ Sì, è proprio lui. Io me ne vado, allora. Addio cara; addio bambina bella.

Jeanne                           - Sì, è lui!

Emilio                           - Jeanne, bada di non seccarlo troppo con la tua gelosia. (Esce).

Jeanne                           - Saprò guardarmene. (Entra Maurizio).

Marion                          - (corre verso Maurizio, che la solleva fra le braccia, e grida) Babbo! Babbo!

Maurizio                        - Buon dì, piccina mia! (Salutando Jeanne) Jeanne, perdonami se t'ho fatta attendere così a lungo™ Mi perdoni?

Jeanne                           - Sì.

Maurizio                        - Ma io voglio sentire dalle tue labbra che mi hai perdonato!

Jeanne                           - Te lo dirò in un orecchio, allora. Avvi­cinati.

Maurizio                        - (s'avvicina a Jeanne).

Jeanne                           - (lo bacia sulla guancia).

Maurizio                        - Non ho sentito!

Jeanne                           - (gli dà un bacio sulla bocca).

Maurizio                        - Così va bene!». Ascoltami adesso. Stasera si deciderà della mia sorte; si rappresenterà il mio dramma: o un successo o un fiasco...

Jeanne                           - Io pregherò per te, ed avrai un grande suc­cesso.

Maurizio                        - Grazie! Le preghiere, anche se non ser­vono, non fanno mai del male... Guarda laggiù quella valle inondata dall'aureo polverìo del sole: è Parigi! In questo momento Parigi non conosce ancora il nome di Maurizio Gerard, ma fra ventiquattr'ore il mio nome correrà sulle bocche di tutti! La cortina di nebbia che mi ha tenuto nascosto per trent'anni si dileguerà sotto un mio soffio; io diventerò visibile, prenderò una forma ed incomincerò ad essere qualcuno. I miei nemici, tutti coloro cioè che anelano di fare quello che ho fatto io, si torceranno fra i dolori; i loro spasimi saranno la mia voluttà, perché essi soffriranno ciò che ho sof­ferto io.

Jeanne                           - Non parlare così.

Maurizio                        - Non dico che la verità.

Jeanne                           - Hai ragione, sì... ma io non voglio sentirti parlare così. E poi?

Maurizio                        - E poi saremo in porto: tu e Marion avrete lo stesso nome che io avrò reso celebre.

Jeanne                           - Dunque mi ami?

Maurizio                        - Sì, io vi amo tutte e due; o forse amo Marion più di te... (Non dolertene.

Jeanne                           - Questa tua confessione mi riempie di gioia, giacche se anche dovessi un giorno esser stanco di me, non ti stancherai invece mai della nostra bambina.

Maurizio                        - Ma perché non hai fiducia nei sentimenti che nutro per te?

Jeanne                           - Non so... ho tanta paura!

Maurizio                        - Tu sei stanca, Jeanne: il lungo attendere ti fa temere. Ti domando perdono ancora una volta. Ma di che cosa hai paura?

Jeanne                           - Dell'imprevedibile che si può presentire senza averne alcuna ragione plausibile,.. Poc'anzi è pas­sato un abate che mi ha rivolto affabilmente la parola: dinnanzi a quell'uomo io non ho saputo esprimere la mia fede, ma egli ha saputo penetrare il mio animo e stasera andrò a pregare per te nella cappella di Saint-Germain.

Maurizio                        - Ora incomincio a temere anch'io!

Jeanne                           - Il timore di Dio è il primo passo verso la saggezza.

Maurizio                        - Dio? Che cos'è questo Dio? Chi è?

Jeanne                           - Fu Dio che t'infuse nel cuore la gaiezza quando eri ancora fanciullo, e fu Lui che ti donò la forza quando diventasti adulto. Sarà ancora Dio che ci proteggerà nel terribile pericolo che ci minaccia.

Maurizio                        - Ma quale pericolo ci minaccia? Lo conosci tu? Come sei venuta a conoscerlo? Parla!

Jeanne                           - Non te lo so dire. Non ho sognato, non ho sentito, né ho visto alcuna cosa... Eppure in, queste due ore trascorse qui aspettandoti, ho sofferto così intensa­mente che ora sono preparata a tutto.

Marion                          - Mamma, andiamo a casa... ho fame.

Maurizio                        - La mamma ti condurrà subito a casa, bam­bina mia! (Lo prende in braccio).

Marion                          - (stringendosi insieme) Ah! babbo, come mi fai male!

Jeanne                           - Dobbiamo andare a casa per il pranzo. Addio, Maurizio... e buona fortuna!!

Maurizio                        - (a Marion) Dove ti ho fatto male? Sai bene, tesoro mio, ch'io voglio farti soltanto del bene!

Marion                          - Se vuoi essere buono accompagnaci a casa, allora.

Maurizio                        - (a Jeanne) Sentendo parlare la bambina così, mi pare di sentire in me una voce che mi spinge ad accondiscendere al suo desiderio... Ma il dovere... la ragione... tu capisci, vero? Addio, figlia mia! (Bacia Marion che lo abbraccia).

Jeanne                           - Quando ci rivedremo?

Maurizio                        - Domani, Jeanne... e per non separarci mai più!

Jeanne                           - (lo abbraccia) Per non separarci mai più! (Facendogli il segno della croce sulla fronte) Dio ti protegga!

Maurizio                        - (commosso suo malgrado) Mia buona e cara Jeanne! (Jeanne e Marion s'avviano verso destra; Maurizio verso sinistra. Poi tutti e tre si volgono nello stesso istante e si mandano dei baci) Jeanne! Mi ver­gogno a dirtelo... ma io mi dimentico sempre di te e tu sei sempre l'ultima a ricordarmi certe cose. Ecco un biglietto per la rappresentazione di questa sera...

Jeanne                           - Grazie, caro. Però è meglio che stasera tu sia solo sulla breccia... così come lo sarò io sulla mia vicina a Marion.

Maurizio                        - Sei tanto intelligente quanto sei buona: sono certo che nessuna donna all'infuori di te avrebbe sacrificato il divertimento per rendere un servizio all'uomo amato...

Jeanne                           - Non farti grandi illusioni sul conto di una povera donna come me, Maurizio... Ma non mi sono di­menticata di te: ti ho comperato una cravatta ed un paio di guanti... pensavo che avresti dovuto portarli ih mio onore stasera, in occasione del tuo trionfo...

Maurizio                        - (baciandole la mano) Grazie, Jeanne!

Jeanne                           - E non ti dimenticare di andare dal bar­biere... Questa sera devi essere bello anche per gli altri...

Maurizio                        - Non sei gelosa, dunque?

Jeanne                           - Non pronunciare questa parola che suscita cattivi pensieri.

 Maurizio                       - Vedi, Jeanne... in questo momento sento che potrei anche rinunciare al successo di stasera».

Jeanne                           - Zitto! Zitto!

Maurizio                        - Mi rimane ancora abbastanza tempo per potervi accompagnare a casa...

Jeanne                           - No, non farlo... Va! Il tuo destino ti at­tende.

Maurizio                        - Addio, allora. (Esce).

Jeanne                           - (sola con Marion) « O Crux! Ave, Spes

QUADRO SECONDO

La latteria della signora Caterina. A destra un « buffet » con un acquario di pesci dorati, con frutta, erbaggi, vasi di conserve, ecc.; più in là la porta all’ingresso. Nel fondo la porta della cucina, in cui si vede un gruppo di operai. La cucina ha una finestra visibile dalla quale s'intravvede un giardino. A sinistra, sempre nel fondo, e rialzato al­quanto da terra, un tavolo per la vendita delle bevande ed alcuni scaffali con bottiglie di ogni specie. A destra, vicino alla parete, ma nel mezzo della scena, un'altra ta­vola. Intorno dei tavolini e delle sedie di paglia. Sulle pareti molti quadri.

 (La signora Caterina è seduta dietro il tavolo di si­nistra; Maurizio, col cappello in testa, è appoggiato allo stesso tavolo e sta fumando una sigaretta).

La signora Caterina       - E' stasera, dunque, che scop-pierà la sua bomba, signor Maurizio?

Maurizio                        - Sì, questa sera.

La signora Caterina       - Sì sente inquieto?

Maurizio                        - Affatto! Non sono mai stato così tran­quillo.

La signora Caterina       - Le auguro, di tutto cuore, buona fortuna, signor Maurizio. Ha dovuto lottare con tante difficoltà che davvero ora merita una ricompensa.

Maurizio                        - Grazie, grazie signora Caterina! Lei è sempre stata molto buona con me... Senza il suo appoggio già da molto tempo sarei andato in rovina.

La signora Caterina       - Non parliamo di queste cose: io ho sempre aiutato più che volentieri la gente che lavora ed ha buona volontà... naturalmente senza la­sciarmi spennacchiare. Signor Maurizio mi deve fare una promessa: di venire, cioè, nel mio locale stasera, dopo la rappresentazione del suo dramma, a bere insieme un bicchierino.

Maurizio                        - Non mancherò di certo all'invito... Del resto l'avevo già promesso.

Enrichetta                     - (entra da destra).

Maurizio                        - (si volge, si leva il cappello e fissa Enri­chetta che, a sua volta, lo guarda attentamente).

Enrichetta                     - (alla signora Caterina) Il signor Adolfo non si è ancora visto?

La sIgnora Caterina      - Non ancora, signora, ma non può certo tardare... Si accomodi intanto.

Enrichetta                     - No, grazie. Preferisco attendere fuori. (Esce).

Maurizio                        - Chi è quella signora?

La signora Caterina       - E' l'amica del signor Adolfo!

Maurizio                        - Ah! E' questa dunque?

La signora Caterina       - Non la conosceva?

Maurizio                        - No. Adolfo non me l'ha mai fatta cono­scere... come se avesse paura ch'io gliela rapissi.

La signora Caterina       - Ah! Ah! Mi dica: che impres­sione le ha fatto quella signora?

Maurizio                        - Che impressione?... E' un po' difficile dirlo giacché non l'ho potuta vedere! Mi è sembrato come se quella signora fosse volata fra le mie braccia e mi avesse stretto così vicino a sé da impedirmi di guardarla negli occhi... Ha lasciato una traccia nell'aria: mi pare ancora di vederla ferma qui. (S'avvia verso la porta e fa un gesto nell'aria come per stringere a se una figura invisibile) Ahi! (Fa un gesto come se si fosse punto un dito) Quella signora ha degli spilli perfino nel busto!... E' una donna che punge.

La signora Caterina       - (sorridendo) Via, via, non si scaldi così facilmente!

Maurizio                        - Sì, è vero. Ma so anche ciò che devo fare, signora Caterina. Me ne vado prima che quella signora ritorni... è una donna pericolosa.

La signora Caterina       - Ha paura?

Maurizio                        - Sì... per me e per un'altra persona anche.

La signora Caterina       - Ed allora vada via subito.

Maurizio                        - Si figuri che quando è uscita da quella porta, ho sentito intorno a me come il soffio di un pic­colo vento vorticoso... Rida, rida pure... ma guardi quella palma sulla tavola che s'agita ancora! Quella era una donna-demonio!

La signora Caterina       - Se ne vada, se ne vada... altri­menti finirà col perdere completamente la testa!

Maurizio                        - Vorrei andar via, ma non posso... lei crede al destino, signora Caterina?

La signora Caterina       - Io credo soltanto nel buon Dio che, se lo preghiamo con fervore, ci protegge dagli spiriti malefici.

Maurizio                        - Va benissimo, ma intanto crede anche lei negli spiriti del male! E non sono forse proprio questi spiriti che si sentono adesso nel vestibolo?

La signora Caterina       - Sì... essi producono un rumore strano... come quello prodotto dalla tela quando si squarcia!... Ma ora vada, vada via! Esca per la porta della cucina!

Maurizio                        - (si precipita verso la porta della cucina e s'in­contra con Emilio che sta per uscire).

Emilio                           - Le chiedo scusa! (Esce. Entrano Adolfo ed Enrichetta).

Adolfo                          - Tu qui, Maurizio? Buongiorno. Come stai? Posso presentare l'amica mia al migliore e più vecchio ca­merata? (Presentandogli Enrichetta) La signorina Enri­chetta Mauclerc... il signor Maurizio Gerard.

Maurizio                        - Molto lieto di conoscerla.

Enrichetta                     - Noi ci siamo già visti.

Adolfo                          - Davvero?... e quando, se è lecita la do­manda?

Enrichetta                     - Alcuni minuti fa, in questo stesso lo­cale.

Adolfo                          - Ho capito!... Ora, però, devi rimanere un po' con noi, Maurizio...

Maurizio                        - (dopo aver fatto un gesto alla signora Cate­rina) Molto volentieri, se avessi un po' di tempo...

Adolfo                          - Via, non esageriamo. Non staremo certo qui fino a domani.

Enrichetta                     - I signori dovranno certamente parlare dei loro affari... non vorrei disturbare.

Maurizio                        - I nostri affari vanno così male che noi non ce ne occupiamo mai.

 Enrichetta                    - Allora parliamo d'altro. (Si leva il cap­pellino e lo appende alla parete) Ecco fatto. Ed ora fac­ciamo la conoscenza con l'illustre scrittore!

La signora Caterina       - (fa un gesto a Maurizio senza eh» egli se n'accorga).

Adolfo                          - Benissimo, Enrichetta! Vuoi sedurlo, vero?

Enrichetta                     - (a Maurizio) Lei possiede davvero un ottimo amico in Adolfo. Egli parla sempre di lei e più di una volta, lo confesso, sono stata trascurata per causa sua.

Adolfo                          - E' vero, ma dal canto suo Enrichetta, proprio per causa tua, non mi ha lasciato un minuto di pace. Ella ha letto tutte le tue opere e vuol sempre sapere dove hai preso il soggetto o la scena di questo o quel libro tuo. Mi ha chiesto, non so quante volte, la descri­zione della tua persona, la tua età, le cose che più ti piacciono. Insomma, tu sei sempre stato con Enrichetta e con me e noi abbiamo sempre vissuto insieme... in tre!

Maurizio                        - Ma, cara signorina, perché mai non ha cercato di conoscere prima d'ora questo raro esemplare dinanzi a cui le sue illusioni non possono fare a meno di svanire in un baleno?

Enrichetta                     - Adolfo non voleva.

Adolfo                          - (rimane confuso).

Enrichetta                     - Del resto, non per gelosia.

Maurizio                        - E come potrebbe essere geloso di me? Adolfo sa benissimo che io non sono libero...

Enrichetta                     - E s'egli non avesse troppa fiducia nella costanza dei suoi affetti?...

Maurizio                        - Non potrei davvero comprendere questo suo dubbio giacche tutti conoscono la saldezza dei miei propositi.

Adolfo                          - Infatti, Maurizio, io non intendevo...

Enrichetta                     - (interrompendolo) Forse lei non avrà ancora sostenuto la prova del fuoco...

Adolfo                          - Oh! su ciò tu puoi...

Enrichetta                     - (c. s.) ... Ad ogni modo, in questo vec­chio mondo non s'è ancora visto un uomo fedele e costante!

Maurizio                        - Ed allora il mondo ne conoscerà uno ora.

Enrichetta                     - Chi?

Maurizio                        - Io!

Enrichetta                     - (ride).

Adolfo                          - Questa tua asserzione mi sembra...

Enrichetta                     - (lo interrompe e, senza curarsi di Adolfo, continua a discorrere con Maurizio) Crede lei ch'io giurerei sulla fedeltà del mio buon Adolfo da qui a tre mesi?

Maurizio                        - Non ho nessun motivo per sollevare delle obiezioni sulla mancanza di fiducia da parte sua; quanto alla fedeltà di Adolfo mi rendo garante io stesso.

Enrichetta                     - Non occorre davvero che lei si assuma delle garanzie per gli altri... io parlavo così, tanto per dire qualche cosa™ Ritiro ciò che ho detto, va bene? E lo faccio non tanto perché io non voglia essere più ma­liziosa di lei, ma perché così dev'essere. E' uno dei miei più gravi difetti quello di vedere le cose soltanto dal loro lato cattivo; è un difetto di cui, mio malgrado, non so liberarmi. Credo però che se potessi vivere un po' di tempo con lei e con Adolfo diventerei più buona... Per­donami, Adolfo! (Gli accarezza la guancia con una mano).

Adolfo                          - E' strano come le tue parole siano sempre improntate a cattiveria mentre le tue azioni sono sempre cosi buone! In quanto ai tuoi pensieri... davvero non li conoscevo!

Enrichetta                     - E chi mai può leggere nel pensiero degli altri?,

Maurizio                        - Sarebbe davvero un grosso guaio se l'uomo dovesse essere ritenuto responsabile dei suoi pensieri!

Enrichetta                     - Anche lei ha dei cattivi pensieri?

Maurizio                        - Naturalmente! In sogno, poi, io commetto i più orribili delitti...

Enrichetta                     - In sogno, naturalmente. Ma si figuri che io... no... mi vergogno...

Maurizio                        - Via! Non abbia riguardi!

Enrichetta                     - Ebbene: stanotte ho sognato che stavo sezionando i muscoli del petto di Adolfo... devo natural­mente premettere che sono scultrice... ed in quell'ope­razione Adolfo, sempre cosi cortese, non solo non oppo­neva alcuna resistenza, ma mi spianò anche parecchie difficoltà con l'aiuto delle sue' cognizioni anatomiche molto più profonde delle mie.

Maurizio                        - E in questo sogno, Adolfo era proprio morto?

Enrichetta                     - No, era vivo.

Maurizio                        - Che sogno terribile!... E durante la vivi­sezione egli non provò alcuna sofferenza?

Enrichetta                     - No. E ciò mi meraviglia molto giacche io sono molto sensibile ai dolori altrui... Non è vero, Adolfo?

Adolfo                          - Enrichetta, infatti, è oltremodo sensibile... (atta eccezione per gli animali per i quali ella non ha alcuna simpatia.

Maurizio                        - Io, invece, sono insensibile tanto ai do­lori miei, quanto a quelli degli altri.

Adolfo                          - Adesso esageri, Maurizio! E' vero, signora Caterina?

La signora Caterina       - Il signor Maurizio, coi suoi esagerati sentimenti di umanità, è davvero un bel tipo, invece. Si figuri che un giorno voleva denunciarmi alla « protezione degli animali » perché non avevo cam­biata l'acqua a quei pesciolini! Guardi... guardi: non sembra che questi animali mi stiano ad ascoltare?

Maurizio                        - Quando si tratta dell'onore, della donna o del danaro, noi siamo pronti a qualunque azione... na­turalmente qui seduti! Ma, scherzi a parte, lei è scul­trice, signorina?

Enrichetta                     - Una scultrice alle prime armi... ma già capace di modellare un busto... anche il suo, per esempio. E' un mio antico desiderio quello di farglielo.

Maurizio                        - Ne sono lusingato. E non c'è ragione perché il suo desiderio non debba diventare presto realtà.

Enrichetta                     - Grazie. Comincerò il suo busto dopo il successo di questa sera, perché certo lei domani sarà un uomo celebre.

Maurizio                        - E' dunque cosi sicura del mio successo?

Enrichetta                     - Sì: è scritto sulla sua fronte che lei uscirà vincitore dalla battaglia di questa sera... Del resto anche lei deve provare un eguale presentimento.

Maurizio                        - E perché mai?

Enrichetta                     - Perché lo sento! Stamane, vede, non stavo bene: ora, invece, mi sento rinvigorita!

Adolfo                          - (comincia a rannuvolarsi).

 Maurizio                       - (imbarazzato) Adolfo, ho ancora un bi­glietto per questa sera. Lo metto a tua disposizione.

Adolfo                          - Grazie, mio caro, ed io lo cedo ad Enri­chetta.

Enrichetta                     - Sempre che la cessione sia ammissibile...

Adolfo                          - E perché no? Sai benissimo che io a teatro non vado mai... Nelle sale affollate non posso soppor­tare il caldo.

Enrichetta                     - Almeno verrai a prendermi alla fine dello spettacolo, «pero?

Adolfo                          - Se lo desideri, certamente. Però Maurizio verrà qui appena finita la rappresentazione... e siccome io facevo conto di attenderlo con gli amici...

Enrichetta                     - Mi pare che potresti darti la pena di venire a prendermi... te ne prego. Se non vuoi atten­dere alla porta del teatro, aspettaci all'Auberge des Adrets »... Vuoi?

Adolfo                          - Aspetta un momento! Tu hai sempre a tua disposizione un tale subisso di domande da non conce­dere, a chi ti sta ascoltando, un istante di riflessione.

Maurizio                        - Ed è necessaria tanta riflessione per deci­derti a venirci a prendere a teatro?

Adolfo                          - Tu parli così perché non sai quali conse­guenze possono derivare da certi atti che in apparenza sembrano molto banali. Io, invece, conosco troppo bene le cose!

Enrichetta                     - Silenzio! Non voglio nuvole in questa giornata di sole. Venga o non venga il signor Adolfo, noi ci troveremo in tutti i casi.

Adolfo                          - (si alza) Io debbo andarmene: sono atteso da una modella. Addio, Maurizio, e buona fortuna! Do­mani ti troverai in un mondo ben diverso... Addio, En­richetta!

Enrichetta                     - Vuoi proprio andartene?

Adolfo                          - E' necessario.

Maurizio                        - Addio! Arrivederci! (Adolfo saluta la signora Caterina ed esce).

Enrichetta                     - Era scritto, dunque, che noi dovevamo incontrarci..

Maurizio                        - Lei trova molto strano il nostro incontro?

Enrichetta                     - Lo trovo strano se penso che Adolfo ha sempre fatto tutto il possibile per evitarlo.

Maurizio                        - Lo ha proprio fatto?

Enrichetta                     - Se lo dice anche lei!

Maurizio                        - Sì, l'ho capito. Ma perché mi dice queste cose?

Enrichetta                     - Perché lo devo.

Maurizio                        - Non voglio nasconderle che da principio avevo l'intenzione di uscire per la porta della cucina per evitare un incontro con lei. Un avventore, che mi chiuse la porta improvvisamente, me lo ha impedito.

Enrichetta                     - E perché mi dice ora queste cose?

Maurizio                        - Non so.

La signora Caterina       - (rovescia alcuni bicchieri).

Maurizio                        - Stia pure tranquilla, «ignora Caterina: non c'è alcun pericolo!

Enrichetta                     - E' forse un segnale d'allarme od un avvertimento?

Maurizio                        - L'uno e l'altro, probabilmente.

Enrichetta                     - Sono forse un treno che abbisogna di cantonieri?...

Maurizio                        - E di scambi di rotaie... che sono i più pericolosi!

Enrichetta                     - Come può essere così cattivo?

La signora Caterina       - Il signor Maurizio non è cat­tivo; egli è sempre stato molto gentile con i suoi amici e con tutte le persone che si sono trovate in rapporti con lui.

Maurizio                        - Szt! Szt!

Enrichetta                     - (a Maurizio) Mi pare che la vecchia già un po' insolente...

Maurizio                        - Se crede, possiamo uscire insieme sul viale.

Enrichetta                     - Volentieri! Qui mi trovo a disagio... Sento già le unghie dell'odio che incominciano a pun­zecchiarmi. (Esce).

Maurizio                        - (mentre sta per seguire Enrichetta) Arri­vederci, signora Caterina!

La signora Caterina       - Un momento, signor Maurizio. Mi permettete una sola parola?

Maurizio                        - (si ferma, leggermente infastidito) Che cosa c'è?

La signora Caterina       - Non vada con quella signora!

Maurizio                        - Come?

La signora Caterina       - Non vada con quella signora, la prego!

Maurizio                        - Non abbia paura: quella non è una donna che fa per me...

La signora Caterina       - Non abbia tanta fiducia in sé!

Maurizio                        - Mi fido, mi fido di me stesso! Arrivederci. (Esce).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

L'« Auberge des Adrets'»: un caffè nello stile teatrale del secolo decimosettimo. Tavole, poltrone e divani negli angoli e nei corridoi; alle pareti trofei d'armi; sui tavoli caraffe, bicchieri, ecc.

 (Maurizio in abito da sera ed Enrichetta in abito da teatro sono seduti, l'uno di fronte all'altro, ad un tavolo davanti ad una bottiglia di spumante in ghiaccio e tre calici: all'estremità del tavolo, verso il fondo della scena, una poltrona ed un calice vuoto sembrano attendere una terza persona).

Maurizio                        - (deponendo il suo orologio sulla tavola) Se Adolfo non sarà qui fra cinque minuti, non verrà più... Intanto brindiamo con la sua ombra! (Alza il bic­chiere verso il posto non ancora occupato).

Enrichetta                     - (imitando il gesto di Maurizio) Evviva Adolfo!

Maurizio                        - Egli non verrà!

Enrichetta                     - Egli verrà!

Maurizio                        - Io dico di no! ,

Enrichetta                     - Ed io dico di sì!

Maurizio                        - Che serata! Che serata memorabile! Stento ancora a credere che sia incominciata una nuova vita per me! Il direttore del teatro mi ha assicurato che il dramma mi frutterà per lo meno centomila franchi... Di questa somma impiegherò ventimila franchi per l'acquisto di mia villa nei dintorni di Parigi, e mi resteranno ancora a disposizione ottantamila franchi... Questo cambiamento Io potrò credere soltanto domani, perché oggi sono stanco... molto stanco. (S'abbandona sulla poltrona) E' mai stata felice lei, in vita sua?

Enrichetta                     - Mai. Quale sentimento si prova quando si è felici?

Maurizio                        - Non so davvero risponderle!... Non so. Per esempio, in questo momento penso alla rabbia dei miei nemici... E' un brutto pensiero, lo so, ma è così!

Enrichetta                     - La felicità, dunque, consiste nel pen­sare ai nemici?

Maurizio                        - I vincitori, per farsi un'idea dei loro trionfi, contano il numero dei nemici morti o caduti.

Enrichetta                     - E' così avido di sangue, lei?

Maurizio                        - No; però quando per lunghi anni si ha avuto il petto lacerato dagli artigli degli avversari, è dolce il poter abbattere i propri nemici e respirare a pieni polmoni.

Enrichetta                     - Non le pare strano trovarsi qui, con una ragazza sconosciuta, insignificante, in una serata come questa nella quale lei dovrebbe sentire il bisogno di mo­strarsi agli ammiratori in un grande ristorante alla moda?

Maurizio                        - Le confesso che ciò, infatti, mi sembra un po' strano; però io mi-trovo benissimo qui e la sua compagnia, evidentemente, mi attrae più degli ammiratori e del ristorante alla moda.

Enrichetta                     - Non si sente allegro?

Maurizio                        - No. Mi sento piuttosto triste, invece™ Avrei quasi voglia di piangere, se fossi solo.

Enrichetta                     - Non capisco la sua tristezza.

Maurizio                        - Qui sta appunto la felicità: conoscere la propria nullità ed attendere l'infelicità.

Enrichetta                     - Che tristezza!... Ma che cosa le manca?

Maurizio                        - Ciò che soltanto può dar valore alla vita.

Enrichetta                     - Non è più innamorato di quella donna?

Maurizio                        - No. Non l'amo nel modo col quale io intendo l'amore. Crede lei che ella abbia voluto leggere o veder rappresentato il mio dramma? Nient'affatto. E' una donna buona, pronta al sacrificio, ha teneri senti­menti... ma il venire questa notte con me l'avrebbe con­siderato un peccato. Una volta l'invitai a bere un bic­chiere di spumante ed ella, invece di mostrarsi contenta, afferrò subito la lista dei vini e divorò con gli occhi la rubrica dei prezzi. E quando ebbe trovato il prezzo della bottiglia che avevo ordinata, si mise a piangere. E pianse perché Marion aveva bisogno di nuove calze! Certo, tutto questo è molto bello e commovente, ma non può naturalmente divertirmi. Ed io' voglio invece godere, prima di morire! Fino ad oggi non ho vissuto che di privazioni... ora, però, incomincia anche per me la vita! ( Un orologio suona la mezzanotte) Ecco: in questo momento incomincia per me un nuovo giorno, una nuova èra.

Enrichetta                     - E Adolfo, intanto, non viene.

Maurizio                        - Non verrà più certamente: e poi è troppo tardi, ormai, per andare dalla signora Caterina.

Enrichetta                     - Non dimentichi che è atteso.

Maurizio                        - Mi aspettino pure. La promessa di andare in quel locale stasera mi è stata strappata contro il mio desiderio... ed io la ritiro. A meno che lei non voglia ch'io vada.

Enrichetta                     - Nemmeno per sogno.

Maurizio                        - E' disposta a tenermi compagnia?

Enrichetta                     - Volentieri! Purché a lei basti questa mia povera compagnia!

Maurizio                        - La prego! Deve sapere che la corona del vincitore non ha nessun valore se non la si può deporre li piedi di una donna... Nessuna cosa ha valore se non rientra la donna.

Enrichetta                     - Può stare senza una donna, lei?

Maurizio                        - Che domanda!?

Enrichetta                     - Non sa che un uomo diventa irresistibile nel momento del suo trionfo e della sua celebrità?

Maurizio                        - Non lo so perché finora non ho provato mai nè l'uno ne l'altra.

Enrichetta                     - Lei è un uomo molto strano. In questo momento in cui Maurizio Gerard è uno degli autori più invidiati di Parigi, se ne resta seduto qui e gli rimorde la coscienza per aver rifiutata una tazza di cicoria dalla vecchia padrona della latteria!

Maurizio                        - Sì, in questo momento la mia coscienza li fa, infatti, sentire col suo sdegno, col suo sentimento offeso e col suo giustificato malcontento. I miei compagni di sventura avevano il diritto di pretendere per questa ora la mia presenza alla latteria; e la buona signora Caterina aveva per prima il diritto sul mio successo; successo che avrebbe potuto far sorgere un barlume di speranza in tutti quei poveri disgraziati i quali non hanno ancora provato che cosa sia una simile felicità... ed io li ho ingannati con l'abusare della buona opinione che avevano di me. Mi pare già di sentirli giurare: « Maurizio «ara qui a momenti; egli è un buon camerata che non ci disprezza. Egli manterrà la sua parola ». E così io li ho resi spergiuri! (Durante queste parole si sente suo­nare nella sala attigua il finale della Sonata in re minore di Beethoven (Op. 31, n. 2). L'a Allegretto » è dapprima piano, poi sempre più forte, appassionato, agitato, ed dia fine selvaggio) Chi suona a quest'ora?

Enrichetta                     - Sarà qualche uccello notturno come noi... Ma non si distragga, mi ascolti, ora. I suoi ragio­namenti sono ingiusti. Se ben ricorda, Adolfo aveva pro­messo di venirci a prendere; noi l'abbiamo atteso; egli, invece, non ha mantenuto la promessa. Quindi lei non ha colpa alcuna...

Maurizio                        - Me lo ripeta. Quando lei mi parla io le credo sempre, ma quando la sua bocca tace, mi assalgono dì nuovo i rimorsi. E poi vorrei pregarla di una cosa...

Enrichetta                     - Dica...

Maurizio                        - Mi dia del tu...

Enrichetta                     - E' un passo falso, ma poiché mi fa piacere lo faccio ugualmente... Servirà di incoraggia­mento... lei è un uomo...

Maurizio                        - Allora, no. Bisogna dire: «Tu sei un uomo timido... ».

Enrichetta                     - E sia! (Continuando) Tu sei un uomo timido che hai paura persino della felicità! Chi ti ha sradicato il sentimento del tuo valore e t'ha ridotto a pigmeo?

Maurizio                        - Pigmeo?... Hai ragione. Io non lavoro, come il gigante delle nubi, con tuoni e fulmini; io martello la mia spada nel silenzio delle viscere dei monti.  Credi forse che io abbia paura del fantasma che sta seduto in quell'angolo e mi sorveglia col verde occhio della gelosia, e vigila i miei sentimenti della cui forza tu non hai la più lontana idea?... Scostati, o fantasma! (Getto a terra il terzo calice rimasto vuoto) Allontanati, o intruso, che con la tua assenza hai perduto i tuoi di­ritti, ammesso che tu ne abbia mai avuto qualcuno! Ti sei tenuto lontano dal campo di battaglia perché ti sen­tivi già sconfitto. E, com'è vero che io stritolo questo bicchiere, così infrangerò la tua immagine collocata in un tempietto che non deve più essere il tuo!

Enrichetta                     - Sì: così dev'essere! Bravo il mio eroe!

Maurizio                        - O Astarte, ora io ho sacrificato sul tuo altare il mio migliore camerata, il mio più fedele amico! Ne sei contenta?

Enrichetta                     - Astarte... che bel nome! Mi piace tanto! Voglio tenerlo... Maurizio, tu devi amarmi.

Maurizio                        - E' naturale!... O donna, apportatrice di sventura, che sai suscitare il coraggio negli nomini e far scorrere più veloce il sangue, donde sei venuta e dove vuoi ora condurmi? Io t'amavo ancor prima d'averti veduta: quando mi si parlava di te, io rabbrividivo, e quando ti ho vista poche ore fa entrare nella latteria, il tuo spirito volò nel mio, e quando tu uscisti io ti trattenni fra le mie braccia. Volevo sfuggirti, ma qual­cuno me lo impedì. Entrambi fummo trascinati, come la selvaggina nella rete del cacciatore. Chi è la causa di tutto ciò? Il tuo amico che ci avvicinò materialmente?

Enrichetta                     - Colpevole od innocente? Che impor­tanza può aver questo?... Adolfo ha la colpa di non averci procurato prima d'oggi il nostro incontro; egli ha, commesso il delitto dì averci rubato due settimane di vita e di beatitudine senza che egli ne avesse alcun diritto: io sono gelosa di lui per causa tua... io l'odio perché egli ha ingannato te e la tua amante... io vorrei fare in modo che egli non fosse mai venuto al mondo!

Maurizio                        - Sta bene: noi lo seppelliremo sotto i nostri ricordi, ne avvolgeremo il corpo con gli sterpi di una foresta selvaggia e copriremo il suo sepolcro di ciottoli affinché egli non possa mai più uscirne fuori. (Alza il calice) I nostri destini sono uniti da un sug­gello. Miseri noi! Che cosa ci accadrà mai ora?

Enrichetta                     - Ora incomincia una nuova èra. Che cos'hai in quell'involto?

Maurizio                        - Non ricordo più.

Enrichetta                     - (apre rinvolto e ne estrae una cravatta ed un paio di guanti) Che brutta cravatta!

Maurizio                        - (strappandole di mano gli oggetti) Non toccare!

Enrichetta                     - Te li ha dati lei?

Maurizio                        - Sì, proprio lei!

Enrichetta                     - Dammeli.

Maurizio                        - No! Lei è migliore di noi... di tutti gli altri.

Enrichetta                     - Non lo credo. Ella è soltanto più spi­lorcia e più sciocca. Caro mio, una donna che piange allo sturare una bottiglia di spumante...

Maurizio                        -  ...Quando la sua bambina non ha calze! E' una buona creatura.

Enrichetta                     - Cittadino! Tu non diverrai mai un ar­tista... Io sì, sono un'artista e modellerò il tuo busto, ma invece di cingerlo con una corona d'alloro, coprirò il capo con un berretto da bottegaio... Lei si chiama Jeanne?

Maurizio                        - Sì. Come lo sai?

Enbichetta                     - Tutte le massaie si chiamano così.

Maurizio                        - Enrichetta!

Enrichetta                     - (prende la cravatta ed i guanti e li getta nel caminetto).

Maurizio                        - (fiacco) Astarte!... Tu esigi ora da me il sacrifizio di una donna: ebbene, l'avrai! Se però tu pretendi anche quello di una innocente bambina... allora puoi andartene subito!

Enrichetta                     - Sai dirmi quale sia il legame che ti unisce a me?

Maurizio                        - Se Io conoscessi lo spezzerei! Credo che quel vincolo sia formato dalle tue cattive qualità che a me mancano, e dalla tua malignità che mi sedusse col fascino irresistibile delle cose nuove...

Enrichetta                     - Non hai mai commesso un delitto?

Maurizio                        - No. Od almeno, nessun vero delitto! E tu ne hai commesso qualcuno?

Enrichetta                     - Sì.

Maurizio                        - Quale?

Enrichetta                     - Un delitto più grande di una buona azione, poiché le buone azioni ci rendono uguali agli altri; e più grande anche di un eroismo, poiché questo ci pone al disopra del livello comune e viene ricompensato. Il mio delitto mi ha relegata fuori della società umana e mi ha cacciata nell'altra parte della vita. Da quel momento io non vivo che un vita a metà, una vita di sogni, ed è perciò che la realtà non riesce mai a mettermi le mani addosso.

Maurizio                        - Ma qual è il delitto?

Enrichetta                     - Non voglio dirtelo, perché ti incute­rebbe terrore.

Maurizio                        - E non potrebbe venir scoperto?

Enrichetta                     - Mai.

Maurizio                        - E' grave il tuo delitto?

Enrichetta                     - Sì!

Maurizio                        - E' orribile, ma nello stesso tempo inte­ressante!... Non ti assalgono mai i rimorsi della co­scienza?

Enrichetta                     - Mai!... Ti sarei però molto grata se ora cambiassimo discorso.

Maurizio                        - Vuoi che parliamo d'amore?

Enrichetta                     - Dell'amore si parla quando è finito.

Maurizio                        - Hai amato Adolfo?

Enrichetta                     - Non lo so! La bontà della sua natura mi affascinò come il dolce ricordo di una giovinezza svanita. Però, nella sua persona, il mio occhio notò su­bito una quantità di difetti, sicché mi ci volle molto tempo per cancellare, modificare, aggiungere e togliere, per fare di lui una passabile figura di uomo. Quando Adolfo parlava comprendevo che quanto egli mi diceva l'aveva appreso da te, ma capivo che spesso egli aveva frainteso, o malamente interpretato le tue parole. Pensa quanto penosa mi doveva apparire la copia del tuo ori­ginale, che così facilmente avrei potuto vedere!... Ed è per questo che egli temeva sempre che noi ci incontras­simo... E adesso che ci siamo conosciuti ha capito che è finita per lui.

Maurizio                        - Povero Adolfo!

Enrichetta                     - Lo compiango anch'io perché capisco la sua sofferenza.

Maurizio                        - Zitta. "Viene qualcuno!

Enrichetta                     - E «e fosse lui?

Maurizio                        - Sarebbe insopportabile.

Enrichetta                     - Non è lui: ma supponiamo che Adolfo comparisse; anzi fosse già qui, come credi si sarebbe svolta la scena?

Maurizio                        - Dapprima egli sarebbe montato sulle furie con te per aver sbagliato caffè, e per non aver trovato noi due nel luogo indicato... Ma poi la sua collera si sarebbe trasformata in gioia vedendoci insieme e pen­sando che noi non l'avevamo preso in giro. E nella gioia d'aver riconosciuto il proprio torto, per aver così ingiusta­mente sospettato di noi, egli ci amerebbe entrambi e sarebbe lieto di notare che noi due siamo diventati così buoni amici. Poi egli ci avrebbe tenuto un discorso per descriverci il sogno da lui lungamente vagheggiato; che il nostro triumvirato, così composto, dovesse mostrare al mondo il grande esempio di una vera amicizia disin­teressata... Ed egli mi avrebbe detto: «Maurizio! Io ho piena fiducia in te, in primo luogo perché mi sei amico, e poi perché i tuoi affetti ti legano ad un'altra persona ».

Enrichetta                     - Bravo! Si capisce che ti sei già trovato altre volte in una situazione simile, dal momento che sei così pronto a fame la descrizione. Ma non sai tu che Adolfo è uno di quegli uomini che non possono mai provare un divertimento in compagnia dell'amante «e non è loro vicino qualche amico?

Maurizio                        - Dunque sono stato invitato ' a venire con voi per far passare il tempo a te?... Silenzio! C'è qual­cuno... E' lui!

Enrichetta                     - No. T'inganni: è giunta l'ora degli spettri; ora in cui si odono e si vedono molte cose... Vegliare di notte, quando invece si dovrebbe dormire, ha per me lo stesso fascino di un delitto: si è al di sopra ed all'infuori delle leggi della natura...

Maurizio                        - Però le pene sono ben terribili... Una delle due: o gelo o rabbrividisco!

Enrichetta                     - (si leva la pelliccia e la inette su Mau­rizio) Ti riscalderà!

Maurizio                        - Ah, come si sta bene! Mi pare come se mi trovassi sotto la tua pelle; mi sembra come se il mio corpo fosse stato versato nella tua forma. In questo mo­mento sento che esso assume non solo un nuovo aspetto ma anche una nuova anima, nuovi pensieri... E qui, dove il tuo seno ha segnato un solco, incomincia ora a solle­varsi... (Durante tutta questa scena il pianista ha conti­nuato ad eseguire, nella camera attigua, la Sonata di Beethoven, talvolta pianissimo, talvolta fortissimo, tal­volta interrompendosi, e facendo risaltare specialmente le battute 96-107 del Finale) Che maledizione il sentir suonare di notte questo pianoforte! Mi mette la febbre addosso! Vuoi che andiamo a colazione nel «Padi­glione » del « Bois de Boulogne », per assistere al sor­gere del sole?

Enrichetta                     - Andiamo.

Maurizio                        - Prima, però, bisogna ch'io mandi qual­cuno a casa mia a prendere i giornali e le lettere che mi arrivano al mattino perché me li porti al « Padi­glione ». Ascoltami, Enrichetta! Dobbiamo invitare anche Adolfo?

Enrichetta                     - E' un'idea balzana!... Invitiamolo pure. Anche un asino può essere attaccato al carro del trionfo! Invitiamolo pure! (Si alzano).

Maurizio                        - (si toglie la pelliccia) Chiamo il came­riere?

Enrichetta                     - No!... Aspetta un istante! (Si getta fra  le braccia di Maurizio).

QUADRO SECONDO

 (Splendido e vasto salotto nel Ristorante del « Bois de Elogne»: tappeti, sedie, sedie a sdraio, divani, ecc. Nel fondo porte con vetrate e finestre che prospettano lui loghi. Sul proscenio una tavola con due candelabri accesi, bicchieri di varie forme, caraffe, trionfi di fiori, anatri di frutta e di ostriche, ecc. A destra un tavolo i con giornali e telegrammi.

 (Maurizio ed Enrichetta sono seduti al tavolo di destra. Il sole sta per sorgere).

Maurizio                        - Ormai non v'è più alcun dubbio: tutti i Somali sono concordi nel rilevare il trionfo del mio dramma e tutti questi dispacci sono pieni di congratulazioni per il mio successo; Una nuova vita incomincia, dunque, per me... Sotto gli auspici di questa notte il mio destino si è unito al tuo poiché tu sola hai condiviso con me le speranze ed il trionfo. Io credo che a te loia devo tutto ciò che ho ottenuto!

Enrichetta                     - Che notte meravigliosa! Era sogno o realtà?

Maurizio                        - (si alza) E dopo una tal notte, che incantevole mattino! A me pare che questo sia il primo giorno del mondo, illuminato dal sole nascente, e che la terra I aia stata creata proprio in questo momento... Là fuori; l'aprono i giardini dell'Eden, avvolti nel roseo folgorio; dell'aurora; e qui dentro palpitano il primo uomo e la prima donna... Io mi sento così beato che vorrei piangere al pensiero che tutta l'umanità non può essere felice come me! Ascolta quel lontano mormorio di onde, come di onde che s'infrangono sopra una scogliera, o come d'un I vento che sospira nella foresta! Sai tu che sia quel vocìo? Sono tutte quelle migliaia di bocche che pronunciano a Parigi il mio nome! Vedi tu quelle colonne di fumo che s'alzano verso il cielo a migliaia, a decine di migliaia? Sono i miei altari di fuoco; e se non è così, così  deve essere, perché io lo voglio! Tutti gli apparati tele-tranci d'Europa propagano in questo momento il mio nome; i treni-lampo portano i giornali nell'estremo Oriente nella culla del sole ed i piroscafi li recano  nel lontano Occidente! ... La terra è mia, e per questo è i bella! Io vorrei ora avere le ali per entrambi: così po­tremmo innalzarci negli spazi aerei e volare lontano... lon­tano, prima che la mia felicità s'insozzi e prima che: l'invidia mi abbia svegliato dal mio sogno... poiché,  probabilmente, tutto ciò non è che un sogno!

Enrichetta                     - (afferrandogli una mano) La stretta di i questa mano è una prova che non sogni!

Maurizio                        - Non è un sogno... eppure ve n'è stato uno. Sai? quando da ragazzo attraversavo questo bosco e guar­davo questo padiglione, mi pareva che esso fosse un castello da leggenda; e mi figuravo che la maggior felicità dovesse consistere nel trovarsi in questa stanza dai pesanti cortinaggi... Essere in questo salotto, insieme alla 1 donna del mio cuore, e vedere il sorgere del sole coi « candelabri ancora accesi... ecco il sogno supremo della f mia giovinezza. Ora quel sogno è diventato realtà: nessun altro desiderio mi resta più in questa vita!... Vuoi tu, ora, morire con me?

Enrichetta                     - No, folle! Ora voglio incominciare a vivere!

Maurizio                        - Vivere? Vivere è soffrire!... Ma ora s'af­faccia la realtà: sento i passi di Adolfo sulla scala... Egli freme d'inquietudine: il suo cuore trepida per paura di aver perduto il più caro dei suoi beni. Fa' in modo di volere che Adolfo si trovi qui e fra un minuto lo vedrai in questo salotto.

Enrichetta                     - (inquieta) Che stupida idea è stata quella di averlo chiamato qui! Quanto ne sono pentita! Del resto sono curiosa di vedere se l'analisi che hai fatto sul suo stato d'animo è giusta.

Maurizio                        - E' molto facile ingannarsi sui sentimenti degli uomini!

Il Capo-cameriere         - (entra e consegna un biglietto di visita).

Maurizio                        - (al cameriere) Fate entrare il signore. (Ad Enrichetta) Ora credo anch'io che dovremo viva­mente rimpiangere d'averlo fatto chiamare qui!

Enrichetta                     - E' troppo tardi, ormai... Silenzio!

Adolfo                          - (entra: ha il viso pallidissimo e gli occhi in­fossati).

Maurizio                        - (cercando di parlare senza imbarazzo) Adolfo! Dove sei stato ieri sera?

Adolfo                          - Vi ho cercati all'« Hotel des Adrets dove vi ho attesi più di un'ora...

Maurizio                        - Dunque, hai sbagliato il luogo dell'ap­puntamento! Noi ti abbiamo atteso all' Auberge des Adrets » parecchie ore e, come vedi, stavamo ancora aspettandoti...

Adolfo                          - (come alleggerito di un peso) Oh Dio!

Enrichetta                     - Buongiorno, amico mio! Tu sei un uccello del malaugurio che si torturerà sempre ed inu­tilmente l'esistenza! Certamente ti sarai messo in testa che noi volevamo liberarci di te e benché dovresti ora essere convinto che ti aspettavamo, crederai forse ancora di darci fastidio...

Adolfo                          - Perdonami: ho torto, è vero... ma questa è stata per me una notte terribile! (Tutti e tre si sie­dono. Un silenzio penoso).

Enrichetta                     - (ad Adolfo) Non vuoi congratularti con Maurizio del grande successo riportato dal suo dramma ?

Adolfo                          - Ah sì! Il tuo lavoro ha avuto veramente un successo serio che non può essere negato neppure dai tuoi più invidiosi rivali: tutta Parigi s'inchina di­nanzi al tuo ingegno ed io, di fronte a te, mi sento così piccino...

Maurizio                        - Ma che dici? Enrichetta, offri ad Adolfo un bicchiere...

Adolfo                          - No, grazie... no.

Enrichetta                     - (ad Adolfo) Che hai? Ti senti male?

Adolfo                          - No, ma sono sul punto di ammalarmi.

Enrichetta                     - I tuoi occhi...

Adolfo                          - Che cosa dici?

Maurizio                        - Che cos'è avvenuto ieri sera alla latteria? Tutti i miei amici saranno certamente in collera con me...

Adolfo                          - Nessuno è adirato con te... Naturalmente la tua assenza ha prodotto un certo malumore che io ho notato con dolore. Però, nessuno è in collera con te: i tuoi amici, per la vivissima simpatia che nutrono per te, ti hanno scusato. Perfino la signora Caterina prese le tue difese e fece un brindisi alla tua salute... eravamo tutti lieti del tuo successo come se fosse stato il nostro!

Enrichetta                     - Che persone di cuore! I tuoi amici sono proprio dei veri amici, Maurizio.

Maurizio                        - Sì: essi sono superiori ai miei meriti.

Adolfo                          - Nessuno ha degli amici superiori ai propri meriti, e tu sei uno di quelli che sanno conquistarsi le amicizie... Non senti come l'aria t'accarezza il volto, oggi, tutta pregna com'è di pensieri e di saluti cortesi, che giungono a te da migliaia di cuori...

Maurizio                        - (s'alza per nascondere l'agitazione).

Adolfo                          - (continuando) ...da quelle migliaia di cuori che tu hai liberati da un incubo che da lungo tempo li opprimeva? L'umanità era stata calunniata», ora tu l'hai riabilitata, e per questa riabilitazione gli uomini ti sono molto grati. Oggi, dopo aver rialzate le loro teste, dicono: «Vedete? Noi siamo un po' migliori della nostra fama! ». E questo pensiero li rende, infatti, migliori...

Enrichetta                     - (cerca di nascondere la sua impazienze).

Adolfo                          - Vi disturbo forse? Lasciate che mi riscaldi un po' al sole e poi me ne vado...

Maurizio                        - Perché vuoi già andartene se sei appena venuto ora?

Adolfo                          - Perché? Perché ho veduto ciò che non avrei mai dovuto vedere, e perché so che ormai è suo­nata la mia ora!... (Pausa) Io considero il vostro invito a venire qui come un atto di riguardo, ma nello stesso tempo anche un avviso di quello che è accaduto, come una franca confessione, insomma, che ferisce meno vi­vamente di un inganno. Tu sai che io penso sempre bene degli uomini: questo l'ho appreso da te, Maurizio. (Pausa) Sappi però, amico mio, che. poco fa sono stato nella chiesa di Saint-Germain dove ho visto una donna con una bambina... Io non desidero affatto che tu le abbia viste, perché quello che è accaduto non si può più mutare... Ma se tu, prima di abbandonare quelle poverette, avessi rivolto loro un pensiero od una pa­rola... avresti ugualmente potuto godere la tua felicità!... Ed ora addio! Vi saluto.

Enrichetta                     - Perché vuoi già lasciarci?

Adolfo                          - E me lo domandi?! Vuoi che te lo dica?

Enrichetta                     - No.

Adolfo                          - Allora addio! (Esce).

Enrichetta                     - La scena ha preso una piega ben dif­ferente da quella che noi avevamo ideata... E" molto migliore di noi.

Maurizio                        - Adesso m'accorgo che tutti gli uomini sono migliori di noi!

Enrichetta                     - Guarda come il sole si è nascosto die­tro le nuvole e come il bosco ha perduto la sua tinta rosea!

Maurizio                        - Sì, lo vedo. Ed il lago azzurro è diven­tato nero... Fuggiamo da questi luoghi ed andiamo dove il cielo è sempre limpido e dove gli alberi sono sempre verdi!

Enrichetta                     - Sì, fuggiamo... ma senza prendere con­gedo!

Maurizio                        - E' necessario, invece.

Enrichetta                     - Poco fa noi volevamo volare. Tu in­vocasti le ali, ed ora, invece... hai i piedi di piombo. Io non sono gelosa; però, se andrai da lei a congedarti, non potrai più allontanartene; non potrai più distaccarti da loro.

Maurizio                        - Hai ragione... Due piccole braccia ba­stano ad incatenarmi!

Enrichetta                     - Dunque è la bambina, e non quella donna, che può incatenarti?

Maurizio                        - Sì, è la bambina.

Enrichetta                     - (camminando su e giù per il salotto, in preda a viva agitazione) La bambina!... La bambina di un'altra! Ed è per quella creatura che io debbo sof­frire!... Perché quella bambina deve ostacolarmi il cam­mino? Quella creatura è sulla mia strada, dove io voglio e debbo avanzare!

Maurizio                        - Sì... perché? Quanto meglio sarebbe se non fosse mai venuta al mondo!

Enrichetta                     - Infatti! Però ora la bambina esiste ed ingombra il sentiero come una piètra ben conficcata nel terreno, come un sasso irremovibile che deve rove­sciare il carro.

Maurizio                        - Il carro del trionfo!... L'asino, che vi era attaccato, ha trottato fino al completo esaurimento delle sue forze... Ma la pietra rimane ancor sempre sul sen­tiero! Maledizione! (Pausa).

Enrichetta                     - E pensare che non esiste alcun ri­medio!...

Maurizio                        - No, invece... perché noi ci sposeremo e una nostra creatura ci farà dimenticare l'altra!

Enrichetta                     - Sì, la nostra ucciderà l'altra!

Maurizio                        - Uccidere?... Che parola è mai questa?

Enrichetta                     - (correggendosi) Voglio dire che la tua bambina ucciderà il nostro amore!

Maurizio                        - No: è il nostro amore, invece, che di­strugge tutto ciò che può essergli d'o6tacolo, senza che esso possa venir ucciso!

Enrichetta -                   - No, non voglio seguire il mio destino! Non lo voglio! Sai tu che se il mio delitto venisse scoperto mi aspetterebbe la ghigliottina?

Maurizio                        - Svelamelo!

Enrichetta                     - No. Sono certa che dopo avertelo pa­lesato, io sarei pentita e tu mi disprezzeresti!... No! No! No! Non hai mai saputo che si può odiare un uomo fino a farlo morire?... Mia madre e le mie sorelle nutrivano un così forte odio verso mio padre che la vita di questi si sciolse come cera dinanzi ad una fiamma... No... Parliamo d'altro! Ma prima di tutto cerchiamo di partire! L'aria di Parigi è avvelenata; domani gli allori saranno avvizziti, il trionfo sarà dimenticato, e fra otto giorni un nuovo trionfatore farà rivolgere su di se l'at­tenzione della folla! Andiamo via di qui, a preparare nuove vittorie!... Ma prima va ad abbracciare la tua bambina e disponi per il suo avvenire... E non occorre che tu t'incontri con sua madre.

Maurizio                        - Grazie! Ora mi sei due volte più cara, perché mi hai mostrato la tua bontà che di solito cerchi di nascondere.

Enrichetta                     - Va alla latteria, anche, e saluta la vec­chia Caterina ed i tuoi amici. Cerca di regolare tutti i tuoi affari per evitare pensieri e smania durante il viaggio.

Maurizio                        - Sbrigherò tutto e stasera ci troveremo alla stazione.

Enrichetta                     - Sta bene. Dunque è deciso: via di qui, verso il mare, verso il sole!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

La latteria della signora Caterina. Le luci sono accese. (La signora Caterina è seduta al banco; Adolfo è seduto presso una tavola).

La signora Caterina       - Si, signor Adolfo, la vita è proprio fatta cosi! Però voi giovanotti andate sempre troppo in là con le vostre esigenze, e poi continuate a lamentarvi!

Adolfo                          - Io non rimprovero alcuno, perché ho an­cora troppa buona opinione di Maurizio ed Enrichetta. Una cosa, però, mi rattrista: ero tanto affezionato a Maurizio che pur di non dargli un dispiacere non gli avrei mai rifiutato nulla... Ma ora io l'ho perduto e questo mi addolora molto... più della perdita di En­richetta. Li ho perduti entrambi e perciò, ora, la mia solitudine è più penosa. Ma anche su di un altro punto non vedo ancora troppo chiaro...

La signora Caterina       - Non si torturi il cervello! Lavori e cerchi qualche distrazione... Perché, ad esempio, non va mai in chiesa?

Adolfo                          - A che fare? Io non sono devoto. Si dice che la fede sia un dono: io non l'ho ancora ricevuto questo dono!

La signora Caterina       - Ed allora aspetti di riceverlo! Oggi ho sentito parecchie notizie strabilianti. E' vero che un suo quadro è stato venduto a Londra per una grossa somma, dopo aver avuto la medaglia di prima

Adolfo                          - Si, è vero.

La signora Caterina       - Dio mio! Ma perché non I me l'ha detto subito?

Adolfo                          - La felicità mi fa paura; del resto, in questo I momento ciò non ha alcun valore per me. Io provo lo I stesso timore, come davanti ad uno spettro; non bisogna dire d'averlo veduto, perché altrimenti tutto va male!

La signora Caterina       - Lei è sempre stato un uomo molto strano!

Adolfo                          - Non è vero, signora Caterina. Le parlo! in questo modo perché troppe sciagure ho visto seguire alla felicità, e perché ho appreso che nelle disgrazie si I hanno sempre amici sinceri, mentre nei successi non si hanno che amici ipocriti. Poco fa lei mi ha domandato se andavo in chiesa... io le ho risposto di no, mentre stamane sono entrato nella chiesa di Saint-Germain;.. senza sapere perché. Credo di esservi entrato per cercare qualcuno a cui esprimere in silenzio i miei ringraziamene. Non vidi nessuno... Gettai allora una moneta nella cassetta dei poveri... Ed ecco tutto ciò che ho fatto andando in chiesa! Questo mio atto non è stato un po' volgare, forse?

La signora Caterina       - No, di certo! Il ricordarsi dei I poveri in una giornata così lieta per lei, è stato già I qualche cosa!

Adolfo                          - Quel mio atto non è stato ne bello ne brutto, giacché io l'ho compiuto perché non potevo far altro. Però in quella chiesa ebbi occasione di vedere due persone: Jeanne, l'amante di Maurizio, e la sua bambina. Mi fecero l'impressione di essere state tra­volte dal carro trionfale di lui e che comprendessero! tutta la gravità della loro sventura.

La signora Caterina       - Figliuolo mio, io non posso conoscere la sua coscienza, ma come spiega lei che un uomo così affettuoso come il signor Maurizio abbia po­tuto abbandonare, da un momento all'altro, l'amante e la bambina?

Adolfo                          - Non so spiegarmelo; d'altronde neppure Maurizio, forse, può capirlo. Io l'ho trovato stamane con Enrichetta e tanto a lui, quanto a lei, la cosa è parsa così naturale e regolare da non sapere neppure figurarsela altrimenti. Sembrava che provassero la sod­disfazione che dà l'aver adempiuto ad una buona azio­ne... Signora Caterina, vi sono molti fatti che noi non riusciamo a spiegarci... forse perché non spetta a noi il diritto di giudicarli. Del resto, lei stessa ha assistito all'intero svolgimento della cosa. Maurizio sentiva av­vicinarsi il pericolo; anch'io l'avevo presentito e per questo ho cercato sempre dì evitare il loro incontro. Maurizio voleva fuggire... ma tutti gli sforzi sono stati inutili. Mi pare che tutto ciò sia simile ad un intrigo ordito da qualche essere invisibile che, insidiosamente, spinse Fumo nelle braccia dell'altra. Io, signora Caterina, in queste cose non sono certo competente, ma mi pare che in tutto ciò che è accaduto non vi sia ombra di colpa.

La signora Caterina       - Vede? Il saper perdonare come ha perdonato lei, si chiama religione! ...

Adolfo                          - Ma che! Sarei religioso senza saperlo?

La signora Caterina       - L'accostarsi al male o il farsi adescare nelle sue reti, come ha fatto Maurizio, non può essere che leggerezza o malvagità. Quando poi un uomo s'accorge che le forze lo abbandonano, deve chiedere soccorso e l'aiuto non si farà mai aspettare. Questo, però, il signor Maurizio non l'ha fatto perché è troppo su­perbo... Chi viene?... E' l'abate, mi pare!

Adolfo                          - Che cosa viene a fare qui?

L'Abate                         - (entrando) Buonasera a tutti!

La signora Caterina       - In che cosa posso servire il signor abate?

L'Abate                         - Si è fatto vedere qui, oggi, il signor Mau­rizio, il commediografo?

La signora Caterina       - No, non s'è visto. Probabil­mente sarà occupato al teatro dove ha fatto rappresen­tare un suo dramma.

L'Abate                         - Ho da comunicargli una brutta notizia... Brutta sotto diversi punti di vista.

La signora Caterina       - Si potrebbe conoscerla?

L'Abate                         - Certo, giacché ormai non è più un segreto. La bambina che gli è nata dalla sua relazione con la signorina Jeanne, è morta.

La signora Caterina       - Morta!

Adolfo                          - Marion... morta!

L'Abate                         - Sì... è spirata stamane improvvisamente.

La signora Caterina       - O Signore Iddio!... chi può mai comprendere le tue vie?

L'Abate                         - Lo stato di disperazione della madre richiede la presenza del signor Maurizio ed è quindi nostro dovere andare a cercarlo... Una domanda, in con­fidenza: il signor Maurizio voleva veramente bene alla bambina? o gli era indifferente?

La signora Caterina       - Ma signor abate!... noi tutti sapevamo ch'egli amava sinceramente la sua Marion.

Adolfo                          - E' vero, signor abate!

L'Abate                         - Le loro assicurazioni mi fanno molto pia­cere, giacche ora la faccenda mi appare molto più chiara...

Adolfo                          - V'erano forse dei dubbi?.»

L'Abate                         - Purtroppo sì! (Nel quartiere circola per­fino voce che il signor Maurizio avesse abbandonato la sua amante e la bambina per correr dietro ad una donna sconosciuta... In meno che non si creda, poi, questa voce si è cambiata in una sequela di accuse ben precisate e nello stesso tempo l'indignazione è salita a tal segno che lo si minaccia e lo si chiama assassino.

La signora Caterina       -  Oh Dio, che vuol dire questo?

L'Abate                         - Per parte mia sono convinto dell'innocenza del signor Maurizio in questa faccenda. Ed anche la signorina Jeanne ha la stessa convinzione. Però contro il signor Maurizio concorrono certi sospetti che ben difficilmente egli potrà dissipare, soprattutto se la po­lizia lo sottoporrà ad un interrogatorio.

Adolfo                          - La polizia si è già occupata dell'affare?

L'Abate                         - Sì; la polizia dovette intervenire per il trambusto creato dalla folla del quartiere. Probabil­mente il commissario sarà qui a momenti.

La signora Caterina       - (ad Adolfo) Vede?... Dio punisce!

Adolfo                          - Allora Dio è più crudele degli uomini!

L'Abate                         - Che ne sa lei di queste cose?

Adolfo                          - Molto poco, infatti. Però vedo ciò che è accaduto...

L'Abate                         - E sa anche spiegarselo?

Adolfo                          - Forse non ancora...

L'Abate                         - Cerchiamo di studiare un po' il caso... Ecco il commissario. (Entra il commissario di polizia).

Il Commissario              - Buonasera, signora Caterina! Buo­nasera, signori! Li prego di scusarmi se vengo ad im­portunarli con alcune domande riguardanti il signor Maurizio Gerard, sul di cui conto, come forse già sa­pranno, circolano delle brutte voci... voci alle quali, sia detto in confidenza, io non presto molta fede.

La signora Caterina       - Neanche noi crediamo a quelle chiacchiere.

Il Commissario              - Questo non fa che avvalorare la mia convinzione; ad ogni modo io devo offrire al signor Gerard la possibilità di scolparsi da tali accuse.

L'Abate                         - Molto bene! E gli sarà resa giustizia anche se sarà un po' difficile ottenerla.

Il Commissario              - I sospetti che pesano sul signor Gerard sembrano gravi. Ecco le circostanze che concomitano contro di lui: egli andò a salutare la piccola Marion che la madre aveva momentaneamente lasciata sola. A quanto pare, egli approfittò deliberatamente di quel momento in cui la bambina si trovava incustodita. Un quarto d'ora più tardi la signorina Jeanne, rientrata in casa, trova la bambina morta. Questa circostanza! è molto compromettente. Dall'autopsia del cadaverino non si è constatato alcun atto di violenza, ne scoperto alcuna traccia di veleno, però i medici dichiararono che esi­stono alcuni nuovi veleni che non lasciano la minima traccia... Per me questa non è che una delle tante com­binazioni del caso, alle quali sono abituato già da un pezzo!... Ora, però, incominciano le circostanze più ag­gravanti... Ieri sera il signor Gerard fu visto entrare nell'« Auberge des Adrets » insieme ad una signora sco­nosciuta. Secondo la deposizione del cameriere che li servì i due amanti tennero dei discorsi per nulla nor­mali. Ma ben più gravi indizi risultano dalla deposi­zione del cameriere del ristorante del « Bois de Bou-logne » dove i due amanti fecero stamane una colazione servita con lo spumante! Egli depose di aver sentito augurare la morte ad una bambina. Secondo quella deposizione il signor Gerard avrebbe detto: « Quanto meglio sarebbe se ella non fosse mai venuta al mondo! ». A queste parole, la signora sconosciuta avrebbe soggiunto: «Infatti! Però ora la bambina esi­ste...». Poi furono sentite queste altre parole: «La no­stra bambina ucciderà l'altra!»,. A questa frase, Gerard avrebbe soggiunto: «Uccidere?... Che parola è mai que­sta?... ». E poi: «Il nostro amore ucciderà tutto ciò che può essergli d'ostacolo! »... Vede, tutte queste frasi non fanno che rendere ancor più torbida la faccenda aggra­vata anche dalla circostanza che i due amanti avevano progettato un viaggio all'estero! Come vedono, la situa­zione si presenta tutt'altro che chiara.

La signora Caterina       - Che orribile storia! Ma non si può ancora prestar fede a delle deposizioni così vaghe, è vero signor commissario?

Adolfo                          - E' caduto in una rete dalla quale non potrà mai più uscire!

La signora Caterina       - Ma che cosa è mai andato a fare il signor Maurizio in quel luogo?

Adolfo                          - Anche lei, dunque, signora Caterina, in­comincia ad avere dei sospetti contro Maurizio?

La signora Caterina       - No... No... ma ormai non posso più avere alcuna opinione sulla faccenda. Non è la prima volta che gli angeli diventano diavoli in un batter d'oc­chi e poi assumono di nuovo la loro forma primitiva!...

Il Commissario              - Tutto ciò è molto strano. Ora è necessario cercare il signor Gerard per sentire le sue spiegazioni. Buonasera, signora Caterina! Buonasera, si­gnori! (Esce).

L'Abate                         - Tutto ciò è un castigo per qualche colpa sconosciuta, è una terribile prova! (Entra Jeanne vestita di nero).

Jeanne                           - Buonasera!... Scusino, hanno visto il signor Maurizio?

La signora Caterina       - No, signora. Però dovrebbe essere qui da un momento all'altro. Lei non l'ha più visto dopo...

Jeanne                           - Da ieri mattina...

La signora Caterina       - La prego di accettare le mie condoglianze...

Jeanne                           - Grazie, signora... (All'abate) Lei qui, mon­signore?

L'Abate                         - Sì, figlia mia. Credevo di poterle essere utile in qualche modo. D'altronde è stata una vera for­tuna l'essermi trovato qui, giacche ho potuto ascoltare il commissario...

Jeanne                           - Il commissario?... Probabilmente anche lui avrà dei sospetti su Maurizio...

L'Abate                         - No; come tutti noi egli non ha alcun so­spetto sul signor Maurizio. Però tutto congiura contro di lui in un modo spaventoso.

Jeanne                           - Allude, forse, ai discorsi riferiti dai ca­merieri?... Per conto mio essi sono insignificanti, giac­ché io stessa ho sentito molte volte Maurizio fare dei discorsi simili quand'egli aveva un po' bevuto. E poi Maurizio ha la strana abitudine di fantasticare sui de­litti e sulle pene. Oltre a ciò, pare che le parole più com­promettenti siano state pronunciate dalla donna ch'era con lui... Ah, come vorrei poterla fissare negli occhi!

Adolfo                          - Mia buona Jeanne, quella donna, per quanto male possa averle arrecato, non ha avuto alcuna cattiva intenzione, ma ha seguito soltanto l'impulso del suo cuore... Io la conosco e so che ella può affrontare il suo sguardo.

Jeanne                           - Il suo giudizio ha per me un grandissimo valore, ed io le credo. E per questo motivo io non posso gettare la colpa di quanto è avvenuto che su me stessa!... Si, la mia leggerezza è stata ben punita!... (Piange).

L'Abate                         - Non sia ingiusta verso se stessa. Io conosco troppo bene i suoi sentimenti di donna e di madre! Se essi non vennero consacrati dalla religione e dalla legge, non è stata sua la colpa. No... Nel caso attuale, noi ci troviamo di fronte a qualche cosa di molto diverso!

Adolfo                          - Come sarebbe a dire?

L'Abate                         - Lo dica lei! (Entra Enrichetta in abito da viaggio).

Adolfo                          - (con fare risoluto si avvicina ad Enrichetta) Tu qui?

Enrichetta                     - Sì. Dov'è Maurizio?

Adolfo                          - Sai... ò non sai nulla?

Enrichetta                     - So tutto. Scusi, signora Caterina: sto per partire ed ho dovuto entrare un momento!... (Ad Adolfo) Chi è quella signora?... Ah! (Jeanne ed En­richetta si fissano negli occhi).

Emilio                           - (appare sulla porta della cucina).

Enbichetta                     - (a Jeanne) Dovrei ' dirle qualche cosa, signora; ma credo sia inutile poiché qualsiasi' parola uscisse dalle mie labbra verrebbe interpretata come im­pertinenza o disprezzo... Se però la prego di credere che io partecipo al suo grave lutto come se fossi una sua sorella... lei non deve respingere la mia mano. No, non deve farlo perché mi merito, se non la sua indul­genza, almeno la sua compassione. (Le stende la mano).

Jeanne                           - (fissandola) Ora le credo... ma fra qualche minuto non le crederò più! (Le stringe la mano).

Enrichetta                     - (baciando la mano di Jeanne) Grazie!

Jeanne                           - (ritirando la mano) No, non faccia così! Io non lo merito! Non lo merito!

L'Abate                         - Scusi, signorina Enrichetta! Non potrebbe approfittare di questo momento, in cui siamo tutti qui riuniti, per togliere l'incertezza ed il buio che avvolgono il punto principale dell'accusa? (Non può dire, in questa cerchia di amici, a che cosa volesse alludere quel suo discorso di uccisioni, di delitti e che so io?... Noi tutti siamo certi che quel discorso non ha relazione alcuna con la morte della bambina... però lei ci tranquillizze­rebbe assai se volesse farci conoscere il perché di quel discorso.

Enrichetta                     - Non posso dirlo.

Adolfo                          - Enrichetta, dillo! Liberaci da questo in­cubo!

Enrichetta                     - Non insistere. Non posso dirlo.

L'Abate                         - Ciò non è umano.

Enrichetta                     - Ebbene, sì... tanto si doveva giungere a questo momento! Sì. (A Jeanne) Signora, le giuro che io non ho alcuna colpa nella morte della bambina!... Le basta questo giuramento?

Jeanne                           - A noi basta, sì; ma credo non basti alla giustizia...

Enrichetta                     - Alla giustizia!... Se lei sapesse quanta verità vi è nella sua asserzione!

L'Abate                         - (ad Enrichetta) E se lei comprendesse che cosa ha detto adesso...

Enrichetta                     - Dunque, lei sa meglio di me?...

L'Abate                         - Sì!

Enrichetta                     - (fissa l'abate).

L'Abate                         - Non abbia paura! Se pure indovino il suo pensiero, io non lo rivelerò certo... Del resto, la giu­stizia umana è cosa che non mi riguarda: il mio ufficio è di impetrare il perdono di Dio!

Maurizio                        - (in abito da viaggio, entra frettolosamente in scena e, senza curarsi delle persone che formano gruppo in fondo, si dirige direttamente al banco dov'è la signora Caterina) Signora Caterina, spero non vorrà tenermi il broncio perché non sono venuto qui ieri sera. Parto stasera per il Mezzogiorno e sono venuto a chie­derle scusa ed a salutarla.

La signora Caterina       - (accasciata, tace).

Maurizio                        - Dunque è in collera con me?... (Guar­dandosi attorno) Ma che cos'è accaduto?... Che significa tutto ciò? (Silenzio generale) Nessuno mi risponde?... Questo silenzio mi dice che è accaduto qualche cosa di terribile! (Un silenzio) Suvvia, rispondetemi!... Adolfo, che cos'è successo? (Indicando Emilio) Ecco un agente di polizia! '

Adolfo                          - Dunque tu non sai nulla?

Maurizio                        - No, non so nulla! Ma ora voglio sapere...

Adolfo                          - Ebbene... Marion è morta.

Maurizio                        - Marion... morta?!

Adolfo                          - Sì... stamane.

Maurizio                        - (a Jeanne) Jeanne! Jeanne, chi ha rove­sciato su di noi una sì tremenda sciagura?

Jeanne                           - Colui che tiene nelle Sue mani la vita e la morte...

Maurizio                        - Ma se stamane stesso, ancora, ho visto la bambina vispa e rosea!... Com'è avvenuta la di­sgrazia? (Fissa Enrichetta negli occhi).

Adolfo                          - E' inutile che tu cerchi fra noi il colpe­vole, perché non vi sono colpevoli. Purtroppo la polizia ha già dei sospetti giacché i tuoi imprudenti discorsi di questa notte e di stamane ti hanno avvolto in una luce tutt'altro che favorevole.

Maurizio                        - Qualcuno ci ha dunque spiati?... Aspetta che mi ricordi i nostri discorsi... E' vero!

Adolfo                          - Spiegaci il senso di quelle parole e noi ti crederemo!

Maurizio                        - Non posso! Non voglio!... Io andrò in prigione, poco importa ormai... Marion è morta... morta! Ed io l'ho uccisa! (Movimento generale).

Adolfo                          - Rifletti su ciò che dici! Pesa le parole che pronunci! Sai tu che cosa hai detto in questo momento?

Maurizio                        - Che cos'ho detto?

Adolfo                          - Che sei stato tu ad uccidere Marion.

Maurizio                        - Io? Ma c'è forse qualche miserabile che possa credermi uni assassino... l'assassino della mia bambina? Lei, signora Caterina, che mi conosce tanto bene, mi crede capace di un simile delitto?...

La signora Caterina       - Io non so più a che cosa debbo credere. La bocca è stata sempre un portavoce del cuore e lei, signor Maurizio, ha pronunciato delle parole molto compromettenti...

Maurizio                        - Dunque, lei non mi crede più?

Adolfo                          - Ed allora spiegati! Spiegaci il significato di quelle tue parole: «Il nostro amore ucciderà tutto ciò che potrà essergli d'ostacolo...».

Maurizio                        - Ah, così!... anche voi le conoscete! Tu, Enrichetta, non vuoi spiegare il senso di queste parole?

Enrichetta                     - Non posso.

Maurizio                        - (a Jeanne) Parla tu, allora! Le tue pa­role avranno per me maggior valore delle altre.

Jeanne                           - (.freddamente) Rispondi anzitutto a questa domanda: su chi hai scagliato una maledizione durante la colazione ed i discorsi fatti al « Bois de Boulogne » ?

Maurizio                        - Io ho «cagliato una maledizione su qual­cuno? Forse... Sì, sì: io sono colpevole e nello stesso tempo innocente! Lasciatemi andar via di qui perché mi vergogno ed il mio delitto è così grande che io stesso non potrei assolvermi!

Enrichetta                     - (ad Adolfo) Va con lui! Potrebbe com­mettere qualche imprudenza...

Adolfo                          - (senza amarezza) Veramente saresti tu la persona più adatta... Silenzio! Si è fermata una carrozza!

La signora Caterina       - E' il commissario! In vita mia non ho mai visto tante cose.» e non avrei mai cre­duto che il successo e la celebrità fossero così fragili! (Entra il commissario di polizia).

Il Commissario e due Agenti - (con in mano un fo­glio) Ho una citazione della Prefettura di polizia per la quale il signor Maurizio Gerard e la signorina Enrichetta Mauclerc sono invitati a comparire nel mio ufficio. Sono presenti?

Maurizio ed Enrichetta          - Sì.

Maurizio                        - E' un ordine d'arresto?

Il Commissario              - No: è una semplice citazione.

Maurizio                        - E poi?...

Il Commissario              - Non so. (Maurizio, Enrichetta, il commissario ed i due agenti escono).

Emilio                           - (entra e si avvicina a Jeanne) Adèsso ti accompagno a casa.

Jeanne                           - Che cosa dici tu di tutto questo?

Emilio                           - E' innocente. E' pazzo, ma certo è inno­cente.

Jeanne                           - Sì... però egli ha commesso un'azione ver­gognosa, verso di me e la sua bambina. Rompendo la sua promessa...

Emilio                           - Anch'io dovrei condividere la tua opinione, soprattutto perché si tratta di te, sorella mia... ma, di­sgraziatamente, la mia coscienza ha i suoi motivi per non poter rimproverare ad un altro...

L'Abate                         - Quantunque a questo riguardo la mia coscienza non abbia nulla a rimproverarsi, neanch'io scaglio la mia pietra, poiché ogni azione viene giudi­cata da noi stessi e punita dalle conseguenze che da essa derivano.

Jeanne                           - (all'abate) Preghi per lui! Preghi per en­trambi.

 QUADRO SECONDO

L'« Auberge des Adrets ».

(Adolfo ed Enrichetta occupano lo stesso tavolo al quale, nell’atto secondo, erano seduti Maurizio ed En­richetta. Adolfo ha dinanzi a se una tazza di caffè).

Adolfo                          - Dunque, tu credi che verrà?

Enrichetta                     - Sì, certo. Maurizio è stato lasciato in libertà già a mezzogiorno, per mancanza di prove; però non vuole mostrarsi in pubblico.

Adolfo                          - Povero Maurizio! Da ieri la vita è diventata ben insopportabile!

Enrichetta                     - Ed a me, no? Ora che so che qual­cuno spia non soltanto le mie parole, ma anche i miei pensieri, ho paura di vivere; trattengo il respiro e quasi non ardisco più di pensare!

Adolfo                          - Dunque è proprio a questo tavolo che eravate seduti la notte in cui non mi fu possibile tro­varvi?

Enrichetta                     - Sì, proprio qui... Ma non parliamo più di quella notte! Tutte le volte che vi ripenso mi pare di morire dalla vergogna... Adolfo, tu sei migliore di me e di lai...

Adolfo                          - Szt!

Enrichetta                     - E' proprio così, invece! Per quale ra­gione mi risolsi a rimanere con lui? Non so spiegar­melo: ero apatica, stanca... l'ebbrezza del suo trionfo aveva inebriato anche me. Se tu fossi venuto a rag­giungerci, nulla sarebbe accaduto. Ieri egli era padrone di centomila franchi ed oggi è nuovamente povero, perché il suo dramma è stato tolto dal cartellone. Ormai egli non può più riabilitarsi davanti all'opinione pub­blica che l'ha giudicato così severamente come s'egli fosse stato l'assassino... e le persone più accorte sosten­gono che la bambina è morta di crepacuore e che egli ne è stato la causa.

Adolfo                          - Enrichetta, tu conosci le mie idee in pro­posito; tuttavia vorrei vedervi assolti entrambi da ogni accusa. Non vuoi spiegarmi il senso di quelle tue pa­role? Non può essere per sola combinazione che i vostri discorsi avessero per argomento uccisioni, soprattutto in un momento di allegrezza come quello.

Enrichetta                     - No, non fu per combinazione. V'erano certe cose che si dovevano dire e certe altre di cui io non posso parlare. Probabilmente perché non ho alcun diritto di apparire senza macchia dinanzi ai tuoi occhi, giacché la mia coscienza non è pura.

Adolfo                          - Non ti comprendo.

Enrichetta                     - Ed allora parliamo d'altro! Non credi tu che fra gli uomini vi siano dei delinquenti impuniti che camminano liberi e possono essere anche nostri amici?

Adolfo                          - (inquieto) Che cosa vuoi dire?

Enrichetta                     - Non credi tu che ogni uomo può al­meno una volta in vita sua, aver commesso una qual­siasi mala azione che, venendo scoperta, cadrebbe sotto il codice?

Adolfo                          - Sì, questa è anche la mia opinione. Del resto, nessuna cattiva azione si sottrae alla pena... o, per lo meno, a quella della coscienza. (S'alza e s'ab­bottona la giacca) E poi nessuno sa essere buono se non ha commesso prima una qualche cattiva azione... (Respirando affannosamente) Perché per poter perdonare, infatti, si deve aver sentito il bisogno del perdono delle proprie colpe... Io avevo un amico, che noi chiamavamo l'«uomo ideale »: egli non faceva mai uso di una cat­tiva espressione verso qualcuno; perdonava a tutto ed a tutti, ed accettava le offese con una soddisfazione che noi non sapevamo spiegarci. Finalmente, allorché era già molto vecchio, mi svelò il suo segreto con queste poche parole: «Io sono un peccatore!». (Si siede).

Enrichetta                     - (tace e guarda Adolfo con meraviglia).

Adolfo                          - (fra se) Vi sono delitti, non contemplati dal codice, che sono i peggiori perché dobbiamo punirli da noi stessi. E nessun giudice è più severo di noi!

Enrichetta                     - E quel tuo amico riacquistò poi la pace?

Adolfo                          - Raggiunse un cèrto grado di quiete dopo una lunga serie di privazioni ed umiliazioni ch'egli s'era imposto da sé. Però la vita non aveva più alcun sorriso per lui ed egli non riusciva mai a ritenersi degno di una buona parola o di una lode... Insomma, egli non potè mai perdonare a se stesso!

Enrichetta                     - Mai? E che cosa aveva commesso di tanto grave?

Adolfo                          - Aveva augurato la morte a suo padre. E quando questi morì, il figlio si cacciò in mente di es­serne stato l'assassino. Questa sua idea fissa fu ritenuta morbosa ed egli venne ricoverato, infatti, in un mani­comio dal quale - come allora si disse - uscì, dopo qualche tempo, guarito. Il sentimento della sua colpa, però, non l'abbandonò più ed egli continuò ad inflig­gersi ogni sorta di pene...

Enrichetta                     - Sei certo che la volontà non possa uccidere ?

Adolfo                          - In forma mistica, intendi dire?

Enrichetta                     - In qualsiasi forma. O, se vuoi, in forma mistica... Nella mia famiglia, mia madre e le mie sorelle odiavano a morte il babbo perché egli aveva l'infelicissima idea di opporsi regolarmente a tutti i nostri desideri ed a tutte le nostre inclinazioni, tanto che anche se avessimo avuto una buona idea, egli non mancava mai di distruggerla. In questo modo egli fece sorgere contro di sé una resistenza, simile ad una batteria di pile cariche d'odio, che divenne tanto potente da neutralizzare a poco a poco la sua volontà finché egli la perdette interamente e si augurò da solo la morte.

Adolfo                          - E tu non hai mai sentito la voce della coscienza?

Enrichetta                     - Io non so che cosa sia la coscienza.

Adolfo                          - Davvero? Allora lo saprai fra breve (Una pausa) Come ti figureresti Maurizio se egli venisse ora qui? Che cosa credi che ci direbbe?

Enrichetta :                   - Sai, ieri mattina, mentre noi ti aspet­tavamo, abbiamo tentato di indovinare proprio le stesse cose sul tuo conto-

Adolfo                          - E poi?

Enrichetta                     - Indovinammo, invece, l'opposto.

Adolfo                          - Puoi spiegarmi perché mi mandaste a chiamare?

Enrichetta                     - Per cattiveria e per crudeltà.

Adolfo                          - Dunque tu riconosci i tuoi errori, ma non te me penti.

Enrichetta :                   - Non me ne pento perché non mi credo responsabile dei miei errori; essi sono come il sudi­ciume che s'attacca alle mani toccando gli oggetti d'uso  quotidiano, e del quale, poi, ci si lava. Ma dimmi una cosa: hai tu un così alto concetto dell'umanità, come sostieni?

Adolfo                          - Sì; noi siamo un po' migliori della nostra fama... ed anche un po' peggiori.

Enrichetta                     - Questa non è una risposta.

Adolfo                          - No, non lo è. Ma non vorresti piuttosto risponderci sinceramente a questa domanda: ami tu ancora Maurizio ?

Enrichetta                     - Lo saprò quando l'avrò rivisto, ma in questo momento non sento alcun desiderio di vederlo e credo di poter vivere bene anche senza di lui.

Adolfo                          - E' probabile... Ma ora, però, sei incatenata al suo destino. Zitta, è qui.

Enrichetta                     - E' curioso come tutto debba ripetersi! La stessa situazione, le stesse parole dì ieri mentre stavamo aspettandoti.. (Entra Maurizio: è pallidissimo, ha gli occhi infossati e non è rasato).

Maurizio                        - Eccomi qui, amici miei... ammettendo sempre che io sia l'uomo di prima, perché durante la notte trascorsa in prigione io sono divenuto un altro uomo. (Osserva Enrichetta ed Adolfo).

Adolfo                          - Siediti e raccogliti un po'... poi discuteremo insieme sul da fare.

Maurizio                        - (ad Enrichetta) Forse, io sono di troppo!

Adolfo                          - Non usare espressioni amare per noi.

Maurizio                        - In queste ultime ventiqnattr'ore sono di­ventato così cattivo e così irascibile che fra breve sarò sfuggito da tutti. D'altronde, chi vorrebbe conservare la sua amicizia ad un assassino?

Enrichetta                     - Ma se sei stato rilasciato...

Maurizio                        - (estraendo dalla tasca un giornale) Sì, sono stato rilasciato dalla polizia, ma non dall'opinione pubblica. Osservate qui: «L'assassino Maurizio Gerard e la sua amante Enrichetta Mauclerc ».

Enrichetta                     - Madre mia! Gesù mio, soccorreteci!

Maurizio                        - Vedete anche voi in me il tipo dell'as­sassino? Ed oltre a questa accusa mi si rinfaccia d'aver rubato l'argomento del mio dramma. Dunque non è rimasta neppur l'ombra del trionfo di ieri?... Com'è labile la felicità! Tu, invece, Adolfo, sei felice perché non hai ancora provato nessuna felicità.

Enrichetta                     - Come? Non sai che Adolfo ha otte­nuto uno splendido successo all'Esposizione di Londra dove ha conseguito la medaglia di primo grado?

Maurizio                        - No, non lo sapevo. E' vero, Adolfo? Il tuo successo mi rallegra, ma esso ci separa ancora l'uno dall'altro.

Adolfo                          - Questo l'avevo preveduto anch'io: d'ora in poi vivrò solo. E dire che gli uomini vengono schiac­ciati anche dalla loro felicità: la vita è nin martirio.

Maurizio                        - Questo lo dici tu... Ma che cosa dovrei dire io, allora? Pare che un velo nero sia calato sopra gli occhi miei ed abbia cambiato le forme ed i colori di tutta la natura. Questo salotto è lo stesso di ieri, eppure oggi mi sembra un altro; vi riconosco ancora entrambi, ma i vostri visi mi sembrano nuovi; io me ne sto qui seduto in cerca di parole perché non so dav­vero che cosa vi debba dire; dovrei discolparmi, ma non lo posso. Sto per dire che rimpiango di aver dovuto abbandonare la prigione nella quale avrei almeno po­tuto proteggermi dagli sguardi dei curiosi... L'assassino Gerard e la sua amante! (Entrano due agenti di polizia vestiti in borghese che, senza essere osservati, si siedono nel fondo).

Adolfo                          - Abbi un po' di pazienza e raccogli i tuoi pensieri. Non so quale giornale abbia pubblicata la notizia della tua liberazione che, oltre ad allontanare da te ogni sospetto, fa crollare tutto il palco dell'accusa. Il tuo dramma verrà riammesso in repertorio... nella peggiore delle ipotesi ne scriverai un altro. Abbandona per un anno Parigi e la cosa sarà dimenticata.

Maurizio                        - Ah! Ah!...

Adolfo                          - Hai dunque perduto la fede nel bene?

Maurizio                        - Sì, ammesso che una volta io l'abbia avuta. Forse la mia fede non era che un modo di ve­dere le cose e una specie di affabilità verso gli animali. Se io, che dovevo essere uno degli uomini migliori, sono divenuto così infelice, quanto mai più sventurati diverranno poi gli altri?

Adolfo                          - Voglio comperare tutti i giornali della sera: vedrai che non sarà molto difficile trovare un punto di partenza per arrivare ad una qualche nuova conclusione.

Maurizio                        - (voltandosi verso il fondo) Quelli sono due agenti in borghese!... Si capisce che io sono stato rimesso in libertà, però sotto sorveglianza. La polizia cerca di farmi cadere nella rete con qualche mia pa­rola imprudente.

Adolfo                          - Quei due uomini non sono agenti di po­lizia! E' una tua fissazione; io li conosco molto bene. (S'avvia per uscire).

Maurizio                        - Non lasciarci soli, Adolfo! Io ho paura che fra me ed Enrichetta si debba venire a qualche aperta dichiarazione.

Adolfo                          - Sii ragionevole, Maurizio! E pensa al tuo avvenire. Tu, Enrichetta, cerca intanto di tranquilliz­zarlo. Io ritorno subito. (Esce).

Enrichetta                     - Che pensi tu della nostra colpa e della nostra innocenza?

Maurizio                        - Io non ho ucciso alcuno: ho soltanto parlato di uccisioni perché ero un po' brillo. Invece il tuo delitto esiste e tu l'hai fatto ricadere su di me.

Enrichetta                     - Ah, tu parli così?... Ma non sei stato forse tu a scagliare la maledizione sulla tua bambina e ad augurarle la morte? Non volevi tu forse partire senza prendere congedo da lei? E non sono stata io a pregarti di andare a trovare Marion ed a salutare la signora Caterina?

Maurizio                        - Sì, hai ragione... perdonami. Tu sei stata più umana di me e la colpa è solo mia. Perdonami, En­richetta... D'altronde io non ho alcuna colpa. Chi ha in­garbugliato questa rete dalla quale non potrò mai più uscire? Colpevole ed innocente, innocente e colpevole: ecco la mia posizione. Davvero c'è da impazzire... E nes­sun cameriere, intanto, si preoccupa di venirci a servire. Andiamo via...

Enrichetta                     - No. Se ci allontaniamo prima che Adolfo sia ritornato, crederà che l'abbiamo ingannato e che siamo fuggiti.

Maurizio                        - Questo epilogo armonizzerebbe con lo stile di tutto il resto. In ogni modo, ormai non ci resta che un unico scampo... la fine! Il fiume... non è vero?

Enrichetta                     - (offrendo la mano a Maurizio ed avvian­dosi) Forse! Forse hai ragione.

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

QUADRO PRIMO

 (Nel giardino del Lussemburgo, davanti alle statue di Adamo ed Eva. Le foglie degli alberi stormiscono sotto il soffio del vento; sul terriccio le foglie secche girano in piccoli vortici).

Enrichetta                     - Non vuoi dunque farla finita? Tieni tanto alla vita ?

Maurizio                        - No, non lo posso. Mi pare che nella tomba il mio corpo, avvolto in un lenzuolo ed inchio­dato fra quattro assi, dovrebbe gelare. E poi... mi sem­bra come se non avessi ancora compiuto qualche cosa in questo mondo... non so però che cosa mi resti ancora da fare.

Enrichetta                     - Io lo indovino.

Maurizio                        - Dimmelo.

Enrichetta                     - Una vendetta. Tutti e due sospettiamo che Jeanne ed Adolfo abbiano mandato i due agenti sulle nostre tracce. Un simile atto di vendetta verso una rivale non può essere stato escogitato che da una donna.

Maurizio                        - Io pure avevo questa idea. Però i miei sospetti vanno ancora più in là... Non so, ma mi sembra che le sofferenze degli ultimi giorni m'abbiano reso molto più accorto. Come puoi, per esempio, spiegarti il fatto che i camerieri dell'« Auberge des Adrets » e del « Bois de Boulogne » non siano stati interrogati come testimoni ?

Enrichetta                     - Solo ora mi viene in mente questa circostanza... Io, però, me la so spiegare: i due came­rieri non potevano fare alcuna deposizione perché nulla avevano sentito dalle nostre bocche.

Maurizio                        - Ma allora come mai il commissario po­teva conoscere le nostre parole?

Enrichetta                     - Non le conosceva, ma semplicemente le inventò lavorando di fantasia e l'azzeccò giusta. Forse nella sua carriera avrà avuto già da fare con un caso simile.

Maurizio                        - O forse egli avrà potuto leggere sui nostri visi le parole che avevamo pronunciate!... Vi sono delle persone le quali possono leggere i pensieri altrui.

Enrichetta                     - Guarda come ci siamo lasciati pren­dere!...

Maurizio                        - Questo succede a tutti coloro che cre­dono buoni gli uomini. Eccone la bella ricompensa... Io però suppongo che dietro a quel commissario, che, detto in confidenza, deve essere un furfante matricolato, sia nascosta qualche altra persona.

Enrichetta                     - Vuoi alludere all'Abate? Potrebbe es­sere un agente segreto?

Maurizio                        - Sì; alludevo proprio a lui. Queir Abaie ha occasione di sentire molte confessioni; fa' attenzione a questo fatto: Adolfo ci raccontò di essere stato al mattino nella chiesa di Saint-Germain. Che cosa vi è andato a fare? Avrà naturalmente chiacchierato e si sarà lamentato... più tardi, poi, l'Abate avrà imbastito le do­mande per il commissario.

Enrichetta                     - Dimmi: hai fiducia in Adolfo?

Maurizio                        - Non credo più ad alcuno, ed a lui meno che agli altri. Come vuoi che possa prestar fede ad un uomo al quale ho rubato l'amante?

Enrichetta                     - Ora che hai pronunciato queste parole, voglio raccontarti qualche cosa di lui. Come hai sentito, Adolfo ha restituito la medaglia vinta a Londra. Indo­vini la ragione di questo rifiuto?

Maurizio                        - No.

Enrichetta                     - Adolfo non si crede degno di quella medaglia e per espiare un suo peccato ha fatto voto di non accettare più alcuna onorificenza,

Maurizio                        - Anche Adolfo è un peccatore. Lui, il più buono degli uomini, l'uomo ideale che perdona a tutti...

Enrichetta                     - Lo vedi anche tu che noi non siamo peggiori degli altri; eppure noi siamo perseguitati giorno e notte dai demoni.

Maurizio                        - Anche Adolfo colpevole! Ma allora l'u­manità non è stata mai calunniata!

Enrichetta                     - (raccogliendosi, poi cambiando tono) Non hai pensato anche al contegno ambiguo della si­gnora Caterina? Non ti disse, forse, quella vecchia, che ti credeva capace di qualunque cattiva azione?

Maurizio                        - Sì, l'ha detto. Chi può pensare così male del prossimo senza averne motivo, deve essere una grande canaglia!

Enrichetta                     - (lo fissa, poi, dopo una pausa,, gli dice) Infatti è vero: chi può pensare così male del prossimo deve essere una grande canaglia.

Maurizio                        - Che cosa intendi dire?

Enrichetta                     - Ciò che ho detto.

Maurizio                        - Tu credi?

Enrichetta                     - Sì, ora lo credo. Dimmi, quando ti recasti, ieri mattina, da Marion, la bambina era sola in casa?

Maurizio                        - Perché mi fai questa domanda?... No, non era sola: v'era anche Jeanne.

Enrichetta                     - Perché hai mentito, allora?

Maurizio                        - Perché volevo risparmiarti un dispiacere.

Enrichetta                     - Ed ora come vuoi che io possa prestar fede ad un mentitore? No... adesso credo fermamente che tu sia stato l'assassino della bambina.

Maurizio                        - Ecco, malgrado tutti gli sforzi fatti per evitare l'argomento cui, erano rivolti i miei pensieri, ci siamo arrivati... E' strano che le cose che abbiamo sotto i nostri occhi siano sempre le ultime a vedersi. Dimmi: dove sei stata ieri dopo che ci siamo separati al « Bois de Boulogne»?

Enrichetta                     - (inquieta) Cioè?

Maurizio                        - Una delle due: o sei stata in casa di Adolfo - e non credo perché a quell'ora era fuori per dare le sue lezioni di disegno - o sei stata da Marion!

Enrichetta                     - Ora sono più che mai persuasa che tu sei' l'assassino della bambina.

Maurizio                        - Io, invece, credo che l'assassina sia tu. Difatti tu sola potevi avere un interesse alla morte di Marion e desiderare che - per adoperare la stessa tua frase - il sasso venisse rimosso dalla strada.

Enrichetta                     - Quella frase l'hai pronunciata tu!

Maurizio                        - Chi ha da trarre un vantaggio da un delitto, l'ha anche commesso.

Enrichetta                     - Maurizio! Siamo trascinati insieme nel giro di una ruota dentata e ci siamo flagellati reciproca­mente... Basta, altrimenti impazzisco!

 Maurizio                       - A questo punto sei già giunta?

Enrichetta                     - Non credi sarebbe meglio separarci prima d'impazzire?

Maurizio                        - Lo credo.

Enrichetta                     - Allora addio. (Si alza. Due uomini, vestiti in borghese, compaiono sul fondo. Enrichetta, che stava per uscire, ritorna verso Maurizio) Eccoli di nuovo i due angeli neri che vogliono spingerci l'un verso l'altro, come se noi due dovessimo venir inchiodati insieme...

Maurizio                        - ... O come «e fossimo condannati ad unir"! i nostri destini per tutta la vita. Vuoi che ci sposiamo davvero, che ci gettiamo nella stessa rete, che ci fac­ciamo chiudere in faccia le porte della società per poter poi godere, forse, un attimo di pace?

Enrichetta                     - Vorresti che ci chiudessimo in quella rete per torturarci scambievolmente sino alla morte, portando ognuno di noi la propria ombra come dote? Tu mi tormenteresti con i ricordi di Adolfo ed io ti torturerei con quelli di Jeanne e di Marion.

Maurizio                        - Non pronunciare mai più il nome di Marion. Sai bene che la povera piccina verrà sepolta oggi... Forse proprio in questo momento.

Enrichetta                     - E perché non sei andato al suo fu­nerale?

Maurizio                        - Perché tanto Jeanne quanto la polizia mi hanno avvertito di stare in guardia dalla folla.

Enrichetta                     - Sei dunque anche vile?

Maurizio                        - Può darsi: tutti questi cambiamenti li ho notati anch'io. Dalla notte in cui fui condotto in prigione, non mi riconosco più. La polizia ' cacciò in carcere un uomo e ne uscì un altro dalla porta che al­lontana dalla società. Ormai sento di essere diventato un nemico dell'umanità. Un nemico che vorrebbe asciugare gli oceani ed incendiare il mondo per lavare la propria onta nelle fiamme di quell'incendio. Però prima di unire i nostri destini, devi palesarmi il tuo segreto... così le nostre partite saranno pareggiate!

Enrichetta                     - Ebbene, te lo svelerò: avevo un'amica, che era stata disgraziata... tu mi comprendi. Volevo sal­varla, tanto più che era in giuoco il suo avvenire. Però, siccome io non agii con sufficiente avvedutezza, ella si uccise. Io sento di essere stata la causa della sua morte.

Maurizio                        - Il tuo modo d'agire sarà stato imprudente; ma ti fu suggerito da un sentimento nobile. E l'amante della tua amica suicida è ancora vivo? Sa che tu sei stata la causa di quella morte?

Enrichetta                     - Era mio complice.

Maurizio                        - Pensa! Se in quell'uomo si facesse sen­tire la voce della coscienza - ciò che non succede tanto di rado - e se egli sentisse il bisogno di confessare il suo fallo... tu saresti perduta.

Enrichetta                     - Lo so troppo bene. Ed è appunto questo continuo timore che mi costringe a vivere senza mai aprire gli occhi per scorgere la realtà.

Maurizio                        - E tu vorresti che unissi la mia vita alla tua? Facciamola finita una buona volta!

Enrichetta                     - No, non è ancora finita. E poi io non mi ritirerò che quando avrò messo in chiaro certe cose che ti riguardano. Non voglio che tu, lasciandomi, possa ritenerti migliore di me. (S'ode un lontano rullio di tamburi).

Maurizio                        - E' il segnale della chiusura del giardino...  (Assorto, declamando) «La terra sarà maledetta per cagion tua ed essa ti produrrà spine e triboli ».

Enrichetta                     - « Ed il Signore Iddio disse alla donna... ».

Un Custode                  - (in uniforme, cortesemente) Signori, il giardino si chiude.

QUADRO SECONDO

La latteria.

 (La signora Caterina, seduta al banco dello spaccio, sta scrivendo in un registro di spese. Adolfo ed Enri­chetta sono seduti ad un tavolo).

Adolfo                          - (calmo e sorridente) Ti assicuro ancora una volta che se io mi sono allontanato da voi due, lo feci soltanto perché credevo di esservi di incomodo. Ne sei persuasa?

Enmchetta                     - Ma perché ci hai dato da intendere che quegli uomini non erano due agenti di polizia?

Adolfo                          - In primo luogo perché io stesso credevo che essi non lo fossero, eppoi perché non volevo accre­scere la vostra inquietudine... E' umano, no?

Enbichetta                     - Lo credo, perché me lo dici tu. Ora però anche tu devi credere a quello che sto per confes­sarti.

Adolfo                          - Parla.

Enmchetta                     - Ti prego però di non venirmi poi fuori con le tue solite « fantasticherie ed immaginazioni ».

Adolfo                          - Ti senti, dunque, d'aver paura anche delle mie fantasticherie?

Enrichetta                     - Non ho paura di nulla; dicevo così perché conosco troppo bene te e la tua poca fede... Pro­mettimi, dunque, di non dire a nessuno ciò che ti dirò.

Adolfo                          - Prometto.

Enrichetta                     - E' orribile!... Ho degli indizi abba­stanza fondati per ritenere colpevole Maurizio.

Adolfo                          - Che cosa dici?!

Enrichetta                     - Ascoltami e poi giudica tu stesso. Quando Maurizio si separò da me al « Bois de Boulogne », mi disse che avrebbe approfittato dell'assenza di Jeanne per trovare Marion sola in casa. Orbene, l'indomani risultò invece che anche la madre era in casa. Egli aveva dunque mentito.

Adolfo                          - E' possibile che egli abbia mentito per qualche buona ragione; però come puoi tu arguire da quella menzogna che Maurizio abbia commesso l'assassinio se la madre della bambina era presente?

Enrichetta                     - E che vuol dire; avrà saputo eluderla quella presenza! Tu non comprendi, perché non lo vuoi... Ora non mi resta che andare a denunciarlo: vedremo poi se egli potrà provare un suo alibi.

Adolfo                          - Enrichetta! Lascia che io ti dica tutta l'a­mara verità: tanto tu quanto Maurizio siete arrivati sull'orlo dell'abisso... della follia. Tutti e due siete inva­sati dai demoni del sospetto e continuate a dilaniarvi con le vostre coscienze già pervertite... Rispondimi se ho indovinato: ora egli sospetta che sia stata tu ad ucci­dere la bambina?

Enrichetta                     - Sì, a tanto è giunta la sua pazzia!

Adolfo                          - Tu chiami pazzi i suoi sospetti, ma non i tuoi!

Enrìchetta                     - Dimostrami prima il contrario: che, cioè, i miei sospetti siano ingiustificati.

Adolfo                          - II compito è molto facile... Da un nuovo esame microscopico è risultato all'autopsia che Marion è morta di un male improvviso del quale ho dimenticato il nome scientifico.

Enrichetta                     - E' vero?

Adolfo                          - Tutti i giornali di stamane hanno pub­blicato i risultati della necroscopia.

Enrichetta                     - Non lo credo. I medici possono dire ciò che credono, magari in buona fede.

Adolfo                          - Enrichetta! Sta in guardia! Forse tu, senza saperlo, hai già oltrepassati certi limiti. Anzitutto bada di non lanciare delle accuse che potrebbero condurti in prigione. Guardati bene dal farlo. (Le pone un mano sul capo) Tu odii Maurizio?

Enrichetta                     - Sì.

Adolfo                          - Quando l'amore si trasforma in odio, è finita.

Enrichetta                     - (più calma) Che cosa devo fare? Dammi un consiglio tu, che sei il solo uomo che possa com­prendermi.

Adolfo                          - Tu però non vuoi sentire delle prediche, non è vero?

Enrichetta                     - Non hai nulla di meglio da offrirmi?

Adolfo                          - No. Però le prediche hanno molto giovato a me.

Enrichetta                     - Ed allora predica pure.

Adolfo                          - Cerca di rivolgere il tuo odio verso te stessa. Immergi il coltello nelle cicatrici dove è accumu­lata la tua perfidia.

Enmchetta                     - Spiegati meglio!

Adolfo '                        - Dapprima separati da Maurizio: eviterete così di fondere insieme le vostre coscienze. Poi cerca di abbandonare la carriera artistica che per te non aveva altro scopo che il poter vivere allegramente ed in piena libertà... Hai visto bene che anche quella vita non era allegra. Ritorna in casa di tua madre...

Enrichetta                     - Mai e poi mai!

Adolfo                          - Allora ritirati presso altra persona amica.

Enrichetta                     - Adolfo! Incomincio a credere che tu sappia che io ho indovinato il tuo segreto e che conosco il motivo del rifiuto di quella tua medaglia.

Adolfo                          - Probabilmente tu l'avrai compreso da qual­che allusione...

Enrichetta                     - Proprio così! Ma come hai fatto a riacquistare la pace?

Adolfo                          - Come ti ho già accennato, dopo aver rico­nosciuta la mia colpa, mi pentii e decisi di migliorarmi e m'imposi una vita di contrizione.

Enrichetta                     - Ma come si può sentire il pentimento quando manca la coscienza? Credi tu che il pentimento sia un dono che si riceve come la fede?

Adolfo                          - Ogni cosa è un dono. Del resto tu sai bene che nessun dono viene concesso all'uomo se egli non Io cerca... Cercalo!

Enrichetta                     - (tace).

Adolfo                          - Bada però di non attendere troppo a cer­carlo, perché altrimenti il tuo cuore potrebbe indurirsi ed allora tu saresti irremissibilmente perduta!

Enmchetta                     - (dopo una pausa) Credi tu che la co­scienza sia la paura di un castigo?

Adolfo                          - No; è invece l'orrore della nostra natura buona per le malvagità del nostro cattivo «io».

Enrichetta                     - Allora anch'io ho una coscienza.

Adolfo                          - Naturalmente. Però...

Enrichetta                     - Dimmi, Adolfo: sei uno di quelli che si possono chiamare uomini religiosi?

Adolfo                          - Nemmeno per sogno!

Enrichetta                     - Tutto ciò è così strano!... Che cosa è mai la religione?

Adolfo                          - Non lo so. E credo anche che nessuno possa rispondere a questa domanda. Talvolta essa mi sembra sia un castigo, giacche chi non ha cattiva coscienza non può professare una religione...

Enrichetta                     - Sì, sì... la religione è un castigo... Ora so che cosa mi resta da fare! Addio, Adolfo!

Adolfo                          - Vuoi partire?

Enrichetta                     - Sì, voglio partire. Tu mi hai già detto dove debbo andare! Addio, Adolfo! Stia bene, signora Caterina!

La signora Caterina       - Va via così in fretta?

Enrichetta                     - Sì!

Adolfo                          - Vuoi che t'accompagni?

Enrichetta                     - No. Voglio andare sola, come sola sono venuta qui, in una giornata di primavera e con la fede di appartenere al vostro ambiente al quale, invece, non ero destinata... e con la fede che vi fosse ciò che io chiamavo libertà e che invece, non esiste! Addio. (Esce).

La signora Caterina       - Io mi auguro che questa si­gnora non ritorni mai più fra noi! Quanto meglio sa­rebbe stato se ella non fosse mai venuta qui!

Adolfo                          - Chissà... forse avrà dovuto anche lei com­piere qualche missione... In ogni caso, quella donna me­rita compassione... molta compassione!

La signora Caterina       - E' vero! Tutti, del resto, ab­biamo bisogno di molta compassione...

Adolfo                          - E quella donna, anzi, ha fatto molto meno male di noi...

La signora Caterina       - E' possibile, ma non lo credo molto.

Adolfo                          - Lei, signora Caterina, è molto, severa. Mi dica: non ha mai commesso qualche cattiva azione?

La signora Caterina       - (accasciata) Sì, anch'io sono una povera peccatrice. Chi però ha già messo il piede sopra una fragile lastra di ghiaccio ha il diritto di dire al prossimo: «Non mettervi il piede sopra! », senza che per questo consiglio si debba venir giudicati troppo te­neri o troppo crudeli! Non ho forse detto al signor Mau­rizio, allorquando quella donna entrò nel mio locale: «Si guardi bene da quella donna... non vada con lei!? ». Egli, invece, vi andò come un bambino ostinato e disob­bediente e vi rimase attaccato! E chi si comporta in questo modo merita di venir battuto, proprio come si fa coi cattivi ragazzi.

Adolfo                          - E Maurizio è stato battuto?

La signora Caterina       - Sì. Però non sembra che le busse siano state sufficienti perché va ancora in giro a lamentarsi.

Adolfo                          - Questa è una interpretazione molto popo­lare di un arduo problema.

La signora Caterina       - Macché! La signora Enrichetta ed il signor Maurizio si diedero a filosofare sulla loro malvagità, e mentre stavano discutendo sopraggiunse la polizia che sciolse l'enigma! Ed ora mi lasci un po' in pace perché ho da fare alcuni conti.

Adolfo                          - Ecco qui Maurizio!

La signora Caterina       - Dio lo benedica!

Maurizio                        - (accalorato, entra e si siede vicino ad Adolfo) Buonasera!

La signora Caterina       - (saluta col capo e continua a scrivere nel suo libro).

Adolfo                          - Ebbene, che c'è di nuovo?

Maurizio                        - Ora la mia situazione comincia a schia­rirsi.

Adolfo                          - (porgendo a Maurizio un giornale che egli non prende) Hai letto il giornale?

Maurizio                        - Io non leggo più giornali.

Adolfo                          - Fammi il piacere di leggere prima...

Maurizio                        - No. Non mi interessa. Voglio, invece, raccontarti la nuova piega che ha preso l'affare... Indovina chi ha ucciso la bambina?

Adolfo                          - Nessuno! Nessuno!

Maurizio                        - Sai tu dove Enrichetta andò a passare quel quarto d'ora durante il quale la bambina rimase sola in casa? Andò da Marion... e fu lei ad: uccidere la bambina!

Adolfo                          - Sei pazzo!

Maurizio                        - Enrichetta è pazza, non io! Ella continua a nutrire dei sospetti su di me ed ha minacciato di denunciarmi!

Adolfo                          - Enrichetta e rimasta qui fino a poco fa e mi ha detto presso a poco le stesse tue parole! En­trambi siete pazzi! Sappi che dalla nuova perizia medica è risultato che la bambina è morta di un male na­turale...

Maurizio                        - Non è vero!

Adolfo                          - Anche Enrichetta ha fatto la stessa osser­vazione! Siete ammalati di spirito, tutti e due: quanto ad Enrichetta, però, sono riuscito a convincerla della sua pazzia...

Maurizio                        - E dov'è andata?

Adolfo                          - E' partita per ricominciare una nuova vita!

Maurizio                        - Hm! Hm!... Sei stato al funerale della bambina?

Adolfo                          - Sì, ci sono stato!

Maurizio                        - E poi?

Adolfo                          - Jeanne, che mi sembrava rassegnata, non disse alcuna parola offensiva per te.

Maurizio                        - Jeanne è una buona creatura...

Adolfo                          - Ma perché, allora, l'hai abbandonata?...

Maurizio                        - Ero esaltato... ero pazzo!... Avevamo be­vuto troppo...

Adolfo                          - Comprendi, ora, perché Jeanne piangeva quando tu bevevi?...

Maurizio                        - Sì, ora lo comprendo... e per questo, ap­punto, le ho scritto poco fa chiedendole perdono. Credi che mi perdonerà?

Adolfo                          - Sì, credo che ti perdonerà perché Jeanne non è capace di odiare!

Maurizio                        - E credi che, dopo aver ottenuto il suo perdono, Jeanne vorrà ancora saperne di ime?

Adolfo                          - Non lo so. Tu le hai dato troppe prove della tua infedeltà e non credo ella vorrà ancora unire il suo destino al tuo!

Maurizio                        - E' vero. Io però sento che il suo affetto per me non è ancora svanito e ch'ella ritornerà a me.

Adolfo                          - Come lo sai? Come puoi saperlo? Tu hai sospettato perfino che lei ed il suo ottimo fratello, per vendicarsi, avessero mandato dei poliziotti per spiarvi...

Maurizio                        - Ormai non ho più quel sospetto. E poi il fratello di Jeanne è troppo poco intelligente per... La signora Caterina - Oh, senta! Perché sparla in questo modo del signor Emilio? Egli è un uomo sem­plice, uni operaio, ma io vorrei che tutti fossero onesti come lui! II signor Emilio, lungi dall'avere sulla co­scienza qualche cattiva azione, è anche uomo di intelli­genza e di tatto... (Entra Emilio).

Emilio                           - Il signor Gerard?

Maurizio                        - Eccomi!

Emilio                           - Scusi! Vorrei parlarle da solo.

Maurizio                        - Parli ugualmente. Siamo fra buoni amici... (Entra l'abate e si siede).

Emilio                           - (lanciando un'occhiata all'abate) Forse in questo caso...

Maurizio                        - Non abbia degli scrupoli! Anche il signor abate, quantunque non si vada d'accordo con lui su certe questioni, è nostro ottimo amico!

Emilio                           - Il signor Gerard sa già chi sono: mia so­rella mi ha incaricato di consegnarle questo pacchetto in risposta alla sua lettera.

Maurizio                        - (prende il pacchetto e l'apre).

Emilio                           - Nello stesso tempo, quale tutore di mia sorella, ho da aggiungere che tanto Jeanne quanto io consideriamo il signor Gerard libero da tutti i suoi obblighi, giacché la sua relazione con mia sorella è da considerarsi finita.

Maurizio                        - Lei ha del rancore verso di me... mi odia...

Emilio                           - Perché dovrei odiarla? Io non so che cosa sia l'odio. Le sarei, invece, molto grato se lei volesse dichiarare qui, in presenza dei suoi amici, che non ri­tiene nè me né mia sorella tanto vili d'aver messo degli agenti di polizia sui suoi passi per spiarla...

Maurizio                        - La prego di accettare le mie scuse. Le basta?

Emilio                           - Sì, basta!... Buonasera a tutti!

Tutti                              - Buonasera! (Emilio esce).

Maurizio                        - La cravatta ed i guanti che Jeanne mi mandò per la sera della prima rappresentazione del mio dramma e che furono poi gettati da Enrichetta nel caminetto! Chi ha ripreso questi oggetti? Ogni cosa viene tolta di sotterra e rimessa a galla!... Jeanne, quando mi consegnò questa cravatta e questi guanti al cimitero, disse che me li aveva portati affinché io sembrassi un po' più elegante e facessi buona impressione sul pubblico... lei, però, rimase a casa. Jeanne si sentì, e con ragione, molto offesa perché mi ero dimenticato del suo dono. Io stesso non posso trovare un'assoluzione per me, poiché l'azione che ho commessa è tanto orribile che d'ora in poi non potrò più frequentare la società degli uomini onesti. Oh! che cosa ho mai fatto! Ho deriso un dono che m'era stato offerto da un cuore generoso, ed un sacrificio che era stato compiuto per il mio bene. Ed io ho ripudiati quei doni così preziosi. Signor abate, verrò adesso da lei.

L’Abate                        - Sarà sempre il benvenuto.

Maurizio                        - Mi dica lei la parola della quale ho tanto bisogno.

L’Abate                        - Intende forse che io neghi le accuse che lei, da se stesso, s'è scagliato e sostenga che lei non ha commesso una cattiva azione?

Maurizio                        - Mi dica la vera parola.

L’Abate                        - Con sua licenza le dirò che io ho trovato  il suo contegno tanto riprovevole quanto l'ha trovato lei stesso.

Maurizio                        - Che cosa debbo fare per lavarmi da quell'onta ?

L’Abate                        - Lo sa meglio di me.

Maurizio                        - No. Io so soltanto che sono perduto, che la mia vita è distrutta, che la mia carriera è finita e che la mia buona reputazione è svanita per sempre.

L’Abate                        - Ed è per questo motivo che anela ad una nuova vita, in un mondo migliore nel quale ora inco­mincia a credere?

Maurizio                        - Sì, è così!

L’Abate                        - Finora lei non ha vissuto che nel regno della carne, mentre ora lei vuole vivere in quello dello spirito. Ma è proprio sicuro che il mondo non abbia più nessun fascino per lei?

Maurizio                        - Nessuno! L'onore è una larva; il denaro, un alloro appassito; la donna, un calice d'ebbrezza!... Conceda che io possa nascondermi nel suo tempio con­sacrato per dimenticare l'orrendo sogno che si è svolto in questi due giorni lunghi come un'eternità.

L’Abate                        - Sta bene. Però questo non è il luogo per discutere su simili argomenti. L'aspetto stasera alle nove nella chiesa di Saint-Germain, dove io predico per i pe­nitenziari di Saint-Lazare: questo sarà il primo passo che dovrà fare sull'aspro sentiero della penitenza.

Maurizio                        - Della penitenza?

L’Abate                        - Lei m'aveva pur detto che desiderava...

Maurizio                        - E' vero.

L’Abate                        - Mi dia la mano. E badi di non volgersi indietro.

Maurizio                        - (s'alza e gli dà la mano) Ecco la mano e tutta la mia volontà.

Una Domestica             - (esce dalla cucina) Il signor Mau­rizio è chiamato al telefono.

Maurizio                        - Chi mi chiama?

La Domestica                - Il direttore del teatro.

Maurizio                        - (vuole svincolarsi dalla stretta dell'abate che lo trattiene).

L’Abate                        - (alla domestica) Domandagli che cosa vuole dal signor Maurizio.

La Domestica                - Egli chiede se il signor Gerard assi­sterà alla rappresentazione di questa sera.

L’Abate                        - (a Maurizio che vorrebbe svincolarsi da lui) No, non la lascio!

Maurizio                        - A quale rappresentazione?

Adolfo                          - Perché non hai voluto leggere i giornali? L'Abate e la signora

Caterina                        - Come?! Non ha letto i giornali?!

Maurizio                        - (alla domestica) Rispondi al direttore che non posso venire in teatro. (La domestica esce).

Adolfo                          - Ebbene, giacche non vuoi leggere i giornali, sappi che la direzione de] teatro, dopo chiarita la tua situazione, ha riammesso in cartello il tuo dramma ed i tuoi amici hanno stabilito di farti questa sera una dimo­strazione.

Maurizio                        - E' impossibile!

Tutti                              - E' vero!

Maurizio                        - (dopo una pausa) Io non merito tanto! Non lo merito davvero.

L’Abate                        - Bravo!

Adolfo                          - Maurizio, questo non è ancora tutto!

Maurizio                        - (col viso nascosto tra le mani) Non è ancora tutto?

Adolfo                          - Fra giorni ti verranno pagati i centomila franchi per il dramma, e così potrai acquistare la villa che desideri. Il sogno, coinè vedi, ritorna; tranne Enrichetta. E non dimenticare di essere questa sera al teatro!

L’Abate                        - Più tardi, però, io l'a­spetto in chiesa!

Maurizio                        - (non risponde).

La signora Caterina       - Signor Maurizio, davvero andrà dal signor abate?

Maurizio                        - (appoggia il capo sulla tavola e lo nasconde tra le mani).

Adolfo                          - Signor abate, liberi Maurizio da quell'impegno!

L’Abate                        - No, no! Io non libero ne lego alcuno: a lui solo spetta de­cidere!

Maurizio                        - (s'alza) Ebbene, io verrò con lei signor abate!

L’Abate                        - No, amico mio... io non potrei fare altro che muoverle gli stessi rimproveri che lei può inflig­gersi da solo. E poi lei ha ancora de­gli altri obblighi verso se stesso e verso la sua buona reputazione... Il fatto che lei è riuscito così facilmente ad uscire fuori dall'intrigo è per me una prova che le sue sofferenze, per quanto brevi, siano state così intense da sembrare eterne! E se la Provvi­denza le ha dato l'assoluzione, a me non resta altro da aggiungere.

Maurizio                        - E perché, allora, mi venne inflitta una pena così atroce se io ero innocente?

L’Abate                        - Atroce? Ma se non è durata che due giorni! Per ciò che riguarda la sua presunta innocenza, le osserverò che l'uomo è responsa­bile anche dei suoi pensieri, dei suoi desideri e delle sue parole... perciò, quando la sua cattiva volontà augurò la morte a Marion, lei, col suo pen­siero, uccise la bambina.

Maurizio                        - Lei ha ragione, si­gnor abate... Questa sera mi troverò con lei in chiesa per chiudere certi conti verso me stesso... Forse dopo potrò ritornare al teatro!

La signora

Caterina                        - Bravo! Ecco una bella soluzione, signor Mau­rizio!

Adolfo                          - Sì, ecco la soluzione!

L’Abate                        - Proprio così! Vivere con la propria coscienza!

FINE