Edoardo mio figlio

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EDOARDO MIO FIGLIO

TITOLO ORIGINALE DELL'OPERA: EDWARD MY SON

Commedia in tre atti

di ROBERT MORLEY e NOEL LANGLEY

VERSIONE ITALIANA   DI PAOLA   OJETTI

PERSONAGGI

ARNOLDO HOLT

EVELINA HOLT, sua moglie

LORENZO PARKER, medico

HARRY SOAMES

IL PROFESSOR WAXMAN, chirurgo

OUN-NINGHAM, insegnante

ELLERBT, insegnante

EANRAT, rettore del collegio

ABELINA PERRY, segretaria di Arnoldo

PROTHERO, agente investi­gativo

MONTAGUE BURTON, segretario di Arnoldo

SUMMERS, maggiordomo

PHILLIS MAXWELL, nuora di Arnoldo

BETTY FOWLER

Commedia formattata da

PROLOGO

Arnoldo                      - Signore e signori, io sono Holt, Lord Holt. In questi ultimi anni avrete veduto molte mie fotografie sui giornali. Quando andate a casa, cer­cate il mio nome nell'Enciclopedia, se ne avete una. Io non vi dico niente, ma in quel libro si parla di me per più di mezza pagina. Così saprete dove sono nato, dove ho studiato, in quali uffici ho servito la Corona d'Inghilterra. Saprete anche di quali Comi­tati io ho fatto parte - adesso non mi danno più incarichi - non saprete però che questo teatro è mio, cosa che forse vi sorprenderà. Non saprete che io sono il padrone di un grande giornale nazionale, che io sono l'Orso Lager, i magazzini Hungerfords e la Compagnia di Fiammiferi Brewster, che controllo gli approvvigionamenti e che, quindi, sette o otto grandi fabbriche di biscotti dipendono da me. Io vi dico tutto questo non per ambizione, ma per stabilire un certo contatto con voi. Non basta che voi leggiate i miei giornali o mangiate i miei biscotti o frequen­tiate il mio teatro per volermi bene o per indurre me a voler bene a voi. Tuttavia, significa che la mia vita e la vostra vita, così come quella di tante altre per­sone, hanno già avuto qualcosa in comune. È per questo che io voglio conoscere la vostra opinione. Che cosa avreste fatto voi, in quella gelida, nebbiosa mattinata di febbraio? Avreste portato mio nipote, il figlio di Edoardo, in America, o l'avreste tenuto qui, in questo paese? Il male è, naturalmente, che nessuno di voi ha conosciuto Edoardo, e adesso che è morto è troppo tardi. Badate: stasera conoscerete molta altra gente che è morta. Evelina, per esempio, e Harry Soames, e Hanray. Ma con Edoardo è un'altra cosa, perché era mio figlio. Mio figlio unico. Aveva 23 anni quando è caduto, era un bel figliolo, aveva un incantevole modo di fare e uno splendido sorriso. Tutto questo non significa gran che, è vero, ma non posso dirvi altro di lui. Più tardi, certo, giudicherete voi stessi come sono andate le cose. E adesso comin­ciamo. Siamo all'I 1 novembre del 1919. Un anno fa è stato firmato l'armistizio, ed è nato mio figlio. Viviamo in una casetta a Brighton, ma prima di cominciare sarà meglio che Evelina vi parli di Edoardo. A quel tempo, infatti, lei lo conosceva molto meglio di me. (Esce).

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

Siamo a Brighton, nella casetta di Arnoldo ed Evelina Holt. Una grande stanza di soggiorno a pianterreno, ingombra di oggetti che rivelano l'esistenza di un bam­bino piccolo. Davanti al fuoco un cavalletto sul quale sono stati messi ad asciugare alcuni panni del bambino. In fondo una porta che dà nell'ingresso. A destra una scala che conduce al piano superiore e alla camera dove sta il bambino. Siamo all’11 novembre del 1919,

Evelina                        - Oggi Edoardo compie un anno. Vo­gliamo fargli un po' di festa, noi due e il dottor Parker che ha assistito alla nascita di Edoardo. Edoardo è un bambino meraviglioso, così forte, così robusto; ancora non parla e ha appena cominciato a stare in piedi da solo, ma è sempre ridente, sempre allegro; ha tanti denti e delle ciglia stupende. Mi dispiace che non possiate vederlo. Arnoldo è innamorato di lui e ne è tanto orgoglioso. È stata un'annata ecce­zionale, questa, piena di avvenimenti. Lo sapete quello che accade quando si ha un bambino, quando sorride per la prima volta - cioè quando sorride per davvero, non quando apre la boccuccia per liberarsi - quando si regge a sedere, quando lo si battezza, quando pare che ci riconosca... Insomma, lo sapete com'è. Arnoldo ha un'agenzia di beni immobili, ha avuto molta fortuna, tanti suoi compagni non tro­vano lavoro. Io glielo dico sempre, ma lui, natural­mente, non è mai contento. Forse perché, non aveva una famiglia prima che ci sposassimo; infatti non mi sono mai accorta che fosse ambizioso. La mia mamma diceva che era un vero cuor contento, ma da quando è nato Edoardo è diventato un altro uomo.

Arnoldo                        - (entra di corsa) Tesoro, tesoro, tesoro mio, mi son dimenticato di telefonare per la torta.

Evelina                          - Niente paura, l'hanno portata lo stesso. Guarda: «Buon compleanno, Edoardo!».

Arnoldo                        - (in ammirazione davanti alla torta) Perbacco, bisogna essere orgogliosi per forza! E poi, sono riuscito a trovare una bottiglia di champagne. Non ti spaventare, non costano troppo. (Tira fuori di tasca una collana di perle) E queste te le offriamo Edoardo ed io, con tutto il .nostro amore.

Evelina                          - Oh, caro... vere perle coltivate! (Si mette al collo le perle che Arnoldo le ha date) Che splendore! Ma come hai fatto?

Arnoldo                        - Un giorno, amor mio, ti darò un filo di perle orientali!

Evelina                          - Davvero?

Arnoldo                        - Hai fiducia in me?

Evelina                          - Certo.

Arnoldo                        - Mi sono separato dal vecchio Agostino.

Evelina                          - Oh Dio, come mai!

Arnoldo                        - Ho preso un piccolo ufficio proprio di fronte a casa. Ci sono entrato stamattina. Ho pen­sato che era bene inaugurarlo il giorno della festa di Edoardo, può darsi che ci porti fortuna. Per un mese o due saremo un po' a corto di danaro, ma poi ci avvieremo bene.

Evelina                          - Non ti preoccupare per me: posso anche fare a meno della donna di servizio. In fondo, adesso non ne ho più bisogno.

Arnoldo                        - Ma neppure per idea. Tu non devi rinunciare a nulla! Basta non spendere più di quanto non sia veramente indispensabile.

Evelina                          - Ma io non voglio far debiti.

Arnoldo                        - Lo so, ma devi superare l'orrore dei debiti... Tutto il nostro avvenire dipende dal poter convincere il prossimo che i debiti non sono peccati.

Evelina                          - Lo so che non sono peccati. Non dico questo. Ma insomma... beh, mi mettono pensiero.

Arnoldo                        - Devi fare lo sforzo di stare tranquilla.

Evelina                          - Io non capisco perché il nostro avvenire debba dipendere dal non preoccuparsi dei debiti che abbiamo.

Arnoldo                        - Perché io non faccio più il mestiere di prima. Adesso mi occupo di compra e vendite.

Evelina                          - Che diavolo sarebbe?

Arnoldo                        - È un'idea americana: invece di met­tere da parte del danaro per fare un acquisto, si fa l'acquisto e poi si paga a rate.

Evelina                          - E che cosa si compra?

Arnoldo                        - Beh, soprattutto mobilia. Almeno questa è la prima merce che venderemo.

 Evelina                         - Ma ti occorrerà un sacco di danaro per cominciare.

Arnoldo                        - Sì. Ma questo è un problema già supe­rato. Ho un socio.

Evelina                          - Chi? Tombridge?

Arnoldo                        - Oh Dio, no, qualcuno di molto più abile. Harry Soames.

Evelina                          - Ma è stato in prigione.

Arnoldo                        - Sì, ma adesso è libero. Non era mica condannato a vita. E poi, non lo hanno condannato per una cosa molto seria: è stato, in fondo, un errore tecnico... ha avuto disgrazia.

Evelina                          - Capisco.

Arnoldo                        - Soames vuole rimettersi negli affari, e per questo mi ha aiutato... Sono fortune che capi­tano una volta nella vita.

Evelina                          - Devi stare molto attento.

Arnoldo                        - Non crederai mica che commetta delle imprudenze, vero?

Evelina                          - Oh no, ma potrebbe sempre farti qualche scherzo.

Arnoldo                        - Starò con gli occhi bene aperti! E poi, ha troppo desiderio di riabilitarsi. Un bambino che si è scottato una volta, sai quello che fa. Non ti preoccupare.

Evelina                          - Io non mi preoccupo, ma non vorrei cambiare. Sono tanto felice oggi, così come stiamo.

Arnoldo                        - Ma adesso ' dobbiamo pensare a Edoardo. Sai, tutte le volte che vedo un altro bam­bino mi sorprendo a paragonarlo al nostro. Paragono la sua carrozzina, il suo abito, l'espressione del suo visetto, È strano, ma nessun altro bambino mi è mai parso intelligente e simpatico quanto Edoardo.

Evelina                          - Infatti sarebbe impossibile.

Arnoldo                        - Ma molti bambini hanno carrozzine più belle e bambinaie molto eleganti.

Evelina                          - Questa è per me.

Arnoldo                        - Tesoro, tu non sei una bambinaia.

Evelina                          - Lo sono, anzi sono un'ottima bam­binaia.

Arnoldo                        - Lo so. Sei un prodigio. Ma qualche volta, la sera, io vedo che non ce le fai più. È vero? Confessalo. Non pensi mai che sarebbe tanto bello poter uscire insieme? Eh?

Evelina                          - Sì, ma non posso permettere che qual­cun altro si occupi^di^Edoardo.

Arnoldo                        - Io sono sicuro che Edoardo vorrebbe ti ringraziassi per queste parole.

Evelina                          - Tu sei uno sciocco, ma io dico sul serio.

Arnoldo                        - Lo so bene. Ma non potraistargli dietro per sempre, credi pure. Un giorno bisognerà che tu lo mandi a scuola, e io voglio che sia la mi­gliore scuola del mondo.

Evelina                          - Questo non significa che sia" la più cara.

Arnoldo                        - No, ma potrebbe esserlo. È per questo che voglio avere del danaro in banca; potrebbe servirci.

Evelina                          - (esaminando la giacca di Arnoldo) Tesoro, hai perso un bottone.

Arnoldo                        - È per questo che devo fare carriera.

 Evelina                         - (sempre occupandosi del bottone) Ce lo hai in tasca?

Arnoldo                        - È per questo che devo diventare ricco.

Evelina                          - Molto ricco!

Arnoldo                        - Molto, molto ricco! E famoso! (Si ode suonare il campanello alla porta).

Evelina                          - Sarà il dottore Parker. Oh Dio, guarda che disordine! Arnoldo, porta su questa roba.

Arnoldo                        - Sì, amor mio. Molto ricco e famoso!

Evelina                          - Lord Holt, non dimenticate il caval­letto della biancheria!

Arnoldo                        - Che esistenza monotona è quella dei medici! (Sale con la biancheria, il cavalletto e gli altri impicci del bambino).

Evelina                          - (va ad aprire la porta e torna col dottor Lorenzo Parker) Si accomodi, dottore.

Parker                            - Grazie, grazie.

Evelina                          - Siamo felici che lei sia venuto.

Parker                            - E io sono felice che m'abbiate invitato. Molto rallegramenti a tutti e due e al giovanotto. Come andiamo col sugo d'arancio?

Evelina                          - Oh, molto meglio, grazie a lei. Aveva perfettamente ragione. Ero io che non sapevo pre­pararlo.

Parker                            - Gli ho portato un regaluccio.

Evelina                          - Oh, com'è gentile! (Arnoldo scende dalla scala).

Parker                            - Beh, Holt, ha una casa da affittare?

Arnoldo                        - Non per adesso.

Evelina                          - Tesoro, guarda che cosa ha portato il dottor Parker.

Arnoldo                        - Oh, ma perché s'è disturbato? Toh, ha proprio gli orecchi di Edoardo. Evelina le ha detto che Edoardo sta in piedi da solo? Si regge sol­tanto con una manina!

Parker                            - Un fenomeno!

Arnoldo                        - Sì, mi pare piuttosto precoce per un bambino di un anno, vero?

Parker                            - Bisognerà mandarlo all'esposizione. No, io credo che stia molto bene per merito della sua mamma, e naturalmente anche del suo babbo.

Evelina                          - Venga a sedersi, dottore. Io so che lei ha sempre tanto poco tempo.

Parker                            - Grazie. Perbacco, champagne! Gli fate molto onore.

Arnoldo                        - Tesoro, vuoi che lo alziamo e lo por­tiamo giù?

Evelina                          - Oh no, non credo che si debba distur­barlo... Lei che cosa ne dice, dottore?

Parker                            - Oh, per una volta non gli farebbe male. Purché non diventi un'abitudine.

Evelina                          - Davvero, che bellezza! Accendiamo la candelina. Poi lo vado a prendere. Un fiammifero?

Parker                            - Ce l'ho io.

Arnoldo                        - Gli possiamo dare un po' di latte con una goccia di champagne?

Parker                            - Come medico devo sconsigliare questo alimento...

Evelina                          - Ma è per buon augurio. (Suona il campanello della porta).

Arnoldo                        - Chi diavolo sarà?

 Evelina                         - Dev'essere il giornalaio, tesoro... Dob­biamo pagargli i giornali di stamani.

Arnoldo                        - Oh, scusami, non ho qui il danaro.

Evelina                          - Vai su e prendilo nella mia borsetta.

Arnoldo                        - Sì, cara. (Sale al primo piano).

Parker                            - Posso dirle quanto è bella questa sera?

Evelina                          - Grazie.

Parker                            - Arnoldo Holt è un uomo veramente fortunato... se ne rende conto?

Evelina                          - Lo chieda a lui. Lei è sempre occu­patissimo, vero?

Parker                            - Piuttosto... C'è tanta influenza in giro. E, purtroppo, non sappiamo bene come curarla... è una specie di epidemia. Anzi, io eviterei che Edoardo andasse nei negozi e tra la folla.

Evelina                          - Certo.

Parker                            - Io gli darei anche un po' di olio di fegato di merluzzo. È sempre più sicuro. Non che ne abbia bisogno, intendiamoci! (Suono di campanello. Bussano alla porta d'ingresso).

Evelina                          - Arnoldo dice che ha le adenoidi.

Parker                            - C'è ancora tempo per pensarci...

Evelina                          - Oh, io non mi preoccupo per questo...

Arnoldo                        - (scende le scale e va ad aprire la porta) Oh, ciao, Harry.

Soames                          - Salve, Arnoldo.

Arnoldo                        - E velina, è venuto Harry Soames!

Evelina                          - Oh, mi scusi, dottore. Arnoldo si era dimenticato di avvertirmi.

Arnoldo                        - (viene avanti con Soames) Tesoro, Harry Soames ha trovato un attimo per venire a trovarci. Gli avevo detto che oggi facevamo bisboccia!

Soames                          - (un uomo grosso, florido, dall'aspetto fore­stiero: ha un bellissimo abito e sorride con grande compunzione, come se fosse cosciente della sfiducia che evoca e ansioso di rassicurare il prossimo) Buona sera, signora. Sono felice di essere tra loro. Non credo di aver avuto il piacere di conoscerla prima, ma io so tutto di lei attraverso Arnoldo. E il loro invito mi è stato molto caro.

Evelina                          - Anche a noi fa molto piacere vederla. Conosce il dottor Parker?

Soames                          - No... piacere.

Parker                            - Buona sera. (Si stringono la mano).

Soames                          - Stasera la festa è doppia, dottore. Arnoldo ed io siamo diventati soci.

Parker                            - Ah, davvero, non lo sapevo.

Soames                          - È una notizia dell'ultima ora.

Parker                            - E come si chiama la società? Holt e Soames? Oppure Soames e Holt?

Soames                          - Per ora si chiama Holt e C. Ma, scusi, lei è il famoso dottor Parker?

Parker                            - No, io sono soltanto il dottor Parker.

Soames                          - Ma lei ha scritto un libro sulla dieta dei bambini: « Come essere giovane e buono » se non sbaglio.

Evelina                          - No. « Come essere giovane e sano ».

Soames                          - Già, appunto.

Parker                            - Sì, l'ho scritto io.

Soames                          - È il consigliere inseparabile di mia moglie; dice che non esiste un libro migliore di questo. E se ne intende! Mi rallegro molto!

Parker                            - Molto gentile.

 Arnoldo                       - È un libro straordinario. Tesoro, vai a prendere il giovanotto?

Evelina                          - Caro, non bisogna contraddire il dottor Parker. Ha detto che non era prudente, vero, dottore?

Parker                            - (dopo un attimo di esitazione) No, non credo che dovremmo disturbarlo. È ancora molto giovane. Potrebbe rimanere un po' scosso.

Soames                          - Forse perché sono io qui. Ma creda, posso benissimo scappar via.

Evelina                          - Prego, si accomodi... anzi! Anche Edoardo sarebbe felice di conoscerla, ma è un po' tardi.

. Soames                        - E se andassimo su noi a dargli un'occhia-tina, senza svegliarlo?

Evelina                          - (esita) Veramente...

Soames                          - Forse non è stata una buona idea, la mia. Del resto so già che è uno splendore. Creda, ho visto molte belle cose in vita mia, ma per me niente è più bello di un bambino che dorme. Ci si domanda che cosa accade nel mondo, dottore.

Parker                            - Già, già!

Evelina                          - Che cosa vuol dire « che cosa accade nel mondo », signor Soames?

Soames                          - Significa quello che ho detto, signora Holt. Noi non vogliamo una terra adatta soltanto agli eroi, vogliamo una terra adatta ai nostri figli. Anch'io sono padre di famiglia e so che cosa vuol dire preoccuparsi per i figli.

Evelina                          - Quanti figli ha?

Soames                          - Oh, sono molto più avanti di lei, signora Holt! Ne ho già tre: due femmine e un maschio... eccoli qua. (Si toglie l'orologio dal taschino, lo apre e mostra il ritratto dei bambini).

Evelina                          - (osservando) Oh, bellissimi! Come si chiamano?

Soames                          - Susanna, Fiona, Arturo. E questa è la loro mamma.

Evelina                          - Che bella donna! Guarda, Arnoldo.

Arnoldo                        - Perbacco! E hanno l'aria molto robusta.

Soames                          - Lo credo bene, sono stati tutto l'anno nell'isola di Wight. Mia moglie ed io abbiamo deciso di tenerli un anno intero in piena libertà, adesso hanno l'età in cui si gode meglio la campagna. Certo, è un posto un po' noioso per mia moglie, ma io faccio il possibile per andarla a trovare spesso. Più avanti, quando i bambini andranno a scuola, rinunceremo alla fattoria. Ah, a proposito, signora Holt, se avesse bisogno di burro, o di uova o di miele, noi possiamo sempre procurargliene. Lo dica ad Arnoldo ed io glielo farò avere subito.

Evelina                          - Oh, lei è proprio gentile. Gliene saremo tanto grati. Il miele è così difficile da trovare.

Soames                          - Senz'altro... è un piacere per me...

Evelina                          - Allora vuol dare un'occhiata a Edoardo?

Soames                          - No... Cioè, soltanto se lei pensa che sia possibile.

Evelina                          - Oh sì, certo... Se andiamo in camera senza far rumore, non credo che si svegli. (Lo accom­pagna su, lasciando soli Arnoldo e Parker).

Parker                            - L'uomo delle uova e del burro.

Arnoldo                        - È stato furbo con la trovata del miele. Soames è impareggiabile quando vuol conquistare qualcuno.

Parker                            - È una qualità impareggiabile... spe­cialmente negli affari, suppongo.

Arnoldo                        - Davvero. Vorrei avere la metà del fascino che ha lui.

Parker                            - Perché?

Arnoldo                        - Oh, per nessuna ragione speciale. Sol­tanto per faticare meno a far carriera.

Parker                            - Il fascino è molto utile. L'importante è che rimanga qualità e non diventi merce da vendere.

Arnoldo                        - Le piace poco, vero?

Parker                            - Non direi questo, ma mi mette a disagio... Ho la sensazione di superare una certa diffidenza. Non so perché. Forse perché mi pare di averlo già conosciuto o di avere visto la sua foto­grafia e adesso non mi riesce di piazzarlo nella mia memoria.

Arnoldo                        - Non credo che lei lo abbia mai cono­sciuto: è stato molti anni in Canada. Permette? (Offre un pasticcino).

Parker                            - Davvero? Non si è mai troppo prudenti, comunque, al giorno d'oggi... e lei ha una grossa responsabilità.

Arnoldo                        - Oh, lo credo bene. A proposito di responsabilità, vorrei molto che lei visitasse gli occhi di Edoardo.

Parker                            - Perché? Gli riesce difficile leggere?

Arnoldo                        - No, dico sul serio... Gli guardavo gli occhi, l'altro giorno, e ho trovato che... come dire?... Non sono strabici s'intende, ma forse un po'...

Parker                            - Incrociati?

Arnoldo                        - Oh no, ma non so spiegarmi... insomma, vorrei che li vedesse lei.

Parker                            - Certo.

Arnoldo                        - Non lo dica a E velina: si preoccupa per un'inezia.

Parker                            - Sia tranquillo.

Arnoldo                        - Le dispiace se parlo di queste cose fuori visita?

Parker                            - Nella mia professione qualsiasi visita è medica. (Soames e Evelina tornano).

Arnoldo                        - Beh, che cosa ne dici, Harry?

Soames                          - Stupendo... Mi rallegro con... tutti e tre.

Evelina                          - Coraggio, Arnoldo, apri la bottiglia dello champagne.

Arnoldo                        - Non sono molto abile. I bicchieri sono pronti? (Cerca di aprire ma non ci riesce).

Evelina                          - E i fiammiferi dove sono?

Soames                          - Eccoli. (Le porge la scatola dei cerini).

Evelina                          - Grazie. (Accende la candelina sulla torta).

Arnoldo                        - Ho paura di rompere il turacciolo.

Soames                          - Vuoi che ci provi io? (Prende la bottiglia, agisce con molta esperienza ed estrae il turacciolo).

Evelina                          - Spero vada bene lo stesso. Ma il turacciolo non doveva saltare per aria?

Soames                          - No, tutt'altro. Lo champagne di marca non schizza mai fuori, tossisce con discrezione.

Evelina                          - Ah, meno male... Non sei commosso, Arnoldo? Adesso bisogna spegnere la luce. (Spegne la luce).

Arnoldo                        - Adesso dovrei fare un discorsetto... È un gran giorno. A Edoardo! Io so che tu dormi, almeno lo spero, e so anche che sei venuto fuori dalle coperte...

Evelina                          - E io l'ho rimboccate...

Arnoldo                        - Edoardo, voglio che tu sappia che quaggiù abbiamo in mano il tuo avvenire; è nelle mani di noi quattro. Dormi tranquillo, Edoardo, il mondo sarà la tua ostrica.

Soames                          - E su questo beviamo.

Evelina                          - Che cosa vuol dire: «il mondo sarà la tua ostrica? ».

Soames                          - Vuol dire, signora Holt, che niente sarà troppo bello per lui, mai.

QUADRO SECONDO

La stessa scena. Siamo nel giugno del 1924.

Waxman                        - Quanti anni ha?

Parker                            - Quattro, professore, quattro e mezzo.

Waxman                        - È alto per la sua età. Piglio unico?

Parker                            - Sì.

Waxman                        - Peccato. Detesto le famiglie con un figlio solo. I nostri genitori erano più accorti. Vero?

Parker                            - Qualche volta, professore.

Waxman                        - I genitori sono giovani, suppongo.

Parker                            - Ho assistito la signora Holt quando è nato il bambino e non credo possa avere altri figli.

Waxman                        - Il ragazzo... ha una storia?

Parker                            - Nessuna. In piena salute fino ad ora.

Waxman                        - Quando ha notato il primo sintomo?

Parker                            - Un mese fa il bambino si è lamentato di un dolore al fianco, ma già da aprile sua madre aveva notato che trascinava leggermente una gamba. Sa, è difficile osservare il passo di un bambino così piccolo.

Waxman                        - Sì, è tutto esatto. Non ho il minimo dubbio sulla diagnosi. Adesso bisogna studiare la cura. Lei ha mai curato casi di atrofia di Mander?

Parker                            - No. Ne ho visti in clinica, prego!

Waxman                        - Beh, abbiamo fatto qualche progresso in questi anni, grazie a Dio. Sono casi rari ma, cosa strana, ne ho visto un altro analogo tre mesi fa, il figlio dei Pindler, degli armatori. Quali sono le con­dizioni economiche di questa famiglia?

Parker                            - Holt ha un negozio in città, ma non so fino a qual punto sia suo. Suppongo che abbia una rendita di circa 400 sterline all'anno.

Waxman                        - Pensavo a Schmitt...

Parker                            - Lo svizzero?

Waxman                        - Sì, si è specializzato nella cura di questa malattia, fa una specie di innesto. Ma costa caro e Schmitt fa l'operazione soltanto a patto di poter tenere il malato in osservazione per un anno intero.

Parker                            - Quanto verrà a costare?

Waxman                        - Findler ha speso 500 sterline per la sola operazione.

Parker                            - Poi c'è un anno in Svizzera. Vuole che li faccia scendere, i genitori, professore?

Waxman                        - Sì, sì, li chiami pure.

Parker                            - (chiama) Siamo pronti!

 Evelina                         - (Evelina e Arnoldo scendono dalle scale) Che cosa ne pensate?

Waxman                        - Si accomodi, signora. (Evelina si siede) Beh, io temo che il vostro bambino ne abbia almeno per un anno. Guarirà perfettamente, ma non posso permettere che corra e che adoperi molto la gamba malata.

Evelina                          - Dovrà stare a letto?

Waxman                        - Per adesso, credo di sì... E forse potreste trasportarlo quaggiù, sarà più allegro per lui. Signora, io gli farò un apparecchio di gesso, cosa che sulle prime gli darà qualche disturbo. Per le prime notti sarà forse un po' inquieto, e io farò in modo che possiate portarmelo in clinica la settimana ventura, così gli applicherò subito l'apparecchio. Avver­tirò il dottor Parker qualche giorno prima.

Arnoldo                        - Crede che fra un anno sarà guarito bene?

Waxman                        - Sarà per lo meno molto migliorato.

Arnoldo                        - E non zoppicherà più?

Waxman                        - Oggi è difficile garantire questo... Ma ho visto guarigioni assolute.

Arnoldo                        - Non rimarrà zoppo?

Waxman                        - Se anche zoppicasse, sarebbe una cosa impercettibile. Ci sono tanti modi di... Beh, adesso non si preoccupi.

Arnoldo                        - Se avesse bisogno di altro... di « qual­siasi » cosa... tenga presente che noi siamo disposti a ogni sacrificio.

Waxman                        - Non ne dubito, lo so bene... beh, per oggi, la saluto... Posso darle un passaggio, Parker?

Parker                            - No, grazie, .professore, ho un'altra visita da fare in questa strada.

Waxman                        - Beh, arrivederci... (Stringe la mano a Evelina).

Evelina                          - Grazie di tutto, professore.

Arnoldo                        - L'accompagno alla macchina, pro­fessore.

Waxman                        - Grazie. È quasi campagna da queste parti... (Esce con Arnoldo).

Evelina                          - È bravo, vero, Renzo?

Parker                            - È il più stimato di tutti.

Evelina                          - (con un mezzo sorriso) Beh, bisogna fare il possibile... E speriamo sia una cosa più rapida di quello che ha detto Waxman.

Parker                            - Io credo di sì.

Evelina                          - Renzo... non peggiorerà, vero? E lei mi promette di avvertirmi se ci saranno delle com­plicazioni? (Ha un momento di sconforto).

Parker                            - Ma no! Avanti, Edoardo sta chiamando.

Evelina                          - No, non mi pare. E poi non voglio mi veda così.

Parker                            - Evelina, non è il caso di buttar fuori questi lacrimoni.

Evelina                          - (si riprende) Grazie. Adesso va bene. Vado a preparare Edoardo per il riposino. (Esce).

Arnoldo                        - (tornando) Beh... decidiamo. Waxman sa il fatto suo, vero?

Parker                            - Io ritengo di sì.

Arnoldo                        - Un cognac? (Versa un bicchierino di cognac a Parker).

Parker                           - No, grazie. Come vanno gli affari, Arnoldo? .

 Arnoldo                       - Non lo so. Ho avuto poco tempo di occuparmene in questi giorni. (Sorpreso) Perché me lo chiede?

Parkeb                           - Può mettere insieme un migliaio di sterline?

Arnoldo                        - Non credo... almeno per ora. Perché?

Paekee                           - Per Edoardo.

Arnoldo                        - Per Edoardo troverei il modo di met­tere insieme un milione. Perché? È una cura molto cara?

Paekee                           - Sì, se facciamo quella che dico io. Io credo che dovrebbe andare in Svizzera a farsi operare.

Arnoldo                        - Niente Waxman?

Paekee                           - Io penso a un certo Schmitt. Non pro­metto niente, ma se fosse mio figlio farei così.

Arnoldo                        - Va bene. Allora, niente letto?

Paekee                           - No. Ma dovrà star via un pezzo. Vuol lasciar dare a me? Scriverò stasera stessa.

Arnoldo                        - Mi faccia un favore: telegrafi.

Paekee                           - Va bene.

Arnoldo                        - Straordinario... Come mai le è venuto in mente Schmitt?

Paekee                           - Veramente è stata un'idea di Waxman. (Si ode il campanello della porta d'ingresso) Adesso vado. Le telefono appena ho avuto notizie. (Si avviano verso l’ingresso. Si ode la voce di Soames che li saluta).

Soames                          - (dopo un attimo entra seguito da Arnoldo) Sapevo di trovarti a casa. Al negozio mi hanno avvertito che non saresti uscito. Sei in ferie?

Arnoldo                        - Non precisamente. Il bambino non sta bene. Abbiamo fatto un consulto.

Soames                          - Forse hai fatto bene... Io dico sempre che il parere di uno specialista non ha prezzo. Niente di serio, comunque.

Arnoldo                        - No, guarirà benissimo.

Soames                          - Meno male.

Arnoldo                        - E i bambini tuoi stanno bene?

Soames                          - Tutti bene, spero.

Arnoldo                        - Un cognac? (Versa un bicchierino di cognac a Soames).

Soames                          - Sì, grazie. Scusa, non vieni in negozio, oggi?

Arnoldo                        - No, non credo... Mi son portato da lavorare a casa. Perché?

Soames                          - Niente di grave... Ho pensato che, per diminuire le spese, si potrebbe chiudere il negozio per un paio di mesi. Non credevo che gli affari sareb­bero andati così...

Arnoldo                        - Il male è che la nostra ditta è piccola, quindi ha poche risorse. Ma quando sarà più facile rifornirsi di merce, gli affari andranno meglio.

Soames                          - E i tappeti come vanno?

Arnoldo                        - Temo che non vadano affatto. Co­stano troppo.

Soames                          - Bisogna venderli, a tutti i costi. Perché non li teniamo in vetrina?

Arnoldo                        - Ce li tengo sempre.

Soames                          - Ma oggi non ce li hanno messi.

Arnoldo                        - Stamattina c'erano. Harry, se ci fosse un altro direttore, forse il negozio...

Soames                          - Oh, Arnoldo, non dire queste cose. Io facevo soltanto delle proposte.

 Arnoldo                       - Hai pienamente diritto di farle. Ma ne faccio una anch'io. Che cosa ne diresti di rilevare la mia quota?

Soames                          - Di rimanere solo?... Ma sei pazzo?

Arnoldo                        - No, tutt'altro. Da un pezzo mi accorgo di essere un grosso impiccio per te... Io sarei felice, se questo ti facesse piacere, di venderti la mia quota allo stesso prezzo per cui l'ho comprata: 1500 sterline.

Soames                          - Ti senti male?

Arnoldo                        - Io no, perché! Credi sia troppo?

Soames                          - Troppo... oh, se sapessi di poter uscire da questo affare, darei oggi stesso 1500 sterline e mi; riterrei fortunato.

Arnoldo                        - Va bene. Fammi un assegno di 1500 sterline e sei libero.

Soames                          - Io potrei firmarti l'assegno, ma non credo ti sarebbe molto utile. Il fatto è, caro socio, che siamo falliti. È questo che sono venuto a dirti. Credo che dovremo tirar giù le saracinesche e pre­sentare una delle solite istanze. Sei mai fallito, tu?

Arnoldo                        - Harry, ho bisogno di mille sterline.

Soames                          - Perché?

Arnoldo                        - Per mandare mio figlio in Svizzera.

Soames                          - Hai scelto il momento adatto per una villeggiatura.

Arnoldo                        - Non è una villeggiatura. Ti ho detto che è malato.

Soames                          - Non è una somma indifferente. Non hai parenti? Amici?

Arnoldo                        - Nessuno che disponga di mille ster­line. Mi devi aiutare.

Soames                          - Come?

Arnoldo                        - Se, prima di dichiarare fallimento, vendessimo tutta la merce in blocco? A prezzi di concorrenza?

Soames                          - Non possiamo farlo, se non vogliamo andare in galera. E io non ci voglio andare.

Arnoldo                        - Ma la merce è nostra.

Soames                          - Lo sarà quando l'avremo pagata.

Arnoldo                        - Non hai qualche proposta da farmi?

Soames                          - No, non per adesso. Sarà meglio che ne riparliamo. Io preferisco andar a fare il merciaio ambulante. Mi piace l'aria aperta. Mi piace la cam­pagna.

Arnoldo                        - Ma la tua famiglia?

Soames                          - Si arrangerà benissimo... farà un po' di economia e papà troverà presto una sistemazione. È certo un guaio grosso che tuo figlio si sia ammalato proprio adesso. È indispensabile che vada via?

Arnoldo                        - Sì.

Soames                          - Non è una spesa da poco... Mi dispiace di non sapere che cosa consigliarti. Posso avere un altro cognac?

Arnoldo                        - Serviti.

Soames                          - (versandosi da bere) Ci pensi tu a licen­ziare la signorina e quel mezzo scemo del fattorino?

Arnoldo                        - Devo darle una settimana di paga in più?

Soames                          - Oh no, siamo falliti... non capisci? Certe cortesie non possiamo permettercele.

Arnoldo                        - Mi dispiace per la signorina.

 Soames                         - A me dispiace per tutti noi. Bisognerà che ci facciamo coraggio. Beh, per oggi ti saluto. Domattina mi farò vivo. Non mi accompagnare. (Lascia Arnoldo seduto in poltrona e si avvia verso la porta).

Arnoldo                        - Soames, non andartene così... dob­biamo trovare una soluzione.

Soames                          - Se c'è una soluzione, trovala tu.

Arnoldo                        - Conosci un certo Ethrington?

Soames                          - Ethrington? No. Chi è?

Arnoldo                        - Abita qui vicino. Credo che sia di­sposto a fare molto per me.

Soames                          - Davvero? Me ne parlerai domani.

Arnoldo                        - Vieni qui.

Soames                          - (che era già sulla porta d'ingresso, richiude il battente che aveva aperto e torna vicino ad Arnoldo) Beh?

Arnoldo                        - È in una compagnia di assicurazioni. Per quanto siamo assicurati?

Soames                          - Per tremila sterline.

Arnoldo                        - Non potremmo arrivare a cinquemila?

Soames                          - Perché?

Arnoldo                        - Ethrington è nel ramo incendi.

Soames                          - Non fare pazzie.

Arnoldo                        - Hai paura?

Soames                          - Io non c'entro.

Arnoldo                        - Allora lascia fare a me.

Soames                          - Credi che sia una soluzione?

Arnoldo                        - Si può tentare. Non credo che Ethring­ton mi abbandoni, se non mi abbandoni tu.

Soames                          - Oh Dio, che rischio! Purché tu non mi trascini nei guai... purché io non sappia niente... Sta tranquillo che non ti metterò i bastoni fra le ruote.

Arnoldo                        - Beh, allora dammi una settimana o due prima di chiudere il negozio.

Soames                          - Va bene. Metterò altre 50 sterline in conto, così potremo tirare avanti ancora un po'.

Arnoldo                        - Mettiamo duecento, fa migliore effetto.

Soames                          - Va bene, ma quando son finite queste cose, non ce ne sono più.

Arnoldo                        - Non ce ne sono più di « tue », Harry.

Soames                          - Va bene. Arrivederci. E stai attento. Ma lo conosci bene questo Ethrington?

Arnoldo                        - Molto bene. Abbiamo fatto la guerra insieme.

Soames                          - Ma non dirai che gli hai salvato la vita! (Esce).

Evelina                          - (entra) C'è stato Soames?

Arnoldo                        - Sì.

Evelina                          - Che cosa voleva?

Arnoldo                        - Voleva parlarmi del negozio.

Evelina                          - Ti seguita a seccare con quegli sco­perti?

Arnoldo                        - No. Come sta Edoardo?

Evelina                          - Vuole alzarsi. Gli ho promesso che se dorme mezz'ora lo faccio scendere per il tè.

Arnoldo                        - Bene.

Evelina                          - Bisogna che piano piano si abitui a rimanere a letto.

Arnoldo                        - Non occorre. Andrà in Svizzera a farsi operare e tu lo accompagnerai.

 Evelina                         - Oh no, Arnoldo. Dobbiamo fare quello che consiglia Parker.

Arnoldo                        - È proprio questo il suo consiglio... Renzo dice che c'è un chirurgo straordinario, un certo Schmitt... Renzo dice che se Edoardo fosse suo figlio lo farebbe curare da questo Schmitt. E io ho molta fiducia in Parker. Tu?

Evelina                          - Moltissima, certo. Ma...

Arnoldo                        - Non ci sono ma, ho pensato a tutto.

Evelina                          - Ma costerà carissimo.

Arnoldo                        - A questo penso io.

Evelina                          - Hai chiesto aiuto a Soames?

Arnoldo                        - Ti dispiacerebbe?

Evelina                          - Non credo che mi interesserebbe sapere da che parte viene il denaro. Oh, Arnoldo, sarà un'operazione molto grave?

Arnoldo                        - No, non credo. Ma me ne intendo poco.

Evelina                          - E guarirà alla perfezione? Non zop­picherà più?

Arnoldo                        - No no. Andrà tutto benissimo... ma forse dovrete star via un pezzo...

Evelina                          - E tu?

Arnoldo                        - Per me tutto va bene... Forse potrò raggiungervi fra qualche tempo.

Evelina                          - Ma qui rimarrai solo.

Arnoldo                        - Finché avrò da pensare a Edoardo e a te, non sarò mai solo...

Evelina                          - Amor mio...

Arnoldo                        - E quando tornerai dalla Svizzera... penseremo alla scuola. Voglio che vada in un collegio di prim'ordine... anzi, nel migliore che ci sia. Chi sa se gli piacerà giocare a cricket? Gli faremo un bel vestito blu, coi calzoni lunghi.

Evelina                          - Tesoro, c'è tempo!

Arnoldo                        - No, non tanto... E poi prenderà lezioni di equitazione, e gli daremo anche un maestro di pugilato. Sarà un uomo molto forte, quando la gamba sarà guarita. E, tesoro, tu devi stare più attenta ai suoi orecchi... forse non sarebbe male tenerglieli appiccicati con un po' di cerotto. Anzi, sarà un'ot­tima occasione, questa Svizzera, tanto lassù non deve farsi vedere da nessuno. E poi ci potrà por­tare un berretto da sciatore. Anzi, potrai insegnargli a sciare.

Evelina                          - Io penso che avrà già molto da fare per curarsi la salute. Ma sta tranquillo: il berretto da sciatore glielo compro lo stesso.

Arnoldo                        - Che numero ha Ethrington?

Evelina                          - 701. Perché?

Arnoldo                        - Voglio dargli notizie nostre. Si inte­ressa sempre tanto di Edoardo. (Al telefono) 701, per favore.

Evelina                          - È partito.

Arnoldo                        - Partito?

Evelina                          - Sì, l'hanno trasferito a Glasgow. La moglie lo raggiungerà appena avranno trovato un appartamento. Te l'ho detto la settimana scorsa, ma tu non ascolti mai quando parlo io!

Arnoldo                        - (al telefono) No, no, grazie, non occorre più.

Evelina                          - Quando partiamo?

Arnoldo                        - Subito. La settimana ventura.

QUADRO TERZO

La stessa scena. Quindici giorni dopo.

Arnoldo                        - (è seduto alla scrivania. Si ode il cam­panello della porta. Si alza e va ad aprire) Ciao, Harry.

Soames                          - Ciao. Sei tornato?

Arnoldo                        - Tornato?

Soames                          - Sì, son passato di qua mezz'ora fa e non rispondeva nessuno. Ti dispiace se mi trat­tengo un momento?

Arnoldo                        - No, tutt'altro.

Soames                          - E la signora e il bambino?

Arnoldo                        - Sono via per due giorni.

Soames                          - Fai lo scapolone, eh? Scusa, Arnoldo, ho ripensato a quello che mi hai detto, ma ho paura che quella faccenda dell'incendio sia un po' troppo pericolosa.

Arnoldo                        - Pericolosa?

Soames                          - Sì. Infatti, non mi è mai piaciuta molto. Credo, anzi, di essere stato un po' impru­dente quando me ne hai parlato per la prima volta. Dovevo subito sconsigliarti, con maggiore decisione. A dire la verità, non sono mai stato d'accordo con te.

Arnoldo                        - Davvero? E allora perché mi hai dato duecento sterline per fare star buono Ethrington?

Soames                          - Io non sapevo a che cosa servisse quel danaro. Mi hai detto che ti occorreva per mandare avanti il negozio. Ad ogni modo, lo rivoglio.

Arnoldo                        - Quando ti occorre, Soames?

Soames                          - Subito. Scusa, Arnoldo, io voglio che tu vada da Ethrington, che tu gli dica di non fare sciocchezze. Ha un buon impiego, non vai la pena che corra questo rischio.

Arnoldo                        - Ti preme molto la sua carriera, vedo.

Soames                          - Sì, forse. Ma forse mi preoccupo anche di me stesso. Ho molto riflettuto in questi giorni, e quest'affare non mi piace affatto.

Arnoldo                        - Stai tranquillo, Soames. Non è sempre bene riflettere.

Soames                          - Adesso non insistere. Prendi il cap­pello, vai da Ethrington, digli che non vi sono mai stati incendi e fatti rendere le duecento sterline.

Arnoldo                        - Questo è più. difficile, Soames. Io non gli ho mai dato le duecento sterline.

Soames                          - Allora hai rinunziato al progetto... Perché non mi hai detto niente? Sapevi che non mi piaceva. Oh, che sollievo!

Arnoldo                        - Non ho affatto rinunziato al mio progetto, Harry. Ho già appicciato il fuoco.

Soames                          - Che cosa hai fatto?

Arnoldo                        - Ho deciso di fare da solo, senza Ethrington... e poi quelle duecento sterline mi occor­revano per mandare Evelina in Svizzera con Edoardo.

Soames                          - Porco!

Arnoldo                        - Vedremo... Io credo di aver avuto una bellissima idea... Purché non se ne accorgano troppo presto... (Guarda l'orologio) È già passata mezz'ora... ancora un quarto d'ora e siamo salvi!

Soames                          - Non riuscirai nel tuo scopo... Dirò la verità.

Arnoldo                        - E ti crederanno? Ricordati che parti con un lieve svantaggio.

Soames                          - Io me ne vado.

Arnoldo                        - Aspetta ancora un quarto d'ora... vedrai quello che accade... E così dormirai molto meglio.

Soames                          - Come farai a sapere quello che accade?

Arnoldo                        - La polizia telefonerà qui. E poi udremo la campana dei pompieri, dovranno passare qua sotto. A proposito, per quanto siamo assicurati?

Soames                          - Per cinquemila sterline, adesso.

Arnoldo                        - Beh, speriamo di non essere stati troppo ingordi.

Soames                          - Io credo che tu sia impazzito... correre un rischio simile...

Arnoldo                        - Davvero...

Soames                          - E allora, in nome di Dio, perché lo hai fatto?

Arnoldo                        - L'ho fatto perché non avevo altra scelta. E se mi va bene... non mi pentirò mai di aver corso questo rischio, qualsiasi cosa accada. Fino a stasera potrò cullare questa speranza. Voglio dire che il mio desiderio si realizzi. Quando si desi­dera una cosa molto intensamente, so che si ottiene... io voglio che Edoardo possa camminare senza zop­picare per tutta la vita. Non chiedo altro. Niente altro mi interessa al mondo.

Soames                          - È evidente.

Arnoldo                        - Stai tranquillo. Qualche cosa mi dice che questa è la serata della mia fortuna. (Suona il telefono) Accidenti, un po' troppo presto!

Soames                          - Avanti, rispondi. E, per carità, casca dalle nuvole.

Arnoldo                        - (va al telefono) Pronto, sì, sono Holt... Sì, sì, grazie...

Soames                          - Di' che vieni subito.

Arnoldo                        - Sta zitto. Vuol ripetere, per favore? Non ho capito bene. Grazie. Buona sera. (Riag­gancia il ricevitore).

Soames                          - È spaventoso! Rispondere con quel tono a chi gli dice che il negozio va a fuoco. Mettiti il cappello e corri via subito.

Arnoldo                        - (scrolla la testa) Era un telegramma dalla Svizzera, da E velina. Dice: « Operazione riu­scita benissimo. Schmitt molto fiducioso. Baci Edoardo Evelina ». (Si ode la sirena dei pompieri).

Soames                          - Eccola. Ci siamo.

Arnoldo                        - No, no, è tutto finito... Te lo dico... Operazione riuscita benissimo. Sapevo che sarebbe andata bene. Schmitt è molto fiducioso. Facciamo entrare un po' d'aria... (Apre la finestra. Le sirene dei pompieri si odono ancora più forte) Oh, Harry, vieni a vedere... il cielo sembra di fuoco! (Soames sviene).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

Siamo nell'ufficio del rettore del collegio Oraingerry, nel 1930. Scrivania, poltrone, una porta a vetri dà sui campi di gioco. Altre porte ai lati della scena. La solita scala che porta al piano superiore.

 (Cunningham e Ellerby si mettono a sedere in attesa di Hanray, il rettore).

Cunningham                 - Sai perché ci ha mandato a chiamare?

Ellerbt                           - No, non ho idea.

Cunningham                 - Oh, dev'essere piuttosto urgente. In piena mattinata... Non l'ha mai fatto! (Va avanti e indietro).

Ellerbt                           - Perché ti preoccupi tanto? Può essere una buona notizia. Vuoi una sigaretta?

Cunningham                 - No, no, grazie. Non possiamo fumare qui.

Ellerbt                           - E perché no?

Cunningham                 - Oh, così, pensavo... (Smette di andare avanti e indietro).

Ellerbt                           - Hai adoperato i fondi del cricket?

Cunningham                 - Io? E perché?

Ellerbt                           - Ti vedo così agitato.

Cunningham                 - Ma no, sono soltanto un po' impaziente. Mi dà sempre fastidio interrompere la lezione a metà.

Ellerbt                           - Che cosa insegnavi ai tuoi asinelli, stamani?

Cunningham                 - Niente di speciale.

Ellerbt                           - E allora calmati!

Cunningham                 - Sì, niente di speciale, cioè... la solita mitologia greca. Ma a te che cosa importa?

Ellerbt                           - Niente, figurati. Non pensavo davvero che tu insegnassi loro cose illecite.

Cunningham                 - Sei piuttosto impertinente, stamani.

Ellerbt                           - È incredibile!

Hanrat                           - (il rettore, entra improvvisamente. Ellerby si alza. Hanray si toglie la toga, si siede alla scrivania) Buon giorno, signori. Ho dovuto interrompere il loro lavoro perché questa mattina verrà da me lord Holt. Anzi, è già qui. Noi sappiamo perché è venuto, e per quanto io disperi di riabilitare suo figlio, potrebbe darsi che, in determinate circostanze, mi sia utile il loro appoggio. Noi siamo, se non mi sbaglio, tutti d'accordo sulla necessità del provve­dimento che ho deciso di adottare, cioè la sua espulsione. (Pausa).

Ellerbt                           - Per quanto mi riguarda, prima ci libereremo di quel piccolo delinquente, meglio sarà.

Hanrat                           - Decisioni siffatte sono sempre un colpo duro per i genitori. >Ma sono sicuro che lord Holt non esiterà ad inchinarsi davanti all'inevitabile. Egli è un uomo di grande buon senso. Dunque, in caso io fossi costretto ad appellarmi ad uno di loro, posso essere sicuro che nessuno solleverà obiezioni inutili? Dovranno rimanere, come rimarrò io, digni­tosamente irremovibili. Ecco tutto. Vorrei pregar loro di tornare alle rispettive classi; se avrò bisogno potrò mandarli a chiamare. (Ellerby e Cunningham si alzano per andar via) Ellerby, vuol avere la cor­tesia di far entrare il signor Holt? È in salottino. (Ellerby e Cunningham escono. Hanray si dà molto da fare ad esaminare le proprie carte).

Arnoldo                        - (entra dalla porta a vetri) Buon giorno, Hanray.

Hanrat                           - (sorpreso)    - Buon giorno.

Arnoldo                        - Che cosa c'è?

Hanrat                           - Niente. Credevo soltanto che sarebbe entrato da questa porta. Cioè, Ellerby... era andato a chiamarla. Niente di male.

Arnoldo                        - Ellerby? Quello alto, con la pancetta? Ormai è acqua passata, ma una volta era un gran giocatore di cricket, un campione, se non sbaglio.

Hanrat                           - Appunto.

Arnoldo                        - Ho saputo che quando certi gio­catori si ritirano, soffrono di reumatismi. È vero?

Hanrat                           - Non ne ho idea.

Arnoldo                        - Lo domanderemo a Ellerby. Lei ha molta fortuna, Hanray. Ho raramente veduto dei campi di gioco più belli di questi. Deve essere molto affezionato al suo collegio.

Hanrat                           - Sì. Davvero. Spero che abbia fatto un buon viaggio.

Arnoldo                        - Ottimo, grazie. La campagna è un incanto di questa stagione. Purtroppo ho così poca occasione di goderla. Salvo, s'intende, qualche fine settimana.

Hanrat                           - Lei ha una vita molto piena, vero? Come la mia, suppongo.

Arnoldo                        - Sì. Ho avuto la sua lettera.

Hanrat                           - La mia lettera... Ah sì. Nessuno si è rammaricato quanto me della necessità di scri­verla. È raro che riconosciamo un nostro insuccesso.

Arnoldo                        - In questo lei differisce dagli uomini di affari.

Hanrat                           - In che modo, scusi?

Arnoldo                        - Io non ammetto mai un insuccesso.

Hanrat                           - La invidio.

Arnoldo                        - (guardando con disinvoltura un libro) È veramente la prima edizione di « Alice nel paese delle meraviglie»?

Hanrat                           - Sì, ma purtroppo non è in buone condizioni. Come vede, manca il frontespizio.

Arnoldo                        - Mi dica: perché vuole espellere mio figlio?

Hanrat                           - Non lo espello affatto. Credo di averlo detto chiaramente nella mia lettera. Io sono prontis­simo a trattenere suo figlio fino alla fine dell'anno scolastico. E temo di non poter ritornare sulla nostra decisione.

Arnoldo                        - La loro decisione?

Hanrat                           - La mia decisione. Mi creda, ho a cuore gli interessi di Edoardo quanto quelli della scuola.

Arnoldo                        - Ed è quindi negli interessi della scuola che lei intende espellere Edoardo?

Hanrat                           - Secondo me, sì.

Arnoldo                        - Perché?

Hanrat                           - Tende alla corruzione.

Arnoldo                        - Di chi?

Hanrat                           - Dei suoi compagni.

Arnoldo                        - Son lieto che non abbia tentato di corrompere lei.

Hanray                          - Signor Holt, la prego di scusarmi, ma io ritengo questo argomento assai più serio di quanto abbia l'impressione voglia ritenerlo lei.

Arnoldo                        - Ne dubito, signor Hanray. Ma adesso vedremo. La prego di scusarmi, ma l'idea di Edoardo che tenta di corrompere i compagni mi pare assurda. Se non la ritenessi tale, dovrei arrabbiarmi sul serio.

Hanray                          - (prende un foglio nel cassetto e lancia al disopra della scrivania) Questa è la calligrafia del suo figliolo?

Arnoldo                        - (dapprima perplesso, raccoglie il foglio) Beh, penso sia meglio togliere queste parole di mezzo, così, a meno che abbia scritto le stesse cose sui muri del collegio. (Mette il foglio in tasca).

Hanray                          - Io non ritengo di dover passare sopra certe cose.

Arnoldo                        - Mio figlio le piace poco, vero, Hanray?

Hanray                          - I miei gusti non hanno alcuna impor­tanza.

Arnoldo                        - I miei sì, invece. Io gli voglio molto bene.

Hanray                          - È naturale.

Arnoldo                        - E quindi lo vuole espellere perché ha scritto una parolaccia1?

Hanray                          - Sì, suo figlio merita una dura lezione.

Arnoldo                        - Ha pensato di fustigarlo»

Hanray                          - L'ho già frustato una volta quest'anno.

Arnoldo                        - (dopo una breve pausa) Come ha sop­portato il castigo?

Hanray                          - Non molto bene, purtroppo. Mi ha morso una mano.

Arnoldo                        - (reprime una risata) Scusi. Non avrei dovuto sorridere. E lei, che cosa ha fatto?

Hanray                          - E lei che cosa avrebbe fatto?

Arnoldo                        - Mi sarei messo un paio di guanti molto pesanti e avrei ricominciato.

Hanray                          - Non ho pensato ai guanti.

Arnoldo                        - Non si può pensare a tutto.

Hanray                          - L'incidente è un sintomo della con­dotta di suo figlio. Egli non ha alcun rispetto per l'autorità, non ha il minimo spirito di squadra; in­somma, è fuori posto in tutti i settori.

Arnoldo                        - Si rende conto di che cosa significhi un'espulsione per lui? Nessun'altra scuola vorrà più ammetterlo.

Hanray                          - Non è esatto. Vi sono molte scuole eccellenti che si sono specializzate nell'educazione dei ragazzi. Posso indicargliene molte, che hanno dato ottimi risultati. Ce n'è una a Sevenoaks. Il collegio ^Walter.

Arnoldo                        - Il collegio del signor Walter non mi interessa. Desidero che mio figlio rimanga qui. Ritengo che Edoardo sia un ragazzo normalissimo, un buon figliolo che, con un po' di cura e un po' di attenzione, potrebbe fare molto onore al loro collegio. (Riprende il foglietto che aveva messo in tasca) E dove crede che abbia imparato queste parole? Da me? Da sua madre? A casa sua? No, le ha imparate qui. In questo collegio. Questo rientra nella sua responsa­bilità, e lei non può rimanere estraneo a certe cose.

Hanray                          - Non accetto la sua sfida.

 Arnoldo                       - Ma lei l'accetterà, signor Hanray. Accetterà questa sfida e molte altre sfide.

Hanray                          - Mi dispiace, ma non permetto che mi si parli in questo modo.

Arnoldo                        - Se sapesse che cosa le conviene, signor Hanray, ascolterebbe quello che dico io e con molta attenzione.

Hanray                          - E una minaccia?

Arnoldo                        - Sì. Io toglierei mio figlio da questo collegio in un solo caso: se questo collegio fallisse. Ho parlato chiaro?

Hanray                          - Temo di no.

Arnoldo                        - Va bene. Prima della guerra lei si è imbarcato in un ambizioso programma di ricostru­zione per il quale ha dovuto chiedere in prestito dei capitali, in parti uguali, a una ditta chiamata Dobson e Blacker, che agiva in nome del signor Cristopherson. (Hanray non risponde) Nessuna di queste cambiali è stata pagata, né lei è in condizione di pagarle oggi. È quindi chiaro che, se andassero in protesto, questo collegio e lei stesso si troverebbero in stato fallimentare. Le cambiali sono nelle mie mani.

Hanray                          - Ma io non capisco. Come ha potuto averle?

Arnoldo                        - Le ho comprate quando Edoardo è entrato in questo collegio, per prevenire l'eventua­lità che altri facessero quello che oggi le propongo di fare io.

Hanray                          - Che cosa si propone di fare? Anche supponendo che il suo progetto fosse realizzabile, crede lei che, qualora trapelasse la verità, suo figlio ne trarrebbe un beneficio?

Arnoldo                        - Saprei evitare che la verità trapelasse. Le cambiali non sono a nome mio, e coloro che agi­scono per me sono discreti. Le assicuro di aver stu­diato molto attentamente la questione, signor Hanray. Io combatto pel buon nome del mio figliolo. Ho due alternative: o mi sottometto passivamente alla sua. decisione di espellerlo o la combatto con tutte le armi che possono capitarmi sottomano. Preferisco combattere.

Hanray                          - La sua linea di condotta mi sbalor­disce, signor Holt. E ne sono anche profondamente indignato. Io sarei inferiore al mio compito se mi permettessi di cedere alle assurde minacce che lei mi fa. (Il telefono suona) Mi scusi. (Al telefono) Sì, buon giorno, Arbuthnot. Non credo sia il momento adatto per questo. Può dirmi all'incirca di che cosa si tratta? L'azione è già in corso? Ma non capisco. Non devono notificarlo? Ho capito. No, certo, non me l'aspettavo. Senta, ho una persona da me. La. richiamerò più tardi. (Riaggancia il ricevitore) Non posso credere che una cosa simile accada così, a»; un tratto. Lei ha iniziato un'azione giudiziaria! Non capisco.

Arnoldo                        - È facilissimo da capire, Hanray. Lei si avvia verso la bancarotta. Sapevo bene che lei avrebbe assunto questo atteggiamento. Era uni ottimo collegio, questo. Farò di tutto perché le sia, possibile non interrompere l'anno scolastico. E così facendo le ricambierò una cortesia, chissà che un. giorno, quando lo scandalo sarà dimenticato, non le concederanno di tornare qui; naturalmente, dopo il suo rilascio. E tornerà qui non come rettore, ma come insegnante. Sarà un po' anziano, come inse­gnante, anzi, come insegnante supplente, ma suppongo che le farà piacere lo stesso. Non sarà proprio l'età matura che aveva sognato per sé, ma questa non è nemmeno la giovinezza che io avevo sognato per Edoardo. Come si dice? L'uomo propone...

Haneat                          - Non credo. Non posso credere che un uomo possa distruggere la vita di un altr'uomo, la sua carriera, un'intera tradizione, con la calma di chi... Nessuno è più sicuro al giorno d'oggi. Nessuna base, nessun principio, nessuna legge hanno valore ormai. Se fosse vero, sarebbe la fine di tutto.

Arnoldo                        - Arrivederci, signor Hanray.

Haneat                          - Signor Holt, la prego, aspetti un momento.

Arnoldo                        - (torna) Che cosa vuole!

Haneat                          - Ha vinto.

Arnoldo                        - Non è questione di vittoria o di disfatta, Hanray. Abbiamo semplicemente studiato insieme la soluzione. È dunque inteso che Edoardo rimarrà qui, che lei e i suoi insegnanti rinnoveranno ogni possibile sforzo per domare la sua esuberanza e farne un onesto e leale cittadino.

Haneat                          - Se lei parla così, vuol dire che ritiene -che noi non si sia fatto tutto quanto potevamo fare. Scoraggiarsi è umano.

Abnoldo                        - Lo capisco molto bene. E adesso parliamo delle cambiali. Io credo che le convenga pagarle.

Haneat                          - Ma... io credevo che lei non pretendesse un pagamento immediato.

Arnoldo                        - Sì e no, Hanray. Io credo non le convenga di trovarsi mai più nella posizione in cui si è trovato stamani. Io, quindi, propongo di firmarle un assegno di 27 mila sterline affinché le sia possibile risolvere la questione una volta per tutte. (Si siede al posto di Hanray) Le dispiace che mi sieda al suo posto? È il dodici, vero, oggi?

Haneat                          - Non capisco bene. Lei mi propone una nuova soluzione?

Arnoldo                        - Questo è un regalo, signor Hanray. Un regalo senza condizioni. Un regalo al quale la prego di non alludere mai più.

Haneat                          - Sono sopraffatto dalla sua generosità, ma non posso accettarla.

Arnoldo                        - Ma no, signor Hanray, non sarebbe gentile. E poi, lei deve accettare pel bene del suo collegio. Lei sa che lo abbiamo molto a cuore tutti e due.

Haneat                          - Lei è un essere straordinario!

Arnoldo                        - Sono molto pratico, signor Hanray. (Gli porge un assegno) La prego, non mi ringrazi. Questa è veramente la stanza più bella del collegio. Le dispiace se la faccio copiare?

Haneat                          - Copiare?

Arnoldo                        - Mi trasferisco in un nuovo palazzo di uffici, in cui potrò avere tutte le mie società rac­colte sotto un solo tetto, e questa è proprio la stanza che vorrei per me. Anche questa poltrona e questa scrivania mi piacciono; non le vende, vero?

Haneat                          - Io spero che in questa occasione lei la vorrà accettare come regalo, regalo senza condizioni.

 Arnoldo                       - Non posso accettarle...

Haneat                          - La prego, non mi ringrazi. Rimane a colazione con noi, vero?

Elleebt                           - (entrando) Non trovo il vecchio... Oh, scusi.

Arnoldo                        - Prego, Ellerby. Volevo chiederle una informazione.

Elleebt                           - Ah, davvero? Beh, allora, se per­mette, le dico che, secondo me, suo figlio starebbe assai meglio in un altro collegio, signore.

Haneat                          - Ellerby, nel dubbio... si astenga.

Arnoldo                        - Io, invece, le volevo fare una domanda molto più intima: soffre di reumatismi, lei?

Elleebt                           - Sì, veramente. Perché? Lei conosce una buona cura?

Arnoldo                        - Vada da Barkley Suffold. Dica che è amico di mio figlio. Non la farà pagare.

Elleebt                           - Grazie. Ma ho il mio medico curante.

Arnoldo                        - E ha anche i suoi reumatismi.

Haneat                          - Ellerby, il signor Holt rimane a cola­zione con noi. Credo che abbia appena il tempo di vedere il nostro laboratorio di fisica. Ellerby le farà da guida. Ellerby, prima faccia venire il giovane Holt da me. (Arnoldo esce con Ellerby. Hanray rac­coglie il bastone di Arnoldo e lo sventola in aria. Si infila i guanti di Arnoldo. Si bussa alla porta) Avanti. (Col bastone colpisce il sipario).

QUADRO SECONDO

Il sipario si apre sull'ufficio di Arnoldo, cinque anni dopo. Siamo all'inizio del 193&. L'ambiente è, naturalmente, uguale a quello dello studio del rettore di Qraingerry, ma il fondale esterno, oltre la grande vetrata, deve indicare al pubblico che siamo adesso in piena Londra.

            - (Sono in scena Adelina Perry, segretaria personale di Arnoldo, ed Evelina).

Adelina                         - (al telefono) Purtroppo non saprei dove poter trovare lord Holt. Dovrebbe già essere tornato in ufficio. Appena viene, gli dirò di telefonarle al tesoro? Sissignore. (Ad Evelina che, vestita da viaggio, sta riempiendo il suo portasigarette) Porse è andato alla stazione per salutare lei, signora.

Evelina                          - Non credo. Odia stazioni e partenze.

Adelina                         - È vero. Non ci pensavo.

Evelina                          - Non ha importanza. Gli telefonerò stasera da Parigi.

Adelina                         - È un peccato che lord Holt non possa partire con loro.

Evelina                          - Sì, gli farebbe bene un po' di vacanza. Mio figlio si era offerto di rinunziare al viaggio, ma, al solito, mio marito non ha nemmeno voluto sentir parlare. Sa che Edoardo ha tanta passione per gli sports invernali. Quest'anno concorrerà perfino alla coppa giovanile di sci.

Adelina                         - Spero che vinca. (Squilla il telefono. Risponde) Pronto. Ah, un momento. (A Evelina) È venuto il dottor Parker. Lord Holt aveva preso appuntamento con lui per le quattro. È un po' in anticipo. Vuole che gli dica di venire ad aspettare qua? (Evelina fa cenno di sì. Al telefono) Sì, fatelo passare. Grazie.

Evelina                          - Quanto tempo ho prima di andare alla stazione?

Adelina                         - Un quarto d'ora circa. Ho spiegato a Groves quello che doveva fare del bagaglio, ma alla stazione ci sarà il signor Burton. A Parigi, poi, tro­verà, come sempre, il signor Latour.

Evelina                          - Caro monsieur Latour! Non so che cosa faremmo se non ci fosse lui! Del resto, a dir la verità, non so che cosa faremmo se non ci fosse lei...

Parker                            - (entra. Adelina esce) E velina, mia cara! Che bella sorpresa. Non speravo di trovarti ancora qui.

Evelina                          - Edoardo ed io siamo di partenza proprio adesso.

Parker                            - Già, Arnoldo mi ha detto che partite oggi.

Evelina                          - Avrebbe dovuto esser qui, ma non capisco che cosa gli sia accaduto.

Parker                            - Sarà qui fra poco, sta tranquilla. Ob, come sei bella!

Evelina                          - Io? Enzo, ho un conto da saldare con te... Perché non ti fai più vivo?

Parker                            - Lo farei tanto, ma sai com'è, tu sei sempre impegnata e, a modo mio, lo sono sempre anch'io.

Evelina                          - Perché non sei venuto a festeggiare i sedici anni di Edoardo? Non eri mai mancato al suo compleanno.

Parker                            - Te l'ho scritto: mi son dovuto trat­tenere in clinica.

Evelina                          - Tutta la sera?

Parker                            - Tutta la sera.

Evelina                          - Max ti ha veduto a pranzo, solo, da Kattner.

Parker                            - Davvero? Davvero... Sei sicura che non sia stata un'altra sera?

Evelina                          - O che non fosse un altro medico?

Parker                            - Bisogna pur mangiare. Scusami.

Evelina                          - Prego, figurati! Temevo soltanto che tu fossi in collera con noi.

Parker                            - No, no, ti pare! Son diventato un po' orso, e quella sera ero molto stanco.

Evelina                          - Edoardo è rimasto male. Arnoldo lo aveva lasciato uscire dal collegio proprio perché sapeva che venivi anche tu.

Parker                            - Come sta Edoardo?

Evelina                          - Oh, è molto cresciuto; si fa la barba ogni due giorni. Pare che l'anno venturo diventi capitano della squadra di cricket. Peccato che Ar­noldo lo vizi sempre tanto. Alle volte ho paura che perda il valore della realtà.

Parker                            - Non ti preoccupare, è un ragazzo fortunato.

Evelina                          - E invece mi preoccupo molto, Renzo. Moltissimo. È un pezzo cbe volevo parlare con te, per questo aspettavo che tu ti facessi vivo; ci son molte cose che non mi piacciono in Edoardo e biso­gnerebbe metterle a posto adesso, finché è ragazzo, o per lo meno tanto giovane da lasciarsi correggere.

Parker                            - Che genere di cose?

Evelina                          - Oh, suppongo saranno cose comuni a tutti i ragazzi della sua età. Prima di tutto, in fatto, di danaro non è sempre corretto come dovrebbe essere. Inoltre, sarà una sciocchezza, ma Arnoldo, la sera, gli dà spesso un bicchierino di Porto, e lui... non sempre si ferma a un bicchierino solo. Non dico che si ubriachi, certo, ma mi sembra che gli piaccia un po' troppo; dopo tutto, ha appena sedici anni. Forse esagero, ma io vorrei che fosse...

Parker                            - Colpa di Arnoldo.

Evelina                          - Allora credi che dipenda proprio da lui?

Parker                            - In parte, sì.

Evelina                          - A te Arnoldo non piace più, vero?

Parker                            - Arnoldo mi piacerà sempre, « qual­siasi » cosa faccia. Io mi considero suo amico, e mi considero tale da sedici anni; adesso penso che sia diventata un'abitudine. Però non approvo molte cose che fa. L'ultimo incidente con Harry Soames, per esempio.

Evelina                          - Non è stata colpa di Arnoldo.

Parker                            - Io non difendo Soames ma è stato socio di Arnoldo molto tempo fa, a Brighton, quando avevano il negozio insieme, e lo è stato fino a sei mesi prima dell'incendio. Non c'è dubbio, Arnoldo avrebbe potuto salvarlo, se avesse voluto. Invece, ha fatto l'opposto. Molti dicono che Arnoldo doveva andare in galera al posto di Soames.

Evelina                          - Sono invidiosi.

Parker                            - Forse c'è qualche cosa di più della invidia. L'etica degli affari è in decadenza, da qual­che anno. Arnoldo si pavoneggia un po' troppo, vuole emergere sugli affari. Capisco che ne ha pieno diritto, ma alla fine potrebbe anche bruciacchiarsi le ali.

Evelina                          - Tutto quello che fa è per me e per Edoardo.

Parker                            - Lo so È stata la sua condanna e la sua salvezza. Ha fatto sempre tutto per il bene tuo e di Edoardo. Ha confuso spesso il sacro col profano, non credi?

Evelina                          - Non bai il diritto di dire certe cose.

Parker                            - Io so soltanto che sono un povero sciocco d'un medico, innamorato della moglie del suo miglior cliente.

Evelina                          - Sarà meglio che vada alla stazione. Edoardo si domanderà dove sono andata a finire. (Si avvia).

Parker                            - (seguendola fin sulla porta) Lo sapevi, vero?

Evelina                          - Sì, Renzo, lo so da molto tempo. Che cosa dovrei fare?

Parker                            - Per me?

Evelina                          - No, per Edoardo. Vuoi parlare tu con Arnoldo? Dà ancora retta ai tuoi consigli.

Parker                            - Sì, gli parlerò, ma non credo che giovi gran che.

Arnoldo                        - (entrando) Ciao, Renzo. Evelina, mia cara, scusami tanto. Non mi è proprio riuscito di arrivare qui prima di adesso. Sono stato bloccato al Ministero per più di un'ora. Questi maledetti politicanti... Dimmi, ti manca niente? Biglietti, passaporti, denaro?

Evelina                          - No, Arnoldo, grazie. Groves sa che cosa deve fare del bagaglio e Burton verrà al treno. Monsieur Latour ci verrà incontro a Parigi e quando arriveremo a Zurigo, ci sarà la banda alla stazione.

Arnoldo                        - Va bene, cara?

Evelina                          - Sì, ma un giorno mi piacerebbe poter andare in vacanza come ci vanno gli altri.

Arnoldo                        - Semplicemente. Viaggiamo pure semplicemente, ma non capisco perché non si dovrebbe viaggiare comodamente. Non ti pare, Renzo?

Parker                            - Io non ci metto bocca. Il solo viaggio che faccia è quello del sabato per andare all'isola di Wight.

Arnoldo                        - Chi altro conoscevamo che andava il sabato all'isola di Wight?

Evelina                          - Soames.

Parker                            - Ci va ancora... ma legato!

Arnoldo                        - Poveretto! Vorrei tanto essere con voi.

Evelina                          - Ma perché non vieni?

Arnoldo                        - Tesoro, come vuoi che parta adesso? Bisogna che rimanga qui almeno tutta la settimana ventura. Poi, proverò a liberarmi, te lo prometto.

Evelina                          - Addio, Renzo... Bisogna che vada, se no perdo il treno. Addio, Arnoldo. Non accompa­gnarmi fin giù.

Arnoldo                        - Fammi un telegramma quando Edoardo vince la coppa.

Evelina                          - Certo. (Esce).

Arnoldo                        - Vorrei che E velina capisse che il danaro bisogna guadagnarselo.

Parker                            - Ma Evelina non capisce perché tu debba guadagnare tanto più di quello che effetti­vamente vi occorre. Beh, mi hai chiamato...

Arnoldo                        - Sì. Ma non c'è niente di speciale. Ho soltanto pensato che avresti voluto controllarmi cuore e pressione.

Parker                            - Vuoi?

Arnoldo                        - Beh, « preferirei » di sì. Un momento... Scusa, Renzo, devo ricevere un attimo.

Parker                            - Dove pranzi stasera? Stabilisco io. Pranzi con me al circolo. Alle otto e mezzo. Non venire in ritardo. Devo parlarti di una cosa. Addio Arnoldo. (Esce).

Arnoldo                        - Addio, Parker. (Ad Adelina che sta entrando) Soames è stato rilasciato? O è scappato?

Adelina                         - È stato rilasciato stamattina. C'era anche nel giornale.

Arnoldo                        - Non ha perso tempo, eh? Penso sarà meglio farlo passare. Mi lasci solo un attimo.

Adelina                         - Il signor Soames. (Fa passare ed aspetta. Harry Soames è molto invecchiato).

Arnoldo                        - Oh, Harry, vieni... Mi fa piacere rivederti.

Soames                          - Davvero?

Arnoldo                        - Certo... E stai bene. Adelina, la prego, non voglio essere disturbato almeno per cinque minuti. Siediti, Harry. (Evelina esce).

Soames                          - Grazie... So che adesso Burton lavora con te.

Arnoldo                        - Sì. Ho pensato che avrei fatto bene a prendermelo vicino, nel tuo interesse, ma se vuoi che torni con te, non hai che da dirmelo.

Soames                          - È il tuo segretario personale?

Arnoldo                        - No. Ho sempre la signorina Adele.

 Soames                         - Credo sia meglio. Burton mi ha venduto. È una spia.

Arnoldo                        - Scusa, Harry, devi avere molto giu­dizio. A parlare così non concludi nulla... e poi, non è vero.

Soames                          - Come fai a saperlo?

Arnoldo                        - È un brav'uomo.

Soames                          - Mi ha venduto, e chi mi ha comprato da lui, ha comprato anche la polizia... ancora 24 ore e sarei stato salvo. Adesso vorrei sapere chi lo ha pagato, ecco tutto.

Arnoldo                        - Perché vuoi che lo abbiano pagato?

Soames                          - Non credi che io abbia dei nemici? Forse hai ragione. Forse è stato uno dei miei amici. Beh, non ho le prove e così dimentichiamo tutto. Va bene?

Arnoldo                        - Credo che convenga dimenticare tutto, Harry... tutto.

Soames                          - Forse.

Arnoldo                        - Come stanno i tuoi?

Soames                          - Tutto bene, spero. Mabel si è impie­gata in una confetteria e Arturo fa il soldato. Se la cavano discretamente: in due mettono insieme due sterline la settimana.

Arnoldo                        - Ho scritto a Mabel offrendole tutto l'aiuto che potesse occorrerle. Non mi ha mai, risposto.

Soames                          - Sì, lo so. Sei stato molto gentile. Ma penso che sia più orgogliosa di Fiona, la più piccola, rammenti?

Arnoldo                        - Sì.

Soames                          - Ha vinto una borsa di studio alla Università.

Arnoldo                        - Oh, che brava!

Soames                          - Non poteva pagarsi gli studi e adesso fa la commessa. Oh, come vorrei rivederli!

Arnoldo                        - Beh, li rivedrai presto.

Soames                          - No, non credo che li vedrò per qualche tempo. Prima, Arnoldo, bisogna che metta a posto alcune cose. Temo di aver dato loro già troppi dispiaceri.

Arnoldo                        - Ma no, Harry, non devi dir questo. (Squilla il telefono) Pronto. Sì, me lo passi. (A Soames) Scusami. (Al telefono) Pronto, Edoardo? Dove sei? Alla stazione? E la mamma c'è? Come? Ma hai avuto cinquanta sterline. Non bastano? Sì, ho capito, ma la mamma che cosa dirà? Va bene. Divertiti. Ah, scusa, già che sei in Svizzera potresti andare a tro­vare Schmitt. Ti ricordi di lui? Sarebbe una cosa carina da fare. Oh, Edoardo, dà un bacio alla mamma per me. Ah, sì, l'ho dimenticato... Beh, se l'è dimenti­cato anche lei! Allora arrivederci. (Riaggancia) Sarà un uomo d'affari di prim'ordine, quando sarà grande... Le studia tutte, è un demonio... (A Soames) Di che cosa parlavamo?

Soames                          - Dei nostri figlioli.

Arnoldo                        - Sì. Beh, senti, se eredi che io possa essere d'aiuto ai tuoi figli, non hai che da dirmelo.

Soames                          - Grazie, me ne rammenterò.

Arnoldo                        - E adesso ancora una domanda: che cosa possiamo fare per te? Un momento... (Apre il dittafono) Signorina, mandi a mio figlio cinquanta sterline per vaglia telegrafico, fermo posta a St. Moritz. (A Soames) Hai progetti?

Soames                          - No, non molti. Adesso non ne faccio quasi mai. Ne ho fatti troppi. Invecchio, suppongo.

Arnoldo                        - Che sciocchezze!

Soames                          - Forse sono un po' scoraggiato. Bada, non parlo del processo e della sentenza. Credo siano stati equi. La cosa che mi avvilisce è sapere che per due volte nella vita ho creduto di salvarmi, sicuro che non sarei caduto in trappola. Attorno a me vedevo altre persone fare quello che facevo io; e se la sono cavata tutti. Perché non dovevo cavarmela come loro? Io conosco uomini, e li conosci anche tu, lontani meno di cento metri da questa scrivania, che sono più farabutti di quanto io lo sia stato mai, che agiscono in continuazione senza alcun rispetto della legge. Anzi, peggio: girano attorno alla legge, ci passano sotto e poi la scavalcano, e che cosa accade a questa gente? Niente, niente. Ecco il mio tormento. È un'ingiustizia maledetta. Io ho soltanto deside­rato quello che desideravano loro, spesso molto meno di loro. Chiedevo soltanto di avere un po' di danaro per mia moglie e per i miei figli, una casetta tran­quilla e una vecchiaia rispettabile.

Arnoldo                        - Tu hai bisogno di lavorare, amico mio.

Soames                          - E che lavoro mi proponi?

Arnoldo                        - Beh, perché non inizi un piccolo commercio, magari in provincia? Un negozio di antiquario, una tabaccheria; son cose che ancora rendono un po' di danaro, a quel che si dice.

Soames                          - Chi lo dice?

Arnoldo                        - La gente... Perché?

Soames                          - Niente, niente. Mi secca vedermi preso in giro... A te nessuno ha mai detto cose del genere. E sai perché? Perché a «nessuno» hai mai fatto domande che non riguardassero esclusivamente te. A « me » dicono che tu dovresti acquistare questa o quella industria. A « me » dicono che tu dovresti vendere petrolio. A « te » dicono che il tabacco rende bene. Tutte bugie, amico mio.

Arnoldo                        - Ma, per carità di Dio, che cosa vuoi che faccia per te?

Soames                          - Già che insisti, te lo dico... Voglio riavere il mio vecchio posto nella società di Arnoldo Holt.

Arnoldo                        - Che cosa?

Soames                          - Non capisci, Arnoldo, che non ho altra possibilità di salvezza? Se mi devi qualche cosa, ricordati che questo è il solo modo col quale mi puoi ripagare. Mostra a tutti che hai fiducia in me, che desideri aprirmi un'altra strada.

Arnoldo                        - Certo, Harry, sono il primo a desi­derarlo, ma non so che cosa penseranno i miei soci. Ho dei doveri anche verso di loro, lo sai bene.

Soames                          - Certo, lo capisco. Non speravo che avresti accettato, ma valeva la pena di provare. Vedi, io sono disperato, tanto disperato che vengo a strisciarmi contro il grande Arnoldo Holt, il quale non ha esattamente la fama di aiutare i cani zoppi a saltare gli ostacoli.

Arnoldo                        - Non hai il diritto di parlare così... Ti ho detto che avrei fatto qualsiasi cosa, nei limiti della ragione, e la farò. Ma, francamente, io credo che tu commetta un errore a tentare un ritorno nello stesso ambiente... Vi sono molte strade aperte per un uomo della tua abilità.

Soames                          - Tu dimentichi che per la gente sono un « avanzo di galera ».

Arnoldo                        - Non lo dimentico; tu stesso dai troppe occasioni per ricordarlo. Potresti andar via, lontano, cambiar nome, se fosse necessario.

Soames                          - Certo, potrei chiamarmi Phelps, come si chiama mia moglie, adesso: Mabel Phelps, è a questo nome che le debbo indirizzare le mie lettere.

Arnoldo                        - Scusa, Harry, questa autocompas­sione non ti giova, né ti giova ragionare come ragioni. Sarà meglio che tu lasci passare qualche giorno. Perché non te ne vai, e rifletti su tutto quanto mi hai detto? E non vieni a colazione da me la setti­mana ventura?

Soames                          - Va bene. Quando?

Arnoldo                        - Beh, ecco, aspetta. La signorina Adele ha il mio taccuino, sarà meglio chiederlo a lei. Sai cosa devi fare? Mi devi telefonare domani mattina, così fissiamo il giorno. Ti dispiace? A pro­posito, hai bisogno di danaro?

Soames                          - Non ho bisogno di nulla, grazie. Ho tutto. Ti telefonerò certamente, ma se per una qual­siasi ragione fossi troppo occupato per vedermi, lascia una commissione per me alla grande Adele. Io capirò, e intanto puoi riporre quel righello. Sono anni che non tiri una riga diritta. (Esce. Adelina entra con delle lettere e le posa sulla scrivania).

Arnoldo                        - (stende una mano per prendere la penna. Ha il pensiero mille miglia lontano. A sé stesso) Che strano modo di esprimersi!

Adelina                         - Diceva a me, lord Holt?

Arnoldo                        - No. No. Poveretto. Bisogna far tutto quello che possiamo per lui, signorina Adele. Le dispiace, intanto, di prepararmi un buon wisky e soda? Ne abbiamo ancora? (Si mette a leggere le lettere) Non occorre rispondere stasera. Son tutte pratiche che possono aspettare fino a domani, vero?

Adelina                         - Sì, lord Holt. Ho spedito i telegrammi. (Posa il wisky sulla scrivania).

Arnoldo                        - Ne vuole uno?

Adelina                         - Chi? Io?

Arnoldo                        - Sì. Non si meravigli tanto. Perché no? Non beve mai?

Adelina                         - Sì, bevo. Qualche volta. Ma non adesso; ad ogni modo grazie. (Si avvia verso la porta).

Arnoldo                        - (trattenendola) Ha tanta fretta di andarsene?

Adelina                         - No, tutt'altro.

Arnoldo                        - Vuol sedersi? (Adelina si siede. Prende la matita in mano) No, non è per dettare. Volevo soltanto discorrere. Quanto tempo è che lavoriamo insieme?

Adelina                         - Quasi due anni.

Arnoldo                        - È contenta?

Adelina                         - Sì, contentissima.

Arnoldo                        - Brava. E quali sono le sue aspirazioni?

Adelina                         - Strano a dirsi, in questo momento sono quelle della ditta Arnoldo Holt & C.

Arnoldo                        - (lusingato) Davvero?

Adelina                         - Sì, ma talvolta mi domando quanto tempo durerà così. Mi piace sempre indagare sulle cose che vedo.

Arnoldo                        - E ha potuto indagare anche su me!

Adelina                         - Credo di sì.

Arnoldo                        - E che cosa ha scoperto, per esempio?

Adelina                         - Considero tutte le informazioni sul suo conto strettamente riservate.

Arnoldo                        - Lei è molto leale. Che cosa fa, la sera!

Adelina                         - Vado a casa.

Arnoldo                        - Dove?

Adelina                         - A Ialington.

Arnoldo                        - Davvero? A Ialington!

Adelina                         - C'è stato mai?

Arnoldo                        - No.

Adelina                         - La sorprende?

Arnoldo                        - No, veramente.

Adelina                         - Che cosa supponeva facessi? Credeva che mi riponessi in un sacchetto di tela cerata nera come una macchina da scrivere?

Arnoldo                        - Suppongo di sì. Vive con la sua famiglia?

Adelina                         - No, da sola.

Arnoldo                        - Le sono molto riconoscente, creda.

Adelina                         - Perché?

Arnoldo                        - Perché lei è un'ottima segretaria.

Adelina                         - Grazie.

Arnoldo                        - Vuol pranzare con me stasera?

Adelina                         - Come premio, lord Holt?

Arnoldo                        - No, signorina Adele, non come pre­mio: perché mi fa piacere.

Adelina                         - E il dottor Parker?

Arnoldo                        - Gli telefoni e gli dica che sono raf­freddato. No, non si può far così. Gli dica che non faccio in tempo.

Adelina                         - Ma aveva detto di doverle parlare di una cosa molto importante.

Arnoldo                        - Non credo sia tanto importante. Non vuol venire?

Adelina                         - Sì, certo. Le dispiace se vado a casa a cambiarmi?

Arnoldo                        - Tutt'altro. Alle otto la vengo a prendere.

Adelina                         - Alle otto e mezzo. (Scrive un bigliet-tino e glielo porge).

Arnoldo                        - Che cos'è?

Adelina                         - Il mio indirizzo. (Esce).

Arnoldo                        - Era il suo indirizzo... (Il sipario cala dietro le spalle di Arnoldo che, al proscenio continua la sua battuta) Dunque, signori e signore, è cominciato così; non è un inizio molto originale per una storia d'amore, e temo che il finale non sia più originale dell'inizio. Ma era una storia d'amore illecita, spesso senza soddisfazione. Vi sono stati, è vero, momenti in cui, insieme, abbiamo creduto d'aver raggiunto le stelle. È l'assurda, ridicola, stupida avventura dell'uomo maturo. Tutti voi, naturalmente, quelli maturi una volta o l'altra, vi sarete trovati sul punto di fare la stessa sciocchezza. Lasciate che mi ralle­gri con coloro che si sono ritirati in tempo. Ognuno ha risparmiato a sé stesso molti dispiaceri, e forse peggio. Io adesso, a questo punto, volevo dirvi una cosa: non mi scuso in anticipo per la scena che vedrete, ce l'ho messa perché voglio che la consideriate una parte della intera vicenda, ma dovete credere che non tengo a farmi passare per una specie di brizzolato dongiovanni. Anche la vestaglia che portavo in quei giorni, mi è parsa, rivedendola adesso tra gli altri miei indumenti, leggermente ridicola. Beh, giudiche­rete voi... (Si allontana).

QUADRO TERZO

Siamo all'inizio del 1936, nell'appartamento di Adelina Perry a Ialington.

 (Quando si alza il sipario, Adelina entra in scena dalla stanza da letto. Ha la vestaglia sopra alla sotto­veste. Va alla tavola che è apparecchiata per la cena, bada che nulla manchi. Attraversa, mette un disco sul grammofono, apre la bottiglia di champagne, ne versa un bicchiere, si siede, comincia a mangiare).

Arnoldo                        - (viene dalla stessa parte. Ha la vestaglia, ma sotto è interamente vestito) Buon giorno, amor mio. (La bacia con indifferenza).

Adelina                         - Buon giorno. Hai dormito bene?

Arnoldo                        - Non troppo, credo, e tu?

Adelina                         - No, ero inquieta. Temo che questo champagne sia troppo caldo.

Arnoldo                        - Beh, accontentiamoci, e prendiamo il bello dove lo troviamo. E questo che cosa sarebbe?

Adelina                         - Dovresti saperlo. Lo hai comprato tu... Credo sia una specie di aragosta.

Arnoldo                        - Molto difficile a digerire. (Assaggia lo champagne) Non c'è ghiaccio?

Adelina                         - No, si è sciolto molte ore fa. Sai che ore sono?

Arnoldo                        - Non guardo mai l'orologio quando sono con te. Mi piace avere l'illusione di essere soli... nello spazio.

Adelina                         - Bugiardo... non conosco nessuno che guardi l'orologio più spesso di te.

Arnoldo                        - Io guardo l'orologio ma non lo vedo.

Adelina                         - Beh, te lo dico io: sono le tre.

Arnoldo                        - Oh... oh... questa sera lo spettacolo è stato lungo, vero? T'è piaciuto?

Adelina                         - Non me ne ricordo.

Arnoldo                        - Beh, veniamo a noi! Un anno fa, oggi...

Adelina                         - Alla nostra salute!

Arnoldo                        - In te mi piace... che qualunque cosa accada... non fai mai storie. Sei la sola donna, fra tutte quelle che ho conosciute, a essere sempre uguale.

Adelina                         - E credi che sia una virtù?

Arnoldo                        - Non ne dubito.

Adelina                         - Come fai ad esserne così sicuro?

Arnoldo                        - Perché è ovvio. Comunque, mi piace.

Adelina                         - Questo è un altro discorso. Ti piace perché ti fa comodo. Io non domando che cosa fai e dove vai, io accetto le cose come sono; ma spesso, Arnoldo, non dovrei accettarle. Non ti fa bene agire sempre a modo tuo, lo so, ma non ti contraddico mai perché ti amo. Io sono innamorata di te per quello che sei, e non per quello che potresti e dovresti essere... Faccio da «palo» a un gangster, Arnoldo.

 Arnoldo                       - Grazie, grazie... Beviamo alla nostra nuova impresa. E che tu non debba mai essere diversa da quella che sei. L'importante è essere felice. Tu sei felice, vero?

Adelina                         - Sì, sono felice.

Arnoldo                        - Anch'io... più felice di quanto sia stato da molti anni, e più giovane. Non mi credi più giovane?

Adelina                         - Sì, molto più giovane.

Abnoldo                        - Tu non fai mai complimenti e anche questo mi piace. Saresti contenta di avere un filo di perle?

Adelina                         - Contentissima.

Arnoldo                        - Beh, questo mi sembra il momento migliore per offrirtene uno. Non guardarmi stupita. (Tira fuori di tasca un astuccio) Vuoi? (Fa Vatto di passarle le perle al collo).

Adelina                         - No.

Arnoldo                        - Sì.

Adelina                         - Che cosa vuoi che ne faccio, io, di un filo di perle.

Arnoldo                        - Puoi fingere che siano false... (si ferma e le accarezza il collo) esattamente come cre­deranno coloro che te le vedranno addosso.

Adelina                         - Che cosa fai?

Arnoldo                        - Niente. Non riuscivo a far funzionare la chiusura. (Le mette il filo di perle al collo).

Adelina                         - Sono stupende, credo di non aver mai veduto da vicino delle perle così belle. E vero che si sciolgono nell'aceto?

Arnoldo                        - Se hai l'aceto è il momento buono per fare la prova.

Adelina                         - Non ne ho. Grazie. Ma non avresti dovuto far questo.

Arnoldo                        - È un onore che tu abbia accettato il mio dono. Vuoi credermi se ti dico che qualsiasi cosa io ti abbia donato o potrò mai donarti non mi lascerà mai in credito?

Adelina                         - Tesoro, ti amo. Siamo molto roman­tici, stasera.

Arnoldo                        - Sarà colpa dello champagne caldo. Ne vuoi ancora?

Adelina                         - Sì, grazie. (Ha tirato le tende) Che cosa faresti se qualcuno ci scoprisse?

Arnoldo                        - Non me ne importerebbe nulla. Porse già molta gente ci ha scoperti. Perché? Che cosa abbiamo da vergognarci?

Adelina                         - Da vergognarci? Niente.

Arnoldo                        - Ci sono molte cose nella vita che non vorrei aver fatte... ma sarò sempre felice di averti amata.

Adelina                         - Non sei molto pratico, Arnoldo. Sup­poni che tua moglie sappia di me. Che cosa farebbe?

Arnoldo                        - Non ne ho la più pallida idea.

Adelina                         - Credi che divorzierebbe?

Arnoldo                        - Per carità, nemmeno per sogno!

Adelina                         - Come fai ad esserne tanto sicuro?

Arnoldo                        - Prima di tutto c'è Edoardo.

Adelina                         - Ma Edoardo ha diciassette anni.

Arnoldo                        - E allora?

Adelina                         - Non credi che tua moglie lo ritenga tanto maturo da avere un'opinione propria?

Arnoldo                        - Non] credo che sarebbe simpatico chiedere l'opinione di un ragazzo di diciassette anni. Ha una vita felice e non vorrà mutarla.

Adelina                         - È lo stesso pensiero di tua moglie? Anche lei ha una vita felice?

Arnoldo                        - Credo di sì.

Adelina                         - (alzandosi e tornando alla finestra ai aggiustare le tende) Allora sei perfettamente al sicuro, vero, Arnoldo? In una botte di ferro.

Arnoldo                        - Che cosa c'è? Perché ti dai tanto da fare con le tende? Perché sei così irrequieta?

Adelina                         - C'è una persona che guarda questa finestra.

Arnoldo                        - Come?

Adelina                         - C'è una persona che sorveglia questa finestra, a meno che tu non abbia una guardia del corpo. È un uomo con l'impermeabile e il cappello a lobbia. È stato tutta la notte sotto quel lampione.

Arnoldo                        - Perché non me l'hai detto prima?

Adelina                         - Soltanto adesso mi sono resa conto che guardava qui. (Arnoldo si alza) Che cosa fai?

Arnoldo                        - Vado a vedere. Spegni la luce. (Ade­lina spegne. Arnoldo tira le tende e guarda fuori. Poi richiude le tende) Adesso puoi accendere. Lascia­molo stare. Certo, potrebbe anche guardare le finestre del piano di sotto.

Adelina                         - È un appartamento sfitto. Credi che sia un agente privato?

Arnoldo                        - Beh, non crederai che sia di pubblica sicurezza. Hai trasgredito la legge, tu?

Adelina                         - Io no. E tu?

Arnoldo                        - Non più del solito. Bisogna sapere che cosa vuole.

Adelina                         - Chi sa, forse è un giornalista.

Arnoldo                        - Un giornalista?

Adelina                         - Sì, il redattore di un giornale illustrato. Il titolo potrebbe essere bello: «Nido d'amore di un milionario ».

Arnoldo                        - Ma, mia cara, non dire sciocchezze. Sono anch'io proprietario di un giornale.

Adelina                         - Ragione di più: uno dei tuoi con­correnti...

Arnoldo                        - Non abbiamo l'abitudine di bombar­dare il quartier generale l'uno dell'altro.

Adelina                         - Beh, che cosa facciamo?

Arnoldo                        - L'istinto mi insegna che dovrei trovare il modo di andarmene alla chetichella. Hai un'uscita di sicurezza?

Adelina                         - No, c'è un ascensore di servizio.

Arnoldo                        - Davvero?

Adelina                         - Ma, purtroppo, serve soltanto per i pacchi. (Bidè) Piccoli pacchi.

Arnoldo                        - Che cosa c'è da ridere?

Adelina                         - Penso a te, chiuso in quel monta­carichi, come un fagotto, e consegnato a domicilio a uno dei miei vicini di casa.

Arnoldo                        - Bellissimo. Hai niente da suggerirmi?

Adelina                         - Io lo farei salire, così sapremo cosa vuole.

Arnoldo                        - Davvero?... Prendere il nemico alla sprovvista? Forse non è una cattiva idea. Fac­ciamo a testa e croce? Dico croce: ignorarlo. (Getta per aria una moneta) Che cos'è?

Adelina                         - Testa.

Arnoldo                        - Va "bene. Sia. (Va alla finestra, tira le tende, spalanca i vetri e chiama) Ehi, scusi, signore, signore sotto al lampione. Vuol salire? Numero 17. Questo è il portone. (Richiude la finestra) Viene. Sono un po' agitato.

Adelina                         - Anch'io. Non ti metti la giacca?

Arnoldo                        - E perché? Ormai il ghiaccio è rotto. Alla salute dell'ospite!

Adelina                         - Alla salute dell'ospite! (Bevono. Suona il campanello della porta).

Arnoldo                        - Vai tu ad aprire. Sei stata tu a volerlo far salire.

Adelina                         - Io non ci vado. Vacci tu. (Arnoldo va ad aprire la porta e torna immediatamente col signor Prothero) Avanti! Avanti!

Prothero                        - Buona sera, signori. Tempaccio, stasera.

Arnoldo                        - E adesso, signore, in che cosa pos­siamo servirla?

Prothero                        - Mi chiamo Proth, signore. Walter Proth. Buona sera, signorina Perry, se non sbaglio.

Adelina                         - Buona sera.

Prothero                        - È tutto molto carino, qui dentro. E molto intimo. Apprezzo la sua collaborazione, lord Holt; è stato molto gentile a pregarmi di salire. È un po' irregolare, certo, ma non credo che la nostra trasgressione sia grave. E poi, saremo guidati da quello che deciderà il signor Wilson.

Arnoldo                        - Chi è il signor Wilson?

Prothero                        - Il signor Wilson agisce in nome di lady Holt, a quanto mi consta. Lavoriamo molto per lui, noi. È una ditta molto seria, la nostra, e serviamo la migliore società. Lei sa che cosa intendo. Non ci occupiamo di cose volgari, noi non ci pos­siamo permettere di toccare argomenti tanto bassi. È per questo che apprezziamo molto i gesti gentili ed amichevoli come il suo. Non parlerò dello cham­pagne. Son cose che poi rischiano di finire sui gior­nali, capisce, e noi non serviremo mai la stampa, almeno finché ci è possibile, Alcuni particolari che oggi sono pubblicati, sono veramente poco gra­devoli. Certo, le cose peggiorano dopo una vera e propria azione legale. Ma spero che lei non avrà seccature di questo genere. Ecco, questo è il salotto, se non sbaglio, e di qua si passa nella stanza da letto. (Prende gli appunti su un taccuino).

Arnoldo                        - Ma che cosa fa?

Prothero                        - Prendo alcuni appunti. Soliti indizi, naturalmente. Desidera che visiti la camera da letto?

Arnoldo                        - (a un tratto) Vada fuori di qui! Ha capito? Fuori di qui!

Prothero                        - Oh sì, certo, stia tranquillo, lord Holt. Io sono soltanto venuto per compiere il mio dovere, ma non voglio abusare della sua ospitalità. Comunque, si ricordi che è stato lei a farmi salire. Suppongo che il signor Wilson si farà vivo tra un giorno o due. Buona sera, signore. Buona sera, signorina Perry. (Esce).

Arnoldo                        - Che brutta idea è stata!

Adelina                         - Scusami.

Arnoldo                        - Non capisco che intenzioni abbia.

Adelina                         - Non capisci, Arnoldo?

Arnoldo                        - Chiamami Whiteman al telefono.

 Adelina                        - Al telefono? A quest'ora?

Arnoldo                        - Sì, perché no? Conosci il suo numero di casa?

Adelina                         - Glielo trovo subito, lord Holt. (Guarda nell'elenco telefonico. Poi va all'apparecchio e forma un numero).

Arnoldo                        - No, faccio da me. Che numero è?

Adelina                         - Primrose 79-11.

Arnoldo                        - (stacca il ricevitore) Non posso cre­dere che abbia veramente intenzione di fare sul serio. Perché diavolo non me l'ha detto prima? Non è degno di lei... Suona. Ma... forse dorme.

Adelina                         - Sarebbe giusto.

Arnoldo                        - Ma perché non si mette un telefono vicino al... Pronto! Sei tu, Max? Bravo... Ascolta. È venuto un tale, ha preso alcuni appunti e se n'è andato... Prima di salire ha osservato a lungo le finestre... Le finestre della signorina Perry. Già, per l'appunto. Ho passato la serata a casa sua. Beh, sì, la nottata, se preferisci. Adesso non sei in tribunale, non cercare cavilli. No, certo, non era un ladro. No, degli appunti... degli appunti... scrivi... (A Adelina) Oh Dio, la mentalità legale alle quattro del mattino! (Al telefono) No, macché violazione di domicilio! L'ho invitato io. Volevo sapere che inten­zioni aveva... Sì, hai ragione, è vero. Ma non può iniziare una causa senza avvertirmi. Io credo che abbia perso la testa. È una prova? Sì, stavamo cenando. Oh... dì. No, non in flagrante. No, lo so, è stato prima. Sì, sì. Beh, senti, adesso non dormire... sta sveglio e pensaci. Arrivederci... (Riaggancia) Dice che dovrei andarmene subito da qui.

Adelina                         - Quella è la porta.

Arnoldo                        - Sai, se non fosse per Edoardo, le concederei questo lusso.

Adelina                         - Fai opposizione?

Arnoldo                        - Certo. Non voglio che mio figlio pensi... che io lo abbandono.

Adelina                         - E se perdi?

Arnoldo                        - Non perderò... la posta è troppo grande. Ma temo che per noi sia la fine, almeno per qualche tempo.

Adelina                         - Lo credo.

Arnoldo                        - È stato bello finché è durato, vero?

Adelina                         - Molto bello.

Arnoldo                        - E adesso sarà meglio che me ne vada. (Va in camera da letto. Parla in quinta) Domattina ti telefono, appena ho visto Witeman.

Adelina                         - Mi telefoni? (A un tratto capisce) Ah sì, certo, starò in casa.

Arnoldo                        - Io mi domando come farò ad andare avanti senza di te in ufficio. Oh Dio, in che pasticcio mi sono messo!

Adelina                         - Andrai avanti benissimo.

Arnoldo                        - Non preoccuparti per me, non mi butterò sotto un treno come ha fatto Soames.

Adelina                         - In questo caso ci manderesti me.

Arnoldo                        - (scandalizzato) Oh... Beh, forse me la son meritata.

Adelina                         - Scusa, non dovevo dir questo. Dove hai messo l'astuccio delle perle?

Arnoldo                        - Che cosa?

Adelina                         - L'astuccio, la scatola, quella delle perle...

Arnoldo                        - È li sopra. (Glielo indica. Si mette il pastrano).

Adelina                         - Ah sì, eccola. Che stupida! (Ci mette le perle dentro e gli porge l'astuccio).

Arnoldo                        - Perché!

Adelina                         - Sono sicura che Whiteman sarà dello stesso parere: semplifica la questione.

Arnoldo                        - Non cerchiamo di aiutare Whiteman si fa già pagare abbastanza bene. E poi, sono con­tento che tu possa goderle, se ti piacciono.

Adelina                         - Grazie.

Arnoldo                        - E adesso non so come salutarti.

Adelina                         - Davvero? Credi che Proth sia ancora giù? (Va alla finestra e guarda fuori) Sì, è ancora giù. Piove. Che strada malinconica! Però, se non sbaglio, ha vinto lui. Vogliamo fargli un applauso? (Apre improvvisamente la finestra e guarda giù) Un evviva al signor Prothero! Hip Hip Hurrà! (Chiude la finestra) Sai che si è levato il cappello? (Si volta. Arnoldo è sparito).

QUADRO QUARTO

Il giorno dopo. Una camera da letto ad Alassio, sulla riviera italiana.

Evelina                          - (è sola e parla al telefono) Edoardo?... Oh, mi scusi. Sì, il bagaglio è pronto, ma l'automo­bile deve aspettare. Mio figlio non è ancora tornato. Vuole informarsi lei, per favore? Grazie! Pronto. Sono lady Holt. Ma ha telefonato all'« Aperitivo »? Al «Grand Hotel»? Sì, sono sicura che lo troverà lì. Per favore, vuol provare anche al tennis?... Sì, lo so, ma qualche volta tengono aperto anche più tardi. Sapeva che saremmo dovuti partire alle 7 e mezzo. Temo sia accaduta una disgrazia... Sì, ap­punto... Grazie... (S’aggancia il ricevitore).

Arnoldo                        - (durante l'ultima parte della conversa­zione, non visto, era entrato nella stanza e adesso aspetta, calmo, nel vano della porta. Dai suoi abiti si capisce che ha viaggiato; essi sono, come tutto ciò che lo riguarda, leggermente troppo vistosi) Buona sera, mia cara.

Evelina                          - Arnoldo! Ma che cosa fai?

Arnoldo                        - Come vedi, sono riuscito a prendermi qualche giorno di vacanza. Niente di più naturale che io abbia deciso di trascorrerli con mia moglie e con mio figlio. Parti? Credevo che avessi fissato la camera qui per quindici giorni.

Evelina                          - Ho cambiato idea.

Arnoldo                        - Davvero? E dove credevi di andarti a nascondere?

Evelina                          - A nascondermi? Non dire sciocchezze! Perché volevi che mi nascondessi da te?

Arnoldo                        - No, credevo che fosse un consiglio del caro signor Wilson, il quale saprà che ho preso l'aeroplano a Croydon... Devo dire che è piuttosto soddisfacente sentirsi seguiti dovunque. Mi sento molto giovane e molto romantico, quasi un perso­naggio da romanzo.

Evelina                          - Non so di che cosa parli.

Arnoldo                        - Si vede che leggi pochi romanzi. Non ti preoccupare per Edoardo, credi a me, sta benone... È al cinematografo.

Evelina                          - Come lo sai?

Arnoldo                        - Sono stato io a consigliarlo di andarci. Gli ho parlato al telefono, stamane, dal Bourget. Gli ho detto che avevo intenzione di raggiungervi e che volevo farti un'improvvisata. Gli ho anche detto che per farti rimandare la partenza doveva scom­parire e gli ho promesso che non ti saresti arrabbiata per questo nostro piccolo scherzo.

Evelina                          - Sono arrabbiata, sì... ma non con Edoardo, con te. Trovo molto volgare tutto ciò che fai in questi ultimi tempi.

Arnoldo                        - Io, invece, trovo volgare far pedinare il proprio marito da un agente investigativo.

Evelina                          - Può darsi che per una volta, Arnoldo, io abbia deciso di combatterti con le stesse tue armi.

Arnoldo                        - Ma è inutile combattermi, sapendo che sono invincibile.

Evelina                          - Io non sarei così sicura se fossi in te, Arnoldo. Il signor Wilson è molto fiducioso.

Arnoldo                        - Il signor Wilson crede che la causa sia vinta in partenza, ma ha perfettamente torto. Io non ho alcuna intenzione di accordare il divorzio.

Evelina                          - E io sono felice di udirti dire questo.

Arnoldo                        - Perché?

Evelina                          - Perché spero che tu combatta e perda. Fa parte dei miei progetti per Edoardo.

Arnoldo                        - Dei tuoi progetti per Edoardo?

Evelina                          - Desidero si renda conto che, malgrado tutto il tuo danaro e tutto il tuo potere, ci sono alcune cose più forti di te.

Arnoldo                        - Perché vuoi divorziare?

Evelina                          - Perché ritengo sia il solo modo di far mettere giudizio a Edoardo.

Arnoldo                        - Non capisco di che cosa parli. Che cosa accade a Edoardo?

Evelina                          - Gli accadono molte cose, purtroppo, in questo momento, ma nessuna che tu possa capire.

Arnoldo                        - Potresti darmi qualche spiegazione.

Evelina                          - Va bene, ci proverò. Ieri sera, ad esempio, Edoardo si è ubriacato. Poi s'è sentito molto male. È stato villano con tutti, cameriere compreso. Stamattina gli ho fatto chiedere scusa. Ha regalato cinque sterline al cameriere. Ora tutto il personale dell'albergo lo chiama milord. Ha dicias­sette anni. Se andrà avanti così, che cosa sarà di lui quando ne avrà venti?

 Arnoldo                       - Sarà fallito, penso, povero diavolo. Perché gli hai permesso di ubriacarsi?

Evelina                          - È andato da solo al bar del Casinò. Mi aveva detto che andava a ballare. Mentisce con grande facilità in questi giorni.

Aknoldo                        - Porse non era una bugia. Forse è stata una ragazza a condurcelo. Molti giovani per­dono la testa all'età di Edoardo. Non c'è niente di male; dopo rimettono giudizio.

E velina                         - Ma Edoardo non ha intenzione di mettere giudizio. Prosegue sullo stesso binario. Gli piace. È come te: non vede il male.

Arnoldo                        - Non credo che questo sia un delitto.

Evelina                          - Lo so Arnoldo. È questo il nocciolo della questione. Per te è tutto un gioco. Quando ti prego di non dar più danaro a Edoardo, prometti e poi non mantieni la promessa. Io non vedo più le cose come le vedi tu. Mi sono improvvisamente svegliata e ho paura, ho paura per mio figlio. È per questo che lo porto via.

Arnoldo                        - E dove lo porti?

Evelina                          - Non lo so ancora, ma quando avrò ottenuto il divorzio da te, Arnoldo, condurrò Edoardo all'estero, lontano. Lo condurrò dove potrà imparare che cosa significa lavorare per vivere, e che cosa significa avere una responsabilità... Io stessa lavorerò perché ho intenzione di partire con pochissimo danaro.

Arnoldo                        - E sei convinta che Edoardo accet­terà il tuo fantastico progetto?

Evelina                          - Povero Edoardo, penso che sarà un colpo terribile per lui. Ma quando gli dirò che non voglio approfittare del danaro tuo, e che ho la cer­tezza che lui potrà provvedere alla mia esistenza, beh, credo che mi vorrà ancora bene e non man­cherà totalmente di coraggio e di orgoglio.

Arnoldo                        - Ma anche se ottieni il divorzio, non puoi uscire dall'Inghilterra senza il mio consenso.

Evelina                          - Wilson pensa che in certe circostanze il tribunale possa concedermi questo permesso...

Arnoldo                        - Ah sì, davvero!

Evelina                          - ...e se mi costringi a rimanere in Inghilterra, io posso sempre cambiar nome. Lo ha fatto la moglie di Soames.

Arnoldo                        - Perché mi odi tanto?

Evelina                          - Non ti odio affatto. Devi scusarmi. Non dovevo alludere alla moglie di quel disgraziato. Sono molto stanca. Ti dispiace se vado a letto?

Arnoldo                        - Avanti. Spogliati pure. Sono ancora tuo marito. Non siamo ancora divorziati.

Evelina                          - Quanto tempo hai detto ad Edoardo di trattenersi fuori?

Arnoldo                        - Quanto voleva. Mi premeva soltanto di poterti parlare da solo.

Evelina                          - Adesso che hai potuto farlo, spero che tu riparta.

Arnoldo                        - Non ancora. Non ti siedi? Evelina, non m'ero mai accorto di starti tanto a cuore. Cre­devo che questo lato del matrimonio non avesse importanza per te. Non ti chiedo scusa per quello che ho fatto... l'avrei fatto, penso, in qualsiasi cir­costanza. Non sapevo che, prendendo un'amante, ti avrei dato tanto dolore. Perdonami.

Evelina                          - Non hai capito niente di quello che ho detto, vero?

Arnoldo                        - Ho capito soltanto che tu ritieni di poter educare tuo figlio privandolo della sua famiglia.

Evelina                          - La sua famiglia? Quando mai ha avuto una famiglia, una casa, in questi ultimi anni? Quando mai ha avuto una casa diversa dal più bel negozio di giocattoli del mondo o della Banca d'Inghilterra? Il tutto presieduto da un magico padre che gli offriva la possibilità di realizzare qualsiasi desiderio prima ancora che lui stesso lo formulasse.

Arnoldo                        - Molte mogli sarebbero riconoscenti a un marito che tentasse di essere così.

Evelina                          - Può darsi. Ma io no. Ne ho abbastanza, Arnoldo. Ho veduto quel magico genitore quando non era in servizio. E penso sia ora che anche Edoardo lo veda così, è ora che cominci a conoscere suo padre, e tutto quello che costituisce la vita di suo padre.

Arnoldo                        - Non credi che sia un po' tardi per presentarmi? Credo che Edoardo sappia su me più di quanto tu supponga. È vero che non sa di Adele, ma sono preparatissimo a farglielo sapere, se credi sia necessario. E già che siamo tanto sinceri con lui, si potrebbe anche dirgli di Renzo.

Evelina                          - Che cosa vuoi dire?

Arnoldo                        - Renzo è innamorato di te. Credo che anche tu sia innamorata di lui. Credo che questa sia la ragione del divorzio che chiedi.

Evelina                          - Sei impazzito!

Arnoldo                        - Neghi che sia innamorato di te?

Evelina                          - Questo no... ma è assolutamente pazzesco.

Arnoldo                        - Davvero? Sarebbe una cosa molto grave per lui.

Evelina                          - Perché? Che cosa vuoi dire?

Arnoldo                        - Sei una sua cliente. Il consiglio dei medici ha leggi molto precise nei confronti dei medici che seducono le loro pazienti.

Evelina                          - Mi accusi di essere l'amante di Renzo?

Arnoldo                        - No... e spero di tutto cuore che tu non mi costringa a questo.

Evelina                          - Non hai la più piccola prova contro di me.

Arnoldo                        - No... non ancora. Ma tu dovresti sapere che cosa fa un istituto di investigazioni quando si mette in movimento. Questo sarà un affare molto poco pulito. Sei proprio sicura di voler proseguire? Renzo è stato molto buono con noi, molto buono con Edoardo. Comunque vadano le cose, non man­cherò di fargli molta pubblicità.

E velina                         - Sei ignobile, Arnoldo. Non credo di averti mai disprezzato tanto quanto ti disprezzo adesso.

Arnoldo                        - Non m'interessa più quello che pensi di me. Qualunque cosa accada, non dimenticherò mai che hai tentato di togliermi Edoardo. Ci sono forse alcune cose che tu non perdonerai a me: questa è una cosa che io non perdonerò mai a te. Ho sempre combattuto per Edoardo e sempre combatterò per lui. Se tu credi che io adesso ti permetta di pren­derlo, e di calunniarmi e di mettermelo contro, commetti l'errore più grave della tua vita. Questa è la ricompensa per quanto io ho tentato di fare per te... per una moglie che io ho sposata venti anni fa, e che ha aspettato al varcò il momento oppor­tuno per colpirmi ed uccidermi. Beh, non m'hai ucciso... avevi un'arma a doppio taglio, vero? E adesso ti domando: che altro farai?

Evelina                          - Non lo so. Ti prego, esci di qui.

Arnoldo                        - Non prima che tu m'abbia promesso di abbandonare l'impresa.

Evelina                          - Perché? (Squilla il telefono).

Arnoldo                        - Perché gli ostacoli da saltare sono un po' troppo alti per te. Tu non sei mai stata una buona giocatrice, vero? (Il telefono squilla di nuovo. Risponde) Pronto. Sì. Ah sì. Vogliono sapere se ti trattieni questa notte. Ti trattieni?

Evelina                          - Non toccarmi!

Arnoldo                        - Sì. Ci tratteniamo tutti e tre. Potete far portare qui la mia valigia. (Riaggancia il ricevitore) Edoardo è tornato. Sarà meglio che io vada da lui. Si è sentito poco bene in ascensore. (Evelina siede).

                                                                

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

L'ufficio di lord Holt, come nella prima scena dei-Tatto secondo: tre anni dopo, nel novembre del 1938.

Parker                            - Crede che ci sarà la guerra?

Burton                           - Lord Holt è molto ottimista.

Parker                            - Ottimista? Non è molto compromet­tente! Ma, insomma, secondo lui, la guerra ci sarà o no?

Burton                           - Scusi, forse la mia risposta non è stata molto chiara. Ma è ovvio; lord Holt spera che possa essere evitato un conflitto, anche al punto nel quale ci troviamo.

Parker                            - Chissà? Eppure molta gente pensa sia necessario combattere.

Burton                           - Son teste calde senza coscienza. Secondo lord Holt, la gente d'oggi, combattuta da uomini e da aeroplani, è ormai superata.

Parker                            - Davvero? Beh, potrebbe aver ragione lui.

Burton                           - Per solito ha ragione.

 Parker                           - Mi dica, da quanto tempo è segre­tario di lord Holt?

Burton                           - Suo segretario personale? Da tre anni. Perché me lo chiede?

Parker                            - Non ricordavo più. Ah sì, pensavo alla signorina Adele, che l'ha preceduta. Che ne è stato di lei?

Burton                           - Lavora ancora per noi, nella sede di Parigi.

Parker                            - Un buon posto?

Burton                           - Ottimo. È bravissima, come donna.

Evelina                          - (entra seguita da Phillis Maxwell, una bella ragazza ventenne) Renzo, mio caro, quel vecchio cretino di Summers mi ha detto soltanto adesso che sei qui. Perché non sei venuto di là, in salotto? Hai preso il tè?

Parker                            - Sì, grazie... Veramente aspettavo Arnoldo... m'ha detto lui di venire a quest'ora e credevo che, per una volta, sarebbe stato puntuale.

Evelina                          - È molto scortese con te... Non so come fai a sopportarlo.

Parker                            - Per abitudine... il potere dell'abitu­dine è straordinario.

Evelina                          - Eenzo, questa è Phillis Mawxell... Lorenzo Parker.

Parker                            - (stringe la mano a Phillis)   - Piacere.

Phillis                            - Oh, il dottor Parker!

Evelina                          - Già, avrei dovuto dire il dottor Parker... il nostro dottor Parker. Ha visto nascere Edoardo. (Sorride distratta; Burton esce).

Phillis                            - Ho udito molto parlare di lei.

Parker                            - E io ho letto molto su lei.

Phillis                            - Per lo più cose tremende, suppongo.

Parker                            - Tutt'altro. Per lo più, stavo per dire, cose lusinghiere; ma adesso che la vedo non ritengo più che fossero lusinghiere. Le sue fotografie non le rendono giustizia.

Phillis                            - Forse perché le ha viste riprodotte! Le fotografie riprodotte sono sempre brutte; non è vero?

Evelina                          - Bisogna farci l'abitudine quando si è... Phillis, non gli abbiamo ancora detto... (La prende per un braccio) Renzo, questa è la mia futura nuora.

Parker                            - Ma no? Rallegramenti. Spero che sarete entrambi molto felici.

Evelina                          - Di questo sono sicura, Renzo. Molto felici. Che meraviglia, vero?... Ma bada: è ancora un segreto per tutti. Nemmeno Arnoldo lo sa... crede che sia soltanto una speranza. (Summers entra con un vassoio e i liquori) Bisogna brindare all'avvenimento.

Parker                            - Certo. Da quanto tempo conosce Edoardo?

Phillis                            - Ci siamo conosciuti a caccia l'anno scorso. Siamo tutti e due appassionati cacciatori. Credo che avere gli stessi gusti significhi già aver vinto mezza battaglia, non è vero?

Parker                            - Non credo di aver molta esperienza, purtroppo.

Phillis                            - Odia le donne, dottor Parker, per caso?

Parker                            - No, tutt'altro... ma sono scapolo.

Eveljna                          - Oh, Phillis, che domanda!

Phillis                            - Io penso che sia meglio chiedere subito alle persone che cosa pensano, per non rischiare di annoiarle. Penso che annoiare il prossimo sia il peccato più grave. È per questo che amo Edoardo: non mi annoia mai.

Evelina                          - Speriamo che non ti annoi nemmeno in seguito.

Phillis                            - O che non lo annoi io. (Bevono).

Parker                            - Beh, non è un brindisi molto romantico.

Evelina                          - Adatto ai tempi e all'età.

Phillis                            - Scusatemi, devo correre a casa a cam­biarmi... non sarò mai pronta per le otto e mezzo.

Evelina                          - È quasi un pranzo di fidanzamento... vieni anche tu, Renzo?

Phillis                            - Oh sì, la prego, venga... Forse, se non c'era lei, non ci sarebbe stato neppure Edoardo. Oh, che brutto pensiero!

Parker                            - Credo che lei valuti un po' troppo la parte di noi medici in certe circostanze... Vorrei molto venire, ma temo di aver almeno altre sei visite da fare, quando esco da qui.

Phillis                            - Oh, come mi dispiace... Beh, arrivederci... Arrivederci, mamma... Spero che Edoardo non ci faccia aspettare.

Evelina                          - Addio, tesoro. Gli dirò che si spicci.

Phillis                            - Non sta bene papà Arnoldo?

Parker                            - Se capissi che cos'ha perderei il cliente. (Phillis esce).

Evelina                          - Beh, che cosa ne pensi?

Parker                            - Molto graziosa.

Evelina                          - È la ragazza che ci voleva per Edoardo... tutta buon senso, da capo a piedi. Mi piace perché è sincera, si sa sempre come la pensa... è un sollievo trovare una persona che non ha certe inibizioni.

Parker                            - Se tu dici che è la ragazza adatta per Edoardo, son sicuro che è così. Come s'è comportato in questi ultimi tempi, Edoardo?

Evelina                          - Durante il viaggio, vuoi dire? Benis­simo, credo. Arnoldo sembrava contento e non mi consta si sia messo in nuovi pasticci. Che cos'ha Arnoldo?

Parker                            - Non lo so.

Evelina                          - Ma è stato lui a chiederti di venire, vero? L'ho udito telefonare.

Parker                            - Si sarà ficcata una nuova pulce nell'orecchio e vorrà sentirsi dire che sta bene.

Evelina                          - Come mi trovi?

Parker                            - Bene... bene... Perché? Come ti senti?

Evelina                          - Io? Benissimo. (Si versa da bere) Quando Edoardo e Phillis si saranno sposati, farò una cura. Certe cose si curano, vero?

 Parker                           - Basta volerle curare.

Evelina                          - Ma la gente sa che bevo?

Parker                            - Tu non bevi.

Evelina                          - Che cosa credi che sia... auto-sugge­stione? Arnoldo lo sa. Porse è per questo che t'ha fatto venire qui.

Parker                            - Non dire sciocchezze, Evelina.

Arnoldo                        - (entra) Oh, Eenzo, scusami. Ho fatto tardi.

Evelina                          - Buona sera, Arnoldo. Edoardo è venuto a casa con te?

Arnoldo                        - Sì. È andato su a cambiarsi... pran­ziamo con Phillis, vero? Te ne eri dimenticata?

Evelina                          - Io no... lo ricordavo benissimo... ma non credo che verrò. Sento che mi spunta una delle solite emicranie. Vuoi un coktail?

Arnoldo                        - (le toglie lo shaher di mano, deciso) Grazie, mi servo da me. Vatti a cambiare, se no fai tardi.

Evelina                          - Non hai capito che mi sta venendo l'emicrania?

Arnoldo                        - Non hai capito che è tardi? Non ti verrà una delle solite emicranie, proprio stasera, per guastare la serata a Edoardo!

Evelina                          - Arnoldo cerca di ipnotizzarmi, sai? Come nella favola del serpente e del coniglio. Mi rincresce che tu non venga con noi. Sarebbe stato bello per tutti. Arrivederci.

Arnoldo                        - Non aspettatemi. Edoardo ti accom­pagnerà appena sarete pronti. Io vi raggiungerò più tardi. (Evelina esce) Siediti, Renzo.

Parker                            - Intanto siedi tu... Che cos'hai?

Arnoldo                        - Niente.

Parker                            - Perbacco! E come te ne sei accorto?

Arnoldo                        - Ti ho fatto venire perché voglio che tu veda una persona. Una persona che ha bisogno del tuo aiuto, Renzo.

Parker                            - Sarò felice di fare quello che posso.

Arnoldo                        - Grazie, sapevamo di poter contare-su te.

Parker                            - Sapevamo? C'entri anche tu?

Arnoldo                        - Io sono... come dicono gli avvocati... il capo espiatorio.

Parker                            - Ma insomma, di che cosa si tratta?

Arnoldo                        - Voglio che tu legga alcune lettere. (Prende in un cassetto chiuso a chiave alcune lettere).

Parker                            - Di chi sono?

Arnoldo                        - Di Edoardo.

Parker                            - E lui sa che le hai tu?

Arnoldo                        - Certo. Per chi mi hai preso?

Parker                            - (legge) E chi sarebbe Bettina?

Arnoldo                        - Betty Powler.

Parker                            - Che brutta calligrafia!

Arnoldo                        - Brutta, vero? Edoardo scrive sempre a macchina.

Parker                            - Sarebbe stato più semplice... in questo caso, x

Arnoldo                        - Non sono lettere che si scrivono a macchina.

Parker                            - Vuoi che ti dica quello che penso? Penso che dovrebbe andare da uno psichiatra.

Arnoldo                        - Dici sul serio?

Parker                            - No, forse no, alla sua età... Beh, che cosa « vuoi » che faccia?

Arnoldo                        - Voglio che tu veda la signorina Fowler.

Parker                            - Perché?

Arnoldo                        - Dice che aspetta un bambino.

Parker                            - Ah!

Arnoldo                        - Può essersi sbagliata o può mentire.

Parker                            - Capisco. Edoardo che parte ha in tutto questo?

Arnoldo                        - Naturalmente lei dice che il padre è lui.

Parker                            - Naturalmente?

Arnoldo                        - Edoardo è un buon partito, lo sai bene, altrimenti perché dovrebbe mandare a me le lettere di lui? È inutile ti dica che questa sarebbe sempre una situazione imbarazzante: in questo momento, poi, è un inferno.

Parker                            - Perché lo è in questo momento?

Arnoldo                        - Credo che Edoardo stia per fidanzarsi con Phillis Maxwell. La figlia di Giorgio Maxwell. La conosci?

Parker                            - L'ho conosciuta dianzi: infatti, son proprio fidanzati. Io non avrei dovuto dirtelo... perché vogliono dirtelo loro stasera.

Arnoldo                        - Oh che bella notizia! Son felice di questo. Ho sempre sperato che potesse accadere. Giorgio ne sarà beato.

Parker                            - E la signorina Fowler?

Arnoldo                        - La signorina Fowler dovrà... dovrà farsi una ragione.

Summers                       - (entrando) La signorina Fowler, milord.

Arnoldo                        - Sì, falla entrare. L'aspetto. (Summers esce).

Parker                            - Ma Edoardo sa... sa che veniva da te?

Arnoldo                        - Sì, certo: mi ha dato carta bianca.

Parker                            - Molto lusinghiero da parte sua.

Summers                       - (affacciandosi nel vano della porta. La signorina Fowler, milord. (Fa passare Betty Fowler. Esce).

Arnoldo                        - Buona sera, signorina. Sono lord Holt. Vorrei che lei parlasse col dottor Parker, nostro consulente medico. Ha assistito mia moglie quando è nato Edoardo.

Parker                            - Non se lo dimenticheranno mai. Buona sera, signorina Fowler.

Betty                             - Buona sera.

Arnoldo                        - Prego, signorina Fowler, si sieda. Ecco. È stata molto gentile a venire fin qui.

Betty                             - Ho sempre desiderato di conoscere il padre di Edoardo. Lo conoscevo soltanto attraverso le fotografie.

 Arnoldo                       - Avrei preferito incontrarla in circostanze più felici. Ecco, adesso penso che sia meglio parlare subito di affari. Ho detto al dottor Parker che lei crede di aspettare un bambino. Spero non le  dispiaccia.

Betty                             - No, no, affatto.

Arnoldo                        - Ho sempre ritenuto buona norma trattare un problema dopo essermi accertato che il problema stesso esisteva. Lei è sicura che esista?

Betty                             - Sicurissima.

Arnoldo                        - Non le dispiace che... il dottor Parker?

Parker                            - Lei ha parlato col suo medico, signorina  Fowler?

Betty                             - Non è proprio il mio medico... ma è un buon medico.

Parker                            - E l'esame è stato positivo?

Betty                             - Sì.

Arnoldo                        - Ma, ad ogni modo, vorrei...

Parker                            - Credo si possa esser sicuri che la signorina Fowler aspetta un bambino.

Arnoldo                        - Va bene. Adesso bisogna decidere: che cosa facciamo?

Parker                            - (dopo una pausa) Non vorrei metterla in imbarazzo, signorina Fowler, ma io sono un po' meticoloso. Le dispiace di rispondere ad alcune domande?

Betty                             - Si figuri...

Parker                            - Da quanto tempo conosce Edoardo?

Betty                             - Da un anno circa. Io sono commessa in un negozio, Edoardo è entrato a comprare qualche cosa... una cartolina illustrata per essere precisi, una di quelle da ridere... quelle che si mandano agli amici in vacanza... ha capito? (Arnoldo freme).

Parker                            - E poi?

Betty                             - Ho trovato che era molto simpatico! L'indomani tornò e mi chiese se volevo andare al cinematografo con lui. Io non sapevo chi fosse, né altro, ma... mi piaceva. Da allora siamo usciti molto spesso insieme, e una sera mi ha proposto di diventare la sua amante. E... siccome avevo paura di perderlo, ho accettato.

Arnoldo                        - Intanto aveva saputo chi fosse?

Betty                             - Sì, certo, ci eravamo presentati.

Arnoldo                        - Appunto.

Parker                            - Perché è venuta qui, signorina Fowler?

Betty                             - È stato lui a chiamarmi. (Indica Arnoldo). E

Parker                            - È lei si è innamorata di Edoardo?

Betty                             - Sì.

Parker                            - E lo vuole sposare?

Betty                             - Sì. Sì.

Parker                            - È per questo che lei ha fatto leggere le lettere di Edoardo a lord Holt?

Betty                             - Sì. Vede, Edoardo è uno strano ragazzo. Quando gli ho detto che aspettavamo un bambino si è spaventato. Credo abbia un po' paura delle responsabilità, e così ha smesso di vedermi per qualche tempo... ma io so bene che in fondo al cuore mi ama, altrimenti non avrebbe potuto scrivere quelle lettere. Ha smesso di vedermi, è andato all'estero... E allora ho pensato che era meglio venire da lei. Ho pensato che, fra tutti e due, avremmo potuto dargli un po' di coraggio... non che sia vera­mente debole, è soltanto che odia doversi decidere.

Arnoldo                        - E lei vorrebbe che io decidessi per lui?

Betty                             - Sì... è come un bambino.

Arnoldo                        - Ma se non la volesse sposare... proprio non volesse, a nessun costo?

Betty                             - Beh, allora debbo dirlo apertamente... non è bello che scappi a questo modo. Ma vuole sposarmi... conosco Edoardo così bene.

Arnoldo                        - Temo di doverle dare una delusione, signorina Fowler. C'è un'altra donna... una ragazza, cioè. Mio figlio le ha chiesto di sposarlo ed essa ha accettato.

Betty                             - Ma non poteva far questo.

Parker                            - Non poteva? Lei sa bene, e lo so bene anch'io, signorina, come fosse questa la sola cosa che potesse fare, trattandosi di lui.

Arnoldo                        - Questo è un giudizio gratuito, Renzo... abbiamo tutti il diritto di cambiare idea.

Parker                            - Ah si?

Betty                             - È... è... carina la ragazza a cui si è fidanzato?

Arnoldo                        - Molto bellina e molto simpatica... è la figlia di uno dei miei più vecchi amici.

Betty                             - Come si chiama?

Arnoldo                        - Che importanza ha?

Betty                             - Molta, per me.

Arnoldo                        - Va bene. Lei ha il diritto di saperlo. Si chiama Phillis Maxwell. È la figlia di lord Maxwell.

Betty                             - Non me l'ha mai nominata.

Parker                            - Ma è la verità, signorina Fowler.

Arnoldo                        - Adesso dobbiamo decidere sul da farsi.

Betty                             - Io non lo so.

Arnoldo                        - Lei ha ancora desiderio di sposarlo, pur sapendo che ama un'altra donna?

Betty                             - Io non lo so.

Arnoldo                        - Non mi sembra molto decisa. Signo­rina Fowler, permetta che la guidi in questa faccenda. Lei è molto giovane e molto bella, e questo è il suo primo amore, vero?

Betty                             - Sì.

Arnoldo                        - Ed è finito in modo pietoso... ma la sua posizione non è nuova, vero, Renzo?

Parker                            - No, Arnoldo.

Arnoldo                        - E lei ha certamente degli amici. Ha una famiglia...

Betty                             - No.

Arnoldo                        - (visibilmente sollevato) Vorrei essere suo amico, se lei me lo permette.

Betty                             - Grazie, lord Holt.

Arnoldo                        - Se questo bambino non nascesse affatto, la sua posizione sarebbe molto più facile, vero?

Betty                             - Sì, suppongo di sì. Ma questo bambino nascerà.

Arnoldo                        - Potrebbe anche darsi che non nasca, vero, Renzo?

Parker                            - Può darsi che non nasca, Arnoldo, se la signorina avrà poca cura di sé... c'è sempre questo rischio.

 Arnoldo                       - Non è esattamente quello che inten­devo dire io.

Parker                            - Lo sapevo. Ma le davo il beneficio del dubbio, comunque. Lord Holt le vuole proporre un'operazione...

Betty                             - No.

Arnoldo                        - Era necessario che tu le spiegassi la cosa tanto crudamente?

Parker                            - Appunto, pensavo che era una proposta piuttosto cruda.

Arnoldo                        - Molto naturale, però, in questo caso.

Parker                            - Hai la più naturale nozione del signi­ficato della parola naturale.

Arnoldo                        - Beh, non discutiamo il significato delle parole, al punto in cui siamo... abbi il senso delle proporzioni. Non far sempre il Ponzio Pilato. Vuoi aiutare Edoardo, non è vero?

Parker                            - No, non specialmente lui!

Arnoldo                        - Beh, dovresti... sei il suo padrino.

Parker                            - Se potessi aiutare qualcuno, aiuterei la signorina Fowler.

Arnoldo                        - Naturalmente, vogliamo tutti e due aiutare la signorina Fowler; è per questo che ti ho pregato di venire qui.

Parker                            - Sarebbe meglio far venire anche Edoardo.

Betty                             - No, la prego, non lo mandi a chiamare. Non vorrei vederlo proprio adesso.

Arnoldo                        - Certo, non dubito affatto che il padre di suo figlio, signorina Fowler, sia Edoardo, ma, per quanto mi consta, non vi sono prove che lo confermino.

Parker                            - Ci sono alcune lettere.

Arnoldo                        - Certo. Lo ripeto, io non ne dubito affatto, ma desidero che la mia posizione sia chiara. Io sono soltanto il padre di Edoardo... io non posso costringerlo a sposare lei... e nessuna legge può costringerlo a far questo. Io ritengo che l'affetto di Edoardo sia tutto dedicato a un'altra persona... Non assolvo la sua condotta... la prego, non creda questo, so che si è condotto molto male, ma le recri­minazioni non servono a nulla, vero? Adesso dob­biamo soltanto decidere sul da farsi.

Betty                             - Dobbiamo decidere dove nascerà il bambino e tutto il resto, vero?

Arnoldo                        - Sì, a proposito... quando deve nascere?

Betty                             - Tra sei mesi, non prima.

Arnoldo                        - Capisco. In aprile. Renzo, amico mio, non credo che tu debba perdere ancora tempo con noi... Betty ed io possiamo studiare da soli il da farsi.

Parker                            - Certo, Arnoldo, ma i tuoi progetti mi interessano sempre molto.

Arnoldo                        - Sì, però penso che la signorina Fowler preferisca che pochissime persone siano al corrente dei progetti che la riguardano personalmente... Mi devi perdonare: è una questione quasi di famiglia.

Betty                             - Può benissimo assistere al nostro colloquio.

Arnoldo                        - Scusa, Renzo, ma devo insistere. Mi hai capito?

Parker                            - Credo di sì, Arnoldo. Me ne andrò a una sola condizione... che la signorina Fowler mi prometta una cosa.

Betty                             - Che cosa?

 Parker                           - Di alzarsi e di andar via subito da qui appena lord Holt le proporrà nuovamente di abortire.

Arnoldo                        - Ora ne ho abbastanza dei tuoi con­sigli, Eenzo... Vuoi andartene, per favore?

Parker                            - Quando avrò avuto la promessa che chiedo.

Arnoldo                        - Ma che diavolo c'entri tu?

Parker                            - Sei stato tu a chiamarmi.

Arnoldo                        - Gli prometta quello che vuole, signo­rina Fowler, ma per carità vediamo di risolvere qualche cosa stasera.

Betty                             - Glielo prometto, dottor Parker.

Arnoldo                        - Sei soddisfatto?

Parker                            - (si alza) Non sono soddisfatto, Arnoldo, ma me ne vado lo stesso. (A Betty) Se posso esserle utile, signorina, mi telefoni. Lorenzo Parker. (Ad Arnoldo, dalla porta) Hai mai letto i Dieci Coman­damenti di Dio? (Esce).

Arnoldo                        - Grazie al cielo, se n'è andato. E adesso possiamo discorrere in pace. Eenzo è un caro amico ma si adombra facilmente; è un po' come una vecchia zitella. Vuol bere qualche cosa?

Betty                             - No, grazie, non bevo.

Arnoldo                        - Oh, non esageri, un bicchierino non può farle male!

Betty                             - Davvero, grazie.

Arnoldo                        - Il male è che Eenzo è molto affezio­nato a Edoardo e pensa che io non sia abbastanza severo con lui. Porse ha ragione. Ma è difficile essere severi con Edoardo... se ne sarà accorta anche lei, vero? Betty, perché non mi dice per quale motivo ha tanto desiderio di avere questo bambino?

Betty                             - Non ho questo gran desiderio, a dir la verità, ma... beh, non sono d'accordo su quello che ha detto il dottor Parker.

Arnoldo                        - Io non le faccio più quella proposta perché, se gliela facessi, lei dovrebbe alzarsi e uscire di qui. Ricorda? Comunque, niente mi potrebbe impedire di alzarmi anch'io e di andar via con lei. Oh, sarebbe un'idea! Se parlassimo di tutto questo mangiando un boccone insieme?

Betty                             - Come crede.

Arnoldo                        - Andiamo, beva qualcosa. Non deve avere l'aria così tragica, creda a me. Bella figliola, perché non sorride? Dove le piacerebbe andare a pranzo? Mi hanno detto che c'è un nuovo ristorante greco. Quando un greco incontra un altro greco... si apre subito un ristorante, vero?

Betty                             - Già.

Arnoldo                        - Creda; sono convinto che noi potremo andar d'accordo molto bene. Basta non aver paura di nulla. Giusto?

QUADRO SECONDO

La stessa scena. Siamo ali '11 novembre del 1941. Una delle finestre ha gli scuri accostati.

(Evelina, vestita da sera, è sola di fronte al cami­netto. Finisce il pranzo che le è stato servito su un vassoio. Beve champagne. Summers entra).

Evelina                          - Ah, Summers, che cosa c'è?

Summers                       - Il dottor Parker, milady.

 Evelina                         - Il nostro dottor Parker?

Summers                       - Sì, milady.

Evelina                          - Va bene. Fallo passare.

Summers                       - Subito, milady. Posso chiudere le tende, milady? L'allarme è finito.

Evelina                          - No, Summers, le luci sono spente.

Summers                       - Vede il bagliore dell'incendio, milady? Se ricorda, la radio ne ha parlato.

Evelina                          - Ah sì, grazie. Chiudi le tende.

Summers                       - (tira le tende e accende le luci) Posso portar via il vassoio, milady?

Evelina                          - Lasciate stare la bottiglia.

Summers                       - Sì, milady. (Porta via il vassoio, poi torna con Parker ed esce nuovamente).

Parker                            - Evelina cara...

Evelina                          - Ciao, Eenzo. Sempre presente, pre­sente alla nascita, presente alla morte... Oh, amico mio!

Parker                            - L'ho saputo stamani. Ero via.

Evelina                          - Sono già passati tredici giorni. Stasera festeggio una cara ricorrenza. Vuoi bere con me? È il suo compleanno.

Parker                            - Certo. Grazie... (Bevono lo champagne).

Evelina                          - Odiava i funerali, come mai, e il dolore. Quando muoio, diceva, voglio che tutti i miei amici mi ricordino con un'allegra bicchierata.

Parker                            - A Edoardo!

Evelina                          - Edoardo, figlio mio! Hai pranzato?

Parker                            - Grazie, sì.

Evelina                          - È tanto che non vieni... la sera del suo fidanzamento, ricordi? Arnoldo non mi ha mai detto perché ti aveva fatto venire quella sera.

Parker                            - Non ha importanza. Arnoldo come sta?

Evelina                          - Arnoldo pensa che Edoardo abbia goduto una vita breve ma intensa.

Parker                            - Non è vero forse, E velina?

Evelina                          - Un altro po' di champagne?

Parker                            - Credo che Edoardo abbia goduto la vita... tutto il bello della vita. Penso che se fosse possibile rivolgergli una domanda, non potremmo dire altro che: « Ti sei divertito? Torneresti indietro? ». E io so bene che Edoardo risponderebbe: Sì. Ho visto morire tanta gente... ma pochissima che non avrebbe voluto vivere di nuovo, magari in modo diverso, magari correggendo due o tre errori commessi volontariamente, chissà... Eppure sono convinto che in questa seconda vita avrebbero sempre faticato a sbrogliarsela.

Evelina                          - Perché pensi questo?

Parker                            - Perché non credo che l'esperienza insegni qualche cosa, tutt'al più insegna a essere un po' più prudenti.

Evelina                          - Ecco il filosofo tascabile.

Parker                            - Non devi prendermi in giro.

Evelina                          - Non ho mai avuto così poca voglia di prendere in giro qualcuno. Ti ricordi il suo primo compleanno, il nostro appartamentino a Brighton e il povero Soames? E il brindisi di Arnoldo... il mondo sarà la sua ostrica?

Parker                            - E come! avevi un abito azzurro con un fiore in vita.

Evelina                          - E te ne ricordi ancora... Penso spesso a quella serata. Sembrava un inizio meraviglioso, eppure... era il principio della fine. Io sono una vecchia ubriaca e piagnucolosa. Perché perdi tempo con me, Eenzo? Non hai niente di meglio da fare?

Parker                            - Non in questo momento.

Evelina                          - È andato tutto a male, Eenzo, e io non so perché... È questo che vorrei sapere... « perché »? Non perché Edoardo fosse debole o perché Arnoldo l'avesse viziato... Tanti genitori viziano i propri figli e quelli si salvano lo stesso; perché non è stato così di Edoardo?

Parker                            - Edoardo avrebbe rimesso giudizio col tempo, si sarebbe calmato.

Evelina                          - Nemmeno il matrimonio gli ha giovato. Io credevo che Phillis sarebbe riuscita dove non ero riuscita io.

Parker                            - Come l'ha presa?

Evelina                          - Molto bene. Fa l'infermiera, adesso. Aspetta un bambino. Povera Phillis!

Parker                            - È molto abbattuta?

Evelina                          - No, non credo. È molto coraggiosa. Mi pare ancora impossibile. Arnoldo è andato all'aeroporto. Dovrebbe esser qui fra poco. Devi aspet­tarlo, devi vederlo. Avrà desiderio di parlare con qualcuno. Io salirò in camera, andrò a letto e mi ubriacherò tranquillamente, da sola, berrò tanto tanto. Non si sa mai che fine può fare una persona... Sei ancora innamorato di me, Eenzo Parker? Vor­resti... no... questa faccenda del bere fa perdere un po' la testa... perdonami, ma credo sarà meglio che vada a letto. Lo champagne è finito ed è inutile chiederne ancora a Summers perché non lo porterebbe. È razionato... da mio marito... è al governo, adesso. (Arnoldo entra) Eccolo. Lord Holt, ministro dello champagne.

Arnoldo                        - Oh, mio caro, sei sempre così buono con noi.

Parker                            - Desideravo molto vederti, da tanto, tanto tempo.

Arnoldo                        - Sono stato all'aeroporto a parlare col comandante. Avrei voluto tu udissi quello che ha detto di Edoardo.

Parker                            - Magari!

Arnoldo                        - Ha detto che era il miglior pilota della squadriglia, che non conosceva la paura, che rischiava soltanto la propria vita, che era nato per comandare... questa è la cosa che più mi ha fatto piacere.

Evelina                          - Che vita straordinaria deve fare quel comandante!

Arnoldo                        - Perché?

Evelina                          - Passar la giornata a raccontare novelle di fate a tutti i genitori che chiedono notizie dei loro ragazzi.

Arnoldo                        - Non sarebbe meglio che andassi a riposare?

Evelina                          - No, Arnoldo. Prima voglio sapere che cosa ha detto quel comandante. Voglio cercar di sapere qualche cosa di Edoardo. Ventitré anni non sono molti per conoscere una persona. Io non l'ho conosciuto bene. Non come il suo comandante. Lui ha capito tutto, in trenta secondi. Il tempo che impiega una rondine a cadere. Non volava molto alto. Chi sa a che cosa pensava... a quello che avrebbe detto il suo comandante, forse. Nato per comandare, come suo padre. Un condottiero. Sapevo che questo ti avrebbe fatto piacere, Arnoldo. Ma tu non ti sei mai chiesto dove volevi condurli, gli uomini. Ma il comandante non sapeva la storia fino in fondo, vero? Non sapeva che il vero comandante aveva perso il senso della direzione. (Si avvia verso la scala) È incredibile, ma questa maledetta scala non la vedo mai... Ecco qua. Sai quanti gradini ci sono, Eenzo? Io sì. Li ho contati, sai, qualche volta non si vede chiaramente come si dovrebbe e allora ci si aiuta contando. (Comincia a salire le scale) Uno, due, tre... in questo inciampo sempre... quattro, cinque... addio, Eenzo... sei... sette... (Scompare).

Arnoldo                        - Vorrei che si sentisse orgogliosa di lui come mi sento io, come si sente sua moglie. Ecco una ragazza che piacerebbe a te, Eenzo. Avrebbe fatto di Edoardo un... è strano, mi par sempre che Edoardo sia un ragazzo. Era più che un ragazzo, quando è morto: era un eroe. Non nego che certe volte io abbia desiderato con tutte le mie forze di avere un figlio diverso, ma non muterei d'un soffio il ricordo che ho di lui. Oh Dio, in quanti guai mi ha messo! Non dimenticherò mai lo sguardo di Hanray, quando gli ho detto che avevo comperato il collegio, e la volta che l'hanno espulso da Oxford... quello non glielo potevo comperare! E tutta la faccenda di Betty Powler. Io so che moralmente avevi ragione tu, e avevo torto io, ma alla fine è stato meglio così. Tu pensi che io l'abbia viziato, vero?

Parker                            - No, no, forse no. Non lo so.

Arnoldo                        - Porse l'ho viziato. Forse se fossi stato un altro uomo da quello che sono, le cose sarebbero andate in altro modo. Edoardo sarebbe stato diverso, chi lo sa? Ho fatto tutto quello che ho creduto fosse meglio fare per lui, perché gli volevo bene. Non si può far più di così, vero? (Avanza verso il pubblico. Parher sparisce) Volevo che la vita gli sorridesse. Avrei desiderato che anche al figlio di Edoardo fosse riservata un'esistenza felice... (pausa) portarlo con me, lontano, in America. Phillis e Parker non hanno voluto. Anche Evelina si sarebbe opposta; non ha potuto farlo, dal cielo. Cosa avreste fatto voi, al mio posto?... Sareste partiti verso l'America o sareste rimasti accanto al figlio di Edoardo? Io so quello che ho fatto. Ecco tutto, signore e signori.

FINE