El manoval del fomne

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Ël manoval dël fomne

Commedia comica in tre atti

di

GIANNI CRAVERO

PERSONAGGI

BENEDETTO - DALPAPA

Capo famiglia (si fa per dire)

ASSUNTA

- DALPAPA

Sua moglie

LIBERATA

- DALPAPA

Figlia maggiore

DOMENICA - DALPAPA

Figlia minore

DON DINO

- DON DINO

Prete, amico di Benedetto

VOCE

- DI DIO

Voce fuori campo


Ël manoval dël fomne         Commedia brillante in tre atti di             Gianni Cravero

AMBIENTAZIONE:

Solo un tavolo e tre sedie. La scena deve essere buia con solo un occhio di bue ad illuminare il tavolo.

Benedetto, pover’uomo con 3 donne, non riesce più a capire cosa costoro vogliano da lui.

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Ël manoval dël fomne         Commedia brillante in tre atti di             Gianni Cravero

Ël manoval dël fomne __________________________________________________________ 0

AMBIENTAZIONE: ________________________________________________________ 1

PROLOGO ________________________________________________________________ 3

Atto 1° ___________________________________________________________________ 7

Scena 1° (Benedetto, Don Dino) ___________________________________________________ 7Scena 2° (Benedetto, Don Dino, Voce)______________________________________________ 9Scena 3° (Benedetto, Voce) ______________________________________________________ 11

Atto 2° __________________________________________________________________ 20

Scena 1° (Benedetto, Don Dino) __________________________________________________ 20

Atto 3° __________________________________________________________________ 35

Scena 1° (Benedetto, Voce) ______________________________________________________ 35Scena 2° (Benedetto, Voce, Don Dino)_____________________________________________ 38Scena 3° (Voce, Benedetto) ______________________________________________________ 51

EPILOGO _______________________________________________________________ 52

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PROLOGO

(Parte la sigla inziale, La donna è mobile , cantata da Benedetto. Il sipario rimane chiuso mentre Benedetto canta. Verso la fine, Benedetto, cantando, esce davanti al pubblico. Quando è fuori dal sipario, Benedetto si interrompe e comincia a parlare col pubblico)

BENEDETTO - Oh…ma varda che bela gent. Bon-a seira a tuti.

(Attesa se il pubblico risponde o applaude.)

BENEDETTO - Mi an ciam Benedetto Dal Papa.

(Attesa per vedere se qualcuno tra il pubblico rido o commenta)

BENEDETTO - Strano ne, come nom. Lo séu…ma a l’è nen colpa mia…a l’è col cretin ch’a l’ha scrit la comedia che s’a buta nen almeno ‘n nòm baravantan a l’è nen content.

(Attesa della reazione del pubblico)

BENEDETTO - Comunque, véusija nen parleve del me nòm ma d’an problema che l’héu, ben pi grave.

(Voce registrata)

ASSUNTA    - Benedetto, ven ‘n po’ si…subit.

BENEDETTO - Ven-o, gioija…ecco l’eve pen-a conussu na part del me problema. Con përmess, torno subit.

(Benedetto va dietro il sipario dove comincia un dialogo tra lui e la moglie)

BENEDETTO - Cos’a ije…vëddi nen ch’ij l’héu ëd gent.

ASSUNTA

- Appunto…chi a son-ne? Còs’a véulo?

BENEDETTO - Ma a son me amiss. L’avija ditlo che l’avrija ‘nvitaije, no?

ASSUNTA

- T’it séugni patate marse. It l’hai nen dime pròpi gnente.

BENEDETTO - Come? Ma se l’héu ditlo l’aotra sman-a.

ASSUNTA

- Nen veij. Comunque varda pura ëd dësciulete a tapareije via che

péui ti ‘d l’hai da fè.

BENEDETTO - Da fè? Da fè còsa?

ASSUNTA

- Sarinte nen che chicòs da fè m’it t’lo tréuvo.

BENEDETTO - Va bin, va bin, dame mac sinc munute.

ASSUNTA

- Nen un-a ëd pì.

(Benedetto torna in davanti al sipario mogio)

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BENEDETTO - Eh, eh, eh, pròpi na gioija, ne? A l’è Assunta, mia fomna. Come vo disija, chila a l’è na part del me problema. Péui a ijè Liberata, mija fija pi granda e Domenica, la pi giuvo. Se péui i giuntuma ‘na gata, ‘na cagna, ‘na suocera e ‘na cugnà, ecco tut ël problema an t’la sua dramaticità. Ah dësmenciava ‘dcò ël canarin che verament ij séu nen sa sija ën masc o ‘na fumela, ma con ël cul ch’ij l’héu mi…

(Vece registrata)

LIBERATA

- Papà!!! Papà!!!

BENEDETTO - Liberata. Scuseme.

(Benedetto va di nuovo dietro al sipario)

BENEDETTO - Cos’a ije, l’héu ëd gent.

LIBERATA

- Papà, l’héu bolà la macchina.

BENEDETTO - Torna?

LIBERATA

- Ma stavolta a l’è nen colpa mija, son sicura.

BENEDETTO - Figurumse.

LIBERATA

- No, no, stavòlta mi l’héu rason.

BENEDETTO - E alora qual a l’è ël problema?

LIBERATA

- Che ël vigil a l’è ‘n lambel.

BENEDETTO - A l’ha butate ël man a còl?

LIBERATA

- Ma no, però a ij da rason a l’aotr.

BENEDETTO - L’aotr chi?

LIBERATA

- L’aotra persona, col ch’a l’ha bolate la macchina.

BENEDETTO - Sentoma. Com’a l’è capità l’incident?

LIBERATA

- Ma gnente, mi déuvija girè da via Ormesan an via Levis, l’aotr

a l’era ferm a lë stòp ëd vja Levis e, quand che mi l’héu girà, col

rimba a l’è nen gavasse pareij a l’ha bolame la portiera.

BENEDETTO - Ma com’a l’ha fait a bolete la

portiera së a ijera ferm?

Spiegëmlo.

LIBERATA

- Déuvija andè an darè, no?

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BENEDETTO - No!!! It l’hai torna tòrt. Come sempre. Spariss mac da la mija vista se no ëd tòrs ël còl.

LIBERATA    - Ma papà…

BENEDETTO - Fila!!!!

(Attimo di silenzo prima dell’uscita di Benedetto)

BENEDETTO - Che disastro. A l’ha già bolame tante ëd se macchina che l’ultima vòlta l’assicurator a véusija pagheme për tant ch’ij cambiejsa asicurassion.

(Benedetto si mette le mani sul volto per un attimo)

BENEDETTO - Tornand a noi, mi l’avrija piassi ëd saveij se ij l’eve capì bin qual a l’è ël me problema

(Attimo di attesa per la reazione del pubblico)

DOMENICA - Papà péuti ven-i da si an moment? BENEDETTO - Domenica, la pì cita. Pèutu nen ven-i si ti, gioija? DOMENICA - Son nen presentabil papy. Ven ti, foma an pressa. BENEDETTO - Scuseme.

(Di nuovo Benedetto va dietro al sipario)

BENEDETTO - Cosa a l’è lon lì?

DOMENICA - So sì a l’è n’iguana.

BENEDETTO - N’aotra fumela? Basta ciamporgne an cà mija se nò fass na

strage. Capì?

(Domenica comincia a piangere quasi urlando)

DOMENICA - AHHHHH!!!! Mama, mama, papà a l’è cativo, an fa piurè!!!

BENEDETTO - Che strega, véuto ste ciuto…

ASSUNTA

- Cos’a l’hai tu faijè a sa povra masnà, delinquent?

BENEDETTO - Ma l’héu faije pròpi gnente…

DOMENICA - AHHH! A véul nen lasseme ten-i Igui, AHHH!!

ASSUNTA

- Ma dime ti che pare

sensa chéur, fe piurè pareij na pòvra

masnà ch’a véul péui mac…’n moment, chi a l’è Igui.

DOMENICA - Varda.

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ASSUNTA

- AHHH!!! ‘n mostro. Benedetto fa chicòs taparlo vija. Përchè it

l’hai lassaij lo portè an të cà.

BENEDETTO - Mi? Ma mi centro gnente.

ASSUNTA

- Ti përmëtti sempre tut. It sei sempre ël sòlit.

DOMENICA

- Péusne ten la , mama?

ASSUNTA

- Mi no mi, pòrta lo li an dov’a it l’hai piala. Fila!!!

DOMENICA

- AHHHHH!!!!

ASSUNTA

- L’hai tu vist Benedetto, cos’it l’hai combinà. Vërgògnte.

BENEDETTO - Mi, ma…

ASSUNTA

- Gavate mac d’an ti ciàp.Va vija.

(A questo punto si apre il sipario mentre Benedetto rientra in scena e comincia la commedia vera e propria.)

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Atto 1°

Scena 1° (Benedetto, Don Dino)

(Benedetto, rimasto solo si dispera, sentendosi vittima delle sue donne)

BENEDETTO - Ma cosa l’héu fait për meriteme tut sònt. Mi ël fomne i capisso nen, a son tròp complicà.

♫(Suona il campanello)

BENEDETTO - Chi aij sarà? Nosgnor fa mac ch’a sijo nen ëd brute néuve.

(Urlando verso il fondo)

BENEDETTO - Intré pura, a l’è duvert!!

(Entra Don Dino il parroco che parla con un accento bolognese)

DON DINO   - Salve, Benedetto, son solo mi.

BENEDETTO - Ah, ciao, Don Din, come…

DON DINO   - Benedetto, ti prego, non chiamarmi più in quel modo, sorbole,

per favore.

BENEDETTO - E com’ij véuli ch’it ciama? Capiss nen.

DON DINO  - Io mi chiamo Don Dino ma tu, pronunciandolo in dialetto, lo fai sembrare lo squillo di un ciuchino, come dite voi.

(Ridendo)

BENEDETTO - Ah, ah…ciuchin, Don Dino, CIU-CHI-N …ël ciuchino e l’è n’asnòt.

DON DINO      - Ridi, ridi, mo ben. Comunque, d’ora innanzi, chiamami reverendo, mo così la smetti di pigliarmi per le terga.

BENEDETTO - Ma dai, dime nen ch’it sei ofendute per pòc parei.

DON DINO  - Per te sarà cosa da poco, per me è importante. Ho una dignità da difendere, io, mia e di quello che rappresento.

BENEDETTO - E cioè?

DON DINO   - Mo la chiesa di Cristo, che altro?

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BENEDETTO - Uhh, si t’la fai lunga. Va bin, reverendo, va bin. Pitòst, sei tu

mlu bele si mac për feme la predica?

DON DINO   - No, per la verità passavo davanti alla tua porta e ti ho sentito

imprecare e disperarti. Così ho pensato che era mio dovere…

BENEDETTO - Ven-i a fiché ël bech, ne?

DON DINO   - Mo niente affatto. Io come parroco devo…

BENEDETTO - Savei tutti iji afè dla gent.

DON DINO   - Mo come ti permetti di trattarmi come una zitella curiosa.

BENEDETTO - Scavte ne tant, “PARROCO”, mi schërsava.

DON DINO   - Mo ben, in tal caso, accetto le tue scuse.

BENEDETTO - Mi l’héu nen fate gnun-e scuse ma fa gnente, va.

(Don Dino si siede)

BENEDETTO - Se! Ij era ‘n camin chi cristonava përché ij na péuss pi dël mie fomne.

DON DINO   - Mo cosa t’hanno fatto ste sante donne.

BENEDETTO - Sentlo, ël preive.

(Rivolgendosi al pubblico)

BENEDETTO - I farinei parei ëd costì a considero sempre ël fomne come ëd madòne, tute pie e timorà ëd nosgnor e a san nen ch’a son socce dël diavolòt.

(Rivolgendosi a Don Dino)

BENEDETTO - Se a son sante dòne, péudrij nen piettije ti për coltive la sua santità direttament ‘n t’la cà ëd Nosgnor?

DON DINO      - Mo ti va di scherzare, sorbole. La santità non si coltiva nelle chiese ma in mezzo alla gente, nella vita di tutti i giorni e…

BENEDETTO - Fala nen tant lunga, PRELATO, dis che t’ije véuli nen përché të stai tròp bin da sol.

DON DINO      - Non è quello, credimi. Il fatto è che se il Signore le ha messe vicino a te, ci sarà sicuramente il motivo. Forse vuole metterti alla prova.

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BENEDETTO - Pi che aotr pënso ch’a véubbia feme scontè chicòs. A mi pi che na préuva a më smija na penitensa.

DON DINO      - Non parlare così di nostro Signore. Lui ci vuole bene e pensa sempre…

BENEDETTO - Sent me bin, ne, s’an véusijssa tut col bin, a l’avrija fala meij, la fomna, meno complicà.

DON DINO   - Mo Benedetto! Mo cosa dici?

BENEDETTO - Diso che Nosgnor a déuvrija dene a noi aotri omu ën manoval, an sema a la fomna. Séu pa…ën librett d’istrussion, te.

DON DINO - Mo non dire scempiaggini!! Adesso esageri, Benedetto. Calmati. BENEDETTO - Ma va la, va…Se péudijsa parleije a quatréui a chiellà, ij la

canterija   ceira:”Péudrij   nen   ‘nfiglieije   ën   papè   con   la

spieassion quand ch’it fai na fomna?”.

DON DINO   - Ma…a chi?

BENEDETTO - Cosa?

DON DINO   - A chi lo diresti?

BENEDETTO - A Nosgnor, no? A l’è chiel ch’a l’ha la fabrica, no?

DON DINO      - Basta, Benedetto, smettila di dire eresie. Il Signore ha cose ben più importanti da fare e…

BENEDETTO - Ma scusa, l’eve nen sempre mostane che vòstr padron a l’è onnipotente, onniscente, onnipresente?

DON DINO   - Mo questo cosa centra?

(Alzando gli occhi al cielo in modo da non guardare Don Dino)

BENEDETTO - Come, com tute se qualità a riess nen a scrivi doi righe dë spiegasson për giutene a capì ël fomne?

Scena 2° (Benedetto, Don Dino, Voce)

VOCE                   - Benedetto, Taparlo via.

(Guarda improvvisamente Don Dino)

BENEDETTO - Chi?

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DON DINO

- Cosa?

BENEDETTO - Nen còsa, chi?

DON DINO

- Chi, cosa?

(Girandosi di lato in modo da non guardare Don Dino)

BENEDETTO - Oh Nosgnor!!

VOCE                   - Si?

(Girandosi di scatto verso Don Dino)

BENEDETTO - Ëd chërdi ‘dcò d’essi Nosgnor, adess?

DON DINO   - Mo cosa stai dicendo, sei scemo?

BENEDETTO - It sarai ti, fòl. Prima tën disi ëd taparè via chidun, péui…

DON DINO   - Ti dico di fare cosa?

BENEDETTO - Tapararè via, “mandare via, far sloggiare”.

DON DINO   - Io non ti ho detto proprio niente del genere.

BENEDETTO - Oh mai pi?!

(Quest volta Benedetto sta guardando Don Dino bene in faccia)

VOCE                   - Taparlo via, Benedetto!

(Benedetto rimane impassibile per qualche secondo senza smettere di guardare Don Dino)

BENEDETTO - Com’ij fai tu a parlè sensa déurvi la boca?

DON DINO   - Mo io non ho parlato.

BENEDETTO - Se…e mia fomna a l’è la Madona.

DON DINO   - Ma…Benedetto, cosa ti prende?

BENEDETTO - Mi séu nen cos’a ch’an riva, ma séu cosa ch’a të riverà tra ‘n po’, ‘n mes a ij éui, si t’la pianti nen li subit.

DON DINO      - Benedetto, Benedetto, dovevi dirmelo che eri così stressato, così…

BENEDETTO - Adess basta! Preivi o nen preivi, mi ora ëd don tante ëd cole


VOCE


patele che…

- Benedetto, piantla li ëd ciaciarè con ël parco e taparlo via.


(Benedetto rimane sospeso a mezzaria con la mano alzata, come pietrificato)

BENEDETTO - L’hai tu sentu?

DON DINO   - Cosa?

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BENEDETTO - La vos.

DON DINO

- Oh Signore Benedetto.

VOCE

- Ecco …parei, ‘n tën colp sol, a l’ha nominane tuti doi.

BENEDETTO - Ma…la senti nen ‘dcò ti sta voss?

DON DINO

- Povero Benedetto, adesso vado a chiamare il dottore.

BENEDETTO - Fërmte li, pijte bin varda, ne.

VOCE

- Lasslo ‘ndè, parei a sgava da ‘n ti ciap.

DON DINO

- Ma tu hai bisogno di cure, di specialisti.

BENEDETTO - Ti  pensie  nen.  Adess  torna  ‘n  paròcchia,

parei  mi  péuss

riposeme ‘n pòc.

VOCE

- Brav, e disije ch’a buta ‘n luchet a la cròta, përchè la perpetua

a l’è pen-e piasse na piomba da magnin.

DON DINO

- Bravo, riposati, più tardi torno a trovarti.

BENEDETTO - No, no, mi quand ch’i son stanc ij fass ël gir d’l’arlòge.

DON DINO

- Va bene, allora ci vediamo domattina.

VOCE

- La cròta!

BENEDETTO - Ah, mac na còsa. Ciamme nen com’a fass a saveilo, ma quand

ch’it rive ‘n canònica, daije ‘n gir a la cròta.

DON DINO   - La cantina, cosa centra la cantina?

BENEDETTO - Non cosa centra ma chi c’è entrato.

DON DINO   - Qualcuno è entrato in cantina?

BENEDETTO - Già ‘n bel giariass, che adess péudrij felo al sivè.

DON DINO   - Non capisco…

BENEDETTO - Fa gnente, va, che forse ij t’lo ciapi ‘ncora ‘n t’la cròta.

DON DINO   - Va bene vado subito. Tu, piuttosto, riposati che poi ci dobbiamo

riparlare.

(Don Dino esce)

Scena 3° (Benedetto, Voce)

BENEDETTO - E adess a noi! ‘N dova sei tu stërmate e chi sei?Ven fòra. 11

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VOCE

- Come, chi son, pròpi ti ij l’hai tirame për la giaca.

BENEDETTO - Mi? Ma …prima ‘d tut fate vëddi. Mi an piass nen parlè con la

muraija. Pensa se a intra chidun e an tréuva a parlè da sol

com’a ën balengo.

VOCE                   - Preocupë te nen. Se a riva chidun, mi t’lo diso.

BENEDETTO - Come fai tu? L’hai buta na telecamera? Sei tu dël govern?

VOCE                   - Tacoma nen a ofendi, ne.

BENEDETTO - E alora chi diav sei tu?

VOCE                   - Diav? Che Diav? Lassa ste la concorensa. Noi soma Vosgnor.

BENEDETTO - Vosgnor?

VOCE                   - No, Noi soma Vosgnor, ma ti déuvi ciameme Nosgnor.

BENEDETTO - Vosgnor, Nosgnor, ma chi sei tu a la fin?

VOCE                   - Col che s’a perd la pasiensa a t’ rasata ël pòrtacove.

(Guardandosi attorno con le mani a protezione del sedere)

BENEDETTO - Pijte bin varda, dësgrassià, préuvte a tocheme. VOCE - Però, bel corage, venta amët’lo. Anche se pen-e ch’it capirei ch’it l’hai minaccià it basserai la crësta. BENEDETTO - A ma alora it sei ‘n mafioss. VOCE - Lassa ste i politich, na vòlta tant a centro gnente.

BENEDETTO - Nosgnor, giuteme.

(Con voce possente e roboante, con eco, riverbero e via dicendo)


VOCE


- Eh se të stai nen ciuto e më scoti nen, com’ij fass. Eh?


(Finalmente, Benedetto comincia a sospettare che la Voce sia veramente Il Signore che ha tesè invocato)

BENEDETTO - Nosgnor?

VOCE                   - Ohhh…Finalment, a ijera ora. Pensava pròpi ch’it fussi vastate.


(Benedetto cade in ginocchio con le mani giunte)

BENEDETTO - Përdon me, Nosgnor, ij l’avrija mai pensà che të më scoteissi dabon.

VOCE                   - Già…a l’è l’ònt ch’a penso sempre tuti.

BENEDETTO - Son pentì, son pentì, përdon me.

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VOCE

- Tirte su, badago. E stame a senti.

(Benedetto si alza tremante)

BENEDETTO - Parla pura, papà.

VOCE

- Com’a sarija, “papà”?

BENEDETTO - Beh…to fiéul a l’ha fane na min-a parei, disand ne che sicome

iero tuti frei con chiel, ti sariji ‘dcò nòs pare.

VOCE                   - Tecnicament a l’è lë Spirit Sant ch’a s’occupa d’ëncrementè la

famija, comunque, s’a ‘d fa piasì, ciamme pura papà. Adess,

però divagoma pi nen e stame a senti.

BENEDETTO - Scusa ‘ncora na còsa, papà. Come mai Don Din ad sentija nen?

VOCE

- Prima ëd tut përché mi ‘n fass senti mac da chi véuij e second

përché cola progenie a sent mac cos ch’ a véulo lor e quand

ch’a ij fa còmod.

BENEDETTO - Crispa, ‘n sento un po’ come Mosè.

VOCE

- Bon colla, ij l’héu dovù deije féu a na pianta për feme scotè.

BENEDETTO - Përché? A riesijlo nen a sentite?

VOCE

- An sentija pro ma a pensava ch’a fusa la fam e la se. Ti

comunque pijte bin varda d’andè ‘n gir a spatarè la voss ch’it

l’hai parlà con mi. Capì?

BENEDETTO - Sta tranquil. L’hèu gnu-ne véuie ‘d funì al manicomio.

VOCE

- S’a të va bin.

BENEDETTO - Përché?

VOCE

- Përché an t’la miglior d’le ipotesi a’të porto al manicomio e

dòp doi o tre di, quand ch’a vëddo ch’it sei mac an po’ fòl, a të

mando a ca.

BENEDETTO - Se no?

VOCE

- Se nò come prima còsa a të mando da Vespa a “Porta a Porta”,

péui a ven-o

piete coi dël Vatican, a të saro an tën convent e

péui a të fan sant. A campo giù tua ca e a fan ‘n santuari.

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BENEDETTO - Basta, basta ël quader a l’è complet. Grassie për aveijme tranquilisà…

VOCE                       - Adess piantla li ‘d fe domande e dréuv i paraluce. Mi ij son stofiame ëd senti le tue lamentele, valo bin? Sopratut an da pròpi fastidi ch’it chërdi pi furb che mi.

BENEDETTO - Mi? Ma ‘n përmëtterija mai…

VOCE                   - Silensio!!!

(Benedetto si spaventa e abbassa la testa)

VOCE                   - Vist ch’it lamenti che la fomna a l’è tròp complicà, vist che ti, pi

furb che Mi, l’avrij scrit dë spiegassion, adess piji papè e piuma

e të m’lo scrivi ti ël manoval dël fomne.

BENEDETTO - Mi? Ma..ma…

VOCE                   - Gnente ma. O it fai com’i diso o m’it mand a spalè carbon dal

foghista. L’hai tu capì?

BENEDETTO - Ma, papà, scusme, ne, ma përchè déuvrija felo mi ël manoval se

la dòna it l’hai creala ti?

VOCE                   - Discut nen la mia volontà. E péui… a l’è stait n’incident…

BENEDETTO - N’incident?

VOCE                   - Se, la fomna ël l’avija nen ‘n programma. A l’è mluva fòra për

cas.

BENEDETTO - Ma mi chërdija ch’i l’aveisi fala con ‘na còsta d’Adam.

VOCE                   - A l’è pro ‘ndaita pareij, ma nen volontariament.

BENEDETTO - Com’a sarija?

VOCE                   - Ma… gnente…Ijero mi e lë Spirit Sant ch’ij vardavo coma ch’a

ijera mlu Adam. Mi an piasija’ncora nen. A më smiava ch’a

l’avijsa tròpe còste. A lo fasijo tròp meir, scheletric. Alora i dis

a Spirito:”E se ij gaveisso ‘na còsta?”. BENEDETTO - Ma…ij parli ‘n piemonteis, tra voieitri?

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Gianni Cravero

VOCE

- Mi e lë Spirit Sant ij l’oma nen damanca ëd parlè, soma na còsa

sola.

BENEDETTO - Ah, l’héu capì, più ò meno come quand che mi parlo da sol.

VOCE

- Piantla li ëd dì ëd gavade. A son còse tròp dificil për ës friciéul

ch’i ciami sërvel.

BENEDETTO - Scusa.

VOCE

- Lassoma perdi. Alora…Spirito an varda e an dis:”Toch’lo pi

nen, scot’ me, varda che pi t’lo tochi e pi t’lo ruvin-i”. Mi però

ijera nen sodisfait. “Sent” ij diso a Spirito, “Mi préuv a gaveine

un-a. Se péui a va nen fass sempre ‘n temp a buteila torna,

no?”. “Fa ti ch’it sai” an rëspond Spirito. Mi alora i gavo na

còsta dal fianc a drita e, sensa penseije la campo via.

BENEDETTO - Coma, la campi vija?

VOCE

- L’héu daije l’andi, l’héu campala darè dlë spale, sensa penseije.

E ‘nteromp pi nen se nò tën fai perdi ël fil.

BENEDETTO - Scusa.

VOCE

- Spirito a varda Adam e an dis:”T’l’aviji rason, a va pi bin, con

na còsta ‘d meno, a fa meno rastel. Adess, però, ricòrd’ te ëd

gaveije ‘dcò

l’aotra, se nò a smija péui ‘n dësgrassià.” Mi

alora gavo subit ‘dcò l’aotra còsta e la campo darèdlë spale,

come la prima. Fòrse l’òss a l’avia ‘ncor gnanca tocà tera che

ji sento na voss darè ëd mi ch’a s’ buta schissè:”Chi a l’è col

lambel ch’a campa për tera ij òss ciucià?” L’héu dit voss ma a

l’era pi come ‘n giss ‘n s’la lavagna. A l’è mlune la pel d’òca.

Soma girasse mi e Spirito për vëddi cosa ch’a ijera ch’a

schisava e soma trovasse davanti ‘na fè ch’a smiava ad Adam,

‘n po’ pi cit e con i mimin gonfi come se l’aveisa pëssiaije da

chi ‘d part.

BENEDETTO - I mimin?

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Ël manoval dël fomne    Commedia brillante in tre atti di

Gianni Cravero

VOCE

- Se, ël pupe, l’hai tu mai vist’ne gnu-ne?

BENEDETTO - A se, se, scusa.

VOCE

- Alora mi ij dis a Spirito:”E da dova a riva sosì?”. “Ah, séu nen,

si col ch’a crea it sei ti” an rëspond col gadan , che péui sarija ‘dcò mi për ël fatto che soma na cosa sola e via dicendo. “Ma mi l’héu pròpi nen creà gnente dël gener” ij diso mi. Spirito a resta n’attim ‘n silensio, mentre col…la cosa a continua a cigole come na pòrta rota, e péui a së stampa ‘n s’la front ‘n papin da masè ‘n tòr e an dis:”Dime nen che la prima còsta ch’it l’hai campà via a l’è funija ‘n tël fango primordiale, ne?” E ‘nvece a ijera pròpi l’ont ch’a l’era capitaije. La prima còsta a iera funija ‘n t’la pauta che mi dovrava për fe i buracio prima dë scracieje ‘n boca.

BENEDETTO - Come, scraceje ‘n boca? Ma ‘n t’la Bibbia a ijè scrit che ti

soffiavi.

VOCE                   - Pudija pa feie scrivi pròpi tut coma ch’a ijera, nò? Ij l’oma

smorsà ‘n pòc le còse. Còmunque, për funi la stòria, ijera li, li che véusija cimila quand che Adam a së dësvija e coma la vëdd a taca a perdi ël bave, a ‘s buta a cantè, a taca a fè ël fòl e a nuffiela da la testa ai pè e péui a scampa për tera fasand ël batacule. Spirito, che certe volte a l’è contra i verm, a sbuta ‘dcò chiel a braijè:”Vist, l’héu ditlo che a forsa ‘d paciochelo i t’lo ruvinavi. E adess? It l’hai falo mli balengo.” E ‘nvece, col fricandò d’Adam a ijera mac content d’aveij trovà n’aotr buracio pareij ‘d chiel. A së sëntija sol, col folaton.

BENEDETTO - Che ‘n deficient.

VOCE                   - Ti, varda ch’it sei sò parent, ne?

BENEDETTO - Va bin, ma se véusij cimila, përchè it l’hai nen falo.

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Ël manoval dël fomne

Commedia brillante in tre atti di

Gianni Cravero

VOCE

- L’hai  tu  present  quand’  che  i  preivi  an  ciamo  “Padre

misericordioso”?

BENEDETTO - Beh…se.

VOCE

- A l’han rason. Mi l’héu ël chéur cit ma na ninsola. E parei son

comovume e l’héu lassaila ch’a giugheissa.

BENEDETTO - Brav, compliment. Grassie tante, ne.

VOCE

- Ma mi sicche savija che l’avrija carijave ‘n badò. Ij son

scorsumne mac dòp ‘n po’. A ijera gnente ch’a ij piasijssa. E le

bestie a sporcavo, e ij osei ai fasijo ven-i mal a testa, e la tigre

a l’avija lë strissie nen precise, e le pere a ijero tròp dure, fatto sta che mi an certo punto n’avija una pien-a a l’aotra ch’a vërsava e alora son dime:”Si a venta che tréuva na scusa për mandeije via se nò i ven-o mat”.

BENEDETTO - E alora ij l’hai tirà fòra la storia dell’albero del bene e del

male.

VOCE

- Ma che storia del bene e del male. Mi ij l’avija ‘ncora nen

solament pensaije a coma fe a sbatije fòra dle bale quand che a

l’è mlume véuija ‘d mangè na fogassa ‘d pom e l’hèu dije a

Spirito s’a péudija preparela.

BENEDETTO - Lë Spirit Sant?

VOCE

- Se, ogni tant an fa ‘n pòc da perpetua. Comunque, sa strega

d’Eva a l’ha sentume, përchè, cola la a fassia sempre la

ciòrgna quand che la ciamava ma a l’avija d’oriasse…cosa a

l’ha fait? A l’ha patlame l’unic pom ch’a ijera ‘ncora tacà la

pianta. Mi a l’è montame ‘n nërvoss che l’héu pi nen sceirà

gnente e l’hèu taparaije via malament.

BENEDETTO - Ma…përché ‘dcò Adam?

VOCE

- Përchè se col cretin a fussa nen ‘namorasse ëd cola ciòspa, mi

l’avrija rasatala subit e a stora sarija setà sota na ciuenda a

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Ël manoval dël fomne         Commedia brillante in tre atti di             Gianni Cravero

giéughi a treset. E péui a fassia pa gnente sensa col roclò. Bastava che cola là a bugeisa na man che Adam a corija da na part a l’aotra con la lenga fòra.

BENEDETTO - Va bin. Adess ij l’hai spiegame com’it l’hai creà Eva. A propòsit, përchè l’hai ciamala parei?

VOCE                       - A l’è Adam ch’a la ciamala parei. Pen-a ch’a l’ha vistla a l’ha braija :”Porca Eva” e pareij l’oma ciamala tuti pareij.

(Benedetto rimane un attimo sconcertato e poi riprende)

BENEDETTO - Ecco…si… però mi véusija dì: përchè déuvrija felo mi ël

manoval, se la colpa a l’è d’Adam?

VOCE                   - Eh già, quand che ël pet a fijeira a l’è mai ëd gnun, ne? Prima

ëd tut ti sei sò discendente e péui costa a l’è la mia volontà. Se

nò ijè sempre la fornasa, ne?

BENEDETTO - No, no, va bin lo faréu. Ma coma déuvne felo?

VOCE                   - Ah mi sicche séu. Sei ti ch’it sai cosa ch’a l’è ‘n manoval, come

lo véuli. It don na sman-a, nen na minuta ‘d pi.

BENEDETTO - Ma a l’è pòc…

VOCE                   - A l’è pòc!!??? Ti, bel féul tò pare, si, a l’ha fait tut ël creato ‘n

na sman-a. T’it t’lhai mac da scrivi doi papè an cros.

BENEDETTO - Va bin, va bin. ‘N rabijte nen. Na sman-a, va bin. Péusne feme

giutè, però?

VOCE

- Da chi?

BENEDETTO - Da Don Din, ël parco.

VOCE

- Col ganimede ch’a ijera si prima?

BENEDETTO - Se.

VOCE

- Ah për mi fa pura ma sa ijè na maniga ‘d falurco ch’a na

capisso gnente dël fomne a son pròpi i preivi. I së sëntoma da

‘nchéui a n’éut.

BENEDETTO - Speta ‘n moment, papà.

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Ël manoval dël fomne

Commedia brillante in tre atti di

Gianni Cravero

VOCE

- Cosa ijè, ‘ncora. L’è nen basta ceir?

BENEDETTO - No, no a lè tut ceir. Però com’i faréu a convinci Don Din che ti

t’l’hai pròpi parlame?

VOCE                   - Ah li rangte da sol. I sei ti ch’ij véuli fete giutè da chiella.

Arvëdëse.

BENEDETTO - Arvëdëse.

(Si chiude il sipario)

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Atto 2°

Scena 1° (Benedetto, Don Dino)

(Si apre il sipario con Benedetto seduto davanti al tavolo su cui ci sono dei fogli. In mano ha una biro)

BENEDETTO - Fa ‘n presa chiel la a di:”Scriv ‘n manoval”. A l’è për gnente facil.

♫(Suona il campanello)

BENEDETTO - Speroma ch’a sija Don Din. AVANTI!! A L’È DUVERT!!!

DON DINO   - Ciao, Benedetto, stai meglio, oggi?

BENEDETTO - A la pisme ‘ncontra.

DON DINO   - Come?

BENEDETTO - Mac bërlich, bërlich.

DON DINO   - Continuo a non capire.

BENEDETTO - Come na barca ‘n tël bòsch.

DON DINO   - Bella, la metafora…

BENEDETTO - Metà ‘ndrinta o metà fòra stavòlta ij l’hèu pijalo ‘n col pòst.

DON DINO

- Ma perché, cosa t’è successo? Ti ha lasciato tua moglie?

BENEDETTO - Magara, an capiterà mai ‘na fortun-a parei.

DON DINO

- Dai , Benedetto, non scherzare. Cosa ti è successo?

BENEDETTO - Se t’lo conto t’ën fai ricoveré.

DON DINO

- Coraggio, Benedetto, se non vuoi confidarti con l’amico, fallo

col prete.

BENEDETTO - L’hai tu portà ‘dcò ‘n preivi?

DON DINO

- No sono solo….Mo sono io il prete, cretino.

BENEDETTO - Ah già, son dëmenciamne. A

dite la verità séu nen chi sia

peggio.

DON DINO

- Grazie, eh, io lascio tutti i miei doveri di parroco per correre da

te e tu mi tratti così?

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BENEDETTO - Doveri di parroco? Ma fame nen grignè, va, chi l’héu nen véuija. Ma se passi la giornà a cori da na bigina a l’aotra sperand ëd sopateije ëd piurlo con la scusa ch’a son për n’òpera bon-a.

(Alzandosi indignato)

DON DINO   - Adesso basta!! Me ne vado.

(Benedetto afferra Don Dino per un braccio e lo costringe a sedersi)

BENEDETTO - Buta ës cul ‘n s’la cadrega e stame a senti.

DON DINO   - Non ho nessuna intenzione di stare ad ascoltare altri insulti…

BENEDETTO - Piantla li, sufistic. La còsa a l’è seria.

DON DINO   - E allora finiscila di tergiversare e racconta.

BENEDETTO - A proposito di “versare”, speta n’attim che von a piè da beivi përché a sarà lunga.

(Benedetto esce per andare a prendere da bere. Don Dino, rimasto solo sbircia sui fogli su cui l’amico aveva cominciato a scrivere.)

DON DINO   - Manuale sulle donne? Ma cosa…

(Il prete prende in mano il primo foglio e lo legge in silenzio)

DON DINO  - Ma roba da matti. È più grave di quanto pensassi. Devo assecondarlo se no questo farà qualche mattana.

(Entrando…)

BENEDETTO - Son si, ne.

(Don Dino rimette a posto il foglio e fa finta di niente)

DON DINO   - Cosa hai preso da bere?.

BENEDETTO - Mac d’eva. Déuvoma restè lucid.

DON DINO   - Restare lucidi? E per cosa?

BENEDETTO - Adess të spiego.

(Benedetto cerca il coraggio per rivelare all’amico cosa gli è successo la sera innanzi. Qui si deve ricorrere alla mimica facciale e corporale per far capire l’imbarazzo di Benedetto.)

BENEDETTO - L’hai tu present quand’ che ier seira l’héu taparate via?

DON DINO

- Certo, avevi fretta di liberarti di me.

BENEDETTO - Ecco…ijera nen mi che véusija mandete via.

DON DINO

- Ah no?

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BENEDETTO - No…’n realtà a ijera…come di…A propòsit, l’hai tu daila na gira a la cròta?

DON DINO   - Non cambiare discorso, vieni al dunque.

BENEDETTO - Rëspond a la domanda prima. L’hai tu trovà chidun ‘n drinta?

DON DINO   - Si, non farmici pensare…c’era…

BENEDETTO - Fërma, fërma, famë lo di a mi…La perpetua, ciuca mortal.

DON DINO   - Come fai a saperlo? Ah, ma certo, te l’ha detto il sagrestano.

Quello è più pettegolo di una zitella.

BENEDETTO - Gnun sagrista. It dësmenci che mi lo savija prima che a ijera chidun ‘n t’la cròta. A l’è veij o nen?

(Pensandoci…)

DON DINO   - Effettivamente…

(Battendo una manata sul tavolo)

BENEDETTO - L’hai tu vist? E come fasija, second ti a saveijlo?

DON DINO   - Te l’avrà detto qualcuno.

BENEDETTO - Brav… brav. E… chi a péudrija essi?

DON DINO   - Il sagrestano, chi altri?

BENEDETTO - E daila col sagrista. Lassa perdi col bonomass. A na savija gnente të l’assicur. Fa finta ch’a esista nen. Chi a péudija saveijlo?

DON DINO   - Ah, solo Dio lo sa.

BENEDETTO - Brav…brav…it darija ‘n basin.

(Don Dino, che evidentemente aveva solo usato un modo di dire, rimane sconcertato dall’euforia di Benedetto)

DON DINO   - Mo cosa ho detto di così entusiasmante?

BENEDETTO - Eh, lo séu che për ti a l’è normal che Nosgnor a sappia sempre tut, ma i pensava che ti buteisi ‘d pi ad acetè la còsa.

DON DINO   - Accettare cosa?

BENEDETTO - Ma ch’a l’abbia dimmlo Nosgnor, no?

(Attimo di silenzio, durante il quale Don Dino guarda fisso Benedetto. Durante questo tempo, la mimica di Don DIno deve passare dall’espressione di chi non ha ancora capito, a quella di chi

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comincia a sospettare, a quella di chi comincia a essere preda del panico fino a quella di chi decide di stare al gioco per assecondare un pazzo)

DON DINO   - Ah…e già…il Signore…

BENEDETTO - Già, pròpi chiel.

DON DINO   - Certo, certo e…dimmi, Benedetto, dove hai il telefono?

BENEDETTO - A l’ha pa dovrà ël telefono…a l’ha parlame diretament, come

soma ‘ncamin ch’ij foma noi aotri.

DON DINO   - Ah, si… sicuramente… del resto…

BENEDETTO - Son pròpi content ch’it l’abbi chërdume.

DON DINO   - Benedetto, adesso però…dimmi…da quanto tempo…

BENEDETTO - Mac ier seira. A l’è staita la prima vòlta.

DON DINO   - Dio sia lodato, allora fai ancora in tempo a smettere.

BENEDETTO - Péuss pa, a l’ha dame mac na sman-a e se funiss nen ‘n temp an manda a l’infern.

DON DINO - Nessuno ti può costringere a farlo, dipende solo da te smettere. BENEDETTO - Parli bin ti, ma déuvij sentilo. A l’è ‘nrabbiasse…e péui, coma

la butoma col diavlòt?

DON DINO      - Benedetto, ascoltami, Dio non può volere questo. Lui è buono e misericordioso e…

BENEDETTO - A l’ha ël chéur cit come na ninsola, lo séu a l’ha dimlo chiel. E comunque a l’ha ordinamlo e se lo fass nen an castierà për l’eternità.

(Facendosi il segno della croce e con voce dura, seria)

DON DINO      - Smettila, Benedetto, Dio non è uno spacciatore e non ti chiederebbe mai di drogarti.

(Attimo di sconcerto da parte di Benedetto)

BENEDETTO - Drogheme? Ma sei tu fòl? Nosgnor a l’ha pa dime ëd drogheme.

DON DINO   - Mo volevo ben dire, sorbole. E cosa ti avrebbe detto? Sentiamo.

BENEDETTO - A l’ha ordiname dë scrivi ël manoval dël fomne.

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(Don Dino rimane in silenzio guardando Benedetto)

BENEDETTO - Përché parli nen? It sei rëstà sbacalì, ne?

DON DINO      - Veramente, sto cercando di capire se sei diventato più scemo di quanto sei normalmente oppure se mi stai prendendo in giro. Ma chi credi di incantare, eh?

BENEDETTO - Ma son ‘ncamin ch’ij parlo seriament, t’lo giuro.

DON DINO      - Non fare lo spergiuro, Benedetto, abbi almeno il pudore di non sconfinare nella blasfemia.

BENEDETTO - Vard lo si ch’a l’è ‘nrabijasse. A taca a parlè dificil.

DON DINO      - E certo che mi arrabbio. Tu puoi anche essere matto ma non ti permetto di prendere in giro il Signore.

BENEDETTO - Ma a l’è la verità, Dino, Nosgnor a l’ha parlame.

(Alzando gli occi al cielo)

BENEDETTO - Parlije ‘dcò as fricandò, për piasì, daije ‘n segn, fame la grassia.

(A questo punto, dal nulla compare un aeroplanino di carta che plana sul tavolo. I due amici guardano la scena in silenzio e, dopo l’atterraggio del velivolo stanno ancora un po’ zitti. Poi Benedetto alza gli occhi al cielo)

BENEDETTO - A ijera nen na manera un po’ meno original?

(Benedetto prende l’aeroplanino, legge una scritta sul fianco e po lo porge a Don Dino)

BENEDETTO - A l’è për ti.

DON DINO   - Per me? E da chi?

BENEDETTO - Less, péui na parloma.

(Don Dino apre l’aereo e si ritrova in mano una lettera. A mano a mano che la legge, impallidisce sempre di più fino a che si getta in ginocchio con le mani giunte)

DON DINO      - Signore, mio Signore abbi pietà di me…sono stato come San Tommaso e me ne pento amaramente…Disponi del tuo umile servo come ti aggrada.

BENEDETTO - Ti, bel fiéul, adess të ‘n chërdi?

(Don Dino non risponde ma fa vigorosamente segno di si con la testa)

BENEDETTO - Ah, ecco, eh…péusne saveij cosa a l’ha scritte Nosgnor për fete cambiè idea?

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(Don Dino non risponde neanche quest volta ma fa cenno di No scuotendo vigorosamente il capo)

BENEDETTO - Va bè, fa gnente, ij lo ciamerò péui a chiel direttament. Adess tirte su, Tommy, e sette si.

(Don Dino si alza e si risiede sulla sedia)

DON DINO   - Adesso capisco perché hai cominciato a scrivere su quei fogli…

BENEDETTO - Varda ch’a l’ha già ficà ël bech’n ti afè di aotri.

DON DINO   - Scusa ma non ho potuto fare a meno di sbirciare.

BENEDETTO - Certo, sicur. Bin adess tirte su ël manije e dame na man a

scrivi.

DON DINO

- Va bene. Però, per quel poco che ho letto, non mi sembra che tu

sia sulla buona strada.

BENEDETTO - Cioè?

DON DINO

- Ma…quello che stai scrivendo non è un manuale utente, ma una

lista di difetti del prodotto, cioè della donna.

BENEDETTO - E bin? A son le avvertenze,

no? Gli effetti collaterali, le

controindicazioni.

DON DINO

- Mo, non è una medicina, la donna.

BENEDETTO - Amera a l’è amera, t’lo garantiss.

DON DINO

- Ma no. Noi dobbiamo scrivere un vero manuale utente, come

quelli che accompagnano i prodotti che compriamo.

BENEDETTO - Come sa fussa na lavatriss?

DON DINO

- Esattamente. Non hai comprato di recente un elettrodomestico?

BENEDETTO - A  më  smija  che  Assunta  a

l’abbia  catà  n’aspirapover,

ultimament.

DON DINO

- Vallo a prendere.

BENEDETTO - Ma…véuto copielo?

DON DINO

- Diciamo che possiamo prendere spunto dalla forma se non dal

contenuto.

BENEDETTO - Ma la fomna a l’ha pa la forma ëd n’aspirapover.

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DON DINO      - La forma stilistica del manuale, scemo. Non dell’elettrodomestico. Vai a prendere il manuale, dai.

(Benedetto esce per andare a prendere il manuale. Rimasto solo, Don Dino prende il cellulare per telefonare alla perpetua.)

DON DINO      - Teresa, sono Don Dino. Teresa!! Ci sei? Teresa!!! Scusa non volevo urlare ma non rispondevi e…E ci credo che hai mal di testa, con la sbronza che ti sei presa. Ma ti rendi conto che ti sei scolata due bottiglioni di barbera. Sei rimasta come in coma per tutta la notte…va bene…parlerò più piano. Senti, disdici tutti gli appuntamenti della giornata…si sono impegnato con Benedetto in un lavoro della massima importanza e non possiamo smettere fino a che non sarà finito…Non ti preoccupare me la vedo io con il sindaco, tu digli che sono occupato e che devo rimandare. Capito?...Cosa?... Ah si, trovi tutti i numeri nella mia agenda nel cassetto della mia scrivania…Non fare la furba, tanto lo so che sai dove si trova la chiave. Mi raccomando eh. Ciao…non lo so se torno per pranzo, forse starò via anche per cena. Se torno ti faccio sapere, ciao.

(Benedetto nel frattempo è rientrato e ha sentito l’ultima parte della telefonata.)

BENEDETTO - It sei tu ‘nvitate a disnè e a sin-a d’amblé?

DON DINO      - Ma Benedetto, il ferro va battuto finche è caldo, dobbiamo finire al più presto almeno l’impostazione.

BENEDETTO - Va bin, va bin. Alora, si a ijè ël libret d’istrussion.

DON DINO

- Vediamo un po’…

(Don Dino prende il manuale e comincia a leggerlo)

DON DINO

- “Complimenti per aver acquistato

il nostro prodotto”… Mi

sembra un po’ offensiva una frase così, nel caso della donna;

“Acquistato il nostro prodotto”.

BENEDETTO - A mi a më smija pi che aotr në sberfia.

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DON DINO  - Come sarebbe a dire? BENEDETTO - A sarija a di che t’it compliment…a son-a


carije ël badò e ën pi it ricevi ‘dcò i ‘n po’ come: compliment, gadan, it sei


piate na bela ciulà.

DON DINO      - Ma no, cosa hai capito! I complimenti sono per aver scelto bene.

BENEDETTO - Come fai tu a dilo prima. A l’è mac dòp ‘n po’ ch’a savoto fòra ël magagne. A déuvrijo ringrassiene, ‘nvece ëd fene i compliment.

DON DINO      - Giusto. Scriviamo allora:” Vi ringraziamo per aver scelto questa donna”.

BENEDETTO - Brav, parei an piass.

(Don Dino scrive la frase)

DON DINO   - La seconda frase è:”Accertarsi che l’imballo sia integro e che

non risultino parti mancanti prima della messa in funzione.”

BENEDETTO - Giust, venta sempre controlè bin prima ‘d fe na gavada.

DON DINO   - Ma ti rendi conto di quello che dici? Noi dobbiamo pensare alla

donna per quello che è: una persona, non come se fosse un

oggetto.

BENEDETTO - A l’è l’istessa còsa, chërdme, t’it l’hai nen esperiensa ‘n coste còse sì ma mi, ch’i l’héu già ël povron nach a fòrsa ëd bati, ij diso ch’a l’è meij scrivi tut.

DON DINO      - Ma, scusa, Benedetto, come possiamo scrivere “Controllare che l’imballo sia integro”, cosa vorrebbe dire, nel caso della donna?

BENEDETTO - Che prima ëd pijela a venta vëddla almeno ‘na vòlta patanuva.

DON DINO   - Ma così sembra di esaminare una schiava.

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BENEDETTO - Brav ti, se controli nen prima, la néuit ëd nòsse, it sei tròp chiuch për scorsitne se a ijè ch’ij còs’ ch’a va nen e na vòlta ch’it l’hai barbala it sei panà.

DON DINO      - Benedetto!!! Sei proprio un barbaro. Ma questi sono ragionamenti da uomo delle caverne. E l’amore, dove lo metti l’amore?

BENEDETTO - A l’è pròpi l’ònt ch’a të ciula. It capissi pi gnente përchè it sei ‘namorà e da ‘nchéui a doman ëd ritréuivi ‘n t’la nita.

DON DINO      - No, io mi rifiuto di scrivere una cosa del genere, così offensiva. Non siamo più nel medio evo. Adesso i valori sono altri e…

BENEDETTO - Èuh!!! S’it’la fai lunga!! Va bin, scrivomlo nen ma second a mi a l’è në sbaglio.

DON DINO - Facciamo una cosa: andiamo avanti. Eventualmente, se sarà

necessario aggiungeremo quella frase, va bene?

BENEDETTO - Va bin. Va avanti

DON DINO      - “Questo apparecchio è stato creato per un uso domestico. Tutti gli utilizzi al di fuori di quest’ambito sono fortemente sconsigliati. Il costruttore non si assume la responsabilità di un uso improprio del prodotto.”

BENEDETTO - Costa frase a l’è al bacio parei com’i t’l’hai lesula. DON DINO - Dici?

BENEDETTO - Ma se. La fomna, Nosgnor a l’ha creala per travaijè ‘n të ca, a


DON DINO


l’è veij o nen? Quindi, “uso domestico” a va benissim.

- Ma non farmi ridere. Questo si diceva una volta, quando il


mondo era solo degli uomini, adesso…

BENEDETTO - Adess che la fomna a fa tut l’ònt ch’a fa l’òm, a ijè mac sempre ëd gran-e.

DON DINO      - Ma figurati, le donne in molti campi sono molto più brave degli uomini. Come manager, per esempio…

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BENEDETTO - Lassa perdi i manager, i diretor e tuta sa banda ch’a véulo mac comandè. Giacche ël fomne a son pi brave. I manager òmu, a son mac tuti d’aso, ch’a son butà ‘ndova ch’a son dai partì e mac përché a l’han bërlicaije ël darè ai politic.

DON DINO   - Allora sei d’accordo con me.

BENEDETTO - Sent, mi séu mac che quand che mia fomna a travaijava mac ‘n të ca la nostra vita familiar a ijera na mostra svissera. Adess

ch’a travija ‘dcò ‘n ufissi, a l’è n’infern.

DON DINO   - Va beh, ammettiamo per un momento che tu abbia ragione, la

prima frase e la seconda sono strettamente correlate, ma la

terza…

BENEDETTO - La tersa còsa? Vèutu ch’it fassa n’esempi d’uso improprio?

DON DINO   - Sentiamo.

BENEDETTO - Daije n’a macchina ën man a na fomna.

(Don Dino rimane un attimo pensoso, poi …)


DON DINO


- Direi che è perfetta.


(Don Dino scrive la frase)

BENEDETTO - Cos’a ijè dòp?

DON DINO   - “Non utilizzare l'apparecchio con mani bagnate o umide”.


BENEDETTO - Mi  scriverija:  “Non  toccare  con  mani  bagnate,  umide  o

sporche”

DON DINO   - Si, mi sembra giusto.

(Don Dino scrive la frase, poi legge la successiva)

DON DINO - “Non usare l’apparecchio a piedi nudi” BENEDETTO - Si a venta cambiela con:”Non azzardarsi a camminare nelle

vicinanze a piedi nudi, specialmente sul marmo”.

DON DINO

- Perché “specialmente sul marmo”?

BENEDETTO - Përché a s’buta subit a schissè per via dël pianà.

DON DINO

- Giusto.

(Don Dino scrive la frase)

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DON DINO

- “Non immergere l’apparecchio in acqua”.

BENEDETTO - Mah, mi costa la scrivërija nen.

DON DINO

- Sono  d’accordo,  non  è  un  apparato  elettrico.  Vediamo  la

prossima.  “Non  lasciare  l’apparecchio  incustodito  nelle

vicinanze di bambini od incapaci”

BENEDETTO - Eh, costa si a venta butela.

DON DINO

- Non capisco, come…

BENEDETTO - La fomna coma ch’a vëd ‘n bocc ëd buracio a tira fòra l’istinto materno e alora a son dolor. Se péui a së ‘ncontra con doi o tre torto a diventa subit na crocerossina e t’it l’avrai mai pi i pe suit.

DON DINO   - Come formularla però?

BENEDETTO - Mi ij scrivërija:”Evitare accuratamente che incontri bambini specie se in gruppo. “

DON DINO   - Ma dai, Non puoi impedire che veda dei bambini. Mi sembra

un’inutile restrizione.

BENEDETTO - Varda che péui la gent a së lamenta, ne.

DON DINO

- Ma figurati, e poi la donna da che mondo è mondo è sempre

stata attratta dai bambini.

BENEDETTO - Bin për l’ònt. Uomo avvisato…

DON DINO

- Ma dai, sii serio, su.

BENEDETTO - Butomla nen, butomla nen. Cos’a ijè dòp?

DON DINO

- Ma…niente, continua con le solite avvertenze.

BENEDETTO - Tipo?

DON DINO

- “Non  lasciare  l’apparecchio  fuori  alle  intemperie”,  per

esempio.

BENEDETTO - Ogni tant aij farija nen mal.

DON DINO

- Cosa?

BENEDETTO - Sarela fòra, al freid.

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DON DINO  - Ma…dici sul serio?

BENEDETTO - Sicur, saveijsi vaire vòlte an ven vèuija ëd sarela ‘n sël pogiéul,

al freid, ‘n camisòla.

DON DINO   - Mo, Benedetto, vergognati.

BENEDETTO - Va avanti, va.

DON DINO   - Adesso c’è una breve descrizione dell’apparecchio e della sua

funzione.

BENEDETTO - La sua?

DON DINO   - Funzione. Vuol dire a cosa serve.

BENEDETTO - It t’lo diso mi, a cosa ch’a serv:”A scorticare i marroni”.

DON DINO   - Ma, pelare le castagne è solo una delle cose che può fare la

donna e…

BENEDETTO - Dësciulte,  PARROCO,  Nen  plè  ël  castagne.  “Scorticare  i

marroni” a véul di ROMPI ËL BALE!!!!. Aggiornati, prevosto.

DON DINO   - Che linguaggio scurrile.

BENEDETTO - S’it sei delicà.

DON DINO   - Comunque la donna ha un mucchio di qualità e dovrebbero

essere ben sottolineate in questo manuale. Fino ad ora abbiamo solo fatto un elenco di avvertenze.

BENEDETTO - Riguard al virtù, mi ij lasserija perdi.

DON DINO   - Perché?

BENEDETTO - Përché ogni dòna, sempre che a l’abbia ëd virtù, a l’è diversa da l’aotra.

DON DINO - Giusto. Ma, allora cosa possiamo scrivere? BENEDETTO - Cominciuma a spieghè cosa fe për evitè i casin . DON DINO - Cioè?

BENEDETTO - Scriv…”Punto primo: Se vuoi fare bisboccia qualche sera con gli amici, vai in Croce Rossa e convinci anche loro.”

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DON DINO      - Ma cosa dici, Benedetto, la Croce Rossa è un’associazione seria di pronto intervento e non un’osteria.

BENEDETTO - Scriv, prelato, scriv..”Punto secondo: se una sera vuoi vedere la partita, mettiti d’accordo con un amico scapolo che vive da

solo …

DON DINO   - Un Single

BENEDETTO - Eh?

DON DINO   - No, dico, un single.

BENEDETTO - Sinc gol o ses gol li a dipernderà da la partija.

DON DINO   - Ma cosa hai capito! Single vuol dire appunto persona che vive

da solo.

BENEDETTO - E a ijerlo damanca ëd parlè arabo? L’avija già dilo me, no?

“Amico scapolo che vive da solo”.

DON DINO   - Scusa, andiamo avanti.

BENEDETTO - Less cos’i l’héu detate.

DON DINO   - ”Punto secondo: se una sera vuoi vedere la partita, mettiti

d’accordo con un amico scapolo che vive da solo”.

BENEDETTO - “E vallo a trovare perché sta molto male”.

(Don Dino scrive la frase)

BENEDETTO - L’hai tu scrit?

DON DINO   - Sì.

BENEDETTO - “Punto terzo: se si è comprata un vestito e ti chiede<come

sto?> rispondere senza esitare: <Benissimo>.

(Don Dino scrive)

BENEDETTO - Giuntije sòn: “Avvertenza: attenzione a non anticipare la domanda.”

DON DINO   - Come sarebbe?

BENEDETTO - Eh, dòp ‘n po’ un aij fa l’abitudine e a rëspond sensa penseije e a péul capitè che ti rëspondi prima ‘ncora ch’a l’abbia fate la domanda.

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DON DINO  - Uhhh!! Terribile.

BENEDETTO - Giuntije: “Potrebbe essere fatale”.

(Don Dino scrive la frase. Durante le batute successive, Benedetto si alza e, camminando su e giù, detta lentamente, come un maestro delle elementari che detta ai bambini)

DON DINO   - Fatto.

BENEDETTO - “Punto quarto: se partecipi da solo a qualche evento a cui sono presenti altre donne, a) fare attenzione a com’erano vestite, accessori compresi.

(Don Dino scrive)

DON DINO   - Aspetta che sto scrivendo…fatto.

BENEDETTO - B) quando ti sarà fatta la domanda “Come erano vestite le donne?”, prima devi rispondere <non ci ho proprio fatto caso> poi piano piano, come se cercassi di ricordare, passi alla descrizione.

(Apettare che Don DIn abbia scritto)

BENEDETTO - Usare sempre <mi sembra> e <non sono sicuro ma>” .

DON DINO - Certo che sei un vero esperto. Come hai fatto ad affinare la

tecnica?

BENEDETTO - Agn e agn ëd discussion.

DON DINO   - C’è altro?

BENEDETTO - Éuhh!!! Séu nen se a basterà na sman-a.

DON DINO   - Mo come facciamo allora? Non posso bivaccare da te per una

settimana.

BENEDETTO - Anche përchè mi viv nen da sol.

DON DINO   - Eh, già.

BENEDETTO - Foma parei. Adess che l’oma ‘ncaminalo, basta fe l’elenco di punti, no?

DON DINO   - Si, penso di si.

BENEDETTO - Eh bin, alora, mi campo giù la bruta e péui ti t’lo scrivi con ël computer e të m’lo stampi. Va bin?

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DON DINO

- Va bene.

BENEDETTO - ‘N racomando, ne, giuntije nen dël tò.

DON DINO

- Stai  tranquillo,  Benedetto,  trascriverò

fedelmente  ciò  che

scriverai. Ciao, ci vediamo.

BENEDETTO - Speta ch’it compagno.

(Benedetto e Don Dino escono mentre si chiude il sipario.)

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Atto 3°

Scena 1° (Benedetto, Voce)

(Benedetto è seduto al tavolo, davanti ad una pila di fogli: Il famoso Manuale. Sta aspettando con ansia che Il Signore si faccia sentire, ma, ancora più ansiosamente l’arrivo di Don Dino.)

BENEDETTO - An dova a sarà sbatusse col falabrac d’ën parco?A déuvija essi si tre munute fa.

(Benedetto prende in mano i fogli e li scartabella)

BENEDETTO - A basterà? A sarà basta lung? A s’capirà l’ònt ch’a ijè scritt?

VOCE                   - Sei tu ‘n po’ agità?

(Benedetto sobbalza sulla sedia)


BENEDETTO - Giuda fauss.

VOCE                   - Nomina mac nen chiel li, per piasì.

BENEDETTO - Chi?

VOCE                   - Giuda.

BENEDETTO - Ah… Giuda… scusa a l’è mac ch’ij son sbuime e alora…

VOCE                   - Lassoma perdi. Pitòst…

BENEDETTO - Speta, Nosgnor, përchè a të stà tant ‘n si còrn…

VOCE                   - TI!!!!!! Confund me nen con ël tò pròssim principal, neh?

BENEDETTO - Scusa, scusa, ën si còrn a l’è na manera ëd di, scusme.

VOCE                   - Va bin ma fa atension a com’it parli. Cosa a l’è ch’it

saveij?


véuli


BENEDETTO - Përchè të ‘l’hai tant con Giuda, a l’ha nen fait l’ònt ch’a l’ha fait për ‘n tò disegn? A ijera nen la tua volontà?

VOCE                   - NO!!!!

BENEDETTO - Ah no? Mi chërdja ch’a fussa tut organizà, ch’it l’aveissi già

pensaije a tut. Tò fieul…

VOCE

- Qual, mi n’héu tanti fiéui?

BENEDETTO - Gesù?!

VOCE

- Soma sempre noi.

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BENEDETTO - Coma…noi

VOCE

- Ci chiamavano trinità

BENEDETTO - A già la Trinità. Ma, scusa, vist ch’it l’hai tirà fòra la facenda:

përchè l’hai complicà tan parei ël còse?

VOCE                   - Gesu a l’è me fiéul, no?

BENEDETTO - Se

VOCE                   - A l’è d’cò fiéul ‘d Maria, no?

BENEDETTO - Se, alora?

VOCE                   - E alora, alora. Pensa che figura da magnin: mi ij son ël pare

ma Maria a l’ha butala ‘ncinta Spirito. Cosa l’avrijlo dit la

gent? ‘Nvece se soma na còsa sola…

BENEDETTO - Ah…si…già… Beh, quand ch’it fasij Gesù, an certo punto d’la sin-a, Ti… cioè, Gesù… cioè, Ti ch’it fasij Gesù…’nsoma, là, ël Maestro a l’ha dit:”Qualcuno stasera mi tradirà” e ‘n tant a

sghiciava l’éui a Giuda, come për di:”Fa pura nen tant ël furb

përché mi tant ij séu tut”. Quindi a véul di che voi aotri doi ij

eri dacordi.

VOCE                   - Noi aotri doi chi?

BENEDETTO - Ma alora tl’o fai a pòsta. Ti e Gesù, no?

VOCE                   - Mi e Gesù soma na còsa sola, veire vòlte dévne dit lo?

BENEDETTO - Va beh, lassoma perdi vaire che ij eri là ‘ndrinta, A l’è tut giust

l’ònt ch’a l’han scrit ‘n tël vangeli?

VOCE

- Più ò meno.

BENEDETTO - Coma più ò meno. Véuli di ch’a l’è tut sbaglià?

VOCE

- Ma no, a l’è tut giust, però, Gesù a sghiciava l’éui a Giuda nen

per ricordaije che mi savija tut.

BENEDETTO - Ah no? E përché, alora?

VOCE

- A ijera per feije capì ch’ a déuvija desse n’andi.

BENEDETTO - Desse n’andi? Capiss nen.

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VOCE

- Col dërgnass, a déuvija ciamè ël guardie prima che la sin-a a

funijssa e ‘nvece chiel an vardava e a grignava. A l’a fin-a dije

a Gesù:”Sono forse io Maestro?”. Uh quand ch’ a l’ha dit

l’ònt, con cola faccia sbërfiosa, a Spirito a son cominciaije a

fumè. A véusija cimilo bele lì e l’héu fatigà a pasijelo.

BENEDETTO - A ijera ‘dcò Spirito?

VOCE

- Mi e Spirito soma …

BENEDETTO - Na còsa sola, na còsa sola, scusa. Ma, prima ‘d sin-a, dòp sin-a, che diferensa a fasija?

VOCE                       - La diferensa ch’i l’hèu dovù paghé la sin-a a tuti, e colla lingera a l’ha falo a pòsta. Dèuvij vëddi com’a grignava col lasaron.

(Benedetto rimane di stucco per la rivelazione e resta in silenzio)

VOCE                   - L’hai tu përdù la favela?

BENEDETTO - Son sconvòlt…

VOCE                   - Eh lo séu pro, a son còse da fe përdi la cognission.

BENEDETTO - No, ma mi diso, a son 2000 agn ch’a n’la conto che it l’hai

castijà Giuda përchè a l’ha tradì Gesù ò Ti ò tuti doi, e adess ti

tën disi ch’it sei piattla con col bon’òm përché a l’ha obligave a

paghè la sin-a?

VOCE                   - Pròpi, pareij.

BENEDETTO - Ma ròbe d’l’aotr mond.

VOCE                   - No, no, robe dël vòst mond.

BENEDETTO - Ma cosa l’è péui mai për ti na sin-a? It fasija nen rancin pareij.

VOCE

- Ma che rancin e rancin, Gesù a l’avija nen ën pila da press e ël

padron dë l’òsto a véussia mac ëd sòld.

BENEDETTO - Përché pensav tu ëd paghelo coma?

VOCE

- Ij l’héu ciamaije sa l’avija chidun ch’a stassija mal, ma a ijero

tuti san come ‘d pess. Alora ij l’héu ciamaije se recentement a ij

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era mòrtie chidun e chiel a l’ha dime che a ij era mancaije la mare madòna doi meijs prima. Alora ij l’hèu dije:”Ben, it fass resuscitè tua suòcera”.

BENEDETTO - Compliment. Imagin ch’a l’avrà ringrasiate ëd chéur.

VOCE                       - Macchè a l’ha pià ël trent e a l’ha dije a Gesù :”Pijte bin varda, ne, ch’i l’héu già trubulà com’an can a fela fòra”.

BENEDETTO - E lo chërdo.

(Entra Don Dino silenziosamente e si piazza dietro a Benedetto, dubbioso perchè lo sente parlare da solo)


VOCE


- Pareij ij l’héu dovù pagheije la sin-a a tuti. Se ‘nvece, col gadanass  a  l’aveissa  ciamà  subit  ël  guardie,  com’ijero


d’acòrdi…

BENEDETTO - Pròpi në scherz da preivi.

Scena 2° (Benedetto, Voce, Don Dino)DON DINO - Sono appena arrivato e già te la prendi con me?

(Anche in questo caso Benedetto si spaventa moltissimo)

BENEDETTO - Ma véuli piantela li ëd feme sbéui? Se véuili chi méuira subit, dilo, mi cheicòs ij më studijo.

DON DINO     - Ma perché parli al plurale, ci sono solo io qui con te.

BENEDETTO - No, a ijè ‘dcò gia ël tò principal.

(Don Dino rimane un attimo pensoso, poi giungendo le mani esclama…)

DON DINO

- Mio Dio!!!

VOCE

- Sentilo, a l’è pen-e rivà e a véul già l’esclusiva.

(Don Dino si inginocchia e si mette la stola)

DON DINO

- Mio Signore, benvenuto in questa umile stamberga…

BENEDETTO - Teh!!! Ma che stamberga, parla ‘n po’ për ti.

VOCE

- Disjie ch’a s’aossa e ch’a s’gava sa crovata dal còl.

BENEDETTO - E disilo ti.

DON DINO

- Eh?

VOCE

- An sent nen, sei tu dësmenciat ne?

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(Benedetto guarda Don Dino e gli chiede)

BENEDETTO - Senti nen la voss?

DON DINO   - No, sta parlando?

VOCE                   - Vist?

BENEDETTO - A l’è da ‘n pòc ch’a parla. Pensa che prima a l’ha contame che…

VOCE                   - BENEDETTO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

(Qui si dovrebbero far lampeggiare i fari o l’occhio di bue. Benedetto si nasconde sotto il tavolo)

VOCE                       - Préuva a conteije cheicòs a col becamòrt e tua fomna a déuvrà chuijte con l’aspirapover.

BENEDETTO - Scusa , scusa, lo fass pi nen.

DON DINO   - Cosa è successo? Cosa ti ha detto?

BENEDETTO - Gnente, gnente, mac ‘n malinteiss.

DON DINO   - Perché non lo sento?

BENEDETTO - Séu nen. Chiel a diss che voi aotri preive ij senti mac l’ònt ch’i

véuli.

VOCE

- Che lengassa. A ij conta pròpi tut.

DON DINO

- Cosa vorrebbe dire?

BENEDETTO - Ma séu nen, adess i préuv a ciameije.

VOCE

- A l’è inutil che t’ën ciami, tan mi, con chiel ij parlo nen.

BENEDETTO - Ma cosa a l’ha fate?

DON DINO

- Cosa gli ho fatto?

VOCE

- A l’ha fame gnente, ma se an sent parlè, doman a comincio

subite a fe ‘n santuari bele si.

DON DINO

- Se lo potessi sentire…digli che se mi fa il miracolo di parlarmi

gli faccio costruire un santuario…

BENEDETTO - A lo sa già.

VOCE

- Cosa l’avija dite? A l’han faije con lë stamp.

BENEDETTO - Ma, scusa, ne, a son

nen ‘dcò lor “creature di Dio”, cioè, ròba

tua?

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DON DINO

- Sta parlando di me?

(Attimo di pausa)

VOCE

- T’lo sai che ‘it sei ‘n viliach, ne? Të ‘n ricòrdi Giuda.

BENEDETTO - Verament i véussia mac saveij…

DON DINO

- Cosa sta dicendo?

VOCE

- Disije ch’a sara sa gaioffa, ch’an confond.

(Benedetto si gira verso Don Dino e fa segno di tacere col dito sulle labbra)

VOCE                   - Foma parei: mi ij parleréu; ma mac atravers ëd ti.

BENEDETTO - Ma mi sai nen se…

VOCE                   - Pòche stòrie. It déuvi giusta fe ël papagal e ripeti. D’acòrdi?

BENEDETTO - Sono uno strumento nelle tue mani, Signore.

VOCE                   - Sa fussa vei ij l’avria già vërsunate doi ò tre vòlte an sël cupiss

ëd col becamòrt.

DON DINO   - Sta parlando di me?

BENEDETTO - Alora. Nosgnor a l’ha dime ch’a të parlerà ma mac atravers ëd

mi.

DON DINO

- Perché, non direttamente?

BENEDETTO - Perché non direttamente?

VOCE

- L’ho sentù, son nen ciòrgn.

DON DINO

- Perché ripeti?

(Indicando il cielo)

BENEDETTO - A l’ha dim lo chiel.

DON DINO

- Ma…anche lui non mi sente?

VOCE

- Ecco, it l’hai fame fe la figura del badago.

BENEDETTO - Ma it l’hai dim lo ti ëd fe ël papagal.

VOCE

- Con chiel, nen con mi, folaton, mi ij lo séu prima ‘ncora ch’a

déurva boca, cos’a ch’a véul dime.

BENEDETTO - Ah. Come comanda, Signore.

DON DINO

- Sta parlando di me?

VOCE

- Sa t’lo ciama ancora na volta ij lo trasformo ën ‘na mogna.

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(Benedetto scoppia a ridere)

DON DINO

- Cosa ha detto?

BENEDETTO - A l’è

mei che t’lo sappi nen. Comunque,

piantla li ëd fe

domande sette e sta ciuto. Quand che a parlerà con ti, mi ëd

ripeteréu l’ònt ch’a diss.

DON DINO

- Va bene.

VOCE

- Alora, l’hai tu scrivulo ël manoval dël fomne?

BENEDETTO - Come se t’lo savijsi nen.

VOCE

- Eh, pijtla nen parei, a ijera mac për lassete la sodisfassion ëd

mostem’ lo, no. A son tuti coi féui ‘n s’la tavola?

BENEDETTO - Già.

VOCE

- Tanti parei, Ma l’héune fala complica parei la dòna?

BENEDETTO - It l’hai nen idea.

VOCE

- Ma…A l’è nen, për cas che sij voi aotri òmu che seve tròp

facilòt?

BENEDETTO - Com’a sarija?

DON DINO

- Cosa ti ha chiesto?

BENEDETTO - Se la fomna a l’è complicà com’a l’ha fala chiel.

DON DINO

- No, no, mio Signore, tutto ciò che hai fatto è perfetto.

(Benedetto si gira di colpo verso Don Dino con sguardo truce e lo fissa incredulo)

VOCE                   - Che ruffian, vist përché ij l’héu nen véuia dë steije a senti?

DON DINO   - Ha detto qualcosa?

(Sempre fissando malamente Don Dino)

BENEDETTO - Se…che se ëd continui parei it diventerai Papa. DON DINO - Mo va là. Davvero? VOCE - A l’è pròpi fòl.

(Sempre fissando malamente Don Dino)

BENEDETTO - Già.

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Ël manoval dël fomne

Commedia brillante in tre atti di

Gianni Cravero

DON DINO

- Che bello…Papa…devo pensare al nome, chiedigli se va bene

Leone XIV°, sono del segno del leone, naturalmente dopo

l’attuale Benedetto.

VOCE

- Mi adess lo craso bele si.

(Guardando verso l’alto)

BENEDETTO - No. No lassa perdi, tën vempi mac la cà ëd fum.

VOCE

- It l’hai rason. Andoma avanti.

(Mentre Benedetto e la voce continuano a parlare, Don Dino parla fra se, gesticolando come se contasse sulle dita. In realtà sta pensando ai vari nomi dei Papi.)

BENEDETTO - A l’è meij.

VOCE                   - Alora, l’hèu lesu l’ònt ch’it l’hai scrit e dirija ch’a péudrija

andè bastansa bin… Ma…

BENEDETTO - Ecco, lo savija. Cos’a ijè ch’a va nen?

VOCE                   - Mah…mi…pi che ‘n manoval utente a më smija ‘n manoval ëd

sopravivensa.

(Come per confermare)

BENEDETTO - Ehh…efetivament…s’a l’è nen sopravivensa la mia…

VOCE                   - Lesand ël tò librett, a smija che la dòna a sià pien-a ëd difett.

BENEDETTO - Eh già.

VOCE                   - Ch’a venta fe atension a com’it parli.

BENEDETTO - Sicur.

VOCE                   - Ch’a cambia idea tuti i moment.

BENEDETTO - Pròpi parei.

VOCE                   - Possibil che ël fomne a sijo tute pareij?

(Benedetto fa solo di segno di si con la testa, sconsolato)

VOCE

- Comunque a l’è piasume la frase ch’it l’hai scrit an t’la part

d’la manutension.

BENEDETTO - Quand ch’i spiego l’ònt ch’a costa?

VOCE

- No, la prima frase ch’a dis testualment: “La donna deve essere

tenuta con cura ed amore per tutta la vita, nella buona e nella

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Ël manoval dël fomne         Commedia brillante in tre atti di             Gianni Cravero

cattiva sorte finchè morte non vi separi perché lei avrà cura di voi, vi preparerà il pranzo, vi rammenderà i vestiti…

BENEDETTO - Oh, Oh, Oh, stòp fërma silensio. Mi l’héu pa scrit gnente dël genere, lo li it l’hai scritlo …

(Benedetto, che stava guardando in alto, agitando in dito contro il cielo, si blocca un attimo e poi, puntando l’indice contro Don Dino e guardandolo in modo truce)

BENEDETTO - TI!!!!!.

DON DINO   - Eh?

BENEDETTO - Brut vagabond d’ën cornaijass.

DON DINO   - Cosa ti prende, insomma?

BENEDETTO - Ma përchè it l’hai scrit l’ònt?

DON DINO   - Scritto cosa?

BENEDETTO - L’ont ch’a l’ha pen-e lessu Nosgnor. DON DINO - Ha parlato di me? VOCE - Ricòrd te ch’a sent nen la mija vos.

BENEDETTO - Ah già.

(Rivolgendosi a Don Dino)

BENEDETTO - Sa tiritera an s’la buona e cattiva sorte finche morte non vi separi.

DON DINO   - Ah…quello…

BENEDETTO - Giaaaaà…quello…L’avijne nen dite ëd copiè l’ònt che l’avija scrit e basta.

DON DINO      - Si…ma…ho pensato che era tutto molto crudo, asettico, spigoloso e così ho messo quella frase, per addolcire un po’.

BENEDETTO - Mi da si ‘n po’ ëd tir na sucrera, pareij t’la dom mi la ròba dossa.

VOCE                       - Scavote nen, Benedetto, tant lo savija che l’avija scrittla chiel sta lagna. Come séu anche ch’a l’ha scritla për fe ël ruffian con me

BENEDETTO - Che ‘n lasaron…

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DON DINO

- Di chi sta parlando?

BENEDETTO - Ëd ti.

DON DINO

- Di me?

VOCE

- Lass’lo perdi. Pitòst, coma foma për ël manoval?

BENEDETTO - Come a saria?

VOCE

- A sarija che péus nen deijlo an man a la masnà quand’ ch’a

séurt da la pansa. E péui, a sarija tut mars.

BENEDETTO - Ma mi pensava nen ëd deijlo pareij.

VOCE

- E come, alora?

BENEDETTO - Ma, séu nen, se, për esempi…no, pareij a va nen bin. Ah, ecco,

as péudrija…no, no…speta…

DON DINO   - Qualche problema?

BENEDETTO - Sta ciutu.

VOCE                   - Alora? Mi l’héu nen temp da perdi.

BENEDETTO - Beh, adess an ven nen an ment. A venta ch’ij pensa bin.

VOCE                   - Rasegn’te…a l’è nen possibil. E péui, onestament, l’ònt ch’ij

l’hai scrit a va nen bin për tute le fomne.

BENEDETTO - It tl’o disi ti.

(Con voce stentorea)

VOCE                   - Appunto. Lo diso mi. A ventrija fene un divers per ogni fomna e

péui le fomne a cambio, con l’eta, con la lun-a, a ventrija

agiornelo ëd continuo.

BENEDETTO - Forse it l’ai rason.

VOCE                   - Sensa forse.

DON DINO   - Cosa sta dicendo?

BENEDETTO - Na munuta che dovoma funì ën discors.

(Rivolgendosi nuovamente alla voce)

BENEDETTO - Ma alora, se t’lo savij già che as péudija nen fesse, përchè it l’hai…

(Con voce dolce, paterna)

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Ël manoval dël fomne

Commedia brillante in tre atti di

Gianni Cravero

VOCE

- Për tant ch’it capijssi,me car fiéul, che tocheissij con man…

(Con voce tonante)

VOCE

- …e përchè it n’avija una pien-a e l’aotra cha versava ëd feme

tirè për la giaca.

BENEDETTO - Va bin,

va bin…L’héu capì la lession. D’ora ‘n avanti ‘n

lamenteréu pi nen dël mije fomne. Anche se continueréu a nen

capije.

DON DINO

- Scusate, non per interrompere il vostro bel dialogo, di cui,

peraltro non ho capito granché, ma potreste spiegare anche a

me cosa succede?

(Parlando con lo stesso accento del prete)

VOCE

- Benedetto ha capito che il manuale per le donne è inutile.

(Attimo di silenzio in cui Don Dino rimane pietrificato perché ha sentito la voce di Dio)

DON DINO   - AHHHHHH…AHHHHHHH…

(Don Dino comincia a gridare correndo attorno al tavolo come se l’avesse morso una tarantola. Benedetto cerca di fermarlo e calmarlo)

BENEDETTO - Don, fermëte, date ‘na calmà. Sei to mlu fòl?

(Benedetto lo blocca e lo forza a sedere. Poi lo prende a ceffoni per farlo smettere)

BENEDETTO - Basta, piantla li ëd braijè. Cosa a l’è capitate?

DON DINO   - Deus alloquit meco

BENEDETTO - Eh?

DON DINO   - Domini vocem audivi

BENEDETTO - Ma cos’disto?

VOCE                   - A parla ‘n latin.

BENEDETTO - ‘N latin? E përché?

DON DINO   - Gaudeamus igitur, Deus est

BENEDETTO - Mi lo capiss nen

VOCE                   - A l’ha pen-e scoprì che esisto.

BENEDETTO - Ma come? A déuvrija nen essi chiel ël testimoni d’la fede? Ma përché a parla ‘n latin?

DON DINO   - Adeste fidelis, adoremus.

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BENEDETTO - Na! A l’è convint d’essi a Natal.

VOCE

- L’hèu por ch’a sija colpa mia.

BENEDETTO - Colpa tua? Përché?

VOCE

- L’héu parlaije.

BENEDETTO - Cosa? Ma l’hai tu nen sempre dit che véusij nen parleije?

VOCE

- Se…ma…tl’o saij ch’i l’héu ël chéur come ‘na ninsola…e

alora…

(Don Dino si mette a cantare l’alleluija)

DON DINO

- A-lleluia alleluia a-lleluia alleluia a-lleluia alleluia a-lle-lu-ia.

BENEDETTO - It l’hai sbacalimlo.

(Attimo di pausa)

VOCE

- Ma forse a ijera già ‘n po’ vast

BENEDETTO - Dino, scotme…të ‘n senti?

(Rivolgendosi a Benedetto con fiero cipiglio)

DON DINO

- Genua flecte ante Dominum, peccatore.

BENEDETTO - TEHHH, peccatore it sarai ti. Piantla li ëd fe ël gadan se no it

mòl ‘n papin sël muso, preivi o nen preivi.

VOCE                   - Sta calm, Benedetto, a l’è nen ‘n chiel. Mand lo a ca, a déurmi.

Magara dòp na bela durmijada a tornerà normal.

BENEDETTO - Ma péudoma nen lasselo pareij. A campa i dadi, anche se ‘n

latin. Vist ch’it l’hai rompilo, rang’ lo. - Va bin, va bin…SIM SALA BIM. VOCE

(Appena la voce ha pronunciato quelle parole Don Dino si accascia a terra)

BENEDETTO - Dino…Dino…Sim sala bim eh? Ma cosa it l’hai torna faije?

VOCE                       - Scavo te nen tan. A sta bin, l’héu mac dëstisalo e torna viscalo, com’as fa con i computer.

BENEDETTO - Ma robe ëd l’aotr mond. A l’ha faije ‘n reset.

(Don Dino si lamenta e comincia a muoversi)

BENEDETTO - Dino, Dino, com’ij të stai? DON DINO - Séu pà, ‘n sento ‘n po’ balengo.

(Benedetto si impietrisce allibito, sentendo l’amico prete parlare in piemontese)

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DON DINO

- Cos’a ijè? It sei mlo spali, come ‘n mòrt.

BENEDETTO - Ma Dino…it parli ‘n piemonteiss.

DON DINO

- Dabon?

(Don Dino, accorgendosi per la prima volta di aver parlato in piemontese, si spaventa)

DON DINO   - Oh boija fauss.

(Don Dino sempre più spaventato, si mette la mano davanti alla bocca come per impedirsi di parlare)

BENEDETTO - Ma…ries to pi nen a parlè ‘n italian?

(Don Dino fa solo segno di no con la testa)

BENEDETTO - Ma roba da mat.

(Alzando gli occhi al cielo)

BENEDETTO - Ma cos’al’è capitaije?

VOCE                   - Spirito a l’è divertosse ‘n pòc. Adess lo rifoma…

(Si sente un tuono e Don Dino si accascia nuovamente)

BENEDETTO - Stavòlta it l’hai pi nen fait Silvan?

VOCE                   - Spiritoss, préuva ‘n po’ a deije ‘na socrolà.

(Benedetto si avvicina a Don Dino e lo scuote delicatamente)

BENEDETTO - Dino, Dino, dësvijte.

DON DINO   - Ma che minchia succedio? Corrive ‘n terra?

BENEDETTO - Préuva torna, va

DON DINO   - Chu fu stu curnutu che mi dette na mazzata ‘n testa?

VOCE                   - Forse it l’hai rason.

BENEDETTO - Véui tu parlè con chiel?

DON DINO   - Nonsi, non possu parrari.

(Si sente nuovamente un tuono e Don Dino cade nuovamente per terra)

BENEDETTO - A fòrsa ‘d felo droché lo ‘ndërgnoloma tut.

VOCE                   - Pèui i don na rangià.

(Don Dino si riscuote e sbotta)

DON DINO - Ostregheta ciò, me sento come na putela sui broci BENEDETTO - Se péudijsso fe a meno ëd passe tuti i dialet a sarija meij.

VOCE                   - Oopps.

(Altro tuono altra caduta)

BENEDETTO - Speroma ch’a sija la vòlta bon-a.

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DON DINO

- Ma li mortaci tua, che famo, aho? La volemo smette de fa li

fresconi?

BENEDETTO - Cambio.

(Altro tuono e caduta)

DON DINO

- Soccia che botta, mo cosa mi è caduto in testa?

BENEDETTO - Dio sia lodato.

VOCE

- Grassie.

BENEDETTO - Com’it senti?

DON DINO

- Un po’ strano, diverso, cambiato, non saprei dire.

BENEDETTO - Ma bin o mal?

DON DINO

- Benissimo, perbacco, come non mi sentivo da anni.

(Alzando gli occhi al cielo)

BENEDETTO - Mentre ch’it ierij l’hai tu faije ‘n pòc ëd manutension?

VOCE

- Giusta na punta.

BENEDETTO - Va be, Dino, a l’è ora d’andè a déurmi, saij tu ?

DON DINO

- Ma…e  il  manuale?  Cosa  ne  pensa  Il  Signore,  del  nostro

manuale?

BENEDETTO - A già, el manual, iera dësmenciamlo.

VOCE

- Véuli che ij lo disa mi?

(Urlando spaventato)

BENEDETTO - NOOOOO!!!, Disije mac pi gnente, për carità.

DON DINO

- Sta parlando di me?

VOCE

- E daila ch’a l’è’n preive.

BENEDETTO - Già.

DON DINO

- Che bello…e…cosa dice?

BENEDETTO - Ch’a l’èmeij ch’it von-i a déurmi.

DON DINO

- Dai, sii serio, gli è piaciuto il manuale?

BENEDETTO - Siii, tanto, ma…

VOCE

- Benedetto, disije la verità.

DON DINO

- Ma…?

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BENEDETTO - Ma…sla fin, a së péul nen fesse.

DON DINO  - Perché?

BENEDETTO - Eh…përché péui a l’è nen possibil consegnelo a tuti coi ch’a l’han a che fe con le fomne.

DON DINO      - Ma si che si può fare. Tanto per cominciare i sacerdoti lo possono dare ai papà quando battezzano delle femmine e ai mariti quando celebrano dei matrimoni.

(Don Dino comincia a camminare attorno al tavolo in preda ad un’eccitazione sempre più grande)

DON DINO      - I Padri ne possono poi fare una copia che consegneranno ai futuri generi o ai figli quando questi si sposeranno.

(Benedetto quarda Don Dino con sempre crescente stupore)

DON DINO      - Inoltre, potrebbe anche essere consegnato ai papà dalle ostetriche insieme al libretto che danno i pediatri, no? E per chi non si sposa in chiesa sarà consegnato dal sindaco o da chi officia la funzione.

(Attimo si silenzio prolungato)


DON DINO


- Eh? Cosa ne dite?


(Altro silenzio)


VOCE


- Sarà meij che i cancela la memòria?


(Pausa. Benedetto si rivolge alla Voce guardando però Don DIno)

BENEDETTO - Séu nen cos’ di.

(Compiaciuto)


DON DINO VOCE


- Sei rimasto senza parole, eh?

- E se lo cimijsa?


(Sempre rivolto alla Voce guardando Don Dino)

BENEDETTO - Forse a sarija la solussion miglior.

DON DINO   - Certo che sarebbe la miglior soluzione. Ne sono sicuro.

VOCE                   - Vist, ‘dcò chiel a l’è dacòrdi.

BENEDETTO - Varda ch’a l’ha pa capì gnente.

DON DINO   - Dici, mi sembrava di essere stato chiaro. Adesso glielo rispiego.


(A questo punto si sente un tuono fortissimo e le luci lampeggiano. Anche Don Dino sente e vede tutto e, spaventato si nasconde sotto al tavolo, tremante)

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VOCE

- SIM …SALA…

BENEDETTO - NOOOOOO!!!!!!!!!, falo nen, fërmëte.

(La voce scoppia in una sonora risata)

VOCE

- AH, AH, AH…schërsava.

DON DINO

- Ma che ho detto?

BENEDETTO - Brav, compliment, ha l’ha véuija dë schërsè, chiel.

VOCE

- Varda com’a l’è cagasse a còl ël prevòst.

BENEDETTO - S’a l’è mac për l’ònt ij l’héu ‘dcò vëmpuije mi, ël braije.

VOCE

- Va bin, basta schërsè. Spero chi l’abbia pi nen da sentite ch’it

lamenti con mi.

BENEDETTO - Sta sicur che 'n pijeréu bin varda.

VOCE

- Alora, sa va bin a mi anche sòn a l’è funì

BENEDETTO - O, për mi.

VOCE

- A mi, nen a ti.

BENEDETTO - Ehh?

VOCE

- A Dio piacendo

BENEDETTO - Ah

DON DINO

- È ancora incazzato?

(Dopo un lungo attimo di silenzio)

DON DINO

- Posso uscire?

BENEDETTO - Ven, ven fòra, sei tu ‘ncora li sota?

DON DINO

- Sta parlando di me?

(Benedetto guarda Don Dino con un misto di stupore e rassegnazione)

BENEDETTO - Se.

DON DINO   - Mo va la, davvero? E cosa ha detto?

BENEDETTO - Che prest ad manda magna Catlin-a a tirete i cavset.

DON DINO   - Mo io ce l’ho già una perpetua che mi stira le calze.

BENEDETTO - Dino, va a déurmi, brav, doman të staraij meij e a sarà torna dì.

DON DINO   - Mo io sto bene, anzi benissimo.

BENEDETTO - A già, a l’è veij ch’a l’han cambiate l’éuli.

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DON DINO

- Ma non mi hai detto cosa stava dicendo di me il Signore.

BENEDETTO - It t’lo diso doman. Adess ij son stanc e véui ‘ndè a déurmi

DON DINO

- Ma…e LUI?

BENEDETTO - A l’ha gavà l’audio.

DON DINO

- Va già via? Ho ancora tante cosa da chiedergli.

VOCE

- Disije che tant i conòss già tute le gavade ch’a l’ha ‘n testa.

BENEDETTO - Monsu, sgiura, a l’ha dit che a sa già tut. E péui a va nen vija.

DON DINO   - Ah no?

BENEDETTO - No, a dëstaca mac ël telefono.

DON DINO   - Cosa?

VOCE                   - Ommi, ommi, l’héu nen rangialo basta.

BENEDETTO - Ci ha salutato ed è andato a fare cose più importanti.

DON DINO   - Ah, peccato. Beh, vado a meditare su questa esperienza, magari

scriverò un libro.

BENEDETTO - Pijte bin varda, se véuli nen funì a spalè carbon.

DON DINO   - Perchè?

BENEDETTO - Përché a tò principal aij piass nen la pubblicità. Scotme lassa perdi, a l’è meij.

DON DINO   - Va bene. Ciao, Benedetto, dormi bene.

BENEDETTO - Ciao Dino, bon-a néuit.

(Don Dino se ne va )


Scena 3°


(Voce, Benedetto)


VOCE                   - Benedetto, sentme bin.

BENEDETTO - Dime

VOCE                   - Com’it l’hai dije al preive, i l’héu ‘d còse pi ‘mportant da fe che

dësmoreme con ti.


(Benedetto prende in mano i fogli del manuale)

BENEDETTO - ‘n momemnt, adess, cosa na fass ‘d sossi?

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VOCE

- Ten-ije come ricòrd.

BENEDETTO - Bel ricòrd

VOCE

- Scriv ‘na comedija. Magara a serv ‘d pi che ël manoval.

BENEDETTO - Ma péudrija penseije. E come péudrija ‘ntitolela?

VOCE

- Ël manoval dël fomne.

BENEDETTO - Bel, an piass.

VOCE

- ‘N racomando, ne, fame mac nen tròp serio e sever. E varda

‘dcò ëd nen scrivi propi tute ël còse ch’i l’héu dite.

BENEDETTO - Sta tranquil, tant gnun an chërderija nen.

VOCE

- Ciao, Benedetto.

BENEDETTO - Ciao, papà.

VOCE

- Costa a l’è l’ultima vòlta che të ‘n sentirai fin-a a quando

ml’ijréu a piete con magna Catlin-a. A mi!!

BENEDETTO - Còsa?

VOCE

- A Diéu!! A mi. AH, AH, AH…

(Insieme alla risata si sente anche un tuono che si smorza in lontananza, mentre si chiude il sipario)

EPILOGO

(Apena il sipario si è chiuso e si sono calmati gli applausi)

LIBERATA

- Ciao, papà, cos’it l’hai tu ‘n man?

BENEDETTO - Gnente, gnente, va a déurmi.

LIBERATA

- Mamaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!! Papà a l’ha scrit ‘d féuij e

véul nen feme lesi.

BENEDETTO - Ma sta ciuto, për piasi

ASSUNTA

- Benedetto, cos’it l’hai tu torna faije a sa pòvra masna?

BENEDETTO - Ma gnente

ASSUNTA

- Cosa a son ne sti féui, dame ‘n po’ si ch’i lesa?

BENEDETTO - Ma gnente, a son mac d’appunti.

ASSUNTA

- Dame subit sti féui,

LIBERATA

- L’hèu piaje mi, a parlo ëd fomne.

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BENEDETTO - Dame sti féui, vipera.

ASSUNTA   - Fomne,

che fomne, Benedetto, varda che se

it l’hai d’aotre

fomne mi t’lo taiu e t’lo buta ‘n na burnija.

BENEDETTO - Ma no, a l’è mac për na comedia che véui scrivi.

ASSUNTA

- Ti të scrivi ‘na comedia? Ecco përchè it fai pi gnente ‘n të cà.

BENEDETTO - Calmte Assunta, sta calma,

ASSUNTA

- It t’la don mi la calma, cola eterna, Tant për cominciè staseira

déurmi sël pogiuèl, péui doman na parleroma ‘n të cà Fila.

BENEDETTO - Ma Assunta.

ASSUNTA

- Fòra, ven Liberata.

(Benedetto esce di nuovo fuori dal sipario)

BENEDETTO - Oh Nosgnor.

VOCE

- Si?

BENEDETTO - Nosgnor? Ma come mai?

VOCE

- Eh, it sai bin, ël me chéur.

BENEDETTO - Ah già, la ninsòla.

VOCE

- It l’ha fame pen-a.

BENEDETTO - Péuto nen fe chi còs?

VOCE

- Con ël tue fomne?

BENEDETTO - Se.

VOCE

- No.

BENEDETTO - Ma dai, ‘n miracoluciu.

VOCE

- An dëspias…Però, chi còs péuss fe, per giutete.

BENEDETTO - Oh, lo savija ch’it ieri brav.

VOCE

- Péuss fe ‘n manera che për tut ël temp ch’it déurmerai sël

pogiéul a piéuva nen, content?

BENEDETTO - Éuh!!

VOCE

- Véuito ch’it manda tua suocera e tua cognà a dete confort?

BENEDETTO - No, no, për carità, basta ch’a piéuva nen, son già content.

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VOCE

- Va a déurmi, Benedetto, veglierò su di te.

BENEDETTO - Grassie, almeno l’ònt.

(Benedetto si gira per ritornare dietro al sipario)

VOCE

- Benedetto, corage, la vita a l’è ‘n pasage. Arvëdse.

(Benedetto scappa velocemente dietro al sipario)

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