Edipo re

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EDIPO RE

di Sofocle

Personaggi:

EDIPO, figlio di Laio

CORIFEO, consigilere di Edipo

SACERDOTE DI ZEUS

CREONTE, fratello di Giocasta

TIRESIA, l’indovino

GIOCASTA, moglie di Edipo

SERVO DI LAIO

PRIMO NUNZIO

SECONDO NUNZIO

CORO DI VECCHI TEBANI

Scene:

A Tebe dinanzi alla reggia dei Labdacidi. Esterno giorno.

Note:

Incerta è la collocazione storica di questa tragedia che, sebbene sia stata collocata nel 425a.C., studi più moderni la individuano come seconda arrivata al tempo della gara tragica vinta da Filocle e cioè nel 411 a.C. “Edipo re” ha la costruzione drammaturgica di un moderno poliziesco, è l’indagine su un antefatto e si percorre a ritroso la vita di Edipo da quando, liberata Tebe dal flagello della Sfinge venne acclamato re e ne sposò la vedova avendone figli. Ora un terribile morbo affligge la città e l’oracolo di Delfi ha detto che non vi sarà pace finché non si troverà l’assassino del vecchio re. Edipo scaglia maledizioni atroci ed esige che venga fatta una più accurata ricerca attorno ai fatti ormai remoti. Tiresia il profeta, lo accusa di parricidio e di incesto ed Edipo si convince di essere vittima di un complotto ordito ai suoi danni dall’indovino manovrato da Creonte, il cognato. Giocasta, la moglie, per calmare gli animi dice che il marito venne ucciso da briganti ad un trivio e questa circostanza accende i sospetti di Edipo che cerca l’unico testimone superstite della strage. Arriva da Corinto un nunzio con la notizia della morte di Polibo, il padre di Edipo, quindi la profezia di Edipo parricida non si è rivelata esatta. Ma c’è la madre ancora viva e quindi una possibilità remota d’incesto. Ma quando il nunzio esclude questa ipotesi attestando che quelli di Corinto non sono i veri genitori, la gioia di Giocasta si converte nell’intuizione tragica della verità: ella infatti aveva affidato ad un pastore del monte Citerone un pargolo “dai piedi gonfi” destinato altrimenti a una turpe sorte: uccidere il padre e congiungersi con la madre. Giocasta si impicca ed Edipo in un anelito di cieca ebbrezza si proclama figlio della Fortuna. Ma un confronto con i testimoni gli riveleranno, prima, che egli uccise il padre, poi che Giocasta era sua madre. Edipo si acceca e si ritira dal cospetto degli uomini accompagnato dalle figlie.

L’impianto drammaturgico dell’opera, pure con qualche lieve imperfezione, quale il distacco di Creonte dagli avvenimenti ed il pretesto scenico di Tiresia, parte dalla desolazione della peste per approdare, dopo vari colpi di scena, ad una putredine più grande e definitiva. Spicca tra tutte la scrittura dell’ostinazione di Giocasta contro gli dei e gli oracoli, dovuta non tanto all’agnosticismo quanto al disperato bisogno di condurre Edipo fuori dalla melma in cui sta sprofondando. E proprio là dove Giocasta si industria di spegnere la sua sete di conoscenza, Edipo s’accanisce. Edipo muove la macchina dalla lontana insinuazione di quell’ubriaco di Corinto fino al colpo finale, con l’ultimo augurio di vivere inconsci di sé e con la perdita della vista come inconscia chiusura in se stesso attraverso l’annullamento dei sensi. I tempi non erano sicuramente propizi, ma l’opera poteva essere completata con una denuncia esplicita dell’ingiustizia divina. Ma l’osservazione e la critica del libero arbitrio umano avrebbe dovuto aspettare, nella scrittura drammaturgica, ancora qualche millennio.

ATTO UNICO

Entra Edipo e si rivolge ai supplici in preghiera dinnanzi agli altari.

EDIPO - Figli di Cadmo perché siete qui in supplica? La città è piena di fumi e d’incensi insieme con peane e gemiti. Sono venuto di persona ad ascoltarvi. (si rivolge al sacerdote) Tu che mi sembri il più adatto a parlare per loro, dimmi vecchio, è la paura o la rassegnazione? Provo compassione per questo vostro fare.

SACERDOTE - Edipo, re di questa terra, vedi come siamo presso gli altari tuoi. Alcuni giovinetti scelti non hanno ancora le piume per spiccare il volo e noi sacerdoti siamo troppo pesanti per gli anni e il resto della folla è giù nelle piazze e presso il Tempio di Pallade. La città come vedi sbanda in balia delle onde e non riesce a sollevare il capo da questi gorghi di sangue e si strugge per i frutti vuoti, per le mandrie malate, dei parti sterili delle donne, mentre si avventa su di noi il dio che porta il fuoco e la peste e si svuota la città cadmea e si riempie l’Ade nero, di lamenti e di gemiti. Noi ti stimiamo primo tra gli uomini sia per come agisci che per come tratti coi numi. Quando ci affrancasti dal tributo che pagavamo alla dura Sfinge non chiedesti a noi istruzioni o ragguagli, furono gli dei che ti guidarono. E allora ti supplichiamo solleva tu, ascoltando gli dei, il destino della città in sicurezza; ci salvasti una volta, ora non essere da meno perché se vuoi regnare sarà meglio regnare su uno stato popolato, perché non è nulla una torre o una nave che non abbia gente dentro.

EDIPO - Poveri figli miei, so bene ciò che siete venuti a chiedere. Voi siete infetti dal morbo, ma nessuno è infetto quanto me. Perché il vostro dolore tocca i singoli ma io piango tutta la città. Non mi svegliate certo da un sonno. Ho pianto tanto e tante strade ho tentate e finalmente ho mandato il figlio di Meneceo, mio cognato Creonte, al tempio delfico di Febo a domandare cosa fare o dire per salvare la città. Dovrebbe essere già di ritorno e quando mi dirà cosa fare, io lo farò.

SACERDOTE - Felice coincidenza: tu parlavi ed ecco che mi dicono che Creonte è arrivato.

EDIPO - Apollo re, il suo viso è raggiante.

SACERDOTE - Si direbbe portatore di gioia. Non verrebbe inghirlandato di alloro e di bacche se non fosse così. (Entra Creonte)

EDIPO - Presto sapremo. Sire, figlio di Meneceo, caro congiunto, quale oracolo ci porti?

CREONTE - Vuoi che parli innanzi a tutti o entriamo in casa?

EDIPO - Parla innanzi a tutti. Sono afflitto più per costoro che per la mia vita.

CREONTE - Riferirò ciò che ho udito dal dio: il miasma è nutrito in questa terra, si cacci per non renderlo insanabile. È il sangue che travaglia la città

EDIPO - Sangue di chi? Cosa denuncia il dio?

CREONTE - Sire, a comando di questo paese avemmo Laio prima di te.

EDIPO - Lo so. L’ho udito. Io non lo vidi mai.

CREONTE - L’ordine è chiaro: punire i rei di quella morte. Essi stanno in questa terra. Chi cerca trova.

EDIPO - Non ci fu qualcuno, suo compagno di viaggio che vide e che possa darci notizie valide?

CREONTE - Andò in pellegrinaggio, a quanto disse, e mai più ritornò. Uno solo dei suoi compagni sopravvisse e parlò di briganti che l’uccisero in uno scontro. Non uno, tanti.

EDIPO - Come un brigante può osare tanto? Forse faceva parte di una congiura partita da qui. Si indagarono i fatti?

CREONTE - Lo pensammo ma la Sfinge maga ci spinse a pensare ai guai presenti e a lasciare i misteri. E così nessuno vendicò Laio.

EDIPO - Febo col suo prestigio e tu con il tuo zelo riproponete il problema dell’ucciso e io svelerò la cosa. Lo farò anche per me, perché chi uccise lui potrebbe pensare di uccidermi. Mentre difendo Laio giovo a me stesso. Presto figlioli, alzatevi e portate via quei rami supplici. Chiamate il popolo a raccolta perché io non lascerò nulla d’intentato e fra breve si vedrà, se dio vuole, il successo o il nostro crollo. (Escono tutti mentre

il Coro entra in orchestra)

CORO - Dolce parola di Zeus, quale verbo ci porti? E voi dei tutti che ci avete sempre protetto, tornate di nuovo. Sopportiamo infiniti mali e non abbiamo difesa. I figli non crescono e le donne non partoriscono. Perisce la Patria e l’uno sull’altro puoi vedere intere stirpi morte a terra e nessuno le piange mentre le vecchie madri piangono e si disperano. Figlia di Zeus, mandaci un aiuto benigno. E tu Ares vattene via e fa che dalla notte sorga un nuovo giorno. Estingui padre Zeus la fiamma ardente del dio maligno e Apollo, chiedo a te di essere protetto dagli strali tuoi d’oro. Va Artemide lungo i monti della Licia con le tue fiaccole ardenti e chiama Dioniso con le Baccanti e venga ornato su questa terra che porta il suo nome a cacciare il malo dio che da tutti è odiato. (Torna Edipo)

EDIPO - Mi rivolgo a tutti voi Cadmei, parlerò con distacco, come si conviene. Non posso andare avanti se non ho indizi e quindi ordino a chiunque di voi sappia come sia stato ucciso Laio figlio di Labdaco di dirmelo anche se ha paura di accusarsi. Non ci sarà pena per lui, se colpevole, se non quella dell’esilio. Se qualcuno invece saprà chi è l’omicida e lo dirà incasserà una taglia e la nostra riconoscenza. Se qualcuno invece respinge l’editto per proteggere l’amico o il conoscente sappia che il mio editto vieta di dare ricovero al reo e di parlargli e di dissetarlo e di farlo pregare e obbliga ad allontanare tale sozzura da questa terra. Il morto era il migliore degli uomini e dei re e per questo bisogna fare giustizia anche senza l’obbligo dell’oracolo. Chi trasgredirà a questo editto, invoco i numi di non dargli più frutti dalla terra né figli dalle donne, ma venga consumato da questa o da una peste peggiore.

CORIFEO - Con le maledizioni mi spingi a parlarti e lo farò mio signore. Non so darti indicazioni utili ma penso che Febo avrebbe dovuto dirci chi fu l’autore del delitto. Forse rivolgendoti a Tiresia che ha la medesima veggenza di Febo potresti ricavare notizie chiare per l’indagine.

EDIPO - Costringere gli dei a fare quello che non vogliono è impossibile. Comunque, su consiglio di Creonte, ho detto a Tiresia di venire. Si disse che fu ucciso da viandanti e se fu visto qualcuno, si esporrà, se teme la maledizione.

CORIFEO - Ecco il poeta sacro, colui che per natura sa la verità.

EDIPO - Tu Tiresia che anche cieco vedi bene i segni e i segreti terreni e celesti. Vedi bene il morbo che ci affligge. Febo ci manda a dire che scamperemo solo se verrà punito chi uccise Laio, con la morte o con l’esilio. Siamo nelle tue mani. Salvaci salvando te stesso. Dicci qualunque voce ti provenga o altre magie, perché giovare al proprio prossimo con qualunque mezzo è il compito più bello per un uomo. Ma mi sembri abbattuto, che c’è?

TIRESIA - Ah, come è grave avere senno quando chi l’ha non se ne giova. Lasciami andare a casa, dà retta a me che è meglio per tutti.

EDIPO - Quello che dici non è giusto né amichevole verso la tua Patria. Possibile che tu possa essere così duro e inesorabile, sapendo che puoi causare la rovina della città?

TIRESIA - Privi di senno tutti! Io non dirò i guai che conosco per non rivelare i tuoi. Non fatemi domande. Da me non saprete nulla. Tanto la verità verrà fuori anche se taccio

EDIPO - No, adesso devi parlare. L’ira che mi invade mi suggerisce che tu possa essere coinvolto nella tresca. Non solo: penso che se avessi la vista, l’unico assassino saresti tu

TIRESIA - Ah si? Allora ti dico che tu non puoi più rivolgerti a questa gente. Perché quell’empio sei tu. Tu sei l’assassino che cerchi e ora attieniti al tuo editto.

EDIPO - Pensi di potermi dire questo impunemente. Attento a te se mi oltraggi ancora

TIRESIA - Sei tu che mi hai spinto a dire mio malgrado. Vuoi sentire altro che faccia crescere la tua ira? Bene, senza saperlo hai coi tuoi cari un commercio turpe, né sai l’infamia a cui sei giunto

EDIPO - Che cosa? Fammi capire, ripeti. No, in te verità non c’è. Tu sei cieco negli occhi e negli orecchi e nella mente. È una trovata tua o di Creonte? La notte ti nutre ma non farai danno né a me né ad altri vedenti.

TIRESIA - Non cadrai certo per mia mano. Basterà Apollo a chiudere i conti.

EDIPO - Oh, ricchezza e potere! Arte di tutte le arti! Quanta invidia attirate se proprio per il potere che la città mi diede, non richiesto, donato, oggi Creonte il fedele amico di un tempo, ordisce trappole con quell’apolide imbroglione che quando c’è da guadagnare ci vede benissimo mentre nella sua arte è cieco proprio. Dimmi tu. Dov’eri quando si doveva risolvere l’enigma della sfinge? Per decifrare ci voleva la mantica e non era cosa del primo venuto. Ma tu né coi voli d’uccelli né coi numi mostrasti d’averla. Così venni io, forte solo del mio senno. Io, quello che tu tenti di scalzare pensando di sederti più vicino al trono con Creonte insediato. Sarai invece tu con lui che laverete la macchia che immonda il paese

CORIFEO - Edipo, non è questo il modo di risolvere la cosa. Pensiamo che l’ira abbia ispirato sia le sue parole che le tue.

TIRESIA - Se tu sei re non mi puoi negare il diritto di replica perché io non sono tuo schiavo ma d’Apollo. Non sarà Creonte il mio protettore. Mi rinfacci d’esser cieco ma non vedi né dove ti sei cacciato, né dove vivi, né chi sono quelli con cui convivi. Tu sei il nemico e una doppia maledizione, un giorno, da questo paese ti caccerà. Se adesso hai buona vista, allora non vedrai che tenebra e le grida tue non avranno confini quando saprai che le tue nozze sono un porto senza ormeggio verso cui navigasti col vento in poppa. Infanga pure Creonte o la mia voce, ma mai ci sarà un uomo più sventurato di te.

EDIPO - Ma va’ in malora. Esci da questa casa. Ma si può sopportare che uno parli così? Dice cose folli, ma perché l’ho chiamato?

TIRESIA - Sarò folle per te ma saggio per tua madre

EDIPO - Fermati, cosa dici, chi m’ha generato?

TIRESIA - Sapere questo ti darà nascita e morte.

EDIPO - Parli per enigmi.

TIRESIA - E tu sei bravo a risolverli.

EDIPO - Salvai questa città e ancora lo farò, altro non m’importa.

TIRESIA - Portami via, ragazzo. Senza paura di te, io ti dico che l’uomo che tu cerchi per la morte di Laio è qui apparentemente uno straniero. ma di fatto tebano e non dovrà gioire di questa circostanza perché se ne andrà da qui cieco e miserabile vagherà all’estero toccando con il suo bastone il suolo. E dei figli con cui vive si scoprirà fratello e padre e della donna da cui nacque, figlio e marito, e infine di suo padre compagno di letto e omicida. Ora va in casa e pensaci, se troverai che ho detto il falso solo allora potrai dire che della mia arte non capisco nulla. (Esce guidato dal ragazzo mentre Edipo si ritira)

CORO - Chi compì con le mani insanguinate colpe infami tra le infami è tempo che se ne vada, più svelto del vento. Armati di fuoco e di folgori balzeranno su di lui i figli di Zeus e un’orda di Parche che non perdonano, li seguiranno. Una voce nata tra le vette del Parnaso ordinò di cercare il reo che si agita come un toro selvatico tra rupi e caverne, ma che scampo non avrà. Orrendo fu quello che disse Tiresia. Credere a lui? Dire di no? Non so che dire. Io mi libro tra speranze e non vedo il futuro. Io non so se Edipo riuscirà a vendicare la morte di Laio di cui nulla si sa. Gli dei sanno la verità. Non posso dire di certo se colui che profetò ha ragione ma certo è che da me non verrà mai un’accusa contro colui che un giorno ci salvò dalla vergine alata. (Entra Creonte)

CREONTE - Cittadini, ho saputo le tremende accuse che mi rivolge Edipo. È una accusa gravissima che non sopporto. Non posso vivere con questa fama addosso.

CORIFEO - Forse l’ingiuria scaturì dall’ira e non da riflessione. Ma eccolo sta uscendo proprio adesso.

EDIPO - Tu perché sei venuto? Con che coraggio ti presenti? Parla. Per meditare il mio assassinio e rubare il mio regno hai visto in me qualche viltà, qualche follia? Pensavi forse che non avrei scoperto questa tua subdola azione e che non sarei corso ai ripari? Per rovesciare il potere ci vuole il popolo e il denaro, le masse e gli amici, non lo sapevi?

CREONTE - Ti prego ascolta la mia replica. Perché pensi molto male di me? Che danno hai subito, vuoi spiegarlo?

EDIPO - Tu m’hai persuaso a far venire il profeta. Quanto tempo è passato da quando Laio è scomparso soppresso da un delitto? E l’indovino allora esercitava?

CREONTE - Bisogna risalire molto indietro e sapiente e onorato come adesso era Tiresia.

EDIPO - Fece il mio nome, allora?

CREONTE - In mia presenza no di certo.

EDIPO - Vennero fatte indagini?

CREONTE - Eccome ma senza esito.

EDIPO - Ecco. Senza accordo con te non avrebbe potuto accusare me della morte di Laio.

CREONTE - Che centro io in questo? Ma rispondi tu a una domanda: non hai per moglie mia sorella e non le dai gli stessi poteri che hai?

EDIPO - Certo che è così, cosa vuoi dire?

CREONTE - E terzo con voi due non sono pari? Ora dimmi, ci può essere qualcuno disposto a governare tra mille paure piuttosto che dormire tranquillo di notte se nei due casi avrà pari potere? Ottengo tutto da te senza problemi e se a comandare fossi io dovrei fare cose per cui non sono nato. Sto in rapporti amichevoli con tutti, a me si rivolgono tutti quelli che hanno bisogno di te, perché dovrei lasciare tutto questo per un’incognita? Né d’altronde avrei il coraggio di associarmi ad altri in una congiura. D’altro canto corri a Delfi e informati se ho riferito i responsi esattamente e se scopri che ho macchinato contro di te con l’indovino uccidimi due volte, ma con le prove. Non puoi parlare a vanvera. Sconfessare un amico onesto è come respingere la propria vita. Ma non temo. Il malvagio si distingue in un giorno, solo il tempo dirà se l’uomo è giusto.

CORIFEO - Le sue parole sono giuste, sire. Chi corre troppo coi giudizi, rischia.

EDIPO - In alcuni casi bisogna essere veloci nel decidere o andranno a segno i piani sovversivi dei malvagi. Ti voglio morto

CREONTE - Tu non ragioni. Non capisci.

EDIPO - Devi obbedire, la città è mia.

CREONTE - È anche mia la città, non solo tua e non obbedirò se il potere è iniquo.

CORIFEO - Basta signori, dalla reggia arriva Giocasta. Sarà bene comporre insieme a lei questa lite. (Entra Giocasta)

GIOCASTA - Disgraziati, non provate vergogna con queste vostre beghe private mentre il paese è nel morbo? Perché non entri nella reggia tu, e tu non te ne vai prima di causare guai da cose irrilevanti?

CREONTE - Sorella mia, tuo marito mi fa un grosso torto e mi fa scegliere tra l’esilio e la morte, ma che io sia maledetto se ho fatto una sola delle cose di cui mi accusa.

GIOCASTA - Edipo, ti prego credi a questo giuramento, fallo per me e quanti sono qui.

CORO - Rifletti, da retta a me, ti prego, cedi. Ha giurato sul sacro. Non accusarlo, disonorandolo, con prove intangibili.

EDIPO - Confermo: io l’ho scoperto che attentava alla mia vita con arti magiche e se mi chiedi di soprassedere chiedi per me la morte o il bando dal paese.

CORO - Ma no, per dio no. Mi possano uccidere se penso a questo. Ho a cuore le sorti di Tebe e su questi mali si addensano anche i vostri guai.

EDIPO - Che vada libero anche se tocca a me morte ed esilio. Le tue parole e non le sue hanno toccato il mio cuore. Ma lui, ovunque vada, io l’odierò.

CREONTE - Passata l’ira ti peserà aver ceduto all’odio. Io me ne vado da te incompreso ma per loro io sono come fui.

CORO - (a Giocasta) Entra in casa con lui senza più remore.

GIOCASTA - Ma cosa è successo?

CORO - Su cose vaghe si basò lo scontro me le false accuse bruciano.

GIOCASTA - Ma cosa si dissero?

CORO - C’è già tanta sofferenza. Quello che dissero vorrei che restasse lì dove finì.

EDIPO - Tu che sei tanto saggio, vedi dove siamo giunti?

CORO - Te l’ho detto e ripetuto: mi mostrerei folle e stolto se abbandonassi te che ci hai salvato da grandi guai e rimessi sulla buona via. Che tu possa guidarci ancora a lungo!

GIOCASTA - Spiega anche a me signore, ti scongiuro, perché concepisti tanta collera.

EDIPO - Creonte dice con la bocca del perfido indovino che fui l’assassino di Laio.

GIOCASTA - In breve, adesso ti darò le prove che nessuno conosce l’arte mantica. Giunse a Laio un oracolo che diceva ch’era per lui destino morire per mano del figlio che fosse nato da noi due. Ma Laio fu ammazzato da predoni stranieri al crocevia delle tre strade. Quanto al figlio poi, tre giorni da che nacque venne gettato via per mano d’altri, sulla montagna impervia dopo avergli legato le giunture dei piedi. Dunque Apollo non realizzò l’oracolo facendone l’omicida del padre né facendo che Laio avesse dal figlio la sorte tremenda che temeva. Non curarti dei responsi profetici! Quando dio scrutando vede la necessità di qualche cosa, sarà lui da solo che facilmente te la svelerà.

EDIPO - Che smarrimento m’ha colto mentre ti ascoltavo e quale agitazione. Dimmi, dov’è il luogo dove avvenne il fatto?

GIOCASTA - La Focide: da lì la strada si biforca per Delfi e Daulia.

EDIPO - Oh Zeus cosa vuoi fare tu di me. Ma dimmi quanto tempo è passato?

GIOCASTA - Avvenne poco prima che tu apparissi. Ma cos’è questo magone?

EDIPO - Non chiedere ma dimmi com’era fatto? E che età aveva?

GIOCASTA - Aveva un fiore di canizie ma per il resto una figura più o meno come la tua.

EDIPO - (tra sé) Che il profeta sia veggente? (a Giocasta) Viaggiava solo o con numerosa scorta come si conviene a un re?

GIOCASTA - Era un carro con su i cinque della scorta compreso l’araldo. Tornò solo un famiglio e fu lui che riferì del fatto.

EDIPO - E si trova per caso ancora in casa?

GIOCASTA - No, dopo che salisti sul trono, toccandomi la mano, mi chiese di poter essere mandato sui campi lontano dalla città. Ce lo mandai perché lo meritava. Potremmo chiamarlo se lo desideri ma forse, sire, ho anch’io il diritto di conoscere il tuo cruccio?

EDIPO - Non ti sarà negato. A chi meglio di te confidare la mia pena? Mio padre fu Polibo di Corinto e mia madre Merope. Mi stimavano il migliore dei cittadini finché un giorno un ubriaco mi chiamò bastardo. Ferito, al momento mi infuriai ma il giorno dopo incalzai di domande i miei genitori. Vidi che erano furiosi e il giorno dopo mi recai a Delfi. Febo non disse di chi ero figlio ma disse cose tremende e miserevoli: che mi sarei unito a mia madre, facendo figli intollerabili agli occhi umani, e che sarei stato l’assassino di mio padre. Sentito questo andai lontano in volontario esilio per non vedere mai avverata l’infamia del responso di Delfi. Nel mio vagare mi trovai vicino ai luoghi dove dici venne ucciso il re. Quando peregrinando fui vicino al crocevia, l’araldo e poi un uomo in piedi sul carro con l’aspetto che dici, a forza volevano cacciarmi dalla strada. Io nell’ira colpisco chi guidava e il vecchio da sopra mi colpisce con la frusta: gli costò cara perché io lo percossi col bastone finché cadde supino. Quindi uccisi tutti gli altri. Se c’è una rassomiglianza tra quell’uomo e Laio, allora non c’è uomo più sventurato di me. La mia maledizione ricadrà su me stesso. Dovrò andare in esilio e non vedere più i miei cari perché contamino il letto di Laio con le mie mani insanguinate. Ma non posso nemmeno tornare in patria per non uccidere mio padre Polibo e unirmi con mia madre che mi generò e mi allevò. Santi numi, fatemi morire piuttosto che sapere che ho causato una simile sventura.

CORIFEO - Ho paura. Ma non disperare prima di aver conosciuto la verità dal testimone.

EDIPO - Di speranza mi resta solo questa. Se dice le stesse cose di Giocasta, ne sarei fuori.

GIOCASTA - Cosa ho detto?

EDIPO - Hai detto che gli uccisori furono briganti e più di uno. Se il numero coincide non sono stato io. Altrimenti…

GIOCASTA - Così fu detto. Quella versione l’hanno udita tutti. Non potrà ritrattare. Ma anche se per caso la cambiasse, non dimostrerà comunque nulla circa la morte di Laio perché l’oracolo parlava della sua uccisione per mano di suo figlio generato da me. Ma è certo che non fu quell’infelice ad ucciderlo perché era morto molto prima. Così in futuro ti asterrai dal credere agli oracoli. Ora torniamo in casa ad aspettarlo. (Escono di scena entrando nella reggia)

CORO - Bisogna serbare pure e devote le leggi che ci vengono emanate dall’alto dell’Olimpo perché esse sono eterne come il dio che le ha emanate. La violenza genera tirannide e poi sale nutrendosi di ingiustizia e sconvenienza ma poi precipita giù nel baratro del fato e nessuno ha più scampo. Chi è così superbo che non teme la giustizia degli dei e non li venera, sarà sventurato se non agirà con giustizia, se non vieta l’empietà, se, folle tenta di afferrare l’impossibile. Se tutto questo sarà permesso, dal male chi si asterrà? Ogni pratica sacra sarà inutile se tutti gli uomini, concordi, faranno il male. E al possente Zeus sfuggirà il regno. E cesseranno gli oracoli e gli dei se ne andranno. (Rientra Giocasta con le ancelle)

GIOCASTA - Signori del paese, m’è venuta l’idea di andare al tempio con questi aromi. È troppo crucciato Edipo e sbaglia nel giudicare fatti oramai antichi. È in balia di chiunque gli parli d’orrori. Sono qui dinnanzi, Febo Liceo, ti supplico con queste offerte di darci santa espiazione. Siamo in ansia per lui vedendolo smarrito come il nocchiero di una nave in tempesta. (Entra il primo Nunzio)

NUNZIO - Salve stranieri. Potrei sapere da voi dov’è la reggia di Edipo il sovrano? O meglio, se lo sapete, lui dov’è?

CORIFEO - Ecco la casa e lui sta dentro. Questa è sua moglie, la madre dei suoi figli.

NUNZIO - È la sua sposa perfetta? Felice sia per sempre e felici siano i suoi.

GIOCASTA - Lo stesso sia di te. Quali notizie rechi e da dove vieni?

NUNZIO - Vengo da Corinto. Ho buone notizie per te e per la casa. Non potrai che rallegrarti di ciò che dirò: Polibo è morto e tuo marito è il nuovo re.

GIOCASTA - Che dici, è morto Polibo?

NUNZIO - Se non dico il vero datemi la morte.

GIOCASTA - Ancella, presto, corri dal padrone e dagli la notizia. (L’ancella esce) Dove siete oracoli dei numi? Non era forse questo l’uomo da cui Edipo stava lontano temendo d’ucciderlo? Ebbene adesso è morto di morte accidentale e non per mano sua. (Entra Edipo)

EDIPO - Mia diletta Giocasta, sposa cara, perché mi hai fatto uscire dal palazzo? E chi è quest’uomo e cosa vuole?

GIOCASTA - Viene da Corinto. Ascoltalo e vedrai che fine fanno quei venerandi oracoli del dio.

NUNZIO - Polibo è morto, se n’è andato in seguito a un tracollo dovuto all’età. Né per congiura né per malattia.

EDIPO - Vedi, donna? Mio padre è morto e io sono qui che non ho toccato spada. A che serve consultare l’oracolo e vivere poi una vita di timori per i presagi? Giace nell’Ade Polibo e s’è portato tutti i responsi privi affatto di valore, a meno che non sia morto di nostalgia di me. Che solo in questo caso io sarei responsabile della sua morte.

GIOCASTA - Ma io non te l’avevo sempre detto?

EDIPO - Certo, ma la paura mi sviava. Non temerò il connubio con mia madre?

GIOCASTA - Cosa vuoi temere quando sai che è tutto dovuto al caso e che non c’è preveggenza di niente? Meglio vivere giorno per giorno, come si può. Molti mortali si giacquero con la madre nei sogni ma si vive meglio se a queste cose non si da eccessivo valore.

EDIPO - Sarebbe tutto giusto se anche mia madre fosse morta ma è ancora viva e io la temo.

NUNZIO - Ma qual è poi la donna che temete?

EDIPO - Merope, la sposa di Polibo. Un oracolo predisse che mi sarei accoppiato con mia madre con le mani lorde del sangue di mio padre. Per questa ragione fuggii da Corinto rinunciando alla gioia di rivedere, per sempre, il viso dei miei cari.

NUNZIO - Io son venuto proprio per questo scopo: liberarti da questo incubo ed ottenere con il tuo ritorno, un premio.

EDIPO - Ah se fosse! Adeguato compenso avresti. Purtroppo l’eterna mia paura è questa: temo che Febo risulti veritiero. Non vado a stare con chi mi creò.

NUNZIO - Ma Polibo per te non era niente. Non più di me, proprio lo stesso. Né lui né io ti abbiamo generato.

EDIPO - Come, Polibo non era mio padre? E perché mi chiamava figliol suo?

NUNZIO - Figli non ebbe mai. Io ti donai a lui. Avevo cura dei greggi montani sul Citerione, nelle gole erbose e lì un pastore di Laio ti lasciò a me. Ricordo che ti sciolsi i piedi che avevi trapassati. Da qui il nome che porti.

EDIPO - C’è qui qualcuno dei presenti che abbia notizia del pastore di cui parla quest’uomo?

CORIFEO - Forse è l’uomo di cui parlava Giocasta

GIOCASTA - Ma di che parlate? Non te ne curare. Son parole dette al vento. Scordale. Non cercare, per gli dei, se hai cara la vita. È sufficiente la mia pena. Ti prego non lo fare.

EDIPO - Sta tranquilla. Anche se risultassi schiavo da tre generazioni tu non ne saresti coinvolta. Volete dunque portarmi qui il pastore? Goda costei della sua stirpe illustre.

GIOCASTA - Ah, sventurato. È l’unica cosa che posso dirti, poi non parlo più. (Giocasta esce sconvolta)

EDIPO - E sia ciò che deve. Io la mia stirpe anche se oscura, voglio vedere. Giocasta è altera e si vergogna forse dei miei natali troppo oscuri. Io mi ritengo figlio della fortuna e sarò sempre me stesso qualunque sia la mia nascita, non c’è ragione alcuna che io non indaghi. (Si ritira)

CORO - Monte Citerone, caro all’Olimpo, domani al plenilunio ti orneremo con danze e diremo che di Edipo sei stato conterraneo e madre e balia. Dolce la gioia che portasti. E tu Edipo, chi ti fu madre? Una Ninfa eterna che si congiunse a Pan su quel monte, o fu l’amante di Febo? Forse il Re di Cillene o Dioniso ti ebbero da una Ninfa che gioca sul monte Elicona? (Entra il vecchio pastore servo di Laio)

EDIPO - Io non l’ho mai incontrato. Vi sembra lui?

CORIFEO - Lo riconosco.

NUNZIO - È lui.

EDIPO - Guardami in faccia vecchio e rispondi: eri un servo di Laio?

SERVO - Sì. Non comprato ma cresciuto in casa. Per lo più vissi seguendo greggi sul Citerone e nella zona attigua?

EDIPO - Conosci quest’uomo?

SERVO - Non saprei, la memoria non mi assiste.

NUNZIO - Non c’è niente di strano in questo, ma io gli farò tornare la memoria. Per tre trimestri interi e per tre anni da primavera al sorgere d’Arturo frequentavamo il Citerone. Io con due greggi e tu con uno e d’inverno spingevi le tue bestie verso gli ovili di Laio. Ricordi? E ricordi che mi desti un bimbo che lo crescessi come fosse mio?

SERVO - È passato tanto tempo. Che vuoi? Perché mi fai queste domande?

NUNZIO - Perché il bambino di allora eccolo qui.

SERVO - Vattene alla malora. Vuoi tacere? E voi signore, mi volete punire?

EDIPO - No, se dirai del bimbo di cui chiede.

SERVO - Parla di nulla. S’affanna a vanvera.

EDIPO - E allora parlerai con le cattive.

SERVO - No, per gli dei, non maltrattare un vecchio! Che cosa vuoi sapere?

EDIPO - Gli hai dato o non gli hai dato ‘sto bambino?

SERVO - Sì, glie lo diedi. Mio non era. Lo ebbi da qualcuno. Meglio se fossi morto il giorno stesso.

EDIPO - Lo sarai se non parli. Da che uomo lo avesti, da quale casa? Se non me lo dici sei morto.

SERVO - Lo ebbi dalla gente di Laio. Figlio suo si diceva. Ma tua moglie potrà dirti di più: fu lei che me lo diede perché lo sopprimessi.

EDIPO - Lei, la madre?

SERVO - L’oracolo diceva che da grande avrebbe ucciso i genitori. Ma ebbi compassione, sire e lo lasciai a lui perché lo portasse in altra terra. Ma questo vecchio salvandoti teneva in serbo per te mali tremendi perché sappilo, sei nato per la mala sorte.

EDIPO - Ah, tutto torna e tutto è chiaro, ahimé. Nacqui da chi non dovevo e vivo con chi non è lecito. Ho ammazzato mio padre e tutto si è svelato. Luce, è l’ultima volta che ti vedo. (Esce)

CORO - Ah, stirpi di uomini, a nulla vale la vostra vita. Chi mai di felicità coglie più di un attimo? Essa illude per un poco ma poi declina. Ho davanti l’esempio tuo, il tuo demone e la tua sorte e ho capito che gli uomini non contano nulla. Con arte suprema tu i tuoi strali vibrasti e stremasti la Sfinge e fosti il nostro baluardo, tu. E fosti con onori supremi incoronato re. Signore di Tebe. Ora, quale nome ormai è più infelice del tuo? Chi ha vissuto come te un rovescio così repentino della sorte? Ahimé, uno solo il porto che venne usato ugualmente dal padre e dal figlio. Ma come si poté arrivare a questo punto? Sei stato scoperto: condanna per queste nozze non nozze da cui il generato genera. Tu sei il figlio di Laio, oh se avessi potuto avvisarti prima! Ti compiango più di tutti gli uomini e il mio dolore grido, pero’ va detto che se rifiatammo lo dobbiamo a te. A te dobbiamo se possiamo dormire sonni tranquilli. (Entra affannato il secondo Nunzio. Viene dal palazzo)

NUNZIO - Voi che aveste onori sommi da questa terra, voi che avete a cuore la casa di Labdaco, quale orrore per ciò che vedrete, per ciò che sentirete, perché neppure il grande Istro né il Fasi avrebbero acqua sufficiente per lavare la corruzione di questa casa. Grandi i mali che cela e che fra poco svelerà. Morta è la sacra maestà di Giocasta.

CORIFEO - Ah, sventurata. E che cosa l’ha uccisa?

NUNZIO - Lei da sé. Adesso ti dico come è successo. Entrò in casa e puntò direttamente al talamo nuziale strappandosi i capelli con entrambe le mani. Come entrò, chiuse da dentro la porta ed ecco che chiamava Laio morto da tempo e quei remoti amplessi rammentava e si malediceva perché era morto lasciando lei a generare al figlio quella dannata figliolanza. E piangeva disperata su quel letto ove aveva partorito un marito dal marito e figli da un figlio. Come morì dopo, questo non lo so perché si precipitò dentro Edipo e girovagava avanti e indietro e ci chiede dov’è una spada e dov’è quella moglie non moglie, quel duplice materno solco di lui e dei suoi figli. Era fuori di sé. Nessuno di noi fece in tempo a dirgli nulla che lui, come se qualcuno lo guidasse, con un urlo spaventoso balzò contro la porta e divelse dai sostegni i serrami, facendoli curvare e piombò nella stanza. Là vedemmo impiccata la donna in un intrico di lacci contorti. Lui come la vede, sventurato, la scioglie e la mette a terra e dalle vesti di lei strappa le fibbie dorate che l’ornavano vibrandole nelle orbite gridando che così non avrebbe più visto le sventure patite e il male fatto. Che spettacolo terribile! E con quei lamenti sollevava le fibbie e si colpiva e colpiva gli occhi e il sangue gli bagnava la barba non con un rosso stillicidio viscido, no. Era una pioggia nera, come un piovasco di grandine e di sangue. Pensare che era una coppia felice e onorata. Adesso, in questo giorno, nulla manca: morte, pianto, desolazione, vergogna e quanti altri nomi ha la sventura.

CORIFEO - E adesso si è calmato l’infelice?

NUNZIO - Grida ordinando che si aprano le porte e che il popolo di Tebe veda chi uccise suo padre e chi della madre fu… dice cose oscene irripetibili. Non vuole restare in casa, vuole cacciare sé dalla sua terra, maledetto dalle sue maledizioni. Ma da solo non può, occorre qualcuno che lo guidi. Già s’aprono le porte, adesso lo vedrai. Avrai di fronte a te uno spettacolo che muoverebbe a pietà il suo peggior nemico. (Esce, mentre entra Edipo brancolante)

CORO - Sventura tremenda, la più tremenda mai vista. Quale follia si avventò su di te? Quale demone col più lungo dei suoi lunghi balzi piombò sul tuo destino sinistro? Ah, misero, non riesco a guardarti ma vorrei, domandare, sapere, capire. Che brivido orrendo mi ispiri.

EDIPO - Ahi, ahi, ahi, ahi, meschino me. Dove posso andare? E a chi è rivolta la voce mia? Ahimé, dove balzi, destino?

CORIFEO - Nell’orrido, inguardabile, inascoltabile.

EDIPO - Oh, nube di spregevole buio indicibile, cali indomabile, ineludibile. Ahimé. Ahimé, ripeto. In me l’assillo penetra di queste sferze e mi tormenta la memoria dei miei guai. Amico mio, fido custode della mia persona, di questo povero cieco. Anche immerso nella tenebra non mi sfugge il suono della tua voce, la riconosco.

CORIFEO - Che gesto orrendo, come osasti spegnerti la vista? Quale demonio ti guidò?

EDIPO - Febo, miei cari, fu Febo che compì i miei mali, i mali miei. Gli occhi no quelli me li colpii da solo. Vedere cosa, se non c’è più nulla da vedere?

CORIFEO - Meschino, se fossi morto là nei pascoli non avresti avuto e dato tanta pena.

EDIPO - E del padre mio non sarei l’omicida e non sarei l’amante di mia madre. Non sarei figlio dell’empietà e non sarei senza dei come sono. Non c’è nessuno che superi Edipo nel male.

CORIFO Non so se hai preso la decisione giusta. Forse era meglio che ti uccidessi piuttosto che accecarti.

EDIPO - Cosa sia l’ottimo in questi casi non puoi certo dirmelo tu. Con quali occhi io, giunto nell’Ade avrei guardato in faccia mio padre e mia madre sventurata, io che ho commesso tali e tante azioni contro di loro che non basterebbe un laccio per appendersi? E l’aspetto dei miei figli sbocciati come sbocciarono era da contemplarsi? No, per i miei occhi no. E guardare Tebe e le sue mura o i simulacri santi dei numi, davanti ai quali io stesso ho maledetto l’uccisore di Laio? La macchia che avevo denunciato era la mia e potevo guardare a tutto questo con occhi sani? No di certo. E se avessi potuto avrei turato anche le orecchie per chiudere per sempre questo misero corpo e fluttuare dolcemente lasciando fuori la mente dalle sventure. Ah Citerone, perché non mi uccidesti? Non avrei mostrato agli uomini queste miserie e tu, Corinto, patria mia ma solo di nome, che bello nutrire un cancro nel tuo seno. E tu crocevia che bevesti il sangue di mio padre, ti ricordi di me e di come mi comportai? Nozze, nozze, mi avete dato vita e la vita dopo avete rigenerato il medesimo seme e non si sa più chi sono i padri chi i fratelli chi i figli, sangue del sangue spose e madri nello stesso tempo. Ma basta, per gli dei fate presto! Nascondetemi, uccidetemi, gettatemi in mare, via di qui dove non possiate più vedermi. Su venite a toccarmi, non abbiate paura, perché i miei mali non sono contagiosi.

CORIFEO - È arrivato Creonte, ora il solo custode del paese è lui. A lui la decisione su cosa fare. (Entra Creonte)

CREONTE - Io non sono venuto né per deriderti né per vendicarmi delle ingiurie di prima. Voi, vergognatevi o almeno provate pudore di esibire allo scoperto questa sozzura così grande che la terra non può tollerare, né la pioggia potrà lavare via, né la luce potrà illuminare. Via, senza indugio portatelo in casa che solo ai parenti più stretti è lecito e pietoso vedere e udire i mali dei congiunti.

EDIPO - Per gli dei tu mi hai tolto dall’angoscia venendo, tu così buono, da me così cattivo. Io sono stato, come s’è visto, troppo ingiusto con te. Ma ascoltami, parlo nell’interesse di tutti: cacciami via da questa terra, subito.

CREONTE - Sappi che lo farei. Ma al punto in cui siamo sarà meglio conoscere l’oracolo. Ora al dio potrai credere anche tu.

EDIPO - Certo, e ti affido un compito e ti prego. A quella là dai degna sepoltura in modo degno per i tuoi. In quanto a me, lasciami abitare sul Citerone, lo stesso che i miei genitori volevano fosse la mia tomba. Dei miei figlioli maschi non ti dare troppa pena. Sono uomini e dovunque si trovino si adatteranno. Ma di quelle due povere miserevoli ragazze, che fino a ieri ho imboccato con le mie stesse mani, ecco di loro prenditi cura. Anzi, fa che io possa toccarle un’ultima volta prima di andare. Va’ generoso e nobile signore. (Creonte esce e torna subito in scena con le due figlie di Edipo, Antigone e Ismene) Che dire? Mi sembra di udire il pianto delle mie dilette figlie. Auguro a te, Creonte felicità, che tu sia benedetto per avermele portate. E voi figlie mie, venite qui tra le braccia fraterne di vostro padre che nacque dal solco arato dove nasceste voi. Io non posso vedervi ma vi piango pensando al dolore che vi daranno gli altri per il resto della vostra vita. A quali feste, a quali cerimonie verrete invitate e da quante tornerete a casa in lacrime invece che godervi lo spettacolo? E quando poi sarete giunte al punto delle nozze, chi rischierà, figliole mie, di prendersi quest’onta? Un padre che uccise il padre e ingravidò la madre che diede a voi come a lui la vita. C’è male più grande? Resterete senza marito, ma non andate in giro pitoccandi! E tu Creonte, non renderle pari a me nelle sventure, abbi pietà di loro.

CREONTE - Smettila ora, entra in casa, vai.

EDIPO - Devi cacciarmi dal paese. I numi mi detestano, mandami via.

CREONTE - Ogni cosa a suo tempo. Ora staccati dalle figlie, vai

EDIPO - Non me le strappare.

CORO - Abitanti di Tebe, questo è Edipo che il famoso enigma sciolse e che fu potentissimo e la cui vita nessuno poté rimirare senza invidia. Guardate a che punto è giunto. Conoscendo questa storia nessun mortale potrà mai dirsi felice fino all’ultimo giorno della propria vita.

SIPARIO