Eduardo e Carolina

Stampa questo copione


EDUARDO E CAROLINA

Ricavata dal film omonimo “Antoine e Antoinette” di Jacques Becker

Commedia in tre atti

di B.L. RANDONE e F. MARCEAU

PERSONAGGI

EDUARDO

CAROLINA

GOFFREDO

LA SIGNORA ROSA

IGOR

LO ZIO CLAUDIO

GIULIANO

BARV1LLE

LA SIGNORA BARVILLE SPENCER BORCH

FLORENZA BORCH

UBERTO DEMOSLE

DALMAZIO DE MOSLE

OLIVIA PELPEL

Tre facchini

ATTO PRIMO

A Parigi. Oggi. Il primo atto alle sette di sera. Il secondo atto due ore dopo. Il terzo atto ira le due e le tre della notte. L'appartamento di Eduardo e Carolina. E una grande stanza adibita contemporaneamente a salotto, sala da pranzo e camera da letto. Un magnifico pianoforte a coda contrasta con la modestia degli altri mobili. Una finestra e due porte: bagno e ingresso.

 (All'alzarsi del sipario, Eduardo, al piano, suona il primo preludio di Chopin. La porta del bagno si apre ed appare Carolina in vestaglia e a piedi nudi. Come se Eduardo e la sua musica non esistessero, Carolina canticchia « I miei giovani anni » di Char­les Trenet, mentre fruga nei vari mobili della stanza. D'un tratto si ferma: è chiaro che ha rinunciato a trovare quello che cercava. Anche Eduardo si ferma. I loro sguardi si incrociano: Carolina ha un piccolo sorriso di paura. Lo sguardo di Eduardo scende fino ai piedi di Carolina e di colpo, con voce forte e indignata).

Eduardo                   - Carolina!

Carolina                    - Cos'è?

Eduardo                   - Le pantofole!

Carolina                    - Ma sono appena uscita dal bagno, Dudù!

Eduardo                   - Prenderai freddo.

Carolina                    - Bene, Dudù. (Rientra nel bagno e ne torna calzando le pantofole) Ecco fatto.

Eduardo                   - Ma sono le mie pantofole.

Carolina                    - Non trovo più le mie, Dudù. Dove le hai nascoste?

Eduardo                   - (con un ruggito) Io? Io nasconderei le tue pantofole? Sai in quanti abitiamo l'apparta­mento? Siamo in due. Tu ed io. Io, lo sanno tutti, sano una persona che ama l'ordine, un essere fatto per l'ordine, meticoloso, scrupoloso, pignolo. E tu... (si prende la testa fra le mani) tu... (Improvvisa­mente, severo) Vieni qui.

Carolina                    - Che cosa vuoi?

Eduardo                   - Voglio che mi baci.

Carolina                    - Ancora?

Eduardo                   - Carolina, è più di un quarto d'ora che non ci siamo baciati.

Carolina                    - Davvero? Come passa il tempo. (Si baciano teneramente. La vestaglia scivola un poco scoprendo una spalla di Carolina, che subito si di­stacca da Eduardo) No, Eduardo.

Eduardo                   - Perché?

Carolina                    - Sono già le sette.

Eduardo                   - E che vuol dire?

Carolina                    - Abbiamo promesso di essere dallo zio Claudio alle otto e mezzo' precise.

Eduardo                   - Uff, sempre la famiglia tra i piedi. Tua madre, tua nonna, lo zio Claudio. (Imitandolo) Mio caro Odoardo... mia nipote Caroline (pronuncia all'inglese «Carolaine») ha sposato un artista... che volete farci?... l'amore... la vie de bohème... Caroline adora tuttociò... (Riprendendo la voce naturale) E Goffredo! Il tuo caro piccolo cugino Goffredone... goffo. (Imitandolo) Mia cara cuginetta Carolina... bella, adorabile... diventi preziosa...

Carolina                    - Sei cattivo, Dudù.

Eduardo                   - Non è innamorato di te, Goffredone?

Carolina                    - Esageri sempre.

Eduardo                   - (sdegnoso) Innamorato di sua cugina: è stupido e troppo facile. D'altronde non è inna­morato, soltanto gli piaci.

Carolina                    - (piccola pausa) E ti dispiace? Lui in­vece ti stima e ti vuol bene. Sapessi quanto si è dato da fare per questa serata. E' lui che ha persuaso lo zio Claudio a invitare gente importante, che po­trebbe forse lanciarti.

Eduardo                   - Come forse?

Carolina                    - Sì. Se sarai gentile, carino, bene edu­cato. Se farai buona impressione, insomma.

Eduardo                   - Già. Mi guarderanno come un nu­mero da circo. E se ne infischieranno di quello che suonerò.

Carolina                    - Abbi pazienza. E' il risultato che conta. Vedrai che da questo lato la mia famiglia ha del buono.

Eduardo                   - E dall'altro lato? Sono seccati che sei la moglie di uno spiantato.

Carolina                    - Ma non sei uno spiantato, tesoro mio.

Eduardo                   - Ah no? E che cosa sono?

Carolina                    - Sei giovane. (Eduardo alza le sfalle e torna al piano, mentre Carolina apre un armadio e tira fuori un abito da sera con lustrini).

Eduardo                   - Non avrai mica intenzione di metterti quell'affare!

Carolina                    - No.

Eduardo                   - (andando verso Carolina, e mostrandole l'abito) Signore e signori, ho l'onore di presen­tarvi Bi-Bop, una pura creazione del grande sarto Jacques Christian, pagato' con le economie di un modesto artista, primo premio al Conservatorio, e trasformato dalla sposa del detto artista col brillante risultato che tutti possono ammirare... Dopotutto tu forse trovi quest'abito bellissimo!

Carolina                    - Come sei spiritoso...

Eduardo                   - Eppure ti avevo detto di non toccarlo', di lasciarlo com'era. T'avevo detto che sarebbe stata una catastrofe. Ora non potrai mai più indossarlo.

Carolina                    - E' proprio quello che pensavo. Non ho nessuna intenzione di indossarlo. Metterò l'altro.

Eduardo                   - Meglio così. Siamo intesi. (Eduardo sie­de nuovamente al piano. Carolina prende un altro vestito e se lo adatta addosso guardandosi in uno specchio).

Carolina                    - Eduardo!

Eduardo                   - Che c'è ancora?

Carolina                    - Permetti che esprima una piccola idea su questo vestito?

Eduardo                   - (smettendo di suonare, minaccioso) Una piccola idea?

Carolina                    - Sì. Non spaventarti. Niente altro che un fiorellino' da aggiungere qui, sulla spalla. Non trovi che starebbe meglio? E' un vestito così sem­plice, così brutto!

Eduardo                   - Cosa? Io lo trovo bellissimo. Perfetto. Cos'è che non va, per te?

Carolina                    - Sai... E' tanto tempo che metto sem­pre questo... (E mentre Carolina, dopo aver posato il vestito sul letto, entra nel bagno, Eduardo si alza e va ad esaminarlo. Carolina torna, guarda Eduardo e gli sorride carezzandolo) Ma hai ragione tu. Tutto sommato il vestito è molto bello.

Eduardo                   - Avrei voluto potertene offrire un altro.

Carolina                    - E anche se stasera ci saranno due o tre snob che noteranno che porto sempre lo stesso abito, me ne infischio.

Eduardo                   - Carolina, ma che espressioni.

Carolina                    - (prova nuovamente il vestito) E poi non è il vestito' che conta. E' la donna.

Eduardo                   - Filosofia spicciola, detta anche buon senso.

Carolina                    - I fianchi stanno bene così, vero?

Eduardo                   - Oh, sì... E' la donna che conta. E tu mi piaci molto. (Eduardo le sì avvicina, le tende le braccia).

Carolina                    - (con molta dignità) No, Eduardo.

Eduardo                   - Bé... Non mi resta che andarti a com­perare il fiorellino.,

Carolina                    - Ah, sì... Fa' presto. (Eduardo si dirige alla porta d'ingresso. L'apre) La giacca, Dudù.

Eduardo                   - Hai ragione. (Torna indietro, prende una giacca che è appesa accanto alla libreria. Ur­lando) Carolina!

Carolina                    - Cosa c'è?

Eduardo                   - La mia enciclopedia.

Carolina                    - Hai bisogno dell'enciclopedia per an­dare dal fioraio?

Eduardo                   - Vieni qui. E' un affare serio. Guarda!

Carolina                    - (recitando la commedia) Ma cosa?

Eduardo                   - I volumi non sono in ordine. Quando l'adoperi devi rimettere i volumi al loro posto, per ordine.

Carolina                    - Ma non ho toccato l'enciclopedia.

Eduardo                   - E' così semplice. Non soltanto ci sono le lettere, ma i volumi sono numerati. Uno, due, tre, quattro', cinque...

Carolina                    - (impertinente) E sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici...

Eduardo                   - (mettendo una mano sulla bocca di Caro­lina) Tredici, quattordici! Basta. (Carolina scappa via gridando sempre più forte la numerazione. Quan­do è giunta a venti un giovanotto molto elegante appare sulla porta d'ingresso che è rimasta aperta).

Il Giovanotto           - C'è una vendita all'asta?

Carolina                    - Goffredo!

Eduardo                   - (seccato) Ah, sei tu. Cercavamo... una notizia sull'enciclopedia.

Goffredo                  - Trovata?

Eduardo                   - Ah sì... sì... (Un momento di perples­sità).

Goffredo                  - Passavo per caso qui sotto e mi sono detto: perché non andiamo a vedere se il nostro caro maestro non è troppo agitato per la serata?

Eduardo                   - Io agitato? E perché dovrei essere agi­tato?

Goffredo                  - Ma è più che naturale, che diamine. Dopo il Conservatorio mi pare che sia la prima volta che suoni in pubblico, vero? E per giunta in società. Non ti fa impressione di suonare in società?

Eduardo                   - (molto freddo) Niente affatto.

Goffredo                  - Ascolta, Eduardo. Voglio darti un, buon consiglio: suona Brahms, soprattutto Brahms. L'alta società perde la testa per Brahms, ti assicuro.

Eduardo                   - Proverò.

Goffredo                  - E dopo, qualcosa di molto leggero, di molto carino... che so... vediamo un po'... Liszt, forse?

Eduardo                   - Si vede che sei un intenditore!

Carolina                    - (impacciata) Dudù... scusa, ma il fio­raio sarà chiuso.

Eduardo                   - Il vestito andrà bene anche senza fiore.

Carolina                    - Ma come? Eravamo d'accordo.

Eduardo                   - (chiudendo la porta) Ho riflettuto. Andrà bene anche senza fiore.

Carolina                    - Foffo, ti prendo a testimone. Questo vestito, non ti pare che migliorerebbe molto con un fiore?

Goffredo                  - (socchiudendo gli occhi) Vediamo... vediamo... Ma è evidente. O una clip forse... Qual­cosa in oro... in brillanti...

Eduardo                   - Desolato. Non ci sono clips in casa.

Goffredo                  - (per tentare dì dissipare l'imbarazzo) Ma un fiore starà altrettanto bene. La giovinezza richiama la freschezza dei fiori. E più semplice sarà il fiore, più grazioso sarà il vestito... Ciclamini, per esempio.

Carolina                    - (un po' delusa) Ciclamini?

Goffredo                  - Vuoi che vada a prendertene, Ca­rolina?

Carolina                    - (con precipitazione) No... no... ci andrà Eduardo.

Eduardo 1                - Goffredone se ne intende certamente più di me.

Carolina                    - Ma va tu, Dudù... sii gentile.

Eduardo                   - (di malavoglia) Vuoi proprio? Bene. Ci vado. (Esce guardando ferocemente Goffredo e sbat­tendo la porta).

Goffredo                  - (mondano, appena la porta si è chiusa) Non ti ho ancora baciato la mano, Carolina dei miei sogni... (Bacia la mano di Carolina, mentre la porta si riapre bruscamente e affare Eduardo).

Eduardo                   - (con fiamme negli occhi) Ciclamini proprio?

Carolina                    - Prendi quello che vuoi, caro. (Eduardo se ne va).

Goffredo                  - Quel simpatico' Eduardo...

Carolina                    - Sì, sì... Ma adesso stammi bene a sen­tire, Foffo. Volevo che ci lasciasse soli cinque mi­nuti...

Goffredo                  - Cara la mia deliziosa cuginetta... Il mio cuore è ai tuoi piedi...

Carolina                    - Raccoglilo e rimettilo in tasca. E cerca di star serio un momento. Puoi?

Goffredo                  - Come no, Carolina.

Carolina                    - Goffredo, hai un gilè da frac?

Goffredo                  - Un gilè da frac? (Ride) Tutto mi aspet­tavo, ma questa poi! Come sei divertente, cara! Un gilè da frac? E per che farne?

Carolina                    - Goffredone, sii serio e rispondimi quando ti faccio una domanda. Hai un gilè da frac?

Goffredo                  - Ne ho, ne ho... una dozzina, forse quindici.

Carolina                    - Ebbene, Eduardo, lui, non ne aveva che uno.

 

Goffredo                  - -Un solo gilè da frac? Ma è ridicolo. E' come se mi dicessi che ha un solo paio di calzini.

Carolina                    - Non fare lo scemo. E' così. Eduardo non aveva che un solo gilè da frac e adesso non lo trovo più.

Goffredo                  - Che seccatura.

Carolina                    - Eduardo avrà una crisi di nervi. Già non fa che rimproverarmi di non essere abbastanza ordinata. Tu devi assolutamente farmi un favore, Foffo. Devi prestare uno dei tuoi trentacinque gilè a Eduardo.

Goffredo                  - Non si trattava che di questo? Con gioia allora, mia deliziosa cuginetta. Solo che forse sarà un po' grande per Eduardo; io ho le spalle molto più larghe delle sue. Faccio dello sport, io, mentre lui...

Carolina                    - Non preoccuparti per Eduardo. E' un falso magro.

Goffredo                  - Meglio così... E poi se lo dici tu... Al­lora per il gilè siamo intesi. Basterà che Eduardo, appena torna, faccia un salto da me a casa. Mi di­spiace di non poterglielo mandare. Tutto il perso­nale di servizio è mobilitato'. Capisci in che agita­zione vive papà! Quando sono uscito, il pianoforte nuovo non era ancora arrivato.

Carolina                    - Grazie, Foffo. Sei un tesoro.

Goffredo                  - Non potresti darmi un bacino, in cambio del gilè?

Carolina                    - Un bacio per un gilè: non c'è pro­porzione.

Goffredo                  - Posso prestargli un frac intero, al caso. (Ride).

Carolina                    - Dimmi piuttosto che ne pensi del mio abito.

Goffredo                  - Niente male. Ha il solo torto che l'ho visto un po' spesso.

Carolina                    - (fa il muso). Lo so. E' l'unico che pos­seggo. Ma è proprio brutto?

Goffredo                  - No, ma dovresti accorciarlo davanti.

Carolina                    - Come?

Goffredo                  - Tagliandolo un po'. Un paio di forbici, e avrai un movimento a tuffo, così diventa di gran moda, come sai.

Carolina                    - (guardandosi allo specchio) Credi dav­vero? (Non riuscendo' a vedersi fino ai piedi, Caro­lina va alla libreria e prende due volumi dell'enciclopedia, li mette a terra davanti allo specchio e vi monta su. Si guarda soddisfatta, tirando su la gonna e mostrando' un po' le gambe).

Goffredo                  - Molto, molto meglio. Credo che potrai aggiustarlo facilmente e sarà un vero effetto...

Carolina                    - Grazie del consiglio. E adesso scappo. Devo mettermi subito al lavoro.

Goffredo                  - Devi far presto. Vi aspettiamo alle otto e mezzo precise.

Carolina                    - Sta' .tranquillo. Vi manderò Eduardo fra cinque minuti e tu intanto preparagli il gilè.

Goffredo                  - D'accordo. (Goffredo le bacia affet­tatamente la mano. Carolina lo accompagna alla porta e richiude. Poi rimane sola un istante. Va allo specchio, prova ancora il vestito e lo indossa. Poi apre la radio: una musica da ballo, che Carolina si mette a canticchiare mentre cerca le forbici e già pratica qualche piccola modifica. Si sente la chiave nella serratura. Carolina spinge in fretta i volumi sotto al letto e corre nel bagno. Entra Eduardo che tiene in mano una scatola in cellofane).

Carolina                    - (d. d.) Hai trovato?

Eduardo                   - Purtroppo, no. Sono desolato, sai. Tutti i fiorai erano chiusi.

Carolina                    - (d. d.) Me l'aspettavo. Ma non fa niente.

Eduardo                   - Corner

Carolina                    - (d. d. urlando) Ho detto: non fa niente. (Eduardo' spegne la radio. Carolina getta un grido disperato poi entra) Oh! Perché l'hai spenta? Era la mia aria: « I giovani anni ».

Eduardo                   - E' terribile, povera Carolina. (Riaccende la radio. Carolina s'avvede della scatola sul piano).

Carolina                    - (aprendo la scatola e traendone fuori una orchidea) Oh! Dudù!

Eduardo                   - Ma guarda! Da dove è scappata fuori?

Carolina                    - E' molto più bella di un mazzetto di ciclamini, sai! Sei un amore, Eduardo.

Eduardo                   - (baciandola e indicando l'apparecchio radio mentre Carolina preso un bicchiere nel bagno, torna mettendovi l'orchidea) Permetti? (Lo spegne).

Carolina                    - Ormai non posso rifiutarti più nulla,

Eduardo                   - Grazie. (La prende ancora fra le braccia e la guarda nell'insieme) Lo sai che stai molto bene?

Carolina                    - (con una riverenza) Grazie, Ma adesso vestiti, c'è poco tempo. (Apre l'armadio e prende d frac di Eduardo disponendolo sul letto) Ecco la tua roba. (Eduardo comincia a svestirsi. In camicia e slip si curva sul letto e sposta gli indumenti come se cercasse qualcosa. Carolina lo osserva; gli si avvicina e lo bacia sul collo) E' il mio Eduardo... Il buon Dudù...

Eduardo                   - No, Carolina.

Carolina                    - Oh! Ma non è affatto buono. E' il cattivo Dudù.

Eduardo                   - (avvicinandosi a un altro mobile e aprendo uno dopo l'altro i cassetti, nei quali regna la confu­sione) Ma dove diavolo può essersi cacciato?

Carolina                    - Che stai cercando? Ho messo tutto sul letto.

Eduardo                   - Manca il gilè. Guarda un po'...

Carolina                    - Come? Il gilè si porta ancora?

Eduardo                   - Sì. Il gilè si porta sempre.

Carolina                    - Curioso. E dove l'hai messo?

 

Eduardo                   - Un momento. Sono io che devo farti la domanda. Dove l'hai messo?

Carolina                    - Cosa?

Eduardo                   - (perdendo la pazienza) Il mio gilè. -Gi4é! Sei famosa per nascondere i vestiti nei posti più impensati.

Carolina                    - (fingendo di cercare anche lei) Io non nascondo niente. Io posso trovare qualsiasi oggetto in questa casa con gli occhi chiusi.

Eduardo                   - Tanto sei ordinata.

Carolina -                 - No, ma ho il fiuto. E' molto meglio,»

Eduardo                   - Prova un po' a cercare il gilè col fiuto

e ad occhi chiusi.

Carolina                    - Aspetta, Io lo trovo. (Chiude gli occhi, si raccoglie un istante poi sì dirige con decisione verso un mobile. Apre un cassetto e ne trae gli oggetti. più disparati, sotto lo sguardo severo di Eduardo) È' curioso E' strano.

Eduardo                   - Lo credi? Fuori il gilè.

Carolina                    - Se non lo si trova, potresti sempre comperarne uno... no?

Eduardo                   - A quest'ora? Sei pazza? I negozi sono chiusi.

Carolina                    - Ecco come sono gli uomini. Il più piccolo ostacolo li ferma.

Eduardo                   - E il prezzo? Ci hai pensato al prezzo? Un gilè da 'frac vale almeno cinquemila franchi, è (Scoppiando) No, no, voglio il mio gilè!

Carolina                    - Una soluzione si trova sempre.

Eduardo                   - (tragico) Non ci sono altre soluzioni.

Carolina                    - Ne fai subito un dramma. Non ci sono soluzioni! Il segreto della vita è che c'è sempre una soluzione.

Eduardo                   - E' proprio il momento di parlare di segreto della vita. (Suonano).

Carolina                    - Hanno suonato.

Eduardo                   - Dove?

Carolina                    - Hanno suonato alla porta di casa.

Eduardo                   - Va bene. Vado a vedere. (Eduardo va verso la porta così come si trova, cioè quasi nudo. Sta per aprire. Carolina getta un grido).

Carolina                    - Eduardo!

Eduardo                   - (con un sussulto) Cosa?

Carolina                    - Sei nudo! Corri nel bagno. Aprirò io. (Eduardo va nel bagno, Carolina traversa la scena e apre la porta. E' la portinaia, una grossa donna sui cinquant’anni che viene ricevuta subito da Carolina con grande confidenza) Oh, signora Rosa, meno male. Siete arrivata proprio in tempo.

Rosa                         - Ma che bell'abito!

Carolina                    - Trovate? (Parlando verso il bagno) Era la signora Rosa... (La porta del bagno si apre un momento. Appare Eduardo che evidentemente non si è accorto che la portinaia è entrata).

Eduardo                   - Ah! quella seccatrice... (Si interrompe vedendo la signora Rosa e brontolando richiude la porta) Cara signora Rosa... (Carolina tossisce e sor­ride per dissipare l'imbarazzo).

Carolina                    - Ecco qua. Aiutatemi ad allacciare il vestito. Da sola non ce la faccio.

Rosa                         - Ma con piacere, signora. Figuratevi. (Ese­guisce) Ecco fatto. Ci siamo. La signora non ha mai pensato di fare l'attrice?

Carolina                    - Io? No. Perché?

Rosa                         - Sapete quello che mio nipote Igor mi dice sempre a proposito della signora?

Carolina                    - Quel ragazzone russo che ama tanto la musica?

Rosa                         - Sì, lui. La signora sa che lavora in un al­bergo e così ha occasione di vedere tutte le attrici di Hollywood faccia a faccia nell'ascensore.

Carolina                    - E allora?

Rosa                         - Allora dice che se la signora volesse, non ci sfigurerebbe, a Hollywood.

Carolina                    - Vostro nipote è molto gentile, ma grazie a Dio non ci tengo. (Si sentono dei colpi sulla porta del bagno) Oh, un'idea, signora Rosa. Vostro nipote si trova a casa adesso?

Rosa                         - Sì. Sta vestendosi perché stasera ha un servizio extra da fare.

Carolina                    - Mio marito gli ha promesso da tanto tempo di suonargli un pezzo, vero?

Rosa                         - Sì, sarebbe così felice, Igor. Ma il maestro è sempre tanto occupato. (Altri colpi alla porta del bagno).

Carolina                    - (sorridendo) Il momento non è stato mai tanto propizio. Dite a vostro nipote che salga subito. E tornate anche voi. Siamo intese? Ci tengo.

Rosa                         - Ma se state per uscire.

Carolina                    - (accompagnandola alla porta e parlandole a voce bassa) E' per aiutarmi un momento. Devo fare qualche modifica al vestito. E così, se volete... (Sguardi e sorrisi di complicità fra Carolina e Rosa mentre questa sta uscendo).

Rosa                         - Potete contare su me e su mio nipote. Siete delle persone così simpatiche. Torneremo fra pochi minuti.

Carolina                    - Grazie, signora Rosa. (La signora Rosa esce. Gridando verso il bagno) La signora Rosa se ne è andata! (Eduardo esce furioso dal bagno).

Eduardo                   - Finalmente! E' un'ora che sto rinchiuso là dentro. Almeno hai trovato il gilè?

Carolina                    - No. Ma ho trovato la soluzione.

Eduardo                   - Quale soluzione? Sentiamola. (Il tele­fono squilla. Carolina stacca il ricevitore).

Carolina                    - Pronto? Sei tu? Sì... sono io.

Eduardo                   - Chi è?

Carolina                    - (a Eduardo) Sst! Il gilè!

Eduardo                   - Il gilè?

Carolina                    - (al telefono) No. Non l'abbiamo più ritrovato... Oh, come sei gentile... Ti adoro.

Eduardo                   - (sussidiando) Cosa?

 

Carolina                    - (al telefono) Ma no, non preoccu­parti! Te l'ho già detto. Eduardo è un falso magro.

Eduardo                   - (irritato) Ma con chi stai parlando?

Carolina                    - Siamo intesi. Te lo spedisco subito. Grazie e a fra poco, Goffredone! (Eduardo' afferra il ricevitore, ma Carolina interrompe la comunica­zione).

Eduardo                   - Ah, era il tuo straziante cugino.

Carolina                    - Era il mio straziante cugino, come dici tu, che ti presta un gilè.

Eduardo                   - Cosa? Un gilè? Io? Un gilè di Gof­fredo? Mai! Non è proprio il caso. Preferisco cre­pare. E d'altronde ho un gilè, possiedo un gilè, tutto mio, basta cercarlo.

Carolina                    - Impossibile. Non riesco a trovarlo.

Eduardo                   - Lo cercheremo fino a domani, se oc­corre.

Carolina                    - Ma è stasera che ti serve.

Eduardo                   - Non andremo alla serata.

Carolina                    - Sii ragionevole, Eduardo. E poi... Mi pare di ricordare bene che cosa ne è successo... del tuo gilè... Oh, è proprio terribile.

Eduardo                   - Parla.

Carolina                    - (esitante) Non c'è più... Credo di aver­lo buttato via...

Eduardo                   - (furioso) Mi stai prendendo in giro?

Carolina                    - (decisa) Niente affatto. Ricordo per­fettamente di averlo buttato via insieme a tante altre vecchie cianfrusaglie che ingombravano.

Eduardo                   - (fuori di sé) Pazza sfrenata, Era nuovo... o quasi. Lo avevo appena messo.

Carolina                    - (indignata) Era un vecchio gilè di tuo padre. Era tutto giallo e sfilacciato. Ricordi che avevi sempre detto che dovevi comperarne un altro?

Eduardo                   - Non ricordo di niente. E quand'è che l'hai buttato via il mio gilè?

Carolina                    - Deve essere circa un anno fa. Ma che vuoi farci? Non si può mica conservare tutto.

Eduardo                   - E perché non hai buttato via insieme anche il frac? (Disperato) Come diavolo farò, adesso, senza gilè?

Carolina                    - Ma è semplicissimo. Fai un salto da Goffredo. Vestiti. (Carolina porge un pantalone e un pull-over a Eduardo) Goffredo ti darà un gilè. Un bel gilè! (Imitando) Sarai magnifico. Mettiti questo e vallo1 a prendere.

Eduardo                   - (aggressivo, prendendo i vestiti) Ti giu­ro che se tu m'avessi detto che un giorno avrei por­tato un gilè di Goffredo... Deve talmente burlarsi di me, quello...

Carolina                    - (aiutandolo a vestirsi) Ma che si poteva fare a quest'ora? Non cambiarti le scarpe. Te le dovresti rimettere più tardi.

Eduardo                   - Mi stanno sullo stomaco tanto l'uno che l'altro, tuo zio e tuo cugino.

Carolina                    - E hai torto. Lo zio Claudio ti vuol molto bene...

Eduardo                   - (torvo) Ah, la signora ha già dimen­ticato le storie che ha fatto' quando ci siamo' sposati?

Carolina                    - Ci vuole molto bene e ti giuro che sarebbe felice che tu riuscissi.

Eduardo                   - (sempre torvo) Figurati... (Carolina gli tende una spazzola da abiti e lui se la passa mac­chinalmente sui capelli) E' contrariato d'avere un poveraccio come me nella famiglia. (Imitando l'ac­cento di Claudio) Un artista... Un artista oscuro vero? (Riprendendo il suo modo di parlare) Solo' che a me tanto lo zio Claudio che il cugino Foffo... (Suo­nano).

Carolina                    - So chi è: la portinaia.

Eduardo                   - Ancora? Abita qui con noi, la portinaia?

Carolina                    - Sii gentile, Dudù, te ne scongiuro.

Rosa                         - (d. d.) Siamo noi, signora...

Carolina                    - (febbrile, sottovoce) Eduardo1, bisogna, sentimi bene, bisogna che tu suoni un pezzo.

Eduardo                   - Alla 'portinaia?

Carolina                    - A suo nipote. Se non suoni, ci butte­ranno fuori di casa.

Eduardo                   - Ci buttano fuori? Perché?

Carolina                    - (supplichevole) La portinaia è così gen­tile con noi. Ci vuole bene... ed è disposta a fare di tutto col padrone di casa... (Suonano ancora).

Eduardo                   - Il padrone di casa che c'entra?

Carolina                    - (angosciata) Eduardo!

Eduardo                   - Non riesco a capire che stai inventando. Sai che devo uscire, debbo andare a prendere quel maledetto gilè, no?

Carolina                    - Ci andrai dopo. C'è tempo. Basterà che suoni per qualche minuto. Giurami che suone­rai un pezzetto.

Eduardo                   - (sgomento) Va 'bene. Te lo prometto.

Carolina                    - (a voce bassa) Grazie, Dudù. (Va per aprire, ma prima bacia la mano di Eduardo. Entrano la portinaia e Igor, suo nipote, colossale, in frac) Avanti, avanti signora Rosa.

Eduardo                   - (fra i denti) Buonasera, signora Rosa.

Rosa                         - Buonasera, maestro. Perdonate il disturbo. Mi permetto di presentarvi mio nipote Igor.

Eduardo                   - Igor? Siete russo?

Igor                          - (che guarda Eduardo con immensa ammirazio­ne) Da.

Eduardo                   - (stringendogli la mano) Ma parlate la nostra lingua?

Rosa                         - Certo. E' nato a Parigi e parla francese. Ma pensa in russo.

Eduardo                   - Pensate in russo?

Igor                          - Da.

Carolina                    - Perché ti meravigli? La cosa è norma­le: si pensa sempre nella lingua materna.

Rosa                         - Suo padre era russo.

 

Eduardo                   - Diremo la lingua paterna allora! (Ridono) Amate la musica?

Igor                          - (con gli occhi scintillanti) Ferocemente.

Eduardo                   - Comincia bene. E volete che suoni un I pezzo?

Igor                          - Sarà pazzesco!

Eduardo                   - (con simpatia) Pazzesco? E allora, proviamo. (Eduardo va verso il piano).

Carolina                    - Non volete sedere? In piedi si ascoltai male, sapete.

Rosa                         - Grazie, signora. (Si siedono).

Eduardo                   - (mettendosi al piano) Suonerò solo uni pezzetto, perché disgraziatamente abbiamo un impegno.

Carolina                    - (mondana) Mio marito esagera. Non  abbiamo mica una gran fretta.

Igor                          - (fuori dì sé) Basterà una nota. (Eduardo sor­ride. Annunzia) « Polonese» di Chopin.

Igor                          - Chopin. (Eduardo comincia a suonare. Carolina quasi subito fa un cenno alla signora Rosa  per invitarla a raggiungerla nel bagno. Eduardo si avvede della manovra).

Eduardo                   - Dove vai, Carolina?

Carolina                    - La signora Rosa mi aiuta a mettere un punto all'abito. (Entrano tutte e due nel bagno).\

Eduardo                   - Che abito?

Carolina                    - (d. d.) Ma via, Dudù, suona... Che] abito? (Appare un attimo sulla porta del bagno) Que­sto... lo vedi? (Eduardo scuote la testa continuando a suonare e fa l'occhietto a Igor, che gli risponde con una mimica entusiasta. Una frase musicale ha termine. Igor scoppia).

Igor                          - Pazzesco, monumentale!

Eduardo                   - (duro) Non è ancora finito.

Igor                          - (si alza subito e va verso Eduardo) Umil­mente, chiedo perdono.

Eduardo                   - (indicandogli la sedia) E io vi perdono. (Eduardo eseguisce una seconda frase, dopo la quale Igor non si muove più) Ebbene, ho finito.

Igor                          - Maestro. Non dirò che una parola: questo Chopin è grande, ma voi... voi... Ho creduto di rico­noscere il vento della steppa...

Eduardo                   - Se siete nato a Parigi...

Igor                          - Ho il cuore pieno di steppa, maestro...

Carolina                    - (compare sulla porta del bagno) Non è ancora finito, vero?

Eduardo                   - Sì che è finito.

Carolina                    - Non suoni il secondo movimento?

Igor                          - C'è anche un secondo movimento? Ah, quel­lo Chopin...

Eduardo                   - Bene. Ma non ho molto' tempo e allora suonerò solo il primo movimento del secondo movi­mento.

Igor                          - Tutti i movimenti che vorrete.

Eduardo                   - Non temete. Non ce n'è per molto.

Igor                          - Una sola nota 'basterà. (Eduardo ricomincia a suonare e s'avvede che la porta del bagno si richiu­de discretamente. Butta giù allora un accordo con violenza che fa sussultare Igor, smette di suonare e fa un salto verso il bagno; mentre Igor, alzandosi al colmo dell'entusiasmo grida) Stupefacente finale!

Eduardo                   - (arrabbiato a Igor, spalancando la porta del bagno) Non ho finito! (Igor si siede contrito) Carolina, perché ti chiudi nel bagno?

Carolina                    - (comparendo sulla porta e respingendo Eduardo) Ma suona, Dudù. Io ho da fare. (Si gira verso l'interno del bagno) Vedete che tipo è, signora Rosa? (Senza preoccuparsi, scompare chiu­dendo la porta in faccia a Eduardo. Questi, rabbioso, torna al piano e ricomincia a suonare. D'un tratto il telefono comincia a squillare. Igor si guarda attorno spaventato, vede un cuscino, lo posa sull'apparecchio. Eduardo continua a suonare fino alla fine del tempo. Igor si precipita subito su Eduardo con una specie di ruggito e gli bacia a viva forza la mano).

Igor                          - M'avete strappato l'anima. Sono vostro ser­vo per l'eternità. (E subito verso il bagno) Zietta, devo andarmene. E' tardi.

Eduardo                   - (sollevato) Come? Ve ne andate?

Igor                          - Ho un servizio extra in città. Ah, maestro! Dopo questo fiume di armonia e di spiritualità, il povero Igor deve piegarsi al servizio di qualche im­becille. Triste destino... (Carolina è uscita intanto dal bagno in vestaglia, seguita dalla signora Rosa).

Carolina                    - Allora? Era bello?

Eduardo                   - Come? Ti sei spogliata?

Rosa                         - (a Igor) Non posso uscire insieme a te.

Igor                          - Mi sento tutto1 rovesciato di dentro.

Eduardo                   - E allora, cari amici... credo che...

Carolina                    - Bravo Dudù! E' ora che tu vada a prendere il gilè.

Igor                          - (afferrando la mano di Eduardo) Tolgo' l'in­comodo, maestro.

Eduardo                   - (getta un grido scuotendo la mano dopo la vigorosa stretta) Piano, mi distruggete gli stru­menti di lavoro... (Igor esce mortificato; la signora Rosa rientra nel bagno).

Carolina                    - Presto, presto, Dudù. Saremo in ritar­do; prendi un taxi.

Eduardo                   - Ma è a due passi.

Carolina                    - Prendilo lo stesso. Costerà sempre me­no che comperare un gilè nuovo e tornerai subito.

Eduardo                   - (baciandola) Bene, amore. (Esce).

Carolina                    - Presto, signora Rosa, non abbiamo tempo da perdere. (La signora Rosa appare col ve­stito di Carolina, che depone sul letto).

Rosa                         - Qui possiamo lavorare meglio.

Carolina                    - E' quasi terminato.

Rosa                         - Avrete un gran successo, alla serata.

Carolina                    - (aprendo la radio) Fortuna che c'era­vate voi ad aiutarmi.

 

Rosa                         - Anche il signore avrà un grande successo. E' un così bel ragazzo.

Carolina                    - Non lo so se è un bel ragazzo, ma so che può piacere molto alle donne.

Rosa                         - E voi non siete gelosa?

Carolina                    - Sì. Se un uomo dovesse farmi soffrire per gelosia, tutto sarebbe finito e subito.

Rosa                         - E' geloso, lui?

Carolina                    - Come una tigre.

Rosa                         - Vi ha già picchiata?

Carolina                    - Ma che state dicendo? Picchiata?

Rosa                         - La vera gelosia, il vero amore, è essere pic­chiata.

Carolina                    - Ma siete pazza? Vi giuro, signora Rosa, che se mio marito dovesse soltanto sfiorarmi con la punta delle dita, lo pianterei per sempre.

Rosa                         - No?!

Carolina                    - Sì. Per sempre.

Rosa                         - La signora manca di esperienza e vede le cose da un punto di vista romantico. La donna oggi è cambiata come è cambiato l'uomo. Tanto hanno fatto le donne, che sono riuscite ad avere il loro posto in parlamento, il diritto al voto, alle carriere più impensate. Ambasciatrici, aviatrici, dottoresse. Quindi la donna è - perché lo ha valuto - sullo stesso piano dell'uomo. E perché dunque non accet­tare quello che distingue l'uomo dalla donna, per natura, cioè l'espressione della forza?

Carolina                    - Cosicché voi vedete addirittura la mo­glie e il marito ideali picchiarsi vicendevolmente di santa ragione?

Rosa                         - E perché no? In fondo, anche se la donna non. reagisce, non risponde e si limita ad incassare uno schiaffone di tanto in tanto, ringiovanisce l'amore.

Carolina                    - Il nostro amore è abbastanza giovane com'è.

Rosa                         - Lo credo bene. Ma un giorno verrà in cui avrà bisogno di essere rinfrescato, ringiovanito. Ricor­date bene quello che vi dice una donna che ha dell'esperienza. Bisogna che sia più lungo dietro che davanti.

Carolina                    - (interdetta) Di che state parlando?

Rosa                         - Dell'amore, perbacco. Della felicità.

Carolina                    - Ed è l'amore che deve essere più lungo dietro che davanti?

Rosa                         - No, il vestito. Ecco fatto. (Solleva l'abito con ammirazione).

Carolina                    - Siete un angelo, signora Rosa. Senza il vostro aiuto non ce l'avrei fatta.

Rosa                         - E' stato un piacere per me e il maestro . ha regalato un momento di felicità al mio povero Igor.

 (Carolina riaccompagna alla porta la signora Rosa. Ritorna subito al suo febbrile lavoro. Aumenta il volume della radio, distende il vestito sul piano­forte, dopo aver cercato un posto dove metterlo.

Quindi prende il ferro da stiro elettrico e dispone uno sgabello vicina al piano per lavorare meglio, salendovi. Ma lo sgabello non è abbastanza alto e al­lora si serve di volumi dell'enciclopedia. Comincia a stirare il vestito. D'un tratto, dal pianerottolo ester­no, sì sente la voce di Eduardo).

Eduardo                   - (d. d.) Carolina! Carolina! (Carolina spaventata afferra il vestito e fugge nel bagno, la­sciando il ferro sul pianoforte. Eduardo entra. Getta uno sguardo circolane e corre alla radio, urlando) Ca­rolina! Dove ti sei cacciata? (Si sente un gridare indi­stinto che viene dal bagno) Cosa dici? (Eduardo spe­gne la radio e va verso il bagno, dove Carolina si è chiusa) Apri!

Carolina                    - (d. d.) Non ho finito!

Eduardo                   - Facciamo tardi! Dovremmo già essere a casa dello zio!

Carolina                    - (d. d.) Arriveremo in tempo. Comincia a vestirti.

Eduardo                   - Non capisco. Che stai dicendo?

Carolina                    - (d. d.) Ti ho chiesto se hai il gilè.

Eduardo                   - (cominciando a vestirsi) Figurati! Ho dovuto sorbirmi tutta la famiglia!

Carolina                    - (d. d.) Povero Dudù!

Eduardo                   - Come?

Carolina                    - (d. d.) Dico: povero Dudù.

Eduardo                   - Niente affatto. Ero molto a mio agio.

Carolina                    - (d. d.) Sì... sì...

Eduardo                   - (picchiando1 alla porta con una scarpa) Molto a mio agio! Sai chi ho visto?

Carolina                    - (d. d.) Non ancora. Ma sto per saper­lo. Chi hai visto?

Eduardo                   - La signora Barville. Era già arrivata. Le ho fatto una grande impressione. Mi aspetta con... (II suo sguardo è finalmente andato a cadere sul ferro da stiro che è sul pianoforte) Accidenti! (E correndo verso il piano; afferra l'arnese, lo avvicina, alla guan­cia e urla) Carolina!

Carolina                    - (di d.) Che succede?

Eduardo                   - Hai dimenticato il ferro da stiro sul pianoforte! Sei pazza! Il mio pianoforte! Povero pianoforte (Passa delicatamente una mano sulla parte bruciata constatando il disastro. Poi stacca il filo del ferro e s'avvede che lo sgabello è issato sui quattro volumi dell'enciclopedia. Eduardo emette una specie dì gemito).

Carolina                    - (d. d.) Ti sentì male? (Silenzio) Ma ri­spondimi, Dudù! Che cosa è successo?

Eduardo                   - Hai adoprata ancora la mia enciclo­pedia!

Carolina                    - (d. d.) Dudù, perdonami! (Silenzio) Ah, senti... Dudù!? Va' a sederti sulla poltrona. Sto per uscire.

Eduardo                   - (rassegnato) Ci vado. (Va a sedersi).

Carolina                    - (d. d.) Ci sei?

Eduardo                   - Ci sono. (La porta del bagno si apre e Carolina appare. Il famoso Vestito, che prima era lungo, davanti supera di poco il ginocchio e dì dietro fa una specie di coda. Eduardo si alza di colpo) No. Non è vero, sto sognando! (Rimangono interdetti un momento uno di fronte all'altro. Carolina ha una breve risata inquieta. Eduardo fa due rapidi passi verso sua moglie) Distalo subito! Te lo ordino.

Carolina                    - Ma cosa vuoi che disfi? E' tagliato...

Eduardo                   - (prendendo Carolina per le braccia e scuo­tendola tutta come un forsennato, grida) Dimmi che non è vero! Dimmi che non l'hai fatto!

Carolina                    - Fermati... Mi fai male!

Eduardo                   - (lasciandola) Dove sono i pezzi? (Caro­lina esita, poi va verso il letto e sotto ai cuscini si impadronisce di un certo numero di ritagli dì stoffa che vi si trovavano nascosti) Li avevi nascosti bene!

Carolina                    - Volevo farti una sorpresa.

Eduardo                   - (impadronendosi con rabbia dei brandelli di stoffa) Ci sei riuscita in pieno! (Getta a terra la stoffa e mostra lo specchio a Carolina) Ma guar­dati, incosciente, guardati!

Carolina                    - (guardandosi) Proprio così... E' formi­dabile! Credimi, ti sorprende forse al principio... ma poi t'accorgi che è formidabile! (Eduardo, con lo sguardo perduto, cerca bruscamente un oggetto da rompere. Vede il bicchiere che è sul piano con l'or­chidea. Se ne impadronisce e lo scaraventa lontano. Carolina, calma, raccoglie delicatamente l'orchidea, torna verso Eduardo e gli tocca un braccio) Andiamo, Dudù... Poteva sciuparsi. (Eduardo spinge via Caro­lina con violenza. Carolina riavvicinandoglisi, con dolcezza) Mio caro Dudù... cerca di dominarti... cal­mati! (Con voce soave) Ti spiego tutto, se vuoi... vedi, tu non sei molto al corrente della moda, ma davvero le donne eleganti portano oggi gli abiti da sera corti...

Eduardo                   - Non è possibile, non è possibile...

Carolina                    - (perdendo di colpo la calma e gridando) Proprio così, invece. Tutte portano abiti da sera .corti.

Eduardo                   - Avevi uno splendido vestita e adesso sei ridicola, grottesca! (Disperato) Che bella riuscita. (Mostrando il bordo della gonna) Non hai nemmeno saputo tagliarlo alla stessa altezza! E' più lungo die­tro che davanti! Ridicolo!

Carolina                    - Ma è fatto apposta! Lo vedi che non capisci niente? Si chiama movimento a tuffo!

Eduardo                   - (rabbioso) Ah! (Carolina sì precipita su un vaso con l'intenzione di scaraventarlo su Eduardo, ma questo previene il gesto e mette il vaso in salvo).

Carolina                    - Mi disgusti! Ti odio.

Eduardo                   - (gridando) Come?

Carolina                    - (folle di rabbia facendo un passo verso Eduardo) Ti odio! Ti odio! Sei un essere dete­stabile. (Eduardo perde il controllo e schiaffeggia Carolina. E subito dopo resta immobile, stupefatto, con la bocca aperta, cerca di comprendere l'enormità del suo atto).

Eduardo                   - Tesoro mio... scusami... non volevo... non volevo proprio...

Carolina                    - (soffocata) Sono molto soddisfatta, mol­to contenta. (Col fiato grosso) Era proprio quello che aspettavo. Sei proprio come mi auguravo! (E subito lo schiaffeggia di rimando. Eduardo incassa senza proteste la prima scarica ma, minacciato dalla secon­da, afferra al volo i polsi di Carolina e glieli torce dietro le spalle).

Eduardo                   - (supplichevole) Carolina! (Carolina tenta di mordere Eduardo al naso) Carolina, Carolina, ma via. Sii ragionevole. Che cosa ti succede? (Carolina va a gettarsi sul letto in singhiozzi. Eduar­do a sua volta si avvicina al letto e cerca di attirare a sé Carolina) Mi dispiace Carolina... E' accaduto mio malgrado... non volevo... Ma tu mi avevi messo in un tale stato! (Carolina si volta a metà ed Eduardo riesce quasi a prenderla fra le sue braccia) Carolina... ti amo tanto... Ma tu mi hai talmente fatto arrab­biare... Avresti dovuto capire che non era proprio il momento di fare delle stupidaggini... Cerca di ca­pire, Carolina... E' la prima volta che riesco a suonare da qualche parte, a suonare davanti a un pub­blico che può lanciarmi... e tu comprometti tutto' in un modo così stupido... Quell'idea di tagliarti il ve­stito...

Carolina                    - (strappandosi bruscamente da lui) Ri­cominci?

Eduardo                   - (alzandosi anche lui) Ma no! Non ca­pisci proprio niente!

Carolina                    - Vattene, vattene, sei una bestia! Be­stia! Non hai la minima educazione. La volgarità ti esce dappertutto. Il tuo schiaffo mi ha aperto gli occhi. Vattene, ti ho detto! Non voglio più rivederti, mai! Lo zio Claudio, Goffredo, mia madre, mio non­no tutti mi avevano prevenuto, tutti mi avevano messo in guardia contro questo matrimonio. E come avevano ragione! Faccio una vita da cani! Ho dovuto romperla con tutti i miei amici di una volta. Non vado mai più a una serata, mai più a una festa, mai più a un ballo, perché al signore non piace ballare, il signore preferisce Chopin! Ma vattene, vattene col tuo Chopin!

Eduardo                   - (perduto) Ma Carolina... stai parlando sul serio?

Carolina                    - Il cameriere di un caffè, un addetto all'ascensore di un albergo, ecco gli amici del si­gnore, ecco1 le visite che noi riceviamo. E se per caso è cosacco e porta sua zia la portinaia, tanto: me­glio, sarà il favorito! Oppure i compagni del Con­servatorio, che non si lavano mai... E poi le inter­minabili discussioni sulla musica docaco docadeco-nica...

Eduardo                   - Dodecafonica, tesoro... Credevo che fos­simo felici, noi due. Credevo1 che tu fossi felice di aver piantato i tuoi Cocò Ciecì e Goffredone, per i miei amici di Conservatorio che non si lavano molto...

Carolina                    - Goffredone non avrebbe mai osato schiaffeggiarmi. L'idea non gli sarebbe neppure per un attimo passata nel cervello... Invece tu, sì... Mi hai schiaffeggiata. (Si butta nuovamente sul letto) Vattene! Vattene! Non voglio più vederti, mai più!

Eduardo                   - (la guarda un momento, è rassegnato. Crolla le spalle) Bene. Se è quello che desideri. (Infila il frac, prende un impermeabile ed esce. Carolina si alza, ma vedendo che la porta si riapre, si butta nuovamente sul letto. Eduardo rientra, va fino al letto, prende i guanti posati sul comodino da notte, senza nemmeno posare uno sguardo su Caro­lina, ed esce questa volta definitivamente. Carolina si alza lentamente, guarda tutt'attorno).

Carolina                    - Oh! (Poi si getta sud vaso precedente­mente salvato da Eduardo, lo getta a terra con fu­rore, riducendolo in pezzi. Poi prende l'orchidea, la getta a terra e la calpesta furiosamente).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(E'appartamento dei Beauchamps. In primo piano un vasto salone che si prolunga in un altro salone, da cui è separato con un arco e grande porta vetrata, o altro: bisogna indovinare un salone da ricevimento in secondo .piano, dove avrà luogo il concerto. A destra in primo piano l'inizio di un vestibolo che dà sull'ingresso. Sempre a destra un ricco buffet, montato su una larga tavola a cavalletti. A sinistra un piccolo tavolo con telefono e poltrone, divani, poltroncine. Un'eleganza un po' vistosa di gente indubbiamente assai ricca. All'alzarsi del sipario si indovina della gente nel secondo salone. Giuliano attraversa la scena portando un dolce per il buffet. E' raggiunto1 da Claudio che appare dal secondo salone, molto agitato).

Claudio                    - Giuliano, chi si occupa dei rinfreschi? Voi o il cameriere aggiunto? E' poi arrivato questo cameriere?

Giuliano                   - Mi segue, signore, con lo sciampagna. Mi permetto però di avvertire il signore che ho con­statato qualcosa di irreparabile.

Claudio                    - Dite, dite subito, Giuliano! Senza preamboli. Ali, che serata; sono pronto a sentirne di ogni colore.

Giuliano                   - Porta i baffi, signore.

Claudio                    - Ma chi?

Giuliano                   - L'aggiunto, signore.

Claudio                    - L'aggiunto porta i baffi? (Il cameriere aggiunto appare: è Igor. Porta un vassoio con botti­glie di sciampagna. Davanti a Claudio si ferma un attinto, si inchina rigidamente. Claudio ha un moto di paura toccandosi desolato le labbra per indicare i baffi) Mio Dio, è vero, porta i baffi. (Richiamando Igor che nel frattempo ha continuato) Dite un po', amico, voi portate i baffi?

Igor                          - (deponendo il vassoio e toccandosi i baffi) Baffi?

Claudio                    - Avete l'aria di non capire. Ho detto baffi. '

Giuliano                   - Il signore ha detto baffi.

Igor                          - Avevo capito.

Claudio                    - E che accento atroce, per giunta! Di che paese siete?

Igor                          - Sono russo, signore.

Claudio                    - Russo?

Igor                          - Da.

Claudio                    - Come vi chiamate?

Igor                          - Igor.

Claudio                    - Igor. Non c'è dubbio, è russo! (A Giu­liano) Russo, capite? Ah, li sapete scegliere bene i vostri aiutanti!

Giuliano                   - (disperato) Russo? (Si allontana scuo­tendo la testa e scompare verso l'ingresso).

Claudio                    - Spero almeno che le vostre idee poli­tiche...

Igor                          - Signore...

Claudio                    - Perfetto... ho sentito... Siamo perfetta­mente d'accordo!

Giuliano                   - (rientra annunciando) Signore, il pia­noforte.

Claudio                    - (andando verso l'ingresso) Finalmente! Ero proprio inquieto. (II signore e la signora Barville entrano intanto dal secondo salone mentre un pianoforte a coda, portato da tre facchini, viene dal vestibolo).

Barville                     - Ma che idea, caro Claudio. Avete com­perato un nuovo pianoforte?

Claudio                    - Eh sì, amico mio. E l'ho fatto ancora una volta per la mia piccola Caroline. (Pronuncia: Carolarne).

La Signora Barville - Ma l'altro pianoforte non andava?

Claudio                    - Pare di no. Quell'Odoardo, quel grande artista di Odoardo, l'ha provato l'altro giorno e lo ha definito una casseruola. Dopo avervi appena poggiato le dita.

La Signora Barville - Una casseruola?

Claudio                    - Mentre invece stava perfettamente al suo posto nel salone. Vero? Che ne dite, Barville? (Spaventato- per l'ingresso dei facchini) Attenzione! Attenzione! Soprattutto non appoggiatevi ai muri! Giuliano! Che cosa fate? Venite qui, andiamo! Mi lasciate tutto solo...

Giuliano                   - Sissignore, signor Claudio.

Claudio                    - (ai facchini) Un momento, signori, un momento, ve ne supplico... Ah, rovineranno il tap­peto! Giuliano, date un aiuto... (Giuliano si getta per sottrarre il tappeto, ma Igor interviene, con zelo, e tira a sé violentemente il tappeto con il tavolino del telefono e la signora Barville che si trovava passando. La signora Barville, a terra, dopo un attimo di disorientamento di tutti, scoppia a ridere. Claudio precipitandosi ad aiutare la signora Barville) Mia cara... Mio Dio...

Barville                     - Tesoruccio...

La Signora Barvllle  - (sempre ridendo) Non è niente.

Igor                          - (affermativo) Non è niente.

Claudio                    - (con un'occhiataccia) Trovate? (Ai fac­chini) Quanto correte! La strada è ormai libera. (I facchini avanzano) Piano... piano... Ah, tutte queste manovre nel salone... (E quando i facchini stanno per entrare nel secondo salone, Claudio li ferma con un gesto) Scusatemi, ma state accorti, tutti i mobili, i soprammobili, gli oggettini, i bibelots che adornano il mio salone, non hanno prezzo per me. Pezzi da collezione, ricordi di famiglia... Capite quel che intendo dire? (Si mette da parte e il piano avanza) Giuliano, seguitelo! Andiamo! (Richiamandolo) Giu­liano! (A bassa voce) Date una mancia a quei bravi uomini (più forte) e ringraziateli tanto da parte mia. (Appena il pianoforte è scomparso, per la stessa porta vetrata del fondo entrano Uberto de Mosle e Gof­fredo. Quest'ultimo si dirige immediatamente verso la signora Barville e le si siede a fianco, mentre il signor Barville raggiunge Claudio e de Mosle).

Uberto                      - (a Claudio) Hai visto dove ti mettono il piano? Non mi pare il posto adatto.

Claudio                    - Cosa? Ah! Ne vedrò delie belle stasera. Già l'ho detto che ero pronto a sentirne di ogni colore. Carolina che smarrisce il gilè del marito e il mio Foffo che deve in qualche modo rimediare. Giuliano che assume camerieri aggiunti con baffi e di nazionalità russa. Ma che pericoli! Ah, mio caro... che rischi. E adesso non si sa dove quel genio di Odoardo vorrebbe il pianoforte. Andiamo a vedere  (Séguito da Barville e de Mosle, scompare nel se­condo salone).

Goffredo                  - Quel caro povero Claudio! Mio padre è assolutamente fuori fase, stasera. La Signora

Barville                     - Ma Claudio è sempre un po' fuori fase. Non è come voi, che siete la calma fatta persona. Vi osservavo, Goffredone, poco fa. Che freddezza, che nervi saldi.

Goffredo                  - (lusingato) Davvero? Meno che quando vi vedo, bella signora.

La Signora Barville  - (ridendo) Per fortuna che mi vedete così poco, bel signore.

Goffredo                  - Ma vi giuro che, con voi, vorrei essere sempre fuori carreggiata.

Igor                          - (intervenendo) Una coppa di sciampagna?

Goffredo                  - (proponendo alla signora Barville che ride ancora) Perché no? (Igor torna al buffet). La Signora

Barville                     - Come devo interpretare quello che dite, ragazzaccio? Vi siete fatto così raro, così invisibile in questi ultimi tempi. E' in questo modo che vorreste perdere la calma, Foffo? (I facchini ripassano nel momento in cui Igor porta il vassoio con le coppe dello sciampagna. Serve Gof­fredo e la signora Barville, facendo un cenno ai fac­chini, poi si avvicina sorridente ad essi e li serve. Claudio sì ferma stupefatto sulla porta del salone).

Claudio                    - Igor! (Igor e i facchini interdetti si vol­tano verso di lui, che si riprende) Avete fatto benis­simo, bravo! (I facchini fanno un cenno di saluto ed escono) Vi dico bravo, Igor. Lo sciampagna non può e non deve più essere il retaggio di una classe privilegiata. Esso deve essere gustato da tutti: il vostro Paese ce lo insegna. (Mentre parla, viene rag­giunto nuovamente da Uberto de Mosle con altri due invitati, suo fratello Dalmazio de Mosle e Olivia Pelpel).

Uberto                      - E il tuo strimpellatore?

Dalmazio                  - E' vero. Credo che avevamo diritto a un concerto.

Claudio                    - Pazientate ancora, amici miei. Sta per arrivare.

Goffredo                  - Un piccolo ritardo dovuto a ragioni tecniche, come si dice... (Ride da solo).

Uberto                      - Aspettandolo, potremmo fare un pic­colo bridge.

Claudio                    - Eccellente idea. (Si avvia verso l'altro salone).

Olivia                       - (voce di testa) Ma voi siete dei nostri, Claudio?

Claudio                    - Veramente...

Dalmazio                  - Andiamo, andiamo... Vieni con noi!... (A questo punto dal vestibolo appaiono Fiorenza Bordi e suo marito. Claudio si precipita loro in­contro).

Claudio                    - Fiorenza, che gioia! (A Bordi, in pes­simo inglese) My dear friend!

Borch                       - (forte accento americano) Bonasera a tutta la compagnia.

Florenza                   - Siamo spaventosamente in ritardo.

Claudio                    - Ma niente affatto.

Florenza                   - (guardando l'orologio a polso) Oh, è ancora più tardi di quanto pensavo. E' terribile.

Claudio                    - Andiamo, Fiorenza... E' la vostra parte. Voi siete una regina... Una regina deve farsi aspet­tare. (A Borch) Don't you think? A Oueen must be waited.

Borch                       - Preferisco che parlate vostra lingua. Non capire niente io, quando voi parlate inglese.

Claudio                    - (seccato) Veramente?

Borch                       - (convinto) Neanche una parola.

Florenza                   - E' strano, Spencer. (A Claudio) E' strano che Spencer non comprenda il vostro inglese. Mi pare che lo parliate perfettamente.

Claudio                    - (piccato) L'ho imparato al Liceo e all'Università. (A Borch) Oxford, you know?

Florenza                   - Tutto spiegato allora. La lingua di Oxford non ha nessun rapporto con quella di Chicago.

 

Claudio                    - (rassicurato) E' possibile, poiché in In­ghilterra mi capiscono perfettamente.

I Giuocatori              - E allora, Claudio? Stiamo aspet­tando.

Claudio                    - Eccomi! (Si avvia).

Florenza                   - (a mezza voce) Siate educato, Spen­cer, ve ne prego.

Claudio                    - (verso Fiorenza) Sono dei tiranni, Fio­renza. In fondo io detesto il bridge.

Florenza                   - Vengo a salvarvi. Fidatevi di me. (Va verso il gruppo dei giuocatori).

Secondo giuocatore    - Cara amica... Cara Fio­renza... Meravigliosamente bella, come sempre...

Florenza                   - Vero? Vi porto un nuovo giocatore. Mio marito, Spencer Borch... La signora Olivia Pelpel... Uberto, de Mosle e Dalmazio de Mosle... (Borch si inchina lievemente. Poi imperiosamente a Borch) Bridge... (Lo sfinge in mezzo agli altri) Ecco fatto! (E, con un colpo sulla spalla di suo marito) Be a good boy.

Dalmazio                  - (a Borch) Gli faremo vedere come si giuoca a bridge... (Passano nel secondo salone).

La Signora Barville  - (che è rimasta un po' in disparte durante tutta la scena, a Goffredo) Bè, che aspettate? Eccone un'altra che vi mette fuori fase. Andate a baciarle la mano...

Goffredo                  - Più tardi... Sto tanto bene qui... La Signora

Barville                     - E' splendida stasera, Fio­renza. Molto bello il vestito, avete visto?

Goffredo                  - Ho visto.

La Signora

Barville                     - Non vi stacca gli occhi di dosso.

Goffredo                  - Insomma, vuole che vada a salutarla. Bisogna farlo. Scusatemi. (Goffredo va verso Fio­renza che è rimasta in piedi vicino alla vetrata che dà sul secondo salone, insieme a Claudio).

Florenza                   - Bonjour, Goffredone.

Goffredo                  - Buonasera, bella Fiorenza. (Barville esce dal secondo salone, prende Claudio sotto brac­cio e lo porta verso sita moglie).

Barville                     - Buonasera, signora Borch. Muoio di sete... (Passando prende la signora Barville e sì dirigono tutti al buffet. La signora Barville non stacca gli occhi da Goffredo) Beviamo qualcosa.

Florenza                   - (accennando al proprio abito) Vi piace?

Goffredo                  - Molto. Mi piacete molto.

Florenza                   - Attenzione. Lucy Barville ci osserva.

Goffredo                  - Davvero?

Florenza                   - L'avete turbata, caro. Vi trova molto chic. E non è la sola, d'altronde...

Goffredo                  - Smettetela di adularmi. Se andassimo da quella parte e ci sedessimo un po'... (Vanno a sedersi dove poco prima era la signora Barville).

La Signora Barville  - (a Claudio) Sono un po' delusa, sapete... E il musicista non viene più?

Claudio                    - Ci mancherebbe altro! (Consulta im­paziente l'orologio).

La Signora

Barville                     - Goffredo dovrebbe tele­fonargli, no?

Claudio                    - Buona idea. (Si dirige verso Goffredo) Allora... Ci troviamo in pieno flirt, vero Fiorenza?

Florenza                   - Vostro figlio è molto chic, Claude... E si comprende sapendo l'origine, caro.

Claudio                    - Grazie, Fiorenza. Ma mi perdonerete di turbare quest'idillio? Goffredo, telefona a Caro­line. Sono tutti e due in gran ritardo. Non capisco... proprio non capisco...

Florenza                   - Forse non verranno più? Ma è ter­ribile! E il concerto, allora?

Claudio                    - Come, non verranno più? Ci man­cherebbe altro. Sapeste quante discussioni per arri­vare a concludere questo concerto! Ah, gli artisti! Voi non potete nemmeno immaginare, Fiorenza. Mi chiedo sempre come facciano, a vivere. Sono, sde­gnosi, alteri, presuntuosi. Gente che vive nell'asso­luta incoscienza, ve lo assicuro. E poi si mettono al piano, e poi fanno tanti sci sci, e poi non va loro bene niente... E arrivano a fare che cosa? Esatta­mente quello che potrei fare io o voi, se avessimo tempo, per esempio, di dedicarci al piano. Perché, date retta a chi se ne intende, l'arte è una questione di tempo. Noi invece siamo vittime del daffare, degli impegni; mai un minuto per noi stessi... Siamo degli altruisti, noi, mentre gli artisti, sono degli egoisti. Guardate Odoardo: si permette di venire quando gli pare. Ritarda. Non dà importanza al tempo. Su Gof­fredo, telefona. Vedi un po'. Tu hai tanto ascen­dente su tua cugina! (Via. La signora Barville e suo marito vanno nel secondo salone).

Goffredo                  - Pardon, Fiorenza. (Prende il telefono, fa un numero, aspetta) Non rispondono. Devono essere già usciti... Ah, no... (Goffredo ascolta. La sua faccia rivela lo stupore. Riattacca il ricevitore) Acci­denti! (Dimenticando Fiorenza, tutto preso dalla te­lefonata) Farabutto, mascalzone, esistenzialista!

Florenza                   - Ma che succede?

Goffredo                  - Non potreste capire... Scusatemi, ora debbo lasciarvi. Che disdetta; proprio ora che aveva­mo tante cose da dirci. (Bacia la mano a Fiorenza, che è seccatissima. Mentre sta per uscire si trova fac­cia a faccia di Eduardo) Ma Eduardo, che diavolo stai facendo?

Eduardo                   - (assente) Bene... Stavo entrando, mi pare. .

Goffredo                  - Lo avrei indovinato da solo. Ma al­meno sai che sei molto in ritardo? Tutti ti aspet­tano. Entra. Non restar lì impalato. Ma sei solo? Dov'è Carolina?

Eduardo                   - Carolina è... sofferente...

Goffredo                  - Ah! (Falso) Povero Eduardo.

Eduardo                   - (come svegliandosi) Stavi uscendo?

Goffredo                  - Come vedi, caro. Esco. Mi dispiace, cercherò di tornare appena possibile. E' vero che rischio di non sentirti suonare, ma è molto importante che esca... (Esce. Eduardo, sempre come as­sente, si guarda attorno. D'un tratto i suoi occhi si posano sul telefono. Stacca il ricevitore senza avve­dersi di Fiorenza che ora è mezzo nascosta dalla pol­trona nella quale è rimasta seduta. Eduardo forma un numero. Fiorenza sì alza. Eduardo ha un moto di sorpresa e riaggancia).

Florenza                   - (sorridente) Telefonate. Telefonate pure... prego. Io me ne vado.

Eduardo                   - Grazie, signora. Ma potete restare. Era senza importanza.

Florenza                   - Voi siete Eduardo, vero?

Eduardo                   - Sì, signora. (In questo momento Claudio entra precipitosamente).

Claudio                    - (a Eduardo) Ma perbacco, Odoardo! Siete arrivati terribilmente in ritardo!

Eduardo                   - Chiedo scusa, zio Claudio.

Claudio                    - Oh! my dear... soprattutto non chia­matemi mai zio Claudio. Chiamatemi Claudio, come mi chiamano tutti. Detesto di essere zio di qualcuno.

Eduardo                   - Non posso rendermene conto.

Claudio                    - No, davvero? Allora entrate, entrate... dear old chap. Che vi si veda. Mostratevi. Si comin­ciava a dubitare della vostra esistenza. (A Fiorenza) Non è vero, honey? Ma dov'è Caroline? (Si dirige molto eccitato verso il vestibolo, chiamando Carolina).

Florenza                   - Venite. Faremo insieme l'ingresso nel gran mondo. Tutti vi aspettano con impazienza.

Claudio                    - (rientrando a precipizio) Ma, mio caro, dov'è Caroline?

Eduardo                   - E' sofferente.

Claudio                    - Ma è impossibile, andiamo, non è ra­gionevole. Goffredo l'ha vista poco fa. Mi ha detto che stava benissimo, che si stava preparando. Che cosa è accaduto, Odoardo?

Eduardo                   - Non lo so di preciso... zio Claudio.

Claudio                    - Fate uno sforzo; cercate di ricordarvene.

Dalmazio                  - (entrando e preridendo a parte Claudio) Claudio, abbiamo bisogno dei tuoi lumi. Come si dice « sans atout » in inglese?

Claudio                    - Ma andiamo, Dalmazio... Non è il momento...

Dalmazio                  - Claude, è importante. Siamo tutti bloccati. Sans atout...

Claudio                    - E' facile... Si dice... Without...

Dalmazio                  - Without l'avevamo già trovato. E' atout che ci manca.

Claudio                    - Without... e poi... Ho la parola sulla punta della lingua...

Dalmazio                  - Ma che ci sei stato a fare a Oxford?

Claudio                    - Siamo salvi. Fiorenza ce lo dirà di cer­to... Cara Fiorenza, abbiamo bisogno dei vostri lumi. Venite al nostro tavolo di bridge.

Florenza                   - (sorridendo a Eduardo) Scusatemi. Spero di tornare subito. (Va verso il secondo salone ed esce).

Claudio                    - Ah, ecco: Odoardo. Avevo dimenticato.

Eduardo                   - Dimenticato cosa, zio?

Claudio                    - Che eravate lì. Ma già.

La Signora Barville  - (entrando dal secondo salone) Fiorenza mi ha detto che siete finalmente arri­vato, caro maestro. Come siete bello. Sapete che è un gran bel ragazzo, Claudio?

Claudio                    - Certo: è il marito di mia nipote. La Signora

Barville                     - Dunque ci suonerete qual­cosa? Che fortuna. Sapete che sono impaziente di ascoltarvi? Mi hanno tanto parlato di voi... (Portan­dolo verso il buffet) Ma prima prenderete qualcosa per darvi un po' di tono...

Eduardo                   - Grazie, signora. Non ho fame. La Signora

Barville                     - Niente, niente. Andiamo al bar insieme, mentre Claudio' chiama mio marito che ancora conoscete poco. Voglio che vi conosciate meglio. (Claudio va verso il secondo salone) Sa­pete, Eduardo, che mio marito può tutto alla Società dei Concerti? Caro maestro, noi faremo di voi un grande pianista. Contento?

Eduardo                   - Veramente...

La Signora

Barville                     - Suonate soprattutto... che cosa?

Eduardo                   - (stordito) Bè... pianoforte. La Signora

Barville                     - Pianoforte? Meraviglioso. Guardate: ci sono dei magnifici pasticcini al caviale.

Eduardo                   - No, grazie, signora. La Signora

Barville                     - No? Chiamatemi Lucy. Che cosa suonate soprattutto? Un po' di paté di fois gras, forse? Mozart?

Eduardo                   - Grazie, signora. Brahms. Mi hanno detto che Brahms vi piacerebbe. La Signora

Barville                     - E voi suonerete del Brahms espressamente per me? Oh! E' troppo carino. Ecco qua, prendete un pochino di salmone. E' così buono. Voi mi offrite del Brahms ed io vi offro del salmone. Sono io che ci guadagno.

Eduardo                   - No, veramente, signora, cioè Lucy. Non potrei mandar giù un solo boccone.

La Signora Barville  - (a suo marito che entra con Claudio e Fiorenza, seguiti da Igor) Oh! sentite? Non potrebbe mandar giù un solo boccone. E tutto perché la sua mogliettina sta poco bene. Che sensi­bilità.

Barville                     - Un po' di macedonia di frutta, forse.

Eduardo                   - No, grazie. Siete davvero' molto gentile. (In questo momento vede Igor e gli tende cordial­mente la mano) Perbacco, ci siete anche voi?

Igor                          - Da. (E ha una risata fragorosa e felice).

Claudio                    - (spaventato a bassa voce) Ma, Odoardo! E' un cameriere. (E nello stesso tempo ha un sorriso benevolo per Igor. Tutti si guardano con stupore, salvo Fiorenza che scoppia a ridere).

Florenza                   - Ah! è meraviglioso. Tutto ciò è così democratico! Non trovate?

Claudio                    - Oh! sì... sì... Certamente. Bravi!

 

Barville                     - Mi piace. Non bisogna mai rinnegare le proprie origini O i propri amici.

Florenza                   - Vostro padre era operaio?

Eduardo                   - No. Mio padre era impiegato al gas.

Florenza                   - Bellissimo. Prendete un cocktail? Ve­dete, è il vostro amico che ve l'offre. (Da dietro il buf­fet, Igor tende un bicchiere con un largo sorriso).

Eduardo                   - Volentieri, sì.

Florenza                   - (prendendo il bicchiere da Igor e porgen­dolo a Eduardo) Bevete. E' ottimo.

Eduardo                   - Grazie, signora. (Beve d'un fiato).

La Signora Barville  - (conte un rimprovero) Oh, da loro sì, e da noi no?

Eduardo                   - Prenderò un panino. La Signora

Barville                     - Che delizia, prende un panino.

Igor                          - (nel silenzio generale, mentre Eduardo mangia) Ancora un diavolo rosso, maestro?

Eduardo                   - (rìdendo) Vada per un altro diavolo rosso: mi rinfrancherà del tutto.

Claudio                    - Bene, mio Odoardo. Mi fa piacere che vi siate rinfrancato, ed anche del tutto. E' ora di ricominciare; sarà opportuno che io vada a preparare l'ambiente, raccogliere gli invitati, annunciarvi. Il pianoforte è di là. Nuovo. Penso che l'istrumento sia quello che desideravate. Mi è stato mandato diretta­mente dalla casa Pleyel. Sono miei buoni amici. Siete pronto? Farete il vostro ingresso a braccetto di que­ste due belle signore. Sarà... oh, sarà... most exciting. Venite, Barville? (Claudio prende Barville sottobrac­cio e lo trascina verso il secondo salone. Uscendo, si volta ancora verso il gruppo e ripete) Most exciting.

Eduardo                   - (a Igor) Un diavolo rosso; no: tre diavoli rossi.

Florenza                   - (spaventata) Tre?

La Signora Barville  - (id.) Ma, Eduardo...

Eduardo                   - E' per noi tre.

Florenza                   - Ah, meno male. Mi avevate spaven­tata.

Eduardo                   - Mio Dio... (Dissimulando l'imbarazzo, a Igor) Ancora un diavolo rosso.

Florenza                   - Cara Lucy, sapete che sono molto con­tenta di rivedervi? Sono secoli, no! Avete una magni­fica cera!

La Signora

Barville                     - Ah, sì? Allora permettete un momento', vado a darmi un po' di cipria. (Va verso il vestibolo, dignitosamente. Fiorenza la guarda con un sorriso divertito- e, d'un tratto, posa gli occhi su Eduardo che è rimasto interdetto).

Eduardo                   - Fiorenza, voi che siete una donna pra­tica... Bisogna che vi chieda... è molto importante... Anzitutto, posso chiamarvi Fiorenza?

Florenza                   - (ride) Se vi fa piacere...

Eduardo                   - Bene. Io mi chiamo Eduardo. Fiorenza volevo chiedervi... Amate vostro marito?

Florenza                   - (divertita) Parlate più piano, vi prego. Non posso rispondervi così, su due piedi.

Eduardo                   - Non potete rispondermi? L'uomo che vive con voi, che vedete tutti i giorni, che si addor­menta vicino a voi, che si sveglia vicino a voi...

Fiorenza                   - Dormiamo in camere separate.

Eduardo                   - (con rabbia) Ma almeno abitate lo stesso quartiere? Fiorenza, parlo dell'uomo che vive con voi, o col quale voi vivete... non potete dirmi se l'amate o se non l'amate?

Florenza                   - Ma sì che l'amo... Naturalmente. E per­ché mi fate questa domanda?

Eduardo                   - Ho bisogno di saperlo.

Florenza                   - (civetta) E ora che lo sapete?

Eduardo                   - L'amate. Lui vi ama. Vi adorate. Lui vi dà tutto quello che desiderate. E' ai vostri piedi. Voi lo trovate attraente, nulla manca alla vostra felicità. In breve: la vostra unione è perfetta. Veramente perfetta. E d'un tratto  un giorno, avete una discus­sione che vi, avvelena, cominciate a dirvi delle cose sgradevoli... Notate che è una discussione per una sciocchezza, per un nonnulla... ma il tono monta, vo­stro .marito perde la calma, voi l'insultate e lui vi schiaffeggia. Che cosa fate, Fiorenza?

Florenza                   - (nettamente) Divorzio.

Eduardo                   - Ma come? Per uno schiaffo? Un sem­plice schiaffo, dato per una stupidaggine? Perché, in­sisto, tutto si è scatenato da una stupidaggine. Non si tratta di due sposi che hanno da rimproverarsi del­le cose gravi, o che non vanno d'accordo. Non si tratta che di un nonnulla. Un quarto d'ora prima essi erano perfettamente felici.

Florenza                   - Uno schiaffo è sempre uno schiaffo. Io divorzierei. (La signora Barville attraversa la scena venendo dal vestibolo. Si ferma un momento a guar­dare Fiorenza ed Eduardo, poi, visibilmente contra­riata, entra nel salone).

Eduardo                   - (angosciato) Veramente divorziereste?

Florenza                   - (indicando Claudio che torna) Adesso andate a mettervi al piano. Siate ragionevole. Tutti stanno aspettandovi. (Eduardo fa un gesto deciso. Si muove, ha piccola folla degli invitati, molti dei quali sono sulla porta, lo accoglie con applausi. Eduardo scompare oltre la vetrata mentre la signora Barville, trovandosi faccia a faccia con Fiorenza, la prende in disparte).

La Signora

Barville                     - Pensavo... Bisognerebbe forse... Potrei forse andare a voltargli le pagine...

Florenza                   - Conoscete la musica? La Signora

Barville                     - No, ma potrei voltare le pagine quando lui mi fa cenno...

Florenza                   - Non è necessario, cara Lucy: suona tutto a memoria.

La Signora

Barville                     - Senza la musica? Sul serio? Tutto a memoria! Deve essere davvero un prodigio. (Siede quasi di spalle al pubblico guardando verso l'interno del secondo salone. Olivia Pelpel e Fiorenza siedono anch'esse).

 

Claudio                    - (passa, molto nervoso, da un salone all'altro. Alla signora Barville) State bene qui? La Signora

Barville                     - Molto bene. Preferisco sentire la musica un po' da lontano... Trovo che...

Claudio                    - Avete ragione. (Alla Pelpel) E voi Oli­via? State bene?

Olivia                       - (con forza) Starò bene... Sapete che io sono pazza per la musica...

Florenza                   - Ma si sa finalmente quello che suo­nerà? Chopin? Brahms?

Claudio                    - Ha un grande repertorio. Suona una infinità di roba. D'altronde, quando avrà suonato due o tre brani, si potrà chiedergli altri brani a piacimento... E lui sarà lieto di accontentare tutti...

Dalmazio                  - (apparendo un attimo sulla porta) Si­lenzio!

Claudio                    - Sst! (In questo preciso momento Igor rovescia una sedia. Claudio gli fa un gesto imperioso che Igor comprende male. Egli prende infatti un vas­soio e si avvicina con esso a Claudio che lo rimanda indietro furioso e che immediatamente prende un'aria seria, ispirata: Eduardo ha cominciato a suonare. Un preludio di Chopin).

Florenza                   - (trionfante alla Barville) E' un preludio di Chopin!

La Signora

Barville                     - Ma siete certa, Fiorenza? Giurerei che è Brahms.

Claudio                    - Sst! Silenzio. (Abbozza un gesto dispe­rato e passa nel secondo salone. La musica continua. Olivia Pelpel ascolta in estasi ma, macchinalmente, con un movimento dei piedi, si sfila le scarpe. E d'un tratto, vicino alla signora Barville, le campane di un orologio a pendolo olandese, si mettono a suonare, ha signora Barville sì alza spaventata. Claudio rientra guardando con odio il pendolo, ma ha un gesto dì impotenza, le campane finiscono. Claudio ritorna nel salone, ma si ferma di colpo sentendo che al pendolo succedono ora ì dieci colpi delle dieci. Igor interviene con decisione. Egli afferra un tappeto e lo getta sud pendolo che cade con fracasso. Molta gente sì affaccia sulla porta. Claudio fa cenno ai curiosi di rien­trare. C'è una certa confusione che a poco a poco si calma e si può sentire nuovamente la musica: le ultime note del preludio. Applausi nutriti. Borch entra scuotendo la testa. Poi alza il pollice e dice a Fiorenza).

Borch                       - Excellent!

Claudio                    - Most excellent! D'nt you think so?

Borch                       - (con una specie di grugnito' destinato a mo­strare che egli apprezza poco l'inglese di Claudio) Quel ragazzo ha un avvenire nei suoi fingere...

Claudio                    - Non avete ancora sentito tutto... Aspet­tate un po'... Ora continua... (Invece Eduardo appare sulla porta del salone, imbarazzato) Che c'è, Odoardo?

Eduardo                   - Scusatemi, zio. Ma debbo andarmene. (Gli invitati si guardano sbalorditi).

Claudio                    - Ma che diavolo succede? Volete andar­vene? Non vi sentite bene?

Eduardo                   - No, no. Zio... Mi sento bene, ma debbo andarmene. Devo tornare a casa.

Claudio                    - (indicandolo agli invitati) E' pazzo?!

Eduardo                   - Scusatemi, zio. Vorrei parlarvi un mo­mento da solo a solo.

Claudio .                  - (che non riesce più a nascondere la sua irritazione) Ma non è proprio il caso, via! Siete venuto qui per suonare. Non si può mandare tutto a monte in questo modo.

Eduardo                   - Bisogna che vada a vedere come sta mia moglie.

Claudio                    - E' per questo? Perché Carolina sta poco bene? Andiamo, non fate il bambino. Carolina sta poco bene, ma non c'è nulla di grave. (Prende Eduardo per le spalle e lo spinge verso il salone) Andiamo, Odoardo... Non bisogna aver queste sensi­bilità da femminuccia. Il pianoforte vi farà dimenti­care tutto.

La Signora Barville  - (al marito) Mi spiace, Sebastiano, ma io non posso sentire queste cose. (Rivolgendosi a tutti) Evidentemente non è cosi semplice; bisogna essere comprensivi. Questo caro ragazzo che abbiamo ascoltato nel massimo raccogli­mento, questo ragazzo pieno di talento, ci chiede il permesso di andarsene. Sua moglie, che egli adora, è molto sofferente.

Eduardo                   - (timidamente) Non molto... un po'"sof­ferente.

La Signora

Barville                     - Lasciatemi dire. Con i malanni non si può mai sapere: e se Carolina fosse morente? Ad onta di tutto, Eduardo è venuto a suo­nare. L'aveva promesso e si è sacrificato; ma adesso gli manca il cuore di continuare. Lasciatelo andare. (Durante la battuta della signora Barville, Eduardo ha fatto a Claudio un gesto dì scusa. Claudio, irri­tato, volge altrove la testa e incontra così lo sguardo di, Barville che, anch'esso, fa lo stesso gesto di Eduar­do. Claudio è costretto a sorridere) Siete tutti d'ac­cordo con, me? Benissimo. Siete tutti d'accordo. E al­lora, Eduardo, salutate gli amici ed andate di corsa. Darete un bacio a Carolina per me, e del resto, verrò presto a trovarla: tra due o tre giorni. (La signora Barville ed Eduardo cominciano il giro degli in­vitati).

Florenza                   - Spiacente, Eduardo... Spiacente che ve ne andiate, ma ancor più che siate triste...

Borch                       - Vostra moglie ha un buon medico?

Eduardo                   - Sì... grazie...

Borch                       - Good!

La Signora Barville  - (con slancio) Bene. Credo che abbiamo salutato tutti... Ah! c'è ancora mio ma­rito... Sebastiano... (Barville stringe la mano di Eduardo. In questo momento appaiono Carolina e Goffredo, che vengono dal vestibolo. Non ci si avvede subito della loro presenza. Claudio per primo se ne accorge).

Claudio                    - Eduardo!

Eduardo                   - (vedendo Carolina) Oh! Carolina... (Si rende conto che deve fare qualcosa) Mio Dio, come sono contento... (Si avvicina rapidamente a Carolina) Allora, ti senti meglio? Ti senti veramente meglio? (A bassa voce) Ma di' qualcosa... Ho raccontato che stavi poco bene. (Forte) Mio Dio, come sono con­tento! Non vi dico che sollievo...

Goffredo                  - (a bassa voce) Attenzione. Tutti ci stanno guardando. (La signora Barville scoppia in singhiozzi. L'attenzione generale sì sposta su di lei. Claudio e Barville le si avvicinano).

Claudio                    - Lucy, cara... andiamo...

Barville                     - Tesoro mio... che succede? La Signora

Barville                     - Scusatemi, Claudio, pre­ferisco andarmene... Sono stata proprio ridicola. (In­dicando Eduardo che confabula sempre con Caro­lina) Mi aveva detto che sua moglie era moribonda; me k» aveva detto con tale accento di disperazione, che ho creduto dover intervenire per lui. Ma ora capisco di essere stata ridicola, dal momento che è evidente che sua moglie era a passeggio con Foffo, con vostro figlio. (Decisa e sempre borbottando, se­guita da Claudio e da Barville, si dirige verso il vestibolo. Escono).

Eduardo                   - (a Goffredo, ostile) Dite un po'. Se ho ben capito, siete arrivato con mia moglie. A che devo l'onore?

Goffredo                  - Gli invitati, Eduardo.

Eduardo                   - Me ne infischio degli invitati. (Igor chiude le porta vetrata a due battenti ed esce).

Goffredo                  - Divertente. Papà deve essere felice.

Eduardo                   - (esasperato) Aspetto una spiegazione. Carolina, che vuol dire? Che c'entra Goffredo in tutta questa faccenda?

Goffredo                  - Carolina... (Paterno) Spiega a tuo marito, via... (Carolina tace) Cosa? Hai perduto la lingua? (Silenzio ostinato di Carolina. A Eduardo) Ma non vedi che ti prende in giro, idiota.

Eduardo                   - E' vero, cara? (Carolina alza gli occhi al cielo).

Goffredo                  - Sul serio, Carolina... E' carino vederti fare il muso... ma non esagerare.

Carolina                    - Goffredo, ti prego di smetterla.

Goffredo                  - E' furiosa, vedi? Furiosa. E ce l'ha anche con me. Perché poi con me? (Goffredo prende il mento di Carolina) Bambolina. (Carolina ha un moto di collera) Ti giuro che se potesse m'ammaz­zerebbe. (A Eduardo) Andiamo, parlale un po' e siate ragionevoli. Posso lasciarvi soli? Non vi divo­rerete mica, vero? (Va verso la porta che dà sul se­condo salone, l'apre, passa dall’altra parte e quando sta per richiuderla, dice) Mi diverte molto. E sono senz'altro il solo a trovare tutta questa storia assai divertente. (Scompare).

 

Eduardo                   - Carolina. Ti chiedo ancora una volta che cosa c'entra Goffredo in tutta questa faccenda. Ti lascio sola a casa, vengo qui e incontro Goffredo che sta uscendo e che si guarda bene dal dirmi che veniva a trovarti: un'ora dopo, eccovi qui insieme. Da dove vieni? (Claudio entra dal vestibolo).

Claudio                    - Bravissimi, proprio graziosi: le vostre piccole dispute mi costano care, ma siete proprio perfetti. (Imitando' Eduardo) « Mio Dio, come sono contento... Mio Dio come sono contento». Ma ve ne rendete conto?

Eduardo                   - (dispiaciuto) Sinceramente me ne di­spiace...

Claudio                    - Lo spero!... Quando ci si permette di mentire, si ha almeno l'educazione di farlo bène. E' il minimo... E del resto non è difficile! (A Caro­lina) Se ti faceva piacere di uscire un po' con Gof­fredo, posso anche capire... ma avresti dovuto orga­nizzarti diversamente.

Eduardo                   - Che cosa intendete dire?

Claudio                    - (spaventato dal tono di Eduardo) Io?

Eduardo                   - (minacciandolo col dito) Sì, voi...

Claudio                    - Io? Ho voluto dire qualcosa? Caroline, cosa ho detto?

Carolina                    - (gravemente) Zio, vorrei dire due pa­role a Eduardo.

Eduardo                   - (sempre minaccioso) Scusatemi, zio!

Claudio                    - (amaro) Non preoccupatevi... Fate come volete... al punto in cui siamo arrivati...

Eduardo                   - (conciliante) Cinque minuti, Claudio. Dopo mi rimetterò al piano...

Claudio                    - (con un sorriso freddo e dirigendosi verso il salone) Non c'è più fretta adesso... non c'è fretta, ve lo assicuro... (Esce).

Eduardo                   - (con un sospiro di sollievo) Ah! (Piccola pausa) Carolina...

Carolina                    - No... sono io che devo parlare per prima. Vuoi sederti? (Siedono su un divano).

Eduardo                   - (gentilmente) Senti...

Carolina                    - (vivamente) No, sta' zitto un mo­mento... Eduardo... E' difficile dire... Ho molto riflettuto dopo quanto è accaduto. Tu mi hai schiaf­feggiata... Vedi? non so da dove incominciare...

Eduardo                   - (affettuosamente) Ti aiuto, se vuoi, Carolina... (Piccola pausa) Carolina... ti amo...

Carolina                    - (subito) Mi dispiace, ma non ci siamo...

Eduardo                   - (subito, piccato) Scusami... Scherzavo...

Carolina                    - Non è il momento... Tu non rendi facili le cose, te lo giuro. (Profondo sospiro) Eduardo... (Scuote la testa) Ho proprio paura che tu non capisca bene...

Eduardo                   - (inquieto1 e chiuso) Andiamo.

Carolina                    - E' difficile dire, te l'assicuro. Non so da dove cominciare...

Eduardo                   - Comincia dal principio.

 

Carolina                    - (molto gentilmente) Comincio dalli». schiaffo. Dunque tu mi hai schiaffeggiata.

Eduardo                   - Ci siamo schiaffeggiati.

Carolina                    - Non è la stessa cosa. Bene. Lo riconosco, ti avevo insultato. Se si possono chiamare insulti...

Eduardo                   - Come? Mi hai detto che mi odiavi...! che ti disgustavo...

Carolina                    - Non sono insulti, Eduardo. Sono imi pressioni. Potevano giustificare in te un leggero nervosismo, lo capisco bene... Ma allora mi è apparso! un altro Eduardo, che non conoscevo ancora, mal che avevo sempre sospettato. Con quell'Eduardo io non posso vivere. Ho molto riflettuto,. sai! Ho cominciato a riflettere dal momento nel quale sei andato via sbattendo la porta. Quando mi hai lasciato, in lacrime, battuta, soffocata dai singhiozzi, quando la porta si è chiusa, anche io ho avuto! un attimo di collera... vuoi sapere che ho fatto?! Ti ricordi quel bel vaso blu, che ci era stato regalato dalla nonna... la sola cosa che avevamo avuto dalla tua famiglia, fra parentesi...

Eduardo                   - (temendo la verità) E allora?

Carolina                    - (sempre con la sua voce da bambina) E' rotto. E ricordi la grande lampada dell'angolo, vicino alla porta del bagno? Non la vedrai più. E ricordi...

Eduardo                   - Basta. Ho capito. Non resta ormai gran­ché del nostro appartamento.

Carolina                    - Dovevo distendere un po' i nervi. Ed  è allora che, tornata ad essere più calma, ho riflet­tuto e sono arrivata "a una conclusione. Mi sono tolta quest'abito e mi sono messa in tailleur. Poi ho fatto la valigia...

Eduardo                   - La valigia?

Carolina                    - Sì, come ti ho detto al telefono...

Eduardo                   - Al telefono? Che telefono?

Carolina                    - Ma quello lì, credo... Suppongo che eri già qui quando mi hai chiamato.

Eduardo                   - Io? Ne ho avuta l'intenzione ma ho riagganciato' appena fatto il numero.

Carolina                    - Eduardo, insomma! Poco fa, a quello stesso telefono, io ti ho detto... insomma ti ho detto.., ma lo sai 'bene...

Eduardo                   - Ma che cosa credi di avermi detto?

Carolina                    - Eduardo, non forzarmi a ripetertele. E' così penoso...

Eduardo                   - Te lo giuro.

Carolina                    - E allora ti ho detto: farabutto, mascal­zone, esistenzialista.

Eduardo                   - Anche esistenzialista?

Carolina                    - Sì.

Eduardo                   - Ti giuro, Carolina, che non ti ho tele­fonato e che dunque 'tu non mi hai detto niente. Me ne ricorderei, te l'assicuro... Ci sono insulti, come esistenzialista, che non si possono dimenticare.

Carolina                    - (spaventata) Non eri tu? Mio Dio! A chi allora ho detto esistenzialista? (Dopo un istante di riflessione) Ma ora capisco tutto!

Eduardo                   - Che cosa capisci?

Carolina                    - La visita di Goffredo.

Eduardo                   - (di nuovo furioso) E' vero, c'è ancora tuo cugino. Ti ho già chiesto come mai Goffredo si trovasse con te.

Carolina                    - Eh già. E' a Foffo che ho detto... Il telefono squillava... squillava... Non ho risposto subito... squillava ancora. Ho pensato che fossi tu, capisci? Ho staccato il ricevitore e non ho lasciato il tempo a te... all'altro... di dire « pronto » e ho subito detto quello che ho detto... Avrà capito di colpo che siamo... in pessimi termini, noi due... avrà creduto che fosse finalmente spuntata la buona occasione per lui... ed è accorso...

Eduardo                   - Mascalzone! Vedi che gente hai nella tua famiglia? E che cosa ti ha detto?

Carolina                    - Bé... sei curioso... Mi ha fatto la corte... Mi ha fatto dei complimenti sul vestito...

Eduardo                   - Non avevi detto che te l'eri tolto per metterti in tailleur?

Carolina                    - Me l'ero rimesso...

Eduardo                   - Per lui?

Carolina                    - No, per avere la sua opinione. Allora ha proposto che passassimo la serata insieme, noi due, a ballare... Ho rifiutato... Allora ha tentato di baciarmi...

Eduardo                   - (scattando) Mascalzone! Vado a rom­pergli il muso!

Carolina                    - Aspetta perché non ho finito... Fu allora che, pur di non restare sola con Goffredo, ho deciso di venire qui... Mi sono detta che era meglio, dopo tutto... che era meglio che parlassimo un .po' qui, su terreno neutro.

Eduardo                   - Ma che cos'hai di così importante da dirmi?

Carolina                    - Ebbene, in questo momento... Che cosa credi?

Eduardo                   - (spazientito) Non credo nulla... Che cosa vuoi che creda? Fai dei misteri senza fine.

Carolina                    - Siediti. (Eduardo esita, poi si siede nuovamente vicino a Carolina).

Eduardo                   - Andiamo. Butta fuori.

Carolina                    - Eduardo, ti inganni...

Eduardo                   - Cosa?

Carolina                    - Sì... Tu credi che quanto è successo tra noi non abbia molta importanza. Ti sbagli. Ne ha. Io ti credevo... mentre adesso...

Eduardo                   - Continua.

Carolina                    - Ho capito qual è il tuo carattere. Questo è importante. Tanto importante che voglio divorziare...

Eduardo                   - (che riceve il colpo senza reazioni) Oh, ci siamo arrivati.

Carolina                    - (inquieta) Come? E' tutto l'effetto che ti fa?

 

Eduardo                   - (impassibile) Niente. Stavo ascoltando quello che dicevi... E' molto istruttivo... (La porta si apre e appare Igor che reca un vassoio con una bottiglia di sciampagna e dei bicchieri).

Igor                          - Il signorino Goffredo, manda al maestro e alla signora... con 'tutti i voti di felicità. Ha detto così.

Eduardo                   - Ebbene, lo ringrazierete... (A Caro­lina) Che delicato pensiero, non -trovi? (A Igor) Grazie, amico.

Igor                          - (uscendo) Dovere, maestro.

Eduardo                   - (servendo una coppa a Carolina) Non bevi?

Carolina                    - Non ho sete.

Eduardo                   - (pietoso) Povera figlia... Ma non bi­sogna poi prendersela eccessivamente, sai...

Carolina                    - E allora? Che ne pensi?

Eduardo                   - Ho capito. Ho capito perfettamente. Sono un po’  lento, ma non al punto di non capire una faccenda simile.

Carolina                    - E che cosa hai capito di preciso?

Eduardo                   - Quello che mi hai detto. Vuoi divor­ziare... E' così, no?

Carolina                    - Sì.

Eduardo                   - Sono d'accordo.

Carolina                    - Così, senza dir niente?

Eduardo                   - E che vuoi che dica? Sta accadendo una cosa molto comune.

Carolina                    - (dopo un momento di sorpresa) Ma allora... allora è splendido. Sei d'accordo sul serio?

Eduardo                   - Dal momento che te lo dico...

Carolina                    - Scusami... Non credo ai miei orecchi... Avevo così paura che tu facessi delle difficoltà...

Eduardo                   - Perché? E' naturale... Ti ho schiaffeg­giata e quello schiaffo ti ha fatto veder chiaro sul mio carattere. Vuoi divorziare, me lo hai detto, sono d'accordo... Ecco itutfco. Succedono ogni momento cose del genere... Bene. E adesso torno al pianoforte. Il pubblico ha aspettato abbastanza. (Si alza, va verso la porta e si volge verso Carolina) E tu non vieni?

Carolina                    - (alzandosi lentamente) E' curioso. La mia famiglia me lo ha sempre detto che avremmo finito per divorziare...

Eduardo                   - Già. E vuoi saperlo? La mia famiglia, che è molto meno chic della tua, mi ha sempre detto la stessa cosa. (Eduardo apre la porta e si trova faccia a faccia con Olivia Pelpel che, rapidamente, va verso Carolina).

Olivia                       - Oh eccola! Eccola la bellissima Caro­lina! (Olivia è seguita da Goffredo, dai fratelli de Mosle e da altri invitati) Cara! Il tuo abito è splen­dido. (Eduardo alza le sfalle, si inette da parte, spinto dagli invitati che circondano Carolina).

Uberto                      - Meraviglioso! Io detesto gli abiti da sera corti. Ma adoro questo, Carolina! E' splendido.

Dalmazio                  - Veramente è un abito che... come dire?


Goffredo                  - E' delizioso... più che adorabile... (E, così dicendo, sfiora il braccio di Carolina).

Borch                       - (che ha seguito il movimento di Goffredo) I do'at like you, sir...

Goffredo                  - (a Fiorenza) Pardon, ma non ho capito troppo bene quello che dice...

Florenza                   - (sorridendo) Senza importanza. (Porta via Goffredo) Mio marito è convinto che voi siate l'amante di Carolina.

Goffredo                  - (ridendo) Ma guarda. Guarda, questa...

Florenza                   - Vi fa ridere?

Goffredo                  - Vostro marito mi piace molto.

Borch                       - (a Eduardo) Giovanotto, trovo avete pa­recchio talento.

Eduardo                   - (imbarazzato) Grazie, molto gentile. Veramente ho suonato poco...

Borch                       - (cordiale) Me ne rendo conto subito, io

Eduardo                   - Meglio cosi per me, signor Borch. (Tutti e due guardano verso il gruppo dove si trova Carolina).

Borch                       - Vostra moglie è molto carina.

Eduardo                   - Sì. E anche la vostra.

Borch                       - (ridendo) Andiamo a chiacchierare di là. (Si dirigono verso il secondo salone ed escono).

Florenza                   - (a Carolina) Tutti devono avervi detto che siete deliziosa, Carolina, che avete un vestito squisito. Io allora non vi dico nulla...

Goffredo                  - (lirico) Come mi piaci, come mi piaci... Carolina...

Florenza                   - (sorridendo) Attenzione, Goffredo. I matrimoni fra cugini germani sono interdetti.

Goffredo                  - Chiederemo il permesso.

Olivia                       - Se ve lo daranno... Siete così belli, tutti e due!

Florenza                   - In fondo è ridicolo. Perché non si dovrebbe sposare il proprio cugino, dopotutto?

Carolina                    - Pare che non sia buono per i bam­bini.

Goffredo                  - Tutte storie. D'altronde non pensiamo di averne subito. Vero, cara?

Florenza                   - (dopo una risatina fredda) Vostro ma­rito è straordinario. Mi ha conquistata. Non l'ho lasciato un minuto.

Goffredo                  - (a Fiorenza) Mi sarei dunque ingan­nato? Pensavo sempre che il vostro tipo ideale di uomo', fossi io.

Florenza                   - Siete voi, beninteso. Ma amo Eduardo. E' l'uomo della mia vita. Oh, non bisogna guardarmi così, Carolina. Eduardo è incorruttibile. Rien à faire.

Goffredo                  - (a Fiorenza) Ne siete sicura?

Florenza                   - Assolutamente!

Goffredo                  - Allora Eduardo è un santo. Un vero santo. Figurati! Fiorenza deve aver usato tutte le sue armi segrete. (Eduardo e Borch rientrano in scena).

Borch                       - Raccontate...

 

Eduardo                   - Non ho niente da raccontare, signor Borch.

Borch                       - (prendendo un bicchiere e brindando) Bevete. Voglio dirvi ancora... che ho capito tutto... So perfettamente... voi... la vostra bella moglie e I quel Goffredo...

Eduardo                   - (furioso) Ma dite un po', non siete mica pazzo?

Borch                       - Don't get excited. Anche io sono cornuto.  

Eduardo                   - Se lo siete voi, complimenti; ma non è certo che lo sia io. (Fa un movimento per allontanarsì, ma Borch lo trattiene).

Borch                       - Good! Good! Voi non sarete cornuto, forse. Ma io sì, certo.

Eduardo                   - (sorpreso, con una punta di divertimento) Ah, sì? Allora Fiorenza...

Borch                       - Yes, Sir.

Eduardo                   - Sì? E sapete anche con chi?

Borch                       - E' indifferente. Ma anch'io sono felice... in altro modo. Ho una deliziosa amica francese... Una piccola commessa che lavora tutto il giorno, che  non ha storie per il capo; con lei non sono cornuto.  Lo sono soltanto con mia moglie, che non avendo nulla da fare ha tutto il tempo, oltre il parrucchiere, modista, manicure, cane, aperitivo, bridge, té, per cornificarmi.

Eduardo                   - (con slancio) Mi siete molto simpatico, signor Borch.

Borch                       - Anche voi a me, Eduardo... ho molto sim­patia per voi... Tanta. Parliamo del vostro piano­forte... Suonate, prego. Voi siete un grande pianista.

Eduardo                   - (amtaro) Non so davvero se la gente qui si diverta, a sentir suonare. Mi sembrano così lon­tani... (Igor, dietro al buffet, gli fa un cenno di inco­raggiamento. Borch, lo guarda sbalordito, poi scuote la testa e sorride).

Borch                       - Ma io vorrei ascoltare ancora... Yes... bisogna suonare... Vi confesso di avere dei progetti su di voi...

Eduardo                   - (interessato) Come?

Borch                       - E' necessario che senta suonare ancora... Andate di là...

Eduardo                   - (accennando alla gente che è di là) Credete che abbiano voglia, quelli?

Borch                       - (col suo gesto abituale per spazzar via le ob­biezioni) Fa niente. (Claudio' entra e Borch lo prende per un braccio) Eduardo va a suonare. (Avanza verso il secondo salone, con la braccia aperte, -per richiamare l'attenzione) Eduardo si ri­mette al piano... Eduardo riprende il concerto... (Si gira verso Eduardo e gli indica col pollice il secondo salone, Eduardo vi si dirige e si incontra con Carolina che ne esce, sì guardano un momento, ma lei distoglie il suo sguardo. Borch al passaggio la interpella) Vostro marito è un grande artista. (Si vedono gli invitati che prendono posto nel secondo salone come in precedenza. Nel primo salone, quasi davanti alla porta che rimane aperta, Carolina, sola, si siede sul divano. Dopo un momento, è raggiunta da Goffredo).

Goffredo                  - Mi siedo vicino a te. Permetti? (Caro­lina, senza rispondergli, gli fa posto) Allora? Si è deciso a suonare?

Carolina                    - Sst! (Il concerto continua. Uberto esce dal secondo salone, si passa una mano sul mento come per dire «che barba», ma Carolina alza gli occhi su di lui. Uberto va al buffet, prende un bic­chiere. Igor fa gesti di entusiasmo ascoltando la musica e Uberto lo guarda sbalordito. In questo momento, Goffredo passa confidenzialmente un brac­cio attorno alle spalle di Carolina. Breve pausa) Gof­fredo, non fare lo stupido. Eduardo può interpretare male, mi vede benissimo dal piano.

Goffredo                  - Ho fatto qualcosa che non va? (Accen­tua il gesto e quasi attrae verso dì sé Carolina) Siamo cugini... è un abbraccio senza la più lontana intenzione... (La musica si interrompe. Si sente il coperchio del piano che sbatte fragorosamente. Mor­morio degli invitati. Uberto scambia uno. sguardo sorpreso con Igor che fa un gesto di dolore. Eduardo, facendosi largo sulla porta, ora occupata dagli invi­tati, entra, passa davanti a Carolina e Goffredo, avviandosi verso la comune. Quando sta per uscire, mentre la folla degli invitati si è riversata in scena, si volge e sfilatosi il gilè, lo getta sdegnosamente ai piedi di Claudio. Esce).

Florenza                   - Era una fuga quella che ha suonato?

Uberto                      - Vado a sostituirlo io! (Si avvia verso l'interno. Subito dopo si sentirà al piano un balla­bile, prima in sordina, poi via via aumentando).

Claudio                    - Giuliano! Guardaroba.

Carolina                    - Zio! (Gesto sdegnoso di Claudio) Foffo! (Gesto impacciato e seccato di Goffredo) Igor!

Igor                          - Da! (Carolina corre verso l'uscita di ser­vizio, che viene spalancata al suo passaggio da Igor. Questi sta per seguirla, ma prima si volge verso la folla esterrefatta degli invitati e preso un vassoio lo scaraventa a terra. Poi esce altero, mentre il ballabile continua con la massima sonorità).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(Nell'appartamento di Edoardo e Carolina, come al primo atto. Edoardo, ancora in frac, è occupato a raccogliere i pezzi dei vari disastri fatti da Carolina, che getta via via in un paniere. Si alza, si guarda intorno pensieroso, sospira, va al piano e, senza sedersi, con una sola mano, trova le note della canzone di Carolina: « Les jeunes année ». Scorge la valigia sotto il letto, la prende, la mette in mezzo alla camera. Poi si siede sul letto e si prende la testa fra le mani. Suonano. Eduardo fa un salto, col viso acceso. Corre alla porta, l'apre. E' Fiorenza. Eduardo dissimula appena la delusione).

Eduardo                   - Fiorenza?!

Florenza                   - Proprio io. (Eduardo rimane indeciso sulla porta) Non mi fate entrare? Oh, ma è molto graziosa la vostra casa. (Entra. Eduardo chiude la porta) Mi piacerebbe molto un appartamentino come questo. (Scorgendo' la valigia) Partite?

Eduardo                   - No... No...

Florenza                   - Parte forse Carolina? E' qui?

Eduardo                   - Suppongo1 che sia sempre da suo zio.

Florenza                   - Supponete? (Accende una sigaretta) Caro Eduardo... Così credete che Carolina sia ancora dallo zio' Claudio?

Eduardo                   - E dove volete che sia?

Florenza                   - Io non voglio assolutamente niente, ma Carolina non è più dallo zio Claudio.

Eduardo                   - E va bene. Dopo tutto, non ho più il diritto di sapere dove si trovi...

Florenza                   - Ma perché dite questo?

Eduardo                   - Avevate ragione, Fiorenza. Ricordate? Vi avevo chiesto che cosa avreste fatto se vostro marito vi avesse schiaffeggiato... Carolina è dello stesso parere. Le ho dato uno schiaffo... Divorziamo...

Florenza                   - Eduardo, ma siete voi o Carolina che divorzia?

Eduardo                   - Bah, credo che per il divorzio, come per il matrimonio, occorra sempre essere in due... Noi due siamo d'accordo...

Florenza                   - Certo. Evidentemente... Ma, Eduardo, spiegatemi questa decisione. E' un'idea di Carolina che voi avete approvato, o è una vostra idea alla quale Carolina ha dato il suo accordo?

Eduardo                   - Perché mi fate questa domanda?

Florenza                   - Perché se è una vostra idea, me ne sento un poco responsabile. Sì. Vi ho detto che se mio- marito mi schiaffeggiasse, divorzierei. Ed è esatto. Ma mio marito è Spencer Borch, un uomo cioè come Uberto o Dalmazio o come centinaia di altri... Un marito come il mio si sostituisce. Mi dà una vita comoda? Molti altri uomini potrebbero darmela. Mi lascia libera di fare quello che voglio? Molti altri come lui possono darmi la stessa libertà. Ma se mio marito foste voi, se voi mi aveste schiaf­feggiato, vi avrei risposto un'altra cosa.

Eduardo                   - Ah sì? E che cosa?

Florenza                   - Un uomo come voi, quando dà uno schiaffo... può anche procurare un certo piacere. Uno schiaffo può implicare anche molto amore, un non so che di furioso, di selvaggio nella passione. (Carezzevole) No?

Eduardo                   - Non lo so... E' il primo schiaffo che dò ad una donna nella mia vita... ed è stato un espe­rimento sbagliato. Carolina non ha avuto l'aria di trovarvi quel certo' piacere...

Florenza                   - Caro Eduardo... Sapete che cosa mi attira in voi?... Cosa che mi ha attirato' in voi appena vi ho visto dallo zio Claudio? Sembravate un bam­bino... Voi parlate una lingua differente dalla nostra, Eduardo... Un'altra lingua di quella di Ca­rolina...

Eduardo                   - Non ho mai avuto questa impressione...

Florenza                   - Perché prendete le cose così sul serio? Così tragicamente? Avete dato uno schiaffo a Ca­rolina che certamente, così cerne la conosco, non deve avervelo rubato... E subito parlate di di­vorzio... Vi basate su un consiglio che vi dò, io che sono una donna che non riflette mai un secondo a quello che dice. E adesso ancora, eccovi qua, severo, teso, chiuso... Mentre Carolina...

Eduardo                   - Cosa Carolina?

Florenza                   - Mi giudicherete severamente... Sì, lo so; non dovrei dirvi queste cose... Ma credete dav­vero che Carolina abbia preso le cose tanto sul serio? Ho qualche ragione per dubitarne. Carolina non si trova più dallo zio Claudio. Se ne è andata. L'ho vista. E Goffredo si è affrettato a raggiungerla...

Eduardo                   - Carolina? Non è vero.

Florenza                   - Non si dice non è vero, a una signora. Eduardo, non credete che anche per voi... c'è un altro modo di prendere le cose? (Fiorenza è assai vicina a Eduardo, che ha l'aria di accorgersi appena della sua presenza. Si guardano. C'è un momento di silenzio. Fiorenza gli sorride, poi d'improvviso lo bacia. Suonano. Fiorenza spaventata) Vostra moglie!

Eduardo                   - Vostro marito!

Florenza                   - Se non fosse che mio marito...

Eduardo                   - Forse siete in errore nel giudicare vostro marito. Spencer vi ama molto. L'ho capito fin troppo bene, poco fa. Se vi trova qui, è una catastrofe per voi e per me.

Florenza                   - Siete sporco di rossetto. (Sempre par­lando, spinge nel bagno Eduardo che riappare subito pulendosi la bocca con un asciugamano. Dopo essersi pulito lo getta nel bagno e chiude la porta. Suonano ancora. Eduardo corre alla porta. E' Bordi).

Borch                       - Buonasera, Eduardo. Come va? Non troppo nervoso? Volevo dirvi... Ho avuto una grande impressione di voi... Sì, sì... una grande impressione. (Borch si guarda attorno) Molto simpatico vostro nome. Sapete, quello che vi ho detto... Ho dei pro­getti su di voi... Non so ancora che cosa e come orga­nizzerò, ma organizzerò. That is trae. Telefonerò a New York, yes, per vedere se si può fare subito qualche concerto di prova... Voi obbiettate?

Eduardo                   - (al colmo della gioia) Io? Obbiettare? Signor Borch... Sarebbe magnifico. (Bussano alla porta del bagno).

Borch                       - E' vostra moglie? Disturbo forse...

Eduardo                   - (disperato) No, no... non è niente... Io non ho sentito niente... Sono dei vicini... Capite... a quest'ora... Tutti dormono... (Bussano ancora. Eduardo ha un'idea) Ho suonato male quel pezzo poco fa, signor Borch. Volete che lo ricominci?

Borch                       - Non serve. Io molto sicuro vostre capa­cità... (Suonano all'ingresso. Dopo un'esitazione, Eduardo sì alza e va ad aprire. E' Igor, che, fatti dita passi, si getta in ginocchio).

Igor                          - (gridando) Sono un miserabile. Sì. Lo devo! dire, lo devo confessare davanti a tutti. Tutti devono conoscere la mia onta. Sono un verme.

Eduardo                   - Ma che succede? Che cosa è accaduto?

Borch                       - Andiamo, andiamo... Un po' di ordine... alzatevi.

Igor                          - No. E' in ginocchio che devo confessare la mia turpitudine.

Eduardo                   - (seccato) Sentite, amico. Restate per: terra se vi piace. Ma se fra trenta secondi, orologio alla mano, non mi avrete detto qual è la vostra turpitudine sarò costretto a prendervi a calci.

Igor                          - Maestro, sono stato io che vi ho fatto bere. Per aver bevuto non avete potuto continuare a suo­nare. Colpa dei diavoli rossi; ma nella nostra santa Russia è necessario bere per suonare come un Dio. Mussorgsky beveva diecine di diavoli rossi. Voi non; siete russo, e allora... (Contemporaneamente bussano alla porta del bagno e alla porta d'ingresso, mentre, squilla il telefono. C'è un momento di incertezza perché non si sa da che parte rivolgersi, infine Igor si alza e va ad aprire. E' la signora Rosa).

Rosa                         - Igor, ragazzo mio, ma che fai ancora qui? Capisco, la musica è la tua passione, ma non devi disturbare il signore e la signora anche a quest'ora. (Bussano alla porta del bagno) Vedi? La signora a nel bagno e tu disturbi; ma andiamo, Igor, è in­sensato.

Borch                       - E' insensato che mia moglie sia nel bagno. Eduardo, perché avete rinchiusa mia moglie nel] vostro bagno?

Eduardo                   - Mia moglie...

Borch                       - No, ho detto mia moglie: Fiorenza. Non siate nervoso, Eduardo. Perché avete nascosta mia moglie? Non è un interrogatorio: è una curiosità.

Eduardo                   - (vinto) Allora vi dirò tutto: ecco... vostra moglie... forse...

Borch                       - (divertendosi) Basta: ho capito che non c'è nulla da capire. Ma poiché sono stato io a mandare avanti da voi, mia moglie, perché mai la cacciate nel bagno?

Eduardo                   - L'avete mandata voi, avanti? Ah, biso­gnava dirmelo subito. (Corre ad aprire la porta del bagno e liberare Fiorenza).

Borch                       - (andando incontro alla moglie) Povera Fiorenza. I'm sorry. (Carezzando il viso di sua moglie) Nel bagno... Vi hanno nascosta nel bagno.

Eduardo                   - Ma perché non m'avevate detto che era stato vostro marito a mandarvi qui?

Florenza                   - Non me ne avete lasciato il tempo. Non avete mai smesso di parlare.

Eduardo                   - Iooo?

Florenza                   - Che chiacchierone questo Eduardo! (Al marito) Quando avete suonato, ha creduto che fosse Carolina e ha perso la testa... Se fosse poi stata davvero Carolina, come m'avreste fatto uscire dal bagno? Bisogna avere un po' più di disinvoltura in simili circostanze, Eduardo.

Borch                       - Dov'è Carolina?

Eduardo                   - Non è ancora tornata.

Borch                       - Ma io l'ho vista uscire. E' andata via piangendo.

Eduardo                   - (a Fiorenza) Non me lo avete detto che piangeva.

Florenza                   - Non volevo rattristarvi di più.

Eduardo                   - E' andata via sola?

Florenza                   - Con Goffredo.

Borch                       - Sì. Con Goffredo.

Igor                          - No. Non con il signorino.

Eduardo                   - Insomma, no, sì; volete spiegarvi? E' inutile mentire per compassione. Igor, voglio sapere: era con voi, mia moglie, o con Goffredo?

Igor                          - L'ho vista uscire, maestro. La signora era così sconvolta... ho pensato che era meglio che qual­cuno l'accompagnasse.

Eduardo                   - Benissimo. E dove si trova ora?

Igor                          - Non lo so. Per la strada, il signorino Gof­fredo ci ha raggiunti con la macchina e ha proposto alla signora di riaccompagnarla. A me ha detto di tornare al buffet...

Rosa                         - E tu che cosa hai fatto?

Igor                          - Non sono tornato al buffet. Ho ascoltato la mia coscienza. (Alzando il tono) Sono venuto qui. (Alla zia) Tu non sai ancora, zietta. Ho fatto bere il maestro...

Eduardo                   - Basta. Non ricomincerete, vero? Glielo racconterete dopo alla zia. Dov'è Carolina?

Igor                          - La signora m'aveva chiesto di accompagnarla a Neuilly.

Eduardo                   - A Neuilly? E' andata da sua madre.

Igor                          - Non lo so. Suppongo che il signorino Gof­fredo l'abbia condotta a Neuilly.

Borch                       - Bene. E allora tutto è chiarito. Andiamo-cene, Fiorenza. Lasciamo che Eduardo vada a letto. Domani sarà più calmo e Carolina sarà tornata a casa dopo aver passato la notte da sua madre. Tutti avranno riflettuto, e anche io vi telefonerò. Buona notte, Eduardo.

Florenza                   - (sulla porta) State tranquillo. Non al­larmatevi, andiamo... Buonanotte...

Eduardo                   - (scuote la testa. Anche la signora Rosa se ne va e Igor sulla porta fa un tentativo per abbrac­ciare Eduardo. Rimasto' solo, si toglie il frac; sve­stendosi apre la radio, ma sentendo suonare « I miei giovani anni » la spegne, rabbioso. Infila i calzoni del pigiama e va al telefono. Evita prima di com­porre il numero, ma infine si decide) Pronto? Siete voi, mammà? Sono Eduardo. Dormivate? Quanto mi dispiace. Scusatemi tanto... Lo sapete già? Sì, non è stato un successo. Ma non è stata colpa mia, ve lo giuro... E' stata Carolina... No... Ero io al pianoforte, beninteso... Ma Carolina... Insomma, mammà, vi prendo a testimone... se vostro marito, voglio dire, supponiamo che vostro marito viva ancora... bene... ma no... un momento... sup­poniamo che vi dia uno schiaffo... uno schiaffo così, per niente, per una sciocchezza... Come?... Due? Ma proprio così... Carolina me ne ha resi due... Mammà, siete voi che avete ragione... Due schiaffi, è evidente... Io ti dò uno schiaffo, tu me ne resti­tuisci due... E' meraviglioso... Volete passarmela? Come chi? Carolina... Non è da voi? Ma allora, mammà, come fate a sapere tutto quello che è successo stasera? Claudio... Vi ha telefonato... Ma dov'è Carolina, allora? No, è andata via da casa dello zio Claudio... Ma dove può essere? No... no... non spaventatevi, mammà... Era con Goffredo... La polizia? Mammà... Gli ospedali? Perché poi gli ospedali? Non è mica ammalata. Vi ho messo in un bello stato. Calmatevi. Ho proprio fatto male a telefonarvi. Come? Ho fatto bene, invece? Ho fatto malissimo, vi dico. Ma no, mammà... Vi assicuro mammà... Non è proprio il caso, mammà... No, non fatelo, vi prego... Aspettiamo ancora un mo­mento... Ve lo prometto... certamente, mammà... (Riaggancia il telefono) Gli ospedali! La polizia! Per­ché non l'obitorio? (Indossa una vestaglia, si stende sul letto. Dopo un momento spegne la luce. Poi si alza, va nel bagno, si rinchiude. In questo momento si sente la chiave nella serratura della porta d'in­gresso. Un uomo cerca il bottone della luce. Ac­cende. E' Goffredo. Va verso il letto, guarda sotto, non trova niente. Si guarda attorno, vede la valigia accanto al piano, la prende. Richiude la porta di ingresso, dimenticando di spegnere la luce. Eduardo esce dal bagno. Stupito) Ma guarda! Credevo di averla spenta. (Si distende sul letto, spegne nuova­mente la luce. Di nuovo la chiave; Goffredo appare).

Goffredo                  - (fra sé) Ma guarda! Credevo di averla lasciata accesa!

Eduardo                   - Ehi! Chi è?

Goffredo                  - (accende) Come? Sei tu?

Eduardo                   - Che diavolo fai qui?

Goffredo                  - Venivo... a spegnere la luce.

Eduardo                   - Spegnere la luce?... Ma... Che te ne importa della mia luce? Sei diventato guardiano notturno?

Goffredo                  - Avevo dimenticato di spegnerla e così... sono tornato...

Eduardo                   - Tornato? E quando eri venuto?

Goffredo                  - Un secondo fa. Dov'eri tu?

Eduardo                   - Basta con gli scherzi. Ero qui. Ti avrei visto, non sono mica cieco1.

Goffredo                  - Mi hai visto prendere la valigia?

Eduardo                   - Che valigia?

Goffredo                  - Quella che doveva trovarsi sotto il letto.

Eduardo                   - La valigia di Carolina?

Goffredo                  - Già. Felice che tu abbia finalmente capito.

Eduardo                   - No. Non ho capito niente di niente. Sei entrato qui a prendere la valigia di Carolina e io non ti avrei visto? Vallo a raccontare a chi vuoi.

Goffredo                  - Se credi che abbia intenzione di scher­zare... Vuoi la prova? (Esce un istante e rientra con la valigia) Vedi? Ci credi finalmente?

Eduardo                   - (feroce) Posa immediatamente quella valigia. Dove l'hai presa? E prega Iddio che mi mantenga calmo.

Goffredo                  - Oh, sai, ne ho abbastanza di te, della valigia e di Carolina.

Eduardo                   - Goffredo. Basta adesso. Parlo molto, molto seriamente. Tu entri qui come a casa tua. Da quando hai le chiavi di casa mia? (Goffredo vorrebbe dire una parola, ma Eduardo non gliene lascia il tempo) Entri qui per accendere la luce o per spe­gnerla, vieni per prendere da padrone delle valigie che non ti appartengono. Vuoi dirmi quali impulsi segui? In nome di chi agisci? Non ti sembra un po' forte quello che stai macchinando?

Goffredo                  - Finito? Posso dire una parola? Io non posseggo le chiavi di casa tua, ma è Carolina che me le ha date un momento. Carolina è di sotto nella mia macchina. Poco fa abbiamo chiamato al telefono e nessuno rispondeva. Allora Carolina mi ha pregato di venire a prendere la sua valigia, dal momento che ha deciso di non dormire qui stanotte. Capito?

Eduardo                   - E sei tu, il cugino Foffo, che mi viene a dire tutto questo? E' indecente.

Goffredo                  - Carolina non ha fratelli, non ha più il padre. Bisogna pure che qualcuno si occupi di lei...

Eduardo                   - Ma non tu. Perché tu non pensi ad altro che ad andare a letto con lei. Carolina mi ha già raccontato tutte le tue sporche manovre... An­cora stasera, qui stesso...

Goffredo                  - Bene. Questo riguarderebbe tua moglie, ma Carolina non è più tua moglie. Ha deciso di divorziare. D'ora innanzi non sarà più che una questione di formalità. Moralmente, Carolina è tor­nata ad essere una Beauchamps e, a questo titolo, io ho il diritto di occuparmi di lei. E me ne occupo. Prendo la valigia. Apro e spengo la luce; apro e chiudo la porta. La raggiungo. Addio.

Eduardo                   - (scoppiando) Tu mi fai il santo piacere di lasciar quella valigia dove si trova.

Goffredo                  - Mio caro, non è proprio il caso di dare ordini. D'altronde, questa valigia è di Carolina.

Eduardo                   - (minaccioso, avanzando) Posa la vali­gia. (Si inizia un litigio, che va man mano aumen­tando finché la valigia tirata dall'uno e dall'altro si apre e il contenuto si rovescia per terra).

Goffredo                  - Bel risultato. (Si abbassa) Tutta la biancheria di Carolina...

Eduardo                   - Ti proibisco di toccare la biancheria di Carolina. (Afferra Goffredo e lo rimette in piedi).

Goffredo                  - Farabutto! (Con un pugno Eduardo scaraventa Goffredo fin quasi nella porta del bagno. Goffredo si raddrizza, ma già Eduardo è su di lui. La rissa continua nel bagno. Si sentono rumori vari e le grida di Goffredo e di Eduardo. « Mascalzone, pagliaccio, suonatore ». ha porta del bagno si chiude di colpo. Sull'ingresso intanto appare Carolina, (che avanza cauta. Guarda sbalordita verso il bagno. Carolina scorge la valigia aperta in terra).

Carolina                    - Mio Dio! (Appare Goffredo sulla porta del bagno. E' in uno stato pietoso. Attraversa la scena, passa davanti a Carolina. Anche Eduardo appare. Ha un occhio nero e un aspetto vittorioso).

Goffredo                  - (con disprezzo, uscendo) Esistenzialista!

Carolina                    - Eduardo, ma che hai fatto all'occhio?

Eduardo                   - Non preoccupartene. Goffredo ed io; abbiamo messo in chiaro la situazione.

Carolina                    - Questo l'ho capito. Ma l'occhio ti si . gonfierà. Bisogna metterci sopra una compressa bagnata. (Va nel bagno, ritorna subito con la compres­sa, fa distendere Eduardo sul letto, esegue).

Eduardo                   - E' già finita la serata?

Carolina                    - No, ma ne avevo abbastanza.

Eduardo                   - La tua valigia... scusami... si è aperta...

Carolina                    - Non è nulla. (Raccoglie gli oggetti e li mette nella valigia) Avevo intenzione di venir a mettere un po' d'ordine qui, prima di andarmene...

Eduardo                   - (gentilmente) Non ne valeva la pena, Carolina. Ho messo in, ordine da me. Non si vede?

Carolina                    - Si, sì... E' molto carino quello che hai fatto. Allora... mi cambio... Ma prima, senti, vorrei chiederti un piacere...

Eduardo                   - Chiedi pure.

Carolina                    - Ecco... dopo la lite, avevo l'intenzione di andare dalla mamma. E' perciò che avevo fatto la valigia... Poi sono venuta alla serata... Tu sei scap­pato via... Io me ne sono andata... Goffredo mi ha raggiunta per la strada con la macchina. Abbiamo parlato un po' e poi mi ha condotta da mamma a Neuilly... Ma fra una storia e l'altra si sono fatte  le due del mattino e sai com'è mamma, così appren­siva... Ho sempre paura di spaventarla, arrivandole a casa in piena notte... Non avrebbe che complicato le cose. Allora volevo andare all'hotel, come Goffre­do suggeriva, e sono venuta a prendere la valigia. Ma adesso che sono a casa... l'albergo mi pare così strano... non trovi? Ti vorrei chiedere un piacere. Se non ti disturba troppo, per stanotte, sarebbe forse meglio che io restassi qui. Potresti andartene tu...

Eduardo                   - (ironico) Interessante.

Carolina                    - Beh, ho capito. Allora vado... Mi cambio e vado...

Eduardo                   - (leggero) Ma no, resta qui. Vado via io. 

Carolina                    - Grazie... Non ti dispiace?

Eduardo                   - No... no...

Carolina                    - Ma non puoi mica uscire subito, in quello stato... Resta disteso. Ti cambio la compressa. (Va nel bagno e torna con una nuova compressa) E' nero... Senti, rimani qui. Non puoi uscire con un oc­chio in questo stato. Mamma si alza sempre molto presto. Io potrò andare da lei verso le sette. Sfogherò qualche rivista aspettando l'ora. (Si siede).

Eduardo                   - Dovresti cambiarti. Non andrai mica da tua madre in abito da sera?...

Carolina                    - E' vero. Va bene, vado a cambiarmi... se non ti disturba...

Eduardo                   - Te ne prego...

Carolina                    - (va nel bagno e ne esce quasi subito, un po' imbarazzata) Per favore, vuoi aprire i ganci dietro?

Eduardo                   - Volentieri. (Eduardo cauta Carolina. Un momento di imbarazzo. Carolina rientra nel ba­gno e richiude la porta. Eduardo attraverso la porta) Carolina!

Carolina                    - (d. d.) Sì, Eduardo...

Eduardo                   - Hai ancora riflettuto sulla faccenda del divorzio?

Carolina                    - (d. d.) Sì. Ho riflettuto. E' molto semplice.

Eduardo                   - Farai la richiesta subito?

Carolina                    - (d. d.) Subito, certo. Sarebbe stupido perdere tempo. Cadremmo in pieno nelle vacanze.

Eduardo                   - In che cosa?

Carolina                    - (rientra in un abito da pomeriggio) Nelle vacanze giudiziarie. Se il divorzio non verrà pronunciato prima della fine di luglio, perdiamo tre mesi...

Eduardo                   - Credi che ce la faremo per la fine di luglio?

Carolina                    - Certamente. Potrei farti una prima in­giunzione nel corso di questa settimana. Penso che accetterai la clausola di assumerti tutti i torti. Del resto è una buona regola. Dunque, ti faccio la prima ingiunzione e tu rispondi semplicemente che mi rifiuti l’accesso al domicilio coniugale. Articolo 231. Il che costituisce un'ingiuria grave. Nelle quattro settimane successive all'ingiunzione, saremo convo­cati tutti e due...

Eduardo                   - Ma come fai a saper tutto così bene?

Carolina                    - Ma sono dettagli che sanno tutti. An­che i bambini.

Eduardo                   - Ti giuro che io non ne sapevo niente di niente. Ma anche a te, qualcuno deve avertele raccontate, queste cose.

Carolina                    - Certo: Goffredo.

Eduardo                   - Mi Pareva. Figurati se non c'era di mezzo Goffredo. L'ho pestato così bene che per qual­che giorno sarà difficile che lo vedi.

Carolina                    - Non c'è da vantarsene. Mi vergognavo di voi due quando vi ho visto picchiarvi come due mascalzoni. Ma cos'è successo?

Eduardo                   - Voleva prendere la tua valigia. Gliel'ho impedito.

Carolina                    - E perché? Ero stata io a chiedergli di venirla a prendere...

Eduardo                   - Potevi venirla a prendere da te.

Carolina                    - Come sei galante! E avrei dovuto tra­scinarmela da me per le scale?

Eduardo                   - Ti avrei aiutato io. Fino a nuovo ordine solo tuo marito ha il diritto di portarti la valigia. Perché hai avuto paura di salire?

Carolina                    - Non ho avuto affatto paura. Pensavo che tu non ci fossi, perché al telefono nessuno ri­spondeva.

Eduardo                   - Sì, lo so. C'era gente. C'è stata un po' di confusione.

Carolina                    - C'era gente? E chi?

Eduardo                   - Ho avuto qualche visita. Questa casa non è mai stata frequentata tanto come stasera. C'era il signor Borch... sua moglie... Igor...

Carolina                    - Fiorenza è venuta qui con suo marito?

Eduardo                   - E' venuta un po' prima. Poi è arrivato Borch...

Carolina                    - Eduardo, dimmi tutto... Sei stato sor­preso con Fiorenza? E' lei che hai baciata ne] bagno: ho visto l'asciugamano.

Eduardo                   - (balbettando) E tu... non hai baciato Goffredo?

Carolina                    - Non l'ho baciato: ha tentato.

Eduardo                   - Anche Fiorenza ha tentato. Siamo una coppia che la gente tenta di baciare. E' il nostro de­stino... Goffredo ha provato ancora stasera?

Carolina                    - Stasera non ero in vena di scherzare...

Eduardo                   - Tu forse, ma lui?

Carolina                    - Ti ho già spiegato...

Eduardo                   - Sì. Ma intanto dove avete passato tutto questo tempo?

Carolina                    - Tutto questo tempo! Non dirai che sono sparita per tutta la notte, vero? Me ne sono andata via dalla festa. Ho fatto qualche passo col nipote della 'portinaia, poi Goffredo mi ha raggiunta con la macchina. Gli ho detto che volevo andare a casa di mammà. Prima discussione. Non voleva portarmici. Voleva che ce ne andassimo a ballare. Fi­nalmente ho avuto ragione io e siamo andati a Neuiìly. Davanti alla casa di mammà, abbiamo pas­sato ancora non so quanto tempo a discutere...

Eduardo                   - Avresti potuto tornare a casa subito.

Carolina                    - Ma questo era appunto il problema. Sai com'è mammà. E' una ipersensibile, soffre d'in­sonnie e se l'avessi svegliata così, di soprassalto, avrei potuto procurarle un colpo al cuore. E' pericoloso, alla sua età... Non farei mai una cosa simile. Vedi, in pieno divorzio, in piano dramma coniugale, con le migliori ragioni del mondo, non ho osato sve­gliarla.

Eduardo                   - Io l'ho fatto.

Carolina                    - (spaventata) Hai telefonato a mammà?

Eduardo                   - Sì. Mi pareva normale farlo. Tu te ne vai, sparisci. Le sole notizie che so di re, me le dà Igor... Mi dice che sei andata da tua madre a Neuilly. Dunque ho telefonato a tua madre.

Carolina                    - (fuori di se) Hai telefonato alla mam­ma nel cuore della notte? Si sarà spaventata.

Eduardo                   - Spaventatissima. Voleva che telefo­nassi ai pompieri, alla polizia...

Carolina                    - E ti diverte?

Eduardo                   - Non mi diverte, ma ora dovremmo ri-telefonarle per dirle che sei qui.

Carolina                    - Un'altra telefonata? Vuoi che sia io ad uccidere mia madre? (Pausa) Eppure non c'è al­tro da fare, dal momento che tu hai fatto questa stupidaggine. (Va al telefono e nel -momento in cui sta per formare il numero il telefono squilla) Pronto? Sì, Eduardo è qui... Chi lo vuole? Come? Sei tu mammà? (Mettendosi una mano sul cuore, a Eduar­do) Che spavento. Come? Ma sì, sono io, Carolina... Non metterti in apprensione per me... Ma no... Eduardo ha perso la testa... Non so. proprio per­ché... Dove mi trovo? Ma... a casa mia, mammà... insomma a casa di Eduardo... Ti racconterò tutto domani... Verrò molto presto. Chi? La polizia? (A Eduardo) Mammà ha avvertito la polizia. (Al tele­fono) Ma mammà, che ti è venuto in mente! (A Eduardo) Che facciamo? (AI telefono) No mammà. Non fare più nulla e mettiti tranquilla, ce ne inca­richiamo noi della polizia. Sì, sì... sto benissimo... Anche aeli ospedali? Ma perché mammà? Sto benis­simo. (A Eduardo) Dille che sto benissimo...

Eduardo                   - (al telefono forte) Sta bene. Non è suc­cesso nulla... Calmatevi.

Carolina                    - (riprendendo il telefono) Come?... Eduardo... Era lui. Vedi che tutto va bene. Via, ora rimettiti buona a dormire e non ci pensare più. Sì... Ora ce ne occupiamo della polizia... Buonanotte e a domattina... Un bacione, mammà... Sì, ciao... (Riag­gancia il telefono) Vedi che razza di guaio hai com­binato? Te ne rendi conto? Per fortuna ormai tutto è finito con te... Mammà ancora sveglia alle tre di notte. Roba da farla rimanere secca... e la polizia che mi sta cercando dappertutto... Puoi vantarti di averla fatta bella! Ma di' qualcosa! Fa' qualcosa! Agi­tati! Resti lì, senza muovere un pollice, mentre squa­dre della polizia sguinzagliate per la città...

Eduardo                   - Ho capito. Telefoniamo alla polizia: è un diversivo. Che numero ha la polizia?

Carolina                    - (stacca il telefono, forma, il numero) Informazioni? Datemi il numero della polizia... Gra­zie. (Riaggancia, stacca di nuovo e forma un nu­mero) Polizia? Ecco... Si tratta... di una donna che è stata ritrovata... Come? No, un momento... Ma sentite... Io ero perduta... Come? Ero data per per­duta... Con un uomo? Ma per chi mi prendete? (A Eduardo) Mi ha chiesto se non sono pazza.

Eduardo                   - Al suo posto te lo avrei chiesto anch'io. Da' a me. (Prende il ricevitore) No. signore, mia mo­glie non è affatto pazza. Come? Chi sono io? Ma il marito di mia moglie, perbacco; la signora che si era perduta. Ma ora per fortuna l'abbiamo ritro­vata. Come si chiama? Carolina Mortimer. Sì, è rien­trata nel suo domicilio a rue Chanoinesse 14... (Riaggancia) Ma non capiscono mai niente in Que­stura? Non fanno che domandare il nome, vogliono sapere sempre come ti chiami. Dunque, finito.

Carolina                    - E adesso non c'è che da aspettare do­mattina. Rimettiti a letto. (Va nel bagno ed Eduardo si distende sul letto. Carolina ritorna subito con una bella vestaglia. E' provocante ed Eduardo lo nota).

Eduardo                   - Ti sta molto bene... Mi spiace solo che tu non l'abbia messa più sovente... Non l'hai indos­sata più di due o tre volte durante il nostro viaggio di nozze...

Carolina                    - (sedendosi e mettendosi a leggere) Non sapevo che tu amassi il genere vaporoso.

Eduardo                   - Al contrario. Lo amo molto. Non te n'eri mai accorta? (Eduardo la guarda, sì alza, rag­giunge l'ingresso mentre Carolina lo segue con gli occhi inquieta. Eduardo mette un catenaccio alla porta e torna verso Carolina che finge di essere spro­fondata mila lettura. Lui fa qualche passo verso il pianoforte, poi con un brusco dietrofront si avvicina a Carolina, con intenzioni aggressive. Si curva su di lei. Carolina non si muove ma ha paura).

Carolina                    - Eduardo, che diavolo ti prende?

Eduardo                   - (rialzandosi) Niente. Volevo farti paura.

Carolina                    - Volevi farmi paura? (Falsamente di­sinteressata) Perché hai messo il catenaccio?

Eduardo                   - Per i ladri. Sai bene che abbiamo paura dei ladri e che mettiamo il catenaccio.

Carolina                    - (senza convizione) Ma guarda; non me ne ricordavo più.

Eduardo                   - Carolina, voglio confessarti qualche cosa.

Carolina                    - Senti, sono le tre del mattino, Eduar­do... Che devi confessarmi? Che sei stato tu a ba­ciare Fiorenza?

Eduardo                   - Lasciami in pace con Fiorenza. Se tu sapessi come è lontana Fiorenza... Se non vuoi prò* prio saperlo...

Carolina -                 - Che tu lo dica o no mi è perfetta­mente indifferente.

Eduardo                   - Ma muori dalla voglia di saperlo.

Carolina                    - E tu muori dalla voglia di dirlo. Avan­ti, dillo.

Eduardo                   - Carolina... ho una voglia matta di te...

Carolina                    - (furiosa, di colpo, seria) Cosa dici? No, no... Non ci siamo per niente. (Pausa) Dopo tutto quello che è successo fra di noi, dopo la decisione che abbiamo presa, vorresti ancora... E' disgustoso...

Eduardo                   - Vorrei che restassimo su un bel ricor­do... Lasciamoci come due buoni amici... (Incomin­cia tra di loro una graziosa schermaglia: luì cerca di circuirla; lei si rifiuta. Lui si avvicina; lei scappa. Girano così due o tre volte intorno al pianoforte).

Cabolina                   - Fermati, Eduardo. Se non ti fermi, grido e faccio accorrere gente. (Eduardo si ferma).

Eduardo                   - E allora, che aspetti per gridare?

Carolina                    - Non grido perché tu non ti sei più mosso. (Eduardo fa un movimento verso di lei. Ca­rolina urla. Suonano).

Eduardo                   - Hanno suonato. Ma che notte; nem­meno ad un albergo suonano tanto. (Eduardo va ad aprire. E' la signora Rosa con un cappotto da uomo sulla camicia da notte).

Rosa                         - Signor Eduardo, signor Eduardo, ma che succede? Una brava coppia come voi due, che non mi ha mai dato la minima seccatura... e lo dico sempre a tutti gli altri inquilini... Guar­date il signore e la signora Mortimer. Non sono mai tornati a casa tardi, mai schiamazzi notturni, mai disturbato nessuno. Ed ecco che stasera mettete in subbuglio il quartiere. I vicini protestano, la po­lizia è di sotto perché pare che la signora sia scom­parsa...

Carolina                    - Signora Rosa, dite alla polizia che sono stata ritrovata. Del resto abbiamo già telefonato per­ché non si incomodassero ancora...

Rosa                         - Proverò a calmarli, signora. Bene. Ecco la convocazione della polizia per domattina alle undici. Ma lo faccio so'lo per voi, signora Caro­lina... Gli darò una tazza di caffè. Sapete come sono quelli della polizia. Finché non hanno la loro brava tazzina di caffè, non fanno che brontolare su questo povero mondo.

Eduardo                   - (dandole del denaro) Prendete, cara signora Rosa... per il disturbo...

Rosa                         - Oh, non ce n'era bisogno. Me la sbrigo io con quelli della polizia, ma per carità voi non fate più rumore. Gli inquilini sono tutti in piedi, stanotte. (La signora Rosa esce; Eduardo e Ca­rolina incominciano a parlare bassissimo).

Eduardo                   - Non gridi più adesso?

Carolina                    - Hai sentito la portinaia? Se grido ci cacceranno via da questa casa. E abbiamo fatto tanta fatica a trovarla.

Eduardo                   - Che te ne viene in tasca dal momento che domattina te ne vai? (Eduardo cerca di abbrac­ciare Carolina).

Carolina                    - Eduardo lasciami; ti ordino di la­sciarmi.

Eduardo                   - (a voce bassissima ma dolcemente) Ti tengo e non ti lascerò più; anzi mai più.

Carolina                    - Ma io urlerò. Io non voglio. Io non voglio più. (Si divincola e riesce a fuggire nel bagno che richiude. Squilla il telefono, Eduardo va a rispondere).

Eduardo                   - Pronto? Ah, signor Bordi siete voi? Come? No, no, non dormivo affatto. Sì, sì, Carolina è tornata. Tutto va bene. Come? Grandi notizie? America? Una serie di concerti in America? (Mentre parla Carolina ricompare in ascolto ma senza es­sere vista da Eduardo) E' meraviglioso, insperato, bel­lissimo. Come? Scusarvi se mi avete detto questo di notte? Ma non ci sono ore per una felicità simile; avete fatto benissimo... Sì, potremo incontrarci do­mattina per la firma del contratto; sarò da voi all'ora che mi indicherete. Alle undici? Non posso: ho una convocazione alla polizia perché Carolina era scom­parsa, ed abbiamo disturbato il posto di polizia. Ora vogliono sapere come e quando, e non la fini­ranno più. Ma l'importante è che Carolina sia sta<-a ritrovata; anzi non si è mai perduta. Ma natural­mente; alle undici e mezzo. Siete davvero un uomo squisito, non so come ringraziarvi, sono lieto e con­fuso, scusatemi. (Riaggancia. A questo punto Caroli­na si è infilata nel letto e si nasconde sotto le coltri) Carolina... Hai sentito? Era il signor Bo-rch. Ha detto che in America potrei cominciare la mia carriera... Mi ha anche detto che domani mi aspetta alle un­dici e mèzzo per la firma del contratto, e che fra sei mesi sarò un grande pianista... Ha detto che lui se ne intende..! (E' appoggiato alla porta del bagno) Eh? Perché non rispondi? Sei molto inquieta con me? Di' Carolina... Vuoi proprio divorziare? Proprio sul serio? Per uno schiaffo... Ma rispondi, Carolina... Come sai essere cattiva quando ti ci metti! Non devi esserlo, stasera. Ci siamo bisticciati, è vero, ma bi­sogna dimenticare. Mi prometti di dimenticarlo? Perché vedi... Non ti ho ancora detto l'importante, ed è che ti amo. Capito? Mi senti? Ti amo...

Carolina                    - (che ha ascoltato commossa il discorso di Eduardo, quasi in un soffio) Come sei stupido Dudù. (Eduardo si volta e d'un salto è sul letto che crolla con fragore. Ripetuti colpi alla parete: è evi­dente che l'inquilino accanto non ne può più). Eduardo e

Carolina                    - (spengono la luce e come ri­volgendosi al vicino, dicono insieme) Non è nul­la; non è successo niente.

FINE