Esami di maturità

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ESAMI DI MATURITA’

Commedia in tre atti

di LADISLAO FODOR

Tradotta da I. Balla e M.DeVellis

PERSONAGGI

STEFANO KULCIAR

CATERINA HORVATH

ANNA MATE’

CLOTILDE

SALKAI

EDOMONDO RICHTIG

DOMENICO BARAGN

PROF. VARIAS

EMMA WALTER

PROF. EGHEDUS

PROF. RATZ

TOMMASO RUDNAI

MADDALENA BARABAS

ROSINA DRASKOTZI

MARIA JENY

GIULIA WEGNER

IL BIDELLO ADAMO

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Il liceo-ginnasio femmini­le nel quale si svolge la nostra commedia sembra ronzare sonnolento nel te­pore del sole di giugno. Sia­mo ancora in primavera ma già si sente l'approssimarsi dell'estate. Durante le le­zioni le finestre sono aperte e pare che le colline di Bu­da guardino nelle aule sco­lastiche. L'ampia finestra della sala dei professori si apre su un paesaggio mite e romantico con la collina di San Giovanni che dalla sua cima, sormontata dalla torre Elisabetta, scende con dolce pendìo sino ai prati dell' Albero di Norma.

La dottoressa Anna Ma­te, insegnante dì latino, ha davanti a se i quaderni con le copertine azzurre dei compiti che sta correggendo. Di tanto in tanto alza lo sguardo alle colline, poi, con gesto un po' melanconico, intinge la penna nell'inchiostro rosso e si immerge nuovamente nel suo lavoro. Quanti anni può avere la professoressa Mate? Non si può dire con pre­cisione. È una bellezza fine, un po' mesta, una donna lavoratrice che non ha più età. Certo era così dieci anni fa e sarà ancora così fra dieci anni: è un'insegnante delle scuole media china sui compiti di latino, e immersa in una nobile semplice ed eterna solitudine. Anche ora che accudisce al suo lavoro, ad un capo del lungo tavolo ricoperto di panno verde, sembra sedere al limite di un gran prato. Questo tavolo della Sala del Consiglio rappresenta la scuola stessa: è il simbolo dell'auto­rità e della dignità del corpo insegnante. A questo tavolo sedettero i vecchi presidi i cui ritratti sembrano guardare con severità dalle pa­reti. Qui fu compilato l'orario scolastico che ora ha trovato posto nella grande tabella murale insieme con le norme e i regolamenti del mini­stero. Questa Sala dei Professori, che le alunne - passando dal corri­doio - guardano di sfuggita, con soggezione, attraverso la porta a bat­tenti, con la sua libreria, il globo terrestre, la grande carta geografica murale e le sue sedie a braccioli un po' logore, racchiude il mondo nel quale si svolge tutta la vita della dottoressa Anna Mate. Accanto a questa vita, un'altra già sul tramonto: quella di Domenico Baragn, insegnante di filosofia. Il Professor Baragn è un caro vecchio sempre sorridente: il riflesso argenteo dei capelli sulle tempie accresce la se­rena luminosità della sua calvizie. Siede in un angolo della sala e legge il giornale sprofondato in una sedia a bracciuoli. È vicino alla piccola porta ricoperta di panno verde che conduce nel sacrario della scuola: la stanza del Preside. Sono soli nella sala dei professori. Non si scam­biano parola, ma anche nel loro silenzio esiste un intimo accordo. È quasi mezzogiorno e in una classe si fa lezione di canto: dalla finestra aperta giunge sommessa la voce delle alunne che cantano in coro. I due, cullati dalla melodia, si abbandonano interamente all' incanto stra­no e malinconico delta scuola. Nelle note della breve canzone, che esalta le bellezze della natura, palpita l'estate, già in attesa dietro le colline. D'improvviso suona il telefono e il suo squillo acuto lacera questo stato d'animo. La dottoressa Anna Mate stacca il ricevitore.

 

Anna                             - (al telefono) Pronto... Liceo femminile del Primo Rione... Parla la professoressa Anna Mate... Il preside è andato al Ministero. Abbia la compiacenza di richiamare fra mezz'ora... Buongiorno. (Riattacca).

Baragn                          - (alza la testa dal giornale) Perché è andato al Ministero il preside?

Anna                             - Per stabilire le date degli esami. A quanto mi risulta quest'anno si finisce presto. Gli esami di pas­saggio cominciano il sei e quelli di licenza si faranno dal dieci al venti.

Baragn                          - (con un lieve sorriso) E insomma... anche l'anno scolastico è finito.

Anna                             - Dove va quest'estate, professore?

Baragn                          - In pensione.

Anna                             - Impossibile!

Baragn                          - Per forza. I giovani professori battono alla porta con impazienza. Aspettano il mio posto.

Anna                             - Non lo posso credere... Che farà lei senza il liceo?

Baracn                           - Mi iscriverò alla prima elementare.

Anna                             - (ride) Che dice mai?

Baragn                          - Devo ricominciare a studiare... Alla mia età c'è un mondo nuovo... nuovi pensieri, nuove verità...

Anna                             - Mi rincresce che lei vada via. Chi siederà qui con me mentre correggerò i compiti di latino?

Baragn                          - Un altro qualunque. In quanto a me, basta! Per trentacinque anni ho insegnato filosofia nei licei fem­minili. Sa lei che vuol dire istillare la filosofia nella te­sta delle ragazze?... Non v'è al mondo fatica più deso­lante... (Di fuori il canto sale di tono).

Anna                             - (porge ascolto) Sente?... Fanno lezione di canto. È il mese in cui la scuola è più bella. Si possono lasciare i finestroni aperti, e dalla collina di San Gio­vanni l'estate ci saluta... (Fiutando) Si sente quasi il profumo dei boschi.

Baragn                          - (canticchia il motivo delle alunne; poi, quasi a sé stesso) Come è strano... questa canzone mi ha accompagnato per tutta la vita... Le ragazze che la can­tano sono ogni anno diverse, ma la voce che sale fin qui come un ronzìo pare sempre la stessa. Questo canto è la voce della scuola; è la gioventù che qui rinasce ogni anno...

Anna                             - ... e alla quale noi diamo tutto, sempre... senza nulla ricevere in cambio. (Di fuori un suono di campana).

Baragn                          - I dieci minuti d'intervallo... E anche la mia ora di riposo è finita. Vediamo che lezione ho adesso. (Guarda l’orario alla tabella) Professor Domenico Baragn... dalle dodici al tocco... propedeutica della filoso­fia, ottava classe. (Contento) Bene! Mi fa piacere! Siedo sulla cattedra, leggo i « Saggi » di Aristotile... sento che nessuno mi ascolta... e posso godermi indisturbato la mia voce. (Da destra entra in fretta Rosina Draskotzi, studen­tessa dell'ottavo corso. Porta sotto il braccio il registro della classe).

Rosina                           - Buongiorno, signorina... Buongiorno, pro­fessore ...

Anna                             - Che c'è, Rosina?

Rosina -                         - Ho portato il registro della classe perché scendiamo in cortile per la ginnastica.

Anna                             - Va bene. Mettilo qui.

Rosina                           - Si, signorina. (Mette il registro sul tavolo e aspetta).

Anna                             - Grazie. Puoi andare. O desideri qualche cosa?

Rosina                           - (agitata) Scusi, signorina Anna... Mi è ca­pitato un guaio... La signorina Sàlkai m'ha segnata nel registro.

Anna                             - Di nuovo? Vediamo un po' che hai fatto... (Legge nel registro) «Rosina Draskotzi ha sghignazzato sfacciatamente durante la lezione, nonostante i miei ripe­tuti richiami ».

Baracn                           - (tentennando il capo) Dio mio...

Anna                             - (severa) E tu, che hai da dire?

Rosina                           - (scoppia in pianto) Sì, signorina... confesso di aver riso, ma non sghignazzato... sfacciatamente... Non si può fare a meno di ridere durante la lezione della si­gnorina Sàlkai.

Anna                             - Perché poi?

Rosina                           - Sa, la signorina... ha la dentiera... Quando comincia a spiegare e si infervora... la dentiera balza avanti e si mette a sbattere... come se volesse mordere tutta la classe. E allora... non è possibile trattenersi...

Baragn                          - (quasi ridendo) Non ha tanto torto.

Anna                             - (reprime un sorriso; severa) Ma un'alunna disciplinata deve sapersi padroneggiare. (In tono uffi­ciale) Per contegno irriverente verso la professoressa di letteratura - nella mia qualità di titolare della classe - ti dò l'ammonimento di primo grado.

Rosina                           - Sì, signorina.

Anna                             - E ora fammi vedere i tuoi denti.

Rosina                           - (mostrandoglieli) Ecco.

Anna                             - Sono bianchi e belli... Vergognati! Anche la signorina Sàlkai li aveva così trentacinque anni fa... E dove li ha perduti? dove si è invecchiata? dove ha fatto le rughe? Qui, nella scuola, per voialtre! Per voialtre che ora la deridete! Pensa a questo quando vedi muo­versi la dentiera della signorina Sàlkai... e ti passerà la voglia di sghignazzare. Hai capito?

Rosina                           - Ho capito, signorina!

(Adamo, il bidello, entra dal corridoio; è un vecchio coi baffi grigi, corti, che porta sempre con sé, e non se ne distacca mai, un grosso anello al quale sono sospese tutte le chiavi della scuola. Come il campanaccio annun­zia il gregge, così il tintinnìo delle sue chiavi annunzia Adamo. Questo è il ritornello che lo accompagnerà per tutta la commedia).

Anna                             - Che c'è, Adamo?

Adamo                          - È venuto il vetraio e ha rimesso i vetri alla finestra della sala di disegno... Quindici pengo.

Anna                             - Queste ragazze ogni giorno rompono qualche cosa. Rosina, tu lo sai chi è stata?

Rosina                           - Tutte e nessuna, signorina.

Anna                             - Allora pagherà l'intera classe: cinquanta filler a testa. Avverti che li riscuoterò domani, prima della le­zione di latino.

Rosina                           - Va bene. Buongiorno, signorina Anna!... (Esce).

Baragn                          - Adamo, avete un panino con gli anici?

Adamo                          - Neanche mezzo, professore. Ho smerciato tutto. Una cesta grossa così. (Indica).

Baragn                          - Siete un uomo intelligente, voi... vendete panini con gli anici. Noi vendiamo il pane della scien­za, ma è poco richiesto.

Adamo                          - (con sottointenso) È che bisogna vendere roba fresca, professore... (Ad Anna) Lei, signorina Mate, non ha fatto ancora il suo spuntino, oggi. Vuole che le mandi su un po' di brodo? Mia moglie ha preparato per cola­zione gallina lessa.

Anna                             - Come? Avete ammazzato la gallina?

Adamo                          - (con un sospiro) L'abbiamo offerta in olo­causto alla scuola.

Baragn                          - Perché?

Adamo                          - Aveva cattiva condotta... faceva sempre « coc­codè » e turbava la serietà dell'insegnamento. L'anno prossimo terremo i conigli: quelli non fanno « coccodè ».

Baragn                          - Siete un benemerito, Adamo! Però se le vostre chiavi facessero meno rumore... Quando vi vedo mi viene sempre in mente la prigione... o il paradiso. Sono convinto che voi, anche durante le vacanze, vi ag­girate per i corridoi deserti facendo suonare le chiavi. Dev'essere la vostra passione!

Adamo                          - Oh! durante le vacanze ho di meglio da fare, professore. (Confidenzialmente) Fabbrico acquavite nel gabinetto di fisica con l'apparecchio per la distilla­zione.

Baragn                          - (ridendo) Bravo, Adamo!

(Dal corridoio entra in fretta, allegro, il professor Varias, insegnante di storia naturale. Ha quarant'anni, è simpatico, gioviale. È rimasto uomo di campagna. Ha nelle mani uno scoiattolo impagliato).

Varias                            - Ciao, Baragn. Buongiorno, signorina.

Baragn                          - Che c'è, Varias? Che nuovo animale porti oggi?

Varias                            - Un semplice, piccolo scoiattolo. « Sciurus vulgaris ». Adamo, vi prego, portatelo nel gabinetto.

Adamo                          - Subito, professore.

Varias                            - E rimettetelo al suo posto, fra il ghiro e il topo campagnuolo, a destra dell'istrice...

Baragn                          - Come è grazioso un animale impagliato.

Varias                            - Poveretto! sta sulle zampine come se vo­lesse spiccare- un salto.

Anna                             - (mentre corregge i compiti) Li ama vera­mente i suoi animali, professor Varias?

Varias                            - Mi sento come in famiglia, con loro. (Con­segno lo scoiattolo ad Adamo). È il mio serraglio muto! Spesso me ne vado a passare qualche ora, fra i palmi­pedi e i trampolieri, i rapaci e i roditori...

Baragn                          - E frattanto che fai?

Varias                            - Mangio nocciuole.

Anna                             - (alza la testa) Come?

Varias                            - Mi piacciono le nocciuole. Quando ero un contadinello scalzo, spesso scappavo di casa... mi riem­pivo le tasche di nocciuole e vagavo per la foresta o nei boschetti vicini alle paludi... Tutto questo è stato sostituito dal gabinetto di storia naturale. Quando sono stufo dei miei colleghi mi nascondo lì dentro.

Adamo                          - (mentre esce) Anch'io tenevo la gallina per la stessa ragione: mi ricordava la campagna... (Sulla porta si scontra con la signorina Clotilde Sàlkai che en­tra. L'infelice zitella fissa spaventata l'animale che le viene incontro).

Clotilde                         - (con un grido) Oh Dio! Che cos'è?

Adamo                          - Non si spaventi, signorina: è uno scoiattolo.

Clotilde                         - (tagliente) Non occorre che me lo inse­gniate voi. Lo so da me che è uno scoiattolo. Ma ve­dendomelo venire incontro così all'improvviso, ho cre­duto che mi saltasse addosso.

Adamo                          - (squadrandola) Oh, no!... È una bestia in­telligente... (Via).

Clotilde                         - (brontolando) Dovunque vada non sento che stupidi scherzi e beffe volgari! Ecco la nostra scuo­la... Buongiorno.

Anna                             - (senza alzare la testa) Buongiorno, Clotilde.

Clotilde                         - (ad Anna) Hai uno spillo? Ho perduto un bottone... qui al polso.

Anna                             - Tieni, cara.

Clotilde                         - (appunta il polsino) Grazie... Chi sa perché i miei bottoni si staccano sempre...

Baragn                          - Per i suoi gesti troppo energici, caro col­lega.

Clotilde                         - Certo non sono mite come lei. Col suo buon cuore la disciplina non sì ottiene. Va già abba­stanza male la nostra scuola... non c'è autorità. Che cosa non hanno la sfacciataggine di fare le ragazze! Stamane quando attraversavo il cortile, mi hanno tirato una noc­ciola sulla testa.

Varias                            - (con finto stupore) Una nocciola?

Clotilde                         - Se riesco a scoprire quella canaglia...

Varias                            - (ammiccando verso Baragn) La scoprirò io! (Gli altri ridono).

Clotilde                         - Che c'è da ridere? Voi giustificate e per­donate sempre tutto. Ed ecco i risultati. (Cava dalla ta­sca parecchi oggettini da toletta femminile) È il bottino fatto durante la lezione.

Anna                             - Non m'ero mai accorta che le ragazze si truc­cassero.

Clotilde                         - Non lo fanno certo per noi... ma per qual­che professore...

Baragn......................... - (subito) Io sono innocente! n

 Varias                           - Anch'io!

Clotilde                         - (squadrandoli) Oh! lo credo... Prima della lezione dì storia del signor preside... se sentiste che da fare nei lavabi... quante risate... con che ardore si li­sciano, si fanno belle... e durante la lezione, poi... tutte attente come angeli! Solo con me sghignazzano spudora­tamente! Ho segnato la Draskotzi nel registro.

Anna                             - L'ho già punita. Ma ha qualche attenuante. Anzi vorrei parlartene a quattr'occhi.

Clotilde                         - Superfluo. So di che si tratta... Nelle va­canze me ne farò fare un'altra. (Si aggiusta la cintura. Amara) Non capisco che cosa mi succede... perdo tutto... tutto mi diventa largo.

Varias                            - Non dovrebbe arrabbiarsi tanto.

Clotilde                         - Impossibile. Non mi creda cattiva. Al contrario! Sono le ragazze cattive con me. Da trenta anni mi maltrattano, mi perseguitano, mi martorizzano coi più raffinati supplizi. Disegnano la mia caricatura... m'hanno soprannominata « Puntaspilli ». Che colpa ne ho io se devo tenermi su i vestiti con gli spilli? (Sin­cera) Intere generazioni di ragazze hanno versato su me la loro malvagità. Appena una nuova alunna entra al liceo le sussurrano in gran segreto: bisogna torturare la Sàlkai.

Baragn                          - Non esagera un po'?

Clotilde                         - Vorrebbe insinuare che soffro di manìa di persecuzione? Non me ne stupirei. (Altro tono) Per me non c'è che un sistema: rigore implacabile. Mi chia­mano «Puntaspilli? » E Puntaspilli sono; ma chi com­mette l'imprudenza dì toccarmi si punge.

Varias                            - (un po' pentito) Le domando scusa, cara collega... La nocciola gliel'ho tirata io stamane.

Clotilde                         - (sorride) E pretende di insegnare a vi­vere alla gioventù?

Varias                            - Mah... già da un pezzo sospetto che la gio­ventù insegna a vivere a noi.

Clotilde                         - Ah, ah! Le nuove teorie! Noi esaltiamo troppo la superiorità dei giovani. Ma non si tratta che di una superiorità fisica. (Volgendosi ad Emma Walter che entra) Su questo punto però il miglior giudice è la nostra cara maestra di ginnastica.

Emma                            - (giovane, bella, ha in mano una bacchetta per battere il tempo) Scusino... non so di che si parla.

Clotilde                         - Del culto dell'educazione fisica che lei esercita qui, cara Emma. Se una ragazza giuoca bene il tennis, diventa l'eroina della scuola...

Emma                            - Scusino. Di tutte le materie che qui si in­segnano, la ginnastica mi sembra l'unica dalla quale si possano ricavare dei vantaggi nella vita... Il tennis si giuocherà sempre, questo è certo! (Batte energicamente la bacchetta).

Clotilde                         - Prego, non faccia quel rumore. È già ab­bastanza sopportarlo quando si fa ginnastica in cortile.

Emma                            - Purtroppo non se ne può fare a meno. La settimana prossima ci saranno le gare e bisogna metter in testa alle ragazze di andare a tempo.

Baragn                          - Sì, sì... è la cosa più importante. Tutta la generazione di oggi va a tempo. E anch'io me ne andrò a tempo in pensione.

(Dal corridoio entrano, discutendo animatamente,  Eghedus e Ratz, due professori asciutti, indifferenti, sempre presi dai loro affari. Sono indivisibili).

Ratz                              - ... È un errore madornale. Ho già fatto i calcoli io... Per lo Stato è un affare ottimo.

Baeacn                          - Che c'è, Ratz? Quali nuovi calcoli hai fatto?

Ratz                              - Giusto. È una questione che interessa anche te. Si tratta del fondo pensioni. Spiegavo a Eghedus che lo Stato ci trattiene per trentacinque anni il due per cento. Viceversa il tempo di godimento della pensione è quasi sempre di un anno e mezzo.

Eghedus                        - Qui sta l'errore. Io sostengo invece che i pensionati vivono molto a lungo.

Baracn                           - (soddisfatto) Bravo! Mi fa molto piacere sentirlo dire. Del resto i calcoli non dicono mai la ve­rità. Finché non ci basta lo stipendio, siamo sempre giovani.

Anna                             - (alza la testa) Allora io sono una bimba.

Varias                            - Lei vive cosi modestamente, signorina.

Anna                             - Però ho comprato un pianoforte a rate...

Emma                            - Tu almeno hai comprato un pianoforte. Ma io, il mio stipendio me lo mangio tutto. La ginnastica fa venire un appetito...

Clotilde                         - A me, i dentisti mi mandano in rovina. Quando i miei denti saranno finalmente a posto, non avranno nulla da masticare.

Ratz                              - E poi sempre nuove trattenute! Per esempio, quegli ultimi tre pengo...

Varias                            - ... sono serviti per la corona del povero Reidner...

Ratz                              - Ah sì? Non lo sapevo.

Varias                            - Vedete? Non vale la pena di far calcoli sui nostri stipendi. E poi, per noi è meglio esser poveri.

Ratz                              - È una falsa filosofia. Non siamo monaci, noi. Dobbiamo pagare il gas e la luce elettrica. Anzi c'è una teoria secondo la quale anche gli insegnanti de­vono nutrirsi.

Eghedus                        - Non discutiamo. Il nostro è un mestiere come gli altri. E come accade per tutti i lavori onesti, neanche col nostro si raccoglie nulla.

Varias                            - Errore. Io, per esempio, ho raccolto...

Ratz                              - Che cosa?

Varias                            - I pidocchi delle piante. In tutta l'Ungheria ho la collezione più completa.

(Dal corridoio entra Edmondo Richtig, professore di matematica. È un uomo allampanato, angoloso, con la scriminatura nel mezzo di una testa un po' quadrata che rassomiglia ad una scatola. Le lenti gli cavalcano sul naso, maligne e spietate. Maddalena Barabas, una alun­na del ginnasio, gli corre dietro come un cagnolino).

Richtig                          - Sentite, Barabas, è inutile corrermi dietro fin qui. Tanto non vi serve a nulla. (Agli altri) Salute.

Maddalena                    - (implorando) La prego, professore... Ancora una domanda... una sola...

Richtig                          - Mi dispiace, ma io interrogo solo in clas­se. Nell'intervallo ho altro da fare. È tornato il preside?

Anna                             - Dovrebbe essere qui da un momento all'altro...

Richtig                          - Vorrei parlargli. In questa scuola vi sono sintomi di indisciplina addirittura insopportabili... Mi fanno uscire dai gangheri.

Maddalena                    - (continua ad implorare) Scusi, profes­sore, mi creda... ero preparata benissimo...

Richtig                          - (voltandosi) Siete ancora qui?

Maddalena                    - Ieri ho ripassata la lezione tutto il po­meriggio. Ma appena vedo il suo sguardo dietro le len­ti, di colpo dimentico tutto. (Gli altri cominciano a seguire con interesse la scena).

Baragn                          - (con bontà) Siamo deboli in matematica, eh Barabas?

Richtig                          - (cupo) Molto deboli.

Baragn                          - È una cosa triste. Ma adesso pregherò il professor Richtig di rivolgervi ancora una domanda. Per farmi piacere.

Richtig                          - Solo per far piacere al professor Baragn. Ringraziatelo.

Maddalena                    - Grazie, professore.

Richtig                          - Per non fornirvi nessun pretesto, mi to­glierò anche le lenti. (Eseguisce). E ora vi faccio una domanda semplicissima. Ascoltate.

Maddalena                    - Ascolto.

Richtig                          - (marcato) Un uomo ha due portafogli. Se dal primo prende dieci pengo e li mette nel secondo, in questo vi sarà una somma eguale alla metà di quella rimasta nel primo. Se invece prendesse dieci pengo dal secondo portafoglio e li mettesse nel primo, in questo vi sarebbe una somma otto volte maggiore di quella rimasta nel secondo. Quanti pengo vi sono nel primo portafoglio e quanti nel secondo? (Tutti i presenti in fondo alla sala cominciano a fare dei calcoli. Si sente un mormorio sommesso).

Clotilde                         - Ha due portafogli...

Eghedus                        - Dall'uno tolgo dieci pengo...

Richtig                          - Dunque, avanti: rispondete.

Maddalena                    - (disperata) Sì, professore. Un uomo ha due portafogli... Un uomo ha due portafogli... Due portafogli ha un uomo...

Richtig                          - È inutile ripetere il quesito... Prendete carta e matita e fate il calcolo. (Con aria vittoriosa e maligna passeggia su e giù).

Baracn                           - (sottovoce a Varias) Lo sai, tu?

Varias                            - Non ne ho la minima idea...

Anna                             - (o Emma) Quanto credi che ci sia nel primo?

Emma                            - Io insegno ginnastica...

Eghedus                        - « A » meno dieci, è uguale a due volte « B » più dieci...

Ratz                              - Errore: « A » più dieci è eguale a otto volte « B » meno dieci.

Clotilde                         - Otto « X » meno « Y » è uguale a ottanta.

Richtig                          - Dunque, Barabas, non ci siete ancora? Si sarebbero già potuti fare i «alcoli per la costruzione di un ponte ferroviario.

Maddalena                    - (risoluta) Sono pronta, professore.

Richtig                          - Allora, quanto?

Baragn                          - (suggerisce) Trentacinque e novanta.

Maddalena                    - (felice) In un portafoglio vi sono tren­tacinque pengo e nell'altro novanta.

Richtig                          - Sbagliato. In uno ve ne sono settanta e nell'altro venti. Volevo soltanto dimostrarvi che la colpa non è delle mie lenti. (Se le rimette). E se risponde­rete così all'esame potete giurare che sarete bocciata.

Maddalena                    - (scoppiando in pianto) Farò del mio meglio, professore... Studierò ancora.

Richtig                          - Ci rivedremo agli esami. Potete andare.

Maddalena                    - Sì, professore... La riverisco... (Facen­do una piccola riverenza) Buongiorno, signorina. (Esce piangendo).

Baragn                          - Povera piccina!

Richtig                          - Le hai suggerito male.

Baragn                          - Neanche il diavolo avrebbe indovinato. Del resto la domanda era assurda. Chi vuoi che pos­segga due portafogli, oggi?

Emma                            - E chi toglie del denaro da un portafogli per metterlo in un altro?

Anna                             - Avrebbe potuto farle anche una domanda più semplice...

Richtig                          - Non lo meritano. Non bisogna avere false commiserazioni. Crede che esse siano più indulgenti con noi? Prima, venendo qui, ho sentito ridere nel cor­ridoio. Erano due ragazze...

Clotilde                         - È vero, è vero... Ridono sempre tra loro. Vorrei sapere, perché...

Baragn                          - Perché sono giovani... Anch'io riderei se avessi la loro età.

Clotilde                         - (a Baragn) Lo conosciamo già il suo modo di pensare. Continui, collega Richtig. Che è ac­caduto nel corridoio?

Richtig                          - Mi sono avvicinato silenziosamente e una di esse ha dato uno spintone all'altra dicendo: « Taci! Viene " Scatola "! ».

Varias                            - Scatola?!

Richtig                          - Già. Così ho saputo che questo è il mio soprannome. Che ne dici, Baragn? (Breve pausa). Perché poi « Scatola »? Ho la testa quadrata, forse? (Gli altri si guardano e sorridono).

Baragn                          - Per un professore di matematica non può essere offensivo...

Varias                            - E del resto il cubo tra le figure solide è la più nobile e la più pura.

Richtig                          - Sotto questo aspetto si può anche ac­cettare.

Varias                            - Come professore di storia naturale osservo che la denominazione ha una base scientifica. L'umanità si divide in due grandi classi: i quadrati e i rotondi, gli angolosi e gli smussati, i ruvidi e i lisci. Ritengo logico che entrambe le classi siano presenti nel corpo insegnante... perché in sostanza la pedagogia che noi rappresentiamo non è che un eterno conflitto tra prin­cipi opposti: bene e male, vizi e virtù, grettezza e li­bertà di spirito.

(Entra il preside dottor Stefano Kulciar, professore di storia. E un uomo retto, di circa 45 anni, di bella apparenza. È il classico tipo del professore, ma non è mai comico. Ha modi aristocratici e un po' ingenui e la sua eleganza è leggermente antiquata. Ha le tempie grigie, il volto rasato, l'esteriorità dì un ecclesiastico).

Stefano                         - Buongiorno, signori.

Baragn                          - Buongiorno, caro preside. Che novità porti dal Ministero?

Stefano                         - Sono lieto di comunicarvi che gli esami di maturità saranno presieduti dall'ispettore Endrody.

Anna                             - Oh, come sono contenta! È proprio il mio uomo. Un filologo di prim'ordine, che ha un vero de­bole per Orazio...

Stefano                         - ... e un rispetto assoluto per i classici.

Richtig                          - E con la matematica, in che rapporti è?

Stefano                         - Pessimi, credo. Purtroppo, caro collega, è così. Ad eccezione di chi è costretto ad insegnarla, tutti dimenticano la matematica. Anche noi... Figuriamoci, poi, gli studenti...

Richtig                          - Oh, gli studenti dimenticano tutto.

Stefano                         - È vero! Dopo la licenza, sciamano via come api, lasciando nell'alveare vuoto il miele raccolto in otto anni... Ma ne sentiranno sempre la dolcezza. Dimenticheranno le formule astruse della scienza, ma avranno acquistato il gusto del sapere, e saranno in grado di comprendere la divina poesia delle cose... Se otteniamo questo risultato... anche se dalla scuola non portano via altro... la nostra fatica non sarà stata vana e possiamo con animo tranquillo goderci le vacanze esti­ve. (Breve pausa. La campana suona).

Richtig                          - (avviandosi) Vi sarebbe qualche cosa da obbiettare alle parole del signor preside, ma purtroppo me ne manca il tempo, perché ho lezione. (Esce).

Clotilde                         - Vengo anch'io, collega Richtig. (Lo segue).

Ratz                              - (si avvia) Credo che dobbiamo andare tutti...

Eghedus                        - Fortunati voi, che all'una avete finito! Io, nel pomeriggio, ho ancora stenografia... (Via).

Emma                            - Al lavoro, poltroni! (Fa schioccare la bac­chetta) Uno, due! uno, due! Marsch! (Scherzosamente li fa uscire).

Anna                             - (la richiama) Scendi in cortile?

Emma                            - (dal vano della porta) Sì: mezz'ora di gin­nastica libera e mezz'ora di tennis.

Anna                             - Raccomanda alle ragazze di stare attente alle finestre. Non si fa altro che rimetter vetri!

Emma                            - Pretendi troppo. Se la mia squadra fosse tanto brava da non sbagliare mai un colpo, la farei partecipare alle olimpiadi. (Esce).

Varias                            - Come l'accompagnerei volentieri... (Si av­via).

Stefano                         - Varias, dove vai?

Varias                            - Ad alimentare i miei animali.

Baragn                          - Con le nocciole?

Varias                            - Con la naftalina. L'estate si approssima e le tarme hanno già roso l'orso nero. Arrivederci. (Via).

Stefano                         - A proposito, Baragn: sono riuscito ad ot­tenere che tu sia messo in pensione col primo settembre. Ciò vuol dire che, anche durante i mesi estivi, perce­pirai l'intero stipendio.

Baragn                          - (contento) Ah sì?! È molto bello quello che hai fatto. Così potrò permettermi, per l'ultima vol­ta, delle vacanze piacevoli. Ti ringrazio.

Stefano                         - E ora va'; non fare attendere le alunne. O forse hai già espletato il programma?

Baragn                          - Non l'ho neanche! mai cominciato. (Men­tre esce) Sai, la filosofia non ha né principio né fine: si può mettere dove si vuole... (Via).

Stefano ....................... - Poveretto! Forse sperava ancora di non andare in pensione... Non riusciva a persuadersi che questo è il suo ultimo anno scolastico.

Anna                             - (con un sospiro) L'anno scolastico mìllenovecentotrentaquattro -trentacinque!... È passato in un lampo...

Stefano                         - Eppure ci sentiamo invecchiati di due anni... Millenovecentotrentaquattro-trentacinque... Forse per quest'uso della scuola di contare a semestri...

Anna                             - Dopo gli esami di maturità congederò le mie ragazze. Le ho accompagnate per otto anni; erano bimbe, quando le ho avute, e ora sono signorine da marito.

Stefano                         - Ma lei perché non si è sposata mai?

Anna                             - Una volta... durante le vacanze, qualcuno chiedeva la mia mano. Ma poi, in settembre, quando l'allegro cinguettìo della scuola mi risalutava... (con un gesto) ... insieme con le rondini volavano via anche i propositi matrimoniali.

Stefano                         - Strano... una vita che appartiene intera­mente alla scuola.

Anna                             - Non ho scelta, signor preside. Sono prigio­niera di questo edificio... Eppure qui mi sento felice... (con una sfumatura di tenerezza) ... perché qualche vol­ta posso essere utile a lei...

Stefano                         - A proposito!... Dimenticavo la cosa più importante. (Con una certa solennità) Il Ministero dell'Istruzione, con decreto numero millesettecentottanta-trè, in data di ieri, ha concesso che il nostro libro possa essere adottato come testo scolastico.

Anna                             - (felice) Il nostro libro! (Modesta) Oh! è esagerato, signor preside! È il « suo » libro. Quello che ho fatto io vale così poco...

Stefano                         - No, no, senza lei non l'avrei mai finito. La materia della storia antica è immensa e molto com­plessa.

Anna                             - Spero che quest'estate scriveremo la « Sto­ria del Medio Evo ».

Stefano                         - Oh, no! Non è neanche il caso di par­larne. Non permetto che lei sacrifichi le sue vacanze.

Anna                             - Ma se lo faccio volentieri...

Stefano                         - Mi rincresce, ma non posso accettare. Lei ha lavorato qui fin troppo durante l'inverno. Qualche volta, a tarda sera, era ancora china sui compiti. E non le ho detto nemmeno grazie! Sono un vero egoista come tutti i vecchi celibi.

Anna                             - (con voce un po' roca) Non deve ringra­ziarmi... Erano le mie ore più belle...

Stefano                         - Ma io le devo molto... moltissimo, anzi. La cosa non è tanto semplice. Già da tempo mi rendo conto che a questa nostra collaborazione... a questo no­stro legame fatto di reciproca comprensione, si dovreb­be, prima o poi, dare una forma ufficiale...

Anna                             - (quasi con terrore) Signor preside...

Stefano                         - ... sempre, beninteso, che lei non abbia nulla in contrario...

Anna                             - Io?... (Piena di speranza) Non capisco che cosa voglia dire...

Stefano                         - ... ritengo che questa nostra unione debba essere ufficialmente sanzionata... nel senso che i nostri nomi risultino uniti anche dinanzi agli occhi del mondo.

Anna                             - (somm-essa) Oh Dio!

 Stefano                        - Non mi dica di no, e consenta che anche il suo nome sia stampato sul nostro libro di testo.

Anna                             - (delusa) Sul nostro libro...

Stefano                         - (deciso) Voglio che il frontespizio abbia questa dicitura: a Trattato di Storia Antica di Stefano Kulciar e Anna Mate ».

Anna                             - (si accascia sui compiti) Le sono obbligatis-sima, signor preside...

Stefano                         - (ingenuo) Non suona bene, forse?

Anna                             - (con voce incolore) Non posso accettare. Il mio lavoro è stato insignificante... non sono degna di questo onore...

Stefano                         - (stupito) Non comprendo... Allora perché ha lavorato con tanto zelo, con tanto amore?

Anna                             - (con rassegnazione) Perché... amo la storia antica, signor preside.

Stefano                         - Con quanta malinconia lo dice...

Anna                             - Anch'io ho i miei momenti di stanchezza. A volte, quando sto qui a correggere in rosso i com­piti latini, sono presa dallo scoraggiamento. Quante lotte per le declinazioni che quelle care cattive ragazze non impareranno mai. Per otto anni mi sono inutilmen­te consumata per loro. Sono esse che hanno ragione. Fra quindici giorni scivoleranno attraverso gli esami di maturità perché io non avrò cuore di bocciarle... e se ne andranno incontro all'estate, fresche, allegre, giova­ni. Io rimarrò qui... (con un sorriso doloroso) e starò attenta a tappare con molta cura la boccetta dell'inchio­stro rosso affinché non si secchi per il prossimo anno scolastico.

Stefano                         - (con un sorriso) È molto importante: l'in­chiostro rosso è il sangue della scuola... non deve mai coagulare. (Di fuori si sente la voce di Emma: «Uno, due! Uno, due!... »).

Anna                             - (verso la finestra, con infinita rassegnazione) Fanno la ginnastica in cortile... le mie ragazze... (Un attimo di silenzio, poi Clotilde irrompe, ansante e agitata).

Clotilde                         - Signor preside... mi perdoni se la di­sturbo...

Stefano                         - Dica pure, signorina Sàlkai.

Clotilde                         - Una cosa molto grave... gravissima.

Anna                             - Che è accaduto, Clotilde?

Clotilde                         - Un momento... devo riprender fiato. Ho fatto le scale di corsa.

Stefano                         - Si accomodi.

Clotilde                         - Grazie. Ormai sono già rimessa. Si trat­ta della tua classe.

Anna                             - Allora parla, parla!

Clotilde                         - L'ottava bis è alla ginnastica in cortile... Devo confessare di aver fatto una piccola perquisizione nell'aula vuota.

Anna                             - (fredda) Nella « mia » classe? Strano!

Clotilde                         - Scusami, è stata una debolezza... Mi ero accorta che le ragazze, durante la lezione, avevano fatto delle caricature mie e le avevano poi gettate...

Anna                             - (interrompendo) Insomma hai rovistato nei cestini!

Clotilde                         - Ho ceduto alla curiosità... In fin dei conti sono donna anch'io...

Stefano                         - E li ha poi trovati quei disegni?

Clotilde                         - (con indifferenza) Sì... qualcuno, ma... (Altro tono) Ma non è per questo che sono qui, signor preside. Ho trovato un'altra cosa... una cosa orribile, rivoltante.

Anna                             - Insomma, che?

Clotilde                         - Una lettera d'amore!

Anna                             - Come?

Clotilde                         - Per essere più precisi la minuta di una lettera d'amore che una delle tue scolare deve aver ri­copiato durante la lezione. La lettera, senza dubbio, l'ha già spedita (tagliente) al suo amante!

Stefano                         - Che dice mai?

Anna                             - Clotilde, hai perduto la ragione?

Clotilde                         - L'ho perduta proprio... tanto vero che sono venuta qui correndo. Del resto, ecco... eccola que­sta sconcezza... Leggi anche tu. (Le consegna un fo­glietto gualcito).

Anna                             - (comincia a leggere) « Mio unico, eterno amore! ».

Stefano                         - (seccato) Comincia bene...

Anna                             - « Mentre ti scrivo le mie labbra ardono an­cora dei tuoi baci... ». (Breve pausa. Poi continua a leg­gere con doloroso stupore) « Ti amo... sono pazza... ho le vertigini... ». Scusi, signor preside... forse sarebbe preferibile non continuare.

Clotilde                         - Continuo io! (Le riprende con energia il foglietto) « Un fuoco mi scorre per le vene quando penso agli istanti felici in cui mi stringevi tra le tue braccia... ». Signor preside, forse è meglio che la leg­ga lei...

Stefano                         - Che brutto affare... (Legge) « Un fuoco mi scorre per le vene quando... ». (Cerca nelle lettera e riprende) « Chiudo gli occhi... e rivivo la nostra gita all'Albero di Norma... ». (Stupito) All'Albero di Norma?

Clotilde                         - Sì, sì. È evidente. La cosa è accaduta l'altro ieri durante la gita della scuola... Direi quasi: sotto la sorveglianza degli insegnanti. Terribile! Ecco la tua famosa ottava bis!

Anna                             - Non riesco a capire...

Clotilde                         - Eppure la lettera parla chiaro. Le ra­gazze sono venute da Santa Maria della Quercia e all'Albero di Norma quella sciagurata è fuggita per rag­giungere l'uomo col quale aveva fissato prima l'appun­tamento. Lascio immaginare alla tua fantasia ciò che sarà accaduto nel bosco.

Stefano                         - (legge) « Non ricordo altro che il mor­morio della brezza primaverile tra le fronde... Di lon­tano giunse il canto di un usignuolo e all'improvviso, quasi furtivamente, il tramonto penetrò nel bosco... ».

Anna                             - (fuori di sé) Ma se questo è vero, allora...

Stefano                         - Purtroppo temo che sia vero.

Anna                             - E la firma?

Stefano                         - Non c'è. Ora si dovrà stabilire chi l'ha scritta.

Anna                             - Tocca te indagare, Clotilde. Sei tu che l'hai scavata fuori questa faccenda... e devi condurla a ter­mine.

 Clotilde                        - No, scusa. La titolare dell'ottava bis sei tu. È affar tuo.

Anna                             - (irritata) Perché frugare nei cestini?

Clotilde                         - (scatta) Insomma... la colpevole sono io, adesso?

Anna                             - Sarebbe stato meglio ignorare... Quindici giorni prima degli esami di maturità far venire a galla una cosa simile... Bell'addio della mia classe!... (Dal cortile si sente: «Uno, due! Uno, due»).

Clotilde                         - Ah, quella bacchetta! Mi spacca il cer­vello!

Anna                             - (verso la finestra) Trenta ragazze fanno la ginnastica laggiù e tra esse ve n'è una che già non appartiene più alla scuola.

Stefano                         - È una faccenda molto spiacevole... Vorrei poterla mettere a posto senza che il buon nome della scuola ne soffrisse.

Clotilde                         - Tale compito è affidato alla saggezza del signor preside. Io avevo il dovere di mettere su questo tavolo un documento che mi bruciava le mani.

Anna                             - Se ti proponevi di dimostrare che le ragaz­ze, in primavera, qualche volta perdono la testa, ci sei riuscita perfettamente.

Clotilde                         - Quella lettera è il trionfo delle mie teo­rie. Ora anche tu puoi vedere i frutti dell'indulgenza e della bontà. Si comincia in classe a beffare gli inse­gnanti, e si termina laggiù (indica fuori della finestra) all'Albero di Norma, oltraggiando spudoratamente la reputazione della scuola. Questo volevo dimostrare. Hai un altro spillo?

Anna                             - No.

Clotilde                         - Non importa. (Si aggiusta la cintura). Fino a casa ci arrivo. I miei rispetti, signor preside. (Esce trionfante).

Stefano                         - Un vero scandalo!

Anna                             - Non si potrebbe mettere tutto a tacere?

Stefano                         - Impossibile! (Eccitato) Conosco bene cer­te alleanze. « Puntaspilli » e « Scatola »... saranno fe­lici d'avere l'occasione di sfogare il loro livore...

Anna                             - E come dobbiamo regolarci?

Stefano                         - Punire con rigore esemplare. Sa di chi è questa calligrafia?

Anna                             - Senza dubbio. L'ho vista anche mezz'ora fa. Ho corretto proprio qui il compito latino.

Stefano                         - Allora confrontiamo, presto.

Anna                             - (cerca fra i quaderni) Ecco!

Stefano                         - (confronta attentamente con la lettera) No, no. Somiglia un po', ma certamente non è questa. (Le prende di mano il pacco dei quaderni e comincia a sfo­gliare). Ho trovato.

Anna                             - Caterina Horvath?! Impossibile. La mia alunna prediletta? Ha una condotta irreprensibile.

Stefano                         - Mi rincresce... Guardi bene questa « t »... guardi il taglio... (Deciso) Non c'è dubbio. La lettera è stata scritta da Caterina Horvath. (Breve pausa). Per caso, non sa chi è suo padre?

Anna                             - Gaspare Horvath, consigliere al Ministero dell'agricoltura.

Stefano                         - Ahi, ahi!... Diventa sempre più spiace­vole.

Anna                          - Una delle migliori famiglie... ricchissima... la madre è una signora molto distinta... appartiene all'alta società.

Stefano                         - Ma siccome la signorina Sàlkai ha voluto mettere le mani nel cestino, dobbiamo procedere ad un interrogatorio. Prego, la faccia chiamare dal bidello.

Anna                             - Non occorre. Fa ginnastica qui, sotto la fi­nestra. (Va alla finestra e chiama) Caterina Horvath!

Caterina                        - (di fuori) Presente!

Anna                             - Vieni subito su dal signor preside.

Caterina                        - (c. s.) Sì, signorina.

Anna                             - (si allontana dalla finestra) Non lo posso cre­dere... Quanti segreti si nascondono nelle ragazze... Ep­pure è vero... l'ho sempre intuito... hanno diciotto an­ni!... Sentivo in loro un'agitazione... un turbinare di forze diverse... ma che si potesse giungere fino a que­sto punto non avrei mai immaginato... Mi sono ingan­nata sul loro conto... anzi, su me stessa mi ingannavo.

(Dal corridoio Caterina Horvath entra con un volo. È in costume da ginnastica coi calzoncini corti e quando irrompe dal cortile pieno di sole nell'austera sala dei professori, il suo corpo quasi nudo, agile ed ansante, coi piccoli seni tesi sotto la maglietta, la sua fresca bellezza tutta sprazzi e faville, diffonde un senso di vitalità acerba ed eccitante. Il succinto abito da ginna­stica nella tetra sala produce quasi uno sbigottimento dei sensi dal quale deriva un attimo di penoso silenzio).

Caterina                        - Bacio le mani, signorina Anna. Ai suoi ordini, signor preside.

Stefano                         - Horvath... come osa presentarsi nella sala dei professori?

Caterina                        - Io?... Scusi... (Si guarda spaventata).

Stefano                         - Quel costume è adatto nel cortile o nella sala di ginnastica... ma qui è indecente.

Caterina                        - (imbarazzata) Scusi. La signorina Anna mi ha detto di venir subito dal signor preside...

Anna                             - (impaziente) Sì, sì. Ma ora vatti a mettere qualche cosa addosso.

Stefano                         - E poi torni subito qui. Ha capito?

Caterina                        - Sì, signor preside. (Via in fretta. Stefano involontariamente la segue con lo sguardo e tentenna il capo).

Anna                             - (confusa) La colpa è mia. Non ho pensato che era così.

Stefano                         - (guarda ancora verso la porta) Quanti an­ni ha?

Anna                             - Diciotto.

Stefano                         - Pare che la vita non si regoli sul calen­dario scolastico... Con quella ragazza è andata un po' troppo in fretta.

Anna                             - (stupita) Troppo in fretta?

Stefano                         - Se questo fosse accaduto fra quindici gior­ni, dopo gli esami, noi giudicheremmo in tutt'altro modo. Ci sarebbe da chiedersi se abbiamo il diritto di essere tanto rigorosi.

Anna                             - Un momento fa lei parlava ancora di punire severamente ed ora, ad un tratto, giudica con indul­genza.

Stefano                         - Perché avendo visto la peccatrice nella sua realtà... nuda direi... molte cose si spiegano.

 Anna                            - (un po' amara) È strano che lei possa com­prendere una ragazza. Forse perché non si è difesa... è bastato che le apparisse davanti... così... e la natura ha trovato per lei i migliori argomenti.

Stefano                         - È ingiusta con me. Io non guardo quanto accade con l'occhio dell'uomo... sarebbe incompatibile con la mia posizione... ma per evitarne anche l'appa­renza affido la cosa a lei.

Anna                             - (quasi spaventata) No, no: mi scusi, non è neanche il caso di parlarne.

Stefano                         - Perché no?

Anna                             - Per me è un terreno perfettamente estraneo.

Stefano                         - Lei è una professoressa.

Anna                             - In simili questioni non sono professoressa. Ho sempre evitato questo problema anche nella vita. Non volevo turbare quella calma che il lavoro, la di­sciplina e la scuola hanno creato in me. (Con chiusa passione) In questa materia sono ancora studentessa... Mi mancherebbe la superiorità necessaria... Caterina è ormai già una donna.

Stefano                         - Una donna?

Anna                             - Sì... Nella mia classe v'è una giovane don­na... nel terzo banco a sinistra. E io che sono sulla cat­tedra... (Con un po' di violenza) No, no! Se proprio vuole affidare l'inchiesta ad una di noi, c'è Clotilde, signor preside.

Stefano                         - È impossibile! La signorina Sàlkai stron­cherebbe una giovine vita. Si vendicherebbe delle sue sofferenze di trenta anni... Sarò costretto ad occupar­mene io stesso. (Rientra Caterina completamente ve­stita) .

Caterina                        - Eccomi, signor Preside.

Stefano                         - (la squadra) Così va bene. Ora possiamo parlare.

Caterina                        - Ai suoi ordini.

Stefano                         - Dunque... lei è Caterina Horvath... ottava bis... terzo banco a sinistra.

Caterina                        - Sì, signor preside.

Stefano                         - Se ben ricordo l'ho interrogata recentemente.

Caterina                        - Appunto, signor preside, sulla Guerra dei Trent'Anni e le conseguenze della pace di Westfalia.

Stefano                         - Vediamo un po' i suoi punti. (Anna gli porge un registro). Dieci... dieci... nove... È veramente increscioso.

Caterina                        - (stupita) Non comprendo, signor preside.

Stefano                         - Un'alunna così brava e... Mi dica, Hor­vath, ha compiuto i diciotto anni, lei?

Caterina                        - Ne ho già compiuti diciannove, signor preside.

Stefano                         - (sorpreso) Come mai è in ritardo?

Caterina                        - Fui ammalata da bambina e ho perduto un anno.

Stefano                         - Insomma sono diciannove. (Scambia uno sguardo significativo con Anna) Sulla condotta nulla da dire?

Anna                             - Nulla, che io sappia.

Caterina                        - La signorina Sàlkai un giorno mi ha se­gnata nel registro della classe perché durante la lezione mangiavo un panino imbottito.

Stefano                         - E perché mangiava?

Caterina                        - Perché avevo fame, signor preside.

Stefano                         - (marcato) Insomma non ha saputo aspet­tare la fine della lezione! Sintomatico... veramente sin­tomatico.

Anna                             - Senti, Horvath... ora ti lascio qui. Tu hai commesso una grave mancanza... hai trasgredito alle re­gole morali e disciplinari della scuola. Non c'è che un modo per attenuare un po' la tua colpa: confessare tutto al signor preside.

Caterina                        - Ma io... scusi...

Anna                             - Non interrompermi quando parlo... Fatti co­raggio e di' la verità... la pura verità... (A Stefano) Col suo permesso, signor preside, mi ritiro. (Esce. Breve pausa).

Stefano                         - Si avvicini, Horvath.

Caterina                        - (fa gualche passo) Sì, signor preside.

Stefano                         - Ancora di più, qui al tavolo.

Caterina                        - (esegue) Ai suoi ordini.

Stefano                         - Lei non è più una bambina, è già grande, anzi. Io dunque non parlo come un professore all'a­lunna, ma come un giudice all'accusata. Si sente col­pevole?

Caterina                        - (stupita) Io?... Scusi... e perché?...

Stefano                         - Insomma non sa perché l'ho fatta chia­mare?

Caterina                        - Non ne ho la minima idea.

Stefano                         - Ci pensi un po'.

Caterina                        - Non faccio altro da quando son qui.

Stefano                         - Mi guardi negli occhi e mi dica franca­mente: in questi ultimi giorni non ha fatto qualche cosa indegna di lei? (Caterina china la testa). Vede?... Non osa guardarmi... dunque lei sa perché l'ho fatta chia­mare.

Caterina                        - Sì.

Stefano                         - Allora confessa?

Caterina                        - Confesso.

Stefano                         - Quali attenuanti invoca?

Caterina                        - Ero stanchissima. Prima degli esami c'è tanto da studiare. In certe condizioni non si può fare a meno di accendere una sigaretta.

Stefano                         - Come? Lei confessa di aver fumato?

Caterina                        - Naturale. (Breve pausa. Altro tono) Non è per questo che m'ha fatta chiamare?

Stefano                         - Fosse soltanto per questo... Già da un pezzo so che voialtre fumate di nascosto.

Caterina                        - Allora non so proprio che cosa vuole da me, signor preside.

Stefano                         - Credo di non averla convenientemente giu­dicata, Horvath... Ha scelto un sistema di difesa molto abile... (Altro tono) A quanto mi risulta lei appartiene ad una famiglia agiata.

Caterina                        - Abbastanza.

Stefano                         - I suoi genitori senza dubbio si propon­gono di maritarla presto...

Caterina                        - La mamma vorrebbe che...

Stefano                         - Ecco, vede... Lei dunque non ha nessun bisogno della licenza di maturità.

Caterina                        - Perché mi dice questo, signor preside?

Stefano                         - Che accadrebbe, Horvath, se lei, volontariamente ora abbandonasse la scuola... se ne allonta­nasse... in buona pace e con tutta cordialità?

Caterina                        - (stupita) Quindici giorni prima della licenza?

Stefano                         - Mi ascolti, Horvath. Se lei ora mi di­chiara che di sua spontanea volontà lascia il liceo... nello «tesso momento diventa una signorina libera e padrona di sé stessa... la signora Caterina Horvath... alla quale non ho il diritto di chieder conto della sua condotta... Ma se rimane... allora sarò costretto a rivol­gerle delle precise domande.

Caterina                        - Dica pure. Non aspetto altro che il signor preside mi faccia delle domande:

Stefano                         - È appunto quello che vorrei evitare. Cer­chi di comprendermi, Horvath. Non vorrei toccare un tale argomento, qui, fra le sacre mura della scuola, con una ragazza che è tuttora mia alunna...

Caterina                        - ... e che lo sarà ancora, signor preside, finché non saprà quale accusa le viene fatta.

Stefano                         - Mi rincresce Horvath... Ma è lei che mi costringe... Conosce questa lettera? (La porge).

Caterina                        - Che lettera?

Stefano                         - La guardi bene.

Caterina                        - Non capisco... Come è capitata qui?... come mai è nelle mani del signor preside?

Stefano                         - Risponda alla mia precisa domanda: que­sta lettera l'ha scritta lei o no?

Caterina                        - Non l'ho scritta io.

Stefano                         - Non mentisca, Horvath... non mentisca così scioccamente. Si vede dai suoi occhi.

Caterina                        - (disperata) Non l'ho scritta io.

Stefano                         - L'ho confrontata, parola per parola, coi suoi compiti di latino.

Caterina                        - Non l'ho scritta io.

Stefano                         - Ah, sì?... Allora segga. C'è penna e in­chiostro. Le detterò.

Caterina                        - (con un singhiozzo) Signor preside... la scongiuro... mi lasci andare... non ne posso più... (Chi­na la testa sul tavolo appoggiandosi sulle braccia).

Stefano                         - Insomma l'ha scritta lei.

Caterina                        - Io.

Stefano                         - (con un po' di compassione) Si faccia co­raggio. Vuole bere un po' d'acqua?

Caterina                        - (col volto nel fazzoletto) Mi vergogno... mi vergogno tanto...

Stefano                         - (sincero) Mi creda, Horvath... anch'io... Come è potuto accadere una cosa simile?... Disgraziata!

Caterina                        - (stupita) Ma che cosa?... Scusi... di che parla?

Stefano                         - Di quegli orrori che sono descritti lì...

Caterina                        - (sbigottita) Oh Dio! Ma il signor pre­side non crederà che quelle siano cose vere... realmen­te accadute...

Stefano                         - Allora perché avrebbe scritto la lettera?

Caterina                        - Non è una lettera, scusi.

Stefano                         - E allora?

Caterina                        - Sono esercitazioni stilistiche.

Stefano                         - Belle esercitazioni... glielo garantisco... Dove le ha imparate?

Caterina                        - Nella scuola...

Stefano                         - Come?

Caterina                        - Certo. « Epistola ad un amico immagi­nario »... Genere in voga nel diciottesimo secolo.

Stefano                         - Vedo che è molto pratica nella storia della letteratura! Ma le sue descrizioni sono così sug­gestive che senza dubbio sono state ispirate dalla di­retta osservazione dei fatti. All'Albero di Norma, duran­te la gita della scuola, lei si è incontrata con un uomo!

Caterina                        - Non mi sono incontrata con nessuno, gliel'assicuro.

Stefano                         - E allora, da dove ha tirato fuori tutto questo? Una ragazza non può inventare simili cose.

Caterina                        - Il signor preside non conosce le ragazze.

Stefano                         - In che tono osa parlare con me?

Caterina                        - Scusi... m'è sfuggito... Non è colpa mia... sono cosi sconvolta... (Vergognosa) Impossibile soprav­vivere a tanta vergogna. I miei pensieri più segreti... parole scritte solo per me... frasi con le quali mi pre­paravo alla vita... sogni, fantasie... e tutto questo, ora, è tra le mani d'un uomo.

Stefano                         - Io sono il suo preside!

Caterina                        - In questo momento, no... ora che ha letto non è più il preside per me... Mi vergogno come se fosse realmente accaduto.

Stefano                         - E può provarmi che si tratta soltanto di una fantasia giovanile?... di un giuoco del pensiero?... Sebbene, neanche come pensiero, avrebbe dovuto na­scere tra le mura di una scuola!

Caterina                        - E come potrei provare che sino alla so­glia del portone sono ancora una studentessa liceale... se appena fatti pochi passi nell'aria libera la vita mi viene incontro e mi ghermisce?... Perché è inutile ne­garlo... anche se frequento l'ottava bis... (Quasi gridan­do) Signor preside... sono una creatura umana...

Stefano                         - Ed è appunto per questo che non le credo. (Va su e giù). Quella lettera non è il frutto di una fan­tasia accesa... Vi sento l'acre sapore della realtà...

Caterina                        - (tormentata) È naturale che lo sente: esprime il vero... non vero come fatto accaduto... ma come stato d'animo... perché io sono innamorata.

Stefano                         - Horvath!

Caterina                        - Se è peccato amare, mi punisca. Si, io col pensiero sono andata una volta all'Albero di Nor­ma... con l'uomo che amo. È la pura verità... non c'è altro... Sono innocente di quanto lei mi accusa.

Stefano                         - (con impeto) E di chi è innamorata, lei?

Caterina                        - (sbigottita) Come può chiedermi una cosa simile?

Stefano                         - Non glielo domando per curiosità, ma nel suo interesse. È mio dovere aiutarla. Se qualcosa è ac­caduto... si può ancora riparare tutto.

Caterina                        - Non è accaduto nulla! Mi creda, signor preside, la scongiuro. (Testarda) È inutile chiedere. Su questo punto non posso parlare.

Stefano                         - (secco) Allora devo considerare il suo si­lenzio come una confessione... e il Consiglio dei pro­fessori deciderà in conseguenza.

Caterina                        - (spaventata) In che modo?

Stefano                         - (duro) Lei sarà espulsa dalla scuola, Horvath.

 Caterina                       - (quasi con un urlo) Espulsa?! Oh Dio!

Stefano                         - È lei che ci costringe.

Caterina                        - (disperata) Ma allora che dovrei fare?

Stefano                         - (duro) Dirmi la verità. Gliene porgo l'oc­casione per l'ultima volta.

Caterina                        - (in lotta) Mi mette il coltello alla gola. (Sdegnata) Eppure no! Non lo dirò neanche a questa condizione. (Cerca uno scampo nei singhiozzi). Indo­vini, se vuol saperlo ad ogni costo!

Stefano                         - (sbigottito) Che dice?

Caterina                        - (piangendo, vergognandosi, con gli occhi ab­bassati) Non sarebbe difficile indovinare... (a stento) ... se si guardasse un po' intorno... Se non chiudesse volontariamente gli occhi... dovrebbe sapere... dovreb­be sentire che...

Stefano                         - (la interrompe severo) Silenzio! Le proi­bisco di continuare!

Caterina                        - (con uno sfogo) Ormai è tardi! Mi ha torturata troppo... ha minacciato di espellermi... Mi espella, ora. Ma con me deve mandar via tutta l'ottava bis... tutta la scuola... perché l'intero liceo femminile del secondo rione è innamorato di lei, signor preside...

(Un silenzio. Dal cortile si sente: « Uno, due! Uno, due! Uno, due! »).

Stefano                         - (appoggiando le mani al tavolo verde; con tono ufficiale) Caterina Horvath, torni in classe. Sulla sua sorte deciderà il Consiglio dei professori.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Il giorno del Consiglio dei professori. La vita nella sala continua immutata; ma basta guardare il gran tavolo verde per comprendere che si terrà seduta. Il Professor Baragn, seduto sulla solita sedia a bracciuoli, legge il giornale, mentre il Professor Ratz, passeggiando su e .giù, spiega qualcosa al Professor Eghedus e gesticola con vivacità.

Ratz                              - Cento grammi di trinciato «ostano quattro pengo e venti; cento di Erzegovina quattro e sessanta e una scatola di « Barba di Sultano » nove pengo... Fa' la somma e vedrai che ho ragione.

Baragn                          - Di che discutete?

Ratz                              - Del costo delle sigarette: se sono più a buon mercato le « Sovrana » o quelle fatte con la mia mi­scela.

Baragn                          - Le fai tu stesso?

Ratz                              - No, no. Se ne incarica mia moglie.

Baragn                          - Allora non vedo il risparmio. Sarebbe as­sai più economico fumare « Sovrana » e non prender moglie.

Ratz                              - Tu scherzi sempre su tutto.

Baragn                          - Io, invece, mi stupisco di voi. Tra poco dovremo decidere della sorte di una ragazza, e voi, tranquillamente, continuate a discutere di futilità. Non vi interessa questa tragedia?

Eghedus                        - Tragedia?!

Baragn                          - Per voi no... ma quella poverina che si vuole espellere prima dell'esame di maturità è certo di tin'altra opinione. (Entra Emma).

Emma                            - (a Baragn) Buongiorno. Come sta, caro pro­fessore?

Baragn                          - (ancora un po' irritato) Male... grazie.

Emma                            - Lei dovrebbe fare un po' di ginnastica da camera. Quest'esercizio, per esempio. (Esegue) Uno, due! Uno, due!... inchino profondo.

Baragn                          - Inchino? No, no, non è per me. Se avessi saputo inchinarmi sarei ispettore generale da un pezzo.

Emma                            - Ed è proprio peccato che non lo sia. Oggi avremmo tanto bisogno di lei...

Eghedus                        - Non capisco perché si dia così grande importanza a questa cosa. Un'allieva ha commesso una mancanza. La scuola va avanti lo stesso. (Tintinnìo di chiavi. Entra Adamo).

Adamo                          - I miei rispetti a tutti.

Baragn                          - Che ci portate di bello, Adamo?

Adamo                          - L'avviso di convocazione che il professor Ratz non ha ancora firmato. (Glielo consegna).

Ratz                              - (legge a bassa voce) « Il tre corrente... alle ore dodici... Consiglio dei professori... seduta straordi­naria... provvedimenti disciplinari... Caterina Horvath, ottava bis ». Va bene. Ecco. (Firma il foglio e lo restituisce).

Eghedus                        - Allora io vado. Tornerò alle dodici.

Ratz                              - Vengo anch'io. Ho lezione. (Si avvia).

Eghedus                        - Ed è buona la tua miscela?

Ratz                              - (mentre esce) Ottima. Però bisogna che il tabacco sia mantenuto sempre un po' umido perché non si riduca in polvere. Basta tenerci dentro una fettina di patata. Ti assicuro che si risparmia almeno il quin­dici per cento. (Escono. Baragn li segue con lo sguardo).

Baragn                          - E questi saranno poi chiamati a giudicare... Una seduta veramente straordinaria. Non c'è che dire...

Adamo                          - Se le apparenze non ingannano la seduta di oggi sarà tempestosa. La signorina Sàlkai stamane è venuta a scuola con una cinghia di cuoio.

Emma                            - Una cinghia?

Adamo                          - Si può anche chiamarla cintura... ma l'a­spetto senza dubbio era guerresco.

Emma                            - Non la capisco quella Clotilde! Frugare nei cestini, finora era compito del bidello.

Adamo                          - Appunto. È un vero atto di lesa autorità. Che direbbe la signorina Sàlkai se a un tratto salissi in cattedra e cominciassi a dar lezione? (Clotilde entra sulle ultime parole. Adamo ammutolisce imbarazzato).

Clotilde                         - (rude) Continuate pure! Perché siete am­mutolito?

Adamo                          - Io? Prego...

Clotilde                         - Inutile negare. Sono abituata a sentir par­lare male di me... Appena entro in una stanza intorno mi si fa il silenzio. (Con ira) Ma le parole ronzano nell'aria come mosche velenose.

Baragn                          - Non esageri, via... Si accomodi, cara...

Clotilde                         - (biliosa) Grazie. Molto gentile. (Tasta la sedia).

Emma                            - Perché tasta la sedia?

Clotilde                         - È un gesto riflesso. Sempre sulla mia sedia trovo qualche puntina da disegno o una carta gommata: è lo spirito della gioventù moderna. Giorni fa mi sono seduta su una torta di crema.

Adamo                          - Ah, ah, ah!

Clotilde                         - C'è poco da sghignazzare! Era un pen­siero gentile delle alunne per il mio compleanno. Solo che invece di poggiarla sul tavolo hanno messo la torta sulla sedia. (Siede e subito dà un grido) Ahi!

Baragn                          - Che c'è? S'è punta?

Clotilde                         - No, no. Pura immaginazione! Per me ogni sedia è un quadrupede ostile.

Baragn                          - Mi pare che lei consideri nemico l'uni­verso intero. Invece, creda a me, solo con un sorriso si potrebbe cambiar tutto. Un sorriso può far miracoli...

Clotilde                         - Il sorriso è per le giovani e belle... per le Caterine Horvath!

Baragn                          - Perché perseguita tanto quella poveretta? Sono sicuro che ha delle attenuanti.

Adamo                          - E in che misura! È sempre stata la mia alunna più assidua!

Clotilde                         - La vostra alunna?

Adamo                          - Naturale. Ogni giorno, immancabilmente, compra da me un panino imbottito e un bicchiere di latte per il suo spuntino.

Clotilde                         - Non è certo questo che le ha nuociuto... Secondo me è stato l'eccesso di esercizio fisico. (Adamo esce scuotendo la testa).

Emma                            - Me l'aspettavo! (Batte con la bacchetta. Clo­tilde sibila).

Baracn                           - Errore! (A Clotilde) La sola colpevole è lei... È lei che da anni e anni insegna l'amore alle ragazze!

Clotilde                         - (sbigottita) Io?!

Baracn                           - Sì, sì. Proprio lei! Che cos'è la storia della letteratura? Che altro sono le poesie, le liriche, se non la storia dell'amore in versi? Quella povera ra­gazza non ha fatto che tradurlo in prosa.

Clotilde                         - (balza in piedi stizzita) Insomma, secon­do lei, qui la corruttrice delle ragazze sono io! È meglio che me ne vada! Lei sarebbe capace di far perdere la pazienza anche a un santo.

Baracn                           - Non mi serbi rancore. Facciamo pace!... Vuole uno spillo?

Clotilde                         - (stizzita) Da lei neppure uno spillo!... (Si stringe la cintura di cuoio con un gesto energico). Riverisco! Ci vedremo alla seduta! (Esce offesa).

Baracn                           - (compassionevole) Povera donna! In fondo è l'essere più disgraziato del mondo... Deve rimaner sempre in compagnia di sé stessa! (Entra il preside).

Stefano                         - Buongiorno, Baragn. Buongiorno, signo­rina. Vorrei parlare un po' con lei... Il penoso inci­dente del quale si occuperà oggi il Consiglio dei pro­fessori ha anche un lato fisico...

Emma                            - È naturale! Come tutto.

Stefano                         - ... e lei, come insegnante di ginnastica, è l'unica che abbia un contatto più intimo con la vita fisica delle ragazze, nello spogliatoio, nella sala degli esercizi, nella piscina... Bisogna tener conto di taluni sintomi non trascurabili della maturità fisica... Per lei sarà dunque facile impostare la questione in modo che, pur rimanendo imperdonabile l'errore della Horvath, possa essere umanamente compreso.

Emma                            - Certo. Tanto più che questo va perfetta­mente d'accordo con le mie convinzioni. La scuola le chiama studentesse... alunne... ma io so che sono don­ne!... donne che la vita ha già prescelto per le sue grandi missioni.

Stefano                         - Beh! vedremo... Oggi le lezioni finiscono alle dodici... Dica dunque alla signorina Mate di far trattenere le ragazze che eventualmente potessero essere interrogate.

Emma                            - Benissimo, signor preside. Introdurrò io stessa i testimoni... Solo io posso tenerli a freno quei diavoli. Arrivederla. (Esce a destra).

Baracn                           - Introdurre i testimoni... Par d'essere in un'aula di tribunale!

Stefano                         - E come in ogni aula di tribunale, temo che anche qui la verità non venga a galla.

Baracn                           - Ciò che a noi importa non è la verità: è stabilire se si deve salvare o no quella ragazza... a pre­scindere dalla sua colpevolezza.

Stefano                         - (d'improvviso, con cordiale confidenza) Baragn, io so che è innocente!

Baracn                           - Come lo sai?

Stefano                         - (ingenuamente) Me l'ha confessato.

Baracn                           - (con un fine sorriso) Oh, allora... se l'ha confessato... chi può saperlo meglio di lei?

Stefano                         - Perché sorridi a quel modo?

Baracn                           - Perché mi piace constatare che sei una così brava persona. Per aver tanta fiducia nell'altrui purezza, bisogna essere davvero un uomo puro.

Stefano                         - (con un sospiro) Di questo non sono pro­prio tanto certo...

Baracn                           - Ma che hai? Parla, confidati. Mi sono ac­corto già da ieri che hai qualche cosa.

Stefano                         - Ho dormito male stanotte. Tutto questo affare mi ha un po' sconvolto. Ho la sensazione di cam­minare su un terreno pericoloso. Dimmi, Baragn, tu hai sempre insegnato in istituti femminili?

Baracn                           - Quasi sempre.

Stefano                         - E non ti si è mai presentato un caso di coscienza?

Baracn                           - Mai. Ho sempre goduto nel vedere le ra­gazze, ma era una gioia... un piacere senza turbamento, non incompatibile con la mia missione... Io ho sempre guardato alla bellezza di una fanciulla come ad una sorgente di vita... come ad un principio dell'umanità.

Stefano                         - E le alunne si sono mai innamorate di te?

Baracn                           - (con orgoglio) A dozzine! Fino all'anno scorso. E questo dimostra che sono sempre stato un buon professore. (Entra Caterina).

Caterina                        - Signor preside...

Stefano                         - (stupito) Horvath! Che cerca qui? Do­vrebbe essere in classe in questo momento.

Caterina                        - Ho chiesto permesso alla signorina Anna. Vorrei parlarle, signor preside.

Stefano                         - (duro) Non abbiamo nulla da dirci. Fra poco sarà chiamata e allora potrà dare tutte le spiega­zioni che crederà.

Caterina                        - Scusi... sono cose che non si possono esporre dinanzi ad un Consiglio...

Stefano                         - Lei non ha nulla da comunicarmi che non possa essere esposto davanti a tutto il corpo insegnante. Ormai noi ci incontreremo soltanto qui... (batte sul ta­volo) ... a questo tavolo. Ha capito?

Caterina                        - Signor preside! Si tratta della mia vita. Mi permetta di spiegare...

Stefano                         - Sono spiacente. Ieri lei stessa si è pre­clusa la via ad ogni ulteriore spiegazione. Aspetti d'es­sere chiamata... (Suona la campana) Del resto, ecco la campana. Non dovrà attendere molto... (Alla porta) Adamo!

Adamo                          - (entra) Comandi, signor preside.

Stefano                         - Fate passare Caterina Horvath in sala d'aspetto. Durante l'intervallo non deve parlare con nessuno. Rimanete con lei finché comincia il Consiglio.

Caterina                        - Scusi, signor preside! Non sono una de­linquente. Perché mi fa sorvegliare?

Stefano                         - Nel suo stato di turbamento non posso lasciarla sola. (Marcato) Cerchi di comprendermi, Hor­vath. Io voglio aiutarla... Si fidi di me!

Caterina                        - (lo guarda a lungo stupita) Grazie, signor preside.

Stefano                         - (di nuovo duro) E ora vada.

Adamo                          - Non abbia paura, signorina... non accadrà nulla... (L'accompagna fuori facendo tintinnare le chiavi).

Baracn                           - Pare un secondino, con quelle chiavi. Perché un rigore cosi ufficiale? La temi tanto quella ra­gazza?

Stefano                         - (colpito) Che dici?

Baracn                           - Scusami, sai... ma si direbbe quasi che non osi rimaner solo con lei. (Breve pausa. Scuote la testa) Non è facile essere preside di un liceo femminile quan­do si è ancora giovani.

Stefano                         - Macché! Se chiacchiera troppo non mi riuscirà di salvarla neanche con le migliori intenzioni.

Baracn                           - (contento) Sicché vuoi salvarla?

Stefano                         - Si capisce. Non potendo far nulla contro l'uomo che è stato causa di tutto, non è giusto punire soltanto lei.

Baracn                           - L'uomo?

Stefano                         - Dico ancora di più: non posso punire la primavera che entra dalle finestre aperte... le colline in fiore... il profumo dei boschi... tutto quel mondo in tumulto che è complice dei primi amori della gioven­tù. (Entra Richtig).

Richtic                          - Ossequi... Buongiorno... Come sta, signor preside?

Stefano                         - Sono contento di vederla prima del Con­siglio. Cosi potremo trovare una via d'accordo...

Richtig                          - Farò tutto il possibile perché il liceo en­tri senza scosse in una nuova fase.

Stefano                         - Che intende dire, professor Richtig?

Richtig                          - Che chiedo le più ampie garanzie per l'av­venire: rigore assoluto, soppressione in germe di qual­siasi atto di indisciplina, punizioni esemplari per ogni rilassatezza morale, espulsione senza pietà degli indegni.

Baracn                           - Allora siamo a posto. Non si resta che de­cidere sul modo di far giustizia. Bisogna impiccare o decapitare Caterina Horvath? Io proporrei di squartarla e inchiodarla sul portone della scuola.

Richtig                          - Hai torto di canzonarmi.

Baracn                           - Usi certe espressioni addirittura insoppor­tabili. Mi va il sangue alla testa... Tu devi essere la vit­tima di tua moglie... Sono certo che ti martirizza a casa.

Richtig                          - Come?

Baracn                           - Ho osservato che tutti quei professori che a casa sono eroi in pantofole, appena a scuola fanno esplodere l'energia compressa.

Stefano                         - Ti prego, Baragn, non trasciniamo la di­scussione su un terreno personale.

Richtig                          - Grazie della difesa, signor preside, ma non occorre. Simili attacchi non mi toccano. Riconosco che mia moglie è... severa con me; ma anch'io lo sono con lei. Noi siamo tutta una famiglia di gente severa, perché in noi la severità nasce da una concezione uni­versale della vita, da una profonda convinzione...

Baragn                          - (interrompendo) Dalla vescichetta della bile, dico io.

Richtig                          - Non rilevo l'insinuazione... non mi de­gno. (Entra Anna).

Anna                             - Professor Richtig, c'è una persona fuori che chiede di lei.

Richtig                          - Padre o madre?

Anna                             - Madre.

Richtig                          - Naturale. (Con ironia) Una genitrice in lacrime. Le figlie non studiano la matematica e le madri cercano di intenerirmi. Mi trova proprio in un buon momento! (Esce stizzito).

Baracn                           - Quando vedo Richtig, mi vergogno anche per conto di Pitagora.

Stefano                         - Eh, già!... Sospettavo che la cosa non sa­rebbe andata liscia... Cara e buona collega, lei è l'unica persona che potrebbe essere utile. Lei dovrebbe dimo­strare l'innocenza della Horvath.

Anna                             - Ma è poi veramente innocente?

Stefano                         - (colpito) È stata lei la prima a non cre­dere nella sua colpevolezza...

Anna                             - Ma frattanto ho riletto la lettera...

Stefano                         - ... che è appunto la prova migliore della sua innocenza. Dà l'impressione di un componimento scolastico sul tema: « Amore primaverile nel bosco ».

Baragn                          - (spontaneamente) Che magnifico tema!

Anna                             - E lei, nella sua indagine, non ha trovato nulla di più convincente di una semplice impressione?

Stefano                         - Senza dubbio. Ma è meglio non parlarne. (Un po' imbarazzato) Lei non ha voluto occuparsi della questione, proprio per la sua indole delicata. Non si meravigli dunque se non entro in dettagli.

Anna                             - (con un sorriso) Prego... non sono curiosa... Mi fa piacere che Caterina sia riuscita facilmente a convincerla...

Baracn                           - L'ha detto con una punta d'amarezza.

Anna                             - Oh, no... affatto! Pensavo soltanto che esi­stono donne fortunate nel cui animo gli uomini sanno leggere subito. Io, purtroppo, non sono di quelle. Se fossi accusata ingiustamente, la mia innocenza non ver­rebbe mai fuori... (Suona la campana).

Stefano                         - Sono le dodici... La Giuria può entrare. (Emma entra).

Emma                            - Signor preside, i testimoni sono pronti. Draskotzi, Jeny e Wegner: le migliori amiche dell'ac­cusata. Ho mandato via tutte le altre alunne.

Stefano                         - Ha fatto bene. Non devono sapere di che si tratta.

Emma                            - Purtroppo lo sanno già tutte: quello che ieri era un segreto del cestino, oggi è diventato il sog­getto di conversazione di tutto il liceo.

Baracn                           - Sono i risultati del sistema pedagogico del­la signorina Clotilde. (Entra Richtig seguito a qualche passo da Clotilde).

Clotilde                         - Cosa ha con me, professor Baragn? È ammutolito di nuovo appena sono entrata. Non si fa altro che criticarmi.

Richtig                          - Invece io apprezzo le teorie della signo­rina Sàlkai; le nostre opinioni combaciano a meraviglia.

Baracn                           - Peccato che non vi siate incontrati venti anni prima. (Entrano i professori Eghedus e Ratz).

Eghedus                        - Beh! mi hai convinto. Proverò...

Ratz                              - Puoi essere sicuro che in vita tua non fume­rai altre sigarette.

Baracn                           - Voi due siete anche peggiori di Richtig. Lui almeno ha una convinzione, mentre a voi non inte­ressa affatto quello che accade qui. Ricordatevi che al­l'inferno c'è una bolgia per gli ignavi.

Stefano                         - E allora, cari colleghi, possiamo comin­ciare. Dov'è Varias?

 Varias                           - (entra portando in mano una civetta impaglia­ta) Eccomi, signor preside.

Baracn                           - Che hai? Una civetta?

Vakias                           - Civetta di campagna... « Otus vulgaris ».

Baracn                           - Qui sta benissimo. Offriamole la presi­denza.

Stefano                         - (a Varias) Lascia quella civetta e siedi.

Varias                            - Non capisco perché date tanta importanza a una sciocchezza... Una volta da studente, un profes­sore mi sorprese con una ragazza... Credevo che mi pu­nissero... che mi espellessero... invece il professore mi disse: « Somaro, perché mi saluti quando sei in buona compagnia? Fa' finta di non vedermi ».

Clotilde                         - Un giovinastro non si può paragonare con una fanciulla.

Varias                            - Ecco l'errore. Se si tratta di un ragazzo tutti chiudono un occhio. Dunque, si giudica in due modi diversi... e poiché la giustizia è una sola, ho poca fiducia nei risultati del nostro Consiglio.

Stefano                         - Non precorrere gli eventi, Varias. (Du­rante le ultime battute tutti hanno preso posto intorno al lungo tavolo verde. Stefano assume la presidenza) Stimatissimi e cari colleghi. Dichiaro aperta la seduta Faccio notare prima d'ogni altra cosa che siamo nella impossibilità di constatare in modo sicuro la verità ma feriale dei fatti, perché non disponiamo dei mezzi di cui dispone un tribunale. Il valore della prova testimoniale è molto relativo in quanto che non possiamo costringere degli estranei a presentarsi a noi, e le stesse alunne non depongono sotto il vincolo del giuramento Insomma, su tali basi imperfette non si potrebbe emettere una giusta sentenza. Non potendo dunque valutare i fatti dobbiamo riportarci alla persona, mettere sulla bilancia il bene e il male e lasciare che la bilancia giu­dichi in vece nostra.

Varias                            - Giustissimo!

Stefano                         - Invito quindi la professoressa Anna Mate, titolare dell'ottava bis, ad esporre i fatti a sua cono­scenza.

Anna                             - (si alza) Stimatissimi colleghi. Secondo i dati della pagella, Caterina Horvath è una delle migliori e più diligenti alunne di questo liceo. Si è distinta anche nel nostro Circolo Culturale con numerose composi­zioni poetiche, specialmente lodate per la freschezza e la colorita descrizione di passeggiate romantiche o di qualche idillio campestre.

Clotilde                         - (velenosa) Lo credo! Ne abbiamo avuto una prova!

Anna                             - Da quanto precede si può con sicurezza de­durre che la lettera incriminata è un tentativo lettera­rio, anche perché in essa sono palesi influenze estranee. Il colloquio tra i due amanti è preso, parola per pa­rola, da « Madame Bovary ». Lo stato d'animo della protagonista, la scena del bosco presso l'albero abbat­tuto, col fogliame secco che scricchiola sotto i passi, hanno nella Horvath e in Flaubert la stessa imposta­zione.

Clotilde                         - E che significa tutto questo? Ci siamo forse riuniti qui per valorizzare l'opera letteraria di Caterina Horvath?

 Anna                            - (con passione) Ci siamo riuniti per esami­nare una lettera dalla quale una parte del corpo inse­gnante ha tratto illazioni esagerate. Propongo dunque un semplice ammonimento all'alunna e il passaggio all'ordine del giorno.

Richtic                          - (balza in piedi) Stimatissimi colleghi! Condivido l'opinione del signor preside: questo non è un tribunale. Ma se non c'è dato conoscere la verità coi mezzi di cui la legge dispone, non per questo dob­biamo rinunziarvi. Anzi, quanto più imperfetti sono i mezzi di cui noi possiamo disporre, tanto più dobbiamo supplire col nostro zelo.

Anna                             - E fino a qual punto il collega Richtig ritiene che si debba spingere il nostro zelo? Non credo che ab­biamo il diritto di penetrare fino alla più intima essenza del problema.

Stefano                         - Siamo professori, noi, non medici. L'inte­grità fisica di una nostra alunna non può riguardarci.

Richtig                          - I fatti ci hanno messo di fronte a tale problema ed è nostro dovere guardarlo senza paura e senza falsi pudori.

Anna                             - Senza falsi pudori! Ma con pudore!

Clotilde                         - (ironica) Con pudore! Ah, ah! Bisogne­rebbe dirlo a quella ragazza che l'ha perduto nel bosco a] punto di abbandonarsi...

Stefano                         - Non si è abbandonata!

Richtig                          - Come fa a saperlo il signor preside?

Stefano                         - Sono circa venti anni che insegno e... ho imparato a leggere negli occhi delle ragazze...

Richtic                          - (sarcastico) A un umanista questo può ba­stare, ma un matematico vuole le prove...

Stefano                         - Sono appunto quelle che non possiamo pretendere. Innanzi tutto non disponiamo di periti le­gali, e poi non siamo qui per questo. Se anche una nostra allieva ha commesso uno sbaglio, non possiamo offenderla e umiliarla nella sua dignità.

Clotilde                         - E la nostra dignità? Quelle ragazze non sono altrettanto indulgenti con noi!

Stefano                         - Gli adulti non hanno bisogno di indulgen­za. Ma un oltraggio inflitto alla giovinezza può avere qualche volta ripercussioni sull'intera vita. Molte catti­verie umane hanno origine da un'umiliazione sofferta in gioventù.

Varias                            - Verissimo! La verga sviluppa gli istinti mal­vagi dei ragazzi.

Richtig                          - Errore! Mio padre mi picchiava con un randello!

Baragn                          - (con dolcezza) Mia madre mi accarezzava sempre...

Stefano                         - Lasciamo le questioni personali... Ci dica il professor Richtig come dovrebbe procedere l'interro­gatorio.

Richtig                          - Il signor preside ha invitato i genitori?

Stefano                         - No.

Richtic                          - Posso chiedere perché?

Stefano                         - Aspettavo le decisioni del Consiglio. Non voglio turbare la tranquillità di una famiglia senza un preciso motivo.

Richtig                          - (sarcastico) Insomma, indulgenza plenaria!

Baracn                           - Naturale! Non siamo il tribunale dell'In­quisizione!

Stefano                         - Non ci proponiamo di rovinare, due set­timane prima dell'esame di licenza, un'allieva... che se pure colpevole, si è però comportata in modo da non scandalizzare la pubblica opinione.

Clotilde                         - Tutto il liceo ne parla...

Stefano                         - Di questo la ragazza non ha colpa. La lettera era cosa sua personale. Lo scandalo invece è la conseguenza di quella gretta mentalità «he spinge a fru­gare tra le carte tracce...

Baracn                           - Giusto! Parli col mio cuore!

Emma                            - Nei cestini!

Vakias                           - Tra i rifiuti!

Anna                             - Chi fruga nel sudiciume non deve indignarsi se trova delle sudicerie. (Scoppia una tempesta).

Clotilde                         - (fuori di sé) Insomma, io, io sono l'accu­sata! Si accusa me invece di espellere un'alunna che contamina l'aria del liceo.

Stefano                         - Non avrà più occasione di contaminarla. Oggi è l'ultimo giorno di scuola. Caterina Horvath tor­nerà qui soltanto per gli esami.

Richtic                          - Sembra che il signor preside si interessi più alla sorte di una ragazza che non a quella di tutto un istituto.

Stefano                         - Per me le due cose si identificano; io non vedo che il lato umano della questione. Se la scacciamo, la ragazza entrerà nella vita come un'evasa dal carcere... solo perché una volta, stupidamente, ha scritto una let­tera d'amore.

Clotilde                         - Protesto in nome di tutte le donne che mai, nella loro vita, scrissero stupidamente lettere d'a­more!

Anna                             - (con un sorriso amaro) No, Clotilde...

Clotilde                         - Anch'io sono stata giovane... Ma allora, a che sarebbero valsi i miei principi? Perché sarei an­data attraverso la vita con i pugni serrati e i denti stretti?

Emma                            - (a parte) Non stringeva i suoi denti...

Clotilde                         - Per un'intera esistenza sono stata onesta, e ora mi beffano e mi deridono... Mi pare che ai signo­ri (guarda intorno) non dispiace il « peccato » al quale ho sempre resistito.

Baracn                           - Siamo esatti! non dispiace neanche alle signore.

Emma                            - Il peccato! Che concezione gretta! Parla della Horvath come se fosse un'indemoniata! Ci tro­viamo di fronte ad una donna che ha deciso di sé stessa. Se ha amato, può darsi che abbia commesso un peccato contro la disciplina, non certo contro la natura. Ha di­ciannove anni: mia madre a quell'età aveva già dei figli.

Clotilde                         - Ma non al liceo!

Varias                            - Per la natura il luogo è perfettamente in­differente! Se lei vedesse che accade, fuori, ora che è primavera, direbbe che l'universo intero è un peccato e che tutto il mondo si deve espellere dal liceo.

Richtig                          - Prego, questi sono sofismi, sofismi che in­dignano. Perché si cerca di impedire che l'alunna Hor­vath sia interrogata?

Stefano                         - (preme il bottone del campanello) Non sono certo io che lo impedisco, ma non le rivolgerò nessuna domanda. Se vuole, lo faccia lei. Si cominci pure. (Entra il bidello).

Adamo                          - Comandi, signor preside.

Stefano                         - Introducete Caterina Horvath.

Adamo                          - Subito, signor preside.

Richtic                          - Un momento, Adamo. Venite qui. Avete mai osservato se intorno alla scuola gironzano giova­notti... giovanotti che aspettano le ragazze?

Adamo                          - Ah sì! Ce n'è uno specialmente, molto bello e molto elegante, che tutti i giorni, alle dodici precise, se ne sta all'angolo di fronte come in agguato...

Richtig                          - (trionfante) E sapete chi aspetta?

Adamo                          - Certo che lo so. La signorina Clotilde.

Clotilde                         - (scattando., rabbiosa) Stupido! Quello è mio nipote!

Adamo                          - Si calmi, signorina... Non l'ho neppure sup­posto che potesse essere un suo adoratore! (Esce e su­bito introduce Caterina) Si accomodi, signorina. (Cate­rina si inchina muta davanti al Consiglio).

Stefano                         - (in tono ufficiale) Caterina Horvath, otta­va bis.

Caterina                        - Presente.

Stefano                         - Venendo dinanzi al Consiglio dei profes-sori non deve credere che esso voglia penetrare a forza nella sua vita intima. (Marcato) Rispettiamo i segreti dell'anima perché non siamo chiamati a giudicare i sentimenti. Ha inteso bene?

Caterina                        - Ho inteso, signor preside.

Stefano                         - Però ad alcuni componenti de! Consiglio interessa la verità materiale dei fatti. Vogliono sapere che cosa è realmente accaduto quel giorno nel bosco. « Soltanto » di questo si parlerà oggi. Tutte le altre questioni: l'identità della persona... il lato intimo della cosa sono estranei alle quattro pareti della scuola. In­vito quindi il professor Richtig a iniziare l'interroga­torio in questo senso.

Richtig                          - Prendo nota delle sagge istruzioni del si­gnor preside... Avvicinatevi, Horvath. (Caterina esegue. Richtig la squadra, come frugandola) Voi avete dician­nove anni.

Caterina                        - Sì, professore.

Richtig                          - Siete figlia unica?

Caterina                        - Ho un fratello maggiore.

Richtig                          - Vostro fratello ha amici?

Caterina                        - Naturale!

Richtig                          - Dunque voi siete di frequente in compa­gnia di uomini.

Caterina                        - Sempre con mio fratello, però.

Richtig                          - Ballate?

Caterina                        - Sì.

Richtig                          - Spesso?

Caterina                        - In carnevale mi hanno condotta a qual­che festa.

Richtig                          - E in quelle occasioni avete bevuto cham­pagne?

Caterina                        - Non più di un bicchiere...

Richtic                          - (di colpo) Che profumo usate?

Caterina                        - Nessuno.

Richtic                          - Non mentite. Lo sento di qui. Eppure dovreste sapere che alle alunne è proibito profumarsi.

Caterina                        - Non è profumo.

Richtic                          - Che cos'è allora?

Caterina                        - Sapone.

Richtic                          - Dunque, vi lavate col sapone profumato.

Stefano                         - Professore Richtig, la sua domanda esor­bita dalla questione.

Richtig                          - La ritengo necessaria per stabilire, nelle sue linee generali, il carattere dell'alunna. (A Caterina) Avete un fazzoletto pulito?

Caterina                        - Eccolo.

Richtig                          - Signorina Sàlkai, abbia la cortesia... (Con­segna il fazzoletto a Clotilde).

Clotilde                         - (lo esamina un momento) Battista. (Dura) Venite qui, Horvath. (Caterina si avvicina). Passatevi la lingua sulle labbra.

Caterina                        - Ma scusi...

Clotilde                         - Obbedite! (Caterina eseguisce. Col fazzo­letto si sfrega le labbra). Ecco! (Trionfante) Si tinge! (Sarcastica) Forse anche questo esorbita... Ma se una ragazza, accusata di un peccato così grave, ha ancora voglia di tingersi... questo sì, che ne definisce il ca­rattere!

Richtig                          - Logico. Raccontateci ora la passeggiata scolastica all'Albero di Norma... senza omettere nulla.

Caterina                        - Siamo partiti alle otto del mattino...

Richtig                          - E siete foranti?

Caterina                        - Alle otto di sera, da Vallefresca.

Richtig                          - Osate affermare che siete tornata insieme con le vostre compagne?

Caterina                        - Precisamente.

Richtig                          - (ad Anna) Ci dica, collega: lei, al ritorno, prima di salire in tram a Vallefresca, ha fatto l'appello?

Anna                             - Si capisce.

Richtig                          - E Caterina Horvath era presente?

Anna                             - Senza dubbio. (Guarda il taccuino). Altri­menti avrei preso nota dell'assenza ingiustificata.

Richtic                          - Lo vedremo subito! (Chiama fuori della porta) Draskotzi! Jeny! Wegner! Entrate... (Rosina Draskotzi, Jeny e Wegner entrano e salutano con un piccolo inchino il Consiglio e con un sorriso Anna). Voi tre siete le migliori amiche di Caterina Horvath.

Rosina                           - Sì, professore.

Richtig                          - Una di voi, a Vallefresca, rispose all'ap­pello invece di Caterina Horvath assente. Chi è stata delle tre?

Rosina                           - Nessuna.

Richtig                          - Badate, Draskotzi. Voi siete molto de­bole in matematica. Temo di dovervi bocciare.

Rosina                           - Studio giorno e notte, professore.

Richtig                          - È soltanto un'osservazione incidentale. (Di colpo) Ora però rispondetemi sinceramente. Quando siete tornate, la Horvath era con voi o no?

Stefano                         - (intervenendo) Un momento, Draskotzi. F vero che lei è debole in matematica, ma questo non può avere nessuna relazione con la sua risposta. Boc­ciata o no... deve dire la pura verità.

Richtic                          - Scusi, signor preside, sono io che inter­rogo.

Stefano                         - Ma noto una pressione nel modo di for­mulare la domanda.

Clotilde                         - (sbigottita) Signor preside... pas devant les élèves...

Richtig                          - Che significa? Non capisco il francese, io.

Rosina                           - (venendogli in aiuto) Significa: non da­vanti alle alunne.

Richtig                          - (stizzito) Rispondete solo alla mie do­mande.

Rosina                           - Sono certa che Caterina è tornata a casa con noi. Ricordo perfettamente che aveva una ghirlanda sulla testa.

Richtig                          - Una ghirlanda?

Rosina                           - Sì. L'aveva intrecciata nel bosco, con fo­glie di quercia.

Richtic                          - (con gioia maligna) Oh! Ma allora va be­nissimo! Horvath, confessate di avere intrecciato una ghirlanda nel bosco?

Caterina                        - Lo confesso.

Clotilde                         - E perché? (Con sarcasmo) Perché vi pa­reva di essere una sposa.

Baracn                           - L'ha intrecciata perché è primavera. Tutte le ragazze, in questa stagione, quando sono in un bosco, si inghirlandano di foglie.

Richtic                          - (con ironia) L'osservazione è piena di poesia. Ma chi scrive lettere di quel genere non sparisce nel folto di un bosco solo per intrecciar ghirlande...

Caterina                        - (con una vampata) Protesto!

Richtig                          - Parlate solo quando siete interrogata. Av­vicinatesi, Jeny. (Jeny eseguisce). A che ora arrivò la classe all'Albero di Norma?

Jeny                               - Alle cinque.

Richtig                          - E a che ora prendeste il tram a Vallefresca?

Jeny                               - Alle otto.

Richtig                          - (soddisfatto) Oh! Allora va benissimo! Supponiamo che Caterina Horvath si sia veramente pre­sentata al capolinea di Vallefresca... Anche in questa ipotesi ha avuto a sua disposizione tre ore... più che sufficienti, secondo la bella espressione del professor Baragn, per inghirlandare la sua giovinezza...

Caterina                        - Non sono stata la sola a girare per il bosco: c'era tutta la classe. Ci siamo godute l'aria pura dopo il tanfo della scuola.

Clotilde                         - Solo per voi la scuola sa di tanfo... Io da trent'anni mi riempio i polmoni di quest'aria...

Baracn                           - Qualche volta se li svuota anche.

Richtic                          - Wegner!

Wegner                         - Presente!

Richtig                          - Che avete fatto all'Albero di Norma?

Wegner                         - Abbiamo dato la caccia alle farfalle.

Clotilde                         - Oh, angelica innocenza!

Wegner                         - Scusi, signorina, in questa stagione il bo­sco è pieno di farfalline delle verze. Ora fiorisce (vol­gendosi a Varias con un sorriso) il «Taraxanum officinalis »...

Varias                            - Bene, Wegner, molto bene.

Richtic                          - Mi accorgo che la botanica la conoscete meglio della matematica. Ma a me, in questo momento, interessa conoscere la storia della collina di Buda, non la sua flora. Ditemi, Jeny, nel bosco, tra il frascame, non c'era forse un uomo in attesa?

Jeny                               - Sicuro! Il professor Varias.

Richtig                          - Il professor Varias?!

Varias                            - Raccoglievo nocciuole, se proprio vuoi sa­perlo.

ISaragn                         - « Cosillus avellana ».

Richtig                          - (testardo) Continuate, Jeny. Che altro ave­te fatto?

Jeny                               - Abbiamo corso, cantato, ci siamo sdraiate sull'erba.

Richtig                          - (avidamente) E che avete fatto sull'erba?

Jeny                               - Abbiamo mangiato pane e salame.

Clotilde                         - (ironica) A poco a poco verrà fuori che le bambine hanno giocato a mosca cieca.

Richtig                          - Oh, verrà fuori dell'altro! (Di colpo) Draskotzi, quando è sparita nel bosco, Caterina Horvath?

Rosina                           - Ma non è mai sparita, professore.

Richtic                          - Prima l'avete confessato. Chi mentisce deve avere almeno buona memoria. « Oportet mendacem esse memoriam ».

Anna                             - Non « memoriam »: « memorem ».

Richtic                          - Va bene: lei non sa la matematica e io non capisco il latino.

Anna                             - E non capisce neanche il linguaggio delle ragazze. Non posso tollerare che, in nome della mo­rale, si rivolgano alle mie alunne, domande simili.

Varias                            - Ha ragione! (Scoppia una tempesta).

Emma                            - Siamo in un liceo femminile, che diamine!

Anna                             - Occorre più tatto, professor Richtig.

Varias                            - E più cavalleria. E poi, prendi nota che la Horvath è rimasta molto tempo accanto a me nel bo­sco... Le insegnavo a distinguere i funghi velenosi dai mangerecci.

Richtig                          - (con ironia) È veramente commovente! Quanti cavalieri trova una debole donna.

Stefano                         - La richiamo all'ordine. Le sue espressioni sono fuori posto.

Emma                            - Signori miei...

Anna                             - (energica) Domando la parola!

Stefano                         - Un momento, prego. (Alle tre ragazze) Voi potete andare.

Anna                             - Col permesso del signor preside... prima dovete dare la vostra parola d'onore che serberete il segreto su quanto avete udito qui dentro.

Rosina, Jeny e Wecner - (insieme) Parola d'onore.

Anna                             - Allora: morselli Uno, due! Direttamente a casa!

(Rosina, Jeny e Wegner salutano con una pic­cola riverenza ed escono in fila).

Stefano                         - (con mal celata soddisfazione) Devo con­statare che l'interrogatorio dei testimoni non ha avuto risultati conclusivi.

Richtig                          - Perché mi hanno ostacolato. Se avessi po­tuto rivolgere ancora qualche piccola domanda la ve­rità sarebbe saltata fuori.

Stefano                         - L'accusata è a sua disposizione.

Richtig                          - (a Caterina) Chiedo per l'ultima volta, come potrebbe farlo un amico, se confessate il fatto.

Caterina                        - A questo domanda, non rispondo.

 Richtig                         - Perché no?

Caterina                        - (con impeto) Perché la cosa non può inte­ressarla,, professore.

Richtig                          - (stupito) Come?

Caterina                        - Ho ammesso di aver scritto la lettera, e per questo mi puniscano. Il resto riguarda me sola, e non permetto che mi si chieda...

Richtig                          - È un'insolenza senza precedenti!

Clotilde                         - Come osate, Horvath?

Baracn                           - Badate, figliuola. Questo non è il tono adatto per ottenere giustizia.

Stefano                         - (severo) In fin dei conti, lei è un'alunna di questo liceo.

Caterina                        - (irrompe) Non è più all'alunna che si muove l'accusa, ma alla donna. Se il professor Richtig osasse ripetere le sue infamie fuori della scuola, certa­mente vi sarebbe un uomo che...

Richtig                          - (con un grido di trionfo fa un gesto come per fermare la frase) Ah! (Ripete scandendo) «Vi sarebbe un uomo che... ». (Breve pausa. Tono conclu­sivo) Egregi colleghi, vi invito a considerare queste parole come un'esplicita confessione dell'accusata.

Caterina                        - (con uno sguardo d'odio) Intendevo dire: qualunque gentiluomo! (Orgogliosa) Per sua norma, fuori della scuola, uomini della sua età, mi baciano la mano con rispetto.

Richtic                          - Considero il vostro gesto come un atto di aperta ribellione.

Anna                             - (le grida) Taci, disgraziata! Non parlar più!

Richtic                          - Prego! Che altro possiamo aspettarci da un'alunna la quale confessa di avere dei cavalieri che la trattano già come una donna? (Agita una riga di­nanzi al viso di Caterina).

Caterina                        - ... come una donna, non come una de­linquente!

Richtig                          - Che dite?

Caterina                        - ... e non mi minacciano come se voles­sero fustigarmi... (Richtig abbassa il braccio di colpo ma continuai a fissarla). ...Né mi frugano con lo sguardo come se... (con ribrezzo) ... come se volessero svestirmi.

Richtic                          - Con che tono osate parlarmi?

Caterina                        - Col tono che merita. Mi interroghi sulla matematica, non sulla mia vita privata! (Al colmo della rabbia, quasi con gioia gli getta in faccia) Professore Scatola!

Richtig                          - È inaudito!

Caterina                        - (con furioso trionfo) Sì, professore Sca­tola! (Come liberandosi) Ah! Glielo dovevo dire prima d'andarmene via! Anche se mi espelle, anche se mi ammazza, sappia che lei è il professore Scatola e che tutto il liceo ride di lei.

Richtic                          - (fuori di sé) È un'infamia. (Tumulto).

Stefano                         - (energico) Prego, signori! Silenzio! (Bre­ve pausa. Tono ufficiale) Dichiaro chiusa la discussione sull'argomento all'ordine del giorno e propongo che Caterina Horvath, per contegno irrispettoso verso il suo professore di matematica, sia espulsa dal liceo.

Clotilde                         - (subito, con violenza) Mi oppongo!

Stefano                         - (stupito) Che intende dire, signorina Sàlkai?

 Clotilde                        - (con freddo sarcasmo) Sarebbe troppo co­modo espellerla per indisciplina! No, no! Così a buon mercato non se la caverà! Devo essere punita per quella che è la sua vera colpa!

Stefano                         - Scusi... visto che la mandiamo via, il mo­tivo dovrebbe esserle indifferente.

Clotilde                         - Niente affatto. È per una questione di principio! Bisogna piegare il suo orgoglio. Propongo dunque che si inviti il padre a presentarsi davanti al Consiglio dei professori.

Caterina                        - (spaventata) Mio padre?

Clotilde                         - Vedremo così se risponderete alle do­mande alle quali finora non avete voluto rispondere.

Caterina                        - (sempre più spaventata) È impossibile!

Clotilde                         - (con trionfo) Credete?

Caterina                        - (smarrendosi sempre più) È un'assurdità pensare che mio padre sappia...

Clotilde                         - (con gioia maligna) Ah! ti ci ho presa! Ero sicura ti toccare il punto debole! Hai paura di tuo padre, eh?

Caterina                        - Morirei di vergogna dinanzi a lui! Non conoscono mio padre, loro... Sono la luce dei suoi oc­chi... il suo orgoglio... Non si può e non si deve esporre ad un insulto così orrendo un uomo tanto buono e tanto caro. La scongiuro, signor preside. Facciano di me tutto quello che vogliono, ma che mio padre non venga qui.

Stefano                         - (a Clotilde) Chiedo alla nostra cara col­lega se insiste ancora nella sua proposta.

Clotilde                         - Certamente! Anche perché si tratta di stabilire una buona volta se in questa scuola contano più i professori o le alunne.

Caterina                        - (risoluta) Piuttosto lascio il liceo.

Richtic                          - Come, come?

Caterina                        - Il signor preside mi ha detto che se me ne vado via spontaneamente, nessuno ha più il diritto di interrogarmi. E allora abbandono tutto... (Con le la­crime nella voce) ... La scuola... le aule... il banco dove ho inciso il mio nome... Signorina Anna, la prego, can­celli il mio nome dal registro della classe... perché me ne vado... (Si avvia) Lascio qui la mia infanzia... gli anni più belli della mia gioventù...

Clotilde                         - (le grida severa) E dove vai?

Caterina                        - (con un singhiozzo) A morire, signorina Sàlkai!

Tutti                              - (a una voce) Horvath!

Caterina                        - Per me non c'è scelta. Non posso più tornare a casa. Le altre escono dalla scuola per entrare nella vita... io nella morte. Questo sarà il mio esame di licenza, signorina Sàlkai. (Fa l'atto di correre fuori).

Clotilde                         - Fermati!

Stefano                         - Si calmi, Horvath.

Varias                            - Un bicchier d'acqua...

Emma                            - Portiamola fuori all'aria aperta...

Baracn                           - Il medico della scuola...

Clotilde                         - (con energia insolita) Non occorrono me­dici! Non farà un passo fuori di qui!

Caterina ...................... - (affranta) Vuol torturarmi ancora... per­ che?... perché qualche volta abbiamo messo le puntine sulla sua sedia o abbiamo disegnato un paio d'orecchie d'asino sulla lavagna? È per questo che mi odia?

Clotilde                         - Non è vero!

Caterina                        - Sì. Lei ci odia tutte... mentre noi le ab­biamo voluto sempre bene...

Clotilde                         - (stupita) A me? (I presenti le osservano commossi).

Caterina                        - Sì, sì. L'abbiamo sempre trattata male... però sentivamo d'amarla. Le abbiamo amareggiata l'e­sistenza... eppure l'amavamo... perché anche così si può amare... e quanto più la facevamo soffrire e ne ride­vamo, tanto più sentivamo che lei era la nostra cara maestra, la nostra signorina Clotilde... arruffata, trascu­rata, con quella dentiera... e più la torturavamo più il cuore ci doleva...

Clotilde                         - (incredula, ma rassegnata) E allora, perché...?

Caterina                        - Non so, forse è una tradizione della scuola. C'è sempre qualcuno che si deve torturare... Ecco! Ora si vendichi. Mi faccia condannare... mi di­strugga!

Clotilde                         - (per la prima volta nella sua vita è incerta, colpita dalla luce dell'amore) Caterina! Ma è proprio vero tutto quello che dici?

Caterina                        - Non sono più capace di mentire.

Clotilde                         - (si guarda intorno trasognata) Non capi­sco... Si può anche volermi bene?

Baracn                           - L'amore è una cosa meravigliosa... (Guar­da Clotilde. Scuote il capo) A volte assume delle strane forme...

Clotilde                         - (a Caterina, con un tono mai usato finora, quasi come se fosse risorta e ringiovanita) Stupida ragazza... e perché non me l'hai detto prima? Avrei tanto voluto ricambiare il vostro amore!... Sarebbe ba­stato qualche sorriso di più e qualche puntina di meno... Mi avete rovinato tutti i vestiti... Siete state proprio cattive. Da trent'anni giro per queste aule mendicando un po' d'amore... ma nessuna è stata mai come sei tu in questo momento... Mai ho visto uno sguardo implo­rante come il tuo... Se ora mi dicessi: « Cara signorina Clotilde, mi aiuti », io farei tutto per te... sarei capace anche di perdonare le tue colpe...

Baracn                           - Non è mai troppo tardi, cara collega.

Clotilde                         - Per lei forse no, ma per me, sì. Oh, come è triste dover mendicare queste briciole d'amore che agli altri si offrono spontaneamente... (Sospira). Vieni qui, Caterina... vieni da me... (Come se chie­desse un'elemosina) Non hai nulla da dirmi?

Caterina                        - (scoppia in pianto) Cara, buona, signo­rina Clotilde!... Ho diciannove anni... la vita potrebbe cominciare ora, per me... mi aiuti!...

Clotilde                         - Sta' tranquilla, figliola mia! (Altro tono) Professor Richtig, sarebbe disposto, per farmi un favo­re, a perdonare a Caterina Horvath?

Richtig                          - (messo con le spalle al muro) Passiamo pure sopra al... professore Scatola... ma resta il fatto... Clotilde        - (cercando le parole) Per questo... mi ri­metto a quanto ha detto il signor preside... Credo che basti un semplice ammonimento... e ritengo che Cate­rina Horvath, possa essere ammessa agli esami di ma­turità. (Caterina si getta sulle mani di Clotilde e gliele bacia). Vedi, figliuola mia... non si deve pensare subito a morire... Ora vieni con me, usciamo un po' all'aria aperta.

Caterina                        - (avviandosi) Cara signorina Clotilde...

Clotilde                         - (mentre escono, con tenerezza) Povera scioccherella! (Si ferma nel vano della porta) Avrei tanta voglia di abbracciarti! (Lotta con le lacrime) Ma sono piena di spilli... ho paura di pungerti... (Le cinge le spalle con gesto affettuoso ed escono in corridoio).

Stefano                         - (dopo un attimo di silenzio, si alza; è com­mosso) Egregi colleghi. Dopo quanto è accaduto, ri­tengo che si possa passare senz'altro alla votazione.

Richtic                          - Prego! Poiché mi accorgo che la mia opi­nione non è condivisa da nessun collega, mi astengo dal votare. I miei rispetti, signor preside... (Offeso, esce).

Stefano                         - (secco) Le dichiarazioni del professor Richtig saranno inserite a verbale. Metto ai voti la proposta che Caterina Horvath sia ammessa all'esame. Chi è favorevole è pregato di alzarsi. (Tutti si alzano). Constato che la votazione è unanime... e dichiaro chiusa la seduta odierna.

Ratz                              - (in fretta) Meno male. Così faccio ancora in tempo a prendere il treno dell'una e venti... Ho una le­zione privata a Paota... (Si avvia).

Eghedus                        - (lo segue in fretta) Sì, sì... andiamo a guadagnarci il pane...

Baracn                           - Ho l'impressione che non sappiate nemme­no di che si è discusso e che avreste votato indifferente­mente qualunque proposta.

Ratz                              - Figurati: io ho tre figli e pago centosessanta pengo di affitto! Non ho tempo d'avere opinioni...

Eghedus                        - Neanche io. Ciao. (A Ratz) Andiamo. Finalmente ora potrò assaggiare le tue famose siga­rette... (Escono in fretta).

Emma                            - (seguendoli con lo sguardo) Ci sono dei professori che potrebbero benissimo essere sostituiti da automi... Addio, cara Anna. Buon appetito, signori... (Esce).

Baragn                          - (avviandosi) Certo oggi mangerò con ap­petito... Sono proprio soddisfatto.

Varias                            - Anch'io. Ho chiuso la partita con un atto di giustizia, perché ai miei tempi non fui espulso dal liceo. (Prende la civetta) Andiamo, vecchia civetta... torna al tuo nido.

Baracn                           - Mi pare che qui si insista in un fatale equi­voco... Non sono le bestie che si dovrebbero imbalsa­mare, ma certi professori... Buongiorno a tutti. (Esce con Varias. Breve pausa).

Anna                             - Insomma, la seduta s'è chiusa con piena vittoria...

Stefano                         - Sono «omento che tutto sia finito bene. Ora si può pensare alle vacanze... (Sembra felice). Spe­ro che avremo una buona estate...

Anna                             - Dove andrà quest'anno?

Stefano                         - Forse in Italia... Vorrei viaggiare un po'...

Anna                             - Proprio stamane ho ricevuto una cartolina da Firenze... dalla Pekàr... ricorda?... prese la licenza l'anno scorso. Ora s'è sposata ed è in viaggio di nozze.

Stefano                         - (con interesse) In viaggio di nozze?

Anna                             - (con una punta di tristezza) Ci sono ragazze che appena escono dalla scuola, trovano un fidanzato che le aspetta per portarle in Italia... (Un po' confusa) Non sono mai stata in Italia... Dev'essere un paese meravi­glioso... Italia! I barbari se la sono disputata per se­coli, superando le Alpi per poter giungere finalmente al mare caldo...

Stefano                         - (con un sorriso) Sembra che legga il no­stro libro di testo...

Anna                             - Vorrei terminare la storia del Medio Evo.

Stefano                         - Mi rincresce: quest'estate non lavoro. Ma l'idea è buona... (Riflette) La strada delle invasioni barbariche... Dalle Alpi al mare caldo... Nelle scuole si insegna tutto questo aridamente, senza fantasia... Le alunne lo ripetono con indifferenza, e nessuna di esse pensa a come è stato nella realtà..» Arrivederci, cara si­gnorina...

Anna                             - Scusi, signor preside. Bisogna comunicare a Caterina Horvath l'esito della seduta.

Stefano                         - Se ne incarichi lei.

Anna                             - (sorpresa) Io?

Stefano                         - (un po' turbato) Non voglio incontrarmi con quella ragazza.

Anna                             - (stupita) Come?

Stefano                         - Prima degli esami, si capisce...

Anna                             - Allora... soltanto « dopo » gli esami...

Stefano                         - Già, già... quando non sarà più alunna del liceo. Lei mi può comprendere...

Anna                             - (rassegnata, con voce senza tono) Sono ca­pace di comprendere tutto, signor preside...

Stefano                         - Le sono molto grato, signorina. (Entra in Direzione. Anna, triste, siede al solito posto; si nascon­de il viso. Breve pausa. Da destra entra Caterina).

Caterina                        - Signorina Anna, scusi...

Anna                             - (con un sussulto) Chi è?

Caterina                        - Sono io... Caterina Horvath.

Anna                             - (si riprende) Sì, sì... Volevo appunto chia­marti...

Caterina                        - Ai suoi ordini.

Anna                             - (con tono ufficiale) Per incarico del signor preside ti comunico che ti è stato inflitto soltanto l'am­monimento di terzo grado.

Caterina                        - Ne prendo nota con riconoscenza e gra­titudine.

Anna                             - Così la parte ufficiale della faccenda è chiu­sa. (Breve pausa. Altro tono) Ora vieni qui, Caterina. Prendi una sedia e siedi.

Caterina                        - Eccomi, signorina Anna.

Anna                             - Agli esami avrai qualche difficoltà da su­perare...

Caterina                        - Col professore Richtig?

Anna                             - Preparati molto bene in matematica... Del latino non ti preoccupare. Ti aiuterò io.

Caterina                        - Non so veramente a che devo tanta bontà.

Anna                             - A nulla. Questo non ha importanza... (Pren­de un libro). Ascoltami figliuola. Ti indicherò qualche cosa... sta' bene attenta, mi raccomando.

Caterina                        - Cara signorina Anna... sempre così buo­na... (Entrambe si chinano sul libro).

Anna                             - (in tono scolastico) Orazio, et Carminum »... Liber primus: « L'ode immortale sulla primavera », pagina tredici...

Caterina                        - Sì, sì...

Anna                             - (comincia a leggere e la sua voce diviene tene­ra) « Solvitur acris hiems grata vice veris et Favo­ni ». Dalla descrizione della primavera il poeta trae ar­gomento per invitare l'amico Lucio Sestio, cui l'ode è dedicata, a darsi buon tempo, perché la morte ci vieta le speranze del domani. Concetto Epicureo.

Caterina                        - ... la morte ci vieta le speranze del do­mani.

Anna                             - Tienilo bene a mente, perché certo l'ispet­tore ti interrogherà su questo.

Caterina                        - Me lo annoterò, grazie.

Anna                             - Devi essere pronta a rispondere non soltanto sul preciso significato delle parole, ma anche e soprat­tutto a interpretarne l'essenza poetica. «Solvitur acris hiems »... Si discioglie il crudo gelo dell'inverno... il gregge non vuol più restare al chiuso... brama andare all'aria aperta... nei campi verdeggianti... Anche il mio gregge vuole uscire di qui. Le mie agnellette... appena sentono la primavera, vogliono correre via per i boschi...

Caterina                        - (stupita) Prego... Orazio non lo dice questo...

Anna                             - (con. un piccolo sospiro) Lo so... lo so... Ora è il tempo di coronare il capo con ghirlande dì mirto... come tu hai fatto... anche tu hai intrecciato una ghirlanda e ti sei adornata, con amore e con gioia... (Con voce soffocata) ... Perché tu, a me, non puoi men­tire... Conosco la verità... non puoi ingannarmi...

Caterina                        - (spaventata) Signorina Anna! Che dice? Ma che accade in lei? (Con gesto di implorazione fa per prenderle la mano).

Anna                             - (ritrae la mano, alzandola; quasi gridando) Non mi toccare! (Breve pausa).

Caterina                        - Dio mio! voleva picchiarmi!

Anna                             - Io? Picchiare te?

Caterina                        - L'ho sentito dal suo gesto. (Sbigottita) Non capisco più. La signorina Clotilde che mi odiava mi ha abbracciata... invece lei, che mi ha sempre vo­luto bene finora...

Anna                             - A Clotilde non hai rubato nulla... a me hai portato via tutta la vita. Da quindici anni sono qui e speravo... correggevo i compiti latini e speravo... Ma ora non spero più... perché quello che a me non è riu­scito in quindici anni a te è riuscito in un attimo.

Caterina                        - Come ho potuto farle male, io?

Anna                             - Dovresti sentirlo... se alla tua età si fosse capaci di sentire veramente... (Con impeto) Che ne sai, tu, che cosa significhi vivere sola, in due stanze, con un pianoforte a rate e una sveglia? Quella sveglia è la mia unica compagna. Mi ha destata per gli esami, per la laurea, per i miei giorni senza gioia... e quando morrò, anche allora suonerà per impedire alla profes­soressa Anna Mate, che è stata sempre puntuale, di giungere in ritardo ai suoi funerali.

Caterina                        - Oh, signorina Anna... Che posso fare per lei?

Anna                             - Dimentica tutto quello che ho detto. Siamo qui per interpretare un'ode di Orazio.

Caterina                        - (con un sospiro) Un'ode di Orazio.

Anna                             - (chinandosi di nuovo sul libro) « Vitae summa brevis »... La breve vita non ci consente di sperare a lungo... altrimenti si arriva dove sono giunta io... Hai notato l'ordine delle parole?

Caterina                        - Sì, signorina.

Anna                             - ... « Vitae summa brevis »... Io sono giunta alla conclusione che hai ragione tu, Horvath. In prima­vera, quando si è giovani, si deve essere felici.

Caterina                        - Signorina Anna, non mi faccia del male.

Anna                             - Non te ne faccio, perché ti amo. Attraverso te amo la vita... Dunque va'... spiega il volo, valica le Alpi... va', in Italia, incontro all'estate dorata. Se ti at­tarderai nel Foro Romano, tra i ruderi e le statue che ti ho insegnato ad ammirare... pensa alla tua professo­ressa di latino che qui, al liceo, come una cattiva alun­na, di anno in anno ripete le classi, e non passerà mai ad una classe superiore...

Caterina                        - Signorina Anna...

Anna                             - (dura) Ora puoi andare. E preparati agli esami di maturità.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La solenne giornata della chiusura dell'anno scolastico. La sala dei professori non è mutata, ma il sole che splende fuori è più caldo e più dorato. L'estate è giunta e con l'estate sono giunte le vacanze. Di tanto in tanto, attraverso le finestre, si sentono le voci che festeggiano la chiusura della scuola. Il Professor Baragn, solo nella vasta sala, can­ticchia la canzone sentita al primo atto e frattanto raccoglie le sue cose in una borsa di cuoio. Tintinnio di chiavi. Dal corridoio entra Adamo.

Adamo                          - Riverisco, professor Baragn.

Baracn                           - Salve, Adamo.

Adamo                          - Fa le valigie, professore?

Baracn                           - Già, già... Raccolgo la mia roba e vado subito...

Adamo                          - Lei, professore, non partecipa alla festa di chiusura dell'anno scolastico?

Baracn                           - Preferisco parteciparvi da lontano. (Ascol­tando) Sentite? La scuola mi saluta col suo ronzìo...

Adamo                          - Dunque ci lascia veramente, professore?

Baracn                           - Sì, sì. (Guarda intorno). Oggi è il mio ul­timo giorno di scuola: è San Pietro e Paolo. Nei campi si comincia il raccolto; nel liceo si consegnano le pa­gelle. L'anno scolastico si chiude ufficialmente... (Con lieve ironia) E anche la mia carriera, iniziata con tante speranze.

Adamo                          - Posso aiutarla, professore?

Baracn                           - Grazie. Ho già riposto tutto. Sapone, asciu­gamano, pettine, spazzola... (Tira fuori la spazzola) Ve­dete? Questa è una prova del mio ottimismo incorreg­gibile. Continuo ad adoperare la spazzola mentre non ho più capelli.

Adamo                          - Uno o due ci sono ancora...

Baracn                           - Uno o due? (Con severità scherzosa) Per vostra norma sono dodici: li conto tutti i giorni. E non ho perduto la speranza che qualcuno rinasca. L'uomo che va in pensione si rigenera: non ha più preoccupa­zioni... fa lunghe passeggiate al sole... (Come per una improvviso decisione) Ogni mattina andrò a bere l'ac­qua di Santa Elisabetta... È un'acqua radioattiva.

Adamo                          - E a che serve?

Baracn                           - Combatte l'arteriosclerosi. Io, caro amico, non ho nessuna voglia di andarmene presto. Lo Stato mi ha messo in pensione?... Dunque paghi.

Adamo                          - Ma perché non è sceso giù alla festa? Se sapesse che bel discorso ha fatto il preside! Poi c'è stato il coro delle ragazze...

Baracn                           - Passi per il discorso... ma il coro non avrei potuto sopportarlo! Queste feste di chiusura sono belle soltanto per chi torna l'anno seguente. Ma chi sa di assistervi per l'ultima volta... è meglio che se la svi­gni in silenzio! (Di lontano giungono le note dell'inno ungherese).

Adamo                          - (dopo breve pausa) L'inno magiaro... Vuol dire che la festa è finita.

Baracn                           - Ora verrà tutto il corpo insegnante per accomiatarsi da me. No, no... non ci resisto. Me ne vado.

Adamo                          - Come? Va via così, senza una parola?

Baracn                           - Non c'è altro modo... La mia vita ormai è un vestito usato... devo portarlo finché sarà logoro... È inutile rinfrescarlo con queste emozioni... sarebbe come farlo rammendare... (Breve pausa durante la qua­le si sentono le ultime note dell'inno).

Adamo                          - E non lascia detto nulla ai professori?

Baracn                           - Mentire non potrei... e la verità non sem­pre fa piacere. Ora voltatevi dall'altra parte, Adamo. (Prende la sua borsa) Non dovete vedere il professore Baragn che dopo trentacinque anni se ne va dal liceo guardingo, come uno studentello che vuol marinare la scuola... (In fretta ma molto silenziosamente sparisce per la porta del corridoio).

Adamo                          - (voltandosi) Già, già... (Scuote la testa. Il lieve tintinnìo delle chiavi sembra accompagnare l'uscita di Baragn. Poi Stefano entra).

Stefano                         - Avete visto il professor Baragn?

Adamo                          - È uscito proprio ora.

Stefano                         - Andava a casa?

Adamo                          - Se l'è svignata... come uno studentello.

Stefano                         - (stupito) Non è possibile.

Adamo                          - Eppure è così, signor preside... l'ha detto lui. Forse si può ancora raggiungere... sarà in cortile.

Stefano                         - (guarda fuori della finestra) Eccolo là... (Chiama forte) Baragn! Baragn!... Non si volta! Corre verso l'uscita! (Triste) Pare impossibile che un vecchio professore corra a quel modo! E dove andrà con tanta fretta?

Adamo                          - Alla sorgente radioattiva.

Stefano                         - Già... lui va alla sorgente... in tutto... E forse ha ragione! ...(Altro tono) Non mi ha cercato nessuno?

Adamo                          - Nessuno, signor preside.

Stefano                         - L'ottava classe è già uscita?

Adamo                          - Esce in questo momento. Le ragazze sono allegre come se andassero a nozze. E quanti giovanotti le aspettano... Dopo l'esame di maturità quelli che pri­ma le aspettavano di nascosto spuntano come i funghi.

Stefano                         - Già, già. Dopo la licenza vien fuori tutto. (Guarda nel cortile) Come si affollano al portone... A nessuna di esse però passa per la mente di dirmi ad­dio... (Dal corridoio entra il corpo insegnante. Prima di tutti Emma, che indossa la divisa delle giovani esplo­ratici, con Varias. Seguono a breve intervallo gli altri).

Emma                            - (animata e allegra) Signor preside, sono venuta a stringerle ancora una volta la mano prima di andare in vacanza.

Stefano                         - Molto gentile. E dove passerà l'estate?

Emma                            - Sui monti di Matra, al campeggio delle gio­vani esploratrici. Saranno più di trecento.

Varias                            - Trecento ragazze nei boschi! (Con orrore) Non avete proprio pietà delle povere bestie!

Emma                            - Dormiremo sotto le tende, cucineremo noi stesse e di notte accenderemo i falò.

Adamo                          - Mi porti con sé come giovane esploratore!

Emma                            - (ridendo) Volentieri! Ma, purtroppo, avete sorpassato i limiti di età.

Varias                            - (ad Adamo) Ci mancherebbe altro! Mi rac­comando il gabinetto di storia naturale... Chiudetelo bene.

Adamo                          - Vado subito, signor professore. Ma non tema: lo scoiattolo non scappa di certo! (Esce).

Varias                            - (quasi con tenerezza) Anzi... dormirà fino all'autunno. Le mie bestie cadono in letargo d'estate in­vece che d'inverno.

Stefano                         - E tu, Varias, dove vai?

Varias                            - In campagna, a casa mia. Fino a settembre faccio di nuovo il contadino. (Eghedus e Ratz entrano discutendo).

Ratz                              - Macché! Tu hai proprio la mania di contrad­dire. Ti ho già dimostrato con le cifre alla mano che fai un cattivo affare.

Varias                            - Voi due discuterete fino all'ultimo istante della vostra vita.

Ratz                              - Spiegavo a Eghedus che non vale la pena di prendere in affitto una casa per Testate. Con cinque pengo al giorno, si può avere la pensione completa con acqua corrente calda e fredda.

Eghedus                        - Sappiamo già di che si tratta: l'acqua non è mai calda...

Ratz                              - Ma sempre corrente...

Eghedus                        - ... nel ruscello, a cinquanta passi dalla casa.

Varias                            - Oh! è la cosa migliore! Non è necessario essere persone civili in estate...

Emma                            - (con uno sguardo significativo a Richtig che entra) Neanche in inverno, secondo l'opinione di taluni...

Richtig                          - Buongiorno a tutti. I miei rispetti, signor preside. (Maddalena Barabas gli corre dietro come un cagnolino).

Maddalena                    - (con vocina tremante) Signor profes­sore, la prego...

Richtic                          - (voltandosi) È inutile corrermi dietro, Barabas. Ormai ci incontreremo agli esami di ripara­zione...

Maddalena                    - Volevo appunto pregarla di essere in­dulgente con me, professore. Tutta Testate non farò al­tro che studiare algebra... Porterò con me il libro al Lago di Balaton e studierò anche nell'acqua.

Richtig                          - Farete il vostro dovere! La matematica è presente dappertutto... in terra, nell'acqua e perfino nei corpi celesti. Avete capito?

Maddalena                    - Sì, professore. (Scoppia in pianto).

Richtic                          - Le vostre lacrime sono sprecate!

Maddalena                    - È difficile rassegnarsi ad essere boccia­ta... Riverisco. (Fa una piccola riverenza circolare ed esce).

Richtig                          - (le grida dietro) Mi raccomando: impie­gate bene Testate!

Emma                            - Tutti dobbiamo impiegarla bene. Il mio treno parte alle due. Mi congedo col saluto degli esplo­ratori. (Gridando) All'erta! (Esce).

Ratz                              - Anch'io la saluto, signor preside. Ci rive­dremo in settembre.

Eghedus ...................... - È finito il nostro decimo anno dì inse­gnamento.

Ratz                              - Per dieci anni siamo rimasti nell'ottava ca­tegoria degli stipendi. Speriamo in autunno di passare alla settima.

Eghedus                        - Strano, eh? Gli alunni passano dalla pri­ma classe all'ottava. E i professori dall'ottava alla pri­ma... ma quanto stentano! E allora arrivederci, signor preside. Arrivederci, cari colleghi... (Via).

Richtig                          - E lei, signor preside, dove passerà Te­state?

Stefano                         - (un po' turbato) Non lo so ancora. (Irre­quieto) Dovrò prima sbrigare una cosa molto impor­tante... dalla quale dipende per dove partirò.

Richtig                          - (con un sorrisetto ironico) Una cosa im­portante? Allora tolgo il disturbo. Spero che nel pros­simo anno scolastico, saranno applicati principi di di­sciplina più severi.

Varias                            - Smettila coi tuoi principi e andiamo in va­canza, ora.

Richtig                          - (seguendolo) Impossibile! Per me due e due non fanno che quattro. Ossequi, signor preside. Ci rivedremo agli esami di riparazione. (Esce un po' of­feso).

Varias                            - (scuotendo il capo) Da una scatola non si caverà mai un cervello... Addio, Stefano, buone vacan­ze! (Esce).

Stefano                         - Addio, caro Varias. (Va alla finestra. Di fuori giunge il brusìo delle alunne che escono. Si pic­chia alla porta del corridoio. Come illuminato dalla spe­ranza) Avanti! (Entra Clotilde con un gran mazzo di rose).

Clotilde                         - Sono venuta a congedarmi da lei, signor preside.

Stefano                         - (disilluso) Ah! è lei signorina...

Clotilde                         - Chiedo scusa... Forse il signor preside aspetta qualcuno...

Stefano                         - No, no... nessuno. (Un po' confuso) Guar­davo uscire l'ottava... Un'alunna dopo l'altra...

Clotilde                         - E che chiasso fanno! Mah... non c'è da stupirsi! Trenta ragazze... e sessanta giovanotti che le aspettano. È l'ultimo giorno. Possono darsi alla pazza gioia!

Stefano                         - Che bei fiori!

Clotilde                         - Me li hanno regalati le ragazze. È la pri­ma volta, nella vita, che ho ricevuto dei fiori dalle mie scolare... (Un po' commossa) L'ottava bis ha pagato cavallerescamente.

Stefano                         - Vede che vale la pena di essere buoni?! Dove passa Testate?

Clotilde                         - Dal dentista. Da ora in poi voglio piacere alle mie alunne. Voglio conquistarle perché mi si acco­stino. In me si sono ridestate le ambizioni delle chioc­ce... e voglio vedermi intorno i miei pulcini. (Si pic­chia alla porta).

Stefano                         - (ansioso) Avanti! (Entra Caterina con un elegante abito estivo e un bellissimo cappello; è una vera domina).

Caterina                        - Buongiorno, signor preside.

Stefano                         - (quasi sgomento) Horvath!

Caterina                        - Buongiorno, cara signorina Clotilde.

Clotilde                         - Sono contenta di vederti ancora una volta.  Come sei bella! come sei fresca! e come brillano i tuoi denti! (Breve pausa). Allora addio, signor preside. E mi scusi se le ho procurato qualche noia.

Stefano                         - Arrivederci, cara signorina Clotilde.

Clotilde                         - (avviandosi) Vedi, Caterina! Me li porto a casa i vostri fiori. Ho tanti vasi vuoti... (Ad un tratto caccia un piccolo grido) Ahi!

Stefano                         - (spaventato) Che c'è?

Clotilde                         - Mi sono punta con una spina.

Caterina                        - (compassionevole) Le fa sangue?

Clotilde                         - Un po'... (Con dolcezza) Ma non fa nul­la... ci sono abituata... Una puntina da disegno o un fiore... (Guarda ancora Caterina) Addio, Caterina, ad­dio, cara... (Esce in fretta).

Caterina                        - Poveretta! Fino all'ultimo giorno le ab­biamo fatto male... (Con altro tono) Disturbo, signor preside?

Stefano                         - Come può pensare una cosa simile? La aspettavo, Horvath. Cioè, signorina...

Caterina                        - (sorride) Mi chiami pure Horvath, signor preside, come prima.

Stefano                         - Ormai non ne ho più diritto. Nella sua borsetta ha la licenza di maturità...

Caterina                        - E crede che sia diventata un'altra?

Stefano                         - Dal mio punto di vista, sì... (Turbato) È stata molto gentile a venire... (Le stende la mano. Ca­terina gli porge la sua. Stefano gliela bacia trattenen­dola un attimo di più).

Caterina                        - (la ritrae gentilmente. È imbarazzata) Sono venuta, signor preside, a ringraziarla di quanto ha fatto per me... (Quasi con tono scolastico) Ad espri­merle la mia profonda e imperitura gratitudine.

Stefano                         - (come allontanando con un gesto) Non ne parliamo più... È cosa passata... Parliamo piuttosto del suo avvenire, Horvath. (Confuso) Ecco: l'ho chiamata di nuovo Horvath.

Caterina                        - Niente di male!

Stefano                         - Ma io non voglio più chiamarla cosi... Se la chiamo Horvath, mi pare di dover subito aggiun­gere   - (con tono cattedratico:) Mi dica quando ha regna­to Maria Teresa...

Caterina                        - (in tono scolastico) Dal millesettecento-quaranta al millesettecentottanta...

Stefano                         - Vede? Anche a lei vien fatto di rispondere come scolara.

Caterina                        - Otto anni di lezioni non si possono di­menticare tanto presto. Io rimarrò sempre la sua alunna.

Stefano                         - (piano, con semplicità) Caterina Horvath, ottava bis, terzo banco a sinistra... Una piccola alunna che ho fatta prigioniera.

Caterina                        - (un po' stupita) Prigioniera?

Stefano                         - Le altre sono aspettate fuori della scuola. Lei era attesa qui. (Breve pausa). Nella sala dei pro­fessori, accanto al tavolo verde, non aspettavo che lei, da tre settimane, di giorno e di notte, Caterina Horvath.

Caterina                        - Signor preside...

Stefano                         - Per otto anni sono stato sempre io a ri­volgerle delle domande. Ma ora è lei che deve rivol­gerne una a me.

Caterina                        - Che devo domandarle?

Stefano                         - Quello che non sono capace di dirle. Mi chieda finalmente se l'amo...

Caterina                        - (quasi sgomenta) Oh Dio!

Stefano                         - Ricordi... ricordi le parole che lei stessa mi ha gettato qui, in faccia, tra le lacrime... Da allora non sono più stato capace di pensare ad altro. Ho ri­petuto mille volte la sua confessione come uno scola­retto che studia il compito. Mi sono preparato alla li­cenza meglio di lei. Ed ecco... ora sono qui.

Caterina                        - Oh Dio!

Stefano                         - Che c'è, Horvath?

Caterina                        - (come torturata) Signor preside... io sono l'essere più cattivo e più vile del inondo.

Stefano                         - Che dice?

Caterina                        - Come avrei potuto sospettare che lei prendesse tanto sul serio la cosa?

Stefano                         - Sul serio? (Comincia a capire).

Caterina                        - La prego, mi perdoni... e mi dimentichi. Mi lasci andare a casa... Allora ho confessato di amarla in nome di tutto il liceo... ed ero sincera... perché tutte le volevamo bene... gliene volevamo tanto che per amor suo studiavamo le cose più inutili e più astruse... le date più inverosimili... (Con le lacrime nella voce) Millesettecentosettantaquattro: la pace di Kuciuk-Kainargi... perché l'abbiamo imparata? per amor suo....

Stefano                         - Horvath!

Caterina                        - Ma questo non era amore di donna... era invece l'amore di un intero liceo femminile... Tutte le mie compagne avrebbero potuto dichiararlo... ma lei mi ha costretto a confessare...

Stefano                         - Io l'ho costretta?

Caterina                        - Mi ha messo il coltello alla gola... vo­leva scacciarmi prima della licenza... stavo per anne­gare... e mi sono aggrappata dove ho potuto.

Stefano                         - Allora lei ha mentito?

Caterina                        - No! Forse la disperazione ha dato alle mie parole un tono diverso. È per questo motivo che il giorno dopo volevo parlarle, per spiegare... per chia­rire... ma lei non ha voluto ascoltarmi... non ha più voluto ascoltarmi fino ad oggi...

Stefano                         - La sua difesa è inutile. Non vi sono atte­nuanti. Lei ha distrutto l'equilibrio spirituale di un uomo... ha sconvolto tutta la sua vita, senza riflettere, che egli poteva essere annientato da uno scherzo cosi crudele...

Caterina                        - Uno scherzo?

Stefano                         - Uno scherzo da scolare... una ragazzata... come dite voialtre? La signorina Clotilde l'avete ferita con le puntine da disegno... al preside avete trafitto il cuore...

Caterina                        - (con sincero rammarico) Ma io non vo­levo... le giuro che non volevo... non l'ho mai pensa­to... non mi torturi così... non merito il suo rimpro­vero. Vorrei tanto poterla confortare.

Stefano                         - Non occorre. Il suo scopo ormai è rag­giunto. Ha ottenuto la licenza. Vada pure... se ne vada presto... certo laggiù l'aspetta qualcuno...

Caterina                        - Signor preside...

Stefano                         - Tutte sono attese; perché proprio lei, no? Vada tranquillamente e si goda la sua bella giovinezza... Metto in pace la sua coscienza: in tutto questo una sola persona ha sbagliato: io!

Caterina                        - E dovrei andarmene via cosi, dal liceo, dopo otto anni?

Stefano                         - Non le sarà difficile... è giovane e la gio­ventù è spietata anche senza volere. Non serve confor­tarmi. Lei mi ha schiacciato... che pretenderebbe anco­ra? Dovrei gridarle che l'ho perdonata?

Caterina                        - Non chiedo il suo perdono: so di non meritarlo... Vorrei soltanto una buona parola. Ancora una buona parola per l'ultima volta...

Stefano                         - Qualunque cosa dicessi non potrebbe più riguardare lei. (Con un profondo sospiro) Andrò in bi­blioteca... prenderò il libro di Seneca sulla vecchiaia... (Con uno sforzo toma al freddo tono professionale) Sa lei, Horvath, chi era Seneca?

Caterina                        - (con tono scolaresco) Seneca era il pre­cettore di Nerone, signor preside.

Stefano                         - (con profonda amarezza) Era un maestro... un maestro che fu assassinato dal suo scolaro... (Un at­timo di silenzio. Si picchia) Avanti! (Tintinnìo di chia­vi. Entra Adamo).

Adamo                          - Mille scuse... c'è un signore che cerca la signorina Horvath.

Stefano                         - (con un lieve sorriso ironico) Ecco!...

Caterina                        - (molto turbata) Non capisco, veramente... (Altro tono) Dov'è questo signore?

Adamo                          - Qui... nel corridoio...

Caterina                        - (sempre più turbata) Ditegli di aspettar­mi giù, per favore.

Stefano                         - (con ironia) E perché? Perché dovrebbe at­tendere nella strada? (Tagliente) Dite a quel signore che ormai può entrare qui tranquillamente.

Adamo                          - Subito, signor preside. (Alla porta) Si acco­modi, signore. (Fa entrare Tommaso Rudnai ed esce. Tommaso è un giovane aitante, tipo sportivo, tutto sa­lute e giovinezza. Entrando porta con sé un soffio della vita che è fuori della scuola. È distinto, simpatico, si­gnorile. Capitato in una situazione della quale non si rende conto, le sue ingenuità non devono apparire ri­dicole).

Tommaso                      - Buongiorno...

Stefano                         - (lo guarda) Buongiorno.

Tommaso                      - Permette, signor preside? Sono Tommaso Rudnai. (Batte i tacchi).

Stefano                         - Dottor Stefano Kulciar.

Tommaso                      - Vi bacio le mani, Caterina.

Caterina                        - (molto confusa) Che cercate, Tommaso?

Tommaso                      - (semplice) Sono venuto per voi. Chiedo scusa se mi sono introdotto qui così... semplicemente... (A Stefano) Per spiegar meglio, sono il suo fidanzato...

Stefano                         - (ironico) Ah sì? Allora mi permetta di congratularmi.

Caterina                        - Avreste potuto aspettarmi giù...

Tommaso                      - Sono rimasto più di mezz'ora dinanzi al portone... Cominciavo a preoccuparmi... che poteva es­servi accaduto? forse qualche difficoltà per la licenza?...

Stefano                         - No, no, nulla... (Sorride) La signorina Horvath... la nostra migliore alunna... è venuta a congedarsi da me... Ecco perché ha tardato un po'. Spero che non me ne vorrà.

Tommaso                      - (sereno) Le pare? Caterina mi ha par­lato sempre del suo preside con ammirazione ed affet­to... ed io sono veramente felice che il caso mi abbia concesso di rivelare proprio a lei, per primo, il nostro fidanzamento, che si doveva tenere segreto fino agli esami...

Stefano                         - Molto gentile... sono veramente lusinga­to... (Con un sorriso significativo) Io dunque insegnavo la storia ad una piccola fidanzata!

Tommaso                      - Ora posso dirle anche quanto ho sof­ferto per lei, signor preside.

Stefano                         - (sorpreso) Per me?

Tommaso                      - Ogni pomeriggio giocavamo al tennis all'Isola Margherita... È lo sport che ci ha avvicinasi... e io le ho insegnato tutti i segreti del giuoco... Ma quan­do eravamo insieme, guardava sempre l'orologio: « Mio Dio, devo correre a casa! devo studiare la storia »...

Stefano                         - Tanto zelo è veramente lodevole in una alunna!

Tommaso                      - (ingenuo) Ormai tutto questo è lontano... Avete la licenza... la scuola è finita... non se ne parli più! (A Stefano) Dico bene?

Stefano                         - Benissimo! La scuola è finita... (Entra Anna).

Anna                             - Buongiorno... (Imbarazzata, fa l'atto di riti­rarsi) Scusino! Disturbo, forse?

Stefano                         - Anzi... ho piacere che sia entrata. Per­mette? Tommaso Rudnai, fidanzato di Caterina Horvath.

Anna                             - Fidanzato?!... (Guarda Stefano, sbigottita).

Tommaso                      - (batte i tacchi) Bacio le mani... La dot­toressa Mate?... L'ho riconosciuta dalle descrizioni di Caterina...

Anna                             - Anche a me pare di riconoscerla... come se avessi intravisto il suo volto... non so dove.

Tommaso                      - Sfido io! Gironzavo sempre intorno al liceo per aspettare Caterina... di nascosto...

Anna                             - Ormai non occorre più che si nasconda... (Breve pausa). E a quando il matrimonio?

Tommaso                      - (raggiante) Fra un mese, al massimo... Vogliamo goderci l'estate. Partiremo per l'Italia...

Anna                             - (guarda lontano) Sarà un viaggio bellissimo, certamente...

Caterina                        - (in pena) Vi prego, Tommaso... andiamo, ora... La mamma ci aspetta per colazione.

Tommaso                      - No, no, non ci aspetta affatto. Le ho chiesto il permesso di portarvi fuori con me. Ho giù la macchina e per festeggiare questo giorno faremo co­lazione in campagna.

Anna                             - (un po' marcato) Le consiglierei di andare all'Albero di Norma. È un posto meraviglioso...

Tommaso                      - Bene! Allora andiamo là. Bacio le mani, signorina. I miei rispetti, signor preside. La ringrazio di aver allevato per me questa cara ragazza... (Si avvia).

Caterina                        - (piano, con le lacrime nella voce) Addio, signor preside... Non ci rivedremo più?

Stefano                         - (con voce senza timbro, ma semplice) Ma sì! Fra dieci anni... al raduno decennale delle licen­ziate di oggi. Faremo il solito pranzo...

Anna                             - Speriamo di esserci ancora tutti... Addio, cara Caterina! (La bacia).

Tommaso                      - (nel vano della porta) Andiamo, tesoro! (Felice si stringe al braccio Caterina e se la porta via. Stefano li guarda muto, poi torna lentamente alla fine­stra. Alcuni attimi di silenzio).

Anna                             - (piano, con compassione) Povero... povero amico mio...

Stefano                         - Non mi conforti, Anna... sarebbe peggio.

Anna                             - Dunque non posso più neppure compatirla?

Stefano                         - (con fermezza) No! Perché in verità que­sto momento è sublime... Sono giunto ad un'altezza dalia quale discerno nettamente ogni passione e ogni vanità.

Anna                             - (con pietà) Forse distingue le vanità... ma le vere passioni non le conoscerà mai.

Stefano                         - (soffrendo) Solo oggi mi son reso conto che la scuola fa diventare adulti i bambini... ma qual­che volta fa diventare bambini i vecchi! Quest'anno anch'io ho fatto l'esame di maturità. (Con un piccolo grido, indicando la finestra) Guardi! ora escono dal portone... (Rodendosi) Non sente, Anna Mate, che per loro siamo già morti? Ci hanno imbalsamati e sepolti nel gabinetto di storia naturale... Viviamo ancora, ma per loro non siamo che ombre.

Anna                             - Sì, signor preside. Noi moriamo alla fine di ogni anno scolastico...

Stefano                         - ... e risorgiamo quando le scuole si ria­prono. In settembre verranno nuove alunne e allora ricominceremo da capo tutto.

Anna                             - Nel prossimo autunno tornerò ad insegnare alla prima classe... Quando avrò guidato le mie ragazze fino all'ottava... quando le avrò portate dalle prime pa­role latine alle odi di Orazio... allora... (amara) ... al­lora sarò diventata anch'io una Clotilde Sàlkai.

Stefano                         - E io il professor Kulciar... È la nostra sorte, Anna. (Con un ultimo sfogo) Dare, dare, sempre dare... allevare le Caterine Horvath... perché sono tutte Caterine Horvath... tutte uguali. Ora sono già libere, fuori della prigione, mentre noi siamo condannati a vita nella scuola... inchiodati a questo tavolo verde...

Anna                             - (quasi gridando) Ma perché non si ribella contro la sorte? Perché non guarda un po' intorno? Anche tra queste pareti palpita la speranza... una pic­cola possibilità di essere felici... (Quasi confessa il suo grande segreto) Due vite scorrono qui una accanto all'altra... da anni e anni... unite dall'amicizia, eppure perfettamente estranee... (China la testa e aspetta).

Stefano                         - (la guarda con molta pietà) Ed è bene che sia così, Anna... Mi comprenda... Le nostre vite sono troppo uguali... corrono su due binari paralleli... e il professor Richtig potrebbe dirci che le parallele non si incontrano mai.

Anna                             - (guarda lontano) Solo all'infinito...

Stefano                         - Ma il nostro piccolo mondo è delimitato... La sala dei professori... la finestra... un quadrato di cielo che cambia sempre colore... Dall'azzurro passa al grigio e dal grigio di nuovo all'azzurro... e questo sol­tanto ci dice che l'anno scolastico è trascorso.

Anna                             - L'anno scolastico!... (Con un piccolo grido) Ma sarà sempre così, in avvenire... senza scampo... sen­za conforto?... Mi aiuti! parli! che si deve fare?

Stefano                         - (con semplicità) Lavoreremo, Anna... come lei voleva... Scriveremo anche il secondo volume... La « Storia del Medio Evo »...

Anna                             - (triste) « Dalla caduta dell'Impero d'Occi­dente alla scoperta dell'America »... Quando comin­ceremo?

Stefano                         - Appena mi rimetterò un po'... sarà diffi­cile... ma spero di riuscirvi.

Anna                             - Ho già tracciato il lavoro nelle sue grandi linee... Ho segnato i testi da consultare...

Stefano                         - (con un sorriso scialbo) Non ci rimane altro che dividerci il mondo...

Anna                             - Il mondo?

Stefano                         - Già... (Con cortesia) Lascio a lei la Fran­cia e l'Impero germanico...

Anna                             - (dolce e umile) Grazie.

Stefano                         - L'Italia la serbo per me... E così tutto è a posto. Allora, acconsente?

Anna                             - Volentieri...

Stefano                         - (con fede) « Storia Universale per i licei femminili », di Stefano Kulciar e Anna Mate. (Deciso) Il nostro accordo è concluso. (Le stringe la mano). E per tutto quello che potremmo ancora dirci avremo tempo abbastanza nei prossimi venti anni.

Anna                             - Venti anni non bastano quando non si è sa­puto trovare il momento giusto... (Guarda fuori). Quel momento qualcuno ce l'ha rubato. (Entra Adamo).

Adamo                          - Scusi, signor preside... Posso chiudere il portone? Sono andati via tutti.

Anna                             - Già... anch'io me ne andrò... (Si accinge ad uscire). Lascio qui l'inchiostro rosso e le matite. Me li serberete per il prossimo anno scolastico...

Adamo                          - Di questi vecchi quaderni, che ne facciamo? (Indica i quaderni che Anna correggeva al primo atto).

Anna                             - (con un sorriso doloroso) I compiti latini... (Sfogliandoli) Le versioni di Caterina Horvath... (Verso Stefano) Si devono serbare o si buttano nel cestino?

Stefano                         - (duro, reciso) Nel cestino!

Anna                             - (con un sorriso) Allora, addio, signor pre­side... Addio, Adamo. Ormai potete chiudere il portone grande. (Si avvia. Stefano e Adamo la seguono con lo sguardo e subito dopo l'uscita di Anna cala il sipario).

FINE