Eduardo: teatro, poesia e ragù

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Di Antonio Sommella

EDUARDO: TEATRO, POESIA E RAGÙ

(Divagazioni a due tra palcoscenico e fornelli)

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Lo spettacolo è costruito intorno alla degustazione di un pranzo tratto dalle ricette di Eduardo, cosa che è avvenuta per la replica di Corridonia (Mc) con la sponsorizzazione di “Slow Food”.

A Caldarola (Mc) il pubblico ha mangiato “ziti al ragu” durante l’intervallo.

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Gli oggetti di scena: Due sedie, guantiera, caffettiera, tazzina, cucchiaino, zuccheriera, coppitiello, comodino, scialletto, grembiuli da cucina, mestolo di legno.

(Parte “Era de Maggio di Massimo Ranieri” a sipario chiuso. Sfuma a zero a sipario aperto. Entro in scena dalla platea e comincio a parlare col pubblico).

Mangiare... Voi pensateci un momento... Per l’uomo mangiare è una delle principali occasioni per stare insieme, per comunicare con gli altri. Quasi sempre I tempi della nostra vita vengono scanditi dai pasti, durante i quali ci raccontiamo le cose della giornata, discutiamo, litighiamo: spesso è proprio in quei momenti che tensioni, tenerezze, scontenti vengono a galla.

Eduardo De Filippo le sapeva bene queste cose, ed in tantissime delle sue commedie una parte da coprotagonista o da semplice comparsa l’aveva sempre voluta dare al cibo. Cibo vero: pasta al ragù, cappone, capretto al forno, frittata di cipolle. E il caffè. E gli attori dovevano mangiare!

In alcuni casi si tratta solo di accenni, utili però per lo svolgimento della trama, comica o tragica che sia: il sugo girato e rigirato durante la scena delle "prove" dei guitti in Uomo e galantuomo; i cibi portati dai vicini di casa per solidarietà vera o simulata in Le voci di dentro e in Dolore sotto chiave, oppure offerti a Rita che sta svenendo di fame in Il sindaco del rione Sanità; si parla di vino e vivande e merci di contrabbando e brodo vegetale e tubetti e spaghetti: appetitosi e fumanti quelli che mangia Calogero in la Grande Magia, freddi quelli divorati furtivamente da Gennaro Jovine durante un'incursione aerea notturna.

In altri casi vengono messi in scena pranzi, magistralmente orchestrati, e così diversi gli uni dagli altri: buffo in Ditegli sempre di sì, patetico in Natale in casa Cupiello, bizzarro in Non ti pago, tragicomico in lo, l'erede, emozionante in Napoli milionaria, grottesco in Il contratto, drammatico nel Il sindaco del rione Sanità.

Un caso a parte è costituito da Sabato, domenica e lunedì, commedia straordinaria, che inizia in una cucina con la protagonista che sta facendo il ragù e ne racconta la ricetta.

Prima di andare avanti, però, vi devo dire che Eduardo era anche un cuoco straordinario e verso la metà degli anni sessanta aveva scritto un poemetto in quartine intitolato «Si cucine cumme vogli'i”. Ma non aveva mai voluto pubblicarlo. Cosa che invece fece alla sua morte la moglie Isabella.

E fu leggendo questo libro che mi venne l’idea dello spettacolo: “Teatro, poesia e ragù”!

Buon divertimento!

(Esco ed entra Anna da una quinta- Interpreta entrambi i ruoli femminili)

SABATO, DOMENICA E LUNEDÌ

ROSA (Entrando da una quinta) Hai fatto con queste cipolle?

VIRGINIA (piagnucolando) Devo affettare queste altre due.

ROSA E taglia, taglia... fai presto.

VIRGINIA Signo', ma io credo che tutta questa cipolla abbasta.

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ROSA Adesso mi vuoi insegnare come si fa il ragù? Più ce ne metti di cipolla più aromatico e sostanzioso viene il sugo. Tutto il segreto sta nel farla soffriggere a fuoco lento. Quando soffrigge lentamente, la cipolla si consuma fino a creare intorno al pezzo di carne una specie di crosta nera; via via che ci si versa sopra il quantitativo necessario di vino bianco, la crosta si scioglie e si ottiene così quella sostanza dorata e caramellosa che si amalgama con la conserva di pomodoro e si ottiene quella salsa densa e compatta che diventa di un colore palissandro scuro quando il vero ragù è riuscito alla perfezione.

VIRGINIA Ma ci vuole troppo tempo. A casa mia facciamo soffriggere un poco di cipolla, poi ci mettiamo dentro pomodoro e carne e cuoce tutto assieme.

ROSA E viene carne bollita col pomodoro e la cipolla. La buonanima di mia madre diceva che per fare il ragù ci voleva la pazienza di Giobbe. Il sabato sera si metteva in cucina con la cucchiaia in mano, e non si muoveva da vicino alla casseruola nemmeno se l'uccidevano. Lei usava o il «tiano» di terracotta o la casseruola di rame. L'alluminio non esisteva proprio. Quando il sugo si era ristretto come diceva lei, toglieva dalla casseruola il pezzo di carne di «annecchia» e lo metteva in una sperlunga come si mette un neonato nella «connola», poi situava la cucchiaia di legno sulla casseruola, in modo che il coperchio rimaneva un poco sollevato, e allora se ne andava a letto, quando il sugo aveva peppiato per quattro o cinque ore. Ma il ragù della signora Piscopo andava per nominata.

VIRGINIA (compiacente) Certo, quando uno ci tiene passione.

ROSA E quello papà, se non trovava il ragù confessato e comunicato faceva rivoltare la casa.

VIRGINIA Povera mamma vosta!

ROSA Ma era pure il tipo che ti dava soddisfazione. Venivano gli amici e dicevano: «Signo', ma come lo fate questo ragù che fa uscire pazzo a vostro marito? L'altra sera ci ha fatto una testa tanta "E il ragù di mia moglie sotto, e il ragù di mia moglie sopra..."» e mammà tutta contenta l'invitava; e quando se ne andavano dicevano: «Aveva ragione vostro marito». E si facevano le croci.

VIRGINIA Vostro marito invece non ci va tanto appresso.

ROSA (con ironica amarezza) Don Peppino non parla; don Peppino è superiore a queste cose. Però si combina un piatto accopputo di ziti così... e qualche volta pure due.

VIRGINIA Pe' mangia' mangia.

ROSA Se lo faccio ancora, lo faccio prima per i miei figli, e poi perché senza il ragù la domenica non mi sembrerebbe domenica; ma se fosse per mio marito cucinerei pasta scaldata pure la domenica di Pasqua.

°°0°°

(Entro in scena da una quinta) E’ così che comincia il primo atto di “Sabato, domenica e lunedì”, una commedia in cui il ragù gioca un ruolo di grande rilievo facendo da contrappunto anche agli affetti ed alle gelosie dei protagonisti. E’ intorno al tavolo della domenica, imbandito con zuppiere di fumante pasta al ragù che scoppia il drammatico malinteso tra Rosa e Peppino. Nell'interno borghese di casa Priore si consuma la parabola di tensione, crisi, disfacimento e ricostruzione di un nucleo familiare. Rosa Priore è la

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protagonista, è lei - regina di un matriarcato attaccato dall'imminente rivoluzione sociale - che rintraccia la formula «magica» della gestione familiare nella celebre ricetta del ragù: serve tempo, pazienza e amore perché il sugo riesca. Ogni sabato si prepara, con calma e metodo, e la domenica, tutti insieme, con l'argenteria e il servizio buono, si mangia. Attorno alla tavola, a godersi quella giornata di festa: gratificazione e consolidamento del proprio ruolo. Ma Rosa Priore deve fare i conti con la vita che porta via i figli, con un marito affranto e amareggiato, che esplode in una improbabile crisi di gelosia: e il silenzio. Non parlano più, Rosa e il cavalier Peppino: occorre lo scontro per ritrovare la parola. E lo scontro arriva, puntuale con il ragù: al pranzo domenicale, di fronte alla famiglia e agli ospiti. Peppino Priore si lancia in un'invettiva amara e malvagia e lei, la donna forte, la donna madre, crolla. La morale dell'amore, però, tornerà a farsi sentire, nel lunedì di chiarimenti: un amore antico, solido, doloroso.

Dal terzo atto

(Rosa è affranta, stanca, delusa dal comportamento del giorno prima del marito in presenza della famiglia e degli ospiti. Parla a fatica: ma un po’ anche finge)

PEPPINO Come ti senti?

ROSA Non c'è male.

PEPPINO Rusi', io ti volevo parlare.

ROSA E parla. Io sto qua e ti sento. Però statte accorto a quello che dici perché sto debole e il dottore ha detto che non posso avere dispiaceri. (Non può proseguire, si sente mancare, per cui raccoglie ogni residuo di energia per chiedere soccorso) 'O 'j', 'o 'j'... adesso me lo fa un'altra volta... la casa mi gira torno torno.

PEPPINO (allarmatissimo) Ch'è stato?

ROSA Niente, niente... (Con un filo di voce chiama) Ame', aiutami.

PEPPINO E ci sto io qua, che c'è bisogno di Amelia. (Si avvicina a Rosa e le prende una mano per tenerla affettuosamente stretta nelle sue).

ROSA (si riprende) È passata. Ma quando mi piglia perdo completamente i sensi. Dunque, tu che mi volevi dire?

PEPPINO Forse non è il momento, tu stai troppo debole e non ti voglio sottoporre alla fatica di starmi a sentire.

ROSA Forse è meglio. Tu adesso te ne vai al negozio a fare i fatti tuoi, quando torni stasera, se mi sento meglio, ci chiudiamo in camera nostra e ci facciamo la solita chiacchieratella.

PEPPINO E ci raccontiamo cose inutili come abbiamo fatto fino adesso. Noi, io e te, siamo stati tanti anni insieme, abbiamo fatto tre figli, e non siamo riusciti a raggiungere quell'intimità che ti fa dire pane al pane, vino al vino. Sì, parliamo delle malattie: «io mi sento questo tu ti senti quello», ci raccontiamo i sogni che ci facciamo la notte, ma le cose serie o le fissazioni che ci vengono, magari per un atteggiamento malamente interpretato, per una parola capita male, quelle ce le teniamo in corpo e ne parliamo solamente quando ci siamo avvelenati il fegato e il sangue.

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ROSA Allora ne vuoi parlare adesso? Non vuoi aspettare stasera?

PEPPINO Non è che non voglio Rusi’, non posso aspettare. Io tengo un nodo qua, alla gola, che solamente parlando chiaramente con te si può sciogliere e posso respirare con soddisfazione un'altra volta... Io ieri mi sono regolato come un trappano, come l'essere più rozzo e più schifoso della terra. E il fatto di avere chiesto scusa al ragioniere in presenza di tutti quanti non è bastato; mi sento ancora sotto il peso di un avvilimento che difficilmente potrò superare.

ROSA Ma come hai potuto credere una cosa simile, e come hai potuto fare la scenata che hai fatto ieri?

PEPPINO Una gelosia, Rosina mia, che non mi faceva dormire la notte. Una gelosia ossessionante, feroce, che certe volte mi faceva salire il sangue alla testa, fino a togliermi la ragione, la vista, l'udito. Quando si dice: «la benda»: io veramente mi sono sentito una benda sugli occhi. Arrivavo ad essere scortese con la clientela, perché in certi momenti tutti quelli che entravano nel negozio diventavano tanti ragionieri. Per la strada parlavo da solo, dicevo: «Ma perché questo ridicolo si permette di fare tante gentilezze a Rosina? Non perde un'occasione per mettermi in uno stato d'inferiorità. Mia moglie è priva di parlare, di esprimere un desiderio che lui immediatamente si precipita per accontentarla. Si ricorda tutte le date, tutte le ricorrenze liete della mia famiglia, l'onomastico tuo, il compleanno, la data del nostro matrimonio...» E questo sarebbe niente, Rusi': quello tiene segnata la data del nostro fidanzamento. E si ricorda i dolci che piacciono a te, i fiori, i colori delle stoffe che tu preferisci. (Imitando il tono civettuolo di sua moglie) «Le rose di maggio mi piacciono assai», questo per esempio, tu l’hai detto durante una conversazione insignificante che avevamo fatto nel mese di febbraio... Neh, quello tre mesi dopo, come si può fare, tre mesi dopo, si presenta qua con un mazzo di rose di maggio per te. Il pesce di Aprile, l'uovo di Pasqua con la sorpresa, le prime albicocche, i primi fichi d'india. Tu dicesti che ti piaceva il torrone? Embé, quello fu capace di intossicarmi il due di novembre. Torno a casa e tu mi facesti vedere il pacco di torrone che aveva mandato lui: «Quanto è gentile il ragioniere! Si è ricordato che il torrone mi piace assai». Io presi il pacco di torrone che avevo comprato per te e non te lo feci nemmeno vedere , lo tengo ancora nel tiretto dello stipo a muro. Poi pensavo: «Tutti questi desideri mia moglie li esprime quando c'è lui... allora significa che vuole provocare le premure di questo signore». Se dobbiamo parlare chiaro, con quella intimità che ti accennavo prima, lo dobbiamo fare con tutta sincerità e senza riserva. Rusi', io sono arrivato al punto che in certi momenti... te lo ricordi lo stanzino nel retrobottega del negozio? dove ci sta l'aspirapolvere, gli stracci e lo scatolo della cera? Rusi', mi chiudevo là dentro e mi mettevo a piangere come un bambino e per la rabbia mi pigliavo a schiaffi. Poi mi buttavo l'acqua in faccia e mi sciacquavo gli occhi per non fare capire niente agli impiegati. Una gelosia furibonda che non auguro nemmeno al mio più grande nemico.

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ROSA (ha seguito con attenzione le parole di Peppino. Si è compenetrata della sofferenza di lui, ha colto ogni sfumatura di quel sentimento e ne ha sentito un'infinita tenerezza. Ora guarda il suo uomo con dolcezza e protezione materna. Dopo un breve silenzio comincia a sorridere come per ironizzare intimamente se stessa: e finalmente esclama) Giesù, ma non è possibile. Tutta questa gelosia per me? Peppi', io tengo cinquantatre anni e tu cinquantasette... (Breve pausa). 'O ragiuniere se metteva a perdere tiempo cu me? Ma chi vuo' che me guarda, Peppi'?

PEPPINO E tutte le gentilezze?

ROSA Uh, guardate... io so' na femmena anziana... 'o ragioniere è tanto corretto; le gentilezze che faceva a me le faceva pure in omaggio all'amicizia tua.

PEPPINO Ma come, io sono privo di raccontare un fatto che m'interrompi continuamente o per dare un ordine alla cameriera, o per dire una cosa a Giulianella... e quando parla il ragioniere stai tutta orecchi e non ti sfugge una parola? Quando racconta una barzelletta stupida, lui, tu ti fai un sacco di risate, se la racconto io, nove volte su dieci o dieci: «Scusa, non ho capito... stavo distratta» o dici: « Sì, sì, la sapevo; l'ha raccontata l'altra sera Rocco».

ROSA Embè, tu dici che si deve raggiungere l'intimità fra di noi e poi ti dispiace che io mi alzo e me ne vado mentre tu stai parlando? Il ragioniere è una persona estranea, si capisce che quando parla uno deve mettere attenzione a quello che dice. Ma se tu sapessi quante volte lui parla e io penso a un'altra cosa. Tanto è vero che quando ha finito di parlare io non ho capito proprio niente di quello che ha detto.

PEPPINO Allora quando uno diventa intimo deve essere trattato come un servitore?

ROSA Perché, io ti tratto come un servitore?

PEPPINO Rusi', io non sono un pazzo. Se il fatto del ragioniere è stato il frutto di una mia impressione sbagliata, come così è, ne sono sicuro, allora per quale ragione da tre quattro mesi tu ti sei cambiata nei miei confronti, fino al punto che non t'interessi più alla mia persona nemmeno per prepararmi la camicia pulita, un fazzoletto, un paio di pedalini. Una volta, quando andavo al negozio la mattina, uscivo dal portone, guardavo il balcone e tu stavi affacciata per salutarmi, fino a quando giravo la strada, e da quattro mesi non ti sei affacciata più.

ROSA (con evidente riserva mentale) E vuol dire che da oggi in poi ti preparo un'altra volta la camicia pulita, il fazzoletto e i pedalini... e quando esci dal portone e guardi sul balcone mi trovi affacciata. Ah, e quando racconti un fatto io lascio la cucina, i figli, tutto quello che sto facendo e mi metto a sentire a te che parli.

PEPPINO (avverte la frecciata e reagisce) No, Rusi'. Si parle accussì me piglio 'o cappiello e me ne vado. La camicia pulita me la può preparare pure la cameriera... Certi giorni me l'ha preparata Giulianella. Bene o male o me la sono preparata io stesso, o Giulianella, o la cameriera, la camicia pulita l'ho trovata quasi sempre. Ma perché non me la prepari più, questo è il punto.

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ROSA Se non te la preparo più, te ne accorgi e mi fai l'appunto Se poi te la preparo è una cosa naturale, un'abitudine qualunque che non va presa nemmeno in considerazione.

PEPPINO Allora il mal'animo lo tieni contro di me.

ROSA Mal'animo no. Ma m'era sembrato che tutte le cure e le attenzioni che ti facevo non venivano né riconosciute né apprezzate. E tu devi riconoscere che sei stato un poco strafottente nei miei riguardi. Ci siamo sbagliati tu da una parte e io dall'altra. Ma da questo a dire che io me l'intendevo col ragioniere! Vieni qua Peppi', io sto debole e non mi posso alzare. Siediti vicino a me. (Peppino siede di fronte a Rosa). Tu sei stato sempre un pazzo.

PEPPINO Io?

ROSA E perciò me si' piaciuto. Te pare che con quello che c'è stato fra noi: sacrifici amarezze e lotte da quando ci siamo conosciuti, e tre figli... alla vecchiaia io uscivo pazza e me mettevo c' 'o ragiuniere.

PEPPINO Ma questo lo abbiamo assodato, è stata una supposizione.

ROSA Però l'hai supposto, e questo è brutto. Non ti permettere più di pensare una cosa simile. Io ho conosciuto un solo uomo e si' tu. Non sono stata mai una bella donna da portare gli uomini innamorati appresso, nemmeno quando ero giovane, figuriamoci adesso che me so' fatta vecchia e so' ridotta ossa e pelle. Tu vuoi sapere perché mi sono cambiata nei tuoi confronti, e non ti ho preparata più la camicia pulita, i pedalini, 'o fazzuletto... T'è dispiaciuto? E io si te vulevo fa' nu piacere te ne preparavo due, una per la mattina e un'altra per il giorno appresso. Capisco benissimo che quando la moglie prepara la camicia pulita al marito è come continuasse a dire senza parlare: «La biancheria tua la devo toccare io sola, e tu la fai toccare solo a me pecché me vuo' bene come te voglio bene io». Ma non te l'ho preparata più per dispetto. E se tu mi domandi perché, io non ti posso rispondere, la ragione può essere insignificante e importante. Non sono bella, non sono giovane, ma so' femmena pur'io. Io ti posso dire solamente che non ti ho preparata più la camicia per la stessa ragione che te la preparavo prima: perché te voglio bene Peppi'.

PEPPINO (emozionato e rapito del tono dolcissimo e sentito con cui Rosa ha pronunciato le ultime parole) E dici che non sei bella? Tu non sai che sono diventati gli occhi tuoi quando hai detto: « Te voglio bene ». E perché non dovrei essere geloso? E se un altro ti vede come ti vedo io? Io ti guardavo negli occhi mentre parlavi e mi sono ricordato di quando sul Municipio mi guardasti prima di dire: «sì».

ROSA E dopo la cerimonia, per le scale... tu stavi distratto e non sentisti niente... Ci furono due ragazze che dissero: «La sposa è bruttulella, ma lo sposo è un bel giovane». E ti giuro che una gioia più grande non me l'avrebbero potuta dare in quel momento. (Rivivendo quel momento come una visione) Tenive nu vestito grigio... come te steve bello! E io pensavo: «È un bel giovane? E crepate! me lo sono sposato io che sono brutta».

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PEPPINO Ma sei stata sempre una donna viva, piena di sentimenti squisiti... e po' napulitana comme a me. Ti sei ricordata il vestito grigio che tenevo quel giorno?

ROSA Eh...

PEPPINO (con una punta di vanità) Me lo feci apposta.

ROSA E si ' sempre nu bell 'ommo.

PEPPINO (ridacchiando) Cara mia, ogni bella scarpa diventa scarpone. Adesso tengo la stessa età del ragioniere.

ROSA E c'è da fare paragone? Quello sembra tuo nonno.

PEPPINO (rasserenato) E va bene, Rusi', tu non mi vuoi dire perché ti eri cambiata nei miei confronti e io rispetto il segreto e non insisto più.

ROSA È na cosa 'e niente Peppi', non vale la pena.

PEPPINO Ti ho detto che non insisto. Però mi devi togliere una curiosità, e su questo argomento mi devi fare il piacere, devi parlare chiaro e devi dire la verità.... Ieri, durante quel momento di rabbia, tu dicesti una cosa che mi ha lasciato impressionato. T'abbracciasti a Roberto e dicesti: «Robe', io e te siamo vivi per miracolo». Che significa? Che vuol dire: «Siamo vivi per miracolo»?

PEPPINO Allora?

ROSA Ma non ne possiamo parlare stasera?

PEPPINO Stiamo parlando con tanta serenità, parliamone adesso, è meglio.

ROSA (tentenna il capo fissando il suo sguardo negli occhi di Peppino in segno di rimprovero) Che m' 'e fatto passa... e quanto mi sei costato.

PEPPINO Io?

ROSA No, quello che passa. Non te lo ricordi il pranzo alla Casina rossa a Torre del Greco?

PEPPINO (superficiale) Sì, me ricordo.

ROSA Ah, te ricuorde? Io m' 'o ricordo meglio 'e te. Facevamo l'amore di nascosto da cinque mesi... la sera che ci conoscemmo tu mi dicesti: «Peccato che sono impegnato»; dicesti la verità e io perciò ti stimai.

PEPPINO (ammettendo) 'A vedova.

ROSA 'A vedova, 'a vedova...

PEPPINO Che donna tremenda, e che me faceva passa'.

ROSA Io ti dissi: «Non fa niente che c'è la vedova, stasera sto allegra e me fa piacere 'e sta cu te». «Ma io ho impegnata la parola con questa signora... Rusi', pensaci bene... io nun te pozzo spusa'» dicesti tu... (Commentando con la prospettiva del tempo il suo comportamento superficiale di allora) Quando parlano dell'epoca moderna e delle ragazze che la pensano liberamente oggi! Io risposi: «Non fa niente, questi sono affari miei: dove c'è gusto non c'è perdenza». «Allora stasera?» dicesti tu. «Stasera», dissi io. E intanto pensavo: «Voglio vede' si doppo tu tieni il coraggio di lasciarmi». Insomma mi misi a dispetto colla vedova. Dopo cinque mesi m'invitasti a colazione a Torre del Greco.

PEPPINO E a tavola non sapevo come cominciare per dirti che la relazione nostra doveva finire perché la vedova aveva saputo tutto e mi minacciava.

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ROSA Finalmente me lo dicesti.

PEPPINO E mi fece meraviglia la freddezza con cui accogliesti la notizia e la mia decisione. Dicesti: «E va bene, vuol dire che abbiamo scherzato».

ROSA Poi venne la musica e io vulevo senti 'e canzone. Ma te guardavo e vedevo che te passavano le lagrime dentro agli occhi.

PEPPINO E te guardavo e pensavo: «Ma com'è possibile che Rosina ha preso questa mia decisione così semplicemente». Mi passò completamente l'appetito. A un certo punto te pigliaie 'a mano e te dicette: «Rusi', sai che c'è di nuovo? Tu devi essere mia moglie». «E 'a vedova?» dicesti tu. «La vedova non la vince contro di te nemmeno se diventa zitella un'altra volta». E tu dicesti: «Pensaci bene, perché adesso l'impegno l'hai preso con me».

ROSA (con tono pacato ma sincero) Ed ero incinta di Roberto.

PEPPINO (disorientato dalla rivelazione) Tu che dici... E io ho sempre saputo che Roberto è nato di otto mesi.

ROSA (ironica) Parto prematuro.

PEPPINO E non mi dicesti niente? E se io, per esempio, quel giorno decidevo per la vedova?

ROSA Aprivo 'o balcone e mi buttavo abbasso.

PEPPINO E il pazzo, poi, sono io... e non era meglio a dire le cose come stavano: «Peppi', io sono incinta».

ROSA E tu mi avresti sposata solo perché avevamo fatto un figlio. E allora in questa casa tu non ti saresti accorto che io non ti preparavo più la camicia pulita, e forse io non te l'avrei mai preparata.

Lunga pausa. I due si guardano lungamente negli occhi e scoprono per la prima volta la vera natura dell'amore che li ha tenuti legati per tanti anni.

PEPPINO Quanto te voglio bene, Rusi'.

ROSA (socchiudendo gli occhi) E io?

(Anna esce; rientrerà in scena nel personaggio di Margherita di Non ti pago)

Nel secondo atto, c’è una bellissima didascalia in cui Eduardo descrive il tipico pranzo domenicale napoletano e raccomanda agli attori come comportarsi.

“”Questa scena deve essere concertata in modo perfetto. Essa ha una grande importanza ai fini della commedia, il cui contenuto è, o lo è per me, ben chiaro: caratteri, sentimenti umani, costume. Il regista senza preoccuparsi di annoiare il pubblico, solo in questo momento, farà rivivere un pranzo domenicale napoletano, elevandolo, come le famiglie napoletane lo elevano, all'altezza di un rito. Ognuno conosce l'importanza del proprio compito e l'apporto personale che deve dare alla perfetta riuscita della funzione. I piatti fondi passano di mano in mano come un giuoco clownesco da circo equestre, e vanno a formare una pila, che mano mano aumenta di proporzioni, davanti a donna Rosa. Donna Rosa maneggia il mestolo d'argento con disinvolta perizia. La mano esperta della donna conosce l'appetito dei familiari e degli ospiti. Nessuno osa opporsi a quella saggia ripartizione. La prima ad essere servita è la signora Elena Ianniello: un mestolo solo.

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Forse ripeterà perché sono davvero promettenti quei maccheroni, ma non ama vedere il piatto colmo, si avvilisce. Zia Memé? Per carità... meno di un mestolo pieno. Perché preferisce mangiarli la sera per cena riscaldati e quasi bruciacchiati: ne va pazza. Don Peppino riceve la sua porzione e l'accoglie con indifferenza, ha altro per la testa lui. Il nonno non ama il piatto fondo. Adora l'insalatiera di media grandezza che contiene quasi mezzo chilo di pasta. I maccheroni suoi li vuole conditi a parte e lì dentro. Poi è la volta del dottore Ianniello e degli altri. Due piatti colmi e ricoperti con altri due capovolti, vengono messi ai posti dove si dovranno sedere Rocco e Federico che arriveranno dopo.

Peppino si lascia servire con il solito «passamani» senza muovere un dito per agevolare quel «giuoco»; quando il piatto arriva davanti a lui lo accoglie con indifferenza e senza commenti. L'euforia dei commensali, fatta di esclamazioni di gioia e di esultante ammirazione che abbiamo sentito esplodere, all'unisono, nell'attimo in cui Virginia ha mostrato la «sacra insalatiera», si va calmando e vieppiù affievolendosi fino a raggiungere un silenzio fitto che definirei « Silenzio da Ragù», che può essere interrotto soltanto da un traffico discreto fatto di cigolii di sedie, tintinnii di bicchieri e fastidiosi stridii di forchette golose nei piatti. “”

Ma ora lasciamo stare per un momento il ragù: ne parleremo più tardi, e passiamo invece a

Non ti pago

la commedia in cui una vincita al lotto ...... ... (mentre racconto la trama vado a mettere il grembiule , prendo il mestolo di legno e mi sposto dietro una quinta)... alla fine del terzo atto il tavolo tondo è apparecchiato per quattro persone, è stato invitato don Raffaele ma, come si vedrà, alla fine i commensali saranno ben più numerosi

Margherita: (Entra dalla cucina in agitazione. Rivolgendosi al pubblico) La bottiglia dell’olio… vuole altro olio ... Sta friggendo le melanzane. Se entrate nella cucina, vi vengono i brividi… la farina per terra, le casseruole in mezzo, una sopra l’altra… la carne si è bruciata e lui dice che così si deve cucinare. Il dolce poi… ha sbagliato tutto… invece di mettere lo zucchero dentro la crema, ha messo il sale, e siccome è rimasta amara, ha detto che così la voleva fare…

Ferdinando: Entro in scena poco prima della fine della battuta) Agro-dolce… Così voglio fare anche la pizza: agro-dolce. Ho messo un bel po’ di capperi, due olive di Gaeta, mezza cipolla tritata e un pizzico di pepe! E così ce le dobbiamo mangiare! (fingendo di scorgere in questo momento la zia di Bertolini) Ah, signora Erminia, come va da queste parti? Non vi do la mano perché è sporca di cucina (a Margherita consegnandole il mestole) Dallo ad Agliatello. Digli di continuare a friggere le melanzane e appena bolle, butta dentro i maccheroni.

Intanto è arrivata la signora Erminia, don Raffaele, l’avvocato (che è diventato l’avvocato di Bertolini Bertolini); e il biglietto vincente...........

FERDINANDO Don Rafe', prendete posto e scusate se, in vostra presenza... Qua, mettetevi qua. Avvoca', già che ci siete, fate penitenza con noi. Venite...accomodatevi. Cuncè siediti pure tu.

FERDINANDO Oh. Adesso ci siamo tutti... Dunque, quando un giovane s'innamora di una giovane e tiene intenzione 'e s' 'a spusa’... parla cu' 'a mamma, ma parla pure

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c' 'o pate... pecche 'o pate nun e na mazza 'e scopa... 'A passeggiata, l'appuntamento... (mi rivolgo a qualcuno del pubblico verso sinistra)

Signor Bertolini, a detta di mia moglie siete innamorato di mia figlia...

(Battuta sottintesa) BERTOLINI E voi non lo sapete?

FERDINANDO (ascolta la risposta “muta”) Come? Come sarebbe a dire “E voi non lo sapete?” No, io nun l'aggia sape, me l'avit' 'a dicere vuie; dunque, siete innamorato di Stella?

(battuta sottintesa)BERTOLINI Sissignore.

FERDINANDO OOH! E io acconsento a questo matrimonio. Adesso prendete posto tutti quanti. Donn'Ermi', sedete qua che c'e posto pure per voi. Voi, Bertoli', sedetevi a quel tavolinetto assieme a Stella, si no a tavola stammo stritte. Dunque... Aglietie', viene 'a cca, pripara 'e piatte che facimmo’e purzione.

Un momento però. Voi siete tutti testimoni che il signor Mario Bertolini è venuto lui, spontaneamente, da me per dirmi che si era sbagliato, che la vincita spettava a me e mi metteva a disposizione il biglietto. E vero? ....E io m’ 'o piglio... me retiro 'o premio... e me 'o metto dint' 'a sacca.. Però, siccome ho dato il consenso al matrimonio, vuol dire che mia figlia Stella porta al signor Mario Bertolini una dote di quattro milioni. Bertoli', però ricordete ca tu le 'a fa' felice a Stella... Tu The 'a vule bene assaie, pecche Stella e 'a vita mia.

FERDINANDO No, pecché si no... (mostra il ritratto del padre) due paroline a mio padre... (Fa il segno come dire: «Ti spedisco all'altro mondo»).

L’improvvisazione culinaria di Ferdinando Quagliuolo si contrappone alla cura quasi maniacale per il ragù che ha Rosa, la protagonista di “Sabato, Domenica e Lunedì”.

Si racconta che per “Non ti pago” Eduardo facesse portare in scena dei semplici ziti al pomodoro e basilico. Un giorno, durante una tournée, ebbe a dire: Guagliù stasera ci facciamo due maccheroni lardiati? E la ricetta di questo piatto lui la riporta anche nel suo poemetto “Si cucine comme vogli’’i

Maccheroni lardiati

c' 'o furmaggio pecurino puo'fa' pure 'o perciatiello

lardiato, a ccerasiello.

T'aggi di'cumme se fa?

Taglia 'o llardo piezzo piezzo,

mena rint' 'a cassarola;

niente zuco 'e pummarola,

sulo in bianco s'hann' 'afa

Tornando al ragù, non c’è dubbio che Eduardo ponesse questa salsa sull’olimpo della cucina. Nel suo poemetto culinario lui la cita brevissimamente in maniera secca e categorica quasi rifiutandosi di darne la ricetta

'O rraù nun 'o tuccammo...

Nun tuccammo chistu tasto

songo certo ca me guasto

e nce avimma ntussecà.

P’ ‘o rraù nce vo’ pacienzia

Antonio Sommella - Eduardo_Teatro, Poesia e ragù - Pagina 11 di 27 11

E ‘a pacienzia cji t’ ‘a dà?

Si nun piglie cunferenzia

ch’ ‘e gravune, nun ‘o ffa

Ma al ragù dedicò anche la nota poesia. Ma anche qui il tono è di quelli che non discutono

'O 'rraù

'O rraù ca me piace a me

m' 'o ffaceva sulo mammà.

A che m'aggio spusato a te,

ne parlammo pè ne parlà.

io nun songo difficultuso;

ma luvàmmel' 'a miezo st'uso

Sì,va buono:cumme vuò tu.

Mò ce avéssem' appiccecà?

Tu che dice? Chest' è rraù?

E io m' 'o mmagno pè m' 'o mangià...

M' ' a faja dicere na parola?...

Chesta è carne c' ' a pummarola.

Carne ca' pummarola. Questo è il punto. Il ragù categoricamente non è carne c’ ‘a pummarola! Vi ricordate la battuta di Rosa all’inizio di “Sabato Domenica e Lunedì” quando risponde alla cameriera? (Anna rientra in scena e riprende la battuta)

Anna - Purtroppo oggi, anche a Napoli, si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne. Ma per carità, il ragù è tutta un’altra cosa.

Ci vuole:

1 chilo e mezzo di lacerto (la parte tra il girello e il sottocoscia)

1 chilo di tracchiulelle (ovverosia le costine di maiale),

400 grammi di concentrato di pomodoro

200 gr. di olio extravergine

200 grammi di cipolla tritata

300 grammi di vino bianco secco

Il bianco di una costola di sedano

Una carota, molto basilico

2 litri di passata di pomodoro,

E' consigliabile prepararlo il giorno prima mettendo la carne nel tegame, unitamente alle cipolle affettate sottilmente e all'olio. Carne e cipolla dovranno rosolare insieme: la prima facendo la sua crosta scura, le seconde dovranno man mano appassire senza bruciare.

Per ottenere questo risultato, bisogna rimanere ai fornelli e sorvegliare la vostra "creatura",

pronti a rimestare con la cucchiarella di legno,e bagnare con il vino, appena il sugo si sara' asciugato: le cipolle si dovranno consumare, fino quasi a dileguarsi. Quando la carne sara' diventata di un bel colore dorato, sciogliete il cucchiaio di conserva nel tegame e aggiungete la passata di pomodoro.

Antonio Sommella - Eduardo_Teatro, Poesia e ragù - Pagina 12 di 27 12

Regolate di sale e mettete a cuocere a fuoco bassissimo, il ragù dovra', come si dice a Napoli, pippiare parola onomatopeica che ben descrive il suono del ragù' che cioe' dovra' sobbollire a malapena a quel punto coprirete con un coperchio sul tegame, senza chiuderlo del tutto.

Il ragù adesso dovra' cuocere per almeno tre ore, di tanto in tanto rimestatelo facendo attenzione che non si attacchi sul fondo. Buon Appetito!

Anna esce per rientrare poi nel personaggio di Concetta che porta il caffé

Antonio - Ma ora ci spostiamo in un’atmosfera diversa. Natale in Casa Cupiello è forse la commedia di Eduardo più conosciuta Il cibo vero o il semplice racconto del cibo fanno da sfondo lungo tutta la commedia. Il caffè del mattino che apre il primo atto, i broccoli che all’inizio del secondo Concetta pulisce mentre chiacchiera con Raffaele il portinaio, i capitoni che vengono rincorsi in cucina, la distribuzione del caffè ai vicini che vengono a trovare Luca ammalato, il racconto della scorpacciata di fagioli fatto dallo stesso Luca ai vicini.).

Primo atto. All’apertura del sipario Luca Cupiello è a letto, Concetta entra recando in mano una tazza di caffè. Concetta

Lucarie’, …… Lucarie’ scètate songh’e nnove! (va verso il comodino e vi appoggia la tazza) Lucarie’ …… scètate songh’e nnove!. .......Pìgliate ‘o ccafè.

Luca

(si siede in mezzo al letto e si toglie svolgendoli dalla testa, uno alla volta, due scialletti di lana e una sciarpa; poi guarda di sbieco la moglie) Ah, songh’e nnove? Già si sono fatte le nove! La sera sei privo di andare a letto che subito si fanno le nove del giorno appresso. Concè, fa freddo fuori?

Concetta

Hai voglia! Si gela.

Luca

Io me ne so accorto, stanotte. Non potevo pigliare calore. Due maglie di lana, sciarpa, scialle …… I pedalini ‘e lana…. Te ricuorde, Cunce’, i pedalini e lana che compraste tu ca diciste: “sono di lana pura, aggi’ avuto na cumminazione, Te ricuorde, Cunce’? (Concetta continua a vestirsi senza raccogliere l’insinuazione del marito. Luca prende gli occhiali dal comodino e si mette a pulirli meticolosamente) Cunce’, Te ricuorde? Cunce’ …..? (la donna non risponde) Cunce’, te ne sei andata?

Concetta

(infastidita) Sto ccà, Lucarie’, sto ccà

Luca

E rispondi, dài segni di vita!

Concetta

E parla, parla: ti sento.

Luca

‘E pedalini ca cumpraste tu, che dicesti: “sono di lana pura”. Cunce’, quella non è lana, t’hanno ‘mbrugliata. Tengo i piedi gelati. E poi, la lana pura quando si lava si restringe ……. Questi più si lavano più si allargano, si allungano …… so’ addiventate ddoje bandiere.

‘O ccafè, Cunce’!

Concetta

Sta lloco, te l’ho messo sopra al comodino.

Luca

Ah, già (prende la tazza. Sbadiglia) Conce’ fa freddo fuori?

Concetta

Si, Lucarie’, te l’ho detto fa freddo. (spazientita) Fa freddo e basta.

Luca

Eh ….. Questo Natale si è presentato come comanda Iddio. Con tutti i sentimenti si è presentato, d’altronde lo deve fare, è il mese suo. (beve un sorso di caffè e subito lo sputa) Mamma do carmine, Concè ti sei immortalata, che bella schifezza che hai fatto, Conce’!

Concetta

(risentita) E già, mo le facèvemo ‘a cioccolata! (alludendo al caffè) E’ nu