Federigo

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FEDERIGO

Commedia in tre atti

di RENE’ LA PORTE

Versione italiana di Luciana e Gigi Cane

PERSONAGGI

OLIVIA

DONNA BIANCA

FEDERIGO

IL PRINCIPE BIANCO

MARKUS, domestico di Federigo

GIUSEPPE

DON ESTEBAN

IL LUOGOTENENTE SODERINI

IL MONACO

L'UFFICIALE

DUE SOLDATI

L'azione è ambientata in Toscana. Il primo atto e i due quadri del secondo si svolgono al principio del XV secolo; il terzo atto al principio del XVI secolo


.ATTO PRIMO

Interno della casa di Federigo nella campagna toscana. Mobilio modesto con qualche traccia di passata opulenza. A sinistra, un grande camino e una porta che s'apre sulla cucina. Sul fondo, una finestra che dà su un grande balcone: si intravvede un arancio, i cui rami sfiorano il balcone. A destra, la porta della camera di Federigo. È piena estate, la luce è viva e forte. All'alzarsi del sipario, Markus, seduto accanto al camino, pulisce una balestra. Olivia, in piedi, lo guarda.

Olivia                            - Ditemi, Markus, che cosa pensate voi delle zingare?

Markus                          - Che cosa penso io delle zingare?

Olivia                            - Sì, vi piacciono oppure vi fanno paura...

Markus                          - Buffa domanda, Olivia! (Bidè) Forse mi piacciono perché mi fanno paura. Ad ogni modo credo che mi piacerebbe la Volpe, la zingara del nostro villaggio.

Olivia                            - È proprio di lei che volevo parlarvi.

Markus                          - (sempre ridendo) Vi ha letto la mano? Vi ha predetto che sposerete un principe o che morirete sul patibolo?

Olivia                            - È una cosa seria, Markus. Sapete che da tre mesi qualcuno ruba nella cassetta dell'elemosina in chiesa...

Markus                          - E voi avete scoperto il colpevole?

Olivia                            - Sì.

Markus                          - È la Volpe?

Olivia                            - Sì, oggi, a mezzogiorno, sono entrata in chiesa. Fuori faceva così caldo...

Markus                          - Attenta, piccola Olivia. Chi va in chiesa quando non c'è nessuno, è segno che ha qualcosa da nascondere... A meno che Dio abbia deciso di fare di questo grazioso braccino qualcosa come il suo braccio della giustizia. Ha preferito voi alla sacrestana: più che comprensibile!

Olivia                            - Ero inginocchiata vicino all'entrata, quando ho avuto l'impressione che l'ombra del pilastro, davanti a me, si muovesse. E questa ombra scivolava verso la cassetta. Io mi sono avvicinata pian piano. Sapete come fa la Volpe a rubare? Intro­duce nella fessura un bastoncino ricoperto di vischio e le monete vi s'incollano sopra. Non lascia la minima traccia.

Markus                          - Che ragazza sveglia!... E voi avete gridato, avete fatto qualcosa?

Olivia                            - Non ho osato... La Volpe ha un paio d'occhi terribili... Mi sono nascosta in un confessio­nale... Voi, al mio posto, la denuncereste?

Markus                          - No di certo. (Breve silenzio. Olivia sembra esitare).

Olivia                            - E il signor Federigo, che cosa mi con­siglierebbe?

Markus                          - Vi assicuro che vi consiglierebbe di non aprir bocca... Del resto, potete chiederglielo quando torna. Vi dirà che il villaggio ha bisogno di zingare. Le zingare si possono accusare di tutti i drammi ine­splicabili, di tutte le epidemie del bestiame e così non si deve cercare più lontano. È molto comodo...

Olivia                            - Dov'è il signor Federigo?

Markus                          - A caccia.

Olivia                            - Credete davvero che cacci qualcosa? Una volta l'ho visto, ero sulla collina dove lui stava alla posta della selvaggina, A un certo momento ha alzato la balestra: e vi giuro, non c'era nessun uccello nel cielo. Ma ha lanciato lo stesso la sua freccia: forse voleva colpire il sole.

Markus                          - Che fantasia hanno le ragazze! State attenta, Olivia, voi sognate troppo.

Olivia                            - E voi mi prendete troppo in giro.,. E anche il signor Federigo si burlerà di me, come sempre. Non ha mai l'aria di prendere le cose sul serio. Sorri­de. Si direbbe che sorride per impedirsi di ridere.

Markus                          - È abbastanza vero. Non ha più voglia di ridere... Ha avuto molti dispiaceri.

Olivia                            - E orfano?

Markus                          - Sì. Ma è stato piuttosto un vantaggio, per via dell'eredità: così si è rovinato più in fretta.

Olivia                            - (a voce bassa) Ha dei dispiaceri d'amore?

Markus                          - (ridendo) No, rassicuratevi... Ha dei dispiaceri di quattrini. È peggio.

Olivia                            - (scandalizzata) Oh!

Markus                          - (assumendo un'aria d'importanza) Ab­biamo subito forti perdite. Di tutto il patrimonio ereditato non ci rimane più che questa casetta. L'anno scorso avevamo' ancora un palazzo a Firenze, con cento quadri nella galleria e cinque cavalli nella scuderia.

Olivia                            - Capisco che il signor Federigo sia triste.

Markus                          - Triste? Non direi. Direi piuttosto che aspetta.

Olivia                            - Aspetta che cosa?

Markus                          - La fortuna... Il mio padrone è un gran giocatore. Pensa che un giorno o l'altro la for­tuna gli restituirà ciò che gli ha portato via, palazzo, quadri, cavalli.

Olivia                            - (guardandosi intorno) Eppure non si sta male, qui.

Markus                          - Il padrone dice che i battelli all'ancora non stanno male nel porto, eppure non vedono l'ora di andarsene...

Olivia                            - Per viaggiare, è diverso... Ma giocare, rischiare una vita felice, e per che cosa, poi?

Markus                          - Per il denaro, cara.

Olivia                            - (sognante) Credevo che il gioco fosse solo gioco. Allora giocare è come lavorare?

Federigo                        - (entra e sente l'ultima battuta) Non proprio, piccola Olivia del cuor mio! È piuttosto come mettersi in stato di grazia.

Olivia                            - . Oh, mi avete spaventato, signor Federigo.

Federigo                        - (con leggerezza) Perché sono il lupo. E guarda qui quel che il lupo divorerà per cena. (Getta sul tavolo il ricavato della caccia) Una lepre color dell'autunno... E due tortorelle color di... Color di che cosa, a proposito? Decidi tu, Olivia, che hai più fantasia di me.

Olivia                            - (sorridendo, ma con l'aria di non pensarci) Color del seno, signore.

Federigo                        - Immagine strana, ma graziosa. Mi piace... Chiamami Federigo, Federigo e basta...Signore? Signore di che, vorrei sapere! Sono soltanto un prin­cipe da nulla, un principe da topaia. Meno potente del barone del villaggio, quell'imbecille che ha diritto di caccia dovunque io inseguo la selvaggina...

Olivia                            - Il nostro castellano è conciliante. Vi ha forse proibito di cacciare sulle sue terre?

Federigo                        - No, ma mi basta che abbia qualche diritto su di me. Non mi piace che si abbiano diritti su dì me. (Cammina avanti e indietro).

Markus                          - Il signore non ha l'aria stanca, stasera.

Federigo                        - Sono molto contento.

Markus                          - Ma non sarà questa caccia...

Federigo                        - Ho fatto quel che ho potuto, vecchio mio. Ma hai ragione: non è questo poco di selvaggina a mettermi di buon umore. Ho incontrato la Volpe.

Olivia                            - Vi ha detto la buona ventura?

Fedekigo                       - Si capisce: tu sai quel che ti capiterà. Ma io no.

Olivia                            - E che cosa può capitarmi?

Federigo                        - Te lo predico subito: un bel giovane sul limitare d'un bosco, una casetta in fondo a una vallata, e un paio di bimbi in una culla.

Olivia                            - E se desiderassi qualcos'altro?

Federigo                        - (ridendo) Tu?

Olivia                            - Che cosa vi annuncia la Volpe?

 Federigo                       - Che avverrà qualcosa di fortunato nella mia vita, questa sera stessa... Capisci? Voglio prepararmi a ricevere la fortuna. Mi metterò il mio ultimo farsetto presentabile, tirerò fuori l'ultima bot­tiglia di vino buono... La fortuna è un viaggiatore, e i viaggiatori hanno sempre sete! (Olivia sorride e Federigo la guarda con attenzione, come se la vedesse per la prima volta. Fa segno a Markus di andarsene in cucina) Tuo padre non ti proibisce di venir qui?

Olivia                            - Perché? Siamo vicini...

Federigo                        - Non ho una buona reputazione in paese.

Olivia                            - Vi trovano un po' selvaggio.

Federigo                        - Come la Volpe.

Olivia                            - E vi piacerebbe che vi temessero, come lei. Vorreste essere il lupo. Ma avete poche speranze... Perché abbiamo già un lupo, ed è addirittura un lupo mannaro. La sua fama ha sorpassato i confini del comune. Per chilometri intorno quando i bambini fanno le bizze, i genitori minacciano di ricorrere al lupo mannaro di qui. Pare che sia una misura radicale.

Federigo                        - Tu non hai l'aria di temere molte cose.

Olivia                            - Temo solo quel che vedo.

Federigo                        - (ridendo) Allora sei una buona cri­stiana... (Da qualche momento accarezza distrattamente la lepre e le tortore) Guarda, Olivia, che bella natura morta!

Olivia                            - Sì, Federigo.

Federigo                        - È tutto morto, qui. Mi annoio.

Olivia                            - Siete mutevole come il vento. Eravate allegro. Adesso siete triste. Perché vi annoiate?

Federigo                        - Ho conosciuto altre cose oltre queste lunghe giornate vuote. E mi mancano, mi manca la città, gli amici (la guarda di sottecchi), le notti perse così piacevolmente.

Olivia                            - Avete perso molte cose, lo so.

Federigo                        - Sei molto acuta. Quanti anni hai?

Olivia                            - Venti.

Federigo                        - Troppo pochi per rispondere così in fretta e così bene.

Olivia                            - (sinceramente e un po' imbarazzata) Lo penso anch'io. Ma qualche volta ho l'impressione che dentro di me ci sia qualcuno che vuol parlare e che mi sovrasta e mi suggerisce...

Federigo                        - Insomma, non sei una ragazzina banale. Sei una ragazzina che ha già il suo demone.

Olivia                            - (sorride) Un demone molto chiacchierone...

Federigo                        - Un giorno sarà il silenzio d'un uomo a esorcizzarti.

Olivia                            - E voi quanti anni avete?

Federigo                        - Sono alla metà della mia vita.

Olivia                            - Ve l'ha detto la Volpe?

Federigo                        - No. Ma ho trentacinque anni. Con un po' d'ottimismo posso credere d'aver fatto solo metà del cammino. Mi permetti di crederlo?

Olivia                            - Comunque non vi permetto di annoiarvi.

Federigo                        - Qui siamo al termine di ogni cosa.

Olivia                            - A me, invece, pare che ogni cosa vivente si muova e si trasformi, mi trascini e mi faccia var­care l'orizzonte. Quando guardo il paesaggio, mi dico: è azzurro come gli occhi, e allora penso agli occhi. Quando guardo quei cipressi, mi dico: sono diritti come spade, e penso a bei cavalieri che verranno a slacciarsi la corazza e farmi omaggio della loro rinomanza.

Federigo                        - Uhm, è già sogno.

Olivia                            - Sogno!... Avvicinatevi alla porta. Che cosa vedete?

Federigo                        - Il prato, un albero in mezzo al prato.

Olivia                            - A me il prato fa pensare al mare che non ho mai visto e che deve essere verde.

Federigo                        - E l'albero!

Olivia                            - L'albero rosso è una barca di pescatori sul mare.

Federigo                        - Aspetta che ci capisca qualcosa. Il prato come il mare. L'albero come la barca. Come... Dici sempre: come...        - (Quasi teneramente) Signorina... Come... T'invidio. Confrontare è forse un modo di dimenticare quel che è.

Olivia                            - Non dimentico mai quel che è. Ma quando vedo un albero è naturale che veda la sua ombra nello stesso momento...

Federigo                        - (di nuovo grave) Anch'io non dimentico. Non dimentico nulla.

Olivia                            - Siete stato tanto infelice...

Federigo                        - Sfortunato, piuttosto.

Olivia -                          - Perché giocavate?

Federigo                        - Forse per vincere quel che tu pos­siedi con tanta naturalezza: la fantasia. Il gioco è il mio oceano, la mia barca sull'oceano... (Più grave) È anche una guerra. Certi ritorni all'alba hanno l'a­marezza d'una malattia.

Olivia                            - E allora perché ricominciavate?

Federigo                        - Ci sono malattie dalle quali non si desidera di guarire.

Olivia                            - Qui siete in convalescenza.

Federigo                        - Allora per poco, spero.

Olivia                            - (con un grido) Volete andarvene?

Federigo                        - Si capisce... devo vendicarmi.

Olivia                            - Di chi?

Federigo                        - Della sfortuna.

Olivia                            - Così ve ne andrete. Ve ne andrete... E quando avrete rivinto quel che avete perduto?...

Federigo                        - Vincerò ancora.

Olivia                            - E quando avrete troppo denaro?

Federigo                        - Non si ha mai troppo denaro. Si ha soltanto abbastanza denaro per la condizione cui vi eleva ogni nuova vincita di denaro. E poi, non so, potrei incominciare tante cose... L'avventura! Tu non la desideri?

Olivia                            - Sì, ma non la stessa che desiderate, voi.

Federigo                        - Ah, sì, so quel che vuoi. L'avventura di tutte le donne. L'avventura del cuore.

Olivia                            - (mortificata) Perché no? È un desiderio così meschino? Voi appartenete certo alla razza dei forti e degli indifferenti, Federigo, ma non credevo che apparteneste a quella degli invidiosi i quali si rallegrano quando riescono a distruggere il paradiso degli altri.

Federigo                        - Oh, sai, il tuo paradiso...

Olivia                            - (offesa) Non vi ho chiesto di dividerlo con me. Sarebbe stato meglio che non avessimo mai parlato di queste cose, che oggi non vi avessi visto. Anzi, che non vi avessi visto mai. (Sta per uscire).

Federigo                        - Non arrabbiarti! Volevo solo spie­garti che bisogna aspettare l'occasione, il caso. Sai: nella tua avventura, come nella mia, è sempre il caso che decide. Abbiamo almeno questo in comune. (Olivia sorride) E forse anche qualcos'altro... La Volpe mi ha promesso la fortuna per stasera. Se tu te ne vai...

Olivia                            - Se io me ne vado...

Federigo                        - Il giorno sta per finire... Forse sei tu, la mia occasione di stasera. E dovrei lasciarti andare?... Giochiamo. Pensa per un secondo che io sia il tuo caso e tu il mio.

Olivia                            - Giocate troppo bene per me.

Federigo                        - Incomincio: Federigo si sentiva solo come...

Olivia                            - Come una sentinella nella notte.

Federigo                        - Vedo sopravvenire sulla sua strada una fanciulla bella come...

Olivia                            - Dite voi.

Federigo                        - Come... come una tortorella. Ti piace?

Olivia                            - No, barate. Vi guardate attorno e sce­gliete un oggetto. È troppo facile.

Federigo                        - A quella fanciulla vorrebbe parlare come...

Olivia                            - Un poeta.

Federigo                        - Dirle che le giornate sono vuote, vuote come...

Olivia                            - Non ci sono paragoni per il vuoto. Non c'è niente di più triste e di più definitivo del vuoto.

Federigo                        - Dammi la mano, Olivia. (Molto dolcemente) Signorina. Come... (Si baciano. Breve silenzio) Sei così giovane e fresca... Ho condotto una vita impura, lo sai, e non ho l'abitudine di una donna come te. Ho conosciuto ragazze di vent'anni, ma i loro baci non erano più spontanei dei loro rifiuti. Quando mi dicevano: « Sono con te », mi sentivo più solo di prima... Forse in tutti questi anni brucianti, mi sono lasciato sfuggire molta felicità senza capirla.

Olivia                            - Perché non la dividevate.

Federigo                        - E tu la divideresti?

Olivia                            - Il mio demone non vi risponderà. Siete indiscreto. Non fa parte del gioco... Noi giochiamo, mio dolce signore. (Si baciano di nuovo, più a lungo. Poi Federigo la guarda intensamente e si svincola).

Federigo                        - No, non giochiamo!

Olivia                            - (stupita della sua violenza) Federigo!

Federigo                        - Ho letto nei tuoi occhi quel che ho letto in tanti altri sguardi...

Olivia                            - Che cosa c'era nei miei occhi? Erano chiusi...

Federigo                        - (duramente) Anche chiusi, avrei letto in essi un'attesa, avrei indovinato la trappola che ogni donna tende all'uomo che la stringe tra le braccia.

Olivia                            - Non ho pensato a nulla.

Federigo                        - Non sai a cosa pensavi. Ma le tue labbra, il loro calore, un lieve fremito del tuo corpo ti hanno tradita lo stesso.

Olivia                            - (sul punto dì scoppiare in pianto) Come potete parlare di tradimento?

Federigo                        - Può anche darsi, dopo tutto, che tu non faccia calcoli. Ma rimane altrettanto pericoloso... Io sono una creatura selvaggiamente libera. Sono il re di me stesso. La condizione stessa della mia vita è di non aver legami... Non accetterei legami per il più bel viso del mondo, per il più bel sentimento del mondo. Domani, forse, potremmo amarci. T'immagini il risultato di quest'amore?

Olivia                            - (a bassa voce) Non dite nulla, Federigo.

Federigo                        - (crudelmente) Come scena, questa casa. Come avvenire, questa collina. La più grande felicità, non c'è niente da fare, si dissolve in una quantità di piccole felicità goffe e piacevoli. È pietoso, e non mi piace aver pietà di me.

Olivia                            - Non vi ho chiesto niente... Passate sul mio cammino. Non dico che la vostra vicinanza, da sei mesi a questa parte, non abbia cambiato nulla nella mia vita. Ma non cercate troppo lontano, signor Federigo: avete portato a una ragazza di campagna il profumo della città. Un profumo di conquista e di piacere che le si addice e la turba un po'. Ecco tutto.

Federigo                        - (calmandosi) Davvero?... Forse è un peccato che io sia un vagabondo, avremmo potuto intenderci.

Olivia                            - Ma ci intendiamo benissimo: non cercate più lontano. Guardate, la sera sta calando. Viviamo l'ora magica ch'è come l'indugio fra l'oggi e il domani. E anch'io sono il vostro indugio tra una partita a carte sfortunata ed una fortunata. Ci penserete più tardi. Quando sarete lontano, promettetemi di chiu­dere gli occhi, e ritroverete questo paesaggio e, in questo paesaggio, Olivia. Olivia, il vostro indugio di una sera.

Federigo                        - Ha l'aria d'essere vero. Voglio dire: forse è vero che tu non chiedi nulla.

Olivia                            - Nulla, o molto poco. Che chiudiate gli occhi, una volta tanto, per cercare di ricordare.

Federigo                        - (bruscamente) Vieni qui!

Olivia                            - Devo andarmene. È quasi l'ora di cena.

Federigo                        - Ascolta, Olivia, devi ancora inse­gnarmi parecchie cose...

Olivia                            - Quali cose?

Federigo                        - Questo paesaggio... L'ho visto con te sotto il sole. Ma forse non è lo stesso sotto la luna, sotto le stelle... Vuoi tornare tra poco?

Olivia                            - (acconsentendo subito) Cercate un nuovo indugio, Federigo?

Federigo                        - Forse. Ma davvero tu non temi nulla, né lacrime né rimpianti?

Olivia                            - No.

Federigo                        - Verrai?

Olivia                            - (breve silenzio) Sì. (Sorride ed esce. Rimasto solo Federigo appare indeciso. Prende un mazzo di carte dal tavolo, si siede, spinge da un lato la selvaggina e comincia negligentemente un solitario, finendo, forse perché il gioco non riesce, col gettar via le carte. Poi chiama, a voce molto alta):

Federigo                        - Markus! (Entra Markus) La cena è pronta?

Markus                          - Non ancora, signore.

Federigo                        - Allora lasciala sul fuoco e vieni a giocare. (Markus si siede con l'aria rassegnata di chi obbedisce a un maniaco) Non hai l'aria troppo allegra.

Markus                          - Forse non è elegante che i servi si annoino come i loro padroni.

Federigo                        - Infatti. La noia è un privilegio delle persone bennate. Ma io sono liberale; ti permetto di annoiarti... Non ti piace la campagna?

Markus                          - C'è troppo sole e troppa polvere. Troppa pioggia e troppo fango. Appena ho smesso di lucidare gli stivali, devo mettermi a raschiargli via il fan­go... Preferisco i marciapiedi della città.

Federigo                        - (ride) È quasi una filosofia, direi!

Markus                          - Non sono nato per aiutare la mucca a mettere al mondo il vitellino e per inseguire nei campi la capra che ha rotto la catena. Fare il contadino, puah!

Federigo                        - Anche con una graziosa fattoressa al fianco? Una fattoressa come Olivia, per esempio?

Markus                          - È una bella ragazza, ma la preferirei vestita da signora. Rassomiglia un po' a donna Lucrezia Pisone, che il signore ha amato per una intera stagione...

Federigo                        - Olivia non rassomiglia a nessuno.

Markus                          - (inquieto) Il signore non si innamo­rerà mica, almeno? Non è niente quando si dice a una donna: « Non assomigliate a nessuno ». Ma quando s'incomincia a dirlo al migliore amico o al domestico, allora diventa inquietante.

Federigo                        - (sorridendo) Dicevo così anche di donna Lucrezia?

Markus                          - E dopo donna Lucrezia, il signore l'ha detto di Martha Bromberg, che veniva dalla Ger­mania e si sospettava dedita a pratiche di stregoneria.

Federigo                        - Smettila... Olivia è tutta un'altra cosa. Mi impressiona, oso appena toccarla. C'è in lei qualcosa che non è naturale, una purezza che sembra venire da un altro mondo..

Markus                          - Ci siamo : il signore sta innamorandosi!

Federigo                        - (ridendo) No, rassicurati, vecchio Markus! Non penso che a partirmene, a lasciare questi contadini, quest'albero, questo prato. Ma quando piglieremo il largo, Dio mio?

Markus                          - Quando i dieci ducati che ci rimangono avranno fatto i piccoli, signore...

Federigo                        - Aspettando, giochiamo... (Distri­buisce le carte) Facciamo il gioco dell'ombra, mi riesce meglio degli altri. Se ci avessi giocato più spesso che a zecchinetta, mi sarei difeso meglio.

Markus                          - Oh, signore! I bari imbrogliano benis­simo anche al gioco dell'ombra. I re cadono loro dalle maniche con la massima naturalezza...

Federigo                        - È strano, guarda il mio gioco. Ho soltanto picche... Dal re fino al nove. Peccato che non giochiamo all'atout.

Markus                          - Strano gioco davvero.

Federigo                        - Sarà segno buono o cattivo?... A Firenze ho avuto questa combinazione una volta, una volta sola. Giocavo contro Domenico! È stato il primo...

Markus -                        - Il primo di che?

Federigo                        - Lo sai bene, Markus. Il primo dei miei dodici morti.

Markus                          - Vi prego, signore, non torniamo su questa storia! Vi riempie di non so quali rimorsi, e a me, a causa dei vostri rimorsi, fa un po' paura. (Gravemente) Non è una storia simpatica, signore.

Federigo                        - Non riesco a dimenticarla... Se sono stato rovinato, non sarà perché prima io ho rovinato dodici giovani, di ottima famiglia come me, ardenti, forti come me?

Markus                          - Il gioco era corretto.

Federigo                        - Certo. Ma la fine dell'avventura, se ben ti ricordi, fu meno corretta. Quei dodici amici furono cacciati dalle loro famiglie e commisero una sciocchezza dopo l'altra.

Marktjs                          - Scusatemi, signore, ma ci sono tanti modi di guadagnarsi il pane, oltre a fare il bandito. I vostri dodici amici hanno scelto la professione di bandito sulla strada di Ravenna. La polizia se ne è occupata, è normale. E loro ci bau lasciato la pelle. E normale anche questo.

Federigo                        - Forse. Ma mi sento vagamente respon­sabile... Comunque, dodici amici morti pesano sulla coscienza.

Markus                          - (sorridendo) Se foste un condottiero, signore, vi peserebbero molto meno.

Federigo                        - Ogni sera mi pare che debbano venire a chiedermi i conti...

Marktjs                          - Giocate, signore.

Federigo                        - Mi pare che debbano venire da quella salita, tutti insieme.

Marktjs                          - Signore, non avete mai creduto alle fate, adesso vi mettete a credere ai fantasmi1?

Federigo                        - (voltandosi verso la porta) Oh, Markus, guarda!

Marktjs                          - Che c'è, signore?

Federigo                        - Sta venendo qualcuno dal sentiero!

Marktjs                          - Non è un uomo solo...

Federigo                        - Aspetta, aspetta. Non vedo ancora bene il suo viso. Ma mi pare di riconoscere l'andatura... No, no! Non è possibile! Quell'uomo cammina come camminava il mio amico Domenico.

Markus                          - (non del tutto rassicurato) Il signor Domenico è morto da due anni, signore.

Federigo                        - Domenico era biondo cosi...

Marktjs                          - Ma non così giovane, mi pare.

Federigo                        - Aspetta, aspetta... Ancora qualche passo e sarà in piena luce, e allora sapremo se è Domenico o no. (Breve silenzio. Poi con un grido) No, non è lui... (Lo sconosciuto si ferma sulla soglia. I due uomini lo guarda/no con un resto di timore, stupiti dal suo elegante farsetto bianco, dalla sua bellezza e forza. Lo sconosciuto ha Varia di un viaggiatore, con stivalone ed arco. Rompe per il primo il silenzio).

Il Principe Bianco         - Posso entrare?

Federigo                        - Entrate.

Il Principe Bianco         - Vi saluto, signor Federigo.

Federigo                        - Conoscete il mio nome?

Il Principe Bianco         - (dolcemente) Lo conosco.

Federigo                        - Da chi?

Il Principe Bianco         - So il nome di tutti quelli che fanno buona accoglienza allo straniero.

Federigo                        - (riprendendo la sua sicurezza) Ma non ci si perde in questa contrada sperduta.

Il Principe Bianco         - (sorridendo) Dove vi siete perso voi stesso, forse?

Marktjs                          - (a Federigo) Strano uomo, e strane parole.

Federigo                        - (al principe Bianco) Che cosa volete da me?

Il Principe Bianco         - M'è capitata una stupida avventura. Poco fa, stanco di galoppare, ho attac­cato il cavallo a un albero e mi sono steso sull'erba a dormire. Quando mi sono svegliato, il cavallo era scomparso.

Federigo                        - In questa Toscana dove tutti guer­reggiano, dove, se potessero, le pietre dei muri guer­reggerebbero l'una contro l'altra, non è prudente viaggiare senza scorta.

Il Principe Bianco         - Non ho bisogno di scorta.

Federigo                        - Vi assicuro che San Giorgio stesso non andrebbe in giro da solo in Toscana...

Il Principe Bianco         - (divertito) Credete che anche San Giorgio...? Non mi piacciono le scorte, perché non mi piacciono i viaggi in cui tutto è previsto. Mi piace andare secondo la mia fantasia. Sono un viaggiatore un po' stravagante, ecco tutto...

Federigo                        - Cercate un cavallo, ora?

Il Principe Bianco         - Esatto.

Federigo                        - Il mio domestico ve lo troverà al villaggio. Volete altro?

Il Principe Bianco         - Confesso che ho anche fame e sete.

Federigo                        - Oggi ho cacciato qualcosa. Ne appro­fitterete.

Marktjs                          - Ma è molto tardi per preparare la lepre, signore.

Federigo                        - Fai arrostire le tortorelle, se cuociono prima. Noi aspetteremo.

Markus                          - Ma, signore...

Federigo                        - Corri e fai quel che ho detto. (Markus esce).

Il Principe Bianco         - (guardandosi attorno) Potreb­be essere la dimora d'un saggio: immagino l'uomo ricco d'esperienza che guarderebbe attorno a sé con occhi di tenero e ardente possesso il cespuglio di rose che incorona il pozzo e il passero che si liscia le piume in cima all'arancio. Ma ho capito immediatamente che voi non siete l'uomo della vostra casa.

Federigo                        - (versandogli da bere) E da cosa l'a­vete capito?

Il Principe Bianco         - Dal vostro sguardo. Ho l'abitudine di leggere in fondo agli occhi. (S'avvicina a Federigo).

Federigo                        - È inutile leggere nei miei. Siete strano, signore, e un po' indiscreto...

Il Principe Bianco         - (molto in fretta) Scusatemi. L'indiscrezione è il difetto dì tutti i viaggiatori.

Federigo                        - Io sinceramente mi accontenterei di sapere chi siete.

Il Principe Bianco         - (seccamente) Mi chiamo il Principe Bianco.

Federigo                        - (sbalordito) Ah!

Il Principe Bianco         - Scusatemi se non vi dico altro, ma gli affari per cui viaggio non sono personali.

Federigo                        - Viaggiate molto?

Il Principe Bianco         - Molto.

Federigo                        - Vi invidio. Un tempo anch'io, come voi, percorrevo l'Italia, placando le liti degli uni, le ambizioni degli altri, cercando di scoprire in ogni contesa il segreto di un'ambizione...

Il Principe Bianco         - (sorridendo) ...e in ogni ambizione il motivo di una lite?

Federigo                        - Ho anche combattuto, infatti, ma poco. Io sono un borghese fiorentino. La gente del mio ambiente paga i soldati perché combattano al loro posto... E inoltre quando si è decisi come me a fare la carriera dello scettico...

Il Principe Bianco         - Scettico! Curiosa parola!

Federigo                        - ...si accorda scarso interesse agli interessi generali degli uomini. La suprema abilità consiste nello sfuggire a tutto ciò che può essere tirannia collettiva: la famiglia, il servizio militare. Anche l'amore. Quando si è soli, si passa più facil­mente in mezzo alla tempesta.

Il Principe Bianco         - (gravemente) L'amore non ha mai portato sfortuna a nessuno, signor Federigo.

Federigo                        - Ho molto amato, e l'amore ha nuo­ciuto nella mia carriera di uomo felice.

Il Principe Bianco         - E le carte anche, se sono ben informato.

Federigo                        - Come lo sapete...! Sì, anche le carte. Ma il gioco ha questo di superiore all'amore, che anche quando vi contraria, vi calpesta, vi percuote, seguita a darvi gioia... Come amante non posso soppor­tare di essere ingannato, ma come giocatore trovo voluttà anche nella sfortuna e nella perdita. (Entra Markus ed apparecchia).

Il Principe Bianco         - Non capisco niente di giochi. E quando gioco, cerco di avere gli atouts in mano.

Federigo                        - (ridendo) Nelle bische, quest'abilità ha un brutto nome.

Il Principe Bianco         - Non gioco con le carte...

Federigo                        - E con cosa allora? Con le donne? Con i principi? Con le anime, forse?

Il Principe Bianco         - Perché no?...

Federigo                        - Cercare le anime non è cercare l'amore?

Il Principe Bianco         - Perché no?...

Federigo                        - (con leggerezza) E voi poco fa mi par­lavate di viaggi seri! Ditemi se c'è un paese dove le anime si vincano più facilmente che altrove.

Il Principe Bianco         - (vagamente) Certo che c'è.

Federigo                        - E ditemi se venite di lontano.

Il Principe Bianco         - (sempre distratto) Vado in giro per il mondo.

Federigo                        - Allora siete un pellegrino?

Il Principe Bianco         - Un soldato, piuttosto.

Federigo                        - Vi vedo senz'armi e senza corazza. (Improvvisamente e violento) Almeno non appartenete ai Visconti, spero?

Il Principe Bianco         - Non appartengo a nessun principe.

Federigo                        - Come vi capisco! Io non amo la guerra, a la libertà... Voglio che si possa dire di me: « Non può essere nato che a Firenze, perché è un uomo libero ».

Il Principe Bianco         - Ma la libertà è come l'amore, come la fede: bisogna difenderla.

Federigo                        - Bisognerebbe aver voglia di difendere la fede, di difendere l'amore. Scusatemi, ma sono argomenti nei quali rimango neutrale. (Silenzio) Andate a Firenze? Vi troverete persone ospitali.

Il Principe Bianco         - Più esattamente vado a Fiesole, nel convento dei domenicani a trovare un frate di nome Giovanni. È un pittore straordinaria­mente dotato. Ma è modesto e non conosce il suo genio. Vado a portargli sicurezza e ispirazione. (Entra Markus portando la cena; i due uomini mangiano).

Federigo                        - Sapete che siete assai misterioso?

Il Principe Bianco         - Non mi pare.

Federigo                        - Pretendete di avere il potere di rivelare gli uomini a se stessi...

Il Principe Bianco         - Non ho detto ciò, sono solo persuasivo.

Federigo                        - (sorridendo amaramente) Comunque, vi prevengo, non mi convincerete che la mia sorte sia invidiabile. So quel che sono, credetemi. E, soprat­tutto, so quel che valgo. Il peso della cenere futura e il peso di qualche desiderio, questo è un uomo... Non lascerò nulla dietro di me. E sia. E poi? Mi baste­rebbe sapere che arriverò alla vecchiaia dicendomi: non ho mancato la mia vita.

Il Principe Bianco         - Non è troppo difficile riuscire nella propria vita: basta scegliere bene la meta. Disgraziatamente, in genere si mira troppo in alto.

Federigo                        - Immaginate un cacciatore molto abile che resti ore e ore in agguato senza veder traccia di selvaggina. Gli occhi stanchi, le mani tremanti. Alla fine sbaglierà il bersaglio più facile, l'uccello dal volo più pesante. Quel cacciatore sono io.

Il Principe Bianco         - Vi mancano dunque tante cose per essere felice?

Federigo                        - (esaltato leggermente dal vino bevuto) Sono avido, tremendamente avido.

Il Principe Bianco         - E che cosa desiderate?

Federigo                        - L'avidità.

Il Principe Bianco         - Ah, non ne usciremo mai!... Sentite, signor Federigo, siete stato generoso con me. Voglio essere generoso a mia volta. Vi faccio una proposta.

Federigo                        - Denaro in prestito? Un mercato? State attento, non ho il minimo credito...

Il Principe Bianco         - No, soltanto un gioco. Il gioco della persuasione.

Federigo                        - Non lo conosco.

Il Principe Bianco         - Bisogna esprimere dei desideri. Esprimete dei desideri, e io vi prometto che saranno esauditi.

Federigo                        - È quel che promettono le madri per addormentare i piccoli.

Il Principe Bianco         - Provate. Potete esprimere tre desideri. Metto una sola condizione al loro realiz­zarsi, che non ne diciate niente a nessuno. Promettete?

Federigo                        - (credendo che sia un gioco) Prometto. Fate una magia?

Il Principe Bianco         - Mi piacete, mi siete sim­patico. Sono capitato da voi per caso, e non lo rim­piango.

Federigo                        - - Ho capito, sempre la vostra famosa indiscrezione... Vi imbattete in un uomo e volete rapirgli i suoi pensieri più segreti. Così raccogliete aneddoti deliziosi, vi preparate ricordi diverten­tissimi...

Il Principe Bianco         - Provate dunque, se è solo un gioco.

Federigo                        - Sarete voi a rimaner deluso. Certo pensate che vi chiederò un palazzo, il segreto della pietra filosofale, il tesoro dei Faraoni.

Il Principe Bianco         - Siete libero di scegliere.

Federico                        - (liricamente) Un momento. Chiudo gli occhi. Cerco di non pensare a nulla. Aspetto che mi venga un'ispirazione.

Il Principe Bianco         - Poco fa dicevate che ave­vate troppi desideri.

Federigo                        - Ne ho troppi, è vero. Quindi sce­glierne tre, deliberatamente, farne un trio è difficile. Sono un uomo d'azzardo, preferisco rimettermi al caso. (Silenzio) Ma è terribile, non trovo nulla... (Riapre gli occhi e i suoi sguardi si posano sul tavolo) Ah, ho trovato! Vedete questo mazzo di carte?

Il Principe Bianco         - Sì.

Federigo                        - Accordatemi di vincere ogni volta che giocherò con esso.

Il Principe Bianco         - Accordato.

Federigo                        - (sorridendo) Però sarebbe diver­tente se fosse vero!

Il Principe Bianco         - E il secondo voto?

Federigo                        - Lasciatemi pensare ancora un mo­mento.

Il Principe Bianco         - Potreste chiedermi la sal­vezza dell'anima vostra.

Federigo                        - Oh, ho tutto il tempo!

Il Principe Bianco         - Non voglio influenzarvi, ma...

Federigo                        - (con la tenerezza degli ubriachi) Mi piacete, principe Bianco. Vorrei che foste amico mio. Vorrei che rimaneste qui con me.

Il Principe Bianco         - (educatamente) Il mio cuore vi rimarrà.

Federigo                        - Un giorno forse mi succederà di voler trattenere una creatura e di sentirmi impotente a farlo. Datemi quel potere...

Il Principe Bianco         - Il vostro voto è confuso. Siate più chiaro.

Federigo                        - (guardandosi continuamente attorno) Assurdità per assurdità... Vedete quella pianta di arance sulla mia soglia? Trattiene i frutti finché può, gli uccelli finché può. Perché non potrebbe trattenere quel che piace a me, suo padrone, quel che non voglio veder cadere e fuggire?... Questo è il mio secondo voto... Accordatemi il potere d'impedire che qual­siasi creatura o cosa scenda da quell'albero se io non voglio.

Il Principe Bianco         - (gravemente) Accordato.

Federigo                        - Si direbbe che facciate sul serio.

Il Principe Bianco         - Pensate alla salvezza dell'anima vostra, siete ancora in tempo.

Federigo                        - Non c'è fretta, sapete.

li. Principe Bianco         - E allora questa terza grazia? (Federigo guarda lo sgabello su cui era seduta Olivia e sorride).

Federigo                        - Aspettate, ecco... Desidero che chi si siede su quello sgabello non possa alzarsi se io non voglio.

Il Principe Bianco         - (esitante) Non avete qual­cosa di diverso da chiedere?

Federigo                        - Eh, state falsando il gioco, bel signore!

Il Principe Bianco         - Bene. Accordato.

Federigo                        - Dopo tutto sarebbe meno diver­tente che le carte.

 Il Principe Bianco        - Che cosa sarebbe meno divertente?

Federigo                        - Poco fa c'era una ragazza seduta su quello sgabello. Ho pensato a lei facendo il mio voto. Ma se la trattenessi, sarebbe lei ad avere dei diritti su di me.

Il Principe Bianco         - (con interesse) Una ragazza che amate?

Federigo                        - Non esageriamo. Se dovessi amare - ma non voglio amare - credo che quella più che un'altra mi riconcilierebbe con me stesso... Pensate che io non credo, come tutti, che l'amore sia divisione, incontro che accontenta armoniosamente le due parti in causa. Sarebbe banale. L'amore, il grande amore, a mio parere, non è dato all'uomo che per illumi­narlo sulle sue proprie ricchezze, alla luce di un altro essere...

Il Principe Bianco         - Come si chiama quella ragazza?

Federigo                        - Olivia.

Il Principe Bianco         - E se fosse lei la vostra luce?

Federigo                        - (ridendo) Oh, io rassomiglio ai gufi! Mi piace solo la notte. E mi dirigo benissimo nella mia notte. (E calata lentamente la sera. Entra Markus con una lampada).

Markus                          - Il cavallo è pronto, signore.

Il Principe Bianco         - (alzandosi) Bisogna andare. (A Markus) Vengo. (Markus torna in cucina) Grazie della vostra accoglienza, signor Federigo.

Federigo                        - Non prendetevi beffe di me. Rim­piango di non aver avuto cibi e bevande più degni da offrirvi.

Il Principe Bianco         - Non parlate male del vostro vino. È un buon vino.

Federigo                        - (ridendo) Purtroppo io conosco.

Il Principe Bianco         - Datemene ancora un bic­chiere.

Federigo                        - Con gioia.

Il Principe Bianco         - Lo berrò a metà e voi lo finirete in pegno di amicizia.

Federigo                        - Sempre con gioia. (Federigo versa da bere. Il principe Bianco, nel buio, beve qualche sorso, poi tende il bicchiere a Federigo. Mentre questi beve, il principe si avvicina alla porta e sparisce nella notte. Sul volto di Federigo si dipinge lo stupore. Smette un momento di bere) Ma... (Beve di nuovo) Ma non è il mio vino! Questo è molto, molto migliore del mio! Principe! Principe! Dove siete? (Esce correndo, e ritorna quasi subito) Se ne è andato! Incredibile! (Federigo guarda lo sgabello, poi colto da un pensiero im­provviso, prende il mazzo di carte, lo sparge sul tavolo, guardando una carta dopo l'altra. Poi chiama febbril­mente) Markus! Markus!

Voce di Markus            - Eccomi, signore.

Federigo                        - Porta un lume, svelto, svelto.

Markus                          - Se n'è andato?

Federigo                        - Sì.

Markus                          - Senza lasciarmi la mancia?

Federigo                        - Insolente. Posa la lampada sul tavolo e giochiamo.

Markus                          - È tardi, signore.

Federigo                        - Me ne importa assai del tuo sonno! (Giocano) Guarda! Il re di atout, la regina, il fante...

Markus                          - Il dieci...

Federigo                        - E il nove!

Markus                          - (inquieto) È un altro tiro delle vostre dodici vittime!

Federigo                        - (leggero e febbrile) Lasciale dove sono. Giochiamo. Magnifico. Ho di nuovo la grande se­quenza!

Markus                          - Faccio rispettosamente notare al signore, che è il signore che ha dato le carte.

Federigo                        - Non ho bisogno di imbrogli. Dalle tu, se vuoi. (Un momento) Vedi, ho di nuovo la mia se­quenza. Potresti darmele per dieci volte di seguito, continueresti sempre a darmela.

Markus                          - È straordinario.

Federigo                        - La fortuna è tornata, Markus, è tornata!

Markus                          - Certo è questo che voleva annunciarvi la Volpe.

Federigo                        - Ah, la Volpe, è vero!... (Sorride) Forse davvero la Volpe c'entra un pochino! Non farmi domande e corri a preparare i bagagli. Par­tiamo stasera stessa.

Markus                          - (con gioia) Davvero, signore?

Federigo                        - Domani all'alba passeremo il ponte sull'Arno. E domani sera troverò un tavolo da gioco... Sarà meraviglioso!

Markus                          - E la capra, signore.

Federigo                        - Slegala, voglio che sia libera.

Markus                          - E la mucca che deve avere il suo piccolo?

Federigo                        - (ridendo molto forte) L'avrà anche senza di te! (Entra Olivia. Federigo fa cenno a Markus di tacere e uscire. Markus esce).

Olivia                            - Che avete da ridere così, Federigo? Quella risata non vi assomiglia.

Federigo                        - Non rido mai senza ragione, piccola Olivia. Perciò rido di rado.

Olivia                            - - Siete dunque così felice stasera?

Federigo                        - Più di quel che puoi credere... La predizione della Volpe si è realizzata.

Olivia                            - Ah, è vero! Avete incontrato qualcuno.

Federigo                        - Come lo sai?

Olivia                            - Venendo ho incrociato sul sentiero un uomo con la corazza bianca scintillante sotto la luna. Usciva senza dubbio da casa vostra.

Federigo                        - Una corazza bianca?

Olivia                            - Lasciava che il cavallo andasse per conto suo. Era immerso in una fantasticheria, ma quando mi è passato vicino, mi ha guardata a lungo, come se volesse portarmi nel suo sogno.

Federigo                        - Una corazza bianca, ne sei sicura?

Olivia                            - Oppure una stoffa che brillava come l'acciaio.

Federigo                        - ' Era il Principe Bianco.

Olivia                            - (con una risatina) No di certo! Nelle storie per i bambini da noi chiamano principi bianchi gli angeli.

Federigo                        - (sempre più eccitato) Un angelo, dici? Raccontano che principi bianchi sono angeli?

 Olivia                           - E anch'io lo racconterò ai miei bambini quando ne avrò.

Federigo                        - (senza ascoltarla) Un angelo! (Scoppia a ridere) Un angelo generoso! Un angelo con le mani colme! (Entra Markus e prende qualche oggetto sul tavolo).

Markus                          - I bagagli saranno pronti tra pochi minuti, signore. (Esce. Breve silenzio. Olivia ha gli occhi pieni di lacrime).

Olivia                            - Ve ne andate!

Federigo                        - È necessario. La mia libertà è più forte, più tenace di me.

Olivia                            - Ve ne andate!

Federigo                        - Non credevo che ti sarebbe rincre­sciuto tanto. Giocavamo all'amore, non era l'amore.

Olivia                            - Giocare, sempre giocare...

Federigo                        - (goffamente) La nostra libertà...

Olivia                            - Non ve la chiedevo mica, la vostra libertà! Che cosa ne avrei fatto?

Federigo                        - Mi piace la tua grazia, come mi piace l'idea di amarti. Ciò poteva portarci lontano.

Olivia                            - (dopo un breve silenzio) La cosa peggiore è che partiate stanotte stessa.

Federigo                        - Un appuntamento...

Olivia                            - Una notte di più non vi avrebbe fatto ritardare molto. La notte che mi apparteneva... Sarà più lunga di quel che potete pensare.

Federigo                        - Che cosa?

Olivia                            - La vostra presenza in me.

Federigo                        - Olivia!

Olivia                            - Non mi rincresce d'essere vile, di pian­gere. È la mia parte di donna...

Federigo                        - Non sfuggo te, Olivia. Ma non posso dirti quel che mi costringe...

Olivia                            - Un momento fa potevo credere che voleste fuggire l'amore. Non dite nulla... Ma dovete sapere questo, ero venuta per una sola notte. Cioè per il solo ardore di cui siete capace... Per amare, per morire, per costruire una cosa o una gloria si crede che sia necessario dispensare tutta una vita paziente e volontaria. Non è vero. Si nasce in fretta. Si muore anche molto in fretta. In una sola notte... In una sola notte la mia mano avrebbe fatto il giro del tuo volto e del tuo corpo. La mia mano ha buona memoria, sai. E al tuo stesso respiro, che non si vede nel buio, avrei inventato una forma. E tu saresti restato in me, frutto d'una sola notte, come un re imbalsamato, colto nel suo momento più bello e mai più lo stesso nel suo momento più bello... Lascia che ti tocchi. È buio. Buio come nella sola notte che i miei sogni mi accordavano. T'imparerò dolcemente a memoria con le mie dita. Poi te ne andrai. E io ti conserverò. (Oli si avvicina lentamente e sembra che prenda l'impronta del suo volto con le mani).

Federigo                        - (commosso senza volerlo) Olivia!

Olivia                            - E soprattutto non dirmi che hai voglia di rimanere.

Federigo                        - Sarai il mio primo rimpianto. (Olivia si avvia all'uscita. Entra Markus con i bagagli. Fede­rigo esita, poi si dirige verso di lui sorridendo).

 

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

PRIMO QUADRO

Nella casa di Federigo, a Firenze.

(Un gran salone contiguo alla sala da gioco. Nel mezzo, un tavolo e alcune poltrone. È il 1416: son dunque trascorsi tre anni).

Mabkus                         - Il signor Giuseppe è occupato, signora.

Donna Bianca               - (nervosa) Sì, lo so. Sta giocando, andate a chiamarlo.

Mabkus                         - Ho l'ordine di non disturbare i signori.

Donna Bianca               - Gli direte che c'è qui sua moglie e lo aspetta.

Mabkus                         - Oh! Scusate... (Dopo un attimo d'esi­tazione, Markus esce. Donna Bianca passeggia conci­tatamente in largo e in lungo posseduta da una visibile collera. S'apre la porta. Entra rapidamente Giuseppe seguito da don Esteban, un tipo inequivocabilmente spaccone, con una chitarra a tracolla).

Giuseppe                       - Bianca! Tu qui...

Donna Bianca               - (dando libero sfogo alla propria ira) Non è più in caserma, o in chiesa e neppure dalle cortigiane che le spose di Firenze debbono andar a cercare i loro mariti. Ma è nella sala da gioco. È in casa del signor Federigo!... Son due giorni e quasi due notti che non ti fai vedere.

Giuseppe                       - (sbalordito) Due giorni?!

Donna Bianca               - Ah! Perché tu non te n'eri accorto.

Giuseppe                       - (guardando don Esteban che volge il capo altrove) No.

Donna Bianca               - È ancora più grave di quanto io non pensassi!... Sono otto giorni dacché questo Federigo è tornato a Firenze e sono otto giorni dacché le ragazze della città non ritrovali più i loro fidanzati all'angolo delle strade e le donne maritate mangiano e dormono sole. Se domani, davanti ai bastioni deserti, mi dicessero: « I soldati sono in casa di Federigo », io non me ne meraviglierei...

Giuseppe                       - Ti giuro che non è proprio il mo­mento di far la morale o di risentirsi. Abbiamo biso­gno di tutt'intera la padronanza dei nostri nervi, non è vero, don Esteban? (Don Esteban accorda la sua chitarra senza rispondere).

Donna Bianca               - E perdi, anche. È il colmo.

Giuseppe                       - (un po' troppo in fretta) Ma non è di questo che si tratta. Ho degli affari piuttosto impor­tanti da regolare con Federigo.

Donna Bianca               - Gli affari aspetteranno che faccia giorno. Torna a casa.

Giuseppe                       - Più tardi.

Donna Bianca               - La settimana scorsa ho dovuto andarti a ripescare all'alba da Sandro. Il mese avanti, colui che ho recuperato da Lorenzo non era che un ubriaco. (Piange) Un sudicio ubriaco... Bada, sai. Un giorno o l'altro troverai chiusa la porta di casa nostra. E dietro quella porta, forse, ci sarà un altro uomo.

Giuseppe                       - Don Esteban ti può dire...

Donna Bianca               - Don Esteban! È bugiardo come te. Mentisce senza parlare, col sorriso, con la musica. È la tua ombra che si prepara a dire bugie.

Giuseppe                       - E sta bene. Vengo via subito. Però lasciami tornare su ancora un momento. Ti rag­giungo immediatamente a casa... Il tuo posto non è qui, lo dovresti capire.

Donna Bianca               - Cos'è che devo capire? Anche le donne reputate più oneste si trovano a far anti­camera dal tuo Federigo.

Giuseppe                       - Che cosa vuoi dire con questo?

Donna Bianca               - Nel vestibolo c'è una donna che aspetta, una donna velata. E sai chi è?

Giuseppe                       - (cercando di scherzare) Ma, dal momento ch'è velata...

Donna Bianca               - Io l'ho riconosciuta dall'abito. È la vedova del barone Bartolomeo.

Giuseppe                       - Impossibile.

Donna Bianca               - Sì, mio caro, la più illustre virtù di tutta la Toscana!

Giuseppe                       - La vedova del barone.

Donna Bianca               - Non crederai mica che sia venuta per niente... Comunque, ti assicuro che domani lo saprò con esattezza.

Giuseppe                       - (adulatore, per stornare la tempesta) Oh, per questo son tranquillo...

Donna Bianca               - (avviandosi per uscire) T'aspetto fra mezz'ora.

Giuseppe                       - Un'ora... T'accompagno alla porta.

Donna Bianca               - Inutile. S'è per dare un'occhiata alla dama velata puoi star certo che la troverai ancora lì quando uscirai. Il tuo Federigo è un amante dal quale non sembra che ci si possa staccare agevol­mente. (Esce mentre Giuseppe va alla porta della sala da gioco e la socchiude).

Giuseppe                       - E continua. Ha una fortuna incredibile.

Don Esteban                 - (sottolineando ogni sillaba con un accordo di chitarra) Incredibile.

Giuseppe                       - Quante volte hai giocato il rosso?

Don Esteban                 - Forse venticinque volte.

Giuseppe                       - E quante volte è uscito il nero!...

Don Esteban                 - Venticinque volte.

Giuseppe                       - Federigo tiene banco con una for­tuna sfacciata. Ma ogni volta ch'io puntavo sul nero...

Don Esteban                 - Usciva il rosso.

Giuseppe                       - (dopo un momento di silenzio) Non ho mai visto tanta fortuna... E sai, mi ha detto Lorenzo che sembra da parecchi mesi Federigo abbia la stessa fortuna dappertutto. A Roma, a Venezia. In tutte le bische ch'è passato ha vinto. Dicono che ha vinto persino giocando con i picari di Trastevere.

Don Esteban                 - Questa è proprio da non credersi!

Giuseppe                       - Ha fatto grandi progressi in questi tre anni in cui l'avevamo perduto di vista. L'ultima volta eravamo stati noi a spennarlo... Quanto ti resta, a te? (Don Esteban trae un accordo dalla chitarra; poi fa l'atto di rovesciar le tasche).

Don Esteban                 - Ecco qua.

Giuseppe                       - E io son come te.

Don Esteban                 - Contro qual pegno potremmo farci prestare qualcosa?

Giusepppe                     - Quando lo saprà Bianca... ho già giocato sulla parola l'argenteria di casa e le mie terre di Musillano.

 

 Don Esteban                - E io, il mio cavallo.

Giuseppe                       - Oh, un cavallo.

Don Esteban                 - Uno spagnolo non cammina ma a piedi. L'onore non va a piedi.

Giuseppe                       - (sarcasticamente) Ecco che cosa ti resta da impegnare: l'onore. Metà del tuo onore. Te ne rimane sempre l'altra metà. Nel nostro mondo, mezzo onore è più che sufficiente.

Don Esteban                 - (furioso) Ti proibisco...

Giuseppe                       - Sono fuori di me. Questa sconfitta mi esaspera, onorevole spagnolo. Dovremmo giocare ancora, per rifarci.

Don Esteban                 - Ma con che cosa giochiamo?

Giuseppe                       - (che ha di nuovo aperto la porta della sala da gioco) Con i quattrini di Federigo. La partita è finita. Andiamo a vedere se ci fa credito. (Fa un cenno con la mano verso la sala. Entra Federigo: ele­gantissimo ma con Varia stanca).

Federigo                        - Che cosa c'è?

Giuseppe                       - I compagni hanno perduto tutto, come noi... È assurdo.

Federigo                        - (mettendosi a sedere) Soprattutto è faticoso.

Don Esteban                 - Fossi tu al nostro posto...

Giuseppe                       - Che cos'hai in mano?

Federigo                        - (con un sorriso) Un libro portafor­tuna. (Mostra il mazzo di Carte).

Giuseppe                       - Ah! Le tue vecchie carte...

Don Esteban                 - (ossequioso)) Noi altri giocatori siamo tutti superstiziosi.

Giuseppe                       - Sei proprio molto stanco, Federigo?

Federigo                        - Perché?

Giuseppe                       - Si potrebbe giocare ancora.

Federigo                        - Ma se m'hai detto che non hai più nulla.

Giuseppe                       - Ho la tua amicizia.

Federigo                        - Non è moneta.

Giuseppe                       - Se tu ci facessi credito...

Federigo                        - Hai già perduto fin troppo sulla parola. E in un paese di chiacchieroni come questo la parola non ha molto valore.

Giuseppe                       - (ferito) Federigo!

Federigo                        - Non te la prendere... ma sei già troppo impegolato.

Giuseppe                       - Mia moglie si spaventerà quando saprà la verità...

Federigo                        - Donna Bianca non meritava il male che tu le fai.

Giuseppe                       - E allora, non vuoi più giocare?

Federigo                        - No.

Giuseppe                       - Hai paura di perdere, eh?...

Federigo                        - Sarebbe legittimo. Ma non è questo. Il gioco m'annoia. Credo che non giocherò mai più. (Scoppio di risa scettiche di don Esteban) Vedrete.

Giuseppe                       - Dunque è vero quel che mi è stato detto?... che imborghesisci...

Federigo                        - (ridendo) E che divento bigotto?... (mostrando le carte) con queste come libro di devo­zione, non è cosi?

Giuseppe                       - Sembra che tu abbia investito in imprese commerciali tutto il danaro vinto al tavolo da gioco e che ti comporti come un qualunque mer­cante.

 Don Esteban                - (ingenuamente) Se non giochi più è segno che devi essere ben ricco!

Giuseppe                       - (lasciando trapelare la propria amarezza) Attenzione, Federigo! È un sacrilegio ritirare dal gioco il danaro che il gioco ci ha dato! E se non è un giorno è l'altro bisogna restituirglielo.

Federigo                        - Se ho capito bene bisognerebbe resti­tuirglielo subito restituendolo a te. No. Per oggi basta. Torna da donna Bianca, supplicala di perdonarti: le braccia delle donne qualche volta son piene di indulgenza. Sono pazienti, le braccia delle donne, sensibili, amabilmente morbide...

Giuseppe                       - (avanzandosi verso di lui col pugno levato) Non ti permetto...

Federigo                        - Niente violenza. Io rispetto donna Bianca. Sei tu che non rispetto.

Giuseppe                       - Forse che l'indulgenza è per te una giustificazione della viltà, che vai cercando fra le braccia della baronessa Bartolomeo? (Stupore di Federigo) Non fare l'innocente. (Schiude uno spiraglio nella porta di fondo) E allora, guarda tu stesso.

Federigo                        - (sempre stupitissimo) Markus! (Entra Marlcus. Un attimo di silenzio) Prendi una fiaccola e riaccompagna a casa questi signori.

Giuseppe                       - Non è il caso. Credo che faccia ormai giorno. E poi, Markus deve restar qui a preparare una cenetta galante. (Esce seguito da don Esteban).

Federigo                        - Chi è quella donna?

Markus                          - Non lo so, signore.

Federigo                        - È da molto eh'è là?

Markus                          - Da un'ora, circa... Ha detto che la aspettavate.

Federigo                        - È uno scherzo: preferisco andare a dormire.

Markus                          - Vado a dirlo alla signora?

Federigo                        - Aspetta. (Schiude la porta) È strano che sia velata. Lebbra o bellezza?... Voglio vederla in viso prima che se ne vada. Se il suo volto è di bellezza, mi sarà grazioso compagno nel sonno. Valla a chiamare. (Markus esce. Di lì a qualche momento entra Olivia sola e velata. È elegantissima ed ha ormai il portamento e la disinvoltura d'una gran dama. Con galanteria e amabilità eccessiva) Signora... (Olivia alza il velo) Ma, è la mia piccola Olivia!

Olivia                            - (sorridendo) Donna Olivia!

Federigo                        - Sei tu... siete voi la vedova del barone Bartolomeo? Siete voi quella di cui ho inteso parlare dal giorno del mio arrivo... Qui si dice: « An­diamo dalla baronessa » come si dicesse: « Si va dalla grazia, dallo spirito... ».

Olivia                            - Fra un istante, forse, troverete che questa reputazione è immeritata.

Federigo                        - Non vedevo l'ora di conoscervi.

Olivia                            - Ciò mi sorprende.

Federigo                        - Perché?

Olivia                            - Anche voi avete una reputazione.

Federigo                        - Dopo una sola settimana che son qui?

Olivia                            - Firenze è città assai pronta di giudizio, sapete. Firenze afferma che voi preferiate i giochi di danaro a quelli d'amore.

Federigo                        - (galantemente) Non è sempre vero.

Olivia                            - Ho motivo, Federigo, di prestar fede a queste voci.

Federigo                        - (dopo un attimo di silenzio) Mi ri­sulta comunque che il vostro palazzo è il luogo di ritrovo delle bellezze della città e dei suoi spiriti illuminati.

Olivia                            - Amo l'allegria, i poeti, i musici... Non il vostro spagnolo, beninteso.

Federigo                        - Don Esteban! Che cosa vi ha fatto!

Olivia                            - (ridendo) Suona sempre la stessa can­zone, sulla sua chitarra. Non è mai stato capace di impararne un'altra. Deve avere una chitarra nevra­stenica. Consigliategli di comprarne un'altra.

Federigo                        - Come siete cambiata! Eravate una dolce contadinotta, una ragazzina ispirata...

Olivia                            - Ci sono altre cose, ora, che m'ispirano.

Federigo                        - Che cosa?

Olivia                            - La voglia di vivere, per esempio.

Federigo                        - Quanto meno strana, in una vedova.

Olivia                            - (semiseria) Eseguisco la volontà di mio marito.

Federigo                        - (intrigato) Ah!

Olivia                            - Non vi ricordate di lui! Era il signore del nostro villaggio... Io, in verità, sono stata una piccola ragazza ardente e ingenua fino al giorno in cui un dispiacere ha cominciato a farmi rigirare fra le lenzuola, la notte.

Federigo                        - Un dispiacere d'amore1?

Olivia                            - Siete senza tatto, Federigo, o senza memoria... Fu dopo la vostra partenza che il barone mi sposò. Era vecchio, ma buono ed infelice. Vedovo e solo. I suoi figli erano morti in guerra. Le nostre disgrazie s'assomigliavano un poco. E le abbiamo unite, per farne un'accettabile felicità.

Federigo                        - Ma voi non potevate amarlo!

Olivia                            - Egli non aveva che un pensiero: farmi amare la vita. Diceva: « Io non ho saputo usare dei beni che la sorte m'ha dato; non sono stato ne un mecenate, nonostante le mie ricchezze, né un uomo di guerra, nonostante le mie armature battute a Milano. Che almeno queste ricchezze servano a creare qualche cosa. Perché se le persone dal nostro rango non creano nulla, si fanno torto. Tu sarai la mia sola creazione. Non tutto di me andrà perduto se avrò saputo innestare l'albero selvatico ».

Federigo                        - Era lirico, il barone.

Olivia                            - I vecchi son più pudici dei poeti. Accade che cantino soltanto in segreto...

Federigo                        - È molto ch'è morto?

Olivia                            - Due anni. Con l'ultimo respiro m'ha raccomandato d'essere felice. «Nonostante gli altri e attraverso gli altri » ha detto.

Federigo                        - Simpatico testamento. Insomma, non desiderava che faceste come le principesse delle Indie che seguono il loro marito nella morte.

Olivia                            - Io ero l'immagine ch'egli legava ai vivi. E il mio compito è di persona viva.

Federigo                        - (un poco ironicamente) Ed è senza dubbio questo compito che vi ha portata qui... Volete sorprendermi, darmi dei rimorsi. Questo non è molto caritatevole, donna Olivia. La mia Olivia dovrebbe aver maggior dote di innocenza e d'umiltà,

Olivia                            - Forse è soltanto la piccola Olivia che aveva voglia di rivedervi.

Federigo                        - Ma c'è donna Olivia, la viva! È assai audace donna Olivia a venire a quest'ora da un uomo come me. È come tentare il dèmone dello scandalo... Sarete la favola di tutta Firenze.

Olivia                            - Vi ripeto che avevo voglia di rivedervi.

Federigo                        - Solo questa voglia?

Olivia                            - Non siete vanitoso...

Federigo                        - Perché siete venuta?

Olivia                            - Forse per confrontare le nostre fortune. Siamo due creature favorite. Non si parla che delle vostre vincite favolose. Siete contento della vostra fortuna, Federigo?

Federigo                        - E voi?

Olivia                            - Non sempre. Il fatto è che la mia for­tuna non si rinnova.

Federigo                        - Quanto a me, sono arrivato anch'io alla fine della mia. La mia fortuna è il danaro. Da tre anni in qua ho guadagnato enormemente. Troppo facile. Il danaro non m'interessa più. Se son tornato a Firenze è solo per farla finita con questa mia vita dì giocatore. Mi dovevo vendicare di quelli che mi avevano spogliato. Questa sera ho giocato la mia ultima partita.

Olivia                            - E che farete del vostro tempo quando non giocherete più?

Federigo                        - Ah!... Le carte avevano almeno il vantaggio di farmi dimenticare la solitudine.

Olivia                            - La solitudine, la vostra nemica... Non avete fatto molti progressi da tre anni in qua.

Federigo                        - Mentre voi, invece... (Un momento di silenzio. Federigo guarda Olivia negli ocelli) Siete molto bella... La piccola Olivia m'intimidiva con la sua franchezza. Donna Olivia, è un'altra cosa... C'è qualcuno al quale voi insegnate che le praterie ras­somigliano al mare e che gli alberi rassomigliano a navi?

Olivia                            - Non c'è nessuno.

Federigo                        - E non desiderate ehe ci sia?

Olivia                            - (gravemente) Mi avete già fatto abba­stanza male, Federigo.

Federigo                        - Non l'ho fatto apposta, come dicono i bambini.

Olivia                            - Ed è proprio questo, forse, ch'io vi rimprovero.

Federigo                        - Voi siete nata per essere amata.

Olivia                            - Le vostre predizioni non si avverano.

Federigo                        - Vi avevo letto le linee della mano? (Sorride) È un mezzo facile per accarezzare la mano e mi vergogno d'averlo usato con voi. (Pausa) Co­munque, permettete che provi!

Olivia                            - (ritirando la mano) No... E, nella vostra vita, non c'è proprio niente?

Federigo                        - C'erano le carte. Ci sarete voi... Olivia, mi piacete immensamente.

Olivia                            - Non son più quella che veniva per una notte. Sono cambiata.

Federigo                        - Preferisco che voi non siate più quella d'un tempo. (Le si avvicina: Olivia si scosta) E io, vi dispiaccio?

Olivia                            - (franca) No.

Federigo                        - E allora?... Vi divertite!

Olivia                            - Un poco. È la mia vendetta.

Federigo                        - Ricordate una certa sera, in casa mia.

Olivia                            - Non fate il sentimentale. Oppure, gio­catore Federigo, dovrò credere che barate.

Federigo                        - Cbe gioco si dovrebbe giocare per persuadervi!

Olivia                            - (con un sorriso) Il gioco... Voi siete il gran giocatore d'Italia. Accetto di battermi con le vostre armi. Giochiamo insieme. E questa partita sarà l'ultima, veramente l'ultima.

Federigo :                      - E se la vinco?

Olivia                            - Si vince ciò che ci si augura di vincere.

Federigo                        - E se la perdo... No, non vi sforzate. Mi direte le vostre condizioni quando avrò perduto. (Si collocano a faccia a faccia) Propongo il gioco dell'ombra.

Olivia                            - Come preferite. Io so giocare quasi tutti i giochi. (Federigo distribuisce le carte) Oh! che carte orribili! Come sono sporche! Non voglio giocare con queste carte che son passate per le mani di tutti.

Federigo                        - Non ne ho altre.

Olivia                            - Allora, pazienza. Non giocheremo. (Fede­rigo ha un, momento d'esitazione, poi fruga in una scatola) Lasciate. Quest'idea non mi diverte più.

Federigo                        - Oh, ecco un altro mazzo... Ma davvero che non volete più giocare?

Olivia                            - (capricciosamente) No.

Federigo                        - (dopo un lungo silenzio) Vi amo, Olivia, e l'accetto perché vi amo. (Mette in tasca il mazzo delle carte incantate).

Olivia                            - Come vi siete fatto serio, Federigo.

Federigo                        - Sono serio soltanto quando gioco.

Olivia                            - Una sola partita, allora. D'accordo1? La sorte non ha bisogno di più per pronunciarsi... Il re.

Federigo                        - (con voce mutata) Avete vinto!... Vi supplico di continuare.

Olivia                            - Non supplicherete più se perderete ancora?

Federigo                        - (in tono sincero) Mi basterà d'essere sfortunato.

Olivia                            - (distribuisce le carte).

Federigo                        - (irritato) È incredibile. Non una carta.

Olivia                            - Ecco fatto. Avete perduto di nuovo.

Federigo                        - Ma io vi amo, Olivia! E il mio amore non è un gioco. Val più di un gioco.

Olivia                            - (molto padrona di se) Contraddite voi stesso.

Federigo                        - (alzandosi) Eh! Sì potete essere soddi­sfatta: avete vinto su tutta la linea...

Olivia                            - Che espressione triste! Non vi piace per­dere, mio caro.

Federigo                        - Eravate al culmine della mia fortuna.

Olivia                            - A quel culmine, comunque, ci sarà sempre la mia amicizia.

Federigo                        - Ah! Siete voi, ora, che barate.

Olivia                            - Avete perduto, dovete pagare. Ma le condizioni saranno miti. Eccole: voi sarete mio amico, e domani verrete a casa mia. Domani e i giorni che seguiranno. Vi metterete alle mie ginocchia. Mi leg­gerete poesie. Mi farete la corte. A me piace assai che mi si faccia la corte...

Federigo                        - Non verrò. Vi lascio alla vostra for­tuna, alla vostra riuscita, ai vostri amici brillanti, ai vostri adulatori. Un avventuriero come me non sa mettersi in ginocchio.

 Olivia                           - (un poco pallida e motto seria) Venite domani.

Federigo                        - No. Il volto della fortuna, quando non ci sorride, è meglio non vederlo troppo spesso.

Olivia                            - (dopo un momento di silenzio) E sia, vi concedo la rivincita. Sedetevi. (Federigo esita, poi obbedisce) Tagliate. Grazie. (Al momento di distribuire le carte, Olivia si ferma) Ho freddo. Ho lasciato il mantello in anticamera.

Federigo                        - Vado a prendercelo... Torno subito. (Esce. È ciò che voleva Olivia. La guale si alza. Rapi­dissima fruga fra le carte, dispone il gioco. La si sente dire).

Olivia                            - Il re... la regina... (Deve apparire chiara­mente ch'essa bara).

Federigo                        - (tornando) Ecco il mantello.

Olivia                            - Grazie. Tenete, le carte.

Federigo                        - Datemi prima la vostra mano. È nella mano che devo ritrovare la mia fortuna. (Olivia fa com'egli le chiede).

Olivia                            - E ora giocate, Federigo.

Federigo                        - Lasciatemi la vostra mano, perché la mia fortuna, che siete voi, passi in me. (Alza le carte con la mano libera ed esclama trionfante) Il re!

Olivia                            - Non ho ancora perduto.

Federigo                        - (continuando a girare le carte) Ma sì, ma sì! Guardate, ho tutto io...

Olivia                            - (a bassa voce) Allora, avete proprio vinto.

Federigo                        - Ho vinto... Se tu sapessi quanto è più semplice vincere...

Olivia                            - (dolcemente) Lo so. (Egli si alza e le si avvicina. Olivia apre le braccia. Gala la tela).

INTERMEZZO

Davanti al sipario chiuso.

Giuseppe                       - È un vero peccato che non si possano scegliere le passioni. Io preferirei essere ubriacone piuttosto che giocatore.

Don Esteban                 - (con una risatina) Non è vero.

Giuseppe                       - Sì! L'ubriacone trova sempre una casa compiacente dove gli si offre una bottiglia da finire... Mentre invece il giocatore, quando non ha più niente da perdere, non trova più l'ombra di un compagno... E con chi potrebbe giocare?

Don Esteban                 - (frugandosi in tasca) Tieni, qui c'è un paio di dadi.

Giuseppe                       - Puah! È come se tu offrissi un bic­chier d'acqua all'ubriacone che io non sono. A me piace giocare soltanto con la gente che ha danaro in scarsella, mi spiego?... Ma ora che ci penso         - (si batte una mano sulla fronte) debbo avere ancora qualcosa che si può trasformare in moneta.

Don Esteban                 - E che cosa?

Giuseppe                       - È meglio che non te lo dica. Tu, col tuo onore, non approveresti la mia idea.

Don Esteban                 - Non ci pensare.

Giuseppe                       - Allora, cerca per un minuto di non essere troppo spagnolo. Ecco che cosa ci potrebbe procurare un po' di quattrini: un segreto.

Don Esteban                 - Un segreto di stato?

Giuseppe                       - No, varrebbe troppo poco a Firenze, un segreto di stato: la città è troppo frivola... Un segreto d'amore. Si pagano bene, i segreti d'amore. I poeti, i gazzettieri, quelli che fanno la corte alla maldicenza son molto spesso a corto d'argomenti... Sfammi a sentire: io esco da Tullio, il barbiere di Federigo... Povero Tullio, era inquieto, stamattina: tanto inquieto che mi ha tagliato. Era triste, triste come il barbiere di re Mida.

Don Esteban                 - E perché era triste, il barbiere di re Mida?

Giuseppe                       - Proprio perché aveva sorpreso un segreto. Tutti sanno che i parrucchieri sono la gente più discreta del mondo. Quando tu lasci cadere una confidenza nella bacinella d'un barbiere, costui preferirebbe morire piuttosto che rivelare ciò che tu gli hai detto.

Don Esteban                 - E allora, questo segreto?

Giuseppe                       - La baronessa ha passato la notte in casa di Federigo.

Don Esteban                 - (deluso) Tutto qui? Lo temevo. È una storia banale, caro Giuseppe.

Giuseppe                       - Ti pare? È tutto qui l'effetto che produce in te? La nostra virtù più rinomata, la bandiera della purezza toscana caduta in mano al nemico alla prima battaglia!

Don Esteban                 - Come si vede che tu non hai inclinazione per la filosofia. Io invece non ho diffi­coltà a predirti che questa storia finirà in matrimonio. Investendo il suo danaro e rinunciando al gioco, Federigo ha scelto la strada più facile... E su questa strada si scivola con estrema rapidità.

Giuseppe                       - Tu credi che si sconfesserà fino a questo punto? Eppure era un buon amico...

Don Esteban                 - Che sapeva perdere con tanta disinvoltura...

Giuseppe                       - Sì, eppure, mio caro, eppure... Bè, non è il caso che ci commuoviamo. Innanzitutto abbia­mo riconosciuto entrambi che Federigo è un tra­ditore e questo dovrebbe bastare a soffocare in noi ogni possibile rimorso.

Don Esteban                 - Cioè a dire, ogni possibile scrupolo.

Giuseppe                       - (abbassando il tono della voce) Ci sono parecchi sistemi... O raccontare questa storia a tutti...

Don Esteban                 - Peuh! Quando uno scandalo diventa di dominio pubblico finisce di essere un buon affare.

Giuseppe                       - È vero. Allora, si potrebbe andare a trovare la baronessa. Le si racconta che Federigo ha un vecchio debito verso di noi. La si commuove. Dopo la prima notte d'amore Una donna è ottima materia plastica: la si può foggiare a piacimento...

Don Esteban                 - E se lei non si lascia foggiare?

Giuseppe                       - In tal caso, le si fa paura.

Donna Bianca               - (entrando) Oh, finalmente ti ritrovo...

Giuseppe                       - Ah, ecco l'opinione pubblica!

Donna Bianca               - Bugiardo! Sporco bugiardo!

Giuseppe                       - Ricominciamo...

Donna Bianca               - Hai venduto il mio anello, quello che m'avevi detto d'aver portato dal gioiel­liere a farvi aggiungere un'altra pietra...

 

Giuseppe                       - Sì, e poiché il gioielliere non trovava uno smeraldo da far coppia con quello che c'era già, ho preferito vender l'anello... Beninteso, con l'inten­zione di cercare altre due pietre che si rassomiglias­sero perfettamente.

Donna Bianca               - E le mie terre di Musillano, ipo­tecate da messer Goldoni...

Giuseppe                       - Il diavolo non vi aveva seminato altro che sterpi. Che cosa ce ne potevamo trarre?

Donna Bianca               - Quanto sono infelice...

Giuseppe                       - Per una proprietà di pietre e per una pietra che ti manca al dito? Ah! Proprio che non sei logica!

Donna Bianca               - Oh! il vostro Federigo, come lo odio!

Giuseppe                       - Se tu sapessi quanto lo odiamo noi...

Donna Bianca               - Ma verrà anche per lui il mo­mento della sfortuna.

Giuseppe                       - (volgendosi a don Esteban) Ah! vedi che Bianca conosce meglio di te i segreti del cuore umano!  

Donna Bianca               - Il momento della sfortuna e quello del ridicolo...

Giuseppe                       - Perché, quello del ridicolo?  Lo sai che la baronessa ha passato la notte in casa di Federigo?

Donna Bianca               - Certo che lo so. E stamattina l'ho anche vista uscire, la signora baronessa, e l'ho seguita fin sulla porta del suo palazzo. E credete che si tenesse velata come ieri sera? Manco per idea! E vi assicuro che avrebbe fatto meglio assai a nascon­dere i suoi occhi.

Don Esteban                 - (interessato) Guarda, guarda...

Donna Bianca               - Non erano ancora dieci minuti che la baronessa era entrata che arrivò in piazza un uomo, bussò alla sua porta ed entrò senza minima­mente preoccuparsi di non farsi vedere.

Giuseppe                       - Chi'era?

Donna Bianca               - Non lo so. Un uomo che sem­brava disceso da un quadro. Un uomo biondo con un sorriso freschissimo, tutto nuovo, un uomo bianco, completamente vestito di bianco... Forse è ancora in casa della baronessa... Andiamo a vedere... (Si avvia per uscire).

Giuseppe                       - (trattenendo don Esteban) Dobbiamo mutare il nostro piano. Non è più dalla baronessa che possiamo batter cassa, ma da Federigo il quale pagherà bene assai la notizia del suo infortunio.

Don Esteban                 - Le mie previsioni sulla sua for­tuna non si avverano. Però lascia stare Federigo. Non gli chiedere nulla.

Giuseppe                       - Perché?

Don Esteban                 - Forse dovrà pagare più che non con danaro. Dovrà forse soffrire. (Sulla chitarra accorda un'aria maliziosa).

SECONDO QUADRO

Davanti alla casa di campagna di Federigo. Il paesag­gio che al primo atto si scorgeva solo dalla veranda occupa tutto il fondo, sul guale spicea l'albero d'arancio, vecchio e grande i cui rami più bassi toccano quasi il suolo. Intorno all'albero, e fin sul davanti della scena, un giardino all'italiana. A destra la facciata della casa. Sono passati sei anni dal quadro precedente.

(Entra Federigo, accompagnato dal principe Bianco. Federigo ha i capelli grigi alle tempie, ma la giovinezza della sua figura e del suo sorriso è immutata. Sembra placato e migliorato. Quasi correndo va alla porta di casa).

Federigo                        - Olivia... Olivia... Markus... Non c'è nessuno.

Il Principe Bianco         - Ma la porta è aperta.

Federigo                        - (sorridendo) Oh, il paese è tranquillo! (Con uno sguardo d'intesa) Non ci sono più stati né assassini né furti dal giorno che un angelo l'ha scelto per riposarsi un momento.

Il Principe Bianco         - (come se non capisse) Ah!

Federigo                        - Mia moglie dev'essere uscita. E anche il mio domestico... Ma cercheremo di trovare qualcosa da bere lo stesso. Scusatemi! (Entra in casa e ne esce quasi subito con una bottiglia e due calici) Il caso è grande, però. Se è poi il caso... Incontrarvi nel mio giardino proprio il giorno che torno dal viaggio!... Venite di lontano? Io vengo dai dintorni di Napoli.

Il Principe Bianco         - Io vengo da Bologna.

Federigo                        - E andate a Fiesole suppongo.

Il Principe Bianco         - E perché?

Federigo                        - (sorridendo) Forse frate Giovanni ha di nuovo bisogno d'ispirazione.

Il Principe Bianco         - (serio) No. È diventato molto grande nella sua arte.

Federigo                        - (come sopra) Dio dev'essere contento di lui.

Il Principe Bianco         - Sì, dev'esserlo.

Federigo                        - Ho la polvere di tutta la strada in gola. E voi? Mi farete il piacere di bere?

Il Principe Bianco         - Se ci tenete. (Federigo versa da bere e beve).

Federigo                        - (deluso) È solo il mio vino.

Il Principe Bianco         - (tranquillo) Che altro vino potrebbe esservi nella vostra bottiglia?

Federigo                        - Il vostro.

Il Principe Bianco         - Il mio?

Federigo                        - Non ho dimenticato quella straor­dinaria sera in cui avete trasformato il mio vino.

Il Principe Bianco         - (sorridendo) Trasformato il vostro vino?

Federigo                        - Non prendetemi in giro, monsignore. Quando, sul punto di partire, m'avete offerto di finire il bicchiere in pegno d'amicizia, ho bevuto gli ultimi sorsi e non ho riconosciuto il mio vino. C'era un miracolo lì sotto...

Il Principe Bianco         - Eravate leggermente ubriaco quella sera, signor Federigo.

Federigo                        - Vi dico che non era il mio vino. Non aveva né i suoi difetti, né le sue qualità, né la sua asprezza né la sua franchezza di vino da contadini. Era un vino di zucchero e miele, di sole interno e di segrete preparazioni, un vino di cuore e di volontà. Un vino celeste.

Il Principe Bianco         - Eravate alticcio.

Federigo                        - E volete negare anche il resto? Negare il seguito, quel che ha trasformato la mia vita e ha fatto di me l'uomo un po' più giustificabile che sono ora?

Il Principe Bianco         - Non vi capisco.

 Federigo                       - Negate d'avermi dato la fortuna? (Gesto vago del principe Bianco) Se non volete ammettere d'aver cambiato il vino, almeno ricono­scete queste carte! (Mette il suo famoso gioco sotto gli occhi del principe Bianco).

Il Principe Bianco         - Ah, sì, i desideri, il gioco della persuasione... Riconosco le carte.

Federigo                        - Ebbene, sappiate che con queste carte, dal momento che vi ho incontrato, ho inco­minciato a vincere, a vincere... Tutto è diventato miracolosamente facile, mi-ra-co-lo-sa-men-te, capite?

Il Principe Bianco         - Certo vi siete rimpinzato dei beni del mondo e altrettanto certamente ne siete stato disgustato. È umano. Quindi siete giunti al confine del vostro universo interiore, a quel con­fine dove di solito ci si incontra con Dio...

Federigo                        - Perdonatemi, monsignore, non avevo pensato a Dio. (Breve silenzio) È stato per condurmi a Dio che sono stato scelto, che ho beneficiato dell'incantesimo delle carte? Strano cammino. Il cammino del bene attraverso il male... Sì, è proprio questo che mi turba dacché ci siamo incontrati. Perché la sorte ha puntato il dito su Federigo, e non su un altro più meritevole o più compromesso?

Il Principe Bianco         - Forse siete più meritevole di molti altri. 0 più compromesso...

Federigo                        - È vero che questa esperienza mi ha servito. Mi ha guidato dalla più vana agitazione alla serenità.

Il Principe Bianco         - Vi siete giunto attraverso la conoscenza del mondo?

Federigo                        - No, mi è bastato l'amore. Anche l'amore è conoscenza. Questo soprattutto vi devo, monsignore! Un amore magnifico e senza crudeltà; un amore di freschezza e d'acqua chiara. Da sei anni, Olivia è il ruscello della mia vita. Vi devo questo : la mia felicità.

Il Principe Bianco         - Non c'era niente di sopran­naturale nel mio intervento. Vi ho solo voluto dare la sicurezza. Vedete ora che il mio metodo era buono. (Con leggerezza) Sono lusingato che vi siate confidato con uno sconosciuto.

Federigo                        - Non siete sconosciuto : siete il Principe Bianco.

Il Principe Bianco         - E con ciò?

Federigo                        - Nelle leggende dei nostri bimbi, si chiamano principi bianchi gli angeli.

Il Principe Bianco         - (in tono indefinibile) Grazie dell'onore.

Federigo                        - (un po' snervato) Ah, non crediate di ingannarmi sempre con il vostro gioco della persua­sione. Io non ci credo, avete capito, non ci credo!

Il Principe Bianco         - Come volete.

Federigo                        - Non ci credo perché il potere che m'avete dato mi ha permesso di oltrepassare le fron­tiere del mondo conosciuto. Sapete da dove vengo?... Vi confiderò un grande segreto. Nemmeno mia moglie lo sa... Vengo dalla casa del diavolo!

Il Principe Bianco         - (involontariamente indietreg­giando) Dalla casa del diavolo?

Federigo                        - A voi non piace, vero? Nemmeno a me, ma non per le stesse ragioni.

Il Principe Bianco         - (serio) L'avete visto?

Federigo                        - L'ho visto... Vi avevo mai parlato di dodici giovani che sono morti rovinati e rovinati proprio da me?

Il Principe Bianco         - No.

Federigo                        - Non importa! Basta che sappiate che il loro ricordo m'avvelenava le ore più belle. Li immagi­navo all'inferno, torturati, nauseabondi, che mi male­dicevano. Ho voluto riscattarli e riscattare anche me nello stesso tempo. Ebbene, ci sono riuscito. (Batte sul sacco die porta a tracolla) Sono qui.

Il Principe Bianco         - (sorridendo) I vostri dodici giovani stanno lì dentro?

Federigo                        - Non loro. Ma la loro parte migliore.

Il Principe Bianco         - Fate vedere. Vedo solo un letto di foglie di fico 'nel fondo del sacco.

Federigo                        - E sopra ci dormono dodici anime. Dovreste vederle, voi che avete l'abitudine alla trasparenza... C'è Domenico, che vi assomigliava un po', Sandro, che rideva così forte, Massimo, che aveva la pazzia degli uccelli delle isole, e tutti gli altri...

Il Principe Bianco         - E se si svegliano, queste anime?

Federigo                        - Il diavolo mi ha promesso che dor­miranno brave brave fino al giorno della mia morte.

Il Principe Bianco         - Credete alla promessa del diavolo?

Federigo                        - Lui ha creduto alla mia lealtà.

Il Principe Bianco         - E com'è il diavolo?

Federigo                        - (ridendo) Mica molto spaventoso. Insinuante, piuttosto. Come lo dipinge la leggenda e con qualche difetto in più, che rassomiglia ai nostri: vanità, passione. (Ridendo più forte) È un giocatore musone.

Il Principe Bianco         - Dove l'avete incontrato?

Federigo                        - In uno strano albergo nei dintorni di Napoli. Ho dovuto attraversare una zolfatara e mi sono bruciato due paia di stivali... Mi aveva dato appuntamento per mezzo di un sogno, naturalmente.

Il Principe Bianco         - (come fra sé) L'ho sempre pensato che i sogni sono pericolosi.

Federigo                        - È strano l'albergo dove abita quando viene sulla terra. Niente fiamme o urli di dannati. Una prigione, piuttosto : muri dai toni uniti, porte strettamente chiuse a chiave, spesse sbarre. E dapper­tutto un immenso, un intenso silenzio. Dentro, nes­suno. Nessuno per aprire, per parlare. Al posto dei servi solo delle mani. Mani tagliate al polso, che tirano i catenacci, che sporgono sedie. Volano come uccelli intorno a voi. Ma quando vi sfiorano è spiace­vole. Nonostante la loro bianchezza, fanno pensare a pipistrelli.

Il Principe Bianco         - E che mercato gli avete proposto, al diavolo?

Federigo                        - Il diavolo è giocatore, per essenza, per definizione. Gli ho detto: « Sire, tra i giocatori della terra ti veneriamo, perché tu sei il primo gioca­tore di sottoterra ». È parso lusingato.

Il Principe Bianco         - (sorridendo) Ed ecco ser­vita la vanità.

Federigo                        - « Sire, ti pare che il primo giocatore della terra sarebbe degno di giocare una partita con te? ». Ha risposto che la cosa l'avrebbe svagato un po', dato che la terra gli mandava sempre e soltanto degli ambasciatori seri, poeti di solito.

Il Principe Bianco         - Ha accettato di giocare, ecco servita la passione.

Federigo                        - La posta era la mia anima contro delle anime a mia scelta. Ho tirato fuori le mie carte. Cominciate a capire? Abbiamo giocato dodici partite. (Indica il sacco) Eccone il risultato. Ogni volta una mano posava nel sacco una cosa senza consistenza né rilievo, che era come una bolla d'aria più pesan­te dell'aria.

Il Principe Bianco         - Non doveva esser contento, il diavolo.

Federigo                        - Non molto. Mi ha messo fuori... Aggiungo che la mano che mi ha cacciato era piuttosto rude.

Il Principe Bianco         - Bravo Federigo!

Federigo                        - E vorreste ancora negare che le vostre carte erano incantate?

Il Principe Bianco         - (sognatore) L'avventura è strana, ma affermo che non la prevedevo... Ditemi, Federigo, avete spinto l'esperienza fino in fondo?

Federigo                        - Cioè?

Il Principe Bianco         - Mi ricordo gli altri due desideri: l'arancio, lo sgabello. Avete provato a trat­tenere un uccello sul primo, un visitatore sul secondo?

Federigo                        - No, mai. E a che mi servirebbe, ormai?  Avevo un rimorso che dava ombra alla mia felicità. Ho cacciato quest'ombra. Ascoltate quel che sto per dirvi, monsignore, con molta solennità: non ho più nulla da desiderare.

Il Principe Bianco         - Niente?

Federigo                        - Niente. Guardatemi. Avete davanti a voi un uomo completamente felice a partire da oggi. Un uomo la cui completa felicità comincia da oggi.

Il Principe Bianco         - È raro trovare un uomo convinto di non avere più desideri!

Federigo                        - Sono sulla, punta di me stesso, come su un capo dal quale si abbraccia un immenso pae­saggio. Sono il padrone del paesaggio della mia vita.

Il Principe Bianco         - Vi ammiro perché siete così sicuro di voi.

Federigo                        - Voi stesso mi avete raccomandato la sicurezza!

Il Principe Bianco         - Certo. Ma non la cecità... E i rovesci della sorte? Ci pensate? Il dubbio, la sazietà?

Federigo                        - Non è generoso da parte vostra parlarmi di dubbio proprio nel momento in cui mi sono sbarazzato del solo segreto che offuscava il segreto del mio amore.

Il Principe Bianco         - Non è modesto da parte vostra il non temere nulla.

Federigo                        - (violento) Non voglio temere nulla!

Il Principe Bianco         - Imprudente!

Federigo                        - Voglio provarvi che non m'aspetto più la minima concessione dal caso. Guardate... (Tira fuori il suo mazzo di carte di tasca, le strappa brusca­mente e ne butta i pezzi per terra) Ecco.

Il Principe Bianco         - Ecco. (Un silenzio. Federigo appare turbato da quel che Tia fatto ma cerca di sorridere).

Federigo                        - Spero che non mi porti male.

Il Principe Bianco         - Lo spero anch'io. (Silenzio. Imbarazzo).

Federigo                        - Olivia ci mette del tempo a tornare... Vorrei che vi preparasse qualcosa di buono: la mia cucina è migliore d'una volta.

Il Principe Bianco         - Non è il caso, signor Fede­rigo.

Federigo                        - Mi fareste quest'offesa?

Il Principe Bianco         - Non ho più molto da fare qui.

Federigo                        - E che cosa!

Il Principe Bianco         - (galante) Salutare la vostra felicità sotto la forma di vostra moglie.

Federigo                        - Ah! La vedo... È la sul sentiero.

Il Principe Bianco         - Corretele incontro.

Federigo                        - Ci aspettate!

Il Principe Bianco         - Vi lascio alle vostre effu­sioni. Vado a passeggiare nell'orto.

Federigo                        - A presto. (Esce per primo. Il principe Bianco lo guarda a lungo, poi esce a sua volta. Rien­trano quasi subito Olivia e Federigo abbracciati e ridenti) Dov'eri!

Olivia                            - In paese, con Markus... Ebbene, mio bel cavaliere, il viaggio...!

Federigo                        - Tutto bene. Ho vinto.

Olivia                            - Allora siamo ancora più ricchi...

Federigo                        - (con convinta gravità) Molto più ricchi.

Olivia                            - (sorridendo) Ricchi come?

Federigo                        - Se ti rispondo « come Creso » faresti una smorfia. Diresti che è banale.

Olivia                            - Hai fatto progressi, però.

Federigo                        - Me l'hanno detto.

Olivia                            - Che cosa ti hanno detto!

Federigo                        - Che avevo troppa fantasia.

Olivia                            - Chi t'ha detto così era un adulatore. Non sei più al punto di paragonare una donna a una rosa, questo no, ma tuttavia...

Federigo                        - È buffo in te, questa facoltà di pen­sare e di esprimerti con immagini non si esaurisce.

Olivia                            - Perché dovrebbe esaurirsi!

Federigo                        - Perché sei felice. Non dico troppo felice. Dico: felice.

Olivia                            - Non vedo il rapporto.

Federigo                        - Quando si ha raggiunto la pienezza, non vai la pena di mettere il mondo in immagini... Quando eri l'unica ragazzina sognante del villaggio, avevi bisogno di ornare la scena. Ma adesso, è inutile: non aspettiamo più nulla.

Olivia                            - E la perfezione, allora!

Federigo                        - Siamo noi la perfezione.

Olivia                            - (ridendo) Vanitoso!,.. Io credo che non ci sia perfezione senza movimento. Tu non mi ami più abbastanza quando ti addormenti vicino al fuoco.

Federigo                        - Sogno di te.

Olivia                            - Facile a dirsi.

Federigo                        - (grave) Ti ritrovo ovunque, dolce amore della mia vita! Sono incatenato a te e porto con gioia il peso di questa catena.

Olivia                            - Ti ricordi di quel che dicevi una volta « Voglio rimanere un uomo libero »?

Federigo                        - Non lo dico più.

Olivia                            - Ho creduto per molto tempo che con­tinuassi a pensarlo.

 Federigo                       - Dal momento del nostro incontro a Firenze, il mio cuore ha saputo che, anche separati, ci saremmo ritrovati ovunque.

Olivia                            - (grave e bruscamente triste) È vero, ti ritroverò ovunque.

Federigo                        - Siamo destinati l'uno all'altro.

Olivia                            - (come sopra) Siamo destinati l'uno all'altro.

Federigo                        - Prima di te, che cos'ero mai io! Un inquieto abbozzo d'uomo...

Olivia                            - Guardi gli occhi di tua moglie, cogli i frutti del tuo frutteto: è agire questo? Certi giorni mi chiedo se non ti ho impedito di realizzare il tuo destino. (Molto gravemente) Ma non è del tutto colpa mia, Federigo... Il caso, una volontà che non è la mia...

Federigo                        - Che vuoi dire, Olivia?

Olivia                            - (scuotendosi) Scusami... Qualche volta, ho paura della mia felicità... Se non fossi esistita, che senso avrebbo preso la tua vita?

Federigo                        - Non avrei vissuto.

Olivia                            - (tornando alla sua idea) Eri inquieto, è vero. Ma tanti uomini lo sono, e poi gli passa. Gli esseri chiamati ad un alto destino non sono quelli la cui anima assomiglia ad un lago, ma piuttosto al mare, quest'eterno inquieto. Non ti sarebbe piaciuto occuparti di politica?

Federigo                        - È proprio il momento... Firenze sta scivolando in una tirannia che prende l'aria modesta, ma la terrà schiava a lungo. Non voglio mischiarmi nello strangolamento della mia patria.

Olivia                            - Non ti sarebbe piaciuto essere un uomo d'armi?

Federigo                        - Fare una professione dell'uccidere: ah, no! Decidere per uccidere, la guerra non ha altro senso.

Olivia                            - (grave) Non si uccide solo per far posto a nuovi viventi, ma anche per preparar loro una vita migliore. Bisogna che ci siano dei morti, perché si faccia il tirocinio dall'oscurità alla luce, dalla caverna alla prima casa, dalla pietra all'acciaio, dall'animale selvaggio all'animale domestico.

Federigo                        - Noi due, morti futuri, a chi prepa­riamo la vita?

Olivia                            - (con un brivido) A una coppia migliore.

Federigo                        - È vero, forse siamo l'avanguardia di una felicità anche più perfetta... Vorrei che fossimo presi ad esempio, che fra uno o dieci secoli rivivessimo in un'altra coppia...

Olivia                            - (estremamente pallida) Non dirlo, non pensarlo.

Federigo                        - Perché!

Olivia                            - Prima dovremo morire.

Federigo                        - Senti, Olivia, se ho voluto, dopo due anni di comune felicità a Roma, che ci ritirassimo qui, è stato perché avevo un'alta ed egoistica ambi­zione. L'aria del mondo si posa sull'anima come l'aria umida sulle spade. È ruggine. Consuma. Rovina. Avevamo davanti a noi anni di festa, di feste uguali, meravigliose e stancanti, attraverso le quali ci sa­remmo impercettibilmente allontanati uno dall'altro. In apparenza nulla sarebbe cambiato. Avremmo con­tinuato a fare gesti, sorrisi, ma sarebbero stati piccoli gesti, piccoli sorrisi, il rancore educato d'una indifferenza simile alla ruggine. Abbiamo una sola vita, ed un solo amore per vita. Ho avuto l'ambizione di conservare il mio allo stato puro, di proteggerlo... E oggi so che ho avuto ragione.

Olivia                            - Perché oggi?

Federigo                        - Perché, mi sono lavato della mia ultima inquietudine.

Olivia                            - Un'inquietudine che mi avevi nascosta? (Si capisce die Federigo sta per partire, ma si ferma di colpo).

Federigo                        - Mi pare di sentir camminare qui vicino.

Olivia                            - Sarà Markus che torna dal villaggio anche lui.

Federigo                        - (ridendo) Che sciocco sono! Non è Markus. Dimenticavo che avevo invitato qualcuno a cena...

Olivia                            - E chi mai?

Federigo                        - Non un uomo, direi. Una coincidenza, piuttosto... Stasera ceneremo con una coincidenza... Ti ricordi, Olivia, di quella sera lontana che ti ho abbandonato per ripartire sulle strade? Avevamo par­lato del Principe Bianco...

Olivia                            - (pallidissima) Il Principe Bianco!

Federigo                        - L'ho incontrato poco fa. È lui che cena con noi.

Olivia                            - (con un grido) Non è possibile!

Federigo                        - Ti rincresce di dividere la tua cena con un angelo?

Olivia                            - Come sai che è un angelo?

Federigo                        - Sei stata tu ad aprirmi gli occhi la prima volta...

Olivia                            - Dov'è?

Federigo                        - Nell'orto. Aspetta che lo chiamiamo. E il momento buono, ora. (S'avvia verso il fondo).

Olivia                            - Non affrettarti!

Federigo                        - (con leggerezza) Ti commuove tanto, un angelo? Ah, lo vedo laggiù. Avvicinati. Lo vedrai. (Come incosciente, Olivia obbedisce) Lo vedi?

Olivia                            - Sì!

Federigo                        - (verso l'interno) Ehi, monsignore!... Venite... Si volta. Ci guarda.

Olivia                            - Ci guarda.

Federigo                        - Ah, si direbbe che se ne va. Mon­signore, monsignore... Se ne va. Fa un gesto con la mano.

Olivia                            - Un gesto con la mano. (Anche lei, alle spalle di Federigo, alza una mano).

Federigo                        - Se cercassi di raggiungerlo?

Olivia                            - Inutile, non verrà.

Federigo                        - Credi? (Perplesso, torna sul davanti della scena) È strana, questa partenza. (Silenzio) L'avrò offeso? Non dici nulla, Olivia? (La guarda più attentamente) Come sei pallida...

Olivia                            - No, no...

Federigo                        - Sì, invece. Come lo sapevi che il principe non sarebbe venuto?

Olivia                            - Lo sapevo.

Federigo                        - Lo conosci?

Olivia                            - (breve silenzio) Sì.

Federigo                        - Ah! (Silenzio più lungo) Hai dei segreti per me?

Olivia                            - Sì.

Federigo                        - (ridendo) Ma certo che lo conosci! L'hai visto sul sentiero la stessa sera che l'ho visto io. Ti aveva guardata a lungo, me l'avevi detto. (Di fronte al mutismo di Olivia, smette di ridere) Non è così? L'hai rivisto?

Olivia                            - Sì.

Federigo                        - Dove?

Olivia                            - A Firenze.

Federigo                        - Prima di rivedere me o dopo?

Olivia                            - Dopo.

Federigo                        - È strano. (Silenzio, lungo e pesante).

Olivia                            - Senti, Federigo...

Federigo                        - Si direbbe che piangi...

Olivia                            - Senti, Federigo... Abbiamo avuto sei anni di felicità incredibile... Non hai mai pensato che saremmo invecchiati?

Federigo                        - Siamo murati qui, faccia a faccia con noi stessi. Tu non vedi i miei capelli grigi. Io non vedrò la tua prima ruga. Il tuo volto di sei anni fa, quello di adesso e quello che avrai più tardi, per me sarà sempre lo stesso.

Olivia                            - Non hai mai desiderato che la nostra vita si fermasse in piena giovinezza, nella stagione migliore del nostro amore?

Federigo                        - Sarebbe un desiderio sacrilego.

Olivia                            - Non hai mai pensato che potremmo morire?

Federigo                        - E tu?

Olivia                            - Oh, sì, spesso...! Spesso, Federigo.

Federigo                        - E allora?

Olivia                            - Non si tratta di me, ma di te, Federigo... La notte cade troppo presto, amore. Cadrà tra un momento.

Federigo                        - Sogni. È ancora giorno chiaro.

Olivia                            - Come la notte, il sole cade di colpo per quelli che non devono più vederlo.

Federigo                        - Ma insomma, Olivia, cosa sono questi enigmi?

Olivia                            - È arrivato per te il momento in cui non ci sono più enigmi. All'altro mondo si capisce tutto, bruscamente.

Federigo                        - All'altro mondo?

Olivia                            - (piangendo) Ah! Quante volte mi sono ripetuta le parole che sto per dirti. Che devo dirti, contro il mio desiderio, contro il mio sangue, contro l'anima mia!

Federigo                        - Vuoi spiegarti infine?

Olivia                            - Tra un momento rimpiangerai d'avermi fatto fretta... (Lungo silenzio) Stai per morire, Federigo.

Federigo                        - (con un grido) Cosa?

Olivia                            - Tra un'ora sarai dall'altra parte, Fede­rigo.

Federigo                        - Come lo sai?

Olivia                            - Sono la morte, Federigo.

Federigo                        - La morte.

Olivia                            - Sono la tua morte, Federigo.

Federigo                        - (urlando) Non è vero. Non è vero.

Olivia                            - Non mi credi?

Federigo                        - Tu che sei la mia vita!

Olivia                            - È la stessa cosa.

Federigo                        - No, non ti credo. (Si porta improv­visamente la mano agli occhi) Ma che succede? La luce se ne va. Mi pare di diventar cieco...

Olivia                            - Perché mi obblighi a essere crudele? Avrei voluto prenderti nel sonno, farti passare da un sogno all'altro.

Federigo                        - Ah, se sei tu il sortilegio dell'ombra, ridammi il sole!

Olivia                            - Ecco. (Federigo ci vede di nuovo) Mi credi, adesso? (Silenzio interminabile).

Federigo                        - (spaventato, avvilito) Come morirò?

Olivia                            - Non lo so. Non ho il diritto di saperlo. Eseguisco degli ordini.

Federigo                        - Lasciami un po' di tempo... Devo abituarmi... Io sono, mi pare, il Federigo di poco fa, e pure non sono più lo stesso.

Olivia                            - Forse hai già fatto un passo dall'altra parte.

Federigo                        - (bruscamente) E adesso smetti questa commedia! Smetti di piangere! Le lacrime del tuo viso, o Morte, le hai rubate al viso della mia Olivia, della donna unica che ho appena lasciato sulla riva della terra.

Olivia                            - Sono sempre la tua Olivia. E soffro terribilmente.

Federigo                        - E come avrebbe potuto la mia Olivia, la pura, la trasparente, l'umana, avere il potere di abbassare la luce?

Olivia                            - Fino a un'ora fa avevo solo un potere di donna. Fino a un'ora fa pensavo ai lavori di casa, a cambiare i fiori delle aiuole. Ho avuto bisogno d'un segno.

Federigo                        - Chi ti ha fatto questo segno"?

Olivia                            - Il Principe Bianco.

Federigo                        - (con improvvisa insolenza) Morte mia, non t'immaginavo così.

Olivia                            - E come mi immaginavi?

Federigo                        - Be', non so. Si immagina sempre e solo la morte degli altri. Ti ripeto che devi smettere quest'ignobile commedia. Non sei Olivia.

Olivia                            - Sono Olivia.

Federigo                        - Lascia che ti tocchi. (Con lo stesso gesto che ella ha avuto una volta con lui, prende con le mani l'impronta del volto di Olivia) La sua inimitabile dolcezza! Così, dall'età della ragione, che è l'età del sogno, dall'età in cui le altre ragazzine parlano alle fate, ti preparavi al tuo compito d'oggi?

Olivia                            - No, è solo da poco che ho saputo d'essere stata scelta per te.

Federigo                        - Da quando?

Olivia                            - Dall'indomani della notte in cui sono stata tua per la prima volta... Ero tornata a casa mia, ti ricordi. Un uomo mi seguì. Era il Principe Bianco. Mi disse: «Appartenete a Federigo ancor più di quel che pensiate ». Ha anche aggiunto che potevo essere tua per sempre... Mi sono gettata ai suoi piedi. Ho supplicato. Ho pianto. Prevedevo il male che mi sarei fatta, che mi faccio oggi... Lui sorrideva, senza consolarmi. Quando mi ha visto più calma mi ha con­fidato il segreto.

Federigo                        - Che segreto?

Olivia                            - La morte non è uguale per tutti. La morte per te era quel che componeva la tua vita, era Olivia. Ci sono esseri che muoiono soli, quelli che non hanno meritato nulla, altri che muoiono con l'aiuto dei vivi chini sul loro letto : hanno gli ultimi sguardi dei geni­tori, o dei figli. Altri ancora si portano con sé la loro gloria, la loro arte, la loro scienza, la loro patria, la ricchezza dell'anima loro, che è la sola ricchezza valida. Ma il privilegio di portare con sé quel che si ha meglio servito o meglio amato, è accordato solo a pochi.

Federigo                        - Così potrai seguirmi?

Olivia                            - Dipende da noi, da te. Dalla stessa forza del tuo amore, dalla tua convinzione nell'amore. Sai, dire d'una coppia che resta unita per la vita eterna, allungata nella vita eterna come due figure di marmo su una tomba, non è solo una frase poetica, è una realtà. Una realtà di Dio. La fortuna di una grande passione è che può prolungarsi nell'aldilà.

Federigo                        - Sarebbe troppo bello.

Olivia                            - Non bestemmiare! Dobbiamo ammet­tere questa cosa meravigliosa che è la presenza del cielo in noi, che l'uomo e la donna che si sono impe­gnati a fondo non si separano mai. Non sono sepa­rati dalla morte, anche se l'apparenza li separa un momento. Quando uno muore prima dell'altro, la me­moria, il dolore, gli oggetti stessi formano la catena... E, cosa ancora più meravigliosa, uno è la morte dell'altro. Talvolta è l'uomo talvolta è la donna che ricevono il segnale. Questione di fantasia... Del resto, questo segnale non si riceve sempre così chiaramente come me. Oppure ci si ostina a non capire l'annuncio di un sogno, lo strazio di una separazione...

Federigo                        - Tu eri dotata.

Olivia                            - Vorrei che tutte le donne sapessero quel che so io.

Federigo                        - Allora perché dicevi di soffrire terri­bilmente?

Olivia                            - Ignoro se abbiamo meritato di non essere separati.

Federigo                        - Se non l'abbiamo meritato, che succederà? Forse sarà il vero nulla per me, per te.

Olivia                            - Non so.

Federigo                        - Pretendi che dipenda da me se rimar­remo o no uniti? Allora nulla dovrebbe staccarci.

Olivia                            - Non è così semplice. Bisognerebbe anche non aver mai peccato contro questo amore.

Federigo                        - Ah, proprio tu parli così, tu che mi hai continuamente tradito! Tu eri la morte. Potevi odorare i fiori, e loro non appassivano! Potevi metter la mano in un ruscello senza avvelenarlo! Sapevi che dovevo morire per quella mano e per quel respiro e mi sorridevi! C'è un tradimento peggiore?

Olivia                            - Dovevamo vivere.

Federigo                        - Nella menzogna.

Olivia                            - No, ero solo tua moglie. L'altra cosa riuscivo a dimenticarla. Si ha il permesso di dimen­ticare... (Silenzio).

Federigo                        - Devi sapere entro quanto tempo sarò morto.

Olivia                            - Non è in mio potere. Io ho diritto, come tutti gli altri viventi, solo al presentimento!

Federigo                        - Bell'arma di difesa, in fede mia!

Olivia                            - Arma che mi è servita almeno due volte... Tre anni fa il tuo cavallo è scivolato sulle rive di un torrente, siede caduti entrambi nell'acqua tumul­tuosa che ti ha trascinato svenuto. Ti sei svegliato tra le mie braccia, in una baia solitaria dove nessuno sarebbe mai venuto a cercarti, dove senza dubbio saresti morto della tua ferita.

Federigo                        - (stupito) Aprendo gli occhi, ti chiesi « Come mai sei qui? ».

Olivia                            - Il mio cuore era stato avvertito.

Federigo                        - E la seconda volta?

Olivia                            - Quest'inverno, passavamo lungo un muro in rovina...

Federigo                        - Sì, ricordo. Mi hai dato una spinta violenta e un'enorme pietra staccatasi dalla cima del muro mi ha sfiorato.

Olivia                            - La mia mano era stata avvertita. (Silenzio).

Federigo                        - Cerchiamo di guadagnar tempo.

Olivia                            - Ahimè, è venuto il Principe Bianco. Di solito non si scomoda così. È venuto per farmi capire che avevo perduto troppo tempo.

Federigo                        - Come lo dici freddamente!

Olivia                            - Freddamente!... Mio dolce amore, se anche dall'altra parte avremo l'esistenza più mera­vigliosa che sì possa immaginare, varrà mai quanto quella che mi hai creato tu? Vorrei, ti giuro, non avere altro compito che quello d'una donna. Ti ho amato, Federigo, più violentemente di quel che la nostra collina ami il suo cielo. Ti ho amato come forse la terra arriva ad amare se stessa, ogni granellino di polvere che la compone integrato al granellino che l'affianca e lo ingrossa. (Silenzio).

Federigo                        - (violentemente, battendosi il petto) Sto bene, sto bene! Tutto il mio sangue là dentro è caldo e gira e canta e non smetterà di cantare... Ah! Potenze soprannaturali, angelo e morte, nemici miei vi sfido!

Olivia                            - Protesti come gli altri.

Federigo                        - Dovranno prendermi con la forza.

Olivia                            - (molto dolcemente) Se ti rivolti, vuol dire che non accetti l'eternità che ci era stata offerta. Eischi di perdermi.

Federigo                        - Ma vivere!

Olivia                            - Vivere l'uno senza l'altra...

Federigo                        - Ah, la testa mi si perde... Lasciami riflettere. (Una pausa molto lunga).

Olivia                            - Ebbene, Federigo1? (Federigo è voltato, pensa. Poi alza la testa con gli occhi lucidi di ardore e di desiderio).

Federigo                        - Mi pare d'aver tante cose da portare con me. (Va a prendere il sacco delle anime che aveva appeso alla porta d'entrata) Questo sacco... altre cose ancora... No... Quanto s'ha da portar via dalla vita... Un flore... (Coglie un -fiore e l'appunta sul farsetto. Si trova ai piedi dell'arancio) Un frutto... perché non un frutto? È quasi arrivato il giorno in cui coglieranno le mie arance...

Olivia                            - (con dolcezza, sul punto di piangere) Le nostre arance...

Federigo                        - Le nostre arance... Vorrei uno di quei frutti... Potremmo aver sete in cammino.

Olivia                            - Cogliti un'arancia, se ne hai voglia.

Federigo                        - Vorrei che la cogliessi tu.

Olivia                            - Perché io?

Federigo                        - Perché io possa cogliere il tuo ultimo gesto di donna.

Olivia                            - Come vuoi. (Si arrampica mentre Fede­rigo sorride vagamente).

Federigo                        - (quasi teneramente) Come sei agile!

Olivia                            - Ti piace quest'arancia?

 Federigo                       - No, sali ancora un poco. I frutti son più maturi sui rami in alto.

Olivia                            - (obbedendo) Questa?

Federigo                        - (intensamente) E adesso desidero che tu non scenda più.

Olivia                            - Come?

Federigo                        - (c. s.) Che tu non scenda più, che tu non scenda più. (Olivia si agita senza potersi stac­care dai rami. È presa come un uccello nella pania. Quando libera un braccio l'altro rimane, prigioniero).

Olivia                            - Ma, ma...

Federigo                        - (scoppiando a ridere) È riuscita, è riuscita...

Olivia                            - Che cosa è riuscita?

Federigo                        - (molto sicuro di se) Il Principe Bianco non aveva mentito... Mi ha dato il potere di trat­tenere su quell'albero chi avessi voluto. Certo non pensava che avrei trattenuto proprio te! Peggio per lui, in fede mia...

Olivia                            - (seriamente) Smetti questo gioco assurdo, Federigo.

Federigo                        - Assurdo? Come osi dir questo, amor mio? Ho trovato il modo di conservar eternamente il mio amore e il mio amore trova ciò assurdo! Il mio amore non ragiona... (Ridendo sempre più) È vero che poiché il mio amore è anche la mia morte, metto in gabbia la mia morte.

Olivia                            - Attento, Federigo.

Federigo                        - Perdona, in gabbia non è esatto... Un albero è molto meglio d'una gabbia. C'è il vento, la vista, il ronzìo delle api, tutta l'amicizia della primavera... Ed io, quando ne avrò voglia, verrò a contemplare il mio uccello favorito. Canterai, mio uccello?...

Olivia                            - (scuotendo l'albero) Lasciami scendere.

Federigo                        - M'assicuro la vita. (Stirandosi) È piacevole, la vita.

Olivia                            - Devo scendere.

Federigo                        - Se vuoi. Scenderai quando mi avrai accordato, qualcosa...

Olivia                            - Che cosa?

Federigo                        - La vita. Una proroga di vita. Una piccola resurrezione, insomma.

Olivia                            - (spaventata) Non chiedermi questo. È un peccato immenso che commetti contro la volontà del cielo.

' Federigo                      - Dimentichi che è un angelo che mi ha permesso di commetterlo.

Olivia                            - Quando accordano una grazia terrestre, gli angeli non possono sapere come questa grazia sarà utilizzata. Da questo, più tardi, si giudicherà l'uomo... Questo peccato rischia di separarci per sempre. Hai agito contro il nostro amore e non avrai perdono.

Federigo                        - Bah! Aprirò gli occhi, domani mattina.

Olivia                            - Peggio per noi... Rendimi la libertà, e ti otterrò dieci anni di vita supplementare.

Federigo                        - Dieci anni? Non pensarci nemmeno. Se debbo ricominciare daccapo conto d'aver perso sette anni prima d'aver raggiunto l'età della ragione.

Olivia                            - Vent'anni.

Federigo                        - Il tempo d'aver le malattie della adolescenza, di far gli studi noiosi, di dubitare di sé. Il tempo del tirocinio. Troppo poco.

Olivia                            - Non temere nulla. Tutto ricomincerà da oggi... Vuoi trent'anni?

Federigo                        - No, tre volte tanto.

Olivia                            - Un secolo!

Federigo                        - Sì. Un secolo è comodo. Si vedono finir le guerre e s'impara che non han servito a niente, che non hanno regolato nessun conflitto. Si è testi­moni di nuove invenzioni. Si vedono potenti famiglie cadere in povertà...

Olivia                            - (tristemente) Ebbene, sia! Avrai cent'anni.

Federigo                        - Puoi scendere. (Olivia si libera dal sortilegio, scende sui rami bassi) Dammi la mano. Di solito è la morte a prendere la mano degli altri.

Olivia                            - (indietreggiando) È la seconda volta che ti dico addio, Federigo. Ma tornerò all'ora scelta e ti accorgerai che il tempo è stato breve.

Federigo                        - E che m'importa! Mi basta aprire gli occhi domani mattina.

Olivia                            - Ieri, questo non ti sarebbe bastato. Avresti detto: « Se i tuoi occhi sono chiusi, Olivia, non avrei più voglia d'aprire i miei ». Il tuo trionfo d'oggi ti vela lo spirito e ti chiude il cuore. Ma, domani o presto, comincerai a sentire la tua solitudine. Oppure la legge del cielo esigerà che tu sia punito. E io conosco la tua punizione. Eccola: non mi vedrai più per cent'anni...

Federigo                        - (sorridendo) T'aspetterò senza aspet­tarti troppo, sai?

Olivia                            - Hai dimenticato ciò ch'io ero per te! Sono, ero, rimango Olivia; la metà del tuo sangue, la metà dei tuoi sogni. Girerai per il mondo alla ricerca del tuo equilibrio. Privo di quella metà di te stesso che sono io. Girerai come girano, prima di cadere, gli uccelli che hanno un'ala spezzata e che hanno perduto il senso diretto del loro volo...

Federigo                        - Mi minacci?

Olivia                            - Ti prevengo. E t'amo abbastanza per augurarti di non soffrire troppo dell'assenza d'amore... (Olivia sparisce; Federigo le fa un piccolo cenno di addio e poi sorride mentre cala la tela).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Interno della casa di Federigo, come nel primo atto, ma con svariati cambiamenti. Il tempo ha lucidato alcuni mobili e ne ha portato dei nuovi molto più ricchi. Qualche quadro alle pareti. A destra un'armatura e un pannello d'armi, ricordo della vita militare di Federigo. A sinistra, vicino al camino, una specie di laboratorio con libri e storte.

(All'alzarsi del sipario, Federigo è in conversazione con un giovane ufficiale. È invecchiato, ma senza incurvarsi. Ha ancora tutti i capelli, bianchissimi, Ha l'aspetto di quel che è: un vecchio generale a riposo, nobile e calmo. Sono passati cent'anni, è un giorno d'autunno del 1522).

Federigo                        - Siete al servizio del marchese di

Mantova?

 Soderini                       - Come lo siete stato voi, generale Federigo. Sono il luogotenente dei suoi lanzichenecchi.

Federigo                        - È molto tempo che non sono più al servizio di nessuno. E poi non lo sono stato del vostro capo, ma di suo padre. Ero a Fornovo con lui.

Soderini                        - Sono nei lanzichenecchi, ma, natu­ralmente, preferirei la cavalleria.

Federigo                        - (sorridendo) Naturalmente. Alla vostra età ci si vergogna sempre un po' di combattere a piedi... Vi chiamate?

Soderini                        - Pietro Soderini.

Federigo                        - Soderini... Un nome illustre a Firenze.

Soderini                        - (con una leggera amarezza) Ahimè, non appartengo nemmeno da lontano alla famiglia del cardinale. Devo conquistarmi tutto da solo.

Federigo                        - Se foste nato in una condizione più fortunata, avreste purtuttavia qualche motivo di lagnarvi. Non c'è nessun uomo che abbia tutto.

Soderini                        - (riprendendosi, in tono adulatorio) Ma voi, generale Federigo...

Federigo                        - Oh, io!...

Soderini                        - In tutti gli stati del Nord si rispetta la vostra gloria e la vostra vecchiaia. Da tutte le parti si richiede il vostro parere.

Federigo                        - Caro luogotenente, sono benefici uni­camente negativi. Quando ci si rivolge a qualcuno sollecitando, come dite voi, o rispettando, è segno che quel qualcuno non è più temuto. È meglio essere temuti.

Soderini                        - (dopo un breve silenzio) Sono incari­cato d'una missione da parte del colonnello.

Federigo                        - Il vostro colonnello è sempre il conte Pitigliano?

Soderini                        - Sì... Saran presto dieci anni che non comandate più. In occasione di questo anniversario, il reggimento vorrebbe offrirvi una spada d'onore. Il colonnello chiede se vorrete venire a riceverla a Mantova sul principio di dicembre.

Federigo                        - Dove sarò in dicembre?

Soderini                        - Farete, ancora dei viaggi? Dicono che siete già stato nelle Indie.

Federigo                        - Sto progettando un grande viaggio... Sentite, ringraziate il colonnello del suo pensiero, ma non accetto.

Soderini                        - A causa del viaggio?

Federigo                        - Sì. E per molte altre ragioni.

Soderini                        - Siamo in molti a ricordarci della parte che avete sostenuta in Toscana. Ho spesso sognato, di assomigliarvi, generale Federigo, e ho anche sognato di ricevere qualche lezione da voi.

Federigo                        - Sognate piuttosto un accordo con voi stesso. Sarà più utile. Non ci sarebbe giovinezza, se la giovinezza seguisse i consigli che le vengon dati. A vent'anni desideravo essere libero, lo desideravo ferocemente. Poi sono diventato più scettico e acco­modante. Forse avevo ragione quando avevo venti anni. Penso con la massima sincerità che ogni uomo si è realizzato prima dei trent'anni, ha fatto il giro completo della sua capacità di soffrire e di ridere, di parlare o di tacere; l'età matura aggiunge solo sentimenti calcolati, e la chiarezza anche, - la chia­rezza, questo piccolo beneficio,- al meraviglioso istinto che tutti possediamo al principio.

 

 Soderini                       - Se ho ben capito, bisognerebbe morir giovani.

Federigo                        - (grave) Forse. Il dramma è che non si osa.

Sodeeini                        - Ed io che venivo a chiedervi un incoraggiaménto!

Fedeeigo                       - Vi auguro di soffrire come ho sof­ferto io alla vostra età di quel gusto feroce della libertà. A un certo punto della mia vita ero appagato e ho commesso la pazzia di ricominciare.

Sodeeini                        - Di ricominciare?

Federigo                        - Di rientrare nell'azione. Il risultato? A cinquant'anni, in mezzo a tutti i tradimenti che fanno l'arte del secolo, non capivo più nulla. Dovevo mangiare i più deboli come facevano tutti, tradire come facevano tutti? Allora, sono stato solo più un soldato. Cioè ho cercato di accecarmi.

Sodeeini                        - Felice cecità! Avete preso Castelvetrano, rasa al suolo la cittadella di Forlì, distrutte le bande di Vittellozzo. Sono cose che si sanno, cre­detemi, e che contano.

Federigo                        - Contano meno del turbamento in cui sprofondavo ogni giorno di più.

Soderini                        - Certo è a causa di questo turbamento che avete abbandonato lo stato militare?

Federigo                        - Sì. Ho viaggiato.

Sodeeini                        - Tutti i paesi che avete scoperto...

Fedeeigo                       - Non aspettatevi del lirismo da me. Non sono un lirico. (Silenzio).

Sodeeini                        - Così, eravate a Fornovo e già generale. Magnifico!

Federigo                        - È passato molto tempo. Quasi trenta anni.

Sodeeini                        - Siete il generale più vecchio che si conosca in Italia. Sapete quel che dicono tra le file?

Federigo                        - Che cosa?

Soderini                        - Che siete centenario.

Federigo                        - Conosco questa leggenda e mi diverte. Tutti gli altri capitani sono morti di morte violenta, anche i maggiori. Da Vitellio a Cesare Borgia, che gruppo di destini troncati troppo presto! Si stupiscono che non sia morto anch'io, e così mi aggiungono qualche anno!

Sodeeini                        - (insistente) Pare che in ogni battaglia la morte, trovandosi in prima fila, vi sfiorasse, ma vi evitasse accuratamente.

Federigo                        - Caso.

Soderini                        - Il caso non è mai compiacente con i soldati... Forse avete scoperto il segreto della vita?

Federigo                        - Forse volete dire il segreto di pro­lungare la vita?

Soderini                        - Esattamente.

Federigo                        - Anche questo si dice di me?

Sodeeini                        - Si dice e con una certa insistenza. (Indicando il laboratorio) E questi libri, queste storte, ammetterete anche voi, aggiungono qualche credito a tali rumori.

Federigo                        - Ci passo il tempo. (Silenzio) Non avete l'aria convinta.

Soderini                        - Non molto, devo confessare.

Federigo                        - Per quanto siate giovane e leggero, luogotenente Soderini, non potete ignorare che viviamo in un'epoca in cui succedono molte cose, in cui l'uomo pare che arrivi alla superficie della sua coscienza e della sua intelligenza, in cui le leggende, avendo perso la loro forza di persuasione, muoiono asfis­siate... È come il bellissimo spettacolo dell'alba. Dobbiamo veder sorgere il sole. Voglio essere alla finestra per vedere l'alzarsi del secolo. Una volta erano gli istinti che contavano. Questi istinti, ve l'ho detto, mi turbavano, ma li disprezzavo. Ora voglio sapere quel che è lo spirito, per vedere se devo disprezzare anche lui.

Sodeeini                        - Disprezzare gli uomini, disprezzare lo spirito. Non c'è che un passo per arrivare a disprez­zare se stessi, a rinunciare a se stessi? Una posi­zione pericolosa, mi pare.

Fedeeigo                       - Pericoloso alla vostra età, non alla mia. Non ho quasi più passioni.

Sodeeini                        - Quasi?

Fedeeigo                       - Me ne rimane una: la passione della purezza. Forse viene a quelli che sono stati parti­colarmente impuri. Aldilà della passione della vita, e non sgorgando necessariamente da essa, c'è la passione della purezza. Si può salire il patibolo per lei.

Soderini                        - (con un sussulto) Al patibolo!

Federigo                        - Chiamano pazzi quelli che non tran­sigono... Pazzi, gli appassionati, i sinceri, gli amanti, i rompicollo! Pazzi, i giocatori... (Sorridendo) Sono stato un giocatore.

Soderini                        - Non lo siete più?

Federigo                        - Ho cambiato gioco. Gioco alla cono­scenza. Anche se, grazie alle mie letture e alle mie storte, arrivassi come ultima analisi a ridurre lo spirito a un'essenza di nulla, sarei soddisfatto lo stesso. Perché mi sarei liberato d'un dubbio, d'una paura, comuni a tutti gli uomini: la paura di non avere capito tutto unita a quella di non avere finito nulla.

Soderini                        - Una vita riuscita come la vostra non lascia dubbi, ma rimpianti.

Federigo                        - Credete? Il dubbio di cui voglio sbarazzarmi è quello di tutte le vite troppo lunghe. Si è riusciti a fare il giro di quel che si è, si ha il diritto di dirsi: « Ho cominciato ed ho finito. Al fondo della mia riga c'è un punto e non una virgola »? Vivo ancora soltanto per mettere quel punto finale. Sen­tite, ho fatto molte cose, ho versato il sangue dell'uomo e fatto scorrere le lacrime della donna. Ho intrigato, viaggiato e agito. E adesso dissecco libri, e adesso mescolo sostanze.

Soderini                        - Una. curva poco banale.

Federigo                        - E perché, di grazia? Nessuno riesce a compiere perfettamente il suo destino. Se ho visto le Indie dell'Est, mi mancano quelle dell'Ovest. Se ho vinto il Turco, mi manca d'aver vinto Baiardo. Se ho potuto navigare sulla superficie dei mari, mi manca d'aver camminato sul fondo. E così via! Ad ogni cosa posseduta, corrisponde una qualche cosa che non si potrà possedere.

Soderini                        - Così ogni volta che una donna si addormenta tra le, mie braccia, dovrei pensare che nello stesso istante milioni di donne si stanno addor­mentando altrove? È troppo per la mia immaginazione.

Federigo                        - Sì, dovreste pensare che sfuggono alla vostra tenerezza. Tutto è simultaneo nell'universo, meno l'uomo. Potrei vivere altre dieci vite lunghe come la mia senza avere il tempo di finire il mio edificio. Non ne finirò. Non ne finisco mai, è la legge...

Soderini                        - La legge è che ci sia una fine, una morte.

Fedekigo                       - Giusto. Una morte che ci guarda vivere. Una morte che senza dubbio sorride perché noi ci intestiamo in quest'idea della finzione, della perfezione. Ed ha ragione di sorridere.

Soderini                        - Con queste idee pessimiste...

Federigo                        - Pessimiste? Non mi pare. Ringrazio il naturale movimento dell'universo. Obbedisco.

Soderini                        - Più vi guardo, più penso a quel che so di voi, generale Federigo, e meno credo al naturale. Scusatemi se insisto, ma prima di Fornovo, vent'anni prima di Fornovo, vi hanno visto combattere. E non eravate più un bambino. C'è un mistero in tutto ciò. Indovino che possedete armi di cui nessun uomo ha mai potuto servirsi.

Federigo                        - Che armi?

Soderini                        - Quelle che uccidono il tempo, quelle che allontanano la morte.

Federigo                        - Di nuovo!

Soderini                        - (quasi supplichevolmente) Ho tanta e tanta ambizione, sento in fondo a me stesso un tale appetito di potenza. Voi, voi avete concluso tutto e non avete più il desiderio di concludere, ma io... A me che sono sfornito, nulla prova che la sazietà nasca dall'eccessivo possesso. Datemi il vostro segreto, che è quello della forza e della durata! Datemelo, vi scongiuro!

Federigo                        - Calmatevi, luogotenente Soderini! Come è avida la giovinezza! Mi specchio in voi e mi ricordo che avevo lo stesso volto affamato, lo stesso appetito...

Soderini                        - E allora...

Federigo                        - Ma non sono contento di riconoscermi in voi. La correzione dell'età trucca i ricordi. Il giovane Federigo avrebbe fermentato come voi, forse sarebbe stato vostro complice. Mentre la mia magia personale non può esservi di nessun aiuto...

Soderini                        - La vostra magia! Avete pronunciato questa parola!

Federigo                        - (sorridendo) La mia magia! Ah, volete proprio sapere? Ebbene, se ho vissuto così a lungo, è stato solo per un appuntamento. Volevo arrivarci più ricco del momento in cui l'ho dato.

Soderini                        - Un appuntamento con qualcuno?

Federigo                        - Con qualcuno.

Soderini                        - Dato molto tempo fa?

Federigo                        - Molto tempo fa.

Soderini                        - E per quando?

Federigo                        - (un silenzio) Per oggi. (Entra di corsa Olivia e si mette tra i due uomini).

Olivia                            - (senza fiato) Non dirgli niente, non dirgli niente!

Federigo                        - (senza sorpresa) Buon giorno, Olivia.

Olivia                            - Non dirgli niente!

Federigo                        - Perché, Olivia?

Olivia                            - È una spia.

 Soderini                       - Signora, con che diritto...

Olivia                            - Una spia, un sudicio spione.

Soderini                        - Sono il luogotenente del conte Pitigliano.

Olivia                            - Non è vero.

Soderini                        - Il conte mi manda da Mantova.

Olivia                            - Non è vero. Il conte è stato ucciso un mese fa nell'assalto del bastione di Montefeltro.

Soderini                        - Come lo sapete? Questa morte è stata, tenuta segreta.

Olivia                            - Lo so e tanto basta.

Federigo                        - (avanzandosi) Siete ufficiale, signore?

Soderini                        - (dopo una breve esitazione) No, non lo sono.

Federigo                        - E vi chiamate Pietro Soderini?

Olivia                            - Si chiama Odio, si chiama Viltà. Ha il nome di tutti i tuoi nemici, Federigo.

Federigo                        - È molto tempo che non ho più nemici.

Olivia                            - Come sei ingenuo! La tua vita ritirata intriga moltissimo la gente.

Federigo                        - Al mondo ho chiesto solo che mi considerasse assente.

Soderini                        - (rinfrancandosi) È un alibi molto facile.

Olivia                            - Vedi che rispunta il poliziotto! Lo sai, mio povero Federigo, che i tuoi libri destano sospetto?

Soderini                        - Fino ad oggi nessuno aveva avuto bisogno di libri nel villaggio.

Olivia                            - ...Che circolano pettegolezzi sul tuo conto, che ti credono uno stregone?

Federigo                        - (sorridendo) Nella solitudine, tutto è stregoneria. Compreso il piacere che ci si prova.

Soderini                        - (smascherandosi sempre di più) La vostra lampada è accesa fin tardi nella notte.

Federigo                        - Mi piace questo piccolo sole che appartiene solo a me. Mi rischiara meglio del sole di tutti.

Soderini                        - Spesso dal vostro camino esce un fumo d'odore disgustoso.

Federigo                        - I contadini trovano disgustoso tutto quel che non sa d'aglio e cipolla.

Soderini                        - Si sono visti aggirarsi intorno alla casa lupi e altre bestie strane.

Federigo                        - (a Olivia) Ti ricordi il nostro vecchio lupo mannaro? Come vedi non fa paura solo ai bambini.

Soderini                        - Dicono che una volta avete incon­trato il diavolo.

Federigo                        - Soprattutto ho incontrato uomini che gli assomigliavano.

Soderini                        - Dicono che muoiono molti bambini nella contrada, soprattutto il sabato.

Federigo                        - Smettiamola con questo interroga­torio! Che cosa volete qui?

Soderini                        - Dicono che avete vissuto più di una sola vita.

Olivia                            - Attento, Federigo. Un grande pericolo ti minaccia. Ti hanno denunciato e l'Inquisizione si occupa di te. Hanno mandato quest'uomo per farti parlare. Non gli hai mica detto niente?

Soderini                        - (con aria d'importanza) Il Santo Uffizio non ammette il mistero. C'è troppo mistero nel vostro caso, signor Federigo.

Federigo                        - (passando dal sorriso alla minaccia) Credo che mi piacerebbe strangolarvi.

Soderini                        - (indietreggiando) Sanno dove sono. Uccidermi non vi servirebbe a nulla.

Federigo                        - Andatevene.

Soderini                        - Sì, me ne vado. Ma ormai sono con­vinto, e ritornerò. E non sarò solo allora.

Federigo                        - (con uno sguardo di complicità a Olivia) Senza dubbio sarà troppo tardi. (Soderini esce) Perché sei intervenuta!

Olivia                            - Ho voluto tirarti fuori da un brutto passo. Non è la prima volta.

Federigo                        - Ma se devo morire e morire oggi stesso?

Olivia                            - Devi morire di me sola.

Federigo                        - Bruciare sugli assurdi roghi della Inquisizione, poi bruciare all'inferno. Bruciare per bruciare, sai...

Olivia                            - Sono io la tua morte e scelgo io.

Federigo                        - Ah! (Silenzio) Tutto sommato, mi sareb­be spiaciuto che la mia morte avesse cambiato for­ma, che avesse preso l'aspetto d'una spia.

Olivia                            - Dubitavi di me?

Federigo                        - (dopo un breve silenzio) T'aspettavo.

Olivia                            - (molto femminilmente) Davvero?

Federigo                        - Non era nei nostri patti ch'io fossi privato della memoria.

Olivia                            - Anzi. La tua memoria era il nostro legame.

Federigo                        - Bisogna che ti ringrazi subito di qualche cosa.

Olivia                            - E di che?

Federigo                        - Di qualche cosa che temevo moltis­simo: una vecchiaia abbietta e rattrappita. Gli occhi che lacrimano senza ragione, l'umore acido, la gelo­sia per la giovinezza. Grazie a te, ho evitato questi orrori.

Olivia                            - Vedi che dubitavi di me.

Federigo                        - No. Era naturale che invecchiassi. Ho passato quest'ultimo anno, nel timore che l'età mi vincesse in velocità.

Olivia                            - Nonostante il mio desiderio non ho potuto risparmiarti tutti i dolori in questi cento anni.

Federigo                        - Ogni volta che avevo voglia di andar­mene, che avevo sete del nulla, ecco che svelta svelta mi mandavi un buon accesso di febbre violenta, una ferita in suppurazione.

Olivia                            - E tu pensavi che ero io a ...(gravemente) ...non sei più lo stesso, Federigo.

Federigo                        - Credo d'aver vissuto troppo.

Olivia                            - Ma il nostro amore attraverso tutti questi anni conservava la stessa esigenza!

Federigo                        - Vuoi dire lo stesso comodo gusto per l'errore. L'errore, è di credere che solo l'amore che si si ha nel cuore sia l'unico.

Olivia                            - Non avresti detto questo, una volta.

Federigo                        - Ho sentito troppe coppie mormorare piano piano accanto a me: « Il nostro amore è unico al mondo ».

Olivia                            - Ma tu sapevi ciò che il nostro aveva di eccezionale.

Federigo                        - (dopo una breve pausa) Forse ti amo in un altro modo.

 Olivia                           - (a corto d'argomenti) Ah, che succede? È forse la nostra punizione che incomincia?

Federigo                        - La punizione?

Olivia                            - Scontata mentre siamo ancor vivi?

Federigo                        - (amaramente) Prima o dopo, per quel che importa!

Olivia                            - Hai perso la fede. Eppure, solo ieri, nel tuo sogno di ieri, tu mi chiamavi con la stessa violenza di un tempo.

Federigo                        - Nel mio sogno di ieri?... E vero... Ma tu, come lo sai?

Olivia                            - L'amore, il vero, l'unico... trova la sua strada nella notte del sonno.

Federigo                        - (si china su di lei e la fissa intensamente) Perdonami: sei sempre la mia bandiera, la mia cittadella, la mia potenza. Ma il peso delle mie espe­rienze è tanto pesante! Dovrei potermi astrarre da ciò che ho visto mentre ero solo, poter dimenticare, dimenticare... tutto; dimenticare. Dovremmo risalire alla sorgente, filtrarci di tutta la vita vissuta, Olivia.

Olivia                            - La nostra vita, la nostra vita pura è cominciata il giorno che tu ritornavi dalla caccia e hai incontrato una zingara.

Federigo                        - Dovremmo rincontrarci come era­vamo allora. Chiudi gli occhi, mentre io chiudo i miei.

Olivia                            - (dolcemente) Sì...

Federigo                        - Buongiorno, Olivia.

Olivia                            - Buonasera, Federigo. « Ero venuta solo per una notte ».

Federigo                        - La stessa voce... Ora puoi riaprire gli occhi. (Molto teneramente) Permetti che ti tocchi? (Olivia gli si abbandona tra le braccia) Non trovi che le carezze di un vegliardo sono un po' fuori stagione?

Olivia                            - (sorridendo) Eppure non eri un vegliardo, nel tuo sogno di ieri!

Federigo                        - Mi sento attratto dal tuo corpo come uno sposo che torna dalla sua donna dopo un lungo viaggio. Uno sposo che ha tante cose da raccontare.

Olivia                            - Io conosco tutte le tue gesta, amore mio. Colle tue imprese hai fatto abbastanza rumore per un secolo cosicché non ti si potrà dimenticare.

Federigo                        - E questo ti è spiaciuto?

Olivia                            - Anzi. Non avrei gradito che tu avessi tentato di fare la formica, di economizzare i giorni. Comunque, perché mi vuoi raccontare ciò che hai fatto? Sono stata dovunque con te. Ho camminato nella tua ombra, dietro di te. Il buon sonno al quale ti abbandonavi quand'eri stanco, era la mia mano fresca sulla tua fronte. E anche tra le donne, ti ho seguito.

Federigo                        - E me lo rimproveri?

Olivia                            - No. Perché erano loro, quelle che ingan­navi. Tu non facevi che ripetere ad esse ciò che avevi già detto a me.

Federigo                        - E tu, che cosa hai fatto tu, per tutti questi lunghi anni?

Olivia                            - Te l'ho già detto: non t'ho lasciato un sol giorno. Ero invisibile e assente per tutti, ma reale nella tua memoria e quasi, direi, nei tuoi gesti. Ero l'ombra che ti precedeva sulla strada assolata. Ero l'aria che tu respiravi, il paesaggio che i tuoi occhi ammiravano. Ci sono nella natura, nella luce, tra i grani di polvere di cui si diverte la luce, migliaia di morti che aspettano così i loro fidanzati, i viventi, che trascina,no la vita.

Federigo                        - (con un lungo sguardo) Non sei cam­biata.

Olivia                            - Grazie a te. Questo è il miracolo. Le persone che vivono insieme non si vedono invec­chiare. Questa è la grazia che è loro accordata. E anche a noi, è stata accordata anche a noi. Se il tuo spirito fosse invecchiato come il tuo corpo...

Federigo                        - (sorridendo) Ah! Tu ammetti che sono invecchiato.

Olivia                            - (anch'essa sorridendo) Adesso tu hai l'apparenza della gloria, hai un'aria da medaglia. Anche questo è molto seducente. Se il tuo spirito invece avesse perduto i suoi contorni, io sarei diven­tata rugosa, i miei capelli si sarebbero fatti bianchi. Ma tu mi hai voluta intatta ed è perciò che mi hai conservata intatta.

Federigo                        - (intensamente) È vero, io ho cercato solo te attraverso tutto. Quando tu sei entrata, io ho sentito il desiderio di farti pagare questa osses­sione ed è per questo che l'ho negata. Ma ora è inu­tile negarla più a lungo. Il nostro amore ha trovato la sua forza e la sua ragione d'essere... Tu sei stata la mia maledizione e la mia forza....

Olivia                            - La tua maledizione?

Federigo                        - La mia forza!  Questo secolo di tumulto, il mio secolo di tumulto e di agitazione è stato il mio secolo di più sconsolata solitudine. Il mondo appar­tiene soltanto a quelli che sono in due. Se l'universo è un luogo di passaggio, una camera d'albergo non gli è necessario molto per dargli un'aria d'eternità.

Olivia                            - Infatti gli basta la banalità d'un amore.

Federigo                        - L'uomo è completo in ciò che ama. La sua saggezza consiste solamente nella separazione dell'opera dell'uomo dalla fortuna dell'uomo. Gli ambiziosi e i volubili sono in fondo simili. Questo è il loro dramma.

Olivia                            - Dal momento che tu questa differenza l'hai saputa operare non si può dire che tu abbia vissuto per nulla.

Federigo                        - (improvvisamente grave) Io parlo della fortuna in generale. Noi, ahimè, noi siamo un caso particolare. Io non avrei vissuto per niente se con­servassi la mia fortuna oltre la morte. Ora, tu mi puoi dire se ti conserverò?

Olivia                            - (tristemente) No, questa è una cosa che sì sa soltanto « dopo ». (Pausa).

Federigo                        - È vero, l'ora passa.

Olivia                            - Sì, passa.

Federigo                        - E nulla stornerà la minaccia dal nostro capo.

Olivia                            - Nulla.

Federigo                        - (indietreggiando) L'avevo quasi dimen­ticato.

Olivia                            - Anch'io.

Federigo                        - Tanto peggio se tu ti vergogni della mia debolezza! Ma io non mi posso abituare al pen­siero che, tra un'ora, sarà risolto il piccolo problema che io sono stato. (Con maggior violenza) Comunque, perché non è dato a noialtri moribondi il diritto di restar lucidi fino alla fine?

 

Olivia                            - Non ti porre domande.

Federigo                        - (c. s.) Le domande... Non piacciono all'Eterno, le domande! E perché, perché si crede l'unico signore delle domande?...

Olivia                            - Non t'arrabbiare.

Federigo                        - Mi preferiresti rassegnato?

Olivia                            - No. Staccato da quella che non è la nostra questione futura. L'unica questione. (Una pausa).

Federigo                        - Ah, che aria stanca hai di colpo.

Olivia                            - Io sono il tuo specchio: ti rifletto.

Federigo                        - Se tu sei il mio specchio, dammi coraggio.

Olivia                            - Non mento. Non prendo l'apparenza di quello che non è.

Federigo                        - (dolorosamente) È vero! Credo di aver paura. Paura come un giovane guerriero che incontra la morte alla sua prima battaglia. A che serve l'esperienza? Ah! ancora un momento...

Olivia                            - Un momento. (Silenzio. Federigo si guarda attorno. Gli occhi gli cadono su uno sgabello).

Federigo                        - Siediti là... Ti ricordi la sera d'in­verno davanti al fuoco?...

Olivia                            - Sì. (Va a sedersi. Federigo sorride) Markus non osava sparecchiare per timore di disturbarci. Tu ti sdraiavi ai miei piedi. Qualche volta si facevano dei lunghi silenzi... Poi, tu dicevi: « Queste fiamme son calde sulla mia guancia come se fosse la tua guancia ».

Federigo                        - Stai bene, seduta lì?

Olivia                            - Sì.

Federigo                        - Tanto meglio. Perché, mia cara Olivia, forse ci rimarrai seduta qualche anno; sul tuo sgabello.

Olivia                            - (facendo vani sforzi per alzarsi) Baro... (La si sente afflitta e astiosa) La viltà ch'era la tua scusa nell'età virile è più spaventosa nella vecchiaia.

Federigo                        - (senz'ardore) Ho altre scuse. Un'altra scusa, oltre la mia viltà, morale. Lo spirito in me non ha più paura della morte. Ma è la carne che si rivolta.

Olivia                            - E tu non sai mettere ordine in quelle foreste di nervi, in quei cespugli di vene! Valeva proprio la pena di leggere tanti libri, di dominare il tempo, di disprezzare gli uomini.

Federigo                        - Quando il saggio ha la bocca piena di terra, la sua voce non ha più risonanza di quella del contadino, del bambino che sono suoi vicini al cimitero.

Olivia                            - Tu che dicevi : « Credo di aver vissuto troppo! ».

Federigo                        - Appunto, io ho detto: «Credo!»

Olivia                            - (dopo una pausa) Così, non vuoi che mi alzi?

Federigo                        - (esitando) No.

Olivia                            - Non ne sei molto sicuro.

Federigo                        - Sì, invece.

Olivia                            - Ebbene, dovrò abituarmici.

Federigo                        - A rimanere dove sei?

Olivia                            - Non t'aspetterai da me un dono supple­mentare di vita libera, suppongo. Il tuo cuore non desidera più nulla. Io non posso desiderare altra cosa che il tuo desiderio. Non è vero che tu non desideri più nulla?

Federigo                        - Lasciami il tempo di pensarci.

Olivia                            - Non troverai. Sei più scarnito dei morti. Anche i morti senz'onore hanno una speranza inco­sciente nascosta nella loro cenere; quella di giungere a una rinascita, di rivedere la luce attraverso un al­bero, attraverso un'erba.

Federigo                        - Rimarrai lì.

Olivia                            - Non sembra che ti faccia piacere. Mi conserverai. Vedi che ho il braccio abbastanza lungo da arrivare al fuoco. D'inverno ravviverò i tizzoni perché le fiamme riscaldino le tue vecchie ossa, ria­nimino i tuoi vecchi racconti. E poi sorveglierò il desinare che sta cuocendo. Sarò la tua donna di servizio.

Federigo                        - Ah, questo no!

Olivia                            - La cosa peggiore in tutto ciò è che per­diamo la nostra ultima occasione. Se il Santo Ufficio ti dimentica, noi invecchieremo insieme.

Federigo                        - (con un grido) Non voglio che tu cambi!

Olivia                            - Io sono vivente per te. Tu invecchierai. Perderai la vista, la memoria. E perderai il gusto di crearmi, di sostenermi nel mio splendore e nella mia giovinezza. Io che nascevo da te, per forza mi dissolverò, anche se tu continui a vivere.

Federigo                        - Non ti rivedrò più? Non ti sentirò più?

Olivia                            - Ogni giorno un po' meno. E poi svanirò definitivamente, quando tu avrai perduto anche il ricordo di me. Non avremo una morte comune. Ci sarà il morto Federigo. Ci sarà la morta Olivia. Cia­scuno per conto suo. Separati.

Federigo                        - Così finirà questa grande, questa esemplare passione? E dici che saremo separati per sempre?

Olivia                            - Per forza. (Pausa).

Federigo                        - Allora alzati.

Olivia                            - Hai scelto?

Federigo                        - Olivia, uccello mio, ora vengo, lo spazio .d'un secondo, di ritrovare tutto lo slancio forsennato d'un tempo, quand'ero solo un giocatore. Non so se ti vincerò o ti perderò. Gioco per il gioco: alzati. (Olivia si alza. Intanto Federigo prende da un cofano il sacco delle anime). Ed ora che ci portino dove dobbiamo andare.

Olivia                            - Guardami. Guarda il tuo specchio. Non c'è più inquietudine, perché il tuo viso ora è tutto placato.

Federigo                        - Mi rimane solo la curiosità. Da dove arriverà, la cosa? La casa crollerà e ci seppellirà? Il vento che sta soffiando ci sradicherà come alberi da terra? (Pausa) Niente, niente.

Olivia                            - Forse la cosa comincia con il silenzio. (Pausa).

Federigo                        - È lungo. Ah, mi pare di sentir galop­pare sul sentiero!

Olivia                            - Non sento nulla.

Federigo                        - È nella vita o nella morte che qual­cuno galoppa! Non vorrei che i miei sensi prece­dessero i tuoi. Vado a vedere. (Apre la porta) È la spia, con altra gente. Arrivano ben tardi per arrestarmi.

 

Olivia                            - È troppo tardi? (Entrano Soderini, un monaco e due soldati).

Il Monaco                     - Non c'è nessuno!

Soderini                        - Nessuno?

Il Monaco                     - Lo vedete.

Soderini                        - Si sarà nascosto. (Ai soldati) Cerchiamo in casa. (I soldati passano davanti a Federigo e a Olivia senza vederli. Si allontanano uno in cucina e l'altro in camera. Soderini si avvicina al laboratorio e il monaco alle armi).

Il Monaco                     - Sacrilego! Un pugnale nel Cristo!

Soderini                        - E guardate questo libro con le sara­bande dei dèmoni!

Il Monaco                     - Tuttavia dovremmo trovare altri capi d'accusa. I nostri processi sono seri. (Sfogliano febbrilmente).

Federigo                        - (dapprima a voce molto bassa) Non ci vedono. Forse sogno... Parlami.

Feivia                            - Non ci vedono.

Olderigo                        - (alzando la voce) Non ci sentono.

Feivia                            - Non ci sentono.

Olderigo                        - (sordamente) Forse che noi saremo?...

Feivia                            - Ma certo, amore mio.

Olderigo                        - Ah!

Il Monaco                     - Come è quel Federigo?

Soderini                        - (con aria d'importanza) Ho avuto il mio daffare a cucinarmelo.

Il Monaco                     - Dicono che è arrogante.

Soderini                        - Arrogante. E sembra che disprezzi la vita.

Il Monaco                     - L'arroganza è proprio questo.

Il primo Soldato            - (rientrando) Non trovo niente. Ho scaraventato tutto in aria fino alle soffitta.

Il Monaco                     - La sua stessa fuga è una confessione.

Soderini                        - Non l'avevate mai visto?

Il Monaco                     - Mai.

Il primo Soldato            - lo l'ho visto una volta in combattimento. Caricava, calpestava tutto. Era un buon generale, a quel che mi hanno detto.

Soderini                        - Nessuno ti chiede niente. Cosa vuoi saperne, tu, di buoni o di cattivi generali?

Il primo Soldato            - I buoni generali sono quelli che...

Il Monaco                     - ...che ti permettono di saccheggiare? Via, sta' zitto.

Il secondo Soldato        - Ho cercato in cucina.

Soderini                        - Hai trovato qualcosa?

Il Secondo Soldato       - Niente. (Entra un uffi­ciale di corsa).

L'Ufficiale                    - Non cercate più. L'hanno trovato.

Soderini                        - Dove?

L'Ufficiale                    - È morto.

Il Monaco                     - Morto!

Soderini                        - Dov'era?

L'Ufficiale                    - Nel fondo della stretta di Fantino.

Federigo                        - Proprio là dove avrei già dovuto morire altra volta... Il destino ha buona memoria.

Il Monaco                     - Chi è andato a cercarlo laggiù?

L'Ufficiale                    - Crediamo che avesse cercato di fuggire. Probabilmente è scivolato sul bordo del sentiero.

Il primo Soldato            - L'avete visto, signor luogotenente?

L'Ufficiale                    - Sì.

Il Monaco                     - Com'era?

L'Ufficiale                    - Non del tutto sfigurato. Aveva un hel volto rappacificato. Un volto che forse non avremo noi, quando verrà la nostra volta... Ora lo si riporterà qui.

Il Monaco                     - (a Soderini) Sentite, questo morto mette fine all'inchiesta. E di quest'inchiesta sarà meglio non far più parola. È anche del tutto inutile che si venga a sapere che il signor Federigo è stato sospettato. Il popolo ha bisogno di morti intatti: ama sfilare dinanzi a onorevoli spoglie.

Soderinì                        - In fondo, questo generale ha vinto le sue battaglie ed ha servito la causa dei suoi principi.

Il Monaco                     - Bisogna dimenticare la sua vita tenebrosa. Andiamo a vederlo.

Il primo Soldato            - Avremo il diritto di presen­targli le armi?

Soderinì                        - Si capisce... imbecille. (Escono).

Federigo                        - Mi sarebbe piaciuto vedermi nel fondo della stretta di Fantino.

Olivia                            - Perché? Il nostro viso è ormai immu­tabile.

Federigo                        - Al contrario: sta cambiando, invece, sta per assumere i tratti che gli uomini vogliono come nostri.

Olivia                            - Hai ragione. D'ora in poi noi vivremo del bisogno di bellezza ch'è nei vivi, del loro umore. Il nostro volto umano non ci appartiene più.

Federigo                        - Questa è l'ultima delle nostre oscil­lazioni. L'equilibrio dell'eternità. Da una parte la solitudine, dall'altra l'adorabile fusione. In questo stesso istante gli uomini si chinano sui miei occhi chiusi. Immaginano che i tratti del viso si fissino intensamente sul nulla. Non possono sapere che non son giunto alla mia prima inquietudine ma all'ultima. Resterai con me, Olivia?

Olivia                            - (che a poco a poco, fino alla fine, riprenderà un aspetto naturale di donna) Sarà difficile. Dovremo essere giudicati.

Federigo                        - Ma tu no. Tu non hai commesso alcuna colpa.

Olivia                            - Come lo puoi sapere, tu?

Federigo                        - Tu sei stata una felice creatura vivente: un sol uomo, un amore solo... Io sarò giudi­cato. E, a quel tribunale, sarà perfettamente inutile fare il retore. Io ho ucciso, ho incendiato, ho taglieg­giato i deboli. Non ci sono attenuanti per questi delitti.

Olivia                            - Dirai che ti sei comportato come tutti gli uomini in guerra.

Federigo                        - No. Dirò: mi è stato dato il modo di prolungare la vita. Forse si voleva sapere se l'uo­mo che beneficia d'un supplemento di vita giunge alla nausea della vita, si voleva sapere se la vita nell'uomo che ne è il locatario finisce per dissolversi da sola. E di questa vita disciolta, resta qualche cosa; la sua essenza, questa essenza senza fine profumata ch'è l'amore. L'amore filtra oltre la vita stessa. Si abbarbica agli alberi, corre ai ruscelli. Perché è il prolungamento di noi medesimi.

Olivia                            - Non basta. Tu ragioni come un uomo che sia ancora in terra.

Federigo                        - Allora, tenterò un'altra difesa. Ascolta, Olivia. Ho in questo sacco alcune anime che ho strappato al - demonio. Questa è una cosa che conta, credo; dimostrerà che, almeno una volta, ho cercato di riscattare la mia coscienza a dispetto della mia anima stessa.

Olivia                            - Ho paura, adesso.

Federigo                        - Paura di che cosa? Non siamo più fra i vivi. Non abbiamo più l'angoscia dell'ignoto.

Olivia                            - Non so abbandonare quella forma d'amore che mi legava al tuo calore di uomo. Non so entrare rapida come te nella mia apparenza d'eternità.

Federigo                        - Ecco: e io amo questa tua debolezza. Preferisco che tu sia debole: questo m'insegna che io debbo essere forte, che debbo infine riprendere davanti a te la mia parte d'uomo.

Olivia                            - Io sono la tua donna, la tua carne... E mi si strapperà da te! No... no...

Federigo                        - E io dirò: Signore del Mondo, avanti a voi non sono che un uomo e una donna, il maschio e la femmina di tutte le specie, così com'è fra le for­miche, fra i pesci, uniti nel volo, nel nuoto, nel lavorìo più segreto; uomo e donna spogli dei loro orpelli di piacere e di possesso.

Olivia                            - Ma... e se non avrai risposta?

Federigo                        - Ah! Ora sei tu che dubiti.

Olivia                            - Se sarà silenzio, notte, oblio?...

Federigo                        - Nel silenzio, in questo silenzio dove i cuori stessi non osano più battere, noi siamo l'al­leanza più umile e patetica: la voce dell'uomo e della donna che parlano dell'amore. In questa notte, noi siamo l'evidenza più banale e irriducibile: la luce dell'amore. In quest'oblio, siamo l'arma più infan­tile ed efficace: la memoria dell'amore.

Olivia                            - Prendimi la mano.

Federigo                        - Trema, la tua mano.

Olivia                            - Ho paura. Ma bisogna tentare di vin­cere la paura.

Federigo                        - La paura è vinta. La paura della tua mano non è più, nella mia mano, che un tremito moribondo. Iddio non ama coloro che tremano. Ama coloro che hanno fiducia nella calma delle loro mani unite... Il nostro amore è calmo. Dio non accoglie che la calma.

Olivia                            - Dio non accoglie che la calma...

Federigo                        - La calma, o che altro possa essere, sul mare a mezzanotte, nel cuore cupo dopo la collera, nel sangue dopo la corsa, è la presenza di Dio...

Olivia                            - La presenza di Dio...

Federigo                        - Vieni: credo che ora io conosco Dio meglio di te... Vieni... Sono io che ti debbo guidare. (Spinge dolcemente Olivia verso il fondo mentre cala la tela).

FINE