Ereditieri

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Ereditieri

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

                                                                                                                        (detto Ezio)

09/02/2015

Personaggi:   10

Gaetano Incacchiato zio morente

Brunella Incacchiato ereditiera

Orlando Incacchiato ereditiere

Umberto Incacchiato ereditiere

Dorotea Panarea moglie Orlando

Isotta Ceti medico curante

Enrico Ottaro notaio

Fortunato Sfigato cugino pretenzioso

Procopio Nevrotico cameriere coi tic

Ninfa Vitale infermiera procace

Posillipo, Napoli. Casa Incacchiato. Zio Gaetano non gode di ottima salute. Ogni qualvolta la sua salute diventa cagionevole, si presentano i parenti a piangere per lui, quasi paventando la sua morte. Oguno di loro spera di entrare nelle grazie dello zio per un futuro testamento. L’eredità alletta e come. Eppure zio Gaetano non muore mai. Anzi, pare quasi che voglia controllare le mosse dei suoi parenti interessati più alle sue virtù economiche che affettive. 

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            Posillipo, Napoli. Salone della lussuosa casa al primo piano di Carmine Incacchiato.  Alla casa si accede da una comune centrale. A sinistra c’è una porta che conduce a cucina e bagno. Invece la porta di destra conduce in bagno di servizio, camera da letto ed altre stanze. Nel salone, verso destra, c’è un tavolo con quattro sedie. Verso sinistra, un divanetto. Quadri alle pareti e una credenza verso sinistra rifiniscono l’ambiente.

ATTO PRIMO

1. [Orlando, Brunella e Umberto Incacchiato, Dorotea Panarea e don Fortunato Sfigato]

                    Sedute sul divanetto, ci sono Brunella e Dorotea. Seduto al tavolo, Umberto. In

                    piedi c’è Orlando. Tutti (vestiti a lutto) tengono in mano un Rosario: è Dorotea

                    a guidare la preghiera (rigorosamente in latino).

Dorotea:     Ave, Maria, grátia plena, Dóminus tecum. Benedícta tu in muliéribus, et

                    benedíctus fructus ventris tui,Iesus.

Gli altri:     Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis

                    nostræ. Amen.

Dorotea:     Ave, Maria, grátia plena, Dóminus tecum. Benedícta tu in muliéribus, et

                    benedíctus fructus ventris tui,Iesus.

Gli altri:     Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis

                    nostræ. Amen.

                    Da destra si vede la porta aprirsi. Da lì esce il parroco don Fortunato Sfigato.  

                    Quasi di colpo cessa il Rosario e gli sguardi vanno su di lui.

Umberto:   (Gli si avvicina col viso mesto) Padre, dite… 

Fortunato: (Quando parla, sputacchia. Parla in modo strano. Alla domanda di Umberto,

                    scuote il capo) Eh, beh!

Umberto:   (Mestamente, parla agli altri) Esimi fratelli Orlando e Brunella, cara cognata

                    Dorotea, il nostro caro zio Carmine ci ha lasciati. Prego, piangete pure.

Fortunato: No, che avete capito? Mica è muoruto?!

Brunella:    Embé, e allora perché avete fatto quella faccia triste?

Fortunato: Perché per voi è una notizia necativa!

Umberto:   Quindi nun more cchiù? E allora ce ne putìmme ì!

                    I quattro si avviano ad andarsene ma don Fortunato li stoppa.

Fortunato: No, aspettate, aspettate, tove antate? Aspettate a vostro zio per salutarlo e

                    felicitarvi che lui sta bene. E’ ciusto così!

Dorotea:     Don Furtunà, ma chi v’ha ditto ch’a nuje ce fa piacere che chillo nun è muorto?

Fortunato: Io non stavo parlanto con voi, signoraTorotea!

Umberto:   Torotea?

Fortunato: (Conferma)Torotea! Voi non siete nemmeno una ti famiglia.

Dorotea:     Come? Io sono la moglie di Orlando.

Fortunato: E con ciò? Per mezza che siete la moglie ti Orlanto?

Umberto:   Orlanto?

Fortunato: (Conferma)Orlanto! Signora Torotea, assettàteve, ch’è meglio.

Dorotea:     Uff! (Si siede sul divanetto, seccata)

Orlando:    (Parla tartagliando. Si rivolge a muso duro con don Fortunato) E vo-voi vi

                    permettete di rivolgervi in questo modo a mia moglie?

Fortunato: (Parlando, sputacchia) Sì!

Orlando:    (Socchiude gli occhi, sofferente per gli sputacchi di Fortunato e si scosta da

                    lui) Avete vi-vinto voi! (Poi ad Umberto) M’e-m’ero scurdato che chisto qua-

                    quanno parle, sputa! Fra-fratello caro, perché non ci parli tu?

Umberto:   A chi? Ce parla Brunella!

Brunella:   Nun ce penzo propetamente! (E si siede accanto a Dorotea sul divanetto)

Fortunato: Pene, pene, molto pene! Io torno in parrocchia. Mi aspettano i miei racazzi!

Umberto:   Racazzi?

Fortunato: Sì, i racazzi della parrocchia. Signori, statevi pene.

                    Don Fortunato esce via di casa. Umberto ed Orlando, in piedi, si guardano.

Umberto:   Comme se chiamma ‘stu prete?

Orlando:    Don… don… don…

Umberto:   Ma che ffaje, ‘a campana?

Orlando:    Don… don… don Fortunato Sfigato.

Umberto:   E mò chi ce sta ‘int’’a stanza ‘e lietto?

Orlando:    Din… din… din…

Umberto:   Ma che ffaje, ‘n’ata vota ‘a campana?

Orlando:    Din… din… dint’’a stanza ‘e lietto ce sta ‘a dottoressa.

Umberto:   Ma nun ‘ive ditto che zio Carmine ‘eva murì? Era grave, teneva le ore contate.

Orlando:    E tu-tu che vvuo’ ‘a me? Io accussì sa-sapevo.

Umberto:   E penzà ch’amme miso in allerta pure ‘e schiattamuorte: un’altra idea tua.

Orlando:    Umbé, ma-ma mò te vulìsse appiccecà cu’ me?

Umberto:   E che me metto appaura ‘e te? Per mezzo che sei mio fratello maggiore.

Orlando:    (Con atteggiamento di sfida) E fa-famme vedé quantu curaggio tiene.

Umberto:   Nun ce sta probblema!

                    I due si afferrano, ma subito Brunella si affretta ad alzarsi e a separare i due.

Brunella:   Uhé, uhé, ma che vvulìte fa’? Mettìteve scuorno. Assettateve tutt’e dduje e

                    statéve zitte. Forza!

                    I due si guardano, si siedono al tavolo. Brunella sul divanetto. Silenzio totale.

2. [Orlando, Brunella, Umberto, Dorotea e la d.ssa Isotta Alletto]

                   Da destra entra la dottoressa Isotta Alletto (ha una valigetta). Nota gli altri.

Isotta:        Signori, io vado via.

                   Gli altri si alzano in piedi.

Umberto:  Dottoressa, ma voi non ci date nemmeno una speranza per nostro zio?

Isotta:        Ma certamente, ora vi dò una buona notizia: vostro zio sta meglio.

Umberto:  E chesta fosse ‘a nutizia bona? Voi ci dovete dire quando è sul punto di morte.

Isotta:        Non capisco.

Brunella:   No, niente, dottoressa, non date retta a mio fratello. (Lo guarda male) E’ solo

                   che noistiamo aspettando di sapere quando muore per organizzargli il funerale.

Isotta:        Penso che per oggi dovrete rinviarlo!

                   Umberto, Orlando e Dorotea si voltano e si allontanano un po’, imprecando.

I tre:          Mannaggia ‘a misera ‘nfame!

Isotta:        (A Dorotea) Ma… ho detto qualcosa di male?

Dorotea:    E certamente, dottoressa.Voi ci avete fatto chiamare perché nostro zio stava

                   malissimo e, ormai, non c’erano più speranze.

Orlando:  (Torna da lei) Co-così ci siamo precipitati perché speravamo di chiudere qua la

                  faccenda. E i-invece no, niente, è ancora vivo!

Isotta:       E non siete felici?

Umberto: Dottoressa, voi dovete sapere che io, Orlando e Brunella siamo fratelli.E dovete

                  sapere che non lavoriamo nessuno di tutti e tre. Come ci manteniamo? Con le

                  eredità della nostra ricca famiglia.     

Orlando:  Nie-niente di meno, abbiamo atterrato i nostri genitori ed alcuni zii. A-adesso ci

                  è rimasto solo lui, il più fa-facoltoso della nostra famiglia: zio Ca-Carmine!

Dorotea:  Noi siamo affamati di eredità.

Umberto: Siamo come le cavallette sui campi di grano: ce menamme ‘ncoppa!

Orlando:  Sia-siamo come i vampiri qua-quando sentono l’odore del sangue!   

Brunella: Siamo come i leoni quando vedono la preda!

Isotta:      (Inorridita) Mamma mia, che cinismo! Ma non c’è proprio umanità, al giorno

                  d’oggi. Comunque, fatevi capaci. Vostro zio per stavolta non muore.

Orlando:  Do-dottoressa, ma dico, non è che vi siete sbagliata?Ri-ricontrollate…

Umberto: …Sarete più fortunata!   

Orlando:  (Ripete inconsciamente) Sa-sarete più fortunat…! No, nel senso che a volte

                  ca-capita che voi medici prendete per vivo una persona che invece è mo-morta!

Isotta:       Sentite, ma adesso mi volete insegnare il mio mestiere? Io me ne vado. Se mi

                  volete ancora, cercatemi in ospedale.

Brunella: Sì, ma come vi troviamo?

Isotta:       Dottoressa Isotta Alletto.

Brunella: Come?

Isotta:       Isotta Alletto!

Umberto: Ah, ‘a truvàmme sotto ‘o lietto!   

Orlando:  Ma-ma che d’è, ‘nu tappeto?   

Isotta:       No, Isotta Alletto: Isotta di nome e Alletto di cognome.

Umberto: Va bene, arrivederci. Mò jatevénne!  

Isotta:       (Sdegnata) Che maniere! E’ meglio che me ne vaco. Stàteve buono!

                  Esce via di casa sculettando. Orlando si incanta a guardarle il sedere.

Dorotea:  (Richiama Orlando) Néh, uhé, ‘a vuo’ fernì ‘e guardà ‘o lato B ‘e chella?

Orlando:  E mi-mica le stevo guardànno ‘o lato B? Io le stevo guardanno ‘o di dietro!

Umberto: Insomma, basta! ‘O zio nun è muorto. E quindi, la mia presenza in questa casa è

                  inutile. Io me ne vaco. Stàteve buono!

                 Ed esce via di casa, scuotendo il capo.

Dorotea:  Orlà, jammuncénne pure nuje. Tanto, ‘o zio tuojo nun è muorto e io nun pozzo

                  piglià ll’eredità.

Brunella: E tu che ce azzicche?

Orlando:  Ha ra-ragione, Doroté. Ma tu rispunne sempe ‘nmiezo? A-allora ti devo punire?

Dorotea:  Ma per forza?

Orlando: E ce-certamente. Andiamocene in quella stanza a sinistra.

Dorotea:  Aggie pacienza, Brunella, nuje tenìmme che ffa’.

Brunella: Ma perché, che dovete fare?

Dorotea:  No, niente, mio marito m’ha da vattere.

Brunella: T’ha da vattere e tu non ti ribelli?

Dorotea:  E tanto, abbosco ‘o stesso!

Orlando:  Fo-forza, dentro!

                  I due escono via a sinistra. Brunella li osserva, perplessa.

Brunella:  Mah! E famme turnà ‘a casa, va’. Aggia abbuscà pur’io ‘a mio marito!

                  Esce pure lei di casa al centro.

3. [Bacco Barbera, Carmine Incacchiato e Rico Ottaro notaio. Poi Orlando e Dorotea]

                  Da destra, entrano Bacco Barbera, cameriere con tic nervosi, alito pesante

                  perché alcolizzato, e zio Carmine Incacchiato, in vestaglia,  pantaloni classici,

                  pantofole e bastone. Parla al suo cameriere (che spegne un cero funebre) .

Carmine: Stuta, stuta! Stuta chistu cero funebre, che porta sfurtuna.

Bacco:      Subito! (Fa una serie di tic nervosi e si prepara a spegnere il cero ma non lo fa)

Carmine: (Lo osserva perplesso) Bacco, nun te pozzo guardà proprio! E stuta chillu coso.

Bacco:      Un secondo, un secondo. (Soffia sul cero per spegnerlo, alitando verso Carmine)

Carmine: (Infastidito dall’alito di Bacco) Mamma bella, Bacco, ‘e che ciato che tiene! E

                  che ne faje ‘nu cammello?

Bacco:      (Fa i tic, poi) Signor Carmine, ho stutato il cero. Stanotte avìte durmuto buono?

Carmine: No. T’he’ scurdato? Sono stato in fin di vita. Però m’è succiesa ‘na cosa strana:  

                  come sai, io dormo ‘int’’o lietto cu’ ‘o cammumillo ‘ncoppa ‘o comodino. Però  

                  ‘int’’a nuttata me movo sempe. Allora so’ gghiuto a fernì ‘nterra e me songo

                  scetato. Accussì m’aggio bevuto ‘o cammumillo. Però teneva ‘nu sapore strano.

Bacco:      Ma chella nun era ‘a ciotola.

Carmine: Era ‘o vaso ‘a notte!  

Bacco:      Appunto!

Carmine: E io lo so! (Si siede al tavolo) Del resto, io non tengo più la lucidità di una volta.

                  Ma la cosa che mi ha fatto più male, è stato sentire i miei nipoti recitare il

                  Rosario. Si pensavano che io schiattavo e loro si pigliavano i soldi. Puah! ‘A

                  faccia lloro! A proposito, ma il notaio l’hai chiamato?

Bacco:      (Fa i tic) Sì. Ha detto che stava arrivando due ore fa.

                  Suonano alla porta d’ingresso.

Carmine: Ma chi è, mò?

Bacco:      Lo caccio via?

Carmine: Assolutamente sì. Nun voglio essere disturbato.

Bacco:      Agli ordini!

                  Bacco esce via per il centro. Carmine fa delle considerazioni da solo.

Carmine: E sì, io murevo e lloro se magnàvene tutte ‘e rricchezze mie. Io nun aggio mai

                  avuto niente ‘a nisciuno. Perciò, nessuno si merita niente. E’ proprio così, ho

                  deciso. Mò che vene ‘o nutaro, ce ‘o ddico a isso.  

                  Dal centro torna Bacco. Va da Carmine, sempre facendo i suoi tic.

Bacco:      (Gli parla su un lato della faccia) Signor Carmine!

Carmine: (Infastidito dall’alito di Bacco) Marò! Embé, Bacco, quando tu parli con me,

                 devi mantenere le distanze. Io sono debole e rischio di essere avvelenato dai gas

                 della tua bocca! A proposito, chi era alla porta.

Bacco:     ‘Nu scocciatore. L’aggio cacciato.

Carmine: Ah, sì? Qualche rappresentante?

Bacco:      No, ‘o nutaro!

Carmine: Disgraziato, he’ cacciato ‘o nutaro? Quello è l’unica persona che non devi

                  cacciare. Vai subito a prenderlo, muoviti!

Bacco:      Subito! (Gli parla su un lato della faccia)  

Carmine: (Infastidito dall’alito di Bacco) Va’ muore ‘e subito!

                  Bacco esce via al centro. Carmine si lamenta.

                  Io lo tengo a servizio con me solo perché piglia poco di stipendio. Ma da

                  domani, lo obbligherò a comprarsi 100 scatole di dentifricio!

                  Bacco torna sottobraccio con l’avvocato Rico Ottaro, alitandogli in faccia.   

                  (Rico pare infastidito e tiene la faccia voltata dalla parte opposta).

Bacco:      Signor notaio, voi mi dovete scusare se prima vi ho cacciato! (Poi lascia Rico e

                  si avvicina al viso di Carmine, alitandogli in faccia) Ci sta il notaio!

Carmine: (Infastidito dall’alito di Bacco) E basta! Va’ a ffa’ ‘o ccafé, va’!

Bacco:      Subito! (Poi alita in faccia ad Rico) Con permesso!

                 Esce via a sinistra. Rico, sofferente, si volta altrove e si fa vento con le mani.

Carmine: Signor notà, accomodatevi.

Rico:        Grazie! (Ancora provato dall’alito di Bacco, si siede al tavolo)

Carmine: Dite la verità, vi ha colpito pure a voi. E non ci fate caso. Quello, in bocca, tiene

                 l’Etna in piena eruzione! Ma veniamo a noi. Avete portato il mio testamento?

Rico:        Sì.

Carmine: Leggetelo.

Rico:        (Prende il testamento dalla sua valigetta) Subito! (Si schiarisce la voce e legge)

                 “Addì… eccetera eccetera, dell’anno eccetera eccetera… io sottoscritto notaio

                 Rico Ottaro, mi accingo a leggere il testamento del signor Carmine Incacchiato:

                 io sottoscritto Carmine Incacchiato, eccetera, eccetera, eccetera… eccetera,

                 eccetera, eccetera… eccetera, eccetera, eccetera”! Fine! Avete capito?

Carmine: Signor notà,aggio capito sulo “eccetera, eccetera”!

Rico:        Volete che leggo un’altra volta? E va bene. (Così fa) “…Non avendo eredi

                 universali, lascio tutti i miei averi, consistenti nella casa in cui abito, una villa a

                 Capri, due auto sportive e 5 milioni di Euro tutti ad unica persona: me stesso! Ho

                 deciso di portarmeli in Paradiso. In fede, Carmine Incacchiato”!

Carmine: E ci avete mancato una cosa.

Rico:        E cioè?

Carmine: “Alla faccia dei miei nipoti che poco fa recitavano il Rosario, pensando che io

                 sarei morto”! Scrivetelo, scrivetelo!

Rico:        Ma non si può scrivere in un testamento una frase del genere.

Carmine: Piuttosto, vedete bene dove mettete quel testamento. Vuje site ‘nu poco

                 scurdariello. E io peggio ‘e vuje.

Rico:        (Lascia il testamento sulla tavola) E già, siamo proprio sbadati.

Carmine: No, no, signor notà, diciamo le parole giuste: io e voi teniamo la malattia della

                 mancanza di memoria. Ci dimentichiamo le cose. Però non diciamolo a nessuno.

Rico:        Bene, ora io andrei via. (Si alza in piedi) Mi accompagnate alla porta?

Carmine: Ma certamente. (Si alza in piedi) Prego, usciamo!

                 I due si avviano all’uscita, poi Rico si ferma e si ferma pure Carmine.

Rico:        Eppure ho come la sensazione che sto dimenticando qualcosa.

Carmine: (Guarda a terra al tavolo) Signor notà, ve state scurdanno ‘a valigetta! 

Rico:         Ah, già. Ora la recupero. (La va a prendere e poi torna da Carmine) Ecco qua.

                  Allora, arrivederci, signor… signor…

Carmine: Incacchiato.

Rico:         Giusto! Arrivederci, signor Incacchiato!

                  I due escono al centro, poi però torna in stanza solo Rico.

                  Ecco fatto.

                  Suonano alla porta. Rico allora si chiede…

                  ‘A porta? E chi sarrà, mò?

                 Va ad aprire e torna, perplesso, seguito da Carmine.

                 Dite!

Carmine: Ch’aggia dicere, signor notaio? Chesta è casa mia. Site vuje che ve n’ata ì!

Rico:        Ah, giusto. Va bene, allora arrivederci.

                 Rico esce via di casa.

Carmine: Bene, il testamento in mio favore è fatto. Sta al sicuro in mano al notaio. Adesso 

                  mi vado a mettere a letto. Del resto, io sono in fin di vita! Eh, beh!

                 Esce a destra. Da sinistra tornano Orlando (interessato, ha sentito ciò che hanno

                 detto il notaio e zio Carmine) e Dorotea (dolorante al viso e al sedere).

Orlando: Do-Doroté, he’ ‘ntiso?

Dorotea: (Massaggiandosi il viso e il sedere)Sì, aggio ‘ntiso, aggio ‘ntiso!

Orlando: No-no, ma io nun parlavo d’’e mazzate! Vo-voglio sapé si he’ ‘ntiso ‘o discorso

                 che hanne ditto ‘o zio Carmine e ‘o nutaro.

Dorotea: Orlà, nun aggio ‘ntiso nisciunu discorso. Io aggio sulo abbuscato.

Orlando: Ma-ma tu devi esser felice di aver abbuscato da me. In que-questo modo abbiamo

                 saputo una cosa straordinaria: lo-lo zio non ha fatto testamento in nostro favore.

Dorotea: Embé, e si’ cuntento?

Orlando: Néh, ma-ma mò vuo’ abbuscà ‘n’ata vota?

Dorotea: No, no!

Orlando: E a-allora ascoltami. Lo-lo zio e il notaio hanno creato un testamento in favore

                 del nostro zio svergognato e insensibile. Pe-però io penso che possiamo

                 cambiarlo. E sa-sai come? (Va al tavolo e prende il testamento) Guarda qua.

Dorotea: ‘O testamento? E che ce fa ccà?

Orlando: ‘O zio è ‘nzallanuto e ‘o nutaro è pe-peggio ‘e isso. Dunque, se io e te lo

                 cambiamo un poco, riusciamo a indirizzarlo tutto in nostro favore.

Dorotea: (Timorosa) Si te dico ‘na cosa, tu me vatte?

Orlando: No-no, dimmi, dimmi pure.

Dorotea: Io sono brava a imitare le calligrafie, così posso imitare la firma del notaio.

Orlando: (Felice) E pe-pecché t’aggia vattere? Tu m’he’ ditto ‘na co-cosa bellissima!

                 (Lascia il testamento su una sedia ed esulta) Finalmente spolperemo vivo un

                 altro parente. Andiamo a fe-festeggiare, cara mia! Sei pronta?

Dorotea: Prontissima!

Orlando: E vaiii!

                 Escono di casa esultanti (Orlando ha dimenticato di riprendersi il testamento).

4. [Bacco e Umberto. Poi don Fortunato e Isotta]

                  Da sinistra torna Bacco: ha una bottiglia di vino in mano, brillo, fa i suoi tic.

Bacco:      Comm’è bello ‘stu vino! Sulo che però, a primma matina, me ‘mbriaca ‘nu poco!

                  E’ meglio che m’assetto, va’!  (Va per sedersi e nota il testamento sulla sedia.

                  Lo prende e lo osserva) E che d’è ‘stu foglio? (Si siede e legge) “Testamento”!

                  Ua’, comme stongo ‘mbriaco! Nientemeno, me pare ‘e vedé ‘o testamento d’’o

                  signor Carmine! (Lo osserva bene) Ma… ma chisto è overamente ‘o testamento

                   d’’o signor Carmine. Famme vedé si ce stongo pur’io, ccà ddinto. (Legge molto

                   da vicino) No, nun ce stongo. (Si volta a destra e a sinistra, poi…) Grazie al

                   vino, m’è venuta ‘n’idea pazzesca: adesso cambio il testamento e me lo intesto

                   io. Poi lo poso sul tavolo e chiamo il notaio, così dico che se l’è scordato qua. E

                   il gioco è fatto. (Si alza in piedi e beve un sorso di vino) Mò te faccio avvedé io!

                   Si avvia a sinistra, camminando male a causa dell’alcol. Suonano alla porta.

                   E chi è, mò? Aggia annasconnere ‘stu testamento ‘int’a cocche parte. (Se lo

                   nasconde sotto la giacca). Ecco qua, mò pozzo arapì. (Si avvia al centro,

                   camminando male a causa dell’alcol) Mamma mia, e comme tremma, ‘stu

                   pavimento! Ma mica sta facenno ‘o terremoto?

                   Esce al centro. Poi torna con Umberto, che ha una cartellina con sé.  

Umberto: (Fa una pessima faccia) Mamma mia, e che t’è bevuto? ‘N’enoteca sana sana?

Bacco:       ‘Nu poco ‘e vino. ‘O vvulìte? Però v’avviso: è fernuto.

Umberto: Nun voglio niente! E mò dimme ‘na cosa: è muorto?

Bacco:       Chi è muorto?

Umberto: Comme, chi? ‘O zio!

Bacco:      Ah, no!

Umberto: (Finge felicità) Menu male!A proposito, ma ‘o nutaro è venuto?

Bacco:      Ehm… sì, sì, è venuto. Ha scritto ‘o testamento ‘nzieme ‘o signor Carmine.

Umberto: (Interessata) E che ce steva scritto?

Bacco:      Eh, e chi ‘o ssape?

Umberto: Siente, ma mò ‘o zio sta durmenno?

Bacco:      Volete che lo vado a chiamare?

Umberto: Sì, così se sta sveglio, lo saluto un poco.

Bacco:      Va bene, io vado.

                  Esce via a destra, camminando male a causa dell’alcol E GLI CASCA IL 

                  TESTAMENTO DALLA GIACCA! Umberto siede sul divanetto.

Umberto: Embé, aggia riuscì a convincere ‘o zio Carmine a me ‘ntestà ‘o testamento tutto a

                  me. Alla faccia dei miei fratelli! E allora ecco cos’ho fatto. (Dalla borsa tira

                  fuori un foglio protocollo) Ho scritto un testamento a modo mio. Lui lo deve

                  solo accettare. (Poi nota a terra il testamento cascato dalla giacca di Bacco)

                  E che ce sta lloco ‘nterra? (Va a raccogliere il foglio e resta sorpresa) Ma…

                  ma… chisto è ‘o testamento d’’o zio! Forse l’ha perzo ‘o nutaro. Comm’è

                  stunato, chillo! (Poi felice) Ua’, ‘e che ciorte ch’aggio avuto! (Strappa il

                  testamento originale) Tié! Mò lasso ‘o testamento mio ‘ncoppa ‘a tavola! (Così

                  fa) E ora devo avvisare subito il notaio. E sì! (Se la ride) Ahahahahah!

                  Da destra torna Bacco (sempre camminando male). Gli parla in faccia.

Bacco:      Sentite!

Umberto: (Colpito dall’alito pesante di Bacco) Mamma ‘e ll’Arco!

Bacco:      ‘O signor Carmine sta ‘ncopp’’o lietto. Ve sta aspettanno!

Umberto: Ma che me ne ‘mporta, a me?

Bacco:      Eh?

Umberto: No, cioè, adesso vado subito da lui. E se qualcuno chiede di me, ti raccomando,

                  Bacco, non mi hai visto. Capito?

Bacco:      (Gli parla in faccia) Sì!

Umberto: (Seccato) Ma quantu vino t’he’ bevuto?!

                  Va a destra. Bacco, perplesso, si alita sul palmo della mano e se la odora.

Bacco:        Effettivamente!

                    Suonano alla porta.

                    Ma chi è, mò? Uffa!

                    Cammina sbandando perché ubriaco. Torna seguito da don Fortunato e Isotta.

Fortunato: Racazzo!

Bacco:        Come?

Fortunato: Racazzo!

Bacco:        Racazzo a me? Caso mai, ragazzo. E secondo voi, io vi sembro un ragazzo? Io

                    mi chiamo Bacco.

Fortunato: Pacco?

Bacco:        No, Bacco.

Fortunato: Ho capito, Pacco!Senti, Pacco,come si sente il signor Carmine? Sta morento?

Bacco:        Ma che? Speriamo che campa un altro poco, così tengo il tempo di cambiare il

                    testa… ehm… no, niente. (Si apre la giacca a nota che il testamento non c’è

                    più) Oddio, l’aggio perzo! Addò è gghiuto?

Isotta:        Ma chi?

Bacco:        Il testamento! No, cioè, la camicia… la giacca… lo tenevo sotto la giacca! (Si

                    getta sul pavimento a cercare il testamento) Néh, ma addò staje?

Isotta:        (A don Fortunato) Ma che fa?

Fortunato: Non ci fate caso, quello è upriaco! Néh, Pacco!

Bacco:        Bacco!

Fortunato: Appunto! Senti, noi antiamo dal signor Carmine.

Bacco:        (Si alza in piedi e va dai due) Impossibile, ci sta il nipote Umberto.

Fortunato: Umperto?

Bacco:        No, Umberto.

Fortunato: Ho capito, Umperto.

Bacco:        (Seccato) Ma nun ce sta Umperto, ce sta Umberto!

Fortunato: Siente, vuo’ fa’ ‘na cosa? Fa’ ‘nu poco ‘e café pe’ me e p’’a dottoressa.

Bacco:        Che ci metto dentro? Un poco di anice?

Isotta:         No, a me no. Caffè assoluto.

Fortunato: Invece a me mettici un poco di Sampuca!

Bacco:        No, mi dispiace, non la tengo la Sampuca. Tengo la Sambuca!

Fortunato: (Gli parla in viso) E io stongo dicenno chesta: ‘a Sampuca!

Bacco:        (Pulendosi il viso) E vuje dicite “Sampuca”! Chella se chiamma Sambuca. (Si

                    avvia a sinistra, protestando) Ma che modo ‘e parlà è chisto? Primma me cerca

                    ‘na cosa e ppo’ s’arraggia! Cose ‘e pazze!

                    Esce via a sinistra.

Fortunato: Pene, tottoressa, accomotiamoci!

Isotta:         Giusto dieci minuti, però.

Fortunato: Va pene, tieci minuti.

                    I due si siedono al tavolo.

 

5. [Fortunato e Isotta. Bacco ed Umberto. Poi Brunella]

                    Fortunato (con una borsa a tracolla) e Isotta (con una borsa a tracolla), seduti

                    al tavolo, conversano.

Fortunato: Tunque, tottoressa, veniamo a noi.

Isotta:         Già so cosa mi vuole dire. So tutto. Anch’io ho parlato coi nipoti del signor

                    Carmine. Sono tutti in attesa di mettere le mani sull’eredità. 

Fortunato: Ma tiene parecchi solti?

Isotta:         E perché lo volete sapere?

Fortunato: No, niente, una tomanta come un’altra!

Isotta:         E invece io lo so che vi interessa l’eredità del signor Carmine. E pure a me.

                    Dovete sapere che il signor Carmine dimentica le cose. E pure il notaio.

Fortunato: E con ciò?

Isotta:         (Dalla borsa estrae un foglio) Questo è il testamento del signor Incacchiato.

Fortunato: Uh, figliola mia, e come avete fatto a rubarlo?

Isotta:         Non l’ho rubato. L’ho preparato io. Cosicché, quando vedrò il notaio, io

                    sostituirò l’originale con questo. E il gioco è fatto!

Fortunato: Ma perché, quel testamento che tiene di speciale?

Isotta:         E’ intestato tutto alla sottoscritta.

Fortunato: (Finge di essere scandalizzato) Uh, che peccato stai facento, che peccato!

Isotta:         Don fortunato, si vive una sola volta. Poi mi confesserò verso la fine della mia

                    vita e mi pentirò di questo peccato.

Fortunato: Figliola, io faccio finta che non ho sentito niente. Mamma mia, che brutto

                    monto sta tiventanto: qua mi pare di trovarmi a Sotoma e Comorra!

Isotta:         Don Fortunà, il mondo funziona così. Non lo possiamo cambiare. (Si alza in

                    piedi) Ed ora vado dal paziente. Col vostro permesso.

                    Esce via a destra. Fortunato fa considerazioni personali.

Fortunato: Il Signore si rese conto che gli esseri umani volevano arrivare alla sua altezza.

                    Ecco perché essi costruirono la Torre di Papele! E lui gli scompinò le linque!

                    (Dalla borsa a tracolla) La tottoressa vuole sostituire il testamento vero con

                    quello suo. E io, allora? Ho avuto la sua stessa itea! (Si alza in piedi) Pure io ho

                    preparato un testamento del signor Carmine tutto a mio nome. Io nun me faccio

                    arruppà ‘a purpetta ‘a ‘int’’o piatto!

                    Ed esce via a destra. Da sinistra torna Bacco, coi suoi tic, ubriaco, tenendo

                    un vassoio con un bicchiere contenente liquore ed una tazzina di caffè.

Bacco:        Aggio purtato ‘o ccafé e ‘a Sambuca. Néh, ma addò state? (Posa il vassoio sul

                    tavolo) Ve n’ate jute? (Guarda sotto il tavolo) Aggio capito,facìmme ‘stu

                    sacrificio, va’.(Prende la tazzina di caffè)Mò me sciacquo ‘a vocca cu’ o

                    ccafé! (Beve beatamente e poi posa la tazzina) E mò ce facìmme ‘sta bella

                    Sambuca. ‘A faccia ‘e chi me vo’ male!

                    Beve a Sambuca. Frattanto da destra entra Umberto.

Umberto:   Néh, Bacco!

                    A Bacco va di traverso la sambuca e tossisce. Umberto accorre in aiuto.

                    Uhé, uhé, nun t’affugà, nun t’affugà. Guarda l’uccellino, cip… cip… cip… cip!

Bacco:        (Guardando in alto) Addò sta?

Umberto:   Chi?

Bacco:        L’auciello.

Umberto:   Qual’auciello?

Bacco:        Vuje ate ditto: “Guarda l’uccellino”!

Umberto:   Ma no, quello è un modo per farti alzare la testa. Tu te stive affuganno.

Bacco:      E certamente. Io stongo sorseggianno ‘nu poco ‘e Sambuca, e vuje bell’e buono

                  me chiammate. Ma che me chiammate a ffa’?

Umberto: Eh, e nun t’ascarfà. Anzi, ascoltami un momento. Però mi devi giurare che non

                  lo dici a nessuno. Hai capito?

Bacco:      Io nun dico niente a nisciuno, anche pecché nun sacco ch’aggia dicere.

Umberto: Ah, già, non te l’ho detto. (Dalla tasca della giacca tira fuori un foglio) Questo è

                  il testamento di zio Carmine.

Bacco:      Ah, ma allora ‘o tenite vuje?

Umberto: Non strillare! Non è quello vero. Io sostituirò il vero testamento con quello mio.

                  E sai chi ne saràil beneficiario?

Bacco:      Voi!

Umberto: E tu comm’’o ssaje?

Bacco:      Eh, pure io…

Umberto: Pure tu che cosa?

Bacco:      No, dico, pure io farei la stessa cosa! E vi prometto che non dirò niente a

                  nessuno, nemmeno ai vostri fratelli. 

Umberto: Bravo! E io ti ripagherò profumatamente.

Bacco:      Me vulite regalà ‘na butteglia ‘e profumo? E comm’è?

Umberto: Ma nooo!

                  Suonano alla porta.

                  Va’, va’ a arapì.

Bacco:      Nun ce ‘a faccio a cammenà, stongo troppo ‘mbriaco!

Umberto: (Infastidito dal fiato di Bacco) Mamma mia, è meglio che vaco a arapì io, va’!

                  Va Umberto ad aprire la porta, mentre Bacco trama qualcosa.

Bacco:      He’ capito niente? Pure chisto ha avuto ‘a stessa ide a mia: ‘o testamento. (Tira  

                  fuori la propria copia) Ma è cchiù bello ‘o mio! Embé, accomme vene ‘o nutaro,

                  ce ll’aggia mettere ‘int’’a borza. Ricchezza, vieni a me! E mò vaco a brindà!

                 Esce via a sinistra, barcollante. Dal centro tornano Umberto e Brunella.

Umberto: (Insospettito) Bruné… e tu che ce faje ccà?

Brunella: (Insospettita) E tu?

Umberto: (Insospettito) Te ll’aggio domandato primma io.

Brunella: (Insospettita) E ‘o vvoglio sapé pur’io.

Umberto: (Insospettito) Allora facìmme accussì: rispunne primma tu a me e ppo’ io a te.

Brunella: (Insospettita) Io songo venuta a truvà ‘o zio Carmine. E tu?

Umberto: (Insospettito) E pur’io.

Brunella: (Insospettita) E come mai? Tu sei venuto pure prima.

Umberto: (Insospettito) E pure tu.

Brunella: (Insospettita) E allora andiamo da lui.

Umberto: (Insospettito) Io vado a vedere se sta riposando.

                 Esce via a destra. Ma i due si guardano con sospetto. Dopodiché…

Brunella: Ma che me ne ‘mporta d’’o zio? (Dalla borsa che ha con sé, tira fuori un foglio

                  protocollo) Eccolo qua: il testamento, tutto dedicato a me! ‘A faccia ‘e…

                  Torna Umberto.

Umberto: Bruné, ‘o zio sta dinto. Ce stanne pure ‘o preveto e ‘a dottoressa.

Brunella: Ah, ma allora stavolta ci siamo. Io vado a pregare un requiem per lui.

                 Va a destra, felice e sorridente. Umberto estrae dalla giacca un foglio protocollo.

Umberto: E già, finalmente ci siamo! Testamento mio, fammi diventare ricco. Mò vaco a

                  pregà pur’io! Voglio dedicà ‘nu bellu requiem a chillu taccagno! (Si avvia a

                  destra, pregando) Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua…!

                 Ed esce via.

6. [Bacco, Orlando e Dorotea. Poi Rico]

                 Suonano alla porta.

                 Da sinistra torna Bacco, barcollante.

Bacco:     (Delirante per l’ubriachezza) Ma che d’è ‘stu campaniello? Pecché sta sunanno?

                 Embé, si acchiappo ‘a porta, ‘a jetto ‘int’’a munnezza!

                 Esce al centro e torna seguito da Orlando e Dorotea (dolorante al sedere).

Orlando: Buo-buongiorno, Bacco. E’ muo… è muo… è muorto ‘o zio?

Bacco:     (Gli parla in faccia) No!

Orlando: (Colpito dal suo alito) Ma-mamma ‘e ll’Arco!

Bacco:     (Gli parla in faccia) Volete sapere che sta facendo?

Orlando:(Colpito dal suo alito) No, nu-nun ‘o vvoglio sapé. Vattènne!

Bacco:     Subito! (Poi osserva Dorotea) Ma chi è ‘chesta? E’ ‘a mugliera vosta?

Orlando: E ce-certamente.

Bacco:     ‘E che purpo! E’ brutta assaje!

Dorotea: Uhé, e comme te permiette? Orlando, mettilo a posto.

Orlando: E pe-pecché? Che-che ha ditto ‘e male? 

Dorotea: Orlà, nun si’ buono proprio, allora me difendo io sola. (A Bacco) Néh, ‘mbriacò!    

Bacco:     Purpo! 

Dorotea: ‘Mbriacò!

Bacco:     Purpo! 

Dorotea: ‘Mbriacò!

Orlando: Oh, e ba-basta! Do-doroté, invece ‘e t’a-t’appiccà cu’ chisto, pe-penzamme ‘o zi’ 

                 Ca-Ca… Ca-Ca… Ca-Carmine. 

Dorotea: Ah, già. (A Bacco) Néh, ‘mbriacò!

Bacco:     Che vvuo’, purpo?! 

Dorotea: He’ ‘ntiso, Orlà? M’ha chiamamta ‘n’ata vota purpo.

Orlando: E tu-tu l’he’ chiammato “’mbriacò”! E mò-mò, si nun te muove, a-abbusche.

Dorotea: No, no, vabbuò, Siente, Bacco, ma ‘o zio ‘e mio marito sta durmenno?

Bacco:     Mò vaco a vedé. (Poi le bisbiglia qualcosa nell’orecchio) Purpo!

                 E infine esce via a destra, barcollando. Dorotea lo contesta.

Dorotea: Ma che scustumato ‘e cameriere. Appena tuo zio more, l’amma licenzià!

Orlando: Tu-tu… tu-tu… tu-tu…

Dorotea: Eh, e càlmete ‘nu poco. Tu me pare ‘nu treno!

Orlando: Tu-tu pienze ‘o te-testamento. L’he’ scritto ‘o te-testamento nuosto? 

Dorotea: (Lo tira fuori dalla borsa) Eccolo!

Orlando: (Glielo tira via di mano)Brava! Per questa volta, te si’ sparagnata ‘na mazziata!

Dorotea: (Felice, gli si mette sotto braccio) Bravo, comme te voglio bene!

Orlando: (Se ne libera) Ma-ma liéveme ‘e mmane ‘a cuollo!

                 Suonano alla porta.

                 Va’, va’, va’ a arapì ‘a porta. Muòvete!

Dorotea: Subito, subito!

                 Dorotea va ad aprire. Orlando si siede al tavolo e si guarda il finto testamento.

Orlando: Pe-però è venuto proprio be-bello, ‘stu testamento. Pa-pare ‘o vero! Sp-speramme

                 sultanto ch’’o nutaro ce casca! 

                 Dal centro torna Dorotea, seguita dal notaio Rico Taro (un po’ perplesso).

Rico:        E’ permesso?

Dorotea: Sì, sì, entrate, prego! (Poi si affianca ad Orlando, seduto) Orlà, guarde chi ce sta:

                 ‘o nutaro! Mò può ffa’ chillu fatto d’’o testamento!

Orlando: (Si alza in piedi e la zittisce) Ehm… sssst, assié-assiéttete e stattu zitta! (La fa

                 sedere con forza al tavolo e poi si rivolge al notaio, nascondendo dietro di sé il

                 falso testamento) Ca-carissimo signor notaio! Co-come state?

Rico:        Scusate, ma io vi conosco? Non mi pare.

Orlando: Ma co-co… ma co-co… ma co-come? Io so-sono il nipote del mo-moribondo!

Rico:        Ma perché, in questa casa c’è un moribondo? Ah, già: il signor Carmine.

Orlando: E sie-siete venuto per il te-te… il te-te… il te-te?

Rico:        Il te-te?

Orlando: Il te-testamento.

Rico:        E certamente. Io sono un notaio inflessibile. Nessuno può fregare il notaio Rico 

                 Ottaro! (Poi, dubbioso) A proposito, non ho più trovato nella mia borsa il

                 testamento di vostro zio. Eppure ero sicuro di averlo riposto nella mia borsa.

Orlando: (Approfittatore) Sì? E vedete bene che forse lo avete lasciato da qualche parte.

Dorotea: (Si alza in piedi, tira di mano il falso testamento e lo esibisce dinnanzi ai due)

                 Eccolo qua il testamento!

Rico:        Che cosa? E come ve lo trovate, voi?

Orlando: (Guardando male Dorotea, glielo tira di mano) Ehm… e quella, mia moglie,

                 trova tutto. Aroppo l’aggia scummà ‘e sango!

Rico:        (Gli tira di mano il falso testamento) Va bene, grazie, arrivederci.

Dorotea: Scusate, ma adesso quando lo leggete?

Rico:        Quando lo zio non ci sarà più. Perché, qualcosa?

Orlando: No, no, quella non sta dicendo niente. Adesso me la porto via perché… ha da

                 abbuscà! Vi raccomando, non perdete quel testamento. Capito? Arrivederci.

                 Saluta, a te.

Dorotea: Arrivederci! E non perdete quel testament…

Orlando: Ce ll’aggio ditto già io. Jammuncenne, diece ‘e scema!

                 La spinge via al centro, fuori casa. Rico li osserva, perplesso. Si siede al tavolo.

7. [Rico, Isotta e Fortunato. Poi Brunella e Umberto]

                Rico è seduto al tavolo. Osserva il falso testamento datogli da Orlando.

Rico:       Eppure ero sicuro di averlo già messo in borsa. Però comm’è strano, ‘stu

                testamento. Si vede che lo avrò cambiato. Ma pecché songo accussì ‘nzallanuto?

                Ripone in borsa il testamento. Intanto da destra torna Isotta.

Isotta:     (Infastidita) I nipoti del signor Carmine sono proprio degli avvoltoi: con la scusa

                che vengono a trovarlo, ne aspettano la morte. Non mi stupirei se qui in casa si

                presentasse pure il notaio. (Si volta e lo nota fare le sue cose) Lupus in fabula!

                Ecco l’occasione per fargli avere il mio testamento. Ora me lo cucino un po’!

                Si avvia verso sinistra e lascia cadere la propria borsa in terra.

                Oh, che sbadata!

                Poi aspetta che Rico gliela prenda e gliela porga, ma lui non fa nulla e i due si

                    guardano. Infine, Isotta ne richiama l’attenzione.

                    Beh? Non mi prende la borsa? Mi è caduta!

Rico:           Mmh? E pigliatavella! Vuje che vulite ‘a me? (E chiude la propria valigetta)

Isotta:         (Comm’è scustumato, ‘stu nutaro! Adesso lo aggiusto io!). (Gli si avvicina) Ma

                    lei è proprio il notaio Caciottaro?

Rico:           No, Rico Ottaro!

Isotta:         Che bello! Ma lo sa che sono emozionata?!

Rico:           (Si lascia prendere dalle sue maniere) Veramente? E perché? Che ho fatto, io?

Isotta:         Voi notai avete il fascino della valigetta e della penna. (Si siede al tavolo e gli

                    parla, patetica) Io sono la dottoressa Isotta Alletto.

Rico:           Sotto ‘o lietto?

Isotta:         Isotta Alletto. E poi sono una donna sola.

Rico:           Non è sposata?

Isotta:         Lo sono stata, però ho divorziato circa tre giorni fa. Ma lei lo sa che me lo

                    sposerei proprio, un notaio?

                    Rico, imbarazzato, si alza in piedi e gironzola per la strada, senza guardarla.

                    Lei intanto approfitta della sua distrazione, apre la valigetta e vi pone dentro il

                    suo testamento finto. Poi chiude la valigetta e resta in attesa. Ignaro, lui parla.

Rico:           Vede, dottoressa, io mi vorrei pure fidanzare e sposare. Però ci sta un solo

                    problema: mamma non vuole!

Isotta:         (Si alza in piedi, fredda) E allora non se ne fa nulla. Addio!   

Rico:           (Accorre subito da lei e le prende la mano) Aspettate, dottoressa.

Isotta:         Mi dispiace, ma se mamma non vuole, non se ne fa niente. 

Rico:           (Rassegnato) E già, mamma non vuole proprio.Se vede una donna con me, è

                    capace di tutto.  

Isotta:         Come non detto. Addio per sempre!

                    Isotta esce via celermente, mentre Rico si siede affranto al tavolo. Da destra

                    torna don Fortunato. Si guarda il falso testamento.

Fortunato: (Parla tra sé e sé) Il mio testamento è pronto. Pene, pene! (Nota Rico               

                    pensieroso e se ne compiace) Anzi, penissimo! (Nasconde il falso testamento e

                    si avvicina a lui) Ehm… mi posso setere vicino a voi?

Rico:           E mica le sedie sono mie?!

Fortunato: Vappuò. (Perplesso per la risposta acida di Rico, si siede) E allora? Che si tice

                    ti pello? Avete fatto quel viaccio in Arcentina?

Rico:           Per carità! In Argentina ci stanno le donne peccaminose e mamma non vuole!

Fortunato: Ho capito. A proposito, avete finito di fare i lavori nel vostro nuovo ufficio?

Rico:           Sì, già da un pezzo.

Fortunato: E allora vorrei proporvi una mia nipote come segretaria.

Rico:           Ma è femmina?

Fortunato: E se capisce, mia nipote ha da essere pe’ forza ‘na femmena!

Rico:           Per carità, mamma non vuole donne nel mio lavoro.

Fortunato: Sentite, ma ‘a mamma vosta ‘e terribile!

                    A questo punto, Rico parla e guarda verso l’alto per trovare l’ispirazione,

                    mentre Fortunato tira fuori il proprio falso testamento e tira a sé la valigetta di

                    Rico che intanto parla senza accorgersi di nulla.

Rico:           (Sospirando) Eh, non parliamo di mia madre, don Fortunà. Non mi lascia fare

                    nulla senza mettere parola. Io farei tutto di testa mia, ma ho troppa paura di lei.

                    Mi credete se ve lo dico? (E si volta verso di lui)

Fortunato: (Lascia la valigetta e fa finta di nulla) Sì, sì, vi creto, vi creto! Però voltatevi

                    dall’altra parte e continuate a raccontare.

Rico:           (Si alza in piedi e gironzola) E va bene.

Fortunato: Crazie! (E ricomincia la sua operazione, mentre Rico parla)

Rico:           Voi lo sapete che la dottoressa Isotta Alletto mi sta corteggiando? Me l’ha detto

                    poco fa. Ma appena le ho risposto che mammà non vuole… se n’è gghiuta!

Fortunato: (Ha terminato  e si alza in piedi soddisfatto) Ecco qua, ho finito!

Rico:          Don Fortunà, ma avete capito cos’ho detto?

Fortunato: No, potete ripetere?

Rico:          Ho detto che la dottoressa Isotta Alletto mi sta corteggiando? Me l’ha detto

                    poco fa. Ma appena le ho risposto che mammà non vuole… se n’è gghiuta!

Fortunato: (Sbrigativo) Ah, e ha fatto pene. (Si avvia all’uscita e poi si volta verso di lui)

                    Se mammà non vuole…!

                    Ed vesce via, lasciando perplesso Rico.

Rico:           Mah!

                    Torna a sedersi. Intanto da destra torna Brunella.

Brunella:    (Parla tra sé e sé) Il mio testamento è pronto. Bene, bene! (Nota Rico               

                    pensieroso e se ne compiace) Anzi, benissimo! (Nasconde il falso testamento e

                    si avvicina a lui) Ehm… mi posso assettare vicino a voi?

Rico:           E mica le sedie sono mie?!

Brunella:    Grazie. (Perplessa per la risposta acida di Rico, si siede) E allora? Che si dice

                    ti bello? Avete fatto quel viaggio in Argentina?

Rico:           Per carità! In Argentina ci stanno le donne peccaminose e mamma non vuole!

Brunella:    Ho capito. A proposito, avete finito di fare i lavori nel vostro nuovo ufficio?

Rico:           Sì, già da un pezzo.

Brunella:    E allora vorrei proporvi una mia nipote come segretaria.

Rico:           Ma è femmina?

Brunella:    E se capisce, mia nipote ha da essere pe’ forza ‘na femmena!

Rico:           Per carità, mamma non vuole donne nel mio lavoro.

Brunella:    Sentite, ma ‘a mamma vosta ‘e terribile!

                    Come prima, Rico parla e guarda verso l’alto, mentre Brunella tira fuori il

                     proprio falso testamento e tira a sé la valigetta di Rico che intanto parla…

Rico:           (Sospirando) Eh, non parliamo di mia madre, signora Brunella. Non mi lascia

                    fare nulla senza mettere parola. Io farei tutto di testa mia, ma ho troppa paura di

                    lei. Mi credete se ve lo dico? (E si volta verso di lei)

Brunella:    (Lascia la valigetta e fa finta di nulla) Sì, sì, vi credo, vi credo! Però voltatevi

                    dall’altra parte e continuate a raccontare.

Rico:           (Si alza in piedi e gironzola) E va bene.

Brunella:    Grazie! (E ricomincia la sua operazione, mentre Rico parla)

Rico:           Voi lo sapete che la dottoressa Isotta Alletto mi sta corteggiando? Me l’ha detto

                    poco fa. Ma appena le ho risposto che mammà non vuole… se n’è gghiuta!

Brunella:    (Ha terminato  e si alza in piedi soddisfatto) Ecco qua, ho finito!

Rico:           Signora Brunella, ma avete capito cos’ho detto?

Brunella:    No, potete ripetere?

Rico:           Ho detto che la dottoressa Isotta Alletto mi sta corteggiando? Me l’ha detto

                    Poco fa. Ma appena le ho risposto che mammà non vuole… se n’è gghiuta!

Brunella: (Sbrigativa) Ah, e ha fatto bene. (Si avvia all’uscita e poi si volta verso di lui) Se

                  mammà non vuole…!

                 Esce via di casa.

Rico:         Mah!

                 Torna a sedersi. Intanto da destra torna Umberto.

Umberto: (Parla tra sé e sé) Il mio testamento è pronto. Bene, bene! (Nota Rico pensieroso  

                  e se ne compiace) Anzi, benissimo! (Nasconde il falso testamento e si avvicina

                  a lui) Ehm… mi posso assettare vicino a voi?

Rico:         E mica le sedie sono mie?!

Umberto: Grazie. (Perplesso per la risposta acida di Rico, si siede) E allora? Che si dice di

                  bello? Avete fatto quel viaggio in Argentina?

Rico:         Per carità! In Argentina ci stanno le donne peccaminose e mamma non vuole!

Umberto: Ho capito. A proposito, avete finito di fare i lavori nel vostro nuovo ufficio?

Rico:         Sì, già da un pezzo.

Umberto: E allora vorrei proporvi una mia nipote come segretaria.

Rico:         Ma è femmina?

Umberto: E se capisce, mia nipote ha da essere pe’ forza ‘na femmena!

Rico:         Per carità, mamma non vuole donne nel mio lavoro.

Umberto: Sentite, ma ‘a mamma vosta ‘e terribile!

                  Come prima, Rico parla e guarda verso l’alto, mentre Umberto tira fuori il

                   proprio falso testamento e tira a sé la valigetta di Rico che intanto parla…

Rico:         (Sospirando) Eh, non parliamo di mia madre, signora Umberto. Non mi lascia

                  fare nulla senza mettere parola. Io farei tutto di testa mia, ma ho troppa paura di

                  lei. Mi credete se ve lo dico? (E si volta verso di lei)

Umberto: (Lascia la valigetta e fa finta di nulla) Sì, sì, vi credo, vi credo! Però voltatevi

                  dall’altra parte e continuate a raccontare.

Rico:        (Si alza in piedi e gironzola) E va bene.

Umberto: Grazie! (E ricomincia la sua operazione, mentre Rico parla)

Rico:         Voi lo sapete che la dottoressa Isotta Alletto mi sta corteggiando? Me l’ha detto

                  poco fa. Ma appena le ho risposto che mammà non vuole… se n’è gghiuta!

Umberto: (Ha terminato  e si alza in piedi soddisfatto) Ecco qua, ho finito!

Rico:         Signor Umberto, ma avete capito cos’ho detto?

Umberto: No, potete ripetere?

Rico:         Ho detto che la dottoressa Isotta Alletto mi sta corteggiando? Me l’ha detto

                  poco fa. Ma appena le ho risposto che mammà non vuole… se n’è gghiuta!

Umberto: (Sbrigativa) Ah, e ha fatto bene. (Si avvia all’uscita e poi si volta verso di lui) Se

                  mammà non vuole…!

                 Ed vesce via, lasciando perplesso Rico.

Rico:        Mah! (Torna a sedersi)

8. [Bacco e Rico. Infine Carmine]

                  Da sinistra torna Bacco, scolandosi una bottiglia di vino.

Bacco:      ‘O vino ‘e Gragnano è ‘n’ata cosa. E’ squisito. (Nota Rico, seduto e pensieroso)

                  Uh, ‘o nutaro sta ancora ccà. Mò te voglio quanno va a leggere ‘o testamento! I

                  soldi e la casa del signor Carmine saranno miei. Allora aggia brindà.

                  Da destra torna Carmine, camminando a stento, sofferente.

Carmine: Mamma mia… mamma mia, me sento male! Aiutàteme.

Rico:        (Si alza in piedi, allarmato) Oh, mamma mia, ‘o signor Carmine se sente male!

Bacco:      Ma è normale, chillo ha da murì!

Rico:        Ma stattu zitto. Andiamo ad aiutarlo subito

                 Rico accorre da Carmine e gli si mette sottobraccio.

Bacco:      Vengo, vengo. (E gli si avvicina lentamente)

Rico:       (Ironico) E nun correre. T’avìssa fa’ male? E forza, mettiti sottobraccio.

Bacco:     Subito! (Ma si mette sottobraccio a Bacco)

Rico:        Ma no sottobraccio a me! A chisto!

Bacco:     Ah, subito, subito. (Esegue correttamente, dalla parte opposta)

Rico:        Presto, portiamolo a sedere al tavolo.

                 I due lo accompagnano al tavolo e lo fanno sedere. 

                 Su, forza, Bacco, dobbiamo dargli qualcosa per farlo rimettere in sesto.

Bacco:      Signor Carmine, vulìte ‘nu poco ‘e vino?

Carmine: Ma ch’aggia fa’ cu’ ‘stu vino? Va’ a chiammà ‘n’ambulanza!

Bacco:     (Gridando ad alta voce) Ambulanza, ambulanza!

Rico:        Cretino, vai a telefonare!

Bacco:      A chi aggia chiammà?

Carmine: (Arrabbiato) All’ambulanza!

Bacco:      Subito, subito! (Poi si sente male) Marò, nun me sento buono! Aiutàteme.

Rico:        Oh, mamma mia! (Accorre subito a mettersi sottobraccio a lui) Bacco, siediti.

Bacco:      Grazie, grazie, siete gentile. (Ma si siede a terra) Puzzate ittà ‘o sango!

Carmine: (Sofferente) Ah, mamma mia!

Bacco:      (Sofferente) Ah, mamma mia!

Rico:        (Osserva una volta l’uno e una volta l’altro, soffrire, poi…) E mò comme faccio?

Carmine: (Sofferente) Chiamate alla dottoressa Isotta Alletto.

Rico:        Ma la dottoressa è donna e mamma non vuole!

Carmine: E allora chiammate all’ambulanza.

Rico:        Ma l’ambulanza tiene il nome femminile e mamma non vuole!

Car.-Bac: E gghiamme!

Rico:        Sì, sì, prendo subito il telefono. Ma addò sta?

Carmine: ‘Int’’a cucina.

Rico:        Vado subito.

                 Esce via a sinistra di corsa. Così i due,pian piano, smettono di soffrire.

Carmine: Bacco!

Bacco:      Che vvulìte?

Carmine: Il notaio ha lasciato la valigetta sul tavolo. Va’, miettece ‘o testamento mio dinto!

                  (Con sofferenza) Tutti i soldi… saranno intestati a me.

                  Bacco, sorpreso, lo osserva mentre Carmine pian piano si affievolisce.

FINE ATTO PRIMO

Salone di casa di Carmine Incacchiato: è il giorno dopo.

ATTO SECONDO

1. [Carmine e Rico. Poi don Fortunato]

                  Da destra, entrano Carmine (stavolta senza vestaglia, ma in giacca, camicia,

                  pantalone classico nero e scarpe classiche) e Rico (con valigetta).

Rico:         (Sconvolto)Non ci posso credere.Sono senza parole.(Si siede al tavolo) E’

                  morto Bacco. (Poi si volta verso Carmine, in piedi) E com’è morto?

Carmine: ‘O vino è bello e caro, ma quanno uno esagera, è carogna.

Rico:         Scusate la domanda, signor Carmine: ma perché il suo corpo sta sul letto?

Carmine: Perché in ospedale non lo hanno voluto. E me l’hanno rimandato indietro. Così

                  ho avvisato un’impresa funebre, ma io non caccio un soldo.

Rico:        E allora?

Carmine: E allora, per le spese, i familiari di Bacco se la vedranno loro e l’impresa

                  funebre. Io che ce pozzo fa’? Per quanto mi riguarda, è uno in meno che

                  ambisce alla mia eredità.

Rico:         In che senso?  

Carmine: Signor notaio, ma voi veramente siete più stonato di me? Tutta questa gente che

                  mi sta intorno e veglia per me, non lo fa per affetto nei miei confronti.

Rico:        Beh, io l’avevo capito.Ma tanto, è tutto scritto.     

Carmine: Appunto! Il testamento l’ho intestato al sottoscritto. Ma prima di andarmene

                  all’altro mondo, voglio capire fino a dove può arrivare l’egoismo dei miei

                  familiari. E non solo di loro. Anche di coloro che mi stanno intorno.

Rico:        Un momento, ma il testamento si legge solo dopo la morte dell’intestatario. 

Carmine: E chi vi dice che quello sul mio letto non sia io?

Rico:         Aspettate un momento, ma allora… allora capisco perché avete vestito Bacco

                  coi vostri vestiti e gli avete posto un panno bianco sul volto. In questo modo, gli

                  altri penseranno che siete voi… e voi li osserverete.

Carmine: E voi leggerete il testamento alla loro presenza, senza svelare la verità a nessuno.

Rico:        Ma voi lo sapete che questo è illegale? 

Carmine: Voi direte di non sapere nulla. E rimarrete in questa casa a ricevere la gente,

                 come per aspettare la loro presenza per leggere il testamento. Se farete così, vi

                 darò una ricompensa.

Rico:        Signor Carmine, io farò come dite voi. Ma mi spiegate qual è il significato di

                 tutta questa messinscena?

Carmine: Io sono uno scrittore di grande insuccesso. Ebbene sì, i miei libri hanno sempre

                 fatto schifo. Se sono ricco, è grazie a tutto quello che mi hanno lasciato i miei

                 genitori. Ma prima di morire veramente, devo scrivere il mio libro più grande:

                 “Avidità in famiglia”.

                 Suonano alla porta.

                 Ah, signor notaio, ci siamo. Io mi vado a nascondere e vi ascolto. Buon lavoro.

Rico:        Grazie.

                 Carmine esce via a sinistra, fregandosi le mani. Rico fa considerazioni da solo.

                 Ma ‘int’a qualu guajo me stongo caccianno, mò? (Si alza in piedi) Mannaggia!

                    Esce via al centro e torna seguito da don Fortunato che ha indossato i  

                    paramenti sacri ed è pronto per l’estrema unzione.

Fortunato: Signore, portatelo in Paratiso insieme ai tuoi anceli…! Signor notaio, levateve

                    ‘a nanzo, facìteme passà.

Rico:           Scusate, don Fortunato, ma che state facendo?

Fortunato: L’estrema unzione al moriponto!

Rico:           Ma quale moribondo? Il moribondo è già morto. Non potete ungerlo più.

Fortunato: Che cosa? E non mi ha aspettato?  

Rico:           (Ironico) E sì, mò se metteva a ffa’ ‘o sulitario in attesa che veniveve vuje! 

Fortunato: Ho capito tutto. Allora il tato è tratto!

Rico:           Comme?

Fortunato: Il tato è tratto. Cià è successo tutto. Per cui, avete racione voi: l’estrema

                    unzione si fa prima. Non si può fare topo.

Rico:           Scusate, che c’entra il topo?

Fortunato: No, topo non è il topo, ma è quello che viene supito topo prima. Avete capito?

                    Prima viene prima e poi viene topo.

Rico:           Nun aggio capito, ma ‘stu topo addò ha da venì?  

Fortunato: Ma no, si tratta di un topo temporale. Avverpio ti tempo.

Rico:           Ah, allora dopo.

Fortunato: Esatto. Io l’ho sempre tetto: il signor Carmine è un uomo tepole. E infatti, prima

                    tel mio arrivo, lui se n’è antato. Sapete che faccio? Mi reco ta lui e gli recito le

                    prechiere per il post mortem.

Rico:           Fate pure. 

Fortunato: Voi intanto aspettatemi… per la lettura tel testamento. Con permesso.

                    Esce via a destra, farfugliando frasi di preghiera incomprensibili.

                    Gn gn gn gn…

                    Rico lo osserva senza dir nulla. Poi va a sedersi al tavolo e riflette. Poi decide.

Rico:           Ora sai che faccio? Lascio la porta d’ingresso aperta, così può entrare

                    liberamente chiunque vuol venire a rendere omaggio alla salma di Bacco…

                    anzi, no, del signor Carmine…. Insomma, di quello che sta sul letto!

                    Va al centro e poi torna (dopo aver aperto la porta).

                    E adesso mi preparo alla lettura del testamento.‘E che manicomio!

                    Prende la valigetta ed esce a destra.

2. [Isotta e Ninfa Vitale. Infine Carmine]

                    Dalla comune entrano Isotta e l’infermiera (con camice sul braccio) Ninfa  

                    Vitale. Isotta si guarda intorno.

Isotta:         Ma qua non c’è nessuno?

Ninfa:         Hanno lasciato il moribondo da solo? (Impressionata) Senti, perché non

                    andiamo via pure noi? Che ne dici?

Isotta:         Ma tranquillizzati.Allora, hai capito tutto, Ninfa?

Ninfa:         Sì, sì, perfettamente: devo fare l’infermiera di un moribondo.  

Isotta:         Brava. E non ti preoccupare, perché lui paga bene. E appena otterrò la sua

                    eredità, sarò pure io a ricompensarti.

Ninfa:         Eh?

Isotta:         No, niente, mi capisco io.Tu fai solo tuo dovere e non ti preoccupare.

Ninfa:       Isotta, ma io non so fare l’infermiera.Io sono una estetista.

Isotta:       Non se ne accorgerà nessuno. Tu sii te stessa.

Ninfa:       Devo essere me stessa? 

Isotta:       Sì. Che ti costa?Tanto, sono le ultime ore di vita del signor Carmine  

                  Incacchiato.Dopodiché, potrai tornare alla tua vita di tutti i giorni.

Ninfa:       E va bene.

Isotta:       Ah, ecco una delle cose che devi sempre fare: vai ad aprire la porta. 

Ninfa:       Io?

Isotta:       E chi, allora?

Ninfa:       Ma se adesso sta aperta!   

Isotta:       E che vuol dire?Prima o poi la chiuderanno!Prima ci pensava il suo cameriere

                  Bacco Barbera, che però è morto alcolizzato.

Ninfa:       Poveretto!

Isotta:       Che poveretto? Un concorrente in meno all’eredità. Su, forza, vieni con me che

                  ti voglio presentare il signor Carmine. Non farci caso se è antipatico. Tu   

                  abbozza, sorridi e dici sempre di sì!       

Ninfa:       E va bene.

Isotta:       Ah, a proposito, non parlare mai di soldi. Il signor Carmine l’odia terribilmente.

Ninfa:       Odia i soldi?

Isotta:       No, odia le persone che parlano di soldi. Solo lui ne deve parlare.

Ninfa:       E va bene.

Isotta:       Ah, a proposito, sii sempre compiacente. Il signor Carmine adora le donne.

Ninfa:       Scusami la domanda spontanea, Isotta: ma l’eredità di questo Carmine

                  Incacchiato è veramente così vasta?

Isotta:       Quanta ne vuoi!

Ninfa:       Uh, e allora lo voglio conoscere subito. Andiamo. Per dove si va?

Isotta:       (Indica a destra) Di là!

                  Le due escono a destra. Da sinistra torna Carmine, con lo sguardo perverso. 

Carmine: He’ capito niente? Nun ce abbastava sulo ‘a famiglia: quei tre nipoti sciacalli che

                  si vogliono mangiare la mia eredità. Ce sta pure ‘a dottoressa Isotta Alletto. E

                  s’ha purtato pure l’infermiera. (Sdegnato) Che mondo infame! La gente è capace

                  di vendersi un proprio simile prima che muore, pur di accaparrarsi i soldi. E’

                  meglio che mi nascondo. Voglio sentire la lettura del mio testamento. (Sdegnato)

                  Che schifo! (Si volta a sinistra e si avvia ripetendo) Che schifo, che schifo…!

                  Ed esce via.

3. [Umberto, Orlando, Dorotea e Brunella]

                  Dal centro entrano Orlando e Dorotea.

Orlando:  ‘A po-po… ‘a po-po… ‘a po-porta steva aperta!

Dorotea:   E se vede che chillu ‘nzallanuto ‘e Bacco l’avrà lassata aperta.

Orlando:  Cre-cretina! Ma t’he’ scurdato che Ba-Ba… Ba-Ba… Ba-Bacco è muorto?

Dorotea:   Ah, già. E allora sarrà stato ‘o spirito suojo.

Orlando:  (La guarda male) Do-Doroté, me dispiace, ma è arrivata ll’ora che he’ abbuscà.

Dorotea:   Oh, no!

Orlando:  E inve… e inve… e invece sì. Andiamo nella solita stanza.

Dorotea:   E vabbuò, ammore mio: picchiami però non mi fare male!

Orlando:   And-andiamo!

Dorotea:   (Sospirando) Sì, subito.

                  Escono via a sinistra. Dal centro entrano Umberto e Brunella. Lei piange.

Brunella: (Piangente) Buuu… buuu…!

Umberto: Ecco, brava, così stai piangendo bene. Mettici ancora un poco di lamento.

Brunella: (Piangente, sembra quasi stia imitando un fantasma) Buuu… buuu…!

Umberto: No, accussì me pare che tiene ‘o malo ‘e stommeche. Devi essere più addolorata.

                 Anzi, se vuoi, aiutati anche con l’uso delle braccia e della mani.

Brunella: (Piangente, ondeggia le braccia) Buuu… buuu…!

Umberto: Ma che ffaje? Me pare che staje facenno ‘na nuotata ‘nmiezo ‘o mare!

Brunella: (Seccata, smette di piangere) Umbé, ma tu che vaje truvanno ‘a me?

Umberto: Non sai piangere.

Brunella: E con ciò?

Umberto: Quanno more ‘o zio, amma sapé chiagnere tutte quante. Pure tu.

Brunella: Ma ‘o zio ancora nun è muorto. Per ora è morto solo chillu ‘mbriacone ‘e Bacco.

Umberto: E non c’entra. Dobbiamo piangere bene già adesso. Se no il nostro dolore non è

                  credibile. Vuoi vedere come si piange? Ti faccio vedere io. Siediti sul divanetto.

                  I due si siedono. Così Umberto tiene la sua lezione.

                 Guarda, Brunella, guarda la mia faccia. Incomincia a sforzarti.

Brunella: (Prepara il viso per il piano) Accussì?

Umberto: Quanto si’ brutta! Però adesso hai capito. Forza, continuiamo.

                 I due continuano nei loro esercizi, mentre da sinistra tornano Orlando e Dorotea

                 (dolorante al viso e al sedere), piangente.

Orlando: E-ecco qua. Accussì te ‘mpare.

Umberto: Guarda, Brunella, ci stanno Orlando e Dorotea. (Nota Dorotea piangere)

Dorotea:  (Piangente) Nsss… Nsss! (E si siede al tavolo)

Umberto: Ecco, osserva Dorotea come piange bene!

Brunella: E se capisce, chella avrà abbuscato d’’o marito!

                  Così anche Umberto e Brunella si uniscono al pianto di Dorotea. In piedi, c’è

                  Orlando che li osserva, contrariato.

Umberto: (Si dispera) Comm’è stato, comm’è stato?!

Dorotea:   (Si dispera) Nun ce pozzo pensà, nun ce pozzo pensà!

Brunella:  (Si dispera) Che cosa brutta, che cosa brutta!

Orlando:  (Si spazientisce e richiama gli altri)Inso-insomma basta!Fernitele ‘e chia-

                  chiagnere. Vo-voi dovete piangere solo se muo-muore zio Carmine.

Umberto: (Piangente)E io è pe’ chesto che stongo chiagnenno: invece ‘e murì ‘o zio, è

                  muorto Bacco!

Dorotea:   (Piangente) Chillu puveriello teneva ancora ‘a butteglia ‘e vino ‘nmana!

Brunella:  (Piangente) Effettivamente, era antipatico, però sempe ‘n’essere umano era!

Orlando:  (Stufo) Uhé, e mò-mò basta! E’ inutile che chia-chiagnite. Tanto, Ba-Bacco nun

                  ha fatto nisciunu testamento!

I tre:         (Smettono di colpo di piangere) Ah, e allora vabbuò!

Orlando:  Ecco, me-menu male! E a-adesso andiamo tu-tutti dallo zio.

Dorotea:   Orlà, ma aggia venì pur’io?

Orlando:  E si-si capisce. Fo-forza!

                  Gli altri si alzano in piedi e si guardano con fare sospettoso.

Umberto: Dopo la morte dello zio, avverrà la lettura del testamento. Voi cosa vi aspettate?

Brunella:     (Infida) Io penso che lo zio tiene solo noi come eredi. Perciò, i giochi sono

                     belli e fatti.

Dorotea:      (Infida) Lo penso pure io.

Brunella:    (Infida) Tu che ce azzicche?

Dorotea:     (Infida) Sono la moglie di un futuro erede.

Brunella:    (Infida) E ffa’ parlà a isso.

Orlando:     (Infido) Io so-sono d’accordo con mia moglie.

                     Poi i tre osservano Umberto e lo interrogano.

I tre:            E tu?

Umberto:    (Infido) E pure io la penso come voi. (Falso) Vi voglio tanto bene. (Falsissimo)

                     E voglio tanto bene allo zio. (Troppo falso) Ho voglia di andare a salutarlo.

                     Venite con me, andiamo da lui, cari fratelli e cara cognata.

                     I tre escono a destra.

4. [Carmine. Poi Fortunato, Orlando, Brunella, Dorotea ed Umberto. Infine Rico e Isotta]

                    Da sinistra torna Carmine. Commenta ciò che ha ascoltato dai suoi nipoti.

Carmine:   (Sdegnato) Che falsità, che falsità! Ma io li ripago con la loro moneta. Appena

                    vedranno Bacco sul mio letto, col lenzuolo sul volto, penseranno che sono io. E

                    lloco me voglio fa’ ‘e rresate! Io lo ammetto, sono un uomo avaro e forse non

                    andrò in Paradiso. Ma certa gente andrà all’inferno davanti a me! E ppo’ vide!

                    Esce via al centro e si mette a spiare, aspettando l’uscita degli altri. Da destra

                    esce don Fortunato che parla sommessamente. Precede Orlando, Brunella,

                    Dorotea ed Umberto, esultanti (silenziosamente).

Fortunato: Cari fratelli, vostro zio se n’èantato!

                    Si volta verso di loro e questi ultimi smettono di esultare e fingono di piangere.

I quattro:   Buuuu… buuu…!

Fortunato: Vi capisco, cari fratelli. Sfocatevi! Atesso vi voglio tire qualcosa su vostro zio.

                    Preco, accomotatevi!

                    I quattro si siedono al tavolo e lo ascoltano.

                    Topo la morte di Pacco, atesso è toccato al signor Carmine. Che testino!

Brunella:    L’intestino?

Fortunato: No, il testino, il testino! Io vi voglio tire che vostro zio era un uomo in campa!

Umberto:   Ma si chillo è muorto!

Fortunato: E con ciò?

Umberto:   Comme campa?

Fortunato: No, in campa, in campa. Cioè, era un uomo eccezionale. Però era come un

                    uccellino in cappia!

Brunella:   In gabbia.

Fortunato: In cappia! Voi non lo tovete vetere come una callina talle uova t’oro!

Dorotea:    Una callina? Ch’animale è ‘a callina?

Fortunato: Chella che ffa coccoté!

Orlando:    Ah, ‘a ga-gallina! E vvuje di-dice ‘a ca-callina!

Brunella:   Don Fortunà, ma voi non dovete pensare che noi stavamo aspettando la morte di

                    nostro zio. Chi dice queste cose, è un impostore.

Orlando:    Un ca-ca… un ca-ca… un ca-ca…

Fortunato: Stamme a sentì a mme, qualunque cosa vuoi tire, è meglio che non la tici!

Umberto:    Don Fortunà, voi non dovete pensare male di noi. (Si alza in piedi, solenne) Io

                     vi dico questo: se noi in questo momento stiamo fingendo, dobbiamo fare una

                     brutta fine. (Ha un mancamento e si siede) Oddio, me sento male!

                     Gli altri tre lo soccorrono.

Dorotea:      Uh, Marò, che te siente?

Brunella:     Te siente buono?

Orlando:      U-Umbé, nun murì. Ma-ma si proprio vuo’ mu-murì, nun te prioccupà!

Umberto:     (Si rialza e li sposta tutti) Ma levàteve ‘a nanzo! Sto bene, sto bene. E’ solo un

                      poco di pressione bassa. Assettateva ‘n’ata vota!

                      Gli altri tre tornano ai rispettivi posti. Umberto prosegue.

                      Don Fortunato, come vi dicevo, io e i miei fratelli siamo veramente addolorati.

                      Non ci interessano i soldi di nostro zio. E specialmente a me. Però, quando

                      riceverò i soldi dell’eredità, mi ritirerò a vita privata. (Si siede) Finito!

Orlando:      (Si alza in piedi) E vo-voglio dire una co-cosa pure io. Du-dunque…

Gli altri tre: Vabbuò, basta accussì, basta ccussì!

Orlando:      E va-vabbuò. (Si risiede)

Fortunato:   E signora Prunella, voi non volete tire niente?

Brunella:     (Si alza in piedi) Sì, io voglio dire una cosa.

Fortunato:   E cioè?

Brunella:     Non ho parole…

Gli altri tre: E allora assiettete!

                      Brunella non dice altro e si siede. Poi si alza in piedi Dorotea.

Dorotea:       Scusate, posso dire pure io una cosa?

Fortunato:   No, signora Torotea, no. Voi non ne avete il tiritto. Siete una estranea. (Si

                      siede al divanetto) E atesso aspettiamo il notaio. Sentiamo cosa tice.

                      Lui si distrae e i quattro si fregano le mani. Da destra entrano Isotta e Rico.

Isotta:           E chi se lo aspettava. Eppure non stava così male.   

Rico:             (Fasullo)Dev’essere stata una cosa improvvisa.

Isotta:           Però non capisco perché egli porti un lenzuolo sul viso.

Rico:             (Fasullo) E’ stata la sua ultima volontà. Non vuole farsi vedere dai suoi cari in

                      quel modo. La sofferenza è già troppa.

Isotta:           (Interessata) Dunque, tra poco dobbiamo passare alla lettura del testamento?

Rico:             (Fasullo) Ma certamente. Al di là di chi saranno gli eredi, c’è già una cosa nel

                      testamento che riguarda il sottoscritto.

Isotta:           E cioè? 

Rico:             (Dalla tasca tira fuori un foglio) La mia parcella.

Isotta:           E allora spero che ci sia anche il mio onorario.  

Rico:             (Fasullo) Accomodiamoci e lo sapremo. (Agli altri) Signori, è giunta l’ora di

                      passare alla lettura del testamento.

                      Gli altri cominciano ad andare nella tensione.

 

5. [Rico, Umberto, Orlando, Dorotea, Isotta, Brunella e Fortunato]

                      Mentre gli altri stanno in trepidante attesa, Rico prende una sedia al muro per

                      Isotta e gliela porge per farla accomodare.

Isotta:          Grazie.

                     Rico prende una sedia per sé e siede a centro stanza. Alla fine, tutti son seduti.

Rico:           (Aprendo la sua valigetta per cercare il testamento) Dunque, signori, voglio

                    farvi prima un discorso introduttivo.

Umberto:   (Trepidante) Scusate, signor notaio, questo discorso introduttivo, non lo potete

                    fare dopo la lettura del testamento?

Rico:           No, devo farlo subito. E’ la volontà di vostro zio. (Si concentra) Dunque, il

                    signor Carmine Incacchiato ha vissuto sempre da solo. Nella sua vita, si è

                    sposato tre volte, e tre volte è rimasto vedovo. Dai suoi tre matrimoni non ha

                    mai avuto un figlio. L’unica persona che gli è sempre stata vicina, era il suo

                    fidato cameriere Bacco Barbera, ahimé, anch’egli morto.

Fortunato: A proposito, ma si sono svolti i suoi funerali? Io non sono stato capace ancora ti

                    veterli. Non li ho celeprati io.

Orlando:    Va-vabbuò, ma-ma che ce ne ‘mporta? Ja-jate anannzo, si-signor notà!

Rico:           Come vi dicevo, ho avuto modo di studiare il rapporto tra il signor Carmine e

                    Bacco. La loro relazione.

Dorotea:     Uh, he’ capito, Brunella?

Brunella:    No! 

Dorotea:     ‘O zio Carmine e Bacco tenévene ‘na relazione!

Brunella:    (Inorridita) Uh, chi schifo?!

Rico:           (Le richiama) Signore, signore, ma cosa dite? Ma che sconcezze sono queste?

                    Se si trovasse la mia mamma qui, mi porterebbe subito via da questo posto!

Fortunato: ‘E ch’avutamiento ‘e stommeche!

Rico:           Dunque, torniamo a noi. Passiamo alla lettura del testamento.

                    Tutti tendono orecchio e si tengono pronti. Rico tira fuori il testamento e legge.

                    “Oggi, addì… eccetera eccetera, dell’anno eccetera eccetera… io sottoscritto

                    notaio Rico Ottaro, mi accingo a leggere il testamento del signor Carmine

                    Incacchiato: io sottoscritto Carmine Incacchiato, eccetera, eccetera, eccetera…

                    eccetera, eccetera, eccetera… eccetera, eccetera, eccetera”! Fine! Avete capito?

Gli altri:     (Protestano) Nooo…. Nooo.!

Rico:           Va bene, adesso ripeto. (Legge) “Provvedo al pagamento delle spettanze del

                    notaio Rico Ottaro e della dottoressa Isotta Alletto…”.

Isotta:         (Felice) Uh, che bello, pure a me è stata pagata la parcella.

Orlando:    (Ad Umberto) Ci-cioè?

Umberto:   (Dubbioso se ha capito bene oppure meno) ‘O zio, ‘int’’o testamento, ha ditto

                    ch’’a dottoressa è ‘na porcella!

Isotta:         Ma come vi permettete? Quale porcella? Vostro zio mi ha pagato la parcella,

                    cioè l’onorario.

Umberto:   No, mia cara, ‘o zio nun tene orario! E’ taccagno a tutte le ore!

Isotta:         Va bene, andate avanti, signor notaio. Che gentaglia!

Rico:          (Legge) “…Non avendo eredi universali, lascio tutti i miei averi, consistenti

                    nella casa in cui abito, una villa a Capri, due auto sportive e 5 milioni di Euro

                    tutti ad unica persona…

                    Carmine, nascosto, ascolta con interesse. Gli altri si fanno avanti tutti con le

                    sedie, verso di lui. Fortunato invece si alza dal divanetto e va dietro Rico. Lui li

                    guarda male.

                    Ma addò jate?

Gli altri:     Su, forza!

Rico:           E un momento, piano piano! Dunque… il vincitore assoluto è…

Umberto:   Ma che d’è, ‘nu reality show?

Rico:          Scusate, non ci fate caso, io a volte faccio il notaio pure in televisione. Volevo

                   dire: l’erede universale di tutti i beni del signor Carmine Incacchiato è…

Gli altri:    E’…?

Rico:          Il notaio Rico Ottaro!

                   Gli altri si guardano perplessi, mentre si sente Carmine gridare da chissà dove:

Carmine:   Traditore! ‘Nfamone!

Gli altri:    (Guardandosi intorno) Chi è?

Umberto:   (Impressionato) E’ ‘a vocia d’’o zio Carmine!

Brunella:   Forse ha gridato dall’aldilà il suo sdegno per l’esito della lettura del testamento.

Fortunato: Ma cosa tite? Non siate plasféma!

Orlando:   Scu-scusate, signor notaio, ma-ma siete sicuro che avete letto bene?

Rico:          E certamente.

Umberto:  Vogliamo vedere pure noi.

Rico:          E leggete.

                   Tutti gli altri gettano un’occhiata sul testamento. Alla fine, Orlando commenta.

Orlando:   Chi-chillu piegoro!

Dotorea:    Aggio chiagnuto p’e senza niente pur’io che nun le songo manco parente!

Brunella:   Ma tu staje sempe ‘nmiezo? Embé, mò t’’o ppozzo dicere: Doroté, tu me pare

                   prutusino ogni menesta! (Soddisfatta) Ah, me songo sfugata!

Rico:          Ma cosa dite?

Umberto:  Signor notaio, ma voi non lo capite, il napoletano? Mia sorella ha detto che mia

                   cognata sembra il “petrosino presente in ogni minestra”!

Rico:          Io capisco molto bene il napoletano. Sono di Napoli pure io. E quando dicevo

                   “cosa dite?”, non mi riferivo a quello che diceva la signora Brunella, ma a tutti

                   voi. (Ripone il testamento nella valigetta) Quel che dice un testamento, è legge.

                   E voi non potete opporvi. (Si alza in piedi) Ora, vogliate scusarmi, ho bisogno

                   della stanza da bagno. Sapreste indicarmela, cortesemente?

Umberto:   (Gentile, gli si mette sottobraccio) Vi ci porto io!

Orlando:    (Spinge via Umberto e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi-vi ci porto io!

Dorotea:     (Spinge via Orlando e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

Brunella:    (Spinge via Dorotea e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

Fortunato: (Spinge via Brunella e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

Umberto:   (Spinge via Fortunato e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

Orlando:    (Spinge via Umberto e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi-vi ci porto io!

Dorotea:     (Spinge via Orlando e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

Brunella:    (Spinge via Dorotea e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

Fortunato: (Spinge via Brunella e, gentile, si mette sottobraccio a Rico) Vi ci porto io!

                    E continuano così, fino a quando non escono via a sinistra con Rico.

Isotta:         (Ambiziosa) Aggia parlà ‘nu poco io e ‘o notaio! ‘A faccia d’’a mamma soja!

                    Esce pure lei a sinistra.

6. [Carmine e Ninfa. Poi Bacco]

                   Carmine esce dal centro, molto deluso.

Carmine:   ‘Sta massa ‘e fetiente! ‘Sti parassite d’’a società! ‘Sti ggente ‘e tre ssorde! (Si

                   siede sul divanetto, sconsolato) ‘Sti ‘nguacchiate! ‘Sti pieghere! ‘Sti sfasulate!

                  Resta a riflettere. Guarda nel vuoto. Da destra entra Ninfa. Non nota Carmine.

Ninfa:       Mah, io ho fatto del mio meglio, ma quel tizio lì dentro è morto. Speriamo che

                  sia morto prima del mio arrivo, altrimenti sono nei guai! (Nota Carmine) E chi è

                  quel tizio? Com’è entrato dalla porta? (Gli si avvicina) Scusate, signore.

Carmine: Sì?

Ninfa:       Volevo sapere: come siete entrato dalla porta?

Carmine: Ah, ehm… come sono entrato dalla porta? Ma perché, io sono entrato?

Ninfa:       E certamente. A meno che non stavate già in questa casa.

Carmine: Sì, effettivamente, io già stavo in questa casa.

Ninfa:       E chi siete? Qualche parente del morto?

Carmine: No, io sono… io sono… io sono qualcuno. E per essere qualcuno, devo avere

                  un’identità. Sì, io sono esattamente… il cameriere di casa!

Ninfa:       Ma quello è morto.

Carmine: Sì, ma io sono il cameriere nuovo. Mi chiamo Ermenegildo! Ma prego, sedetevi.

Ninfa:       (Gli si accomoda accanto) Grazie.

Carmine: E voi invece siete l’infermiera. Non è così?

Ninfa:       No, io sono… anzi, sì, avete ragione voi. Io sono proprio l’infermiera. Mi hanno

                  chiamata per assistere ad un moribondo. Invece mi sono ritrovata davanti ad un

                  defunto. Però, in compenso, gli ho dato una bella sistematica.

Carmine: Ho capito. Scusate la domanda, ma voi come ci siete capitata, qua dentro?

Ninfa:       In confidenza, mi ci ha portato la dottoressa Isotta Alletto. Ma io non ci volevo

                  venire. Non per niente, ma non mi sembrava il caso.

Carmine: Però scommetto che pure voi siete interessata all’eredità di quel poveretto lì

                  dentro. Dite la verità.

Ninfa:       No, non m’interessa.   

Carmine: Su, su, ammettetelo.

Ninfa:       Ma per carità. Io sono una brava ragazza.

Carmine: E già, giustamente state aspettando di prendervi l’eredità della vostra famiglia.

Ninfa:       Ma che eredità? Io sono orfana di padre e di madre. E non ho nemmeno fratelli.

                  Sono cresciuta in collegio, dove ho potuto studiare e diventare estetista.

Carmine: Ma non eravate infermiera?

Ninfa:       Ehm… sì, sono un’infermiera, però estetista! 

Carmine: (Compassionevole) E avete detto che non avete nessuno al mondo?

Ninfa:       No.Nessuno mi ha saputo dire niente della mia famiglia.Ma io sono una

                  persona molto dignitosa. Mi sono costruita da sola.

Carmine: (Commosso) Brava, brava. Come mi piacerebbe avervi come figlia! Mi pare di

                  aver capito pure che non vi interessano i soldi.

Ninfa:       Confermo!

Carmine: (Piangente) Allora per me sareste una figlia perfetta! Vi posso abbracciare?

Ninfa:       Ma…

Carmine: Fate conto come se fossi vostro padre.

Ninfa:       (Interdetta) E va bene. Abbracciatemi pure.

Carmine: Grazie!

                  I due si abbracciano. Non notato dai due, da destra entra (col lenzuolo sulla           

                  testa) Bacco: in abito scuro, barcollante e con le unghie dipinte di smalto rosso.

Bacco:      Ah, mamma mia! Ma ch’è succieso? Vedo tutto bianco davanti agli occhi!

Carmine: (Lo nota e si spaventa e si alza in piedi) Oddio!

Ninfa:      (Si volta, lo nota e si spaventa pure lei e si alza in piedi) Oh, mamma mia! Ma

                 questo è il signor Carmine. E’ diventato una mummia!

Carmine: Oh, ma quala mummia? Comem te permiette?

Bacco:      Néh, ma che sta succedenno, ccà ddinto? (Alza le mani come per orientarsi) Chi

                 cacchio ce sta?

Ninfa:      Oh, no, io ho paura!

                 E corre via di casa.

Carmine: Aspiette, nun me lassà a me sulo!

                 Esce pure lui via di casa, ma a passo più lento. Bacco toglie il lenzuolo dal viso.

Bacco:     Ah, mò aggio capito pecché vedevo tutto cose bianco: tenevo ‘stu lenzulo

                 ‘nfaccia! (Si guarda addosso) Ma chi me l’ha miso ‘stu vestito ‘ncuollo? Ma

                 soprattutto, a chi appartiene? (Si guarda le unghie smaltate di rosso) E chi me

                 l’ha miso ‘o smalto russo ‘ncoppa all’ogne? Ma ‘o signor Carmine nun ce sta?

                 Mò saje che faccio? Vaco ‘int’’o bagno ‘e servizio. ‘O vino m’ha miso ‘nu

                 stimolo ‘e fa’ ‘na pipì mai vista. E ppo’ cerco ‘e capì che sta succedenno, ccà

                 ddinto. Bagno mio, sto arrivando!

                 Esce via a destra, a passo spedito.

7. [Dorotea, Orlando e Rico. Poi Umberto]

                 Da sinistra tornano, Dorotea e Orlando, tenendo sottobraccio Rico (infastidito).

Orlando: Ve-venite, si-signor notaio, ve-venite!

Dorotea: (Cantando) “Venite adoremus, venite adoremus, venire adoremus Dominus”!

Orlando: Sta-stattu zitta, cretina!

Rico:       (Si libera dei due e si distanzia un po’ da loro) Insomma, lasciatemi in pace. Ma è

                cosa che uno va in bagno e nemmeno può stare tranquillo?  

Dorotea: Ma perché, che abbiamo fatto di male?

Rico:       Che avete fatto di male? Vuje m’ate acalato ‘o cazone e vostro marito s’è miso a

                 ffa’ vicino a me “psss psss psss”!

Orlando: E que-que… e que-que… e que-quello serviva per la stimolazione de-della pipì!

Rico:       Ma lasciatemi in pace. (Si mette sul tavolo a sistemare la propria valigetta)

Orlando: (Si porta in disparte Dorotea e si accorda con lei) Do-Doroté, scinne e e va-va’ a

                 piglià tre ca-ca… tre ca-ca… tre ca-ca…

Dorotea: Tre ca-ca?

Orlando: Tre ca-cartocci di sfogliatelle.

Dorotea: Sì, sì, vado subito.

                 Lei esce via di casa celermente, mentre Orlando trama qualcosa. Va da Rico.

Orlando: Ehm… ca-carissimo notaio, po-posso fare qualcosa pe-per voi?

Rico:        No, grazie. Non vi incomodate.

Orlando: No-no, ma per me è un pia-piacere. O-ormai siamo amici. A-anzi, siamoci del tu.

Rico:        Vabbé, non esageriamo, adesso.

Orlando: E non fa-fa niente, siamo amici los tesso. E’ be-bello essere vostro amico. E gia-

                 giacché siamo amici, di-ditemi una po’: come investirete i so-soldi dell’eredità?

Rico:        Beh, vi dirò: una piccola parte la terrò io e tutto il resto lo darò in beneficenza.

                 Solo che non so bene a chi potrò destinarlo. Voi mi potete essere utile?

Orlando: (Coglie l’occasione) Sì, ma ce-certamente.Vi da-darò il co-conto corrente di una                          

                 associazione che si occupa di po-poveri.

Rico:        Grazie, siete molto gentile. Per caso tenete una sigaretta?

Orlando: No, no-non fumo. Ma se vo-volete, ve le vado a co-comprare io.

Rico:        No, ma perché vi volete incomodare per forza?

Orlando: No-non vi preoccupate. Vado a co-comprare una stecca di sigarette, co-così me le

                 fumo pure io.

Rico:        Ma voi avete detto che non fumate.

Orlando: E in o-onore della vo-vostra amicizia, co-comincio a fumare da questo momento.

Rico:        Fate voi.

Orlando: A-allora, con permesso. No.non vi muovete da qua.

Rico:        Prego, prego. E chi si muove? 

                 Orlando esce di casa frettolosamente. Rico, perplesso, apre la valigetta, prende           

                 un foglio, si siede al tavolo e comincia a scrivere. Da sinistra entra Umberto.

Umberto: Addò sta? Addò sta? (Tra sé e sé) Ah, eccolo là. Solo soletto. Ora ti aggiusto io.

                 (Gli si avvicina con fare gentile) Carissimo notaio, state scrivendo?

Rico:        (Gli risponde acidamente) No, stongo spannenno ‘e panne fora ‘o balcone!

Umberto: Ah, bravo. Bella battuta! (Finge di ridere) Ahahahahah! E ditemi una cosa, allora

                  vi fa piacere che siamo diventati amici?

Rico:        Ma perché, siamo diventati amici?

Umberto: E certamente. Io vi ho accompagnato pure in bagno.

Rico:        Ecco, appunto. Ma è mai possibile che mentre io faccio la più, ci deve stare uno

                 che mi fa un massaggio sulle spalle?

Umberto: E io l’ho fatto per farvi stare a vostro agio. Gli amici si vedono nel momento del

                  “bisognino”!E ditemi una po’: come investirete i soldi dell’eredità?

Rico:         Beh, vi dirò: una piccola parte la terrò io e tutto il resto lo darò in beneficenza.

                  Solo che non so bene a chi potrò destinarlo. Voi mi potete essere utile?

Umberto: (Coglie l’occasione) Sì, ma certamente.Vi darò il conto corrente di una                          

                  associazione che si occupa di poveri.

Rico:         Grazie, siete molto gentile. Più tardi festeggerò con una bella bottiglia di

                  Whisky. E’ il mio liquore preferito.

Umberto: Io invece non bevo. Ma se volete, ve lo vado a comprare io.

Rico:         No, ma perché vi volete incomodare per forza?

Umberto: Non vi preoccupate. Vado a comprare l’Whisky, così me lo bevo tutto con voi.

Rico:         Ma voi avete detto che non fumate.

Umberto: E in onore della vostra amicizia, comincio a bere da questo momento.

Rico:         Fate voi.

Umberto: Allora, con permesso. Non vi muovete da qua.

Rico:         Prego, prego. E chi si muove? 

                  Umberto esce di casa in fretta. Rico, perplesso, osserva il foglio dove scriveva.

                  Bene, ho finito. (Ripone il foglio nella valigetta) Ora posso andare. (Si guarda

                  addosso) Ma che capa che tengo. M’aggia sistemà ‘nu poco ‘o vestito.

                  E si sistema giacca, cravatta e pantaloni.

8. [Rico e Brunella. Poi Isotta e Don Fortunato. Infine Carmine e Ninfa]

                  Mentre Rico si sistema l’abito, da destra entra Brunella.

Brunella:  Addò sta? Addò sta? (Tra sé e sé) Ah, eccolo là. Solo soletto. Ora ti aggiusto io.

                 (Gli si avvicina con fare gentile) Carissimo notaio, vi state aggiustando il vestito?

Rico:           (Le risponde acidamente) No, stongo ammunnanno ‘nu chilo ‘e patane!

Brunella:    Ah, bravo. Bella battuta! (Finge di ridere) Ahahahahah! E ditemi una cosa,

                    allora vi fa piacere che siamo diventati amici?

Rico:           Ma perché, siamo diventati amici?

Brunella:    E certamente. Io vi ho accompagnato pure in bagno.

Rico:           Ecco, appunto. Ma è mai possibile che mentre io faccio la pipì, ci deve stare

                    una tizia che mi canta le canzoni napoletane?!

Brunella:    E io tengo una bella voce lirica. Io sono una sovrana!

Rico:           Ma non si dice “soprano”?

Brunella:    Accussì me pare. E ditemi una po’: come investirete i soldi dell’eredità?

Rico:           Beh, vi dirò: una piccola parte la terrò io e tutto il resto lo darò in beneficenza.

                    Solo che non so bene a chi potrò destinarlo. Voi mi potete essere utile?

Brunella:    (Coglie l’occasione) Sì, ma certamente.Vi darò il conto corrente di una                          

                    associazione che si occupa di poveri.

Rico:           Molto gentile. Una parte dei soldi, poi, la utilizzerò per fare un corso di Samba.

Brunella:    Veramente? Allora, se volete, vi porto la mia collezione di canzoni brasiliane.

Rico:           No, ma perché vi volete incomodare per forza?

Brunella:    Non vi preoccupate. Vado a prendere i dischi, così ballo la Samba con voi.

Rico:           Ma voi avete detto che cantate.

Brunella:    E in onore della vostra amicizia, comincio a ballare da questo momento.

Rico:           Fate voi.

Brunella:    Allora, con permesso. Non vi muovete da qua.

Rico:           Prego, prego. E chi si muove? 

                    Brunella esce di casa in fretta. Rico, perplesso, osserva le proprie scarpe.

                    Ho i lacci delle scarpe sciolti. (Si siede su una sedia) Ma come sono stonato. 

                    E si sistema i lacci. Da sinistra tornano Isotta e don Fortunato.

Fortunato: Addò sta? Addò sta?

Isotta:         Ah, eccolo là. Solo soletto. Ora ti aggiusto io.

Fortunato: No, lo acciusto io!

                    Gli si avvicinano con fare gentile, uno a destra e l’altro alla sinistra, lo fanno

                    alzare in piedi.  

Fort&Isot: Carissimo notaio!

Rico:           (Seccato) E no, e mò basta, mò!

Isotta:         Ditemi una cosa, allora vi fa piacere che siamo diventati amici?

Fortunato: No, è diventato amico con me!

Rico:           (Ironico) Songo ad diventato amico ‘e tutte quante, io!  

Fortunato: E certamente.

Isotta:         A proposito, come investirete i soldi dell’eredità?

Rico:           Beh, vi dirò: una piccola parte la terrò io e tutto il resto lo darò in beneficenza.

Fortunato: (Coglie l’occasione) E date tutto a me, ci penso io.

Isotta:         (Coglie l’occasione) E pure io, pure io.

Rico:           Grazie, siete molto gentili.  

Fortunato: Se fate questo gesto, io celebro una messa in suffragio vostro.

Rico:           E che sso’ muorto, io?

Isotta:         E io invece vi regalo una cravatta nuova. Mio padre è mastro cravattaio.

Rico:           No, ma perché vi volete incomodare per forza?

Fort&Isot: Non vi preoccupate. Con permesso!

Rico:         E ccà, si jamme annanzo ‘e ‘stu passo, tutta l’eredità se ne va in beneficenza! Ma

                   in fondo, quelle sono cose che si dicono. Altro che beneficenza! A proposito,

                   ma ‘o signor Carmine sta ancora nascosto? (Lo chiama) Signor Carmine!

                  Esce via a sinistra.

Scena Ultima. [Carmine, Ninfa e poi tutti gli altri]

                  Dalla comune tornano Carmine e Ninfa. Si guardano intorno.

Carmine: Non ti preoccupare, Ninfa. Hai visto? Lo spirito di Bacco Barbera se n’è andato.

Ninfa:       Ma come? Quello non era il signor Carmine?

Carmine: Ehm… sì, certo. Solo che visto che beveva molto, lo chiamavano signor Barbera!

Ninfa:       Sentite, ma adesso perché mi avete riportato qua?

Carmine: Peccé io sulo me metto appaura! Voglio cercare quel tizio. Chissà dov’è andato?

                  Da destra si sente un tiro di sciacquone.

Ninfa:       Avete sentito? 

Carmine: E certamente. Vieni con me.

Ninfa:       No, no, io mi metto paura.

Carmine: E io più di te! Però ch’amma fa’? Su, vieni con me.

Ninfa:       (Rassegnata) E va bene. 

                  I due s’avviano a destra, si ritrovano Bacco di faccia e si spaventano tutti e tre.

I tre:         (Gridando) Aaaaah!

Carmine: (Sconvolto) Tu… tu… tu-tu… sei vivo?

Ninfa:       (Sconvolta e sorpresa) Ma… ma… ma-ma… ma come? Gli date del tu?

Bacco:      (Sconvolto, confuso e sorpreso) Io… io… io-io… m’aggio fatto sotto d’’a paura!

Carmine: Ma fammi sentire. (Lo prende per il braccio e lo conduce a sedersi sul divanetto)

                  Tu non eri morto?

Bacco:       Io? Ma che? Io m’aggio sulo ‘mbriacato. Forse sono andato a Como!

Carmine: A Como? E che si’ gghiuto a ffa’?

Bacco:      Niente, quanno uno va a Como, è comme si s’addurmesse! 

Ninfa:       Ah, allora vuole dire che è andato in coma.

Bacco:      Ecco, brava. Ave raggione ‘a signurina. (Poi la osserva, sorpreso) Ma chi è ‘a

                  signurina, signor Camine?

Ninfa:       Signor Carmine? Perché vi ha chiamato signor Carmine, signor Ermenegildo?

Bacco:      Ma che Ermenegildo? Chillo è ‘o signor Carmine Incacchiato.

Ninfa:       Ma allora non siete voi?

Bacco:      No, io sono Bacco Barbera. E vuje chi site? L’infermiera?

Ninfa:       Ma che infermiera? Giù la maschera. Io sono un’estetista. La dottoressa Isotta

                  Alletto mi ha portata qui in previsione della morte del signor Carmine.

Bacco:      Ma che cacchio sta succedendo, ccà ddinto?

Carmine: Lo volete sapere, tutti e due? (Si alza in piedi e si sposta verso sinistra) Restate

                  seduti e lo vedrete.

                  Ninfa va a sedersi accanto a Bacco, mentre Carmine va a sedersi al tavolo.

                  Io sarò pure avido, ma ce sta chi è peggio ‘e me. A cominciare dal mio notaio.

                  Da sinistra torna Rico. Appena esce, si ferma e fa una riflessione tra sé e sé.

Rico:        Ma che me ne ‘mporta d’’o signor Carmine, io mò me ne vaco ‘a faccia soja!

                 Va al tavolo, prede la valigia e inconsapevolmente lo saluta.

                 Salve, signor Carmine. ‘A faccia vosta!

                    Si volta e si avvia all’uscita, poi si rende conto e torna indietro da Carmine.

                    Signor Carmine, state qua?

Carmine:   Già, sto’ ccà. (Si alza in piedi) Accomodatevi, signor notà’, accomodatevi pure.

Rico:           E… e vabbé. (Si siede al posto di Carmine)

Carmine:   (Si avvicina pian piano ad un lato della comune e si appoggia al muro) Sono

                    curioso di sapere come andrà a finire tutta questa storia.

Bacco:        E pur’io.

Ninfa:         E a questo punto, pure io.

                    Dalla comune, tornano Orlando (con una scatola grande) e Dorotea (con tre

                    cartocci, uno sopra all’altro, di dolci). Vanno da Rico.

Orlando:    Uh, e-eccolo. Il no-notaio sta ancora qua-qua. (Poggia la scatola sul tavolo)

Dorotea:     Allora possiamo festeggiare la sua eredità. (Poggia i cartocci sul tavolo)

Rico:           Ehm… guardate chi c’è là. (Indica la presenza di Carmine)

I due:          (Osservano e si spaventano) Oddio! (E si spostano, guardandosi sconvolti)

Orlando:    (Sconvolto, dice a Dorotea) ‘O zi-zi’ Carmine!

Dorotea:     E’ vivo!

Carmine:   (Prende due sedie e le sistema in disparte) Prego, prego, sedetevi un poco, così

                    ci facciamo quattro chiacchiere.

                    I due, interdetti, si siedono. Carmine torna accanto alla comune.

                    Adesso aspettiamo gli altri aspiranti ipocriti!

                    Dalla comune entrano Brunella ed Umberto (con un pacco a testa).

Umberto:   Uh, eccolo. Il notaio sta ancora qua. (Poggia il pacco sul tavolo)

Brunella:    Allora possiamo festeggiare la sua eredità. (Poggia il pacco sul tavolo)

Rico:           Ehm… guardate chi c’è là. (Indica la presenza di Carmine)

I due:          (Osservano e si spaventano) Oddio! (E si spostano, guardandosi sconvolti)

Umberto:   (Sconvolto, dice a Brunella) ‘O zi’ Carmine!

Brunella:    E’ vivo!

Carmine:   (Prende due sedie e le sistema in disparte) Prego, prego, sedetevi un poco, così

                    ci facciamo quattro chiacchiere.

                    I due, interdetti, si siedono. Carmine torna accanto alla comune.

                    Adesso aspettiamo gli altri aspiranti ipocriti!

                    Dalla comune entrano Fortunato ed Isotta (con un pacco a testa).

Fortunato: Uh, eccolo. Il notaio sta ancora qua. (Poggia il pacco sul tavolo)

Isotta:         Allora possiamo festeggiare la sua eredità. (Poggia il pacco sul tavolo)

Rico:           Ehm… guardate chi c’è là. (Indica la presenza di Carmine)

I due:          (Osservano e si spaventano) Oddio! (E si spostano, guardandosi sconvolti)

Umberto:   (Sconvolto, dice a Isotta) ‘O signor Carmine!

Isotta:         E’ vivo!

Carmine:   (Prende due sedie e le sistema in disparte) Prego, prego, sedetevi un poco, così                                       

                    ci facciamo quattro chiacchiere.

                    I due, interdetti, si siedono. Carmine gironzola

                    A occhio e croce, gli aspiranti ipocriti sono finiti! Bene, mi compiaccio.

Fortunato: Signor Carmine, ma ci volete spiecare un poco che sta succetento?

Carmine:   Ma si capisce, don Fortunà. A voi sei… (Chiama in causa Fortunato, Isotta,  

                    Brunella, Dorotea, a Orlando e ad Umberto) Guardate chi ci sta sul divanetto.

Gli altri:     (Sorpresi e sconvolti) Bacco?

Bacco:        Bonasera, bella gente!

Ninfa:          Ma che buonasera? Caso mai, buongiorno. E’ ancora mattina!

Carmine:     Vabbé, non ci perdiamo in queste cose inutili. E cari parenti, ma anche cari

                     amici miei, la ragazza vicino al mio cameriere è un’infermiera. Doveva essere

                     la mia infermiera, in punto di morte. Ma chella nun è manco infermiera.

Ninfa:          Ehm… e già. Io faccio l’estetista. Ed ho vegliato accanto al corpo del signor

                     Carmine, che poi in realtà era del qui presente Bacco.

Bacco:         Che cosa? Ma allora si’ stata tu che m’he’ miso ‘o smalto ‘ncoppa ‘e mmane?

Ninfa:          Ehm… e io questo so fare!

Carmine:    E come me lo spiegate questo fatto, dottoressa Isotta Alletto? Io forse non

                     meritavo un’infermiera vera, perché stavo in punto di morte? Avete voluto fare

                     lo stesso il bel gesto, per far vedere che siete una persona professionale. Brava!

Isotta:         Grazie!

Carmine:    Guardate, chella dice pure “grazie”! E che dire, poi, di don Fortunato?

Fortunato: Vappé, non ticiamo niente!

Carmine:    No, no, invece bisogna dire. Voi rappresentate quella parte della chiesa

                     cattolica che esce in televisione, piena di scandali e di cose brutte da sentire.

Fortunato: Siente chi parle! Voi ci avete incannato! Vi siete finto morto. Vi siete 

                    comportato come un pampino!

Carmine:    Un pampino?

Fortunato: Sì, un pampino che cioca con le pampole.

Carmine:    Già, ma l’ho fatto per osservarvi di nascosto. E soprattutto i miei nipoti.

                    I quattro, chiamati in causa, si voltano altrove per non guardarlo. Lui seguita.

                    Quelli non aspettavano altro che la mia morte per pigliarsi tutta l’eredità.

Brunella:    (Risentita) Zio, questa è una accusa infamante.

Orlando:    (Risentito) Una bu-bugia!

Dorotea:     (Risentita) Una balla!

Umberto:   (Risentito) Una melenzogna!

Brunella:    (Lo corregge) Una menzogna! Quala melenzogna? (Risentita) E’ una bassezza.

Dorotea:     (Risentita) Una mendacia!

Orlando:    (Risentito) Una fandonia!

Umberto:   (Risentito) Una panzata!

Brunella:    (Lo corregge) Una panzana! Quala panzata?

Carmine:    Ah, sì? Allora nun è ‘o vero niente? E cosa ci sta in quei pacchi che avete

                     portato? Volete che ve lo dico io senza sapere niente? E io vi accontento: ci

                     sono tanti bei regalini per il notaio.

Umberto:    Rico Taro?

Carmine:    Uhé, ma qualu “ricuttaro”? Quello è un notaio di fama internazionale!

Rico:           No, Rico Taro mi chiamo io.

Carmine:    Ah, già. Nun ce facìte caso, signor notaio, io songo ‘nu poco ‘nzallanuto. So’

                    tale e quale a vuje. E sapete perché loro vi hanno fatto tutte questi pensierini?

                    Perché hanno saputo che voi avete ricevuto la mia eredità. Ma questi cretini non   

                    lo sanno che io e voi ci eravamo messi d’accordo, signor notaio!

Gli altri:     Eh?

Carmine:    Signor notaio, raccontategli voi tutta la verità.

Rico:           Io? E chi s’arricorda niente? Io tengo ‘na capa sciacqua mai vista! Mi ricordo

                    solo che mia madre non vuole che frequento le donne e che faccio peccati.

Carmine:    E allora glielo spiego io. Cari ipocriti, come vi stavo dicendo, voi siete stati

                  fregati da me e dal notaio. Voi volevate sfruttare il fatto che io tengo la testa

                  ‘nzallanuta come quella del notaio. Allora volevate mettere le mani sulla mia

                  eredità. Ma vi siete sbagliati tutti quanti. Io ho scoperto il vostro gioco sporco.

                  Mi volevate morto per pigliarvi i miei averi. E ve li meritate? Rispondi, Umbé!

Umberto: (Fa finta di nulla) Io? E che devo rispondere? Io non so niente!

Carmine: Non sai niente? A me m’hanne raccontato che vaje mettenno ‘e ccorne a

                  mugliereta! Staje chino ‘e femmene. Nun è ‘o vero?

Umberto: Io? Ma pe’ carità! Io nun aggio miso ‘e ccorne a muglierema cu’ ‘nu sacco ‘e

                  femmene, io ce ll’aggio mise cu’ una sola!

Carmine:  (Ironico) Ah, scusate tanto! No, perché, con una sola donna si può tradire. (Poi

                  duro) Miettete scuorno! (Poi si riferisce a Brunella) E tu nun saje niente?

Brunella:  Io nun aggio miso ‘e ccorne a nisciuno.

Carmine:  No, ma mi hanno raccontato che tu te ne strafreghi della tua famiglia e te ne vai

                  a fare la bella vita. E si capisce. Hai divorziato da tuo marito che ti mantiene

                  profumatamente. E non sta bene. Bisogna stare coi propri mariti nella salute e

                  nella malattia. (Poi duro) Miettete scuorno! (Infine, ad Orlando e Dorotea) E a

                  te, Orlà, non fare finta di niente. Mi hanno detto che picchi a tua moglie.

Orlando:  Chi-chi… chi-chi… chicchirichì?

Umberto: Sta cantanno ‘o gallo!

Orlando:   Chi-chi… Io?

Carmine:  Sì, proprio tu. E tua moglie è peggio ‘e, pecché nun te lassa, in quanto non vuole

                   perdere la tua forza economica. Insomma, chi più, chi meno… facite schifo tutte

                   quante: gente ‘e famiglia e estranei. La vostra ipocrisia mi ha fatto capire solo

                   quanto io sono egoista e avaro. Ma prima che me ne vado all’altro mondo,

                   perché io sono malato veramente, voglio cambiare le cose nel mio testamento.

                   Posso sempre, signor notà?

Rico:         Ma certo. E’ un vostro diritto.

Carmine:  E allora darò tutti i miei averi ad una persona estranea.

Umberto: ‘Nu mumento, ma chisto è ‘nu diritto stuorto!

Carmine:  Taci, tu!

Brunella:  Scusami, zio, io non voglio entrare nelle tue cose, per carità. Ma chi sarà questa

                   persona che erediterà tutti i tuoi averi.

Carmine:  Sta assettata ‘ncoppa a chillu divanetto.

Bacco:       (Emozionato) Io? Grazie, grazie!

Carmine:  Nun stongo parlanno ‘e te. Sto parlando di Ninfa. E’ l’unica persona che non ha

                  messo gli occhi sulla mia eredità. E perciò, se la merita.

Ninfa:       (Si alza in piedi, emozionata e sorpresa) Io?

                  Gli altri la osservano. Poi ciascuno (tranne Carmine, Rico e Bacco) va al tavolo.

                  Prende il proprio regalo (che era per Rico): Orlando mette tante sigarette in

                  bocca, Dorotea apre il cartoccio di paste e ne mangia una, Umberto apre il

                  liquore e lo beve dalla bottiglia, Brunella comincia a ballare i latino-americani,

                  Fortunato comincia a lanciare benedizioni ed Isotta indossa tante cravatte. Poi

                  tutti vanno da Ninfa, le si attorniano (scacciano via Bacco che finisce a terra).

Orlando:  (Con sigarette in bocca) Ni-Ninfa, noi siamo amici. Ac-accetta i miei regali!

Umberto: (Bevendo liquore) No, Ninfa, noi siamo amici. Accetta i miei regali!

Brunella:  (Ballando latino americani) No, Ninfa, noi siamo amici. Accetta i miei regali!

Dorotea:   (Mangiando un dolce) No, Ninfa, noi siamo amici. Accetta i miei regali!

Fortunato: (Lanciando benedizioni)No, Ninfa, noi siamo amici. Accetta i miei recali!

Isotta:         (Annodando cravatte) No, Ninfa, noi siamo amici. Accetta i miei regali!

                    Mentre continuano quella pantomina, sullo sguardo perplesso di Ninfa, con

                    Bacco a terra, Carmine guarda Rico, allarga le braccia ed esce via a destra.

FINE DELLA COMMEDIA