Endimione
Alessandro Guidi
PERSONAGGI
AMORE
CINTIA
ENDIMIONE
Coro di pastori
Coro di ninfe
ATTO I
AMORE
Felici piagge, avventurosi colli,
non perché di bei fiori april v'adorna,
ma perché in voi soggiorna
in nove forme e in sì leggiadro velo
Cintia scesa dal cielo.
CINTIA
Ombre solinghe, alti silenzi, oh quanto
grave sento su 'l cor vostra quiete,
or che 'l terror de l'universo e 'l grande
nemico di mia pace in seno avete.
AMORE
Io per queste sì dolci
fortunate contrade
oggi pongo in oblio
i soggiorni celesti,
ove de' dardi miei
tra l'ammirabil prove
cinto d'ampi trofei,
regno sovra Saturno e sovra Giove.
CINTIA
Qual piacer mi lusinga
d'abitar queste selve?
Amor, già tu non sei
rozzo arciero di belve,
ma se pur hai diletto
d'albergar fra' mortali,
porta l'arco e la face
ne' palagi reali.
Ivi l'aurea faretra
e 'l tuo valore adopra
tra cavalieri e regi, e qui tu lascia
al volgo de' ministri,
tuoi fratelli minori,
la cura d'infiammar ninfe e pastori.
AMORE
Ne la reggia e dentro 'l bosco
io conosco
d'esser nume e nume grande:
gloriosa intorno spande
la mia face i raggi suoi,
o se infiamma i nobil cori
de' pastori,
o se accende i grandi eroi.
E ben, Cintia, vedrai strane venture
e cose ogn'or meravigliose e nove
che sol la mia possanza informa e move:
vedrai gentil pastore,
caldo di mia virtute,
gir per queste d'Arcadia alme foreste
pieno d'un animoso alto desire,
ed infiammarsi nel leggiadro ardire
di sospirar per deità celeste.
CINTIA
Fede negar non lice
al tuo valor possente.
Anco una dea,
solo per fero orgoglio e fasto antico
de le cure d'amor sdegnosa e schiva,
vedrassi in queste selve
chinar le voglie al dolce
amoroso destino;
e farà suoi costumi
dar lodi a la mia legge
e terreno pastore
portare in mente ed agguagliarlo a i numi.
Indi accesa di spene
vèr le luci serene
volgersi spesso e ragionar con loro
d'un soave tormento e caro ardore;
e in tal guisa vedrassi
che, dovunque io mi volga, io sono Amore.
CINTIA
Se di me tu favelli,
tendi pur nel mio sen l'arco fatale,
avventa in questo core i dardi tuoi.
Già conosco che puoi
condur quest'alma a l'amoroso affanno,
ma là, dove sei dio, sarai tiranno.
AMORE
Io da i fieri trastulli
e da i rigidi geni al mio diletto
vo' trarti, o Cintia; accenderotti il petto
nel bel piacer d'esser amata amante:
i felici pensier, le dolci cure
teco sempre saranno,
ed allora dirai
s'io son nume o tiranno.
CINTIA
So che a i popoli tuoi
pasci la mente d'un piacer gentile,
che di dolcezza ha vinto
il nèttare celeste;
e pur esca sì dolce,
onde tanto m'alletti,
è noiosa a mie voglie. In ogni guisa
tu sarai meco ingiurioso, Amore,
ch'altro genio mi ferve entro la mente,
altra cura nel core.
Il ruscel, che al mar s'invia,
come vuole il suo destino,
non desia
di fermarsi in suo cammino;
e se bene ei move i passi
sol fra' sassi,
pur invano a far dimora
il lusinga aprile e Flora.
S'altri il guida in chiuso loco
a vagar tra i fiori e l'erba,
o se 'l serba
in bell'urna a scherzi e a gioco,
par ch'ei dica in suo linguaggio:
- Grave oltraggio
fa chi turba il corso mio
e m'invola al mio desio -.
AMORE
I tuoi fati non hanno
un sol volto, un sol genio e un sol pensiero.
Per te giungono omai
l'amorose vicende.
E perché sol fuggisti
e non mai disprezzasti
la mia forza e i miei fasti,
arderai lieta d'un pastor leggiadro,
il più caro a le Grazie e a me più caro
de la stessa mia face.
E in ciò n'avrà dolore, invidia e sdegno
il tuo biondo fratel, già tanto audace
schernitor de' miei vanti,
che rimembrar si de' quale saetta
gli aperse il petto allora
che io feci su 'l Peneo l'aspra vendetta.
CORO
Poiché 'l destin che in suo governo tiene
le somme parti di natura e move
queste cose mortali a suo talento,
figlio e ministro è de l'eterno Giove,
querelarti di lui già non conviene
in questo universal misero stato.
Per lui viver n'è dato
con egual sorte, e i gloriosi eroi
e i re possenti consolar si ponno:
ché dentro a le capanne ancora a noi
i noiosi pensier turbano il sonno.
Non son così tranquilli i boschi, e i colli
non son sì dolci e le città no 'l sanno.
A le bell'ombre ancora
in nostra compagnia siede l'affanno.
Non tante piaghe e danno
porta il fascino e 'l lupo al nostro gregge,
come quel che ne regge,
Amor nostro tiranno.
Anco 'l cieco sospetto
nostre potenze aduggia,
né pon gli stessi dei,
se vestono fra noi spoglie mortali,
aver schermo e valore
incontro a tanti mali.
Oh troppo dura sorte!
Oh sempre fermo, incontrastabil Fato,
stirpe di Giove, ma di Giove irato!
ATTO II
ENDIMIONE
Seguendo un mio desir, che mi diparte
da tutto 'l mondo e fa il mio guardo schivo
d'ogni bel poggio e d'ogni ameno loco,
in solitaria parte
pien di sospir men vivo
e penso come Amor m'ha posto in foco.
In sì misero stato a me cal poco
se risorger son visti i lieti giorni
e le bell'aure e i fiori,
e se co 'l vago aprile or fa ritorno
la stagion de gli amori.
Rinovellan le fiamme
a i lor felici amanti
co 'l dolce sguardo e ragionar cortese
le belle ninfe in gentil foco accese.
D'amorosi pensier tutti son pieni
i pastorali alberghi, in novi modi
oggi s'ascoltan favellar le selve.
Chi loda Amore e 'l mansueto impero,
chi le belle ferite
che insino al cor gli vanno,
chi 'l dolce tempo del suo dolce affanno.
Io solo ho voce lagrimosa e solo
me non allegra aprile;
anzi spiacente e grave
emmi l'aura soave e 'l bel sereno.
Di ciò n'ha colpa chi s'è posto in mano
de la mia vita il freno.
Filomena, se tu piagni
e ti struggi nel dolore,
d'un tiranno almen ti lagni,
io mi lagno sol d'Amore.
Tortorella, se sospiri,
fosti un tempo almen felice
io mi pasco di martiri,
né 'l mio ben sperar mi lice.
Solo per mio tormento
in me pose natura
d'amare il bel talento
Amor l'anime altrui
nutrisce d'un tranquillo almo diletto,
e sol dentro al mio petto
ha volto in rigid'uso il suo costume.
Invogliossi d'udir pianti e querele,
e si prese vaghezza
di trar quest'alma in signoria crudele.
Se de' miei penosi ardori
gli aspri eventi
incidessi in su gli allori
qual saria de' lieti amanti,
che in leggendo i mesti accenti
non turbasse atti e sembianti,
non piangesse a' miei tormenti?
CINTIA
Quante ghirlande intorno
io vidi a le tue chiome!
Quanto caro a le selve era 'l tuo nome,
mentre 'l cor t'accendea
il pensiero de l'arco e degli strali!
E se ben tra' mortali e tra' celesti
è la mia deità grande e possente,
fortunato garzon, ti fu presente
in su le belle imprese e sen compiacque.
Io giocondi movea lampi e sorrisi
su 'l mirar da' tuoi dardi
i fier cinghiali ancisi. Or qual destino,
Endimion, ti spoglia
d'ogni leggiadra voglia?
Omai sen vanno in lor balia le forti
e le timide belve, e tu non curi
più le bell'arti d'illustrar le selve.
ENDIMIONE
O dea, che far degg'io?
Così mi sforza Amore,
Amore armato di valore eterno,
che fa, quando a lui piace,
de' poveri pastori
e degli eroi superbi aspro governo.
CINTIA
Non ben comprende il vero,
Endimion, tua mente: Amor è solo
sì forte dio su l'oziosa gente.
Ei non osa e non presume
sovra 'l cor de' miei seguaci,
di provar non ha costume
nel lor petto arme né faci.
A la severa e gloriosa vita
de gli studi di Cintia omai ritorna,
e di novelli onori
il tuo bel nome adorna.
ENDIMIONE
Lascieranno l'api i fiori,
il bel canto i dolci augelli,
l'ombra cara gli arboscelli
pria che io lasci e non adori
lo splendor che al cor mi scese.
È fatale
l'aureo strale
onde Amor l'alma mi prese.
CINTIA
Dunque d'amar ti riconsigli e schivi
di seguire il mio nume?
Vanne lungi, o profano,
ché innanzi al mio gran lume
or di fermarti al guardo tuo non lice.
ENDIMIONE
Andrò con le mie pene ove mi sforza
il destino infelice.
CINTIA
Fortunato pastor, se tu vedessi
come accesi si stanno i miei pensieri,
viva in loro potresti
ravvisar la pietà ch'ora disperi.
Vedresti la pietà, tenera cura,
cangiare in me costume
e farsi entro il mio core
crudelissima ancella
del mio nemico Amore.
Quanto ho creduto a questi boschi, a queste
campagne, a questi lidi,
ch'ora sì provo infidi!
Erano un tempo albergo
d'innocenza e di pace;
ma quando a gli occhi miei
mostràr tanta beltate,
allor divenner rei
d'immensa crudeltate.
Son fuggita da le sfere
per fuggirti, o crudo Amore,
né mi val seguir le fere,
né star chiusa in chiuso orrore,
ché vèr me dispieghi l'ali
e mi giungi co' tuoi strali.
AMORE
Non son, come altri crede, un dio feroce,
ma bensì tra gli dei c'han fede in cielo
il più possente e 'l più gentile io sono.
E se 'l folgore e 'l tuono
tolgo di mano a Giove, e a gli altri numi
spezzo gli scettri e l'armi
e lor traggo in mia schiera,
ciò non avvien perché nel core io chiuda
o pensiero tiranno o voglia altera,
ma bensì perché sono a' miei diletti
o ritrosi o nemici;
ed io so che gli dei
senza il piacer d'amar son men felici.
Quell'alma che intende
d'amar la bell'arte,
dal regno amoroso
non mai si diparte.
Sì soavi vicende,
sì tranquilli riposi
in suo stato comprende,
ch'oblia poscia le tempre
di tutt'altri piacer per amar sempre.
ENDIMIONE
Se per desio de la mia morte vieni
a far soggiorno in questi boschi, Amore,
vibra pure i tuoi strali
più pungenti e mortali, aprimi il seno;
e se mancan saette a la faretra,
per fornire il tuo novo aspro pensiero,
osa l'ultimo eccesso:
nel misero mio cor vibra te stesso.
AMORE
Ingrato Endimion, di che ti lagni?
Io che potea ferirti
per ninfa alpestre e vile,
di fiamma alta e gentile
accesi i tuoi desiri.
Avventuroso amante
per l'emula del sole ardi e sospiri.
ENDIMIONE
E ben di ciò mi dolgo,
odiando gli occhi miei che troppo osaro,
duci infidi de l'alma,
mirar tant'alto. Or quel pensier io sgrido,
che la mente m'impresse
di sì gran foco e lume,
e che in umil pastor fece costume
l'amar cosa celeste:
pensier tanto infelice,
che via più disperando è fatto audace,
e m'incende e mi sface.
Ei sì feroce nel mio cor s'avanza,
che violenta l'alma
a viver di desio fuor di speranza.
AMORE
E ti rechi ad oltraggio
ch'abbia tanto infiammati i desir tuoi
il valor del mio raggio? Or la tua mente
in ogni suo pensier s'erge e sfavilla,
né più ragiona in pastorali accenti,
ma in note alme e leggiadre.
Ed è questa d'Amore alta possanza,
che cotanto dal vile
imaginar ti leva e ti diparte,
e sì t'addita l'arte
di gire in pregio e d'esser caro a i numi.
E tu vèr lui t'adiri?
ENDIMIONE
Amore, omai
cangia pur tuo favore.
Deggio star con gli dei
carco sempre di pianto e di dolore?
AMORE
Dona tregua
a' tuoi tormenti,
gli elementi
regge Amore e insieme adegua;
lascia Amore alti vestigi
di prodigi
dove vive e dove impera.
Ardi e spera.
ENDIMIONE
Ben tal volta mi lusingo
e mi fingo
qualche lampo di speranza;
ma 'l tormento più s'avanza,
ché s'avvede de l'inganno,
ed allor per far l'affanno
men possente e men severo
io dispero.
AMORE
Nulla t'affidi e forse ancor non sai
che non ponno giamai mentir gli dei.
ENDIMIONE
Ecco Cintia sen viene,
e lungi da' bei rai partir conviene.
CINTIA
Amor, se giusto sei,
miei preghi ascolta e mia ragione intendi.
AMORE
Indarno meco a favellar tu prendi.
Fia mia gloria maggiore
e maggior mio diletto
con quest'arco fatale
domare a Cintia il petto.
Io se te non traessi infra i soggetti
a l'amoroso impero,
nulla più curerei
di tanti vinti numi
le famose vittorie e i gran trofei.
CINTIA
Troppo è tua legge imperiosa e grave.
AMORE
È 'l mio giogo soave.
CINTIA
Perché mal grado mio
vuoi tu ne la mia mente
trasformare il desio?
AMORE
Se pure ancora io sono
quel dio grande e temuto,
non voglio de' miei doni aver rifiuto.
CORO
Quando d'un'alma Amor preso ha l'impero,
gli usi seguendo de' tiranni e l'arte,
lascia cotanto la ragione afflitta
e le virtù sì disarmate e sparte,
che nulla v'è che racquistare in parte
possa l'antico stato
da le man de l'ingrato empio signore.
In cotal guisa Amore
suoi feri geni adempie e non temendo
cosa che turbi mai l'aspro governo,
fa l'altrui giogo e 'l suo gran regno eterno.
ATTO III
ENDIMIONE
Io son sì stanco di soffrir lo scempio
che i pensieri d'amor fan del mio core,
che vo turbando le campagne e i lidi
co' miei dogliosi stridi;
e son sì pieno di pietate e d'ira
su 'l pensar di me stesso,
che a ciascun passo vo chiamando morte,
perché sovra d'Amor fatta più forte
ritor mi voglia a sì feroce affanno,
e schernire il tiranno.
Oh se morte vibrasse in questo seno
qualche funesta sua crudel saetta,
qual sarebbe di lei
nova gloria e trionfo e mia vendetta!
Ma s'ella del mio duol cura non prende
e di ferir questo mio petto abborre,
ecco il sonno cortese,
imagine di lei, che mi soccorre:
quel che da gli occhi miei tanto sbandiro
l'aspre cure d'amor, tranquillo oblio,
sento su 'l mio martire,
e par che 'l mesto core
or s'avvezzi a morire.
Ombre placide, serene
del soave amico Lete,
care siete
al mio duolo, a le mie pene;
ma più care anco sareste
se foste del mio fato ombre funeste.
Ombre rigide di morte,
voi potreste consolarmi
e recarmi
la felice intera sorte.
V'aspettò l'alma sovente,
or giace stanca e al suo destin consente.
CINTIA
Qual prenderò consiglio
or che mi veggio al periglioso varco,
dove Amor contra me riprende l'arco
e vuol salir de la mia gloria in cima?
E certo fia che il suo valor m'opprima,
ché mie difese contra lui non ponno.
Egli è quel grande arciero, a cui non cale
d'alma fornita di diaspro e d'ira.
In quai pensieri la mia vita gira
questo crudel che io dico? Egli s'invoglia
vedermi aperta al fianco
da' suoi pungenti strali,
gir sospirando in selva
per bellezze mortali.
Ma se per prova intendo
che si vince fuggendo il crudo Amore,
oggi farò ritorno
al celeste soggiorno.
Or che queste
alme foreste
fa sua reggia il fero dio,
tutto è pena al guardo mio.
Orrid'ombra sparge il bosco
e sol tosco
versa il fonte e corre il rio.
Tutto è pena al guardo mio.
Parte lungi da me l'aura gentile
innanzi a gli occhi miei
si discolora aprile.
Orrid'ombra sparge il bosco
e sol tosco
versa il fonte e corre il rio.
Tutto è pena al guardo mio.
Sì, sì, fuggir io voglio
da queste ingrate selve.
Ma come fuggir posso
da queste selve ove perdei me stessa?
Ecco dal sonno avinto
il leggiadro pastore,
che le mie voglie co' begli occhi oppresse
e ruppe il mio rigore.
Sovra la lor possanza e lor costume
formàr bello costui cielo e natura,
sì che qualunque opra gentil si faccia
sembra un raggio del bel che a lui si fura.
Ora mi lice d'obliar le sfere
e i maggior lumi degli eterni dei,
se posso intorno a sì leggiadre forme
la vaghezza acquetar de' desir miei.
Entro la luce del mio sol che dorme
Amor chiuso si giace.
Ma pur l'usata face io sento al core:
da le chiuse pupille
escon care faville e care offese,
che nova ne' pensier guerra mi fanno;
e vinte dal piacer far lor difese
contra i begli occhi mie virtù non sanno.
Pastorello, or tu non sai
che gli dei per te sospirano,
e infiammar per te si mirano
l'alte menti a' tuoi bei rai.
ENDIMIONE
Quando nel costui regno io posi il piede,
tutti i mesti pensier mi furo intorno
e m'empiro di lagrime e d'orrore.
CINTIA
Di che sogna e favella?
ENDIMIONE
Ben ho cagion d'aver in odio il giorno
in cui conobbi Amore.
CINTIA
Ah ben vaneggia Endimion, ché solo
a me così di ragionar conviensi.
ENDIMIONE
Il sanno i monti, il sanno
le più riposte valli,
che risposer sovente a la mia doglia.
CINTIA
Tu segui ancora in sì turbati accenti
i tuoi vani lamenti?
Da gli Elisi oh venga almeno
un bel sogno a consigliarti,
ed ei prenda a favellarti
su gli incendi del mio seno.
Più non ascolto il suono
de le dolci parole,
né si concede ancora
lo splendor de' bei lumi a i lumi miei.
Pur vagheggiare in tanto
posso le vive rose
de le labbra amorose e ber con gli occhi
l'inefabil dolcezza
di questa bella bocca,
che se favella o ride
così soavemente i cori ancide.
AMORE
Odi la dea ritrosa,
odi come ragiona
la famosa d'Amore aspra nemica?
CINTIA
Il mio troppo desire hammi tradita.
AMORE
Tu fuggi, o dea, né più ti pregi o vanti
aver d'invitto ardire il petto cinto:
il mio valor t'ha vinto.
Coronatemi di rose,
circondatemi d'allori,
ché d'amor Cintia sospira
e sé mira
tutta fiamme e tutti ardori.
Coronatemi di rose,
circondatemi d'allori.
Endimion, tu giaci
ancora in grembo al sonno,
e l'amorose tue belle venture
te rallegrar non ponno.
Omai si sciolga sì tenace oblio:
ascolta il parlar mio,
tutto pieno di gioia e di salute.
ENDIMIONE
E chi rompe i silenzi a me sì cari
e turba la mia pace?
AMORE
Pastor, ti riconforta,
ché felici novelle Amor ti porta.
ENDIMIONE
Tu m'involi a i riposi,
tu mi svegli a i tormenti,
e poi le tue promesse
si porteranno i venti.
Io non arsi i tempi tuoi,
non distrussi il tuo bel regno,
e pur segno
a i martiri ogn'or mi vuoi.
Mi lusinghi in novi modi,
e sì godi
far eterno il mio dolore.
Lascia, Amor, d'esser Amore:
empia è l'arte onde m'affidi;
lascia di lusingarmi o pur m'uccidi.
AMORE
Qual uom che sogna e di sua mente è incerto,
meco favelli e non men dolgo o sdegno,
ma cortese ne vegno a dirti cose
strane e gioconde, a tutto il mondo ascose.
ENDIMIONE
A me sperar non lice
sorte così felice.
AMORE
Per questo dardo e per la face eterna
onde infiammo gli dei, giuro che Cintia
or sente in mezzo a l'alma
starle la mia possanza e 'l mio valore.
Ben si pensava di schernire Amore
e la grand'opra di quest'arco d'oro
co 'l porsi in fuga in vèr le stelle eccelse;
ma non giova fuggir né scioglier l'ali,
quando colui che fugge
entro 'l piagato sen porta gli strali.
E poscia un'alma accesa,
quanto più si consiglia e più ritenta
torsi a' lacci d'Amor, più s'incatena.
ENDIMIONE
È ben sovra gli dei certo felice
chi sospirar fa Cintia.
AMORE
Ella mirando
poc'anzi il tuo bel volto,
mentre al sonno chiudevi i lumi tuoi,
incominciò novi sospiri ardenti,
e quel novo parlar ch'io proprio inspiro
a l'amorose menti.
ENDIMIONE
Non sono, Amor, non sono
i poveri pastori
possenti ad invaghir cose celesti.
AMORE
Qual da bel velo, Endimion, traluce
fuor de le tue sembianze
quanto de' doni suoi
in te sparse natura e pose il cielo;
ma senz'opra d'Amore ignudo fregio
sono le belle giovenili forme:
ché solo Amore affina
quanto di bello la natura adombra.
Io solo t'insegnai gli atti gentili
e le grate accoglienze e i bei costumi
soavemente alteri,
ed a le Grazie, di mia voglia ancelle,
io governar commisi
tuoi sospiri e sorrisi
e tue parole e sguardi,
che sono al cor di Cintia
tante facelle e dardi.
E per dirti l'intero alto favore,
io t'ho innalzato oltra mortal costume
ed ho inchinato a le tue voglie un nume
tanto fugace e schivo,
onde sovra i tuoi novi alti trofei
starà certo pensosa
la schiera de gli dei.
ENDIMIONE
Amor, tu mi lusinghi
e godi di schernire il mio tormento.
Come pose in oblio
Cintia il rigido suo fero talento?
AMORE
Sia pur sdegnosa, altera
alma di donna o dea,
ch'è più dolce il piacer d'essere amante
che quel vano piacer d'esser severa.
ENDIMIONE
E che sperar degg'io da tanto nume?
AMORE
Ama, ch'amando non si reca oltraggio.
ENDIMIONE
Io troppo in alto miro
starsi il fatale oggetto
onde sempre sospiro.
AMORE
Avvalora te stesso
e l'alma pasci d'amoroso ardore,
ch'amor fu sempre alta cagion d'amore.
ENDIMIONE
È un martìr l'essere amante,
ed è duro il non amar.
Son gli egri mortali
su 'l bivio de' mali:
qualunque sentiero,
che calchi il pensiero,
conduce a penar.
È un martìr l'essere amante
ed è duro il non amar.
AMORE
Svela pure i tuoi tormenti,
ché al tuo duol darassi fede:
Cintia ancor languir si vede
nel rigor di fiamme ardenti.
Chi non osa e sempre tace
lieto farsi mai non speri.
Chi in amore ha core audace
poggia in grembo de' piaceri.
ENDIMIONE
Di quest'anima mia stanno al governo
due possenti nemici, ambo tiranni,
ambo volti a' miei danni, ambo crudeli.
Convien ch'io mi quereli
d'Amore in prima, che feroce sprona
l'intelletto e 'l desire,
perché s'armin d'ardire,
e per troppa alta impresa ei mi ragiona.
Per me grand'ali impenna,
ché per lo ciel portarmi egli destina,
ma veggio sotto i piè l'ampia rovina.
Quindi 'l Timore ogni mia voglia affrena,
ed è questi di me l'altro tiranno,
che mi pasce d'affanno
e conduce i miei dì di pena in pena.
Ma pur merta d'aver su 'l piè catena
chi spezzarla non tenta e soffre e tace.
Noi farem su per l'alto un volo audace
e seguiremo Amor dove ne mena,
seguiremo il destin dove a lui piace;
e se di Febo il figlio
e la dedalea prole
oggi per noi vedrassi
pareggiar nel consiglio e ne la morte,
dietro sì chiare scorte
fia bel vanto il morire,
e 'l suono dell'età potrà ben dire:
- Questi vivo giungea sovra le stelle,
ma non piacque agli dei sì bello ardire -.
Io ch'al prato, al monte, al bosco
vissi povero pastore,
cangio stato e mi conosco
pien di novo alto valore.
CINTIA
Dolce forza d'Amor, che 'l tutto movi
e le cose dissimili e nemiche
in un voler soavemente leghi,
tu sol le tempre rigide e feroci
de l'indomite menti infiammi e sciogli
e le superbe a tuo talento pieghi.
Or non fia mai che tua possanza io neghi,
poiché d'impero e libertà mi spogli
e degli usati orgogli,
lasciando mia ragione inerme e vinta;
la qual temendo tua virtute estinta
dal tuo sommo valor si riconforta,
ed è tale 'l piacer ch'ora mi viene
dal tuo spirto gentile,
che d'avermi difesa ella si pente
e 'l collo al giogo tuo lieto consente.
Solo di te mi dolgo,
perché tardasti, Amore, a farmi serva
ed a donarmi la tua bella luce.
Or veggio ben che tu natura illustri
e che movi tranquilli almi diletti.
Quanto è di pellegrino e di gentile
in su la terra e in ciel tu solo inspiri;
tu di leggiadre forme
tutti i pensieri adorni;
a' tuoi popoli imponi
soave freno e mansuete leggi;
e s'albergan tiranni entro i tuoi regni,
son le dolci speranze e i dolci sdegni.
CORO DI NINFE
Già l'usato
fier latrato
non percote più le selve;
già le belve
escon fuor de' chiusi chiostri,
e sicure
da sventure
stan dinanzi a gli archi nostri.
Tronche han l'ali
nostri strali,
or ch'in selva è 'l grande arciero,
quel sì fiero
che saetta uomini e dei.
Non v'è ardire
di ferire
or ch'in terra, Amor, tu sei.
Ma qual core
dal valore
de' tuoi dardi si difende?
Tutto accende
tua faretra e Cintia vede
ch'alta forza
pur lei sforza
nel tuo regno a porre il piede.
Grave peso
le s'è reso
il portar faretra ed arco;
l'aspro incarco
già depone e son vedute
or le fere
gire a schiere
a schernir l'armi temute.
Or sospira,
or s'adira,
ora tace e si consiglia;
or ripiglia
la faretra e non la regge:
sì lei sface
la tua face
sotto 'l giogo di tua legge.
Lungo orrore
e dolore
porta al suol l'asta di Marte;
torri sparte
lascia il folgore di Giove;
ma lo strale
tuo fatale
fa su i numi orribil prove.
ATTO IV
ENDIMIONE
Amor, che m'infiammasti ed or mi guidi
a l'alta impresa, il tuo potere adopra
e me su 'l gran momento aita e reggi;
tu ne' miei detti ora favella e spiega
ne' tuoi leggiadri ed animosi modi
gli ardenti miei desiri,
sì ch'a la dea non spiaccia
che quest'anima mia per lei sospiri.
CINTIA
Che ragioni d'Amor? Qual dea rammenti?
Vorrai mai sempre, Endimion, lontano
gir dal coro de' nobili pastori,
e menarne i begli anni
solitari e pensosi
per amorosi affanni?
ENDIMIONE
Da così bella e luminosa parte
discende il foco mio,
che spegner no 'l poss'io
senza oltraggiar gli dei.
CINTIA
E co 'l favor de' numi
far tua colpa felice,
Endimion, presumi?
ENDIMIONE
Amor m'ha date l'ali
non per cose mortali, e 'l tuo bel lume
di raggio in raggio m'avvalora ed erge.
Io per lui poggio a sì sublime stato,
che per me stesso non saria giamai
salito a tal ventura.
Or tu, cortese dea, prenditi cura
di quella fiamma che da te discende,
e a te stessa perdona
la colpa che t'offende.
CINTIA
E tanto lice ad ardimento umano?
Io ben saprei de' miei famosi sdegni
rinovellar gli esempi,
e non so qual pietà di te m'assaglia.
Il rimembrar che de' miei forti studi
glorioso seguace un tempo fosti,
forse contempra l'ira
che l'alta offesa spira.
ENDIMIONE
Amor, che in queste selve alberga e regna,
- Osa, - mi disse - Endimione, e svela,
svela le belle fiamme e gli aurei dardi
a la celeste dea per cui cotanto
ti discolori ed ardi,
né disperar conforto al tuo dolore -.
CINTIA
E tu credi ad Amore,
che fa suo nobil uso
l'ornar menzogne in lusinghieri accenti,
e che d'aure fallaci
pasce ad ogn'or l'innamorate menti?
Quanto semplice fosti in dargli fede!
Pur la colpa innocente a te condona
l'alta mia deitate,
da cui mai sempre avrai,
se non amor, pietate.
ENDIMIONE
Passa l'amata dea sdegnosa, altera
dinanzi Amor che se la vede e soffre,
e 'l grand'onor di farla serva oblia;
e meco poi vano campion si vanta
d'aver cotanto soggiogata e vinta
questa bella di lui nemica e mia.
Or riprender se stesso egli dovria,
ché non ardisce a lei mostrar la face,
e me saetta e strugge
per costei che si fugge,
sforzandomi ad amar donna celeste,
la qual d'aspro costume ogn'ora veste
per mio fatal tormento ogni pensiero.
Seguace di quel fero
trastullo di trattar faretre e strali,
sdegna le dolci cure, e i bei diletti
gode sprezzar de la serena vita;
e spesso si compiace entro le selve
minacciosa e feroce
a gli uomini apparir più ch'a le belve;
pur per l'aspre repulse
né di lei, né d'Amor punto mi dolgo.
Abbraccio l'ire e i dardi in petto accolgo,
ch'uomo nel suo gioir non fu sì lieto,
come di mia sventura io son contento;
e la ragion, che vede
quanto lume e valor da voi mi viene,
care luci serene,
a i colpi del bel guardo non provede.
Arderò fuor di speme,
né pentirassi l'alma,
tant'è bello il pensier, bello il desio
e bello il foco mio,
che se portar mi lice
la gloriosa fiamma
sì chiara a l'altra riva
per l'elisie contrade
in fra i felici amanti,
andrò del mio tormento anco superbo;
e la memoria del leggiadro ardire,
che sì portommi a volo
oltra mortal confine,
bello farà l'orrore
anco di mie ruine.
A temprar mie fiamme ardenti
non da me pietà si chiede:
io non voglio altra mercede
che goder de' miei tormenti.
Se penar sempre mi lice,
non invidio i lieti amanti:
la bell'arte de' miei pianti
sola può farmi felice.
AMORE
Arde Cintia d'amor, né si consiglia
di palesar le fiamme, anzi le cela
co' feminili ingegni,
come amando faria donna mortale;
ma se io pur sono ancora
quel fanciullin fatale
che de' pensieri altrui scherno si prende,
nulla giovar le ponno i modi e l'arte,
ond'ella pensa di celare amore.
Io lascierò che nutra in seno ascose
le sue fiamme amorose;
ma da i labri e da i guardi
farò che d'improviso
escan lampi e faville,
ch'ogni legge e divieto
si prenderanno a gioco,
e una scintilla sola
farà celebre il foco.
CINTIA
Tardi conobbi, Amore,
le tue pure dolcezze e i tuoi bei pregi;
e ciò per colpa del mio fier destino
che sin ora velommi il tuo bel raggio.
Egli a creder mi diede
che senza grave oltraggio
d'ogni vera virtute unqua non puoi
aver soggiorno in noi:
ond'io cieca seguendo il crudo inganno
dal fonte de' diletti il camin torsi;
schernii me stessa e nulla in alto intesi,
e sì le tue bell'opre
e 'l tuo gran nume offesi.
AMORE
Che giova l'esser dio
e l'esser sì possente,
quando mirar conviemmi a terra sparso
l'onor de' regni miei?
CINTIA
Di che ti lagni, Amor, se nulla ponno
contra la tua possanza uomini e dei?
AMORE
Del mio sì grave affanno
sola cagion tu sei.
CINTIA
Meco tu scherzi, Amore.
AMORE
Come potresti mai
drizzar il fero strale entro il bel seno
del più vago pastor di quelle selve,
mia gloria e mio diletto,
e che solo dovea da' tuoi begli occhi
sentire aprirsi il petto?
CINTIA
Che pastor? che ferite? e quando rea
fu la mia deità di colpa atroce?
AMORE
È ver che l'arco tese
Elpinia per ferir fera fugace,
ma s'udì pria che liberasse il dardo,
ben tre volte invocar tuo nome e disse:
- Cintia, tu guida il colpo -; e 'l colpo giunse,
ahi fierezza, ahi pietate!,
nel sen d'Endimion, che non lontano
stava pensoso tra' solinghi orrori
su l'aspra istoria de' suoi tristi amori.
CINTIA
In nome de le Furie uscì da l'arco
l'empia saetta ch'il mio ben trafisse.
Or dunque giace il bel pastore estinto?
AMORE
Estinto no, ma da crudel ferita
langue piagato a morte.
CINTIA
Ricuso d'esser dea
e d'esser viva ancor, se mi s'invola
il vago Endimione:
ché viver non vorrei
senza 'l caro splendor de' lumi suoi.
AMORE
Or cela amor, se puoi.
CINTIA
Ben tu fuggisti, Amor; ma qui me sola
non lasci nel dolore,
poiché in mezzo al mio core
mi sei venuto con pietate insieme.
Or ciascuno di noi sospira e geme,
pensando al fier destino
che con morte s'adopra
perché tanta beltà si venga meno;
ma 'l mio biondo fratel c'ha pur virtute
di dispensar salute,
omai prenda consiglio
su 'l terribil periglio, e si compiaccia
che per valor di sua possente aita
il bell'emulo suo si serbi in vita.
Biondo dio,
mie voci intendi
e mi rendi
l'idol mio.
Quando poi ritorno in cielo,
son contenta, o dio di Delo,
che tu neghi il tuo bel lume
al mio nume.
Negami pure il dono
allor de' raggi tuoi,
ché se 'l mio ben non more,
la luce prenderò da gli occhi suoi.
CORO
Tratte avessi di man del sommo Giove
mille saette, Amor, su i nostri alberghi,
pria che condur tanta beltà celeste
ne le nostre foreste.
Vedi come costei
per aspro foco i nostri dì ne scorge,
e come tanto porge
ardimento al desire e nega insieme
l'ali sciorre a la speme.
Costei non arde e d'ogni onore i tuoi
trionfi spoglia; e se pietà pur serba,
nutre virtù superba
ch'a te contrasta e nulla giova a noi.
Or se gloria tu vuoi,
togli al nostro intelletto
sì soverchio di luce
formidabile oggetto;
e fa' che tua virtute
tranquilli i nostri cori
e ch'in foco di gioia e di salute
ardan ninfe e pastori.
ATTO V
ENDIMIONE
Amor e 'l mio destino,
che stan dentro i begli occhi di costei,
mi volgon sempre a lei,
che mi governa con sì dura legge.
Con sì soverchio freno ella mi regge,
e pur riprego ogn'or perché non lasci
giamai di dominar questa mia vita.
CINTIA
Qual possente virtude in sì brev'ora
sanò l'aspra ferita?
ENDIMIONE
E quando mai si vide
o per magici carmi o per valore
di nobil erbe e d'acque
sanar piaga d'Amore?
CINTIA
Te pur ferì poc'anzi
d'Elpinia il fero strale.
ENDIMIONE
Io porto il cor sicuro
da l'arme di beltà caduca e frale
CINTIA
Non favello de' dardi,
ch'Elpinia ha ne' begli occhi.
ENDIMIONE
Né co' suoi dolci sguardi,
né con la destra armata ella m'offese.
CINTIA
E pur lo disse Amore.
ENDIMIONE
Se 'l disse Amor, favolleggiare intese.
CINTIA
Empio diletto in ver fingere i mali
per trar l'alme in affanno:
ché se ben torna a gioia il fero inganno,
pur l'acerba memoria
del creduto periglio
la mente in parte adombra e turba il ciglio.
ENDIMIONE
Quanta pietà de' miseri mortali
nutre il cor degli dei!
CINTIA
Quella pietà che spesso
ebbi de' tuoi sospiri,
quella m'aperse il core;
e dentro ha posto Amore,
ch'ora mi siede in signoria de l'alma.
Or questi ambe le chiavi
tiene de' miei pensieri,
e ne la mente mia sostien gl'imperi
or superbi e sdegnosi ed or soavi.
Per te mi veggio avvinta
ne gli aurei suoi legami,
e da lui che più brami
quando per tuo conforto egli m'ha vinta?
Ragionò con mia mente
de' chiari spirti tuoi,
e per l'arco immortal giurò sovente
ch'entro terrena spoglia
non mai tanta abitò parte divina.
Luce mostrommi che le stelle abbaglia
e che natura move
in guise altere e nove
e con novi intelletti i cieli agguaglia;
né lo splendor de le leggiadre membra
a gli occhi miei cosa mortal rimembra.
ENDIMIONE
O sia forza d'Amore o tua virtute,
che rinovella in sì celesti tempre
questo mio spirto e queste umane forme,
gloria sarà mai sempre
di chi l'estolle e le dà vita e luce.
Chi le adorna e produce
co 'l suo poter s'allegri,
ché in me scende dal cielo alma dolcezza
in ascoltar che non a sdegno prendi
questa mia fiamma e che te stessa accendi
a la medesma face;
né questa mente ora s'è fatta audace,
ma più s'interna e in sua bassezza è vinta
di meraviglia innanzi al tuo gran nume.
Nulla di sé presume, anzi paventa
veder se stessa spenta
dal formidabil lume.
Rammenta ben che quando Amor percosse
lei col divino raggio,
da terra alto levosse;
e come aquila suole
intrepida fissarsi a i rai del sole,
la tua gran deità vide e sostenne.
Il gran conoscimento in sé ritenne
de l'esser tuo celeste,
onde le nacque speme
che 'l conoscerti tanto
esser non le dovea cagion di pianto.
CINTIA
Segui Amor ch'a tanta luce
ti conduce
per sì nova alta ventura:
di bearti ei prende cura;
né sprezzar d'Amore 'l dono:
spesso sono
suoi seguaci accolti in cielo
nel consorzio de gli dei.
ENDIMIONE
Pur gli eventi acerbi e rei
io di Semele pavento
dal suo Giove incenerita;
e ben sento
che d'Adon l'aspra ferita
va turbando i pensier miei.
Raffiguro il bel Giacinto
di mortal pallor dipinto.
Veggio Psiche amata amante
gir sospinta a rischi indegni
per disdegni.
CINTIA
Sì funeste memorie
omai lascia in oblio;
altre stelle, altri fati
han le tue sorti in cura: ogni difetto
del tuo destino adempie il nume mio,
e i tuoi veri riposi
ho d'eternar desio.
Quindi gli assalti de' mortali affanni
fia che tu prenda a scherno,
e non avran mai gli anni
de' tuoi piacer governo.
ENDIMIONE
Più beato
io saria de' numi stessi,
se potessi
dir altrui qual è 'l mio stato:
il mio fato
mai non cangi le sue tempre.
CINTIA
Amiam sempre
in profonda, amica pace.
ENDIMIONE
Sia d'Amor la bella face
nostra luce e nostro ardore.
CINTIA
Tutto è pena e tutto è orrore,
fuor che Amore.
AMORE
Che fate qui fra le terrene cose,
alme del mio bel foco ardenti e chiare?
Il piacer di là sù nulla vi move?
CINTIA
Io l'ambrosia immortal non chiedo a Giove
or che del tuo diletto
è la mia mente accesa.
ENDIMIONE
E quest'anima intesa
al suo divino oggetto,
fatta è già sì felice,
che di bramare omai
o nulla a lei rimane o più non lice.
AMORE
Pur se tanto t'infiamma e ti conforta
beltà celeste entro terreno velo,
che sarà dunque a vagheggiarla in cielo?
A cotanta ventura or te destino,
né mentirà mia fede.
Oggi movrai su per le stelle il piede
ed io per l'alte vie sarò tuo duce.
Tu mirerai sì come
splendon gli dei ne la lor propria luce.
ENDIMIONE
Quale nova nel cor gioia mi desta
il tuo novo parlar, cortese Amore?
Folle chi te non serve
e non ferve
a' tuoi bei raggi ardenti,
ché tu puoi
bear le menti
e far numi i servi tuoi.
CINTIA
O sempre caro ed onorato giorno,
in che di propria mano Amor mi vinse
e 'l mio destino in sì bel nodo strinse!
AMORE
Giunto colà sovra l'eccelse sfere,
avventuroso Endimion, vedrai
qual sia d'Amor la providenza e l'arte;
vedrai come il mio spirto ivi comparte
ordini e moti e come inspira e volve
questa grande armonia che 'l mondo regge;
vedrai sotto una dolce eterna legge
in una stessa sede
regnar Gloria ed Amore.
E in vagheggiar quanto là sù riluce
per le magion celesti,
con sorriso e disdegno
rammenterai quanto qua giù vedesti
Allor potrà fuor del suo grave oblio
spaziar l'alta mente in grembo al vero,
e comprender che quanto alberga e giace
sotto i raggi del sole
pieno è di sogni e fole.
Scorgerai l'ocean, ch'ora ti sembra
ampio spazio infinito,
in che picciola foce egli sia chiuso;
e la terra, che appare immensa mole,
da l'uno e l'altro polo
sarà sotto un tuo sguardo un punto solo.
Allor conoscerai quanto sien nudi
d'argomento e consiglio
i miseri mortali;
e per qual vil cagion l'umane menti
soffron cotanti affanni,
quando ciascuno il suo destino invita
a quella immensa region di luce,
ove con stabil pace
in compagnia de gli alti dei si regna
E pur ciascuno le sue sorti sdegna,
e vaneggiar si vede
intorno a i lampi de gli oggetti frali
e le vere obliar cose immortali.
ENDIMIONE
Voi, dello spirto mio celesti scorte,
Cintia ed Amor, voi me levate a volo
fuor de le basse cure e vani affetti;
e me guidate per le sfere eterne,
ove sarammi mostra
nel centro de' suoi rai la gloria vostra.
CINTIA
Tu scorgerai quanto è a' seguaci suoi
Amor liberalissimo e fedele.
AMORE
Il mio poter si svele
e splenda fuori di sua nube il Fato.
Or voi meco poggiate, anime belle,
a l'immortali sfere.
ENDIMIONE
Le tue promesse, Amor, quanto son vere!
CORO
Chi potrà mai dentro i consigli tuoi
fermar lo sguardo, Amore,
pien di tanto valore,
da spiar quel che pensi e quel che vuoi?
Ben ti mostrasti in queste selve a noi,
ma dentro a la tua luce
velasti il tuo pensiero,
sì che nostro intelletto
lungi vagò dal vero.
Allora in noi s'apprese
quel folle empio costume
ch'è di garrir mai sempre
incontr'al tuo gran nume.
Pur le nostre querele
non ti recasti in ira:
solo schernirle, alto signor, volesti
co' tuoi doni celesti. Or voi, felici
d'Arcadia alme contrade,
poiché foste d'Amore un tempo albergo
e a la mensa di Giove un figlio avete,
voi ben sperar potete
altra luce, altri dei ne' vostri boschi.
Febo vedrete e l'immortali Muse
sedere insieme fra pastori e ninfe,
e sotto 'l piè di bei destrieri alati
in questa terra aprirsi
aurei fonti beati.
Madri di cigni e di bell'arti io spero
mirarvi ancora e i vostri sacri ingegni
commercio aver co 'l cielo;
e ciò per opra di quel raggio eterno,
che qui impresse suo lume e da cui piove
tanta virtù come dal sen di Giove.
FINE