EMILIA IN PACE E IN GUERRA
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
EMILIA
Commedia formattata da
EMILIA
(La scena: un viale, di notte. Professionista del marciapiede, sulla sessantina, ormai disfatta, sfacciatamente truccata: indossa un vestito verde bandiera, un nastro rosso in testa, una grande borsa bianca in mano)
Ormai tutti sono riusciti ad avere una pensione… perfino le serve e noi invece… dopo aver passato la vita a pensare agli altri… quando diventiamo vecchie, addio! Brutto mestiere, il nostro. Il più sacrificato e il meno riconosciuto. Eh, se il mondo non fosse così cattivo… Invece… Eh, certo, alla mia età è difficile questa vita. Gli uomini sono esigenti. E stupidi. Preferiscono la gioventù a tutta la mia esperienza… Se non mi capitasse, ogni tanto, qualche originale… povera me! Certo, è un peccato non avermi conosciuta prima. Quando ero una bella donna. Per la strada gli occhi di tutti mi saltavano addosso. Fin da ragazzina mi sono fatta notare. Fin da quando m’innamorai di Ferdinando d’Asburgo. L’arciduca, sì, quello di Sarajevo. Conservavo i giornali che parlavano di lui, ritagliavo le sue fotografie… Poi, l’ammazzarono. Piansi tanto per lui. Fu allora che scoppiò la guerra… La guerra. Diciamo la verità, erano altri tempi ed allora anche la guerra era bella. Del resto… basta pensare ai soldati di allora. Con quei baffi… Quelle uniformi… Baffi ed uniformi mi fecero il solletico per la prima volta a sedici anni. Un bottone mi graffiò il mento e il panno mi fece arrossare la pelle proprio qui, sul petto. (si intenerisce) Fu un bersagliere. Con le penne. Mi prese e… corse via veloce. Da vero bersagliere. Eh, la gioia che ho dato io in quegli anni di guerra a quei ragazzi che partivano per il fronte!… Soltanto le tradotte riuscivano a strapparli alle mie braccia, che erano rotonde e sode. Allora. Già. E il mio abbraccio aveva un significato. Contava per loro. Perché gli uomini, allora, andavano a morire per la patria, così come si muore per una bella donna. Erano sicuri che, cadendo, la patria li avrebbe ricevuti con un abbraccio appassionato e riconoscente come il mio. Eh, allora… (si interrompe e, rivolgendosi a un invisibile passante) Pss! Signore! Psss! Signore… Dico a lei… Eh, no, quello non va in cerca di donne. Passa dritto, dritto. Chissà a cosa pensa. (rinunciando a farsi notare dal passante) Quello che non capisco è come l’uomo sia potuto cambiare fino a questo punto. Una volta mica era così. Qualsiasi dispiacere avesse, qualsiasi disgrazia gli capitasse… poniamo il caso, vedeva una donna, non rinunciava a darle una guardatina. Sono sicura che, anche se stava per suicidarsi, vedendo una bella caviglia non pensava più alla morte. La donna per l’uomo, allora, era tutto. Tutto. Ora, invece… Ma se mentre li abbracci, ora, disgraziati, ti parlano della cambiale che scade o dell’imposta di famiglia… Proprio così. Non lo dico perché sono vecchia o perché non mi ritrovo più a vivere in questi tempi. È così. Noi donne siamo in ribasso. Una volta, ripeto, la donna era tutto. Qualsiasi ideale… com’era raffigurato? La Vittoria, per esempio. La Vittoria come la si rappresentò? Con le ali, come una creatura celeste. Ma col seno e i fianchi come una donna. Lo so perché posai anch’io, allora, per una Vittoria. E m’innamorai dello scultore. Che farabutto! A statua finita… mi mise fuori di casa come una scopa vecchia. Mi sentii perduta. Finita la guerra, era cominciata una brutta crisi. Non si sentivano più fanfare, non si vedevano più uniformi. Le donne si tagliavano i capelli, si accorciavano le gonne… Non ricordo chi, uno, mi consigliò una notte di trasferirmi a Roma. “Vieni con me, mi disse, ti faccio risparmiare i soldi del treno”. E mi fece viaggiare in tradotta. Non c’erano che uomini. E quanti! E io dovevo passare da un vagone all’altro ed essere gentile con tutti perché, come mi vedevano, gridavano come matti “A noi! A noi!”. E io che potevo fare? Dovevo essere gentile per forza. Del resto erano bei ragazzi, risoluti, gagliardi… Un po’ fanfaroni, un po’ pallonari, ma, in fondo, si sentiva che erano solidi. E infatti… hanno resistito più di vent’anni. A Roma trovai un entusiasmo… Un entusiasmo, come posso dire? Spettacolare, decorativo… Fanfare… cortei… uniformi mai viste… Anche gli uomini mi sembravano differenti da quelli che avevo conosciuto fino allora. Tutti amavano… rudemente. Dopo le adunate oceaniche… non c’era nessuno che non si sentisse maschio. Noi lo sapevamo. Dopo ogni discorso le donne venivano prese d’assalto. Soprattutto le mogli. Per via di… certi premi. L’uomo, in quel periodo, fu tutto. Rappresentò ogni ideale: la forza, la fede, l’onore, il sacrificio, lo spirito rivoluzionario… A me, personalmente, queste idee non davano noia. Visto che di quel complesso di virilità fummo noi le beneficiarie perché lamentarcene? Io, quella forza, l’appoggiai e la sostenni sempre. E quando volle espandersi, ne seguii l’espansione. E conobbi l’Africa. Cioè… sentii il tam-tam dei tamburi, il rombare dei cannoni, il crepitio delle mitragliatrici… Con quel caldo, sotto la tenda, e gli uomini che mi arrivavano a camionate. Bella sfacchinata! Il paesaggio sarà anche stato bello, ma chi trovava il tempo per guardarlo? E in più, mi beccai anche la malaria. Persi tutta la ciccia, mi ridussi a uno scheletro. L’impero fu fatto, ma mi sfeci io. Così, quando mi rimpatriarono, dopo un anno di vitaccia, mi toccò passare sei mesi in ospedale e spendere tutto quello che avevo guadagnato. Bell’affare! Speravo che qualcuno, almeno, mi guardasse con riconoscenza. Macché! Se raccontavo il mio caso “Chi te l’ha fatto fare?” mi rispondevano. E così… mi sono rimessa al lavoro succhiando pastiglie di chinino. Per non affaticarmi, mi dedicai alle generazioni giovani, quelle che venivano alla capitale per i raduni, i saggi ginnici, i campeggi… Ma quei poveracci avevano così poco tempo per le loro distrazioni… Dovevano correre, saltare, allenarsi, sfilare a passo di parata, far pratica col moschetto. Già, perché si riparlava di guerra e bisognava essere pronti a tutto. Fuori era già cominciata e da noi si aspettava che scoppiasse da un momento all’altro. Ed infatti, una bella sera… la guerra. E cominciò allora il periodo dell’oscuramento. Giorni non disprezzabili, intendiamoci. Una donna sulla quarantina, come me, aveva tutto da guadagnare al buio. Erano belle sere, calde, d’estate. La guerra era lontana, chi ci pensava? Non ho mai visto Roma così bella come in quelle notti. Il buio affratellava tutti, rendeva la gente amica. I guai cominciarono dopo… quando arrivarono quelli dell’Asse. Le mie amiche si rallegrarono alla vista di quei tipi alti, robusti, biondi, rigidi… A me, invece, non furono mai simpatici. Finché le cose andarono bene, non dettero noia e se ne stettero al loro posto. Cortesi, freddi e distanti. Ma poi… mamma mia, divennero i padroni loro. E che padroni, te li raccomando. L’uomo rude a me, personalmente, è sempre piaciuto. Ma anche la rudezza ha i suoi limiti. Per invitarmi a fare, non è che pretenda che mi si faccia la corte, ma un po’ di forma, via, un po’ di forma ci vuole. C’è proprio bisogno di mettermi un mitragliatore dietro la schiena per dirmi “Andiamo”? E una volta che per poco non mi fecero fuori perché avevano deciso che ero un’ebrea. Ero così terrorizzata che quando sentivo i loro passi o li vedevo da lontano, scappavo. Ho fatto anch’io, a mio modo, il sabotaggio. Poco a poco, nonostante la miseria e la fame, non uscivo più di casa. Mi consumavo. M’ero ridotta a un punto tale di disperazione che credevo fosse giunta la fine. Col mondo che andava a catafascio… tutta quella gente che moriva senza sapere perché… con quella fifa che si aveva tutti addosso… con la fame che c’era in giro… io cosa potevo fare? Collaborare no, collaborare non volevo. All’improvviso… è proprio vero che tutte le strade conducono a Roma… arrivò a Roma gente di tutte le parti: inglesi, francesi, americani, neozelandesi, ungheresi, australiani, polacchi, sudafricani, marocchini… Non sto a dire l’incredibile successo che ebbi. Neanche a vent’anni fui disputata come lo fui allora. E dire che la quarantina l’avevo passata ormai da un pezzo… Ma se mi fecero persino promesse di matrimonio! Cosa che non mi era mai successa in tutta la vita. Io credevo che parlassero così perché ubriachi. Macché , me lo dicevano convinti. Ed erano giovani di vent’anni, grandi e grossi come vitelli, puliti, disinfettati e sinceri… Soddisfazioni ne ebbi in quel periodo. Feci chilometri in jeep, fumai sigarette americane a volontà… m’ingrassai a furia di scatolette, mi nauseai di latte in polvere e cioccolata vitaminizzata. Per essere onesta, devo dire che mi rimisi in carne. E in carne mi trovò la fine della guerra. Non si usò più il termine di Vittoria. No, niente più… ali. Poi, poco alla volta, tutti se ne andarono mentre si ricostruiva sulle rovine… Io mi sono fatta crescere un po’ i capelli, ho cucito qualche vestito nuovo e ho ripreso ad esercitare. Miseria! Miseria! Non faccio più breccia. Non piaccio più. Nemmeno ai pellegrini. E dopo aver sacrificato la mia vita per gli altri, dopo aver fatto il mio dovere anch’io… non avrei diritto alla mia età a un poco di pensione? (vedendo qualcuno passare) Pss… Signore?… Signore? (scrolla malinconicamente il capo ed avviandosi) Buonasera… (si ritira mentre cala il sipario)
FINE