ERUTTI DEL CERVELLO
di
Virginia Alba
Immagini parlate e parole immaginate su da con per tra di Palermo.
Pubblicato insieme al testo LA MORTE BAMBINA nel II volume di Scrittura & Respiro - 1996. Letteratura Siciliana di finesecolo. Ed. PERAP - PALERMO.
I
rumori, i sapori, gli odori, i bruciori, i dolori, il canto delle cicale, il
telegiornale in TV.
La varietà, il
calore, il colore, l'anima.
Infilo la chiave
nella serratura. Brandisco un pesante bastone. Abbatto la porta a colpi di
ariete perché con la chiave non si apre e poi anche perché mi piace, dunque
seppure la porta si aprisse la abbatterei comunque!
Ma è poi davvero
così buono e giusto massacrarci di risate alla vista di lucchetti, chiavi e
chiavistelli, porte, portali, portoni, portantine, persiane, rosoni e rosai
incastonati entro massicce verande arrabbiate, abbandonate e squallidamente
occluse?
Oppure siamo noi a
doverci ad ogni costo assuefare alla visione degenerante di automobili mai
troppo consumate dentro anfiteatri disarmanti nella loro incosciente
desolazione?
Menzogna? Falsità?
Ipocrisia? No! Solo una certa incertezza di comportamento! Schizofrenia?
Dissociazione? No! Solo buona educazione!
L'eclissi è
illuminante! La puntura nel braccio è devastante!
Non c'è un'anima che
sappia abbassare la testa di fronte al ridicolo e disgustoso vociare di
montature guastate dall'asfalto. Non c'è un'anima comunque!
Lingue rosse dentro
bocche squallide, pallide e un po' cicatrizzate da postumi di sbornie
eccessive. Risate lardose, obese e scolanti di denti cariati. Giudizi
affrettati di animali con il vizio dello iato dei quali sarebbe possibile dire:
«Gli mancasse almeno la parola!». Ma loro no! Muovono, contorcono, fanno
danzare abusivamente quei pezzi di carne inutili. Inquinano l'aria di fiati
carognosi e incrostati.
Ma dov'è finito il
piacere di oziare tra le quattro mura ammuffite e umidicce di circoli viziosi
traboccanti di pensieri peccaminosi?
Verbosità
incontrollate. Carezze immobilizzate. Getti d'acqua cicatrizzati. Caverne
stalattitiche. Respiri ammutoliti e faziosi!
Eppure sarebbe
veramente una gran cosa riuscire a mantenere ben salda la giarrettiera rossa
che spinge verso l'alto il polpaccio stancamente velato.
Tuttavia nessuno è
mai riuscito a svelare il mistero inconfessabilmente pragmatico della calendula
sul viso, del bergamotto sui fianchi, della glicerina tra le dita, della lettura
da panca, degli sguardi panciuti, di teste lisce e rosse dagli occhi spinosi.
E' già capitato,
capita, continuerà a capitare e a decapitare, a sventrare, squartare e
scuoiare. Capezzoli di plastica che implorano di essere per una volta creduti.
E chi potrebbe mai
smentire l'efficienza di una gru impazzita che si va a conficcare tra le cosce
di un angelo?
Percorro frasi
inconsuete con la fretta di chi attende un ritorno, nella tenera freddezza
luccicante di accecanti neon azzurrati: tetri cerchi disadorni di latrati in
lontananza.
Sono perfettamente
consapevole delle mie sensazioni cutanee, ma detesto la volgarità!
Sto attraversando
gli odori ed ho bisogno di un po' di bianco intorno a me: troppi colori,
troppi! Non ne sento il bisogno! Il flusso è troppo veloce ed io me ne
rallegro, ma sono un po' stanca.
- Credi che morirò
presto?
- Come ti viene in
mente? morirai quando sarà il momento!
- E quando sarà il
momento?
- E chi può saperlo?
Che magnifica
intuizione! Balliamo un valzer?
Immezzo alla gente
Immezzo al casino
Ci immergiamo Ci
fermiamo Ripartiamo Non c'è posto Lo troviamo Ci sediamo Ci ripensiamo
Decidiamo di
andarcene
Isole di crema,
fazzoletti sporchi, pelle vellutata, mani screpolate, occhi arrossati e capelli
al vento: tutte cose alle quali non pensiamo quando giochiamo con l'acqua o
quando pattiniamo sul ghiaccio.
Piccione investito o
verdura spiaccicata?
Passante incallito o
pienezza letterata?
Pittore fallito o
fotografia abbozzata?
Ferro brustolito o
tubatura sudata?
Ciò non toglie che
siamo tutti ingenue vittime di questo devastante e benpensante dinamismo
stati co di spine sul cranio, di garofani intrecciati alle caviglie, di zoccoli
equini in disequilibrio sorpresi nella loro abituale extra quotidianità.
Ma i bambini non si
lasciano sedurre e percorrono a grandi bocconi la ferocemente gaia e
disarmonica parata di crude divise tristemente imborghesite.
E poi l'abbandono
grigio e maturo dei bisonti innamorati di donne nude al volante, di pizzi e
merletti, di criniere setosamente morbide e marmoree, di gobbe che si stagliano
contro nuvole di cemento armato... tutto questo è disarmante. Fortemente
nauseante. Parimenti dissacrante. Giustamente delirante!
Potremmo andare su e
giù lungo pianure di lamiere stralunate dalla notte, alla disperata ricerca di
un felino che scappi spaventato tra la folla desiderosa di lingue ruvide e
scorticanti, o di una semplice carezza accomodante.
Croci tra le coppie
innamorate dinanzi a mari sempre più salati, cercando gambe inquinate da
attorcigliare alle ginocchia piegate, e poi parrucche smantellate dal
mortificante mormorio di un telefono prontamente seduto.
L'agonia cameratesca
delle tresche amorose, dei triangoli mal riusciti, dei tradimenti appiattiti,
delle infedeltà aborrite, dei latrati dei cani alla sera nel bel mezzo di un
amplesso furioso. Immondezzai vertiginosamente stracolmi di antiche
idiosincrasie velleitarie e grottesche.
- Vuoi darmi un
bacio?
- No, perché?
- Così. Pensavo che
ne avessi voglia.
- No, grazie! Ma
riferirò senz'altro.
Periferie casualmente
travestite da stazioni ferroviarie. la desolazione di un fil di ferro
conficcato nella zampa del cane-immondizia. Ne vogliamo parlare? Può servire a
qualcosa comprendere, dire, capire, spiegare, offendere e difendere,
giustificare e paralizzare? Castrare il castrabile? Non credo! No, non credo!
E poi, in una sera
terribilmente estiva, ti sorprendi improvvisamente ed instancabilmente a
parlare d'amore, calore, bruciore, ardore, colore, bollore, sudore, fetore,
squallore e vitamindermina. Suprema paradossalità dei picchi collosi e
sudaticci in simbiosi con antichi feticci fatui e fatiscenti, onniscienti e
iridescenti, squallidi e inquietanti, rotondi e rassicuranti, fecondi e
rilassanti.
E quante piccole
appendici sulle magliette abbondantemente rovinate da disegni schizofrenici al
mercato, o su cartelle che recitano il «mea culpa» davanti a confessionali
sdruciti.
Quanti perimetri
oscuri e ben disegnati su fondi atrocemente illuminati da fantomatiche tende
ricamate.
Giochi di sangue
rappreso tra le viscere anestetizzate, ossa sbucciate, manifesti infangati,
carni palpitanti di lamenti cristallizzati da ganci crudeli, da banconi fedeli,
da inventori di cieli, da sculture coi peli.
E ci sentiamo sempre
in dovere di urlare «grazie mille» e poi «scusate tanto» e ancora «vostro umile
servo»! Loquacità al servizio dello iato. Ulteriore metamorfosi di cantine
sudaticce e scollate quando il mare diventa cartaccia.
Potremo mai avere
l'abilità di avvolgerci entro tele di lino imbrattate da acrilici impermeabili
alla pioggia? Saremo mai in grado di urlare al degrado suburbano di mogli
impietosamente gravide e gonfie di brucianti passioni incontrollabili la nostra
reale veemenza, incongruenza, fatiscenza, evanescenza, sonnolenza,
inconsistenza, zia Vincenza? No! Decisamente negativo!
Per non parlare
poi... e non ne parliamo affatto! Tanto, a cosa servirebbe vomitarci addosso
tutta la nostra terribile psoriasi e micosi invernale e viscidamente dolorante?
Ogni fiore è segno d'amore, e questo lo sappiamo bene quando i bambini
polverizzano ogni sorta di coscienza infantile e puerilmente peccaminosa. La
mimosa? Centellinare ogni millimetro di superficie porosa e liscia come la
brina dei pomeriggi di sole. Non posso sopportarlo! Non resisto ai fermenti
lattici vivi, a braccia cosparse di autan, a zanzare feroci, a whisky bevuto di
nascosto, chitarre tristi, discoteche improvvisate dentro automobili, gelati
mai assaggiati, mercati paradisiaci, danze sfrenate che sudare fa bene, letti
disfatti e zollette di zucchero di canna.
Non mi convinco
ancora dei giudizi tumefatti e lacerati da logorrea bloccata. Ammazzare la
gioia di pomeriggi rinchiusi dentro angusti ripostigli di specchi che
riflettono nient'altro che lo stato delle rose schiaffeggiate da teschi
sonnolenti, da sacre balconate sul petto, da porte chiuse che tanto nessuno
vuole entrarci. E perché no? Il contagio sarà dunque evitato! Basterà:
astenersi, voltarsi, rigirarsi, accecarsi, barricarsi, strofinarsi,
incastonarsi, addormentasi, congelarsi, regalarsi, e può anche darsi.
Ma è poi veramente
così triste divertirsi ululando alla luna dando libero sfogo agli erutti del
cervello? Perché non pretendere di più?
Virginia
Alba. 1995