Ecco la fortuna

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ECCO LA FORTUNA

Commedia in tre atti

di A. DE STEFANI e G. CATALDO

PERSONAGGI

Prof. ANSELMO GAUDENZI    - (55 anni)

GIULIA, sua mo­glie            - (48 anni)

LAURA, loro figlia              - (20 anni)

BEATRICE, altra figlia       - (22 anni)

FRAN­CESCO, altro figlio  - (18 an­ni)

Prof. GIOVANNI FRON­TINI      - (32 anni)

Prof. DO­NATO GEROSI    - (56 anni)

ROCCO VENTURA                     - (50 anni)

ANNETTA, cameriera                  - (30 anni)

MARCELLO GARAGNANI       - (25 anni)

Conte CI­GNA - Cameriera di Beatrice.

Oggi, in una cittadina di pro­vincia.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(Il tinello in casa del professor Ansel­mo Gaudenti: tipico ambiente borghese, un po' disordinato, d'un» modestia sen­za eccessi. Suono in una cittadina di pro­vincia: potrebbe es­sere Rovigo come Muterà. Due porte a destra che danno nell’interno ; la co­mune a sinistra. Gran tavolo in mez­zo che serve un po' a tutto: per il mo­mento serve mila co­lazione detta matti­na. Annetta, la ca­meriera, sta spolve­rando; entra Anselmo, cinquant’anni circa: indossa una veste da camera piuttosto sbiadita-ha freddo e si soffia sulle mani).

Anselmo                        - Il giornale?

Annetta                         - E' lì sulla tavola, signor professore.

Anselmo                        - La colazione? Non la vedo.

Annetta                         - Non posso finir di spolverare prima?

Anselmo                        - (alzando le spalle) La colazione. E' già tutto spolverato. E poi, la polvere ritorna subito. Non vale la pena.

Annetta                         - La signora attende visite oggi. E' il suo giorno.

Anselmo                        - Mi pare d'averti già detto che la mattina qui fa troppo freddo.

Annetta                         - Ma la signora ha detto che non si deve accendere la stufa prima di mezzogiorno. (Esce « rientra poco dopo col vassoio della colazione. Anselmo, che frattanto aveva iniziato la lettura del giornale, comincia m versare il caffelatte, senza smettere di leggere: capita così che ne versa sulla tavola, dà un'occhiata preoccupata alle porte di destra, pulisce col tovagliolo, di sottecchi, poi lo ripiega in modo che non si veda la macchia. Suona il campanello d'ingresso, Annetta va ad aprire e poi rientra). C'è un fattorino con un pacco (consegna un fo­glia* al professore).

Anselmo                        - (leggendo) Va bene... benissimo...

Annetta                         - Sì: ma vuole trentacinque e sessanta.

Anselmo                        - Chi?

Annetta                         - Il fattorino. E la firma: lì.

Anselmo                        - (firma e poi si alza, va con una certa precau­zione di là, prima porta a destra: ritorna quasi subito con un portafogli in mano: cava il denaro che dà ad Annetta) Tò: e porta subito il pacco. (Annetta esce da sinistra: Anselmo attende ansioso, gettando ogni tanto occhiate a destra, come se temesse l’inopinata intrusione di qualcuno della famiglia. Annetta rientra da sinistra col pacco, alquanto voluminoso. Nel porgerlo al professore sbadatamente lo lascia cadere). Ssst, bestia! (e torna a guardarsi attorno. Poi taglia col coltello lo spago, svolge il pacco, ne toglie due o tre grossi libri che osserva con rapido compiacimento. Annetta guarda il professore con commiserazione ed esce. Il professore raccoglie in fretta la carta, lo spago e fa un mucchio che cerca intorno a sé dove buttare: alla fine, sentendo rumore, butta il muc­chio in un angolo e mette davanti la sedia. Poi cerca di nascondere i libri tra altri che sono sulla tavola centrale, ammucchiati. Da sinistra entra Giulia, moglie del profes­sore, quarantasei anni, vestita di nero, cappello: torna da Messa. E' seguita da Annetta).

Giulia                            - Buongiorno.

Anselmo                        - Ben alzata, cara.

Giulia                            - Da un'ora e mezzo. Sentita la Messa: con­fessione e comunione.

Anselmo                        - Ah, già. Già. Faceva freddo anche in chiesa?

Giulia                            - (togliendosi il cappello) Non fanno il ri­scaldamento. Ma se anche tu avessi un po' di fede...

Anselmo                        - Giulia, non ricominciamo.

Giulia                            - Niente posta, Annetta?

Annetta                         - (che ha ripreso le proprie faccende) Niente,

Anselmo                        - (per cambiar discorso) E c'era gente, in chiesa?

Giulia                            - (ad Annetta) Cioè...? E' venuto il postino?

Anselmo                        - Sì... Ma niente... Ha portato un pacchet­tino per me soltanto.

Giulia                            - Ah?! Un pacchettino? Forse un pacchettino con i soliti libriccini? (Ispeziona il tavolo, non scorge i libri nuovi, si guarda attorno: ogni suo gesto è seguito ansiosamente da Anselmo che a occhiate invoca la com­plicità di Annetta perché copra o faccia sparire le tracce del pacco, ma Annetta o non capisce o finge di non capire. Comunque Giulia finisce con l’adocchiare il fa­gotto, lo raccatta, lo spiega). Non doveva essere un cate­chismo nel pacchettino!

Anselmo                        - Giulia, io insegno al liceo, non all'ora­torio!

Giulia                            - (leggendo sulla carta) Trentacinque lire...!

Anselmo                        - (a disagio, indicando la cameriera come per supplicare la moglie a un po' di riguardo) Credi, Giulia, era una spesa necessaria...

Giulia                            - Non credo fosse la più urgente. Io te lo ripeto sempre: sei troppo professore. (Alla cameriera) Annetta, finirai quando il signore sarà uscito.

Annetta                         - Sissignora   - (ed esce dalla prima porta e. destra).

Anselmo                        - Dovresti moderarti, in presenza di terzi.

Giulia                            - Se credi che Annetta non conosca le nostre condizioni. Vorrei che le conoscessi tu, come le cono­sce lei.

Anselmo                        - Ma questo non esclude che la cameriera...

Giulia                            - Quando si è poveri, non ci sono segreti per la cameriera.

Anselmo                        - (triste) Quando si è poveri non si dovrebbe tenere una cameriera.

Giulia                            - Bisogna. Inconveniente del tuo rango sociale. Soldi pochi e obblighi tanti. Ma lo sai che io passo le notti a pensare come si possa fare economia l'indomani d'una lira?

Anselmo                        - Ma se dormi come un ghiro!

Giulia                            - (alzando le spalle) Non capisci. Miracoli devo fare. Miracoli di equilibrio. Ed esercizi di rinuncia. E Annetta è il mio incubo. Sa, vede, e ripete alle altre cameriere dei vicini.

Anselmo                        - Consolati al pensiero che anche gli altri, i vicini, press'a poco: tutti, come noi. I ragazzi?

Giulia                            - Dormono, credo. Laura avrebbe dovuto ve­nire anche lei a comunicarsi stamane. Non «'è alzata. Ma!

Anselmo                        - Poco male!

Giulia                            - Per te, a parte i tuoi libri, non c'è nulla d'importante. Almeno lavorassi...

Anselmo                        - Questo non lo puoi dire. Lavoro. E come!

Giulia                            - No: volevo dire... Un lavoro utile, reddi­tìzio. Ti rendi conto almeno che Laura deve sposare e che non abbiamo neanche di Che fare decentemente queste nozze? E Francesco, disgraziato, giovane com'è, otto ore al giorno d'un lavoro umiliante! Come vuoi che abbia più voglia di vivere e di studiare in queste condizioni! E Beatrice...

Anselmo                        - Beatrice che ha?

Giulia                            - Sarebbe ora che mettesse su casa sua: no? Ma suo marito è come te...

Anselmo                        - Non sta bene in casa nostra?

 Giulia                           - Per te, tutti stanno bene: questa casa è il paradiso.»

Anselmo                        - No, il paradiso no, ma...

Giulia                            - Sei cieco. Ma il marito di Beatrice smania, è avvilito, e fa il misantropo. Perché guadagna troppo poco, come te, non ha religione, come te, ma ha molte pretese invece. Povera Beatrice!

Anselmo                        - (severo) Giovanni è un giovane serio: un dotto.

Giulia                            - (amara) Conosco il genere!

Anselmo                        - (placido) E' un ragazzo che ha un grande avvenire.

Giulia                            - Conosco anche quello. Il loro avvenire, An­selmo, è il nostro passato, il nostro presente...

Anselmo                       - (dominandosi, con improvviso scoppio di buon umore) Professori, vii razza dannata!

Giulia                            - (dopo averlo osservato, senza comprender bene il suo tono, e poi con commiserazione indulgente) No... Brava gente, affettuosi, seri... E innamorati della loro professione, dei loro libri- Ma le loro mogli...?

Anselmo                        - (tenero e accorato) Giulia, allora sei pentita...?

Giulia                            - (con le lagrime in gola) No, caro: ma stanca, tanto stanca...

Anselmo                        - Ci vuol pazienza, coraggio e fede! Ti do­vrebbe pur aiutare la fede!

Giulia                            - Scusami, sai, se qualche volta divento amara. So che tu non meriti nessun rimprovero. Sei il più caro tiranno che io conosca: la maggior vittima. Lavori e non ti lamenti mai. Sai sopportare e tacere. Hai un carat­tere d'oro. Tua moglie invece è una povera donnetta linguacciuta e cattiva. E dire che avevo promesso a don Lorenzo di sapermi dominare. Ma da qualche tempo sono diventata anche nervosa, cattiva...

Anselmo                        - (scherzoso) Inutile che tu continui... Tanto, non ti concederò mai il divorzio. Donna Giulia, sarete in eterno la, moglie del professore Anselmo Gaudenzi, il quale ancor nel fiore degli anni, non peranco cinquan­tacinque, si accinge ad occupare il posto di preside del Regio Liceo!

Giulia                            - (con slancia) Davvero? Ne sono felice!

Anselmo                        - Non è certissimo, ma credo che la spun­terò.

Giulia                            - Ah, allora sono le solite speranze vaghe...

Anselmo                        - Non sono vaghe: ho delle comunicazioni, per ora verbali, ma che mi assicurano...

Giulia                            - Il provvedimento è già preso?

Anselmo                        - Ci vorrà ancora qualche settimana. Ma, insomma, ci sono ottanta probabilità su cento. Gerosi non sa darsi pace, ma bisognerà che si rassegni.

Giulia                            - E se Cerosi la spuntasse?

Anselmo                        - Sempre pessimista!

Giulia                            - Sono così poco abituata ai colpi di fortuna.

Anselmo                        - Appunto! Una volta deve pur toccare anche a noi.

Giulia                            - E va bene.

Anselmo                        - Si direbbe quasi che ti dispiaccia...

Giulia                            - Ma no, Anselmo... Una cosa che fa tanto piacere a te...

Anselmo                        - E che promette di migliorare le nostre condizioni economiche.

Giulia                            - Ho fatto il conto. Miglioramento di cinque e cinquanta si giorno.

Anselmo                        - Beh, è già qualche cosa. Io trovo che è qualche cosa. Giulia, hai sposato un professore, non un uomo di Borsa né un affarista. Hai sposato un galan­tuomo.

Giulia                            - Come se tutti quelli che hanno del danaro fossero dei ladri.

Anselmo                        - Non lo so. Ma io intanto un galantuomo lo sono. Gli altri non si sa... E non sono un fallito. Sto per avere un riconoscimento che mi lusinga e mi premia!

Giulia                            - (vorrebbe rispondere ma si frena) Hai ra­gione! Ti ammiro, Anselmo...

Beatrice                         - (entrando) Buongiorno, mamma. Buon­giorno, papà. M'inganno o state litigando?

Anselmo                        - Si stava discutendo. I genitori non liti­gano mai, discutono.

Beatrice                         - Ho capito, mamma è nervosa.

Giulia                            - Non sono affatto nervosa. Solo io mi preoc­cupo della famiglia: non ho la testa nelle nuvole.

Anselmo                        - E siccome il sabato sera c'è sempre una nuova delusione: la quaterna non esce, né il terno, né l'ambo, allora... Vado a tagliare le pagine ai miei libri. Guarda, Beatrice  - (mostra alla figlia i libri giunti prima).

Giulia                            - Trentacinque lire! (Anselmo esce dalla porta di destra in fondo).

Beatrice                         - Povero papà! Tanto caro. Che è accaduto?

Giulia                            - Nulla è accaduto. Che vuoi che accada? Non può accader nulla in questa casa. Forse tra qualche set­timana si verificherà un grande avvenimento!

Beatrice                         - L'incarico a preside.

Giulia                            - (allargando le braccia) Cinque e cinquanta al giorno! Trentotto e cinquanta la settimana. Centosessantacinque lire al mese. Duemila e sette lire l'anno!

Beatrice                         - (che si è seduta e fa colazione) Mamma!

Giulia                            - Che contabile sono diventata in ventitre anni! Che ragioniera! Oh, lo diventerai anche tu. Hai sposato un professore, anche tu! Non c'è rimedio. E' il nostro destino. Far conti, conti, conti. Conti per il matrimonio, per le nascite. Per poter avere una cameriera, per pa­gare il dottore, i vostri libri di scuola, le tasse, la spesa, il tuo fidanzamento, le nozze. Tutto! Tutto ridotto a cifre, a numeri, sui miei quaderni. Calcolare quanto costa o quanto rende, a che altro bisogna rinunziare o che cosa ci si può permettere in più di quel che si aveva      - H quaderno delle spese: ecco il diario intimo della po­vera moglie d'un professore. Ma che cassieri, negozianti! Nessuno si occupa del denaro quanto noi! Sempre con­tato e sempre da ricontare. Così poco e ci soffoca. Tu, vedi? Ti guardo e so quanto ti ho pagata. Quanto mi sei costata a venire al mondo. E, morendo, il mio ultimo pensiero sarà quanto vi costerò io in spese di funerali. (S'accascia).

Beatrice                         - Mamma! Non t'ho mai visto così desolata... Che è successo? C'è qualcosa di nuovo?

Giulia                            - (asciugandosi le lagrime) Sì: forse cinque e cinquanta al giorno di più. E’ il sogno raggiunto. Il massimo!

Beatrice                         - Ho capito. Niente posta dall'America. Ma perché t'eri illusa? Io non ci ho mai creduto, al buon cuore di quel signore. Lo zio d'America! Un egoista qualunque che non s'è degnato neppure di farsi vivo una volta in quindici anni! Figurarsi! Scusa, mamma, ma sei stata ingenua...

Giulia                            - Forse. Ma come madre ho dovuto fare anche questo... Laura me l'ha chiesto e io non potevo rifiutarmi, per quanto mi costasse. E poi speravo... Sì: speravo. Chi non ha bisogno di sperare in un po' d'imprevisto?! Anche tu! Guai a te se non saprai sperare, se ti accontenterai di sapere che tuo marito fra tre anni guadagnerà milletrecento lire al mese e fra sette millequattro e fra diciassette duemila.-

Beatrice                         - Giovanni è così buono con me.

Giulia                            - E tuo padre con me?! Quanto a bontà, i professori non temono concorrenza. Sono degli angeli in terra! Disposti a tutte le rinunzie, a vestire male, a mangiare come e quanto si può, a privarsi del vino, delle sigarette... A ogni figlio, una rinunzia. Che padri di fa­miglia! Apostoli sono. Angeli in terra.

Beatrice                         - Mamma!

Giulia                            - Loro angeli e noi ragioniere! E io devo gio­care al lottò perché avendo sposato una figlia l'anno scorso non potrei sposare l'altra che fra dieci anni, se non si vince un terno! E mio figlio, a vent'anni, si gode la vita tra le dispense dell'Università e le lezioni private e molti giorni non esce di casa perché si vergogna di portare sempre quel vestito...

Beatrice                         - Tu mi spaventi!

Giulia                            - No, cara. Ti metto al corrente. E' mio dovere. Del resto, sai che non sono stata entusiasta del tuo ma­trimonio.

Beatrice                         - Se ci vogliamo bene...

Giulia                            - Senza una casa...

Beatrice                         - Giovanni se ne cruccia, ma io... Qui sono nata, cresciuta™ Non si può esser sempre felici!

Giulia                            - Ma si avrebbe diritto ad esserlo almeno qualche volta! Se avessimo soltanto un po' di denaro... Non ci manca che quello... Ma quanto ci manca!

Beatrice                         - Povera mammina. Bisogna aver fede...

Giulia                            - Ne ho avuta tanta. E coraggio. E spirito di sacrificio. E se penso che tu avrai una vita come la mia.  Eh, se fosse stato per me, ti avrei fatto sposare Marcello...

Beatrice                         - Marcello non era una cosa seria. Voleva far di me la sua amante... Credeva di ubriacarmi con la sua ricchezza... L'automobile.

Giulia                            - Amante, amante! Marcello è molto giovane, si capisce... Ma ti voleva bene! (Beatrice fa un gesto di diniego). Insomma, gli piacevi. E molto. Arrivare all'amore è compito della donna in questo caso. Bisogna saper fare. Ho ben visto come ti guardava...

Beatrice                         - Mamma!

Giulia                            - Non dico niente di male! E' successo molte volte che una ragazza sia riuscita a farsi sposare da uno che non ne aveva l'intenzione. Betsabea e re David! Eh, gli uomini... Non ci sono che i nostri professori che dopo aver vista una ragazza tre volte e seguita due, si precipitano dai genitori! Marcello aveva una grandis­sima simpatia per te. Soltanto esitava... Ma sono più che certa che ti avrebbe sposata. Me l'ha ripetuto anche ieri.

Beatrice                         - Ti ha parlato?

Giulia                            - No: gli ho parlato io. Era fermo, con la sua macchina, davanti al cinema... E allora gli ho par­lato per via di Vincenzo.

Beatrice                         - Ah, quand'è per Vincenzo...

Giulia                            - Inutile fare quelle smorfie: Vincenzo quando avrà sposato tua sorella mi consolerà, come ge­nero, del povero Giovanni!

Beatrice                         - Per ora il tuo Vincenzo... non ha arte né parte.

Giulia                            - Marcello può benissimo, se vuole, sistemare Vincenzo nell'azienda paterna.

Beatrice                         - Non ha laurea né diploma.

Giulia                            - Come se contassero oggi! Commercio! Con un po' di fortuna e con la tenacia che ha può diventare un signore, magari in pochi anni.

Beatrice                         - Stai tornando bambina, mamma. Credi nel gioco del lotto, credi che tuo fratello, quell'egoistone, ti possa mandare ventimila lire per affrettare le nozze di Laura, credi che Marcello voglia lanciare Vincenzo negli affari™

Giulia                            - E lasciami credere. Ho bisogno di credere. Del resto sono convinta che per quel che riguarda Vin­cenzo la cosa non dipende che da te!

Beatrice                         - Mamma! Non capisco...

Giulia                            - Eppure è semplice. T'ho già detto che Marcello ha sempre una viva simpatia...

Beatrice                         - Mamma, ma ti rendi conto di quello che dici?

Giulia                            - Beatrice! E' tua madre che ti parla. E sa quello che dice. Basterà che parlando con Marcello tu ti mostri cortese. Come un'amica d'infanzia. Quello che sei, insomma- Che non gli faccia sgarberie.

Beatrice                         - Dovrei lusingare Marcello per...?

Giulia                            - Macché lusingare! Che c'entra? Non trat­tarlo male. Un po' di cortesia, che è anche educazione, dopo tutto. Che ti costa?

Beatrice                         - E una volta Vincenzo a posto dovrei dimostrare la mia gratitudine...?

Giulia                            - Parli come Cornelia, madre dei Gracchi! E finiscila di fraintendere! Gratitudine? Si capisce. Qualche sorriso.

Beatrice                         - Bada che Marcello non è tipo da accon­tentarsi di sorrisi. Non se ne accontentava con la signo­rina Gaudenzi. Figurarsi se se ne accontenterebbe con la «ignora Frontini.

Giulia                            - Di un uomo innamorato, una donna fa quello che vuole.

Beatrice                         - Intanto Marcello non è innamorato...

Giulia                            - Press'a poco. E se vuoi bene a tua sorella devi fare come dico io.

Beatrice                         - Voglio bene a mia sorella. Ma anche a mio marito.

Giulia                            - H quale non c'entra affatto. Non si tratta di far niente di male. Figurati se io te lo direi! Si tratta di un'opera buona. Ma, insomma, bisogna pure che qualcuno m'aiuti! Se non m'aiuta mio fratello per il quale ventimila lire sarebbero come una sigaretta.

Beatrice                         - Si vede!

Giulia                            - Almeno tu, che sei in casa e vedi e sai, dovresti fare qualcosa.. Se no il matrimonio non si fa.

Beatrice                         - Sarebbe meglio! Laura non ama Vin­cenzo!

Giulia                            - Lo dici tu! (Lo ama... quanto basta! Laura ha un temperamento diverso dal tuo. Lo ama a suo modo: ed è forse un modo migliore del tuo. (Compare da destra Laura) Grazie del tuo aiuto (A Laura) Puoi ringraziare anche tu tua sorella. Si prodiga per te. (Esce da destra in fondo).

Laura                             - Che c'è?

Beatrice                         - Niente. Un po' di nervi. (Seguendo la madre) Mamma! Cercherò di accontentarti.» (Esce die­tro la madre).

Laura                             - (avvicinandosi alla tavola) Naturalmente, tutto freddo! (Chiamando) Annetta! Annetta! (Ricompare Annetta) Portami un po' di latte caldo, se è possibile!

Annetta                         - Subito, signorina. (Mentre Annetta è ancora in scena compare anche Giovanni, il marito di Beatrice).

Giovanni                       - Anche a me, Annetta.

Annetta                         - (brontolando) Si alzassero almeno alla stessa ora... (Esce).

Laura                             - Me l'hai portato?

Giovanni                       - (avvicinandosi a Laura) Niente da fare, cognatina!

Laura                             - Antipatico! Professore!

Giovanni                       - Niente da fare! Io non mi presto a questa losca manovra! Quando sarai signora Pepe, leg­gerai tutti i libri che vorrai. Ora devi leggere quelli che piacciono a tuo padre ed a me.

Laura                             - E che non piacciono affatto a me! Sii buono, Giovanni: fatti dare quel libro.

Giovanni                       - Ma sei pazza? Dovrei prendere in biblio­teca le Memorie di Casanova e portartele di nascosto? Se non puoi farne a meno, procuratele in qualche altro modo. Tra l'altro sono scritte in uno stile scorretto.

Laura                             - Professore!

Giovanni                       - Per grazia dì Dio, come tuo padre! (An­netta porta il caffelatte caldo che versa ai due che man­giano: poi esce).

Laura                             - Peggio! Perché papà ha cinquant'anni, ma tu ne bai trenta!

Giovanni                       - Trentadue!

Laura                             - Trentadue e sei già così vecchio! (Finisce di trangugiare il latte). Professore... straordinario! (gli fa le boccacce ed esce).

Giovanni                       - Annetta! Un po' di zucchero! Annetta!

Giulia                            - (entrando) Che vuoi? ,

Giovanni                       - Oh, scusa, mamma! Volevo... Ma non fa niente.

Giulia                            - Zucchero? Tò. (Va a prendere la zucche­riera e gliela dà. Egli ne prende una zolla, con discre­zione: poi la restituisce. Giulia rimette la zuccheriera nella credenza che chiude). Liti con Laura?

Giovanni                       - Oh, quella è così vivace. Scherza sempre.

Giulia                            - E' l'unica che sappia scherzare. Il solo sor­riso di questa casa.

Giovanni                       - Può darsi. Fa bene. E' giovane.

Giulia                            - Ci sono altri giovani, qui: Francesco, tua moglie. Ma anche tua moglie sta disimparando il riso. Dovresti preoccupartene se fossi meno preso... dalla scuola!

Giovanni                       - E dalli! Qui, pare che sia come una ver­gogna essere insegnanti! Anche Laura, poco fa! (Entra Francesco, giovane di vent’anni, con delle dispense in mano).

Francesco                      - Qui non si fa che discutere, gridare... Da un'ora cerco di capire qualcosa di quello che leggo e non riesco che sentir il vocio di qui. Buongiorno, Gio­vanni.

Giovanni                       - (alzandosi da tavola) Buongiorno, Fran­cesco.

Giulia                            - Scusa, Francesco. Dimentichiamo sempre che hai da studiare. Non esci questa mattina? Ce un bel sole, sai?

Francesco                      - (indicando le dispense) E come faccio?

Giulia                            - Ne hai ancora per molto?

Francesco                      - Fino al diciotto... o al ventisei: secondo appello.

Giulia                            - Non puoi andare di là?

Francesco                      - In istudio ci sarà papà...

Giulia                            - Già.

Giovanni                       - Io vado a scuola.

Giulia                            - Lui, vedi, il moto lo fa... (Giovanni dà una occhiata di sbieco alla suocera).

Giovanni                       - Buongiorno.

Giulia                            - Buongiorno. (Giovanni esce). Dovresti muo­verti anche tu...

Francesco                      - Come faccio? Pomeriggio le lezioni, la sera sono stanco. Se non studio la mattina.

Giulia                            - Povero Checchino! Ma fra due anni basta con la scuola, no?

Francesco                      - Spero.

Giulia                            - Sarai il mio... A proposito: come si chia­mano i dottori in scienze economiche e commerciali?

Francesco                      - Dottori si chiamano!

Giulia                            - Dottore sa di medicina. Meglio economo, commerciante.

Francesco                      - No, no: meglio dottore. Come commer­ciante, in famiglia, basta Vincenzo.

Giulia                            - E va bene, dottore, ma in commercio. Tu non sarai impiegato, vero? Tu non temi la lotta per la vita! Tenterai...

Francesco                      - Te lo giuro! Impiegato, mai... Almeno, così spero.

Giulia                            - (abbracciandolo) Caro!

Laura                             - (entrando) Vecchia verità: le madri hanno il debole per i figli maschi!

Francesco                      - Gelosa?

Laura                             - Signore, non conosco questo sentimento!

Francesco                      - Il signor Vincenzo Pepe non sarebbe lusingato.

Laura                             - Il signor Vincenzo Pepe non c'entra. Egli, messere, mi ha chiesto amore e non gelosia!

Francesco                      - Che parlare forbito, madonna! E può amor andar disgiunto da gelosia?

Laura                             - Come si vede che siamo imparentati col Re­gio Liceo!

Francesco                      - A proposito, se n'è già scappato il co­gnato Giovanni? Avrei bisogno dei suoi lumi per una frase latina. Il diritto! Oh, il diritto! Chi l'ha inventato?

Laura                             - Uno che voleva legalizzare i propri imbrogli.

Giulia                            - Ho sentito chiuder la porta: Giovanni dev'essere andato!

Francesco                      - Pazienza! Allora andrò ad invadere il sacrario paterno... Si offenderà e... mi cederà il posto. (Entra a destra in fondo).

Giulia                            - Caro ragazzo! Che vita gli tocca fare.

Laura                             - L'invidio!

Giulia                            - Lo invidi?

Laura                             - Sì: perché è uomo! Che ha detto Beatrice?

Giulia                            - Molte sciocchezze. Ma pare che si sia per­suasa.

Laura                             - Quante storie! Per fare due moine a un bel ragazzo che vale dieci professori Giovanni messi in­sieme... Se si fa pregare, è finzione!

Giulia                            - Non bisogna essere ingiusti con Beatrice!

Laura                             - Vuol dire che lei pensa già male!

Giulia                            - No: sono scrupoli, (Annetta passa da de­stra a sinistra per andare ad aprire). Comunque, tu sii gentile con tua sorella, ti raccomando.

Annetta                         - (ricomparendo da sinistra) C'è un profes­sore che chiede del professore...

Giulia                            - Avvertilo! Le solite loro storie, per un punto più o meno... Vieni, Laura... (Giulia e Laura escono da destra, prima porta).

Annetta                         - Si accomodi. (Annetta introduce il professor Donato Gerosi, poi va a destra in fondo ad avvertire Anselmo il quale compare quasi subito).

Anselmo                        - Tu qui, a quest'ora?

Donato                          - - Sì. Volevo parlarti al di fuori dell'Istituto.

Anselmo                        - Che c'è? Siediti! Bada che tra mezz'ora ho lezione.

Donato                          - Anch'io. Ma basteranno cinque minuti. Il colloquio dev'essere breve. Non so se sarò calmo. Breve certo.

Anselmo                        - Tu m'impensierisci!

Donato                          - Poche chiacchiere. Guardiamoci in faccia. Oramai ci conosciamo da molti anni, cioè tu mi conosci da molti anni e dovresti aver capito che non sono tipo da lasciarmi dare lo sgambetto da nessuno.

Anselmo                        - (sorpreso dal tono e dalle parole) Che significa questo preambolo?

Donato                          - Intendi! Intelligenti pauca... E sai anche qual è l'argomento sul quale devo intrattenerti.

Anselmo                        - Immagino.

Donato                          - Meno male.

Anselmo                        - Non è difficile presumere. Né io faccio mistero della mia aspirazione più che legittima credo alla presidenza dell'Istituto. Mi piace che anche tu metta le carte in tavola.

Donato                          - Io metto le carte in tavola, ma tu non cambiar le tue! Qui non si tratta di legittima concor­renza. Si tratta di una famosa porcheria, di un'ignobile campagna di calunnie.

Anselmo                        - Collega, non una parola di più su co­testo tono o sarò costretto...

Donato                          - Non prima che t'abbia detto che sono in­formato delle lettere anonime al provveditore, delle vili calunnie che esse contengono.

Anselmo                        - Io l'ho saputo ieri sera. Chi ti fa pensare una cosa simile d'un gentiluomo come me?

Donato                          - Il latino, collega!

Anselmo                        - Il latino?

Donato                          - Già. Cui prodest? A chi giova. Perché mi si vuol mettere in cattiva luce? Quali nemici ho io? L'ha detto anche mia moglie. Nessuno. Ho solo un con­corrente: un rivale.

Anselmo                        - (con disprezzo) Esci!

Donato                          - - Nessun altro avrebbe avuto interesse a calunniarmi...

Anselmo                        - Via! Via! (Lo sospinge verso la porta).

Donato                          - Ma non finisce così! Sono deciso a difen­dermi e, se occorre, come ha detto mia moglie, a con­trattaccare! Ci rivedremo! (Esce sbattendo la porta. Anselmo rimane solo. Poi chiama)

Anselmo                        - Annetta! (Annetta compare). Accompa­gna il signore.-

Annetta                         - E" già uscito.

Anselmo                        - E' pazzo... Dammi il paletot- E' pazzo! (Annetta gli infila il paletot e gli dà la cartella). Grazie. Lettere anonime, io? Ma! Addio. (Esce, accompagnato da Annetta la quale rientra, attraversa la scena, sparec­chia la tavola dalla colazione. Porta di là, poi torna in scena a riordinare. Campanello. Essa torna ad uscire a sinistra e ricompare introducendo Rocco: uomo d'una sessantina d'anni che ha una valigia in mano. Annetta vorrebbe precipitarsi ad avvertire di là, ma Rocco la ferma).

Annetta                         - Si accomodi. Vado subito ad avvertire la signora...

Rocco                            - Ssst! Aspettate un momento! Non c'è fretta... Ci vuole cautela... Dopo tanto tempo!

Annetta                         - La signora ha tanto parlato di lei... In specie in questi ultimi tempi!

Rocco                            - Capisco.

Annetta                         - Anche le sue nipoti, sa? Anche il si­gnorino.

Rocco                            - (osservando il mobilio e cercando di ambien­tarsi) Come stanno? Tutti bene, no?

Annetta                         - Oh, in quanto a questo, la salute si butta in questa casa. E' la sola cosa di cui c'è abbondanza.

Rocco                            - Non è poco.

Annetta                         - Ma sa che suo nipote le somiglia un po'?...

Rocco                            - (con un debole sorriso) Davvero? Somi­glierà al nonno allora, perché io sono il ritratto di mio padre.

Giulia                            - (entrando e fermandosi sulla soglia) Chi c'è?

Annetta                         - Ma signora... Guardi!

Rocco                            - (muovendosi incontro a Giulia) Giulia!!

Giulia                            - Signore... Lei... (Lo fissa) Rocco!

Rocco                            - (con un triste sorriso) In carne ed ossa!

Giulia                            - Rocco! (Si abbracciano. La cameriera esce di corsa e rientrerà poco dopo con un bicchier d'acqua di Giulia, nella confusione del momento, berrà quasi senz'accorgersi. Intanto vacilla, si appoggia al tavolo) Tu... qui... Rocco, in Italia!

Rocco                            - Eh, già...

Annetta                         - Si accomodi, signore

Giulia                            - Ma certo... Siedi lì... No... Qua...

Rocco                            - Quanta emozione! Come non ci si vedesse da mezzo secolo! Eppure, Giulia, sono appena venti­sette anni!

Giulia                            - Ventisette, dici?... Già... Sicuro. Ventisette anni! Ventisette!

Rocco                            - Siamo un po' cambiati. E' già molto che tu n'abbia riconosciuto.

Giulia                            - Subito, t'ho riconosciuto!

Annetta                         - Anch'io, sa?! Somiglia al signorino!

Rocco                            - (a Giulia) Di', vero...?

Giulia                            - Che cosa?

Rocco                            - Che tuo figlio mi somiglia?...

Giulia                            - No... Cioè, sì... un po'... certo...

Annetta                         - Come no? Molto!

Giulia                            - Ma che sorpresa!

Rocco                            - - Vero? Avrei voluto telegrafare, ieri sera, da Napoli, ma ho riflettuto che forse era meglio non...

Giulia                            - Certo un telegramma così, all'improvviso...

Annetta                         - Signora, vado a chiamare il signorino, così il signore vedrà la somiglianza...

Giulia                            - Sì. Anzi, no... Aspetta... Rocco, vuoi pren­dere qualche cosa?

Rocco                            - No... Forse un caffè.

Annetta                         - Subito. (Esce da destra).

Giulia                            - (accorgendosi del lutto del fratello) Ma tu porti il lutto...?

Rocco                            - Sì, Giulia.

Giulia                            - Lutto stretto...

Rocco                            - Di fuori e di dentro, sorella! Sono un rot­tame... Un uomo alla deriva... Tuo fratello è morto il sedici ottobre... Cinquantaquattro giorni fa... Di lui non è rimasto che un rottame umano... Eccolo qua...

Giulia                            - Ma chi hai perduto...?

Rocco                            - Tutto.

Giulia                            - Tutto?

Rocco                            - Tutti,

Giulia                            - Tutti, come?

Rocco                            - Mia moglie e mio figlio! Insieme... Un di­sastro automobilistico... Nella nostra proprietà. Gino era al volante. Sua madre vicino a lui. Erano andati via dopo colazione... Mezz'ora dopo me li hanno riportati. Una cosa terribile, Giulia. Quasi sotto i miei occhi, capi­sci? Una donna piena di vita, quarantacinque anni... Gino... Gino aveva la stessa età di tuo figlio...

Giulia                            - Sì: erano nati a distanza di mesi.

Rocco                            - (cava di tasca due fotografie e le mostra) L'ultima fotografia. Fatta il giorno del suo compleanno. Vedi Rita come sta bene. Quasi la tua età, ma ne di­mostra trentacinque...

Giulia                            - E' vero. Noni più di trentacinque. Io, Rocco, ne dimostro più di cinquanta. Sapessi che vita!

Rocco                            - Anch'io, sai, fino a quel giorno, portavo bene i miei anni. Ora troverai che sono un povero vecchio.

Giulia                            - No: stai abbastanza bene... Forse le fatiche del viaggio...

Rocco                            - (cupo) No: è ben altro.

Giulia                            - E allora?

Rocco                            - Che cosa?

Giulia                            - Volevo dire: come mai hai deciso di rimpa­triare? Certo, un po' di distrazione... Sai, qui non è una vita molto allegra, ma se cerchi un po' di riposo lo tro­verai. Ti fermi molto?

Rocco                            - Sempre. Non torno più al Brasile.

Giulia                            - Ah! E i tuoi interessi, la tua casa... cioè i palazzi... le piantagioni...?

Rocco                            - Non ho più niente!

Giulia                            - (allarmata) Rovinato?

Rocco                            - (con una smorfia) Macché! Non ho più niente laggiù. Tutto venduto, tutto ceduto. Mal venduto, ceduto al primo offerente, buttato via... Non me n'im­porta più nulla... Avevo bisogno di scappare... Non po­tevo più vivere laggiù!

Giulia                            - Capisco... Povero Rocco!

Rocco                            - Povero Rocco! Sono un pover'uomo, lasciato solo, con la sua inutile ricchezza... Non sono più Rocco Ventura, il grande « fazendero », il grande esportatore di cotone, il commerciante più furbo e più importante dello Stato di San Paolo... diffidente, egoista, un po' tirchio forse. Rocco Ventura è morto.

Giulia                            - Non dire così.

Rocco                            - - Tant'è vero che ho buttato via qualche mi­lione nella fretta di liquidare. Il primo cattivo affare del­la mia vita. Non me ne importa più nulla. Mi restano assai più milioni che anni di vita! E' incredibile come si possa cambiare... Come si diventa indifferenti... Ma! Parliamo un po' di voi che siete vivi! Quanti figli? Tre, vero?

Giulia                            - Un maschio e due femmine!

Rocco                            - Ho qui la tua lettera. Hai fatto bene a scri­vermi. Senza la tua lettera mi sarei trovato ancora più solo... Durante la traversata l'ho riletta almeno dieci volte per convincermi che c'è ancora qualcuno vicino a me.

Giulia                            - Caro!

Rocco                            - Una è sposata, no? A un professore?

Giulia                            - A un professore. Abita qui, con noi.

Rocco                            - E questo fidanzato di Laura? Un bravo ra­gazzo, no? Professore anche lui?

Giulia                            - (vivacemente) No: commerciante. Ma gli affari vanno male. Sai, è in principio... Molto giovane!

 Rocco                           - Commerciante? Allora deve farsi onore! Gli darò... (Segni di attenzione di Giulia) Conto di dargli qualche consiglio prezioso! E' un mestiere che conosco... Che conoscevo bene! Tuo figlio è studente?

Giulia                            - Futuro dottore in scienze commerciali.

Rocco                            - Bravo! E tuo marito? A scuola?

Giulia                            - A scuola come tutti i giorni...

Rocco                            - Dunque va male, eh?

Giulia                            - Malissimo, cioè tutto bene, meno il denaro... Siamo poveri, abbiamo molti bisogni... Capisci che se mi son decisa a scriverti...

Rocco                            - Dopo tanti anni.

Giulia                            - Anselmo non voleva che ti scrivessi...

Rocco                            - E' orgoglioso?

Giulia                            - Sai, i professori...

Rocco                            - Già: molta scienza e poca pratica. Ma dove sono questi ragazzi?

Annetta                         - (entrando con un vassoio) Ecco il caffè...

Giulia                            - Ma giusto. Che distratta! Annetta, chiama... No: va piuttosto giù e telefona al Liceo che avvertano il professore di tornare subito a casa per una cosa impor­tante. Presto.

Annetta                         - Va bene. Anche il signor Giovanni?

Giulia                            - Ma certo, anche lui. (Annetta esce da si­nistra).

Giulia                            - (andando alle porte di destra) Francesco! Laura! Beatrice! Venite! (A Rocco) Chissà che sor­presa per i ragazzi! Non ti riconosceranno...

Rocco                            - Per forza. Non mi hanno mai conosciuto!

Francesco                      - (di dentro) Insomma, non si può stu­diare! (Entrando) Che altro c'è? (Vedendo Rocco) Oh, scusi... (Beatrice entra a sua volta, in abbigliamento an­cora sommario e si ferma, confusa. Dalla stessa porta entra Laura).

Beatrice                         - Mamma... Non sapevamo che ci fosse una visita...

Giulia                            - (ridendo, stonata) Non è una visita!

Rocco                            - Sicuro: non sono una visita!

Laura                             - Non è una visita...?

Beatrice                         - (accennando a ritirarsi) Se permette...

Rocco                            - Non permetto. Beatrice! Laura! Avanti...

Francesco                      - Ma, signore...

Giulia                            - Ah, signore!!

Rocco                            - Mi dà del signore». F/ un'offesa! Ma aspetta che ti guardi bene. (Si avvicina e l’osserva) Sì... Un po'... (gli tocca naso e fronte) Qui è uguale. Anche la bocca... Il mento, no.

Francesco                      - (un po' seccato) Ma insomma-.

Rocco                            - (passando a osservare le nipoti, mentre Fran­cesco si avvicina alla madre che gli dà, sottovoce, la spiegazione) E queste due ragazze... Carine... Simpa­tiche nipotine... Questa è Laura... E questa è Beatrice... La signora Beatrice...

Beatrice                         - Frontini!

Rocco                            - Frontini! A proposito.» sposata da un anno, no? E allora? Dov'è l'erede? Ai miei tempi non si veri­ficavano questi ritardi.

Beatrice                         - (confusissima) Ma signore!

Rocco                            - Signore!! (Ride con Giulia, ride anche Fran­cesco) Signore!

Laura                             - Io ho capito. Lei è quel cugino di papà che fu arrestato, tanti anni fa... (Ilarità).

Giulia                            - No, cara: è il fratello della mamma. Zio Rocco!

Laura                             - Lo zio ricco?

Rocco                            - Sono dunque tanto famoso in questa casa?

Laura                             - Famigerato.»

Giulia                            - (con rimprovero) Laura!

Rocco                            - Lasciala dire! Ha ragione... (Seguendo l’incitamento della madre, entrambe abbracciano lo zio. Da ultimo Francesco).

Giulia                            - (quasi tra se) Accenderò un cero a Maria Santissima. Voto esaudito. (Forte) Zio Rocco è venuto a stabilirsi con noi. Resterà con noi... Egli è stato colpito da una grave sciagura famigliare... La zia e il cugino in un disastro automobilistico... Dovete volergli molta bene: egli ci vuol bene, perché siamo le sole persone care che abbia... E starà con noi...

Rocco                            - Giulia, non vorrei...

Giulia                            - Che cosa? Vorresti andare all'albergo?

Rocco                            - Ma io non so se avete posto... Siete già in tanti in questa casa.

Giulia                            - Certo, sarai abituato al lusso...

Rocco                            - Oh, non è questo: anzi...

Giulia                            - E allora avrai la tua cameretta... (Laura e Beatrice si guardano stupite). Con il suo bel balcone sulla piazza... Sai, dal balcone si vede la casa dove siamo cresciuti...

Rocco                            - Via Dante sei... Di chi è ora quella casa?

Giulia                            - Ci abita».

Francesco                      - Il provveditore degli studi!

Rocco                            - Ci abiterà per poco. Andremo ad abitarci noi...

Giulia                            - Ma è piccola!

Rocco                            - Allora Beatrice. Sì: per Beatrice va benis­simo. E ci sarà posto anche per un paio di bebé! Sì, ci abiterà Beatrice!

Beatrice                         - Ma il provveditore...

Rocco                            - Ne troverà un'altra! Vorrei vedere che con cinquanta milioni inutili non riuscirò a riscattare la casa dove son nato! (Non s'avvede dell'impressione che hanno fatto le sue parole).

Laura                             - Oh, per quello, bastano cinquantamila lire!

Rocco                            - Fossero anche cinquecento... Ma non bisogna dirlo, che non ne approfittino. E anche la terra ch'era nostra deve tornare ai Ventura!

Giulia                            - Ah, Rocco! (Lo abbraccia) Vieni a vedere la tua camera? Non è molto grande ma tranquilla». Po­trai installarti subito... Vieni... (Esce con Rocco e i figli. Scena vuota: poi da sinistra entra Anselmo seguito da Giovanni e da Annetta).

Annetta                         - Ma no, professore: le assicuro che la signora sta bene. Anche le signorine.» Ma c'è una grande, grandissima novità!

Giulia                            - (ricomparendo) Annetta, presto, le valigie in camera... (Vede il marito) Oh, Anselmo! Finalmente ti sei deciso! (Al genero) E anche tu! Anselmo           - Mi vuoi «piegare?

Giulia                            - Rocco: mio fratello...

Anselmo                        - Rocco? E tu ci fai interrompere la le­zione perché tuo fratello ti ha scritto?

Giovanni                       - Non era poi tanto urgente! Anch'io ero in classe».

Giulia                            - Non ha scritto. Ma che ventimila lire che gli avevo chiesto! Cinquanta milioni! Capisci? Cin­quanta milioni... E' stata una sciagura terribile... Starà con noi, beninteso. Ho già pensato a tutto: tu e Gio­vanni dormirete insieme. Io dormirò con le ragazze. E un cero a Maria Santissima. Provvisorio, eh! Beatrice, pare che tra un mese o due vada a trasferirsi nella «fisa del provveditore agli studi...

Giovanni                       - Ma che dici, mamma?

Anselmo                        - Giulia!!

Giulia                            - Ma sì: non mi fate quei visi sbalorditi! E' chiaro. Rocco è qui: è venuto, in persona, con tutti i suoi milioni. E ci vuol bene. Ha un debole per Fran­cesco: è naturale, somiglia talmente al suo povero Gino! Tal e quale, tranne il mento! Ma non ha importanza. E' venuto per rimanere con noi. Oramai la sua famiglia siamo noi.

Giovanni                       - Ma che c'entra la casa del provveditore?

Anselmo                        - (alla moglie) Su, calmati!

Giulia                            - (a Giovanni) Ma sì che c'entra! «Fossero anche cinquecentomila... ». La sua famiglia siamo noi! Dobbiamo volergli bene! Se lo merita, povero infelice!

Anselmo                        - Giulia, tu sei eccitata...

Giulia                            - Trovi? E con questo? Non ne ho forse motivo?...

Anselmo                        - Ma che idea farci chiamare... Che spa­vento!

Giulia                            - Ah, sì?

Giovanni                       - Abbiamo creduto una disgrazia!

Anselmo                        - Potevi aspettare che avessimo finita la lezione!

Giulia                            - Bè? Scusate, se non è successa nessuna di­sgrazia. Si tratta soltanto d'una fortuna, d'una piccola fortuna...

Giovanni                       - (guardando l’orologio) Io torno a scuola...

Giulia                            - (irosamente) No: tu vai ad abbracciare lo zio di tua moglie... E tu vai ad abbracciare tuo cognato! E rimanete in casa. Per oggi, niente scuola. E forse nep­pure domani... Ma che aspettate, dunque? Avanti! Non vorrete mica fargli quella faccia... Sorridete almeno, sor­ridete, se vi riesce, mummie... Avanti! (Li spinge verso la porta di destra) Avanti! (/ due escono, mentre Giulia va a chiamare) Annetta! Annetta!

Laura                             - (comparendo) Mamma, vorrei mandare ad avvertire Vincenzo….

Giulia                            - Ma non è urgente... Vincenzo! Vincenzo non c'entra!

Annetta                         - (entrando) Eccomi, signora.

Giulia                            - (ad Annetta) Bisogna subito accendere il fuoco nel camino. Fa freddo in questa casa! Almeno un po' di fuoco per l'ora di colazione...

Laura                             - Ma almeno a colazione inviteremo Vincenzo

Giulia                            - Ma lascia stare Vincenzo! Abbiamo altro da fare per il momento! (Esce affannata).

Annetta                         - Che giornata! Che giornata (Va a prender della legna che mette nei camino).

Lauba                            - Io, Vincenzo, lo voglio avvertire egualmente...

Annetta                         - (tentando d'accendere) Magari. Debbo an­dare o no?

Lauba                            - (soffiando) Non so perché mamma...

Giulia                            - (rientrando sempre più affaccendata) Non sapete accendere? Ci vuol tanto?

Annetta                         - Ma, signora, la legna è umida

Giulia                            - Andate, andate... Va dal macellaio invece. Un chilo e mezzo di fesa. No: un chilo. Qui, penso io...

Annetta                         - Ci vorrebbe qualche altro giornale…Una volta bastava un giornale per accendere il fuoco. Adesso che tutto cresce ce ne vogliono due!

Giulia                            - Va dal macellaio. Beh, fa un chilo e mezzo! (Annetta esce).

Lauba                            - Mamma, Vincenzo...

 

Giulia                            - Smettila con Vincenzo. Va' di là dallo zio; fagli un po' di festa. Cercate di rendervi simpatici (Laura esce da destra. Giulia tenta di attizzare il fuoco, non riesce. Va in fondo a destra e rientra con un cas­setto pieno di quaderni. Li rovescia sul caminetto, ali­mentando la fiamma con Rattizzatolo. Giovanni rientra da destra, riprende il cappello che aveva lasciato B e s'avvia verso sinistra). Dove vai?

Giovanni                       - Torno a scuola. Non è possibile... I ra­gazzi...

Giulia                            - Ho detto che oggi si resta qui!

Giovanni                       - Mamma, io capisco la tua gioia, ma il dovere...

Giulia                            - Un corno! Dobbiamo stringerci tutti intorno a Rocco. Tutti, capisci? Tra poco andremo a colazione... Lo dico anche nel tuo interesse! Se tu non lo capisci, ci sono io a fartelo capire! Un uomo, un parente, inviato dalla Provvidenza, che t'ha già regalato una casa  - Ma fa' il piacere di posare quel cappello e di startene vi­cino a tua moglie...

Giovanni                       - Ma è assurdo...

Giulia                            - E cerca di mostrarti più affettuoso, più lieto... Rocco ha già avuto abbastanza disgrazie... Non fare lo scemo! (Giovanni offeso da questa parola esce, da destra). Che stavo facendo? Ah, sì! I quaderni! (Riprende a bruciare i quaderni).

Beatrice                         - (entrando) Mamma, che è accaduto? E’ vero che hai offeso Giovanni?

Giulia                            - Offeso? Ma non faccia il permaloso, ora! Ringrazi Dio che è entrato in casa di milionari. Aiutami a bruciare i quaderni!

Beatrice                         - Ma tu riempi la casa di fumo!

Giulia                            - Arrosto, cara! Arrosto! Ora si vede che bell'affare hai fatto a sposare un disgraziato come Gio­vanni!

Beatrice                         - Ma che discorsi son questi, mamma?

Giulia                            - A scuola voleva tornare, a scuola! Il colmo! (Da destra rientra Rocco seguito da tutti gli altri).

Rocco                            - Benissimo! Mi troverò benissimo! Come a casa mia!

Anselmo                        - Oh, ma che fumo... Io allora tornerei al Liceo...

Giulia                            - Anche tu?

Anselmo                        - Per forza... Ma si può sapere che bruci? Fa' vedere... I quaderni,.

Giulia                            - Non ci pensare! Sono i miei quaderni...

Anselmo                        - I tuoi?... Quelli delle nostre spese™

Giulia                            - Delle nostre miserie. Il fuoco bisognava accenderlo™ Ora arde!

Anselmo                        - Ma se non volevi che si toccassero! Ci tenevi come a sante reliquie….

Giulia                            - Roba inutile: cifre!

Anselmo                        - Ma erano la nostra vita… Le tappe del nostro procedere.

Giulia                            - Procedere? Sempre fermi siamo stati! Im­mobili!

Anselmo                        - Sembra tutto il passato che brucia...

Giulia                            - Se Dio vuole...

Anselmo                        - Su ogni quaderno c'era una data... Quando aprivo, per caso quel cassetto, vedevo millenovecento-ventiquattro, millenovecentoventotto, millenovecento-trenta…

Giulia                            - I professori sempre quella mania: le date!

Giovanni                       - Andiamo, babbo! Dobbiamo andare...

Anselmo                        - Sì, caro. E svelti anche! (Si avviano).

Giulia                            - Anselmo!...

Anselmo                        - ET tardi, Giulia! Siamo in ritardo! Arri­vederci. (Escono).

Giulia                            - (con un sorriso forzato, a Rocco) Sai, la scuola... il dovere li chiama!

Rocco                            - E' giusto.

Giulia                            - (a Beatrice, in disparte) Bella coppia di im­becilli!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Salotto in casa di Beatrice. Vecchia casa rimessa a nuovo. Contrasto fra alcuni vecchi mobili mal ridotti e altri, nuovissimi, di lusso).

Giulia                            - Bella! Non c'è che dire! Bella casa!

Giovanni                       - (ad Anselmo) Magna sed apta mini!

Giulia                            - Che vorrebbe dire?

Giovanni                       - Niente. Che è grande!

Giulia                            - E che bella roba... Beatrice già, si sa, ha il gusto delle cose belle!

Anselmo                        - (osservando gli arazzi) Molta roba! Troppa forse...

Giovanni                       - A Beatrice piace tanto comprare... Più che la roba le piace proprio comprare... Del resto, è una fatica: non riesce a dare un ordine armonico. Roba che fa a pugni, qui, di là. Stili differenti...

Giulia                            - Ma che idea è stata quella di voler conser­vare il nostro vecchio mobilio! Ma, benedetto uomo, ha certe fissazioni!

Giovanni                       - Lo zio non ha colpa. Ha espresso solo un desiderio. Non esprime che desideri nella forma più sem­plice, direi più persuasiva. Non ha detto: tuo figlio deve chiamarsi Gino. No. Ha detto: se lo chiamerete Gino avrà cinque milioni. Come si fa a contraddirlo? Del re­sto, pover'uomo!

Giulia                            - Ingrati! Ecco che cosa siete: ingrati!

Giovanni                       - Ha torto. Le dirò che contro il parere della stessa Beatrice sono stato proprio io ad esigere che i vecchi mobili rimanessero al loro posto. Beatrice avrebbe voluto metterli tutti in una o due stanze al piano di so­pra. Una specie di museo. Io l'ho convinta che la cosa non avrebbe fatto piacere allo zio. Era doveroso, da parte nostra, far sì che questa casa somigliasse alla sua casa. E per me, dirò anzi che ho più simpatia per i vecchi mobili - sebbene non mi ricordino nulla di pre­ciso         - che per questi, nuovissimi, senza passato, senza ricordi.

Anselmo                        - Comprendo. Comprendo e approvo. Non approvo invece che questa casa sia così poco abitata! ET la terza volta consecutiva che veniamo a trovarvi e non vi troviamo mai la padrona di casa.

Giulia                            - Beatrice ha avuto molto da fare con l'ar­redamento. Ha dovuto fare tutto lei!

Anselmo                        - Voluto non dovuto.

Giovanni                       - Ho capito che non dovevo privarla della gioia, anzi dell'ebbrezza...

 Anselmo                       - Approvo.

Giulia                            - Ma è possibile che ogni volta che apri bocca tu debba dire: « approvo o disapprovo »? Tu non fai altro che approvare o disapprovare. Non hai più desideri, ma solo opinioni, sentenze. Anselmo, sei mo­notono e mortifichi i ragazzi senza una ragione.

Anselmo                        - Può essere. Ma continuo a disapprovare egualmente che tua figlia giri a questo modo, come una trottola. Non ci sono che le piccole case ad avere gli inquilini affezionati. Quand'invece la casa è bella, è vuota. Negli appartamenti di lusso chi ci sta? La servitù. Se non fosse per i ricevimenti che danno, i ricchi - gente nomade ed inquieta - non sarebbero mai in casa propria.

Giovanni                       - Beatrice mi pare che abbia detto che sa­rebbe stata qui mezz'ora prima delle cinque per ricevere qualche amico...

Anselmo                        - Ricevimento?

Giulia                            - Ma che ricevimento! Sarà un tè intimo. Quattro o cinque persone...

Anselmo                        - Perbacco! Siamo ai tè intimi... In fondo: è giusto. Oggi si possono fare i ricevimenti...

Giulia                            - Lo credo io!

Anselmo                        - Anche tu, quand'eravamo più giovani, ri­cevevi le mogli degli altri insegnanti, oggi.

Giulia                            - Come «oggi»?

Anselmo                        - Già.

Giulia                            - Non capisco. Che è, una ricorrenza?

Anselmo                        - Quasi. Non hai guardato il calendario?

Giovanni                       - Anche Beatrice non se n'è ricordata.

Anselmo                        - Il ventisette.

Giulia                            - Oh, be', se non hai altro...

Anselmo                        - Come? Non ricordi, Giulia, cos'era per noi il ventisette? Che cos'è sempre stato?

Giulia                            - Sì, sì, caro, d'accordo.

Anselmo                        - Quel giorno io rientravo a casa come un milionario. Mi sentivo milionario. Tutti avevano un'aria allegra. C'era la torta, quel giorno. Lo si aspettava con­tando i giorni, il ventisette.

Giulia                            - Che c'entra, ora? Non capisco. Oggi è il ventisette. Va bene. E con questo?

Anselmo                        - Sono le quattro e tu non m'hai ancora chiesto nulla.

Giulia                            - Si capisce. Non c'è premura.

Anselmo                        - Giovanni, e tua moglie?...

Giovanni                       - Oramai, il ventisette!! Sciocchezze...

Giulia                            - Son quattrini che puoi tenere tu...

Anselmo                        - Io?

Giulia                            - Ma sì. Una volta tanto. Per le tue piccole spese!

Anselmo                        - Giulia!

Giulia                            - Che c'è?

Anselmo                        - Ma non concepisci l'enormità di quello che hai detto?

Giulia                            - Che ho detto?

Anselmo                        - Hai detto che non hai più bisogno di me, del mio lavoro. Che io non conto più niente!

Giulia                            - Ma che ti metti in mente? Non ho detto niente di simile!

Anselmo                        - Silenzio! Io ho qui in tasca quei denari... Qui, in tasca.

Giulia                            - Va bene: ho capito. In tasca.

Anselmo                        - E mi pare che questi soli siano miei perché li ho guadagnati. Ma sono cose che le donne difficilmente possono comprendere. E mi pesano. Mi pesa che non te li sia presi, non li abbia annotati sul libriccino delle spese...

Giulia                            - Adesso potrai anche comprare, con i tuoi soldi, i libri che vorrai...

Anselmo                        - Il finimondo! Comprare libri a volon­tà! Io!

Giulia                            - Inutile! Io lo dico per il tuo bene, per farti un piacere... E tu…Ma…  (Esce).

Anselmo                        - Eccoci qua, noi due: i capifamiglia! Ri­dotti a nulla! Non c'è più bisogno di noi. Il nostro ven­tisette non «onta più niente. Possiamo buttarli via i soldi della nostra fatica. Che bellezza, eh? (Passeggia). Che t'ha detto Rosmino quando t'ha pagato lo stipendio?

Giovanni                       - Niente! Perché?

Anselmo                        - Ma avrà sorriso. No?

Giovanni                       - Non ci ho badato.

Anselmo                        - Io si! Ha sorriso. Anche a lui dovevano parere inezie questi quattro soldi. E invece Dio sa se valgano. Malgrado tutto! Ricordalo, Giovanni: malgrado tutto. Questo è il denaro che conta.

Giovanni                       - Lo so.

Anselmo                        - Bravo! Anche tu non hai perduto la testa. Noi non ci lasciamo traviare perché abbiamo la scuola e i ragazzi.

Giovanni                       - Sì, ma„

Anselmo                        - Ma cosa?

Giovanni                       - A volte anche la scuola ha i suoi in­convenienti.

Anselmo                        - Quali?

Giovanni                       - Stamane...

Anselmo                        - Non badare agli sgarbi dei colleghi. Tutta invidia. Sono i ragazzi la nostra consolazione!

Giovanni                       - Sono stati appunto i ragazzi. Stamane alle nove e trenta sono entrato in terza B per l'ora di greco.

Anselmo                        - Parli all'amico, al suocero, al collega o al facente funzione di preside?

Giovanni                       - Parlo per sfogarmi. Faccio l'appello e m'accorgo che c'è qualcosa in aria. Risatine, mormorii... Be', le solite cose. Alzo gli occhi e vedo. La lavagna!

Anselmo                        - La lavagna?

Giovanni                       - Già: c'era scritto: «I milionari non de­vono essere avari neanche nei punti ». Carattere stam­patello. Non ho detto niente. Ho cancellato senza fia­tare. Ed è la seconda volta. La settimana scorsa c'era scritto: «Quisque faber fortunae suae ». E sotto: «Tra­duzione: basta uno zio per fare fortuna».

Anselmo                        - E' ignobile. Si può fare un'inchiesta...

Giovanni                       - Per carità. Se Parigi vale una Messa, tanti milioni valgono una lavagna...

Anselmo                        - Di': Rocco ti ha dato del denaro?

Giovanni                       - No. Si è limitato ad aprire un conto in banca.

Anselmo                        - Di quanto?

Giovanni                       - Duecentomila credo. Non so. Non è inte­stato a me: è intestato a Beatrice. Beatrice preleva, fir­ma degli assegni. Paga con assegni, perfino il salario della servitù. Ha la mania degli assegni. Assegni e viaggi. Parla molto di viaggiare. Ho sentito parlare di Roma: Beatrice, Laura e forse anche Francesco.

Anselmo                        - Che storia è questa? Roma? A far che?

Giovanni                       - Niente di straordinario. Compere, le so­lite compere. Abiti e pellicce. Qui, tutta robaccia, nego-zietti, roba dell'anteguerra...

Anselmo                        - Ti prego di parlare seriamente. Qui c'è l'emporio...

Giovanni                       - Riferisco quello che odo. Al telefono. Se non ci fosse il telefono, ignorerei molte cose. Ma Bea­trice non fa misteri, al telefono; parla a lungo. E allora io ricostruisco. Tra radio, telefono, grammofono la casa è diventata rumorosa. Ma Beatrice, premurosissima, mi dice: «Va', va', caro, nel tuo studio, cosi starai tran­quillo: . Ha fatto mettere la doppia porta allo studio. E quando io sono là dentro e correggo i compiti, lei riceve le amiche, suona i suoi dischi. Ah, non è più come prima, da voi, tutti schiavi uno dell'altro. Qui, no, indipendenza. Autonomia. Vantaggi della prosperità...

Anselmo                        - Non approvo questo tono che mi addo­lora. Io vorrei vederti meno amaro e più risoluto, più operante. Ma rassegnato, no.

Giovanni                       - Oh, rassegnato è una parola grossa. Non lo sei anche tu del resto? Siamo disarmati! Come si resiste a una valanga di' milioni noi, col nostro inutile ventisette del mese in tasca? Ssst! Sono qui. (Entrano Beatrice, Laura e Francesco raggiunti quasi subito di Giulia),

Beatrice |                       - Buongiorno, papà... buongiorno, Gio­vanni.

Anselmo                        - (grave) Buon giorno. In ritardo se inon erro...

Beatrice                         - Perché? Sono le quattro e mezzo. Ab­biamo mezz'ora per preparare i sandwiches.

Anselmo                        - Ritardo. Sapevi che saremo venuti verso le quattro...

Beatrice                         - Sì: ma tra di noi non si fanno compli­menti. Qui siete come in casa vostra...

Laura                             - La campagna era così bella.

Anselmo                        - Che campagna?

Beatrice                         - Vorresti che imparassi a guidare l'auto­mobile su e giù per il corso? Ma faccio certi progressi! Vero, Francesco? L'ha detto anche Marcello.

Anselmo                        - E chi sarebbe Marcello?

Beatrice                         - Marcello Garagnani. E' il maestro e an­che il proprietario della macchina. Gentilissimo! Figu­rarsi in che stato gliela conceremo io e Francesco a forza di errori, povera macchina!

Anselmo                        - E lo chiami Marcello, così, confiden­zialmente?

Beatrice                         - Si usa. Niente più cognomi: nomi. E' più semplice. E più romano anche. Nella vera aristo­crazia, anzi, ci si dà senz'altro del tu. Ma ci sono certi mariti che storcono il naso. I pedanti e quelli che pensano subito male.

Anselmo                        - E tu, Beatrice, prendi lezione proprio da Garagnani?

Giulia                            - (con un'occhiata severa al marito) Ma certo! Che male c'è?

Anselmo                        - Sentite! Ai miei tempi!...

Beatrice                         - Papà, lascia stare i tuoi tempi... Sono passati!

Giulia                            - (al marito, sottovoce) Smettila! (Forte) Dobbiamo della gratitudine a Marcello...

Anselmo                        - Marcello, anche tu?

Giulia                            - Ha sistemato Vincenzo. Così, poveraccio, si consola del mancato matrimonio con Laura.

Francesco                      - Sorella, felicitazioni per lo scampato pericolo! Pur che tu riesca a dimenticare l'adorato Vin­cenzo Pepe!

Laura                             - Stupido! Vincenzo era... è... insomma, sa­rebbe stato un disgraziato!

Giovanni                       - Laura ha ragione.

Giulia                            - Ha parlato Seneca!

Beatrice                         - E appena avrò la patente e la macchina a Giovanni insegno io a guidare!

Giovanni                       - Guiderò l'automobile sapendo il latino. Festina lente. Affrettati lentamente. Ad evitare incidenti catastrofici. Eh sì, perché di catastrofi, in una famiglia, basta una. La nostra, magnifica, completa, l'abbiamo già avuta e allora.»

Beatrice                         - Giovanni! Sei indisponente...

Giulia                            - Anselmo, andiamo. Lasciamoli. Ricorda che Rocco dev'essere solo in casa».

Francesco                      - (ridendo) A meno che non abbia fatto un'altra capatina al cimitero».

Anselmo                        - Francesco, questo tuo cinismo mi of­fende!

Beatrice                         - Mamma, io tengo qui Laura: mi aiuta per i sandwiches.

Giovanni                       - Benissimo! Sono la sua specialità.

Anselmo                        - Arrivederci.

Giulia                            - A questa sera, ragazzi: vi aspettiamo dopo pranzo. Rocco ci vuole insieme. Ieri sera si è dispia­ciuto che non siate venuti.

Beatrice                         - Non si può mica chiuderci in casa tutte le sere!

Anselmo                        - A più tardi! (Escono Giulia, Anselmo e Francesco).

Laura                             - E io vado in cucina a preparare quello che mi farà salire nella stima del mio eruditissimo co­gnato. E voi, sotto, ora che siete soli, avanti nella lite. Casa grande: nessuno vi sente. Vi potete sfogare senza pericoli. (Esce).

Beatrice                         - Laura è una sciocca.

Giovanni                       - Parla troppo poco per esserlo. Io ho molta stima di lei. Vincenzo non era adatto per lei. Buon diavolo, ma troppo semplice.

Beatrice                         - Sono perfettamente d'accordo. (Giovanni la bacia). Che ti piglia?

Giovanni                       - Era molto che non trovavamo un argo­mento sul quale essere d'accordo. Allora ho voluto fe­steggiare questa rarità. (Beatrice alza le spalle). Allora anche tu, come tua madre, oggi... Ma! E' il ventisette! Giusto! Non hai per caso bisogno di parte dello sti­pendio? Per qualche spesuccia supplementare? No?

Beatrice                         - Se ci tieni, dà qua».

Giovanni                       - (consegnandole lo stipendio) Tò...

Beatrice                         - Lo verserò in banca domattina.

Giovanni                       - No.

Beatrice                         - Come no?

Giovanni                       - E' un favore. Se hai da spendere, spendi. Ma in banca, no. Domani è il ventotto. Il cassiere ca­pirebbe che è il mio stipendio. Mi secca, insomma, che sappia esattamente quanto guadagno.

Beatrice                         - Ma allora tienilo tu. Se ne avrò bisogno te lo chiederò. (Avvilito, Giovanni guarda i denari, poi li rimette via).

Giovanni                       - Chi viene oggi?

Beatrice                         - Nessuno... Niente d'importante. Il conte Cigna, Garagnani...

Giovanni                       - Marcello!

Beatrice                         - Si. Il conte Cigna è quel ragazzo che m'ha ceduto il posto al cinema.

Giovanni                       - Sarete in quattro allora?

Beatrice                         - Per forza: si tratta di un bridge. Cigna ci dà lezione, a me e a Laura. Ma è così difficile!

Giovanni                       - Cigna?

Beatrice                         - Il bridge! Eppure, bisogna saperlo gio­care. Qui in pochi lo sanno bene: Cigna sì, perché vive a Roma gran parte dell'anno. Pare che sia un campione.»

Giovanni                       - Campione di bridge?

Beatrice                         - Se credi che sia facile».

Giovanni                       - Va bene. Continuerò a ignorarlo.

Beatrice                         - Senti, devo farti una confidenza, ma in gran segreto. Non devi dir niente, neppure a mamma. E' una idea mia. Insomma, il conte Cigna fa la corte a Laura.

Giovanni                       - Ma le fa la corte o è una tua idea?

Beatrice                         - Le sta dietro. La mia idea è che abbia intenzioni serie.

Giovanni                       - Benone! Un conte in casa fa sempre comodo.

Beatrice                         - Non scherzare!

Giovanni                       - Figurati, cara! Pur che non scherzi lui-.

Beatrice                         - Credo di no. Dovrebbe essere felicissimo. I Cigna sono in cattive acque. Vivono bene in appa­renza: ma son pieni di ipoteche. E il vecchio conte credo transigerebbe volentieri sui quattro quarti... Insomma, sarebbe un matrimonio conveniente».

Giovanni                       - Per i Cigna!

Beatrice                         - Anche per  Laura. Bel ragazzo, bel nome. Perfino laureato: quindi ti deve essere simpatico.

Giovanni                       - Sento di amarlo.

Beatrice                         - Laura ha sofferto un po' per Vincenzo. Non l'ha detto». Ha mentito, anzi, ma in fondo aveva preso a volergli un po' di bene.

Giovanni                       - E allora il Cigna può guarirla.

Beatrice                         - - Insomma, può essere la spugna sol pas­sato. Io credo che le piaccia. E poi distinto, un signore. Lo vedrai tra poco.

Giovanni                       - No, Beatrice. Devo andare a lavorare anch'io.

Beatrice                         - Non rimani?

Giovanni                       - No. E poi non mi divertirei. Una lezione di bridge? Preferisco ancora il latino. (Si avvia. Poi torna sui suoi passi) Fai bene, molto bene a non in­sistere: mi rovineresti il pomeriggio. (Silenzio di Bea­trice). E poi io sarei una stonatura tra voi. Vero che sarei una stonatura?

Beatrice                         - Ma chi dice mai questo?

Giovanni                       - Faccio fatica ad abituarmi. Fatica. Mi ci farò, non dico di no. Ma faccio un po' di fatica.

Beatrice                         - Mi pare che era più faticoso adattarsi alle necessità della triste vita di ieri.

Giovanni                       - Forse. Ma allora io contavo. E' una sfu­matura psicologica. Ora invece... In una famiglia l'uomo conta anche e soprattutto per quello che guadagna. Eh, sì. Ora il mio stipendio non ha più importanza: e in­sieme allo stipendio ho perduto importanza anch'io.

Beatrice                         - Mania di persecuzione.

Giovanni                       - Credevo di dover fare l'insegnante, nella mia vita.» Di punto in bianco mi si dice: devi fare un altro mestiere!

Beatrice                         - Nessun mestiere!

Giovanni                       - Sì: il mestiere di nipote. Nipote d'uno zio ricco, d'uno zio di mia moglie. E’ una cosa tal­mente diversa...

Beatrice                         - Migliore!

Giovanni                       - Può darsi. Ma diversissima. E devi con­cedermi un po' di tempo perché mi abitui a conside­rare insignificante tutta quella che era la mia attività, la mia vita. Che tutto il mio latino, il mio greco in­somma non valgono più nulla. Che non debbo più dare il concorso per diventare insegnante di ruolo. E poi lo tao che dà cinque milioni a mio figlio se si chia­merà Gino. Cinque milioni a un figlio che non c'è an­cora™ Che è il colmo e il peggio. Perché tu non te ne rendi conto; ma se io ti dò un bacio, se ti stringo a me, mi pare di farlo per quei cinque milioni. Pagato! Amore a premio!

Beatrice                         - Lamentati anche! La Provvidenza!

Giovanni                       - Una Provvidenza esagerata, a torrenti, a inondazione. Troppa, troppa! Il piano di vita si sposta! Vincenzo non è più un fidanzato possibile per Laura, si capisce. Troppo in basso. Ma io, sono ancora un marito possibile per te? Del resto, tutte parole inutili. Meglio tacere.

Beatrice                         - No: preferisco che tu vuoti il sacco-. Bi­sogna finirla una buona volta con i muti rimproveri, il malumore dissimulato, la disapprovazione inespressa. Avanti. Dunque la fortuna ti disturba? Offende il tuo quieto vivere...? E vuoi che rinunciamo? Vuoi che ri­nunci a tutto?

Giovanni                       - Saresti capace?

Beatrice                         - Sono giovane, ma so sacrificarmi.

Giovanni                       - No. Non potresti perdonare mai più. E poi, cose che si dicono... Sarebbe impossibile. No. Non lo permetterei io.

Beatrice                         - Lo vedi? E allora...

Giovanni                       - Allora un po' di discrezione, Beatrice: solo un po' di discrezione.

Beatrice                         - Giovanni, perché non vuoi riconoscere in­vece la verità? Tu soffri, ti ribelli perché la grande for­tuna che ci è toccata intacca un pochino, appena appena, la tua autorità di marito. Oh, ti capisco: va. E vedo a fondo, nel tuo cuore. II tuo è orgoglio ferito, egoismo di marito, di maschio. Ma affetto: zero.

Giovanni                       - Non è il mio amor proprio che soffre, ma il mio amore, il nostro amore, che tu hai ridotto a una povera cosa, l'ultima cosa, il ninnolo per il quale non c'è più un posto in questa casa ingombra di inutilità! Eppure in una sola cameretta, spoglia e disadorna, noi due abbiamo fatto il più meraviglioso viaggio di nozze che si potesse sognare. Miliardari, nababbi! Viaggi, In­dia, Giappone, tutto c'era! E' durato un anno, finché la folgore ci ha colpiti!

Beatrice                         - La folgore? Ma fammi il piacere! Possi­bile che tu sia così egoista da non comprendere, da non esser lieto, almeno per me, della nuova vita che ci è permessa?

Giovanni                       - Dovrei anche essere lieto?

Beatrice                         - Per una donna, per una donna giovane, capirai che qualche soddisfazione mondana è necessaria. Si: mi rassegnavo alla vita di prima, come ci si era ras­segnata la mamma: per forza. Ma credi che in fondo non avessi dei desideri, delle aspirazioni...?

Giovanni                       - Non hai mai detto niente.

Beatrice                         - Non volevo darti un dolore. Erano cose assurde. Ma ora che tutto questo è consentito, perché non goderne? Tu vuoi rimanere attaccato alla tua esistenza di prima; ma perché? Che gusto ci trovi? La tua vera non è lì. Non esiste soltanto la tua scuola a questo mondo.

Giovanni                       - Esiste anche il bridge!

Beatrice                         - Che modo di parlare! Tante altre cose esistono... Intanto, guardami: non sono più elegante, più bella? Non ti piaccio di più così?

Giovanni                       - Mi piacevi anche prima.

Beatrice                         - Ma dimmi: non ti piaccio di più?

Giovanni                       - Così, vedi, tutti s'accorgeranno che sei bella.

Beatrice                         - E vuoi togliere questa gioia, questa grande gioia a tua moglie? Sei tu, Giovanni, che non vuoi ca­pire...

Giovanni                       - Capire che cosa?

Beatrice                         - Che ora hai anche altri doveri, oltre quelli del tuo orario.

Giovanni                       - E cioè?

Beatrice                         - Io voglio che anche tu faccia bella figura. Ti ho detto che bisogna che tu ti faccia fare dei vestiti. Che impari ad essere elegante, anche tu. A metterti delle cravatte un po' meno banali. A non portare sempre lo stuzzicadenti in bocca tutto il giorno. Lo dico per te, Giovanni. Nel tuo interesse. Perché vuoi sembrare peg­giore di quelle che sei?

Giovanni                       - Peggiore? Perché? I tuoi amici, i tuoi nuovi amici, mi prendono in giro?

Beatrice                         - Non lo avrei mai tollerato!

Giovanni                       - Beatrice!

Beatrice                         - Ma impara a guardarti nello specchio, caro. Quando si è poveri, meglio non avere specchi. Ma ora no: gli specchi aiutano a correggerci dei nostri di­fetti.

Giovanni                       - Sei spietata con me!

Beatrice                         - Voglio aprirti gli occhi, e mi chiami spie­tata!

Giovanni                       - Ebbene, no. Voglio rimanere così, con i miei vestiti, le mie cravatte, il mio stuzzicadenti...

Beatrice                         - Lo vedi che non mi ami? Neanche questo piccolo sacrificio di amor proprio vuoi fare per me! Niente! Orgoglio, il tuo: e niente altro!

Giovanni I                     - Dignità! Tanto io, un uomo come mi vor­resti tu, non potrei esserlo mai.

Beatrice                         - Sei intelligente, e perché vuoi non riu­scire in quello che...

Giovanni                       - i Che è così facile per gli altri? Perché ci sono nati in quest'aria. E tu oramai trovi che è aria tua, perché sei donna. Ma io no. Impossibile.

Beatrice                         - Fa' come vuoi. Ma allora non ti lamen­tare se...

Giovanni                       - Se, cosa?

Beatrice                         - Niente. Sono giovane, dopo tutto! Gio­vane! E ho diritto a vivere. Se non vuoi vivere accanto a me, vivrò da sola.

Giovanni                       - Beatrice!

Beatrice                         - Voglio dire... Sarò elegante io sola- Andrò in macchina io sola. Viaggerò io sola. Non vorrai te­nermi prigioniera con la scusa del matrimonio!?

Giovanni                       - Il matrimonio è diventato una scusa?

Beatrice                         - Dio! Non si può più parlare! Ogni parola un dramma, un'analisi logica, un interrogatorio!

Giovanni                       - (dopo una pausa) Senti, voglio farti una domanda. Una sola. Alla quale devi promettermi di rispondere sinceramente. Me lo prometti?

Beatrice                         - Sono sempre stata sincera, no?

Giovanni                       - Sì. E allora, di': mi sposeresti oggi, tu?

Beatrice                         - Come?

Giovanni                       - Se tu fossi ancora la signorina Gandenzi, cioè la ricchissima nipote del signor Ventura, e io il professore senza cattedra Giovanni Frontini ti chiedessi in moglie, che risponderesti?

Beatrice                         - (dopo una lieve esitazione) Credo che accetterei.

Giovanni                       - Grazie. Credo... E' già molto.

Beatrice                         - Ma no. Volevo dire».

Giovanni                       - Ssst! Tu esiteresti, incerta, tentata. Poi la mamma ti persuaderebbe che sarebbe una follia spo­sare un uomo simile. Ma io, per fortuna, sono giunto in tempo. Non come Vincenzo, io! Sono giunto prima. Tutto fatto quando son capitati i milioni... E bisogna subirmi. Malgrado tutto.

Beatrice                         - Sei pazzo, completamente pazzo!

Giovanni                       - E dire che io, vedi, ti amo ancora, mal­grado i tuoi milioni. E tu, in fondo, forse mi ami an­cora anche tu. Almeno un poco, malgrado il mio po­vero stipendio. Eppure... Eppure     -

Beatrice                         - Che cosa?

Giovanni                       - C'è un abisso tra noi due. Ma lo col­merò. Non mi arrendo io. Lo colmerò. A qualunque costo. (Esce. Beatrice rimane assorta. Fa per seguire il marito, poi si trattiene. Entra la cameriera).

La Cameriera                - C'è il signor Garagnani! (Beatrice ha Varia di non aver udito). Il signor Garagnani...

Beatrice                         - (riscuotendosi) Al telefono?

La Camerieba                - No, signora: è in anticamera.

Beatrice                         - (con un'occhiata alt'orologio) Solo?

La Cameriera                - Sissignora.

Beatrice                         - Beh, fallo entrare. (Si dà la cipria. Gara­gnani entra, inchino, sosta, baciamani: stile finanche ca­ricato).

Marcello                        - Signora Frontini! (Di colpo fa per pren­derla tra le braccia: essa lo respinge. Egli resta a sfio­rarle la guancia).

Beatrice                         - Andiamo. Che vi prende?

Marcello                        - Beatrice! Sai che ti amo...

Beatrice                         - Vi proibisco di darmi del tu...

Marcello                        - Una volta ci si dava del tu.

Beatrice                         - Una volta non ero sposata. Mio marito è di là. E può entrare da un momento all'altro. E vi dirò anche che mia sorella non è cieca. Il vostro con­tegno oggi, in automobile...

Marcello                        - Va bene. Ma neanch'io sono cieco. E voi siete talmente bella! Siete diventata talmente bella...

Beatrice                         - Già: e tutto il vostro amore appunto è nato dopo che mi sono sposata. Passati i pericoli.

Marcello                        - Fosse dipeso da me vi avrei sposata io! Tutta colpa di mio padre, che Iddio «li perdoni il male che mi ha fatto...

Beatrice                         - Parliamo d'altro. Volete?

Marcello                        - Ma se non approfittiamo del raro istante in cui siamo soli...

Beatrice                         - No. Vi prego.

Marcello                        - Ma che avete? Prima eravate diversa...

Beatrice                         - Ho avuto torto.

Marcello                        - Piena di vita, di brio, di avidità... Era­vate come una musica...

Beatrice                         - Forse sono stata un po' civetta.

Marcello                        - Beatrice, perché mentire? Io conosco la tua vita. Ssst! Lasciami dire. So quello che meritavi e quello che hai avuto. Tu eri fatta per un grande amore. E invece vita borghese, gente borghese, senti­menti borghesi accanto a te... No. E' una condanna che non meriti.

Beatrice                         - Marcello, vi scongiuro...

 Marcello                       - Resistere non serve a niente. II tuo de­stino è segnato. Non ti potrai sottrarre.

Beatrice                         - Non lo dite!

Marcello                        - Ma se si vede! C'è nei tuoi occhi, nella tua bocca...

Beatrice                         - Io voglio bene a Giovanni!

Marcello                        - A chi lo vuoi dire?

Beatrice                         - Voglio bene a Giovanni! Voglio bene  Giovanni!

Marcello                        - Puoi ripetertelo cento volte. Non riu­scirai mai a persuaderti di ciò che non è vero, non è più vero, non è mai stato vero. Tu vuoi bene all'amore. E tuo marito non è l'amore.

Beatrice                         - (tenta di ba­ciarla: essa resiste. Laura si affaccia cautamente, sorprende la scena, esprime il suo stupore, richiude la porta, poi bussa. Beatrice si stacca di colpo da Mar­cello, si ricompone).

Beatrice                         - Avanti!

Laura                             - (con un'ostentata disinvoltura che non riesce a coprire un certo disagio o meglio la sua incapacità a fingere) Permesso? Oh, lei, Marcello?! Si figuri che pensavo di trovare Beatrice abbracciata con Giovanni!

Marcello                        - (impacciato, mentre gli occhi di Beatrice esprimono l’ansia) Ah, lei supponeva... Espansioni coniugali pomeridiane...?

Laura                             - Beatrice e Giovanni ogni tanto litigano! Le solite cose. Allora poco fa, andandomene, mi son detta: se torno, bisognerà che bussi. So come finiscono, di solito, queste liti!

Beatrice                         - Invece hai sbagliato. Non c'è stata effu­sione né di sangue né d'amore!

Laura                             - Allora Giovanni se n'è andato arrabbiato?

Beatrice                         - Ma no: s'è ritirato nel suo studio.

Laura                             - Ah! E' in casa!

Marcello                        - Ma che fa Cigna? Se volete, lo sostituisco io nel bridge, ma certo non ho la sua scienza.

                                     

Laura                             - Lei ha altri meriti...

Beatrice                         - E' vero che Cigna a Roma è molto ricercato?

Marcello                        - Invitato dappertutto. Aristocrazia rossa e nera.

Beatrice                         - Un bel marito, allora. Molto conteso.

Laura                             - Come lei, Marcello! Molto conteso.

Marcello                        - Io, per carità! Chi vuole che si occupi di me... Ho un solo merito: so guidare bene la mac­china.

Laura                             - Ho visto. Anche nelle svolte pericolose.

Marcello                        - Già. No: non sono un marito possibile, io. Non si faccia illusioni, Laura!

Laura                             - Ma io non la vorrei neanche dipinto!

Beatrice                         - Laura!

Laura                             - Né come marito nè come amante!

Beatrice                         - Laura!!

Laura                             - Il signorino è offeso? Aspetti che abbia un marito: potrà battersi con lui.

Beatrice                         - Allora vogliamo cominciare...?

Laura                             - Io non ne ho voglia. No, oggi non ne ho proprio nessuna voglia.

Beatrice                         - Ma Cigna viene per questo.

Laura                             - Gli dirò che la lezione è rinviata. Troppe le­zioni, oggi. Francese, auto. Ho già imparato abbastanza.

Cigna                            - (comparendo) Buongiorno alla scolaresca...

Beatrice                         - Caro conte...

Laura                             - (che è andata incontro al Cigna) Siamo in ritardo, eh?

Cigna                            - (stringendole lungamente la mano) Ho dovuto accompagnare la mamma all'Arcivescovato... Una delle solite riunioni.

Laura                             - Ha fatto qualche discorso?

Cigna                            - Ho detto « Eminenza » quando sono entrato. Ed « Eminenza » quando sono andato via.

Laura                             - (servendo un liquore) L’hanno applaudita?

Cigna                            - In quelle riunioni gli applausi sono vietati... (Va a prendere le carte). Allora...

Laura                             - No. Oggi facciamo vacanza se non le spiace...

Cigna                            - Perché? Che ha?

Beatrice                         - Nervi.

Laura                             - Un po' di mal di testa!

Cigna                            - Vuole un cachet...? Ne porto sempre con me.

Laura                             - Soffre di emicrania?

Cigna                            - No. Ma trovo sempre qualcuno che ne ha bisogno. Gli altri offrono sigarette. Io cachets. Trovo che è più originale-

Laura                             - Certo è più caritatevole. Grazie. Se mai, dopo.

Cigna                            - Ma, allora, se lei non si sente, io non vorrei abusare...

Laura                             - Per carità. Le dico io quando deve andar­sene...

Cigna '                           - Brava!

Marcello                        - Vedrà che il viaggio a Roma la rimet­terà in perfetta forma, signorina!

Cigna                            - Allora, tutto è deciso?

Marcello                        - (guardando Beatrice) Sì. La settimana ventura!

Beatrice                         - Se Laura non avrà cambiato parere... Ma di Laura si deve occupare lei, Cigna...

Cigna                            - Crede che io abbia qualche potere?

Marcello                        - Laura ha una voglia matta di vedere Roma e di svaligiare i negozi di mode di via Condotti.

Laura                             - Non so più se ho ancora questa voglia...

Cigna                            - Perché? Darebbe un grosso dispiacere a me.

Laura                             - Veramente?

Cigna                            - Sì. E poi lei mi ha promesso di venire con me nei musei.

Beatrice                         - Io alle antichità tengo meno.

Marcello                        - Allora ci divideremo in due batterie.

Beatrice                         - Ma, intesi, voi due dovete partire qualche giorno prima. Qui, le nostre innocenti passeggiate hanno dato un po' nell'occhio. Stupida provincia... Se partis­simo tutti insieme, apriti cielo!

Cigna                            - Va bene. Ce ne andremo alla spicciolata...

Laura                             - Bravi. Come dei complici... Scusate, io pro­prio non mi sento... E allora me ne vado. Permetti, Beatrice?

Beatrice                         - Figurati!

Laura                             - Arrivederci! Arrivederci! (Esce).

Cigna                            - Che ha? Non è del suo solito umore!

Beatrice                         - Ma... Le passerà.

Cigna                            - Ho come la sensazione che questa gita a Roma non sia di suo gusto.

Beatrice                         - Verrà, verrà. Non vorrà mica indossare per tutta la stagione gli stracci del nostro emporio!

La Cameriera                - (entra e va a dire qualcosa sottovoce a Beatrice).

Beatrice                         - Adesso? Non l'aspettavo...

Cigna                            - Ce n'andiamo subito! Tanto oggi non era destino che il bridge...

Beatrice                         - No. Aspettate. Può darsi che riesca a li­berarmi. Aspettate un istante. (Esce seguita dalla ca­meriera).

 Cigna                           - Beh? Spero di non essere venuto troppo pre­sto? Non potevo decentemente ritardare troppo...

Marcello                        - Macché! Sei giunto esatto e preciso.

Cigna                            - Tutto bene?

Marcello                        - Normale. La resistenza prevista. Niente di più né di meno. Quello che ci vuole per salvare la dignità e non far perdere la pazienza.

Cigna                            - Bacio?

Marcello                        - Bacio.

Cigna                            - Consensuale?

Marcello                        - Me ne accontento... Per poco la piccola non ci ha sorpresi! Bisogna che tu me la tolga dai piedi, quella smorfiosa!

Cigna                            - Farò del mio meglio. Ma son cose che hanno bisogno di tatto.

Marcello                        - Ssst! Eccola! E' un amore. Sento che sarà la grande passione della mia vita.

Beatrice                         - (rientrando) Sono desolata.

Cigna                            - Per carità! Ci vediamo domani...

Marcello                        - E stasera, se permette, telefono...

Beatrice                         - Va bene. Arrivederci. (I due giovani esco­no accompagnati da Beatrice: subito dopo essa rientra e va ad aprire un'altra porta). Avanti, zio! Via libera!

Rocco                            - (entrando) Mi spiace d'aver interrotto la vostra riunione... Dov'è Giovanni?

Beatrice                         - Di là. Credo stia correggendo i compiti. Ci dev'essere anche Laura. Hai fatto bene a venire. Così mi hai liberata di quei due seccatori.

Rocco                            - Chi erano?

Beatrice                         - Due ragazzi. Senza importanza. Vuoi sen­tire quel disco...?

Rocco                            - No. Grazie. Dimmi invece com'è finita?

Beatrice                         - Che cosa?

Rocco                            - Tuo padre m'ha detto che c'erano delle nu­vole fra te e Giovanni. Allora mi son detto: « Andiamo a tirare le orecchie a quei ragazzi! ». Niente di serio, spero?

Beatrice                         - Ma che ti salta in mente? Per carità!

Rocco                            - Meno male. Perché non vorrei essere causa, senza volerlo... Sì: insomma, io m'intendo. Comunque ho notato           - questo sì       - e bisogna che te lo dica        - ho notato che Giovanni non ha per me nessuna tenerezza. No: non difendere tuo marito: è inutile.

Beatrice                         - Io non lo difendo affatto.

Rocco                            - E io credo d'aver capito la ragione del suo chiamiamolo malumore. Giovanni è seccato perché il conto corrente in banca è intestato a te!

Beatrice                         - Ah, il conto corrente?... Tu credi?

Rocco                            - Non c'è dubbio. E', detto fra noi, non ha torto. In fondo, il marito è lui. Cioè il capo della fa­miglia.

Beatrice                         - Già. Forse.

Rocco                            - E come può abdicare così d'un tratto alla direzione della casa?

Beatrice                         - Forse. E allora?

Rocco                            - Allora, lascia fare a me... Tipo chiuso, un po' orgoglioso, Giovanni, ma mi piace.

Laura                             - (entrando seguita da Giovanni) Abbiamo dato uno zero, un paio di tre, molti cinque... Ah, tu qui, zio?

Rocco                            - Sì, in visita. Buongiorno, Giovanni.

Giovanni                       - Buongiorno, zio.

Beatrice                         - (a Laura) Ma tu non avevi mal di testa?

Laura                             - E' passato. Allora sono andata da Giovanni... Zio, cerca di convincerlo tu. A me dice di no.

Rocco                            - Che c'è?

 

 

Laura                             - Voglio che Giovanni venga con noi, a Roma. Abbiamo bisogno di lui.

Rocco                            - Giustissimo.

Lauba                            - Su, Beatrice: diglielo anche tu. A Roma senza di lui saremmo due sperdute. Non cascherà poi il mondo se mancherà da scuola quattro giorni.

Giovanni                       - Tre. Sabato, domenica e lunedì. Che sa­rebbero poi due!

Lauba                            - Va bene. Accettato.

Giovanni                       - No: un momento...

Beatrice                         - Certo: tre giorni di assenza non sarebbero gran che... (Giovanni guarda la moglie, con occhi di spe­ranza). L'unico inconveniente è papà...

Laura                             - Che c'entra, papà? Se mai, a papà secca che si parta sole...

Beatbice                        - Non dire sciocchezze, Laura! Sono certa che papà non approverebbe questa assenza di Giovanni». Assenza ingiustificata... Sì, insomma, per un viaggetto di piacere... Contentissimo dal lato famigliare, ma come preside? Papà ora è preside più che tutto. Sai che cosa sia la scuola per lui. E anche per Giovanni, del resto. Gli altri direbbero: « Il preside tanto inflessibile con tutti, è pieno di indulgenza quando si tratta di suo ge­nero... ». Son sicura che sono osservazioni che al babbo non farebbero piacere. Io lo conosco meglio di te. (Laura l'ha guardata con muto stupore; Giovanni con profonda pena. Beatrice vedendo il suo sguardo capisce di non essere stata molto abile). Non so: può darsi che il mio sia ano scrupolo eccessivo. Basta chiederlo, del resto. Giovanni, parlane a papà...

Giovanni                       - No. Beatrice ha ragione. Sarebbe sconve­niente e inopportuno sotto ogni aspetto. Non bisogna mettere papà in simile imbarazzo. Non ne vale la pena. Del resto, Beatrice, non sarai sola. Ci sarà Laura...

Beatrice                         - Oh, non ti preoccupare per me...

Giovanni                       - Lo so. Non mi preoccupo affatto...

Beatrice                         - Forse è meglio così.

Giovanni                       - Certo è meglio così...

Laura                             - Beatrice!

Beatrice                         - Che hai?

Laura                             - Vieni di là. Ho da parlarti.

Beatrice                         - Scusa, zio.

Rocco                            - Fa', fa' pure. (Laura e Beatrice escono). Al­lora approfitto di questo momento per dirti quello che ero appunto venuto per dirti... (Giovanni passeggia in­tanto in su e in giù nervoso). Io capisco il tuo stato d'animo. Lo capisco e lo condivido. Ho avuto torto ad aprire un tonto corrente a Beatrice. Le donne, si sa, sono donne. E allora sono qui per riparare...

Giovanni                       - Riparare cosa?

Rocco                            - Il marito dev'essere marito. Allora vorrei...

Giovanni                       - No.

Rocco                            - Che cosa?

Giovanni                       - Io ringrazio. Capisco la gentilezza del pensiero. Ma non posso accettare. Io non sono neanche un parente diretto. No: impossibile. Sarebbero sempre quattrini avuti per via della moglie: sempre suoi.

Rocco                            - Che vuol dire?

Giovanni                       - Vuol dire che, un momento o l'altro, essa me lo rinfaccerebbe... Sì, lo so. Conosco l'animus! La « sua » convinzione sarebbe questa, anche se non la esprima, che io le debbo tutto. Ecco. E poi in banca, do­vunque, che figura ci farei? No, no.

Rocco                            - Mi sembrano scrupoli eccessivi...

Giovanni                       - Non sono eccessivi.

Rocco                            - Se è per diffidenza o per antipatia verso di me...

Giovanni                       - Affatto. Vuole una prova anzi della fi­ducia che ho in lei? Ecco: dirò a lei, per primo, quello che non ho detto a nessuno, neanche a mia moglie. A nessuno. Lascio la scuola.

Rocco                            - Che cosa?

Giovanni                       - Lascio la scuola. Con dolore, con strazio, con rimpianto. Ma la lascio.

Rocco                            - Perché?

Giovanni                       - Perché non voglio perdere tutto. Perché voglio correre ai ripari. Lottare. Fare quello che è pos­sibile fare.

Rocco                            - Io non capisco.

Giovanni                       - i Con questi quattro soldi  - (cava di tasca lo stipendio) non si lotta. (Si è sopraffatti. Lo vedo. Se io voglio riconquistare mia moglie, essere il vero ma­rito, bisogna che mi butti nell'avventura...

Rocco                            - Che avventura?

Giovanni                       - La vita.

Rocco                            - Ma per far che?

Giovanni                       - Non so: il commercio.

Rocco                            - Un professore in commercio?

Giovanni                       - Naufragherò probabilmente. Non im­porta. Avrò tentato. Ecco dove mi può essere utile lei. Utilissimo. Non nel regalarmi dei soldi. Nel darmi dei consigli, nel mettermi sulla buona strada. Questo sì, lo posso accettare. Anzi, la supplico di darmi un po' della sua esperienza... Gli affari. Come si fanno gli affari? Guadagnare. Guadagnare molto, come si fa? Io un pic­colo, modestissimo capitale: oh, irrisorio, l'ho. E' con questo che bisogna cominciare. In che ramo mi con­siglia di mettermi? Tessuti? Trasporti? Alberghi? Mi dica, mi dica...

Rocco l                          - Calmati, non è così che si fanno gli affari.

Giovanni                       - Perché? Quand'è che lei ha cominciato a mettersi nel commercio?

Rocco                            - Io? Oh, io... Un giorno che ero proprio disperato.

Giovanni                       - E allora avanti. Per me, oggi, è il giorno buono.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La stessa scena del primo atto. Sono in scena Rocco, Anselmo e Giulia).

Rocco                            - (osservando e confrontando due fotografie) Sono perplesso...

Anselmo                        - (indicando una delle due) Questa è mi­gliore: più classica.

Giulia                            - (con un'occhiata di sbieco ad Anselmo) Ah, trovi...? Anche l'altra mi pare...

Anselmo                        - Non c'è paragone. Questa è una vera opera d'arte. L'altra è una banalità: un monumento fu­nebre come ce n'è tanti.

Rocco                            - Sì, Giulia: mi pare che Anselmo abbia ra­gione.

Anselmo                        - Senz'altro. Senz'altro.

Giulia                            - E va bene!

Rocco                            - E siccome bisogna decidersi, io non perdo più tempo: oggi stesso telegrafo a Roma confermando l'ordinazione;

Giulia                            - Dovresti discutere il prezzo: forse si può ottenere una riduzione.

Anselmo                        - Non si tratta mica d'un abito da sera!

Rocco                            - E poi proprio su questa spesa dovrei...? Niente. Vado a telegrafare subito. Voglio che per l'an­niversario tutto sia a posto. Arrivederci. Un momento: è certo che Beatrice verrà qui prima di partire? Non vorrei lasciarla andar via senza un saluto...

Anselmo                        - Certamente, Rocco. Beatrice sarà qui e attenderà il tuo ritorno.

Rocco                            - Arrivederci, allora. (Esce).

Giulia                            - E va bene! Altre ottocentomila lire che se ne vanno, grazie a te!

Anselmo                        - A me? Che c'entro io?

Giulia                            - Avresti potuto consigliargli l'altro. Erano trecentomila lire di meno.

Anselmo                        - Io ho dato il mio modesto parere, sin­ceramente! Quel pover'uomo non dovrebbe avere nean­che il diritto di spendere il proprio denaro per uno scopo così pietoso!

Giulia                            - il proprio denaro! Ma è denaro dei nostri figli!

Anselmo                        - Per i nostri figli ce ne sarà sempre ab­bastanza.. Anzi, troppo!

Giulia                            - Il denaro non è mai troppo!

Anselmo                        - Neanche quello che spende per Laura non è troppo? Che ne dici di questo viaggio di nozze che si prolunga da più di un mese e mezzo per tutta Europa?

Giulia                            - Laura ha sposato un conte!

Anselmo                        - Spiantato! Cacciatore di dote!

Giulia                            - Laura è felice!

Anselmo                        - Dio lo voglia...

Giulia                            - Secondo te avrebbe dovuto sposare quel disgraziato, vero?

Anselmo                        - Quel disgraziato l'amava ed era un bravo giovane!

Giulia                            - Daccapo? Ti vuoi convincere che non sei di questo mondo, che non conosci la vita?

Anselmo                        - Ah, credi? Ma io, fuor della vita, non avrei autorizzato Francesco ad accompagnare Beatrice... in questa vacanza lunga ed immeritata.

Giulia                            - Il professore in cattedra!

Anselmo                        - Non il professore: il padre!

Giulia                            - Immeritata! Che delitto! Andare un mese a Viareggio, a fare per la prima volta quello che gli altri fanno tutti gli anni: un po' di bagni.

Anselmo                        - Francesco non ha più studiato. Non com­bina più nulla di buono. Da un anno neanche un esame! Approvi? O pensi che la patente automobili­stica possa sostituire la laurea?

Giulia                            - Catastrofico, come sempre! Francesco prenderà la sua laurea. Magari un po' più tardi. Ma non è mica obbligatorio essere dottore a ventun anno! E' un buon ragazzo! E lascia che si diverta un po'. Capisci che cosa significa avere vent'anni?

Anselmo                        - Li ho avuti anch'io.

Giulia                            - Per modo di dire.

Anselmo                        - E rincasa ad ore impossibili! E va in giro con ragazze poco raccomandabili.-.

 

   

Giulia                            - Ha vent'anni!!

Anselmo                        - L'età in cui ci si rovina.

Giulia                            - Ma fammi il piacere... Perché ha qualche avventura?

Anselmo                        - Anche per questo, sicuro!

Giulia                            - Lo vedi che non hai mai avuto vent'anni, tu?!

Anselmo                        - Sarei curioso di sapere se anche tuo fra­tello approva quello che sta succedendo in questa casa... Perfino Giovanni! Questa non me l'aspettavo! Per Gio­vanni avrei messo la mano sul fuoco! Cosi studioso, così serio..-

Giulia                            - Ne parli come d'un disgraziato.

Anselmo                        - E' un uomo perduto! Anche l'insegna­mento ha lasciato... Lui!

Giulia                            - Finalmente s'è deciso!

Anselmo                        - Uno studioso come lui, darsi agli affari!

Giulia                            - Se li saprà fare avrà avuto ragione...

Beatrice                         - (entrando, in abito da viaggio, sportivo) Eccomi pronta! Buongiorno, mamma! Buongiorno, pro­fessore!

Anselmo                        - Che significa?

Beatrice                         - (abbracciandolo) Professore e papà: brontolone ma tanto buono! Francesco!! ! Pronto!

Francesco                      - (di dentro) Eccomi!

Giulia                            - Ma come stai bene, Beatrice! Deliziosa! Non trovi, Anselmo...

Anselmo                        - Io? Sì-..

Beatrice                         - Francesco!!

Giulia                            - Dev'essere in camera sua, alle prese con le valigie...

Beatrice                         - Ne ha più d'una? Non so dove le fic­cheremo! Io ne ho quattro! Vado a vedere... (Esce).

Giulia                            - (compiaciuta) Deliziosa! Deliziosa! E' nata per l'eleganza! Non è questione di soldi: è questione di gusto! Ha buon gusto. E poi ha un portamento. Chic! A Viareggio diranno: «Chi sarà quella magnifica creatura? ».

Anselmo                        - Ah?! A Viareggio diranno...?

Giulia                            - Beatrice avrà un successone!

Anselmo                        - Ma ci va per fare i bagni o per un corso di recite?

Giulia                            - Anselmo, il tuo destino è di non capire niente!

Francesco                      - (entrando con Beatrice. Anch'egli in abito sportivo) Otto ore ho detto. E senza bisogno di for­zare. Si fa comodamente in otto ore!

Beatrice                         - Ci fermeremo a Roma?

Francesco                      - Macché! Faremo colazione a Grosseto!

Beatrice                         - Allora, genitori, abbracciateci!

Francesco                      - La macchina è giù?

Beatrice                         - Fatto il pieno. Olio. Acqua. Tutto a posto. (Abbraccia la madre).

Anselmo                        - Non dimenticate per caso di salutare qualcuno-..? Già!

Francesco                      - Accidenti!! Stavamo per farla grossa!

Giulia                            - E' uscito: ma non tarderà.

Beatrice                         - Speriamo...

Anselmo                        - Nell'attesa, Beatrice, avrei qualcosa da dirti.

Beatrice                         - D'importante?

Anselmo                        - D'importante.

Beatrice                         - E urgente?

Anselmo                        - E urgente. E da solo a solo. (Guarda gli altri) Ho detto: da solo a solo.

Francesco                      - Mamma, è per noi...

Giulia                            - Ma si può sapere...?

Anselmo                        - Saprai dopo. (Giulia alza le spalle ed esce).

Francesco                      - (seguendola) Auguri che la predica sia almeno breve. (Segue la mamma).

Anselmo                        - Beatrice, posso chiederti se tuo marito approva questo soggiorno a Viareggio, sola?

Beatrice                         - Sola? Ma c'è Francesco!

Anselmo                        - Francesco non conta! Insomma, Gio­vanni approva? O ha acconsentito dietro la tua insi­stenza magari dopo qualche scenata? Rispondi!

Beatrice                         - Macché scenata! Non è stata sua l'idea, d'accordo: ma non ha mosso nessuna obiezione. Nes­sunissima.

Anselmo                        - Ma non ha neppure acconsentito.

Beatrice                         - Ma sì, ha acconsentito. Ha detto: fa' pure.

Anselmo                        - Ah? E non ti sembra che siano poche queste due parole?

Beatrice                         - C'era bisogno di un lungo discorso? Del resto, le tue preoccupazioni sono fuor di luogo perché da tempo Giovanni ha smesso di brontolare. E' diven­tato un buon marito. Sì: devo riconoscerlo. S'è cam­biato.

Anselmo                        - Che intendi dire per buon marito? Af­fettuoso? Devoto?

Beatrice                         - (con qualche impazienza) Intendo... un marito diverso. L'opposto di quello che era! Meno bron­tolone, meno ostile... Senza quell'aria di rimprovero, di ostilità...

Anselmo                        - Ma... affettuoso?

Beatrice                         - Ma sì. Affettuoso quanto basta.

Anselmo                        - i E il fatto che ti lasci andar via per tutto un mese, senza muovere obbiezioni, non ti fa pensare che...?

Beatrice                         - Se n'è parlato da buoni amici. Lui ha gli ultimi esami prima di lasciar definitivamente l'in­segnamento. E non pretende che io stia ad arrostire fino al quindici luglio.

Anselmo                        - . E come giudichi tu questa sua smania di darsi agli affari?

Beatrice                         - C'è del denaro inoperoso: in fondo, fa bene.

Anselmo                        - Insomma, tu approvi la condotta di tuo marito. Tu hai la certezza che egli ti voglia sempre bene. Che non ci sia nulla di mutato.

Beatrice                         - Il tenore di vita, si capisce.

Anselmo                        - Non parlo del tenore di vita. Ma a parte questo...?

Beatrice                         - (imbarazzata) Non capisco dove tu voglia arrivare. Giovanni ed io...

Anselmo                        - (vorrebbe dire qualcosa dì grave, poi si trattiene) Allora, meglio così... E come mai non è qui?

Beatrice                         - Aveva una riunione. Ha detto che sa­rebbe venuto a salutarmi, se si fosse liberato in tempo.-.

Anselmo                        - Capisco.

Rocco                            - (rientrando) Buongiorno, cara Beatrice! (la bacia in fronte).

Beatrice                         - Zietto caro!

Rocco                            - Allora si parte?

Beatrice i                       - A momenti.

Rocco                            - Una raccomandazione. (Rientrano Giulia e Francesco). Lo dico anche a te, Francesco. Non fate il bagno quando il mare è cattivo.

Francesco                      - Oh, io so nuotare! (Lei piuttosto...

Beatrice                         - Intanto sto a galla! E poi conto di imparare

Rocco                            - Ma dov'è Giovanni? Non vorrai partire senza averlo salutato?

Beatrice                         - Niente paura, zietto. L'addio straziante c'è già stato stamane. Ha una riunione d'affari.

Rocco                            - Macché affari! Quando la moglie parte per un lungo viaggio...

Francesco                      - Lungo poi!

Beatrice                         - Non giudicate male Giovanni. Si è scu­sato...

Rocco                            - E sia pure. Ma dovete promettermi di an­dar piano! Francesco, mi raccomando a te! Piano! So­prattutto uscendo dalle curve...

Francesco                      - (con un'occhiata complice alla sorella) Sarò prudentissimo. E poi non abbiamo fretta. Vero, so­rellina?

Beatrice                         - Nessuna.

Giulia                            - Mi raccomando: il telegramma appena ar­rivati.

Giovanni                       - (entrando, elegante, quasi ringiovanito, con un gran mazzo di rose) Permesso?

Francesco                      - Si stava proprio parlando male di te... Lo zio diceva: che marito è questo che non si cura nep­pure...

Giovanni                       - Un marito che a un certo punto ha pian­tato la riunione per non venir meno al proprio dovere.

Rocco                            - Un po' più del dovere! Se non sbaglio, ci sono anche dei fiori!

Giovanni                       - Qualche rosa per Beatrice!

Beatrice                         - Grazie, caro. Sei molto gentile.

Giovanni                       - Se non ti disturba, tienili in camera con te, stasera, a Viareggio.

Francesco                      - Pericoloso dormire coi fio-ri.

Giovanni                       - Alla finestra allora...

Rocco                            - E starete tutto un mese separati?

Giovanni                       - Ma nemmeno per sogno. Io la raggiun­gerò tutte le settimane, il sabato sera. Fino al lunedì.

Francesco                      - Treno dei mariti.

Giovanni                       - - Sicuro: è un buon treno, come tutti i treni. Con la lodevole abitudine di non giungere mai fuori orario.

Beatrice                         - Allora si va?

Francesco                      - Direi: se no, finiremo col dover viag­giare di notte...

Rocco                            - No, no: andate, andate! Saluti, baci; Giulia va alla finestra. Rumore di un motore. Poi silenzio). Eccoli partiti. Allora, io vado di là. (Esce).

Anselmo                        - Giovanni, puoi rimanere? Vorrei parlarti da solo a solo.

Giulia                            - Ancora?

Giovanni                       - (mentre Anselmo congeda con un'occhiata Giulia che si ritira) Sono tutt'orecchi. Di che si tratta?

Anselmo                        - Ecco...

Giovanni                       - Un momento: ho una gran sete! (Toglie dall’armadio un liquore: beve) Anche tu?

Anselmo                        - (severo) Io non bevo liquori. Continuo a non bere liquori.

Giovanni                       - - Uh, che tono! Sì: mi son messo a bere. Ma con molta morigeratezza. Un vermut, un cordiale. Beatrice beve molto più di me: gin, whisky.

Anselmo                        - Dovresti impedirglielo.

Giovanni                       - Se credi che sia una cosa facile...

Anselmo                        - Dovresti impedirglielo. Ma non è di questo che si tratta. Giovanni, dopo il grave dolore che mi hai dato con la tua decisione di abbandonare la scuola, ora me ne hai dato un secondo. Tu hai un'amante.

Giovanni                       - (calmo) Credi?

Anselmo                        - Non credo: so. Non tentare di negare. Sarebbe inutile.

Giovanni                       - Va bene.

Anselmo                        - (esasperato) Ah, va bene? Ed è tutto quello che hai da dire a tua discolpa? Ah, no! Va malissimo! Tu pensavi di ingannare Beatrice e tutti noi... me compreso, che t'avevo accolto in casa come un figlio! Sì, come un figlio.

Giovanni                       - Un uomo diventerebbe un farabutto perché ha un'amante?

Anselmo                        - Ma se non al professor Gaudenzi per il quale parevi... dimostravi tanta devozione, tu devi una spiegazione al suocero, al padre di colei che inganni ignobilmente!

Giovanni                       - (con un gesto vago) Ignobilmente!

Anselmo                        - Si: ignobilmente! Io non ne ho fatto parola con nessuno perché spero, voglio credere che sia una cosa senza importanza...

Giovanni                       - Ecco: infatti. Una cosa senza importanza-

Anselmo                        - Non nel senso in cui la prendi tu! Una cosa da dimenticare, da non parlarne più, ecco tutto. Una leggerezza, non una canagliata.

Giovanni                       - Se vuoi, posso anche farne a meno. Tanto, ci tengo così poco.

Anselmo                        - Ah, questa poi! Allora per te sarebbe una sciocchezza...?

Giovanni                       - Proprio così. Una cosa stupida. Forse molto stupida. Più stupida che cattiva.

Anselmo                        - Dunque non t'importa nulla di quella donna...?

Giovanni                       - Pochissimo. Nulla.

Anselmo                        - E se Beatrice sapesse...?

Giovanni                       - Se ne infischierebbe.

Anselmo                        - Credi?

Giovanni                       - Se ne infischierebbe, papà! Sicurissima­mente! Eh, sì: se no, scusa, perché l'avrei ingannata, se inganno si può chiamare?

Anselmo                        - E come vuoi che si chiami?

Giovanni                       - Bene. Inganno. Ammettiamo che sia un inganno. Per la legge, un reato. Ma per lei, per Bea­trice, la cosa non avrebbe nessuna importanza. Ma figu­rati se avrei potuto darle un dolore, io! Mi sono deciso quando ho avuto la certezza, dico la certezza, di averla perduta per sempre...

Anselmo                        - Perduta?

Giovanni                       - Sì. Beatrice non mi ama più. Da molti mesi. Da quel giorno. Sì, da quando siamo diventati ricchi, non ha fatto che allontanarsi da me. A un certo punto ho avuto la sensazione che mi odiasse come un intruso inopportuno. Mi trovava pedante, insopporta­bile. Non ero più niente nella sua vita. Tutto al di fuori di me: svaghi, amicizie, abitudini. Risate! Sapessi che significa vedere che chiunque riesce a farla ridere! Chiunque! Tranne io! Che ero io? Un ospite ingom­brante in casa. Ho sofferto molto. Ho anche sperato che passata l'ebbrezza dei milioni tornasse buona, de­vota, come prima. Illusione! C'era un abisso oramai tra le nostre mentalità. Beatrice non può tornare indietro. E' guastata!

 Anselmo                       - è tuo!

Giovanni                       - Chissà! Forse anche suo!

Anselmo                        - Basta, perdio! Questa è vigliaccheria!

Giovanni                       - Ho detto «forse». Non lo so- E non lo voglio sapere. Capisci? Non voglio saperlo. Non è più mia.

Anselmo                        - E tu sei di un'altra!

Giovanni                       - Ma fammi il piacere! Puoi credere dav­vero che io appartenga a una donna di quella cate­goria?! Beatrice non m'appartiene più: ecco la verità anche se per caso non m'avesse tradito ancora. Tra di noi non c'è quella povera donnina insignificante: c'è un mondo. Beatrice mi disistima: trova che ogni mia qualità è un difetto. E mi avrebbe definitivamente odiato se non fossi corso ai ripari.

Anselmo                        - Quali ripari?

Giovanni                       - Ho cercato di colmare a mie spese parte almeno della distanza che ci separava. Lei non poteva più venire a me: ho cercato di andare io verso di lei, verso i suoi gusti, la sua vita. Ho rinunciato a rimpro­verarla e poi, siccome anche il mio silenzio l'opprimeva, ho evitato anche di tacere. E finalmente quando ha saputo che lasciavo l'insegnamento per occuparmi di affari, non dico di averla riconquistata, ma insomma... ogni tanto le capita di ricordarsi di me. Mi domanda: « Be', come vanno gli affari? ». Prima non mi doman­dava: «Come va la scuola? ». Gli affari, sì. Interessano di più. E forse un giorno, chissà... Ma non ipotechiamo l'avvenire. Per ora Beatrice ed io abbiamo raggiunto quel massimo di..- come chiamarla?, di autonomia che, a quanto pare, si richiede ad ogni coppia moderna: alla gente ricca e « comme il faut ». Il denaro a che serve? A dare l'autonomia! Quando si soffre ci si vuol bene. Perché in due la sofferenza è più sopportabile. Ma quando si gode, quando si ha l'obbligo di godere, allora non c'è dubbio che si sta meglio da soli, senza controlli. Casa grande! Le amiche della moglie, la ca­meriera della moglie, i ricevimenti della moglie! Indi­pendenza!

Anselmo                        - E' molto triste quello che dici! Voi due giocate a farvi male. Ma debbo dirti che quand'anche le cose fossero come tu le dipingi, avresti il torto ineseusabile di non aver prevenuto il male, di non avere agito. Eh, non basta tacere, no! Un marito ha la sorte che si merita!

Giovanni                       - (ironico) No, no, no. Ho forse meritato io i milioni che mi sono piovuti tra capo e collo? No. Così non ho meritato di perdere Beatrice. Una fortuna e una disgrazia... venute così..-

Anselmo                        - Questo tuo fatalismo è ridicolo. E non è latino. Avresti dovuto lottare, non cedere il comando. Come ho fatto io in questa casa.

Giovanni                       - E' molto diverso...

Anselmo                        - E' la stessa cosa.

Giovanni                       - Ma no, voi non siete più giovani.

Anselmo                        - Che vuol dire?

Giovanni                       - Non avete ambizioni. Vivete per i vostri figli... A una certa età qualunque ricchezza non può dare che qualche comodità, qualche svago migliore, una vita senza privazioni, senza preoccupazioni. Ma non c'è più niente da conquistare, non ci sono curiosità, espe­rienze tentatrici, orizzonti lontani. E' diverso, molto diverso. E poi Beatrice, che m'ha visto soffrire e non s'è piegata, perché aspettava la mia resa, credi che l'avrei tenuta usando la maniera forte? M'avrebbe con­siderato un tiranno

Anselmo                        - Si amano i tiranni.

Giovanni                       - Non in famiglia. Da estranea sarebbe diventata nemica. Forse sarebbe scoppiato un scandalo. Credi, papà, fra tutti i modi di reagire, io ho scelto il meno egoistico. Tant'è vero che finora a soffrire c'è stata una sola persona: io.

Anselmo                        - E per soffrire meno sei andato a cercare delle distrazioni illecite!

Giovanni                       - Ma finiscila di parlare di quella cosa idiota! Credi davvero che io mi ritenga indennizzato? Che una donna qualunque possa sostituire...? Ah, no, papà! Ti proibisco di contrapporre Beatrice a quella cosa!

Anselmo                        - Ma perché non le hai proibito di andar­sene per tutto un mese? Perché non l'hai seguita, dal momento che non t'importa più nulla della scuola?

Giovanni                       - Perché? Per evitare a me stesso una cattiva figura ogni cinque minuti! Perché sarei stato un compagno fastidioso, insufficiente.

Anselmo                        - Macché insufficiente!

Giovanni                       - Poco attrezzato. Un marito costretto a tenersi alle corde, fermo come un salame, tra ammira­tori giovani e sportivi, capaci di nuotare come delfini, pratici del remo e della vela. Allora mica avrei potuto dire: «Voi sapete nuotare e io no, va bene. Ma in com­penso posso recitarvi a memoria tutto il brano di Se­nofonte sul mare, quello che comincia: Thalatta thalatta! ». Avresti voluto, papà, che io interrompessi le danze nel tabarin con un bel colpo di grancassa e di­cendo: « E' verissimo che io ballo come un orso, ma in compenso ho quasi ultimato una traduzione in versi di Catullo che credo sia opera degna »? ! Non avrei po­tuto fare il quarto a bridge ne sfoggiare competenza alcuna in fatto di cocktail. E ha una pessima pronuncia francese, anche se conosco la letteratura francese come nessuno di quegli « amabili conversatori ». Per tutto questo non ho voluto seguirla. Per non prestarmi a tali confronti, per non sentirmi umiliato di fronte a dei cretini. Lei si sarebbe vergognata di me come d'un parente povero, e io... forse avrei finito per strozzare qualcuno di quegli idioti. Capisci? Io non so nulla, nulla di quel che conta agli occhi di Beatrice. La mia educazione è da rifare tutta di pianta. Ecco perché ho lasciato la scuola che amavo tanto. Per tornare a scuola, non più da maestro: da allievo. Per imparare tutto quello che manca alla mia personalità. Lo vedi, eh, un professore di greco che si fa sorprendere dai suoi allievi mentre impara la rumba? O insegnante o scolaro. Io torno scolaro. Tu, papà, lasciamo fare, tu no. Tu sei fedele ai tuoi ragazzi. E se puoi, non dir niente a nes­suno, in casa. Non capirebbero. Addio, papà. Vado a imparare la rumba. (Esce precipitosamente. Anselmo rimane solo, turbatissimo. Passeggia. Poi va a prendere un fascio di compiti, siede alla tavola impugnando una grossa matita blu. Poi, con improvvisa risoluzione suona il campanello).

Annetta                         - (entrando) Signore?!

Anselmo                        - Un caffè, subito!

Annetta                         - Va bene, signore. (Esce. Anselmo riprende la matita e comincia a correggere i compiti)-

Giulia                            - (entrando) Finito il duetto? (Anselmo la guarda torvo, poi riprende il proprio lavoro). Dopo venticinque anni di matrimonio è la prima volta che in questa casa ei sono dei segreti per me. (Anselmo alza la testa: fa per dire qualcosa, si domina, riprende a segnare errori sui compiti). La prima volta... Tra mio marito e il marito di mia figlia! Cosa sono diventata io? Un'estranea? Una sciocca? Una cameriera? (La cameriera porta il caffè ed esce).

Anselmo                        - Finiscila! Non ho tempo, adesso, per il tuo fatto personale!

Giulia                            - (osservando stupita il marito) E' anche la prima volta che mi parla su questo tono!

Anselmo                        - Forse... Molte cose stanno accadendo per la prima volta nella nostra famiglia! E' l'annata delle novità! Ogni giorno una novità. Nulla diessine linea. Si parte, si arriva, si riparte, si balla, si ridda. Siamo presi in un vortice. Siamo ricchi: novità! Cancellare il passato, godere la vita: novità! Nostra figlia sposata a un conte che risale al Milletrecento: novità! Nostro figlio che non lavora, non studia e fa l'automobilismo: novità! Altra figlia, al mare, senza marito: novità! E vuoi sapere l'ultima? Ma no, sarebbe inutile.

Giulia                            - Inutile: so già.

Anselmo                        - (vivacemente) Che cosa sai? Di', che cosa sai tu?

Giulia                            - (tristemente) Tutto... Anche quello che tu ignori.

Anselmo                        - Vorresti dire?

Giulia                            - Giovanni non s'è preoccupato di nascon­dere la sua relazione... Ma sì: lo sanno tutti.

Anselmo                        - Tanto meglio. Cioè tanto peggio!

Giulia                            - Tutti. Meno Beatrice. O forse lo sospetta!

Anselmo                        - Benissimo. Lui sospetta di lei e la lascia partire sola. Lei sospetta di lui e lo lascia padrone della situazione. Magnifico! Di questo passo il tuo signor fra­tello corre pericolo di risparmiare i suoi cinque milioni. A meno che... Già. Pater semper ignotus!

Giulia                            - (sempre con molta tristezza) Era fatale... Giovanni s'è rivelato troppo ingenuo. Troppo professore. Non ha capito che quello che andava bene prima, non poteva andar bene dopo... Pretendeva che nulla cam­biasse.-

Anselmo                        - (cattedratico) Ma una è la morale, una la dignità, una la fede...

Giulia                            - Tu parli sempre come un libro. La vita è diversa, Anselmo.

Anselmo                        - Non so quello che tu intenda. Ma so che Giovanni intanto deve troncare ogni rapporto con quella donnaccia. E da parte nostra imporremo a Bea­trice di tornare subito a casa.

Giulia                            - Se tu credi che si possa voler bene per im­posizione!

Anselmo                        - Allora, secondo te, dovremo disinteres­sarci...

Giulia                            - No: non dico questo. Ma non possiamo far nulla, Anselmo. Dobbiamo sperare che Beatrice e Giovanni si ritrovino. Forse accadrà prima che tu non creda. Giovanni è sulla buona strada oramai. E Beatrice non può aver cessato di volergli bene. E' stata una eclissi.

Anselmo                        - Questa concezione astronomica del dovere coniugale è inaudita.

Giulia                            - Umana. Frattanto noi faremo quel poco che sta in noi. Io, per conto mio, ho già fatto qual­cosa!

Anselmo                        - Un altro disastro!

Giulia                            - Ho fatto in modo che quella donna se ne vada. Partirà domani.

Anselmo                        - Ma come hai potuto...?

Giulia                            - Col denaro, caro: col denaro. Tu non sai quante cose si possono fare col denaro. E' costato un po', ma bisognava... Così lo scandalo è finito.

Rocco                            - (entrando) Accidenti! Avete letto? (ha un giornale in mano).

Giulia                            - Che cosa?

Rocco                            - Guardate! E che bella fotografia! Eh?

Anselmo                        - Che roba è?

Rocco                            - « Lido ». Una rivista. Molto importante, mi hanno detto. Non sei fiero che tua figlia occupi tutta una pagina? «La contessa Laura Cigna, una delle più eleganti ospiti della nostra spiaggia internazionale ». Che ve ne pare?

Giulia                            - E' bella ed elegante!

Rocco                            - Sì: ma non penseranno mica di trascorrere tutta la vita in viaggio di nozze...? Quando ritorne­ranno i colombi?

Giulia                            - Non so. Tra quindici, venti giorni forse-..

Rocco                            - Non ho capito una cosa: perché mai Bea­trice e Francesco non sono andati a raggiungere Laura? Venezia è molto meglio di Viareggio, no?

Giulia                            - Gli sposini vanno lasciati soli.

Anselmo                        - Autonomia. Indipendenza! Ognuno per se. Basta così poco per darsi fastidio nell'alta società. E poi è di prammatica tenersi alla larga dai parenti. Molti amici, pochi parenti. E' una legge del gran mon­do, pare.

Rocco                            - (scotendo il capo) Certo a Venezia si diver­tiranno di più! Sono ragazzi!

Giulia                            - Ma noi andremo a trovarli, qualche volta!

Anselmo                        - Senza dubbio, cara! Si può, si deve viag­giare! E se io sono legato alla scuola, poco male. Andrai sola. E io non avrò motivo di bagnarmene perché qui non mi mancherà nulla. L'ha detto anche Laura: reste­ranno tre persone di servizio per due padroni. (A Rocco) Tu ed io.

Rocco                            - Anselmo, io vedo la ragione del tuo sarcasmo.

Anselmo                        - Ah, vedi...?

Rocco                            - Tu non sei contento del matrimonio di Laura. In fondo neanche a me quel conte dice gran che... Ma Laura ne era innamorata- E se ci fossimo opposti sarebbe stata infelice... (A Giulia) Vero?

Giulia                            - Certo.

Rocco                            - Per conto mio non vi nascondo che ho assai più stima in Giovanni. Quel ragazzo mi piace. Merita ogni stima. I suoi due primi affari li ha costruiti con grande abilità. Grano e olio. E come tiene alla mia approvazione! Giovanni «si farà». (Anselmo alza le spalle) Sì: ti dico che si farà. Ed è l'uomo che può far felice Beatrice. Io ho capito che soffriva quand'ho dato del denaro a sua moglie. Naturalmente. Era indizio di carattere. Ma ora... Ora vanno d'accordo che è un piacere-

Anselmo                        - (esasperato) A cinquecento chilometri di distanza!

Rocco                            - Che vuoi dire?

Anselmo                        - Dico che Beatrice e Giovanni non sono felici, dico che non vanno d'accordo, come tua sorella non va d'accordo con me da quando ti sei messo di mezzo tu, dico che da quando ci hai rovesciato addosso i tuoi milioni, il demonio è entrato in questa casa. Dico che tutto procedeva meglio, molto meglio quando il capo della famiglia ero io, e non tu...

Giulio                            - (che ha seguito con ansia, allarme, costerna­zione il discorso del marito) Anselmo!

Rocco                            - (ferito profondamente) Ma che dici...? In nome di Dio!

Anselmo                        - Dico la verità, la pura e semplice verità!

Giulia                            - (dopo una pausa) E' uno sfogo.

Anselmo                        - Proprio uno sfogo. Da mesi e mesi lo vedo intento a rovinare la mia famiglia, sempre con­vinto di risolvere tutto col suo denaro, provocando un guasto ad ogni nuova elargizione. Da mesi sono co­stretto a tacere: anzi a dirti «grazie» per ogni nuovo malanno. Quello che io avevo costruito di dirittura, di morale, di carattere con anni di esempio, di insegna­mento, di educazione, tu me l'hai distrutto. E credi che questo si possa riparare? Pazzo! Un filantropo pazzo: ecco quello che sei. Un uomo che crede si possa gio­care col denaro. Che lo si possa dare a mucchi, a mi­lioni, per fare del bene! Come se il veleno, a ettolitri, possa fare del bene! Ah, credi, hai creduto che si potesse regalare tutto quello che nella vita c'è di più allettante e che va conquistato a poco a poco, a piccole dosi, col proprio lavoro che aiuta a valutare il denaro, a usarne con discrezione? Pensavi davvero che in una casa dove entravano millecinquecento lire al mese, potessero piovere cinquanta milioni senza dar luogo a un caso di pazzia collettiva? Ma se perfino costei (indica Giulia) vedi, la moglie devota, la madre capace di tutte le pri­vazioni, di tutte le rinunce è stata travolta. Chi, chi avrebbe resistito? Solo i vecchi, i saggi, induriti da! lavoro e dallo studio: noi due, io e te che non sappiamo che farcene di questi milioni che ti pesano e ci pesano. Ecco. Ora basta. Ora sai. E non crederai più, spero, di avere nella borsa la medicina per tutti i mali di cui soffrono i tuoi nipoti. (La medicina l'ho io: eccola qua. (Agita i compiti di scuola) Eccola- La mia salvezza! Compiti!

Rocco                            - (dopo una lunga pausa, alzandosi, risoluto) E allora me ne andrò...

Giullì                             - Rocco! Dove vuoi andare? Ci sono anch'io, in questa casa...

Anselmo                        - (calmo) Se vuoi partire, non possiamo impedirtelo. Ma oramai non servirebbe più a niente. E ci daresti soltanto un altro dolore. Malgrado tutto qui noi ti vogliamo bene.

Rocco                            - Non voglio continuare a seminare la rovina. Dopo quello che hai detto, ho troppi rimorsi.

Anselmo                        - Quello che è fatto è fatto. Credi che i tuoi nipoti, dopo aver assaporato la ricchezza, possano tornare a vivere, a pensare, a sentire come prima? Se te ne vai lasci dietro a te dei disgraziati, nostalgici, mal rassegnati, incapaci di ritrovare il proprio equilibrio. Certe cose lasciano il segno.

Giulia                            - Anselmo ha ragione. Rifletti!

Anselmo                        - Oramai, rimani. In fondo tu non sei meno disgraziato di me, di lei... Rimani e sii meno prodigo del tuo denaro…. Prova a diventare, se ti riesce, un po', solo un po' avaro. Forse Iddio per questo ha creato anche l'avarizia. E allora, vedrai, forse riusci­remo a vedere spesso i nostri ragazzi, in questa casa, intorno a noi... Forse con molta accortezza e qualche anno sarà possibile ricostruire qualcosa di quello che è andato distrutto. Rimani.

Giulia                            - E dove andresti?

Rocco                            - Non so più. Non so se devo chiederti delle scuse o fartele io.

Anselmo                        - Né l'una cosa né l'altra... Noi vecchi ci comprendiamo. Il nostro affetto è disinteressato... E al­lora, se ti dico: rimani... (gli va vicino, gli mette una mano sulla spalla, gli stringe la mano).

Rocco                            - (commosso) Sì. (Poi si alza ed esce)-

Anselmo                        - Pover'uomo!

Giulia                            - Sei stato cattivo!

Anselmo                        - Zitta, tu! Basta con le discussioni! Ho da lavorare... (Siede alla tavola e riprende a correggere i compiti).

Giulia                            - Bisogna chiarire. Vuoi che vada io da Rocco...?

Anselmo                        - Zitta! E non ti muovere di lì. (Pausa) Bestia!

Giulia                            - Chi?

Anselmo                        - Apud con l'ablativo!! ! In terza! Apud hostibns! II colmo! Tre. Gli do tre!

Giulia                            - Fa cinque, va. Se prende sette dal latino in italiano viene ammesso agli orali.

Anselmo                        - No. Tre, Anche il cinque bisogna meri­tarselo nella vita. Tre!

FINE