Fiducia

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FIDUCIA

Commedia in un atto

di GUIDO LOPEZ

PERSONAGGI

LILIANA

RENATO

LA MADRE DI LILIANA

UNA DONNA

Commedia formattata da

Tarda sera del maggio 1945, in un paese della Valtellina.

 (Una camera di contadini lombardi, arredata con vecchi mobili: due letti dì ferro, una tavola con un tappeto color incerto, tre o quattro seggiole di paglia, un lavabo con due brocche, una madia; al muro due oleografie di tramonti e ritratti grandi ovali di vecchi parenti. Nessuno specchio. Con­tro il muro un baule e due valige. Sulla tavola è acceso un lume, che lascia in ombra una parte della stanza, dov'è la porta che dà all'interno; una seconda porta, in luce, dà sulla scala di legno che scende in basso).

La Madre di Liliana      - (è una signora sui cinquant’anni, vestita di mezzo lutto, modestamente ma da cittadina. Sistema pane e verdura nella madia; mormora tra sé) Questo1 qui... Questa per do­mani...

Una voce di donna       - (.dalle scale) E' permesso?

La Madre                      - (ha finito di riporre, chiude la madia) Entri, entri. Buona sera.

La Donna                      - (è una contadina, sui trentacinque anni, bella ma sfiorita; ha con sé un cestino di uova) Buonasera. Oggi non l'ho veduta in paese.

La Madre                      - Già: ero un po' raffreddata, e con questo vento... Mai visto in maggio un vento si­mile.

La Donna                      - Oh, sì, due anni fa, nel quaranta­tre... o era nel quarantadue? Mah, non ricordo.

La Madre                      - Fa freddo, insomma. E se mi pren­de un malanno oggi, è un disastro: non c'è mezzo di curarsi, e in momenti come questi non è possi­bile restarsene a letto.

La Donna                      - Davvero eh! Che respiro! Un'altra aria. E non più quelle bestemmie in tedesco: « essen», «brot»... macché esseri e brot!... E il Co­lombo l'hanno messo dentro. Bene: se lo meri­tava. Dio perdona, ma noi... eh, no, dopo quello che ci ha fatto soffrire... Be', sono venuta a por­tarle un po' di uova.

La Madre                      - Oh, grazie! ma quante!

La Donna                      - (sorridendo) Le galline sono con­tente anche loro: ne depongono di più, da qualche giorno.

 La Madre                     - Io non so come ricompensarla.

La Donna                      - Ma si figuri! mio dovere. Voi vi meritereste di più: la sua figliola, così brava col mio Gigi... e non soltanto con lui... Lo sa che ì bambini adesso conoscono già tante poesie a me­moria? e leggono i giornali? E vale la pena, in que­sti giorni, di leggerli... La sua Liliana è una maga: ci ha trasformati tutti i nostri bambini. A scuola non volevano imparare niente; da lei invece... Le vogliono tutti bene, in paese.

La Madre                      - Troppo buona...

La Donna                      - Vorrei poterle dare più che queste poche uova, ma come si fa? Siamo così alle strette anche noi... E adesso sono arrivati anche i nostri ragazzi dalla Svizzera, ha visto?

La Madre                      - (turbata) Già, ho saputo.

La Donna                      - La panettiere, le è tornato il fi­gliolo. E' ringiovanita di dieci anni. Che vuole! Si aveva un bel pensare che loro non correvano pe­ricoli, e ringraziare Iddio che fossero lì... Ma al di là dai monti... non di tutti si avevano notizie... e così rare... E poi, noi, chi ci poteva dire che noi saremmo rimaste vive sino a rivederli? Infatti qualcuna non ha fatto in tempo a ritrovare il suo... Mah, bisogna aver fede, e credere che se li ritro­veranno in cielo. Ha parenti, lei, in Svizzera, che tornano 'giù?

La Madre                      - (sembra esitare) No, parenti nes­suno : mio marito è morto, e il mio figliolo maggio­re è nell'America del Sud.

La Donna                      - Ooh. E ne ha notizie?

La Madre                      - Non più, da tanto tempo: ma credo che stia bene.

La Donna                      - Certo meglio di noi... (Spiega) Di­co, come vita... ma avrà gran nostalgia della mam­ma, e del suo paese...

La Madre                      - Ah sì: non è stata una gioia dover attraversare l'oceano. E non soltanto perché ab­bandonava noi. Ma bisognava pur che vivesse: qui non ce lo volevano più...

La Donna                      - Tempi passati: adesso... Lei che in­tenzioni ha? Vuol tornare subito a Milano?

La Madre                      - (ha disposto le uova entro la madia, restituisce il cestino vuoto) Per ora no: che ci vado a fare? La casa non ce l'ho più; parenti nemmeno; gli amici... (Non termina) Mi sono abi­tuata a questa vita più semplice e più buona... E poi, soprattutto, la mia Liliana si è affezionata ai suoi scolaretti di qua, ai vostri bambini: ha trova­to qui la sua vita, la sua consolazione... Parlo pia­no, perché è di là che studia: prepara la laurea.

La Donna                      - Che tarava! Ma non potrà conti­nuare sempre in questa maniera, adoprandosi per nulla...

La Madre                      - Per nulla? Ma se siete qui ogni minuto a regalarci qualche cosa! E poi, la soddisfa­zione di rendersi utile... Quanto a me, io lavoro per noi due: cucinare, stirare, lavare... sto all'aria buona, mangio, dormo, sono tranquilla...

La Donna                      - Ma ne abbiamo passate, eh? Loro poi... scappare da Milano, per capitare proprio qui, dove...

La Madre                      - (interrompe) H destino.

La Donna                      - Signora mia, lei è troppo rassegna­ta: non si usa più di questi tempi. (Si pente di quanto ha detto) Scherzo, eh... dico... fossero tutti come voi... (E' impacciata, conclude) Be', ora vi lascio. Se no mio marito dice: «Ma dove è andata la mia donna? ». (Sorride) E' geloso, sa, mio ma­rito.

La Madre                      - Vada, vada. E ancora mille ringra­ziamenti.

La Donna                      - Non c'è di che. Buona sera. (Esce dalla comune; l'altro uscio si socchiude).

Liliana                           - (si affaccia nell'ombra) Chi era?

La Madre                      - La mamma di Gigi: ha portato sei uova. E prima è venuta la Matilde con un po' di pane e verdure. Ce ne abbiamo per tre giorni.

Liliana                           - Ecco, lo vedi? Le mie lezioni comin­ciano a dar frutto: i bimbi imparano, le madri re­galano... (Si è fatta sull'uscio, ma resta e resterà nell'ombra) E tu dunque dici che mi riprendono alle scuole, quando le riaprono?

La Madre                      - Perché no? I titoli ce li hai... anzi, in sovrappiù.

Liliana                           - Ma bisogna fare i concorsi, e poi ti assegnano dove voglion loro...

La Madre                      - Ti prenderanno come supplente... non so... Vedrai, il Sindaco sistemerà la faccenda. Mi spiace però vederti seppellita in questo pae­sino...

Liliana                           - E' tranquillo: ci studio, mi rendo utile, mi distraggo; ormai qui mi conoscono e non mi... Capisci? Se prenderò la laurea, allora poi vedremo... (D'improvviso, nervosa) Ma oh, che ore sono?

La Madre                      - Le otto.

Liliana                           - Di già? Oh, Dio mio... Renato arriva con questo treno, non è vero?

La Madre                      - Mi pare, sì.

Liliana                           - Sì, sì, alle otto e un quarto. Ma io credevo che fossero, non so... le sei...

La Madre                      - Ma come! Se abbiamo già man­giato!

Liliana                           - E' vero: sono così turbata... Ho de­ciso, sai? Non mi faccio trovare.

La Madre                      - E invece non è meglio che tu lo veda, gli parli, lo convinca? Se non ti trova...

Liliana                           - Ma che vuoi che gli dica? Farmi ve­dere così, perché lui, di fronte a me... Ah no, que­sto no, me lo voglio risparmiare. E poi, mi doman­do, perché torna? Gli scrissi quella lettera tre mesi fa in Svizzera... Perché non si è rassegnato? Che cosa vuole ancora? Accoglilo tu, spiegagli tu, fallo andare via senza che mi veda.

La Madre                      - Ma che cosa gli debbo dire?

Liliana                           - La verità. Tanto, prima o poi... Ma altro è sentirla da te, altro è riconoscermela, così, a guardarmi. Oh, no, questo no!

La Madre                      - Debbo dirgli che hai ricevuto la sua cartolina da Milano, ma che non hai voluto vederlo, o fingere che tu non sapessi nulla?

Liliana                           - Fa' come ti sembra meglio, secondo quello che ti dice lui.

La Madre                      - Lilli mia, e se tu invece cercassi...

Liliana                           - ...di trattenerlo? No, no, ormai è tar­di: mi sono decisa così, debbo avere la forza di non cedere sino all'ultimo. Oh, mamma! (Le si butta tra le braccia, nasconde la testa sulla suoi spalla) Avrei voluto che non tornasse mai. Perché debbo sopportare anche questo? Non sono già ab­bastanza provata? Mamma, fa ch'io non lo veda, rimandalo via tu... (La madre la carezza sul capo, le accenna di sì, che farà tutto quel che la figlia vuole, la stringe a sé per placarla) Chi sa come è cambiato... Due anni... Partì due anni fa o poco meno, ricordi? Avevamo tanta fiducia, allora, di rivederci, quando è partito... Poi ho atteso questo momento del suo ritorno ora per ora, sera per sera... Mi spieghi, mamma, che cos'è questo af­fetto, questo... Ho vissuto pensando a lui, che mi è diventato più caro con la lontananza: distante, me lo sono ricostruito ancora più bello, togliendo­gli i difetti che io non gli vorrei... E poi, dopo..., tutto si è rovesciato: ed ho immaginato il giorno della sua possibile ricomparsa, con angoscia, con paura, cercando di tenerlo lontano anche nel pen­siero... Gli ho scritto quella lettera, non ho più risposto alle sue righe... E invece oggi è qui, viene qui... Fa' che non mi veda, mamma, aiutami tu.

La Madre                      - Sì, cara, stai tranquilla, gli parle­rò io, gli spiegherò io, va bene?

Liliana                           - E allora adesso io scendo giù in paese, vado dalla signora Matilde, o dalla Piera... purché non lo incontri... Ma poi tu mi racconti, eh? Tutto, tutto quel che ti dice. E convincilo tu che non mi deve rivedere, hai capito? Mi vorrà rivedere, no? In ogni modo? Se mi vuol bene dav­vero... E allora sì, lascialo insistere, lasciagli chie­dere dove sono... e poi tu mi racconti di lui, di quel che ha detto, di quello che vuol fare. Sai, mamma, io mi consolerò con tutto quanto mi dirai di lui. E poi lo dimenticherò, davvero. Anzi, fac­ciamo così: io resto nella stanza di là e ascolto. Ma non entro; e tu non gli dici che io sono lì... Ascolto, in silenzio, dietro la porta.

Una Voce                      - (dal basso delle scale) Signora! Signora! C'è un giovane che la cerca: lo faccio salire?

Liliana                           - Oh Dio, mamma, è qui, è già qui... Allora hai capito? Su, coraggio, mamma, muovi­gli incontro. (La sospinge innanzi, richiude la por­ta in ombra, dietro la quale è scomparsa).

La Madre                      - (si affaccia fuori dalla comune) Che salga, che salga.

Renato                          - (un giovane dai venti ai trent'anni: nul­la di ricercato nelle vestì. Compare sulla soglia) Signora... Signora... (Le va, incontro, la abbrac­cia) Sapesse che gioia, rivederla...

La Madre                      - Sei stato molto caro a ricordarti subito di noi.

Renaio                           - Non c'è stato bisogno di ricordare: non vi ho dimenticate mai. Oh, finalmente vedo la vostra stanza... Avevo tante volte cercato di immaginare la vostra vita, ma senza sapere nem­meno dove abitaste... Avete alloggiato qui sempre?

La Madre                      - Sì.

Renaio                           - Tutte e due? (E' una domanda in­certa: si sente che lui cerca di indovinare la pre­senza o l'assenza di Liliana, se c'è, se verrà a mo­menti, se se ne è andata, se sta bene; non osa chiedere, ha paura della risposta, aspetta che la madre glie ne parli).

La Madre                      - Tutte e due.

Renato                          - Lei dorme lì e...

La Madre                      - E Liliana lì. Esattamente. Non è una reggia, come tu vedi, ma si vive tranquille. Abbiamo anche due opere d'arte... (E indica sor­ridendo le due oleografie) .

Renato                          - E che facevate tutto il giorno?

La Madre                      - Si aspettava.

Renato                          - Già: proprio come noi: vivere per attendere, attendere per vivere.

La Madre                      - Ci avevano detto che tu eri sceso con i partigiani: siamo state molto in pena...

Renato                          - (turbato) Io? no. Avevo chiesto, un anno fa. Ma in quel momento andavano giù sol­tanto quelli che si erano già dedicati alla lotta prima di venire in Svizzera o i membri attivi dei diversi partiti. Io partito non ne avevo: in Italia, prima dell'armistizio, lei lo sa, non mi sono mai interessato a quelle cose: quasi non sapevo che esistessero. Ma lo abbiamo scontato tutti.

La Madre                      - Se davvero dipende da quello, ah sì! Ma siedi, siedi... Quando venivi da noi, prima, non c'era bisogno che te lo dicessi...

Renato                          - Sa, ora, dopo tanto tempo... bisogna the mi abitui un po' a voi... a lei, ecco.

La Madre                      - Di salute ti trovo bene. Un po' in­vecchiato...

Renato                          - Lo credo! Siamo entrati in Svizzera bambini, ora ne siamo usciti uomini: certe idee, certi pensieri opposti... Le assicuro, a volte non mi riconosco. Ma altre cose rimangono... Ah, quelle sì: certi sentimenti, gli affetti... Non è ve­ro? (Pausa di impaccio tra i due; poi Renato ri­prende il discorso interrotto) ...Sono di quelle cre­scite che lasciano disorientamenti, sproporzioni... Ma mi dica lei, mi racconti: della sua vita... della « vostra » vita... di loro, insomma.

La Madre -                    - C'è poco da raccontare: tu vedi, questa camera, due donne, e attorno un paese di campagna... E l'occupazione tedesca, i partigiani, i bombardamenti... Abbiamo avuto due bombarda­menti qui... (Ma riprende subito) Insomma, ci credi?, se ti dovessi raccontare quello che avven­ne, non so, ho dimenticato tutto, si accavalla tut­to. E voi, che facevate voi?

 Renato                         - Si lavorava nei campi. Guardi le mani... (e le porge con la palma aperta) Ma dal giorno della liberazione abbiamo smesso: non si riusciva più, tant'era l'impazienza di tornare. Ah, signora, bisogna aver provato l'esilio per capire la gioia del ritorno, dopo due anni: casa nostra, casa nostra...

La Madre                      - Papà e mamma stanno bene?

Renato                          - Bene. Li ho trovati meglio di quel che non temessi. Anche loro, come voi, nascosti per un anno sotto falso nome... Hanno avuto la fortuna di trovare amici che li hanno tenuti a casa loro tutto questo tempo... Bontà che sono più grandi di tutte le cattiverie.

La Madre                      - A mamma hai detto che venivi qua?

Renato                          - Naturalmente. Volevano trattenermi, ma io non potevo resistere. Avevo bisogno di ri­vedere subito... di ritrovarvi, ecco. Perciò vi scris­si che... Insomma, sapevate che io arrivavo?

La Madre                      - Sì.

Renato                          - Ah, ecco... Ma allora... (Si guarda attorno, esita).

La Madre                      - (pacata) Liliana non c'è.

Renato                          - Non sta più con lei?

La Madre                      - E' qui con me.

Renato                          - Allora ha ricevuto la mia...

La Madre                      - Sì.

Renato                          - (contenuto, ma aspro) E non ha vo­luto rivedermi?

La Madre                      - (sempre pacata) Ecco: ha prefe­rito.

Renato                          - (amaro) Ah, rottura completa. Si ri­sparmia anche l'impaccio d'un colloquio.

La Madre                      - (subito, rapida) Già nella lettera che tu ricevesti in Svizzera ti spiegava...

Renato                          - (interrompe, violento) No, affatto, non spiegava. (Più calmo) Mi ha detto che non si sen­tiva capace di aspettarmi sino all'ultimo, e null'altro: così, senza darmene un motivo. Perciò non le ho creduto. Allora le ho scritto, io, due, tre vol­te... Le ha ricevute, le mie lettere?

La Madre                      - Sì.

Renato                          - E non mi ha risposto; e oggi non si fa trovare: si nasconde, si sente in colpa; non ha il coraggio di affrontarmi... Come è cambiata! Non la riconosco più. Ma chi l'ha stregata così? (Vio­lento) Io voglio vederla, non mi muoverò di qui sin che non l'abbia vista. Voglio che mi dica la verità, che si umili, che si castighi.

Liliana                           - (la sua ombra si disegna sulla porta soc­chiusa, mentre mormora) Sono qui.

Renato                          - Liliana! (Le muove incontro, la ma­dre istintivamente si pone tra lui e la figliola).

Liliana                           - Sono qui, come tu dici, a castigarmi. Vediamo: castigarmi di che, perché ? C'era una pro­messa tra noi due?

Renato                          - Ah no? Tu la rinneghi? Tu rinneghi le ultime parole che ci dicemmo? Tu dimentichi... (Vuole farsi vicino a lei).

Liliana                           - (lo respinge con la voce e col gesto, im­periosa) Resta lì, non ti avvicinare, non guar­darmi.

 53

 GUIDO LOPEZ

 Renato                         - Che? hai paura?

Liliana                           - (è un singhiozzo soffocato, una corsa di lei che traversa la scena coi capo tra le mani, accasciandosi su una poltrona, in luce, dalla quale non si alzerà durante le parole di Renato; la ma­dre rimane nell'ombra, ascolta, muta, angosciata) Taci, taci.

Renato                          - No, ti voglio parlare. Perché tu sap­pia. Ero venuto per chiedere a te spiegazioni, che tu ti giustificassi... E invece adesso non voglio conoscere: forse è meglio. Ma tu no, tu devi sa­pere quello che ho sofferto.... Sono arrivato in Sviz­zera nell'ottobre, due anni fa: ci hanno portati quasi subito in Campo di raccolta: un Campo di donne, uomini, vecchi, bambini. Abitavamo in ba­racche di legno a due piani di cuccette, stipati, i bimbi in una baracca a parte, con le loro mamme. Mangiavamo poi tutti assieme fra il vociare delle donne, le grida dei piccini... Volti stanchi, smorti o accesi, col ricordo ancora della fuga recente e dei tedeschi che li erano andati a cercare di casa in casa... E io avevo l'immagine tua, dentro, che mi consolava e mi tormentava nello stesso tempo. Ma i giorni non passavano mai. La mattina ci si sve­gliava, ci si vestiva per il lavoro, ci si domandava : «A che pro anche questo giorno? ». Pure, io avevo uno scopo: rivederti. Ti scrivevo, ricevevo a volte lettere tue; mi ero appesa la tua fotografia sulla parete interna dell'armadietto, che quando l'aprivo tu mi sorridevi.

Liliana                           - Te la detti il giorno della partenza, ricordi?

Renato                          - non l’ha quasi sentita: parla ormai quasi più a se stesso che a lei sempre reclina; passeggia per la stanza, a volte torna alle spalle di Liliana o le va innanzi, ma sempre lo sguardo dì lei gli sfugge) Altri cercavano fuori gli svaghi, le avventure: tutti quei ragazzi di diciassette-di­ciannove anni che covano il fuoco di ragazze nelle vene; e anche altri, che sono stati di cento donne anche a casa loro. Io no, avevo te, e mi bastavi. Delle donne non me ne curavo... E ce n'erano delle graziose, che ti guardavano passare con un sor­riso tenero. Qualche volta prendeva la smania anche a me. Ma poi no, no, volevo restarti fedele. E' più cattivo tradire così, nella lontananza.

Liliana                           - Perché mi dici questo? vuoi dipingerti eroe?

Renato                          - No: voglio che tu sappia la verità, il brutto e il bello. Un giorno, anzi, la sera del ventotto settembre, un anno da che ti avevo la­sciata, ho ricevuto la tua lettera : « Caro Renato, è meglio che te lo dica sin d'ora, da lontano, perché ti sembri meno doloroso...». Eh, lo vedi?, l'ho imparata a memoria. L'ho letta, riletta... Non po­tevo credere, non potevo convincermi. Ho pensato a una tua finzione, a un tuo sacrificio inutile e umiliante per me che non credevi capace di amarti sino all'ultimo...

Liliana                           - Hai pensato a questo?

Renato                          - Sì: non potevo pensare altro che questo. Ma tu non rispondevi: mi sentii abbando­nato... E la guerra non finiva ancora, non si tornava mai. In me cresceva l'angoscia... In questo smar­rimento ho brancolato, ho cercato un appiglio, un conforto. Mi sono unito ai compagni, sono uscito con loro, la sera, per i paesi. Sono stato a ballare... Lì ho trovato una ragazza... Non bella, sai, nem­meno bella...

Liliana                           - (lo interrompe, amara) Renato!

Renato                          - Ho detto che raccontavo il bene e il male... Se no, tu non puoi capire: non puoi capire che tornassi al Campo come ubriaco e che mi na­scesse feroce un pensiero: tu non mi avevi risposto perché ... perché eri morta. Al Campo, la mattina dopo, alla radio seppi che avevano bombardato questo paese: è vero?

Liliana                           - E' vero: due volte.

Renato                          - Ecco: allora ho avuto la certezza che tu fossi morta. Non prima, ma forse proprio in quel momento: come se ti avessi uccisa io.

Liliana                           - Che dici!

Renato                          - Sì, sì... E allora io ti perdonavo qual­siasi cosa, e non credevo più che tu avessi fatto del male, no, non è possibile... ma ti vedevo morta, Uccisa, proprio in quel momento. Tu dici che sono pazzo? e chi di noi lassù, non lo è stato un poco, sbilanciato, strappato alla famiglia, in una vita come quella fra incertezze e paure? E dunque... Ci sono quelli che quando credono di aver commesso una colpa, si pentono e si rimettono in piedi. Vuol dire che, in un certo senso, già si perdonano. Io rio, no: per me c'era l'umiliazione di non aver fatto nulla, né prima né dopo... E poi mi pesava il rifugio: voi nel pericolo e io là, sicuro... E adesso quel nuovo pensiero di te, di te uccisa... Scusar­mi? no: si perde la stima di sé... la guerra ci uc­cide, anche se ci siamo salvati. Io mi sono buttato giù da non riconoscermi: a cercare altre donne, a... Bè, meglio che non dica. Mi sono lasciato ca­dere, per tornare in Italia come un detrito. (Pau­sa, poi, di schianto) Ecco, tu, come mi hai ridot­to: così. Che quando a Milano i miei mi hanno detto che tu eri ancora viva, ho voluto venire a vederti, a chiederti: «Perché , perché ?». E ancora ho una speranza, che tu possa dirmi « Sei ingiusto, non è come tu credi»... O che tutto sia come un sogno, e tu mi butti le braccia al collo e... (Si è chinato su di lei, che sempre ancora tiene il volto girato e chino, senza guardarlo) Ma perché non mi guardi? Guardami, guardami... Non hai coraggio di alzare la faccia verso di me? hai paura, adesso, dopo quanto ti ho detto, di vedermi sfigurato?

Liliana                           - (balza in piedi, si porta sotto la luce) Sfigurato tu? Io, io sì, sfigurata!

Renato                          - (ha un gesto di angoscia, e urla) Li­liana!

Liliana                           - Sei tanto infatuato, accecato dal tuo rancore e dai tuoi rimorsi che non hai saputo guar­darmi... Ecco, mi vedi, ora? vedi la mia faccia? de­vastata da uno scoppio, nel primo bombardamento. Mi hanno tolta l'ultima ricchezza che mi era rimasta: la purezza del viso. (Istintivamente si rifugia nell'ombra della stanza vuota: la madre è scom­parsa silenziosa) Perché era bello... Oggi che si è sfigurato, lo posso dire. E tu mi amavi per quello.

Renato                          - (te afferra) No, Liliana, non per quello.

Liliana                           - (scivola via) Ma sì, io non mi illudo: la prima cosa che vi prende, voi uomini di noi donne, è la nostra figura. Poi anche il resto: ma vi avvicinate a noi soltanto se Vi piacciamo; e quando abbiamo perso la bellezza, che cosa vi pos­siamo dare: l'intelligenza, la cultura? che ve ne fate? Io mi sono salvata per miracolo; ma era meglio che morissi, per ridurmi così. E quando, guarita, mi sono rivista in uno specchio, ho pen­sato che io non ti potevo, non ti dovevo aspettare con questo viso.

Renato                          - Non dire così.

Liliana                           - Sì, sì... E ti ho mandato quella let­tera di addio. Piangevo, piangevo, scrivendo. Poi, a poco a poco, mi sono consolata : o meglio, mi sono abituata al mio dolore. Sono voluta tornare qui nel pericolo, in un paese dove non ho le amiche e gli amici cui sarei di peso, ma ho attorno dei padri, delle madri, dei fratelli, la gente del paese che mi vuol bene. Perché io sono diventata la maestra dei bambini del villaggio, la maestra e la sorella maggiore... Tu dicevi che oggi più che mai è ne­cessario avere uno scopo? Ebbene, io qui l'ho ritro­vato, il mio scopo, fra questi bimbi ai quali insegno a leggere, a scrivere, a vivere. Qui mi sono rico­struita, in questa stanza povera e buona come me: ne ho ricevuto consolazione e aiuto... Ne avevo tanto bisogno, quando dovevo rinunciare al tuo.

Renato                          - (adesso l'ha raggiunta nell'ombra, e la prende fra le braccia) Perché , Lilli, perché ?

Liliana                           - Lasciami, non aver pena di me.

Renato                          - Amore, amore, non pena. Io vorrei... Non so... Ti ho detto tante cose cattive... Mi devi perdonare... Tu vedi, è stato tutto perché ti voglio troppo bene. Sei tu, sei quella che ho lasciato e pen­sato sempre...

Liliana                           - No, non più quella. Lasciami, ti sarei di peso.

Renato                          - No, no.

Liliana                           - Sì, Renato... Renato, perché sei ve­nuto ancora? perché hai voluto sapere, vedere?... Gli altri, mi vedano pure così, ma tu no, tu no, non volevo: è una umiliazione, un pudore che si vergogna... Ma poi, a sentire la tua voce dall'altra stanza, dopo tanto tempo che non la risentivo e l'avevo cercata, in questi mesi, la tua voce che è un po' come la mia bellezza... - la vostra voce di voi uomini come la nostra bellezza... non ho resi­stito. Ed eccomi qui. Come ho fatto male! ti avevo scritto un addio per lettera, che nel pianto mi ave­va consolata, e adesso...

Renato                          - Adesso sei con me, di nuovo.

Liliana                           - Lasciami, lasciami.

Renato                          - Dopo tutto quello che ti ho raccon­tato delle mie speranze, della mia caduta, per te, per te, tu credi che io possa avere paura del tuo viso rovinato?

Liliana                           - La mia bellezza non torna.

Renato                          - (è gioioso, radioso quasi) Ha sì! è già tornata! - Tu stessa hai detto che non ti ho saputo guardare... E' vero, io non ti guardo, non ti vedo come tu sei; ti amo, ti amo come ti sento parlare.

Liliana                           - Non puoi chiudere gli occhi, sempre.

Renato                          - (è sicuro ormai di averla convinta, è lie­to, ormai) Li apro: e tu mi sei bella lo stesso... Ti sono stato lontano nel giorno della tua disgrazia? Ti sarò vicino da oggi, per sempre. Vieni, vieni alla luce, non aver paura, vieni. (L'ha condotta al centro della scena, le solleva il viso) Ecco-, io ti rivedo come eri prima che ci lasciassimo; più luminosa per il sacrificio. (E infatti il viso di lei appare bellissimo e pieno di lacrime: due sfregi su una guancia le danno un senso di forza e di grandezza segnandole gli occhi luminosi).

Liliana                           - (violenta) Anche tu hai il culto del sacrificio? ma il sacrificio è una necessità, non una gloria. (Persuasiva, tenera) Tu adesso non mi guardi con gli occhi, e a poco a poco mi ritrove­rai come sono. Mi ami perché ti faccio pena.

Renato                          - (le afferra le mani, la stringe a sé) Li­liana, accettami, prendimi così, credimi... Non mi credi più, dopo quel che ti ho detto... non puoi avere fiducia in me perché io in te non l'ho avuta... Ma sei stata tu che sembravi avermi - abbandonato e respinto... Ora ti ritrovo, ci siamo ritrovati... Cre­dimi, credimi...

Liliana                           - (con uno sforzo si stacca da lui, negando col capo; è recisa nel gesto e nel tono) No: non posso... Non voglio... Perché tu ora mi tenti... Ho paura. Tu vuoi che io torni a sperare... Perché tu non c'eri, non sai, ma io avevo sperato. Non era facile rassegnarsi. Non vedi che non c'è più uno specchio in questa stanza? Via! Via! non mi vole­vo più vedere. E anche tu, la tua pietà è come que­gli specchi. Via! via!

Renato                          - (sbalordito da questa improvvisa vio­lenza di lei) Ah, così? (Un attimo indugia, af­franto; poi, rapido) Me ne vado (E si avvia).

Liliana                           - (subito ansiosa) Dove vai?

Renato                          - Non te ne occupare. Vado dove tu non vorresti.

Liliana                           - (ha un grido, lo ferma con la voce che lui è già sull'uscio) No, questo no... Aspetta... (Si avvicina a Renato lentamente e lui a sua volta le viene incontro, adagio) Ora ho capito... Io ferita nel viso, ma tu... tu, dentro. Sì... è vero... Se ti guarisco, son guarita... Sì... Sì... Anche tu hai bi­sogno di me... Ho fiducia. Ti credo. (E lo stringe a sé in un abbraccio).

FINE