FILOSOFIA ED AMORE
Carlo Goldoni
Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo P. A., da rappresentarsi nel Teatro Giustinian di
S. Moisè il Carnovale dell'Anno .
PERSONAGGI
PARTI SERIE
CLORIDEA schiava di Xanto.
La Sig. GiuseppaBigiogera. LEONZIO scolaro di Xanto.
La Sig. Perin Corani.
PARTI BUFFE
XANTO filosofo.
Il Sig. Pietro Bigiogero. MENALIPPE sua moglie.
La Sig. Serafina Penni. RAPA ortolano.
Il Sig. Domenica Occhiluppo. CORINA serva di Menalippe.
La Sig. Francesca Mucci. MERLINA schiava.
La Sig. Teresa Tiocchi. ESOPO schiavo.
La Scena si rappresenta in Samo. |
Il Sig. Pietro Leonardi.
La Musica e del Sig. Florian Gazman.
BALLERINI
Il Sig. Giuseppe Forti. La Sig. Giacomina Bonomi.
Il Sig. Vincenzo Galleotti, La
Sig. Giuditta Pasqualini.
Il Sig. Francesco Marinelli. La Sig. Angela Badj.
Il Sig. Giovanni Marchesini La Sig. Agata Ventre.
Il Sig. Matteo Forti. La Sig. Marianna Ciriati.
Li Balli sono d'invenzione e direzione del Sig. Giuseppe Forti.
MUTAZIONI DI SCENE
ATTO PRIMO Giardino. Camera.
Per il Primo Ballo. Campagna con padiglioni.
ATTO SECONDO Camera. Cortile.
Per il Secondo Ballo. Campagna aperta.
ATTO TERZO Camera. Sala.
Le suddette Scene sono d'invenzione e direzione del Sig. Girolamo Mauro.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Giardino.
Cloridea, Leonzio, poi Menalippe
CLOR. LEON. MEN. |
Dolce amor, te solo invoco
Testimon del nostro foco.
} adue Opratu,chenoninvano
Questo cuore e questa mano Pegno sia di vera fé. Bravo, bravo! brava, brava! Lo scolaro colla schiava Si diverte? Così è; Ma l'avrete a far con me.
Mi rallegro con voi di tutto cuore.
Che giovani garbati!
Son ambi innamorati;
E s'unirian, senz'altro testimonio,
La
schiava e lo scolaro in matrimonio.
CLOR. Menalippe,
pietà.
LEON. Pietà, signora.
MEN. Me la chiedete ancora?
No, che pietà non c'è.
Disgraziati, l'avrete a far con me.
Una schiava comprata
A denari contanti (a Cloridea), uno scolaro
Del filosofo Xanto (a Leonzio)
Ardiscono cotanto? Io, di Xanto la sposa,
Comando a tutti due,
Con quel poter che ho dallo sposo mio.
Che andiate tosto.
CLOR. V'obbedisco. Addio. (a Leonzio)
Parto per obbedirvi. (a Menalippe) Resta con te il mio cor. (a Leonzio) (Tu mi proteggi, Amor, Nume sovrano).
Meco non siate austera. (a Menalippe) Caro, non mi lasciar. (a Leonzio) (Ch'io non lo voglia amar Si spera invano). (da sé, e parte)
SCENA SECONDA
Menalippe e Leonzio
LEON. Vado anch'io, mia signora.
MEN. No, fermate.
Dunque così studiate?
Mentre fuor di paese è il precettore,
State
voi colla schiava a far l'amore?
LEON. Veramente confesso
Che
amar non mi dispiace...
MEN. Una più degna face
Arder vi veggo in petto,
E pietosa m'avrete al vostro affetto.
LEON. Cloridea non è vile.
MEN. È una mia schiava.
LEON. È ver, ma i suoi natali
Sono incogniti ancora;
E quel che in lei si vede,
Che
sia nobile nata a noi fa fede.
MEN. Costei, qualunque siasi,
Da noi la scaccierò.
Voi
l'adorate, ed io la venderò.
LEON. Ma perché mai?
MEN. Perché...
Il perché lo so io.
Vecchio è lo sposo mio;
E poi la fé gli ho data,
Ma non son maritata. Egli potrebbe
Pentirsi, abbandonarmi,
O morire e lasciarmi.
Quando sola restassi...
E s'io giungessi a questo passo amaro...
Consolarmi
potrebbe un suo scolaro.
LEON. Cose
lontane troppo
Voi ravvolgete in mente...
MEN. È ver, ma quando
Lo volesse il destin, dite, Leonzio,
SCENA TERZA Menalippe, poi Corina MEN. Stanca son di soffrire Un amante noioso, Filosofo, seccante e fastidioso; E se volesse il fato Trarmi una volta da cotanti guai, Questo scolar mi piacerebbe assai. Perciò di questa schiava, Che nel seno di lui destato ha il foco, |
L'affetto mio non gradireste allora?
LEON. Lungi siam noi; non vi rispondo
ancora. (parte)
Nemica
son per gelosia non poco.
COR. Oh, signora padrona,
Buone nuove.
MEN. Che c'è?
COR. Torna il padrone.
MEN. Non me n'importa un fico:
Quando
torna, per me torna un intrico.
COR. Ha comprato di nuovo
Un'altra
schiava ed uno schiavo ancora.
MEN. Lo schiavo è bello almen?
COR. Non l'ho veduto,
Ma vuò sperare che bellino ei sia,
E
che mi tenga buona compagnia.
MEN. Bada ben; s'è vezzoso,
Tu non l'hai da mirar.
COR. Oh, bella affé!
Tutto, tutto per voi, niente per me?
Lo scolar non vi basta?
MEN. E tu non sei
Di
Rapa giardinier tenera amante?
COR. È ver, l'amo costante;
Ma se procuro anch'io d'averne un paro,
Dalla
padrona a regolarmi imparo.
MEN. Basta... basta... vien Xanto.
SCENA QUARTA Xanto e dette. XAN. Si chiama e si richiama, Ed alcun non si vede. XAN. Vorrei che foste dove nasce il dì. MEN. E voi, senz'altre fole, Vorrei
che andaste dove muore il sole. Così
lontani vivereste in pace. Così la cara sposa, Da me fatta padrona in queste soglie, Mi viene
incontro, ed il suo sposo accoglie? Come
presto è passato! MEN. Oh! ben tornato. COR. Dopo che per tre giorni Stati siete lontani, Via,
di buon cor, toccatevi le mani. |
Il mio tormento or viene.
COR. (Oh, questi due si vogliono il
gran bene!) (da sé)
XAN. No, non importa.
MEN. Già ci vogliamo ben senz'altri fatti.
COR. Che maniera gentil! Che amor da gatti!
XAN. Ho comprato uno schiavo ed una schiava.
MEN. Lo schiavo è bello almeno?
XAN. Anzi è bellissimo.
Il gusto esquisitissimo
Di lei mi è noto, a belle cose avvezza; (ironico)
Ho
comprato un Narciso, una bellezza.
MEN. (Son curiosa davver). Dov'è?
XAN. Corina,
Presto, dite allo schiavo
Che, senza altra dimora,
Venga
a baciar la mano alla signora.
COR. Dov'è?
XAN. L'ordine mio
Fuor nella sala aspetta.
COR. Glielo dirò; corro a chiamarlo
in fretta. (va per partire, poi torna)
Ehi, signore, una parola. (a Xanto) (La padrona... non vorrei... Tutti i schiavi vuol per lei... Non mi state a palesar). (piano a Xanto) (Gli dicevo della schiava Che Leonzio vuol amar). (piano a Menalippe) (La signora è innamorata Del scolaro, ed or vorria Collo schiavo amoreggiar). (piano a Xanto) Questi amori, miei signori, Voi dovete rimediar. (forte) (Non mi state a palesar). (piano a Xanto, indi parte)
SCENA QUINTA Xanto e Menalippe
XAN. (Di Leonzio scolaro
Menalippe
graziosa è innamorata?) (da sé)
MEN. (Ho
piacer che Corina
A Xanto abbia svelato
Leonzio
della schiava innamorato). (da sé)
XAN. Dunque
lo scolaretto
Le
sue fiamme coltiva in questo tetto? (a Menalippe)
MEN. Non
avete sentito?
XAN. Sì, ho sentito.
E
voi lo confermate?
MEN. Ho piacer lo sappiate.
XAN. Anche di più?
MEN. Se poco è quel che fu,
Potete preveder quel
che sarà.
XAN. Brava, signora sposa, in verità!
Son filosofo, è vero;
Non mi prendo pensiero
Di certe coserelle,
Ma
queste poi mi toccano la pelle.
MEN. Chi è colui che ora viene?
XAN. Lo schiavo che ho comprato.
MEN. Quel mostro sciagurato
Soffrir
deggio vedere a me vicino?
XAN. Eh sì sì; lo scolaro è più bellino.
MEN. (Diamine! non vorrei...) Che importa a me
Che Leonzio sia bello,
S'egli ama Cloridea?
XAN. (Quanto si scusa più, più si fa
rea). (da sé)
SCENA SESTA
Esopo e detti.
XAN. Vieni, Esopo, t'avanza.
ESO. Eccomi qui, signore.
Ma fatemi un favore,
Questa donna chi è?
MEN. Brutto villano,
Questa donna si dice a una mia pari?
Son di Xanto la sposa, e voi, signore, (a Xanto)
O cacciatelo via,
O ch'io lo fo saltar con un bastone.
ESO. Presto, signor padrone,
Cacciate via uno schiavo
Vile, come son io, brutto e meschino;
La padrona ne vuole un più bellino.
E sapete il perché? Lo dirò io.
Perché, padrone mio,
Vogliono certe tali
Che supplisca talvolta al loro umore,
Dove
manca il padrone, il servitore.
XAN. Bravo, Esopo, bravissimo!
MEN. Il lodate? (a Xanto)
Ancor gli dite bravo?
Veramente
di voi degno è lo schiavo.
XAN. Via, via, signora sposa,
Non trattate il meschin con tanta asprezza,
Che anzi la sua bruttezza
Più risaltar farà
La
vostra vezzosissima beltà.
MEN. Voi mi schernite, indegno,
Per mettermi in impegno
D'andarmene lontan da' muri vostri,
Per
viver quieta ed isfuggir due mostri.
XAN. Parla, Esopo, rispondi
A lei che pieno ha di veleno il gozzo.
ESO. Cosa ho da dir? Gettatela in un pozzo.
MEN. Temerario, così...
XAN. Dicesti bene.
Disfarmene dovrei prima d'un'ora; (a Esopo) Ma quel volto mi piace, e l'amo ancora.
ESO. Voi filosofo siete? Come può darsi mai
Che uniscansi fra loro in armonia Amor di donna e di filosofia?
MEN. Sciocco! che pensi tu che sia la donna?
ESO. Che cosa sia non so,
Ma quel che dire intesi
Della femmina un giorno, anch'io dirò.
Del caval la bizzarria Suol domarsi con lo sprone, E la donna col bastone La perfidia suol cangiar.
Non vi state a riscaldar. (a Menalippe) Delle triste sol ragiono; Ma le buone quante sono? Mia signora, in verità, L'un per cento non si dà! (parte)
SCENA SETTIMA Xanto e Menalippe
MEN. Una di queste due, padrone mio:
O via colui, o me ne vado io.
XAN. Ne parleremo poi.
MEN. Parliamo adesso.
Rispondetemi
a tuono.
XAN. Ora impegnato sono.
Deggio andar alla
scuola.
MEN. Signor no.
O risolvete, o non vi lascierò.
XAN. Fra poco... (volendo partire)
MEN. Non v'è caso;
Non voglio che partiate,
Se
di scacciar colui non v'impegnate.
XAN. Lo scaccierò... (come sopra)
MEN. Che mi burliate io dubito.
Voglio
che lo scacciate adesso subito.
XAN. Ma
non ho tempo...
MEN. Il tempo è bello e buono.
XAN. Ma di voi stanco sono.
MEN. Tant'è, voglio così; non replicate.
XAN. Eh, lasciatemi andar; non mi seccate.
(Canta l'aria sempre in atto di partire, trattenuto da Menalippe)
Che impertinenza è questa?
Dico ch'io voglio andar. Mi parlerete poi... Quel che volete voi... Ma se v'ho già capito. M'avete omai stordito... Basta; non vuò sentire... Eh, che non vuò impazzire... Sia maledetto il giorno Che mi veniste intorno: No, non ne posso più. (parte)
SCENA OTTAVA
Menalippe sola.
Questo mancava ancora:
Che mi venisse in casa,
Oltre l'odiato sposo,
Un altro ceffo impertinente, odioso.
Ma so ben io quel che farò; se a Xanto
Questo bel schiavo è caro,
Io mi vendicherò collo scolaro.
Già lo so che il filosofo
Ha per me dell'affetto,
E vuò far quel che voglio a suo dispetto.
Noi altre femmine
Siam fatte a posta
Per far degli uomini
Crepar il cor. Se ci patiscono,
Noi facciam peggio.
Se si disperano,
Godiamo allor. Se ci rispondono,
Noi siamo l'ultime;
E se ci ammazzano,
Parliamo ancor. (parte)
SCENA NONA
Camera. Rapa e Corina
RAPA Sì sì, per dir il vero,
È il padron di buon gusto.
In Esopo davver comprò un bel fusto!
COR. Certo ch'ei non è bello,
Ma ha tanto buon cervello;
È tanto astuto e destro,
Che
di filosofia pare un maestro.
RAPA Come lo sai?
COR. Lo so, perché ho sentito
Come colui ragiona. Mel disse la padrona,
Lo dicon da per tutto,
Che
di spirito è bel, se il viso ha brutto.
RAPA Dunque, per quel ch'io sento,
Corina, del suo spirto innamorata,
Quasi quasi di me s'è già scordata.
Ma però mi consolo,
Che avrò il modo
ancor io di vendicarmi.
COR. Come? Vuoi tu lasciarmi?
RAPA Sto a vedere
Quello che tu sai far; poi colla schiava,
Che il padron questa mane ha qui condotta,
Saprò
fare di te la mia vendetta.
COR. Eh, di quella fraschetta
Soggezione non ho. So ch'è una sciocca,
So che non apre bocca
Che
non dica per uso una sciocchezza.
RAPA È un gran pregio però la giovinezza.
COR. Ed io non sono forse
Giovine quanto basta? E mi vorresti
Porre di quella stolida al confronto?
A me codesto affronto?
RAPA E in faccia mia
Vuoi
Esopo lodare a mio dispetto?
COR. Voglio dir quel ch'io voglio.
RAPA Ed io pretendo
Amar
chi più m'alletta.
COR. Ecco la tua diletta:
Amala, disgraziato.
Ti lascio in libertà.
RAPA Corina mia,
SCENA DECIMA Rapa, poi Merlina RAPA Godo che ci patisca. Imparerà Lodare in faccia mia Un altro oggetto, e darmi gelosia. Per altro colla schiava Io non saprei che farmi: Semplice è un poco troppo, e a lei non bado. Le frutta e i fiori a coltivare io vado. (s'avvia al fondo del giardino) |
Teco volli scherzar.
COR. Voglio andar via. (parte)
MERL. Poverina, ho già perduta
La mia cara libertà. Sono schiava, son venduta, E servir mi converrà.
RAPA Sento che si lamenta.
Ascoltiamo che dice.
(accostandosi un poco)
MERL. Oh poverina!
Son tanto tenerina;
Se faticar mi fanno,
Resister non potrò sicuramente;
E poi non so far niente.
RAPA Ehi, quella giovane.
MERL. Oimè! cosa volete? (con timore)
RAPA Dite, che nome avete?
MERL. Merlina è il nome mio.
RAPA Siete greca voi pur?
MERL. Greca son io.
RAPA Avete mai servito?
MERL. Signor no.
RAPA Or dovrete servir.
MERL. Mi proverò.
RAPA Cosa sapete far?
MERL. So camminare,
So mangiar, so vestirmi,
So pianger quando ho male,
So rider se bisogna, e di buon core,
Se
qualcun mi vuol ben, so far l'amore.
RAPA (Bella semplicità!)
Dite la verità: foste finora
Di molti innamorata?
MERL. Oh sì, signore:
Ho amato in una volta
Più di dieci persone.
RAPA Brava, brava!
E tutti giovanotti?
MERL. Oh, signor no.
Chi amai ve lo dirò.
Ho amato mio fratello,
Che è tanto, tanto bello,
E mio padre, e mia madre,
E mio nonno, e mia nonna,
E quella buona donna
Della balia Graziosa,
E fu la mia amorosa
Nicandra mia cugina,
Cloridea,
Floridaura, e ancor Barsina.
RAPA (È innocente davvero). Vi ho sentito
Fra tante e tante donne
Cloridea nominar.
MERL. Povera figlia!
Stata è anch'ella venduta
E non l'ho più veduta; e tanto, tanto
Bene ci volevam, che
sempre ho pianto.
RAPA Il padrone ha comprata
Una che appunto Cloridea è chiamata:
Se sia quella non so.
MERL. Io la conoscerò. Volesse il
cielo,
Che fosse quella che cotanto ho amata!
Vorrei che fosse la
mia innamorata.
RAPA Ma ditemi, di grazia:
Amar voi non sapreste
Un uomo, e che non fosse
Né fratel, né cugino?
MERL. L'amerei, s'egli fosse un po'
bellino.
RAPA Per esempio, s'io fossi
Invaghito
di voi, non mi amereste?
MERL. Signor no.
RAPA Perché no? Che scusa avete
Per non volermi amar?
MERL. Non mi piacete.
RAPA Davver?
MERL. Vi parlo schietta.
RAPA Ed io vi dico:
Non me n'importa un fico. La bellezza
Senza spirito e brio poco s'apprezza.
Il pregio non curo D'incolta beltà; Più gusto mi dà Quel vezzo, quel brio, Che piace al cor mio: Due sguardi furbetti, Due bei sorrisetti, Un volto che ad arte Più bello si fa. Non merita affetto Chi amare non sa. (parte)
SCENA UNDICESIMA Merlina, poi Leonzio
MERL. Io non so che si dica, e non m'importa
Di saperlo nemmen. Vorrei vedere Se la mia Cloridea qui si ritrova. E se la cara amica
Si presenta di nuovo agli occhi miei, Voglio far all'amor solo con lei.
LEON. (Menalippe per tutto
Mi segue ed importuna; ed io sospiro Veder l'idolo mio). (da sé)
MERL. (Che bel signore!
Questo mi piaceria più di quell'altro.
S'ei mi volesse bene,
Forse ne avrei conforto;
Ma alla mia
Cloridea non vuò far torto).
LEON. (Chi è costei? Non mi pare
Di averla più veduta).
MERL. (Mi guarda attentamente.
Quasi
gli parlerei; ma non ardisco).
LEON. Giovinetta gentil.
MERL. La riverisco.
LEON. Siete voi forestiera?
MERL. Io non lo sono.
LEON. Siete voi nata in Samo?
MERL. Signor no.
LEON. Perché dunque mi dite
Non esser forestiera?
MERL. Oh quest'è bella!
Nel paese, signor, dove son nata,
Forestiera
nessun mi ha mai chiamata.
LEON. (È innocente, al vedere).
MERL. E voi chi siete?
LEON. Uno scolaro io sono
Del filosofo Xanto.
MERL. E che imparate?
LEON. Filosofici arcani
M'insegna il precettore;
Ma una scienza
miglior mi detta Amore.
MERL. Oh, oh, di questa scienza
Me n'intendo ancor io.
LEON. Voi pure amate?
MERL. Sì signor, per servirla, e mi lusingo
D'essere fortunata,
Se
qui ritrovo la mia innamorata.
LEON. Come? L'innamorata?
Siete uomo, o siete donna?
MERL. Oh quest'è bella!
Son
donna, a parer mio.
LEON. Non vi capisco.
MERL. E non v'intendo anch'io.
LEON. Ma chi cercate?
MERL. Io cerco
Una donna vezzosa,
Bella come una dea.
LEON. E qual è il di lei nome?
MERL. È Cloridea.
LEON. Oh ciel! La conoscete?
MERL. La conosco sicuro:
Siam nate entrambe nel paese istesso,
Siam d'un medesmo sesso,
Siam della stessa età.
Ditemi
s'ella è qui, per carità.
LEON. Cloridea qui si trova.
Ma
chi sa poi s'è quella?
MERL. È vezzosa?
LEON. È vezzosa.
MERL. È bella?
LEON. È bella.
MERL. Dunque è quella senz'altro.
Affé, l'ho ritrovata.
Voglio
vedere la mia innamorata.
LEON. Ma questa è l'amor mio.
MERL. Signor no, signor no; la voglio io.
SCENA DODICESIMA Menalippe e detti.
MEN. (Leonzio colla schiava
Nuovamente
comprata?) (da sé)
MERL. Io sono innamorata,
E non posso soffrir la gelosia.
MEN. (Brava!)
LEON. Della mia fiamma
Lagnar non vi potrete.
MEN. (Oh maledetto!)
MERL. Vuò che mi promettiate
Non amar Cloridea.
LEON. Vi do parola
Che sarete ambedue
liete e contente.
MEN. Via di qua, impertinente. (a
Merlina)
MERL. Oimé! cosa vi ho fatto?
MEN. Ben, ben, faremo i conti. (a Leonzio)
LEON. Pensate che con lei...
MEN. Giovin garbata,
Siete
già innamorata? (a Merlina)
MERL. Sì
signora.
MEN. Sentite? (a Leonzio)
LEON. Non di me...
MEN. Dello scolaro
Siete
voi l'amorosa?
MERL. Sono di lui gelosa.
MEN. Anche di più? Sentite? (a Leonzio)
LEON. Vi dirò la ragion...
MEN. Non vuò sentire.
Via di qua. (a Merlina)
MERL. Non mi fate intimorire.
Io non sono impertinente, Ma son tenera di cor; E ho imparato dalla gente Voler bene, e far l'amor.
Amerei ancora voi, Se non foste sì cattiva... Non gridate, - non mi date.
Sarò buona, - perdonate.
Son fanciulla di buon cor,
E mi piace a far l'amor. (parte)
SCENA TREDICESIMA
Leonzio, Menalippe, poi Cloridea
MEN. Bravo! due alla volta?
LEON. V'ingannate...
MEN. Eh, invano vi scusate;
Ho sentito, ho veduto.
LEON. Eppur credete...
MEN. Siete un bravo scolaro, e imparerete.
LEON. Questa è la prima volta...
MEN. Poverino!
La prima volta è questa
Che fa l'amor con due.
Badate ancora a me,
Che
in questa guisa ne averete tre.
LEON. Se dir mi lascierete...
MEN. Eh, già lo so
Quel che dir mi vorreste. Nell'amare
Delle schiave la facile beltà,
Ci
trovate minor difficoltà.
LEON. Lo dico e lo protesto,
Sono un giovane onesto.
MEN. Oh, oh, davvero,
Per le vie, per le piazze a dir si sente:
Quel
povero Leonzio è un innocente!
LEON. Mi
deridete a torto.
MEN. Affé di bacco,
Veggo là Cloridea dolente e sola.
Ehi,
dico: una parola. (verso la scena)
LEON. E che volete?
MEN. Voglio quello ch'io voglio, e voi tacete.
CLOR. Eccomi ai cenni vostri.
MEN. Poverina,
Mi dispiace di darvi
Una trista novella:
Si
è trovata Leonzio un'altra bella.
CLOR. Davver?
LEON. Non lo credete...
MEN. Un temerario siete
Dandomi una mentita. Io l'ho sentito
Con la schiava novella
A favellar d'amore, (a Cloridea)
E negarlo
vorrebbe il mentitore. (verso Leonzio)
CLOR. (Povera
me!)
LEON. Credetemi...
MEN. A lui non date fede.
In volto gli si vede
La malizia, l'inganno e il tradimento.
(Dalla rabbia ch'ho in sen, crepar mi sento).
Oh, guardate il bel soggetto
Che più donne vuol amar!
Vi vuol altro, poveretto,
Che languire e sospirar!
Non crediate ch'io ci pensi,
Che di voi non so che far. (a Leonzio) Quel bel fusto voi amate?
Ma da lui cosa sperate?
Ehi, sentite una parola:
Vi consiglio di star sola
Se di meglio non si dà. (a Cloridea)
Sguaiatello, via di qua. (a Leonzio, e parte)
SCENA QUATTORDICESIMA
Leonzio e Cloridea
LEON. Cloridea, non badate...
CLOR. Eh, non vi credo.
M'ingannate,
crudele, io già lo vedo.
LEON. La schiava è vostra amica.
CLOR. Eh, cosa importa?
LEON. Ella del grado vostro
Può far testimonianza.
CLOR. Io son chi sono.
LEON. Vi domando perdono;
Seco parlate, e
intenderete poi...
CLOR. Credere non vogl'io né a lei, né
a voi. (parte)
SCENA QUINDICESIMA
Leonzio solo.
Misero me! da tutti
Schernito, abbandonato,
Che farò in tale stato? Ah, finalmente
Si saprà che son io fido e innocente.
Dalle nubi il sol lucente Qualche volta si scolora; Ma ritorna bello ancora, Dileguato il rio vapor;
Ed un'anima innocente, Se talora è calunniata, L'innocenza alfin provata,
Merta fede, acquista onor. (parte)
SCENA SEDICESIMA
Scuola di Xanto.
Xanto e vari Scolari seduti, che ascoltano la lezione; poi Esopo; e poi Corina, Rapa, Merlina e Menalippe
XAN. Abbadate, scolari,
A quel ch'io vi dirò,
E sapienti e felici io vi farò.
Ma Leonzio per anche
Non viene alla lezion? Quel ragazzaccio
Ha il cervello distratto in amoretti,
Ed in lui la ragion cede agli affetti.
Andatelo a chiamar. (Lo compatisco:
Anch'io sento nel core
Che l'umana ragion cede all'amore.
Lo so che Menalippe
Poco mi ama e moltissimo m'inquieta,
E pure all'evidenza
La passïon contrasta.
Filosofia non basta
A superar l'affetto,
E la deggio soffrire a mio dispetto).
Orsù, giacché ci siamo,
La lezione facciamo. State attenti,
E stampate nel cor tai sentimenti.
ESO. Signor, se si contenta,
Vorrei sentire anch'io.
XAN. Tu cosa sai,
Che studiato non hai?
ESO. Non ho studiato;
Ma uomo anch'io son nato, e la natura,
Madre comune e pia,
Insegna
a tutti la filosofia.
XAN. È ver, da ciascheduno
Si suol filosofar. Ma gl'intelletti
Si
ammaestran però con i precetti.
ESO. Anzi, con buona grazia,
Soglion le vostre scuole
I cervelli imbrogliar con cento fole.
XAN. Tu non sai quel che dici.
ESO. Io ve lo proverò.
XAN. Vuò dettar la lezione.
ESO. Ascolterò.
XAN. È l'amore un certo foco
Che s'inoltra a poco a poco, Ed accende il nostro cor.
ESO.
XAN.
ESO.
XAN.
ESO.
XAN.
ESO.
XAN.
COR. XAN. COR.
XAN.
ESO.
XAN.
RAPA
XAN.
RAPA
ESO. XAN.
MERL.
XAN.
MERL. XAN.
MEN. XAN. MEN. XAN.
MEN. XAN. MEN. XAN.
}
}
a due
a due
Questo foco non accende, Se ad estinguerlo si attende Sul principio dell'ardor. Bravo, bravo, mi contento; Caro Esopo, a quel ch'io sento, Sei filosofo tu ancor. Sì signor, con questa mia Natural filosofia Mi ho diretto fino ad or. Seguitiamo la lezione. Son con voi, signor padrone. Più bel gusto non si dà. Chi ha talento, imparerà. Le passion con noi son nate, Ma nell'alme illuminate La ragion trionferà. Padron mio, con sua licenza. Via di qua, che impertinenza! Voglio dirvi, vuò avvertirvi, Che Merlina, - innocentina, È venuta a far l'amor.
Voi farete peggio ancor.
Ritorniamo alla lezione.
Io dicea che la ragione...
Con licenza, padron mio.
La lezione far vogl'io.
Questo schiavo, così bravo, (accenna Esopo)
Di Corina - graziosina
Ha d'amore acceso il cor.
Obbligato dell'onor.
Via di qua, sei mentitor.
La lezion vuò seguitar...
Io vi prego a perdonare,
Se vi vengo a disturbar.
La padrona mi vuol dare,
E mi ha fatto lacrimar.
Vonno farmi disperar.
Via di qua. (a Merlina)
Per carità. La lezion vuò seguitar. La ragione che è perfetta... Signor sposo...
(Maledetta!) Vi son molte novità. Eh, partite; via di qua. La ragione, io vi dicea... È una frasca Cloridea. La ragion comanda al core... Con Leonzio fa all'amore. E con voi che cosa fa? Deh partite, in carità. La ragione chi ha perduta...
MEN.
XAN.
MEN.
XAN.
MERL.
XAN.
RAPA
RAPA
COR.
MEN.
XAN.
ESO.
MEN.
COR.
MERL.
RAPA
XAN.
a quattro
XAN.
a quattro
XAN.
a quattro
XAN.
} |
a due
} a
quattro
E la schiava ch'è venuta... La passion non vincerà. Fa l'amore in società. State zitta. La ragione... Non è ver, signor padrone. Ma tacete.
Sì signore.
Ancor essa fa all'amore.
Tutti quanti - son birbanti E scacciateli di qua. Che dispetto, che martire! No, non posso più soffrire, Andar via mi converrà. Ah filosofo padrone, Filosofica ragione Sopportar v'insegnerà.
Ascoltate quel che io dico.
Non v'ascolto, non m'intrico. Voglio dir la mia ragione. Vuò finir la mia lezione. Ma sentite.
Via di qua. Ma sentite, padron mio. Maledetti! anderò io. Non vi posso tollerar.
TUTTI
È finita la lezione, Più non giova la ragione. La natura, - che procura La passione superar, Qualche volta - divien stolta, E si vede a delirar.
ATTO SECONDO SCENA PRIMA
Camera in casa di Xanto. Xanto ed Esopo
XAN. Esopo mio, son disperato affé;
Più rimedio non c'è;
Menalippe m'inquieta, e il rio demonio
Mi vorria trappolar col matrimonio.
Viver procuro in pace,
A lei la guerra piace;
Il suo costume insano
Frenar
procuro, e m'affatico invano.
ESO. Un carbonaio un giorno
Invitò in propria casa un nettapanni;
Ma questi disse a quello:
«Io verrò sporco, e tu non verrai bello».
Vuò dir che facilmente
Dal cattivo guastare il buon s'ha visto,
Anzi che il buon
faccia migliore un tristo.
XAN. Dunque, che far degg'io?
ESO. Lasciate, padron mio,
Lasciate fare a me che vi prometto
Far
che resti umiliata a suo dispetto.
XAN. Grande è l'impegno, amico.
ESO. E pur quel che vi dico
Da me si manterrà;
Ma
voglio in premio la mia libertà.
XAN. Veggasi pria l'effetto,
Poi dartela prometto.
Se tu cambi una donna, affé, sei bravo;
SCENA SECONDA Esopo, poi Leonzio ESO. Egli teme a ragion, perché non sa Qual sia del mio cervel l'abilità. LEON. Esopo, amico mio! ESO. Leonzio qui? LEON. Sono scolaro anch'io. Per seguir una bella, Da' genitori suoi venduta a Xanto, Lasciai la patria, e mi condussi alfine |
Ma per questa ragion resterai schiavo. (parte)
Quella ch'io cerco ed amo
Schiava infelice a rintracciare in Samo.
ESO. È qui dunque?
LEON. Sì, amico:
Il mio ben, la mia dea, Quella per cui sospiro, è Cloridea.
ESO. Il padrone lo sa?
LEON. Credo lo sappia;
Ma all'amor mio s'oppone Strano desio di Menalippe ardita. Ella di me invaghita, Non sa quel che si faccia: Or mi tenta, or m'insulta ed or minaccia.
ESO. Ho piacer di saperlo;
Lasciate ogni spavento,
Ch'io m'impegno di farvi un dì contento.
LEON. Come?
ESO. Non vuò dir come:
Quando tempo sarà, ve lo dirò. Farete a modo mio?
LEON. Sì, lo farò.
So che saggio voi siete, So che meco comun la patria avete. Di voi, amico mio, di voi mi fido, E col vostro favor la morte io sfido.
Frema pure il mar sdegnato, Minacciando stragi e morte; Anderò, da voi scortato, Le tempeste ad incontrar.
Colla speme e col consiglio Voi mi fate ardito e forte, Né saravvi alcun periglio Che mi faccia paventar. (parte)
SCENA TERZA Esopo, poi Menalippe
ESO. Questa è cosa opportuna al caso nostro.
Farò che quest'amore
Serva di mezzo... Basta... si può dare...
Eccola
appunto. Vuò dissimulare.
MEN. (Vuò provar colle buone
Se mi riesce
ingannar questo volpone). (da sé)
ESO. Buon
giorno il ciel vi dia,
Bella padrona mia,
gentil, garbata.
MEN. Sì, caro, al tuo buon cor sono
obbligata.
ESO. (Ti conosco, mal'erba).
MEN. (Eh furfantone!)
ESO. Posso in nulla servirvi? Comandate.
MEN. Che maniera gentil!
ESO. Voi mi obbligate.
Nella mia schiavitù
Certo son fortunato,
Tale
padrona avendo ritrovato.
MEN. Anzi è fortuna mia
D'uno
schiavo sì bel la leggiadria.
ESO. Non ho veduta più tanta
bellezza.
MEN. Tu sei proprio la stessa gentilezza.
ESO. Oh che grazia!
MEN. Oh che brio!
ESO. (S'ella mi burla, la corbello anch'io).
MEN. Alla bellezza estrema,
Che piace ed innamora,
Il bello interno corrisponde ancora.
ESO. Non si può dir di lei, che ha un
sì bel core,
Come la volpe al lupo del scultore:
Bella testa - certo è questa, Bella testa in verità.
Bella bocca ed occhio bello; Ma cervello - in sé non ha.
MEN. Bravo, vorresti dir dunque perciò
Ch'io son bellina, ma cervel non ho?
ESO. Non signora, non son tanto incivile.
MEN. Vossignoria è gentile,
Ma non vorrei che gli venisse fatto Come fece col sorcio astuto gatto.
Stava bonino
Certo gattino,
Che non mostrava
Di minacciar. Quando il topino
Gli andò vicino,
Presto coll'ugne
L'ebbe a strozzar.
ESO. Le mani mie, signora,
A far male a nessun non sono avvezze;
E
se posso, ho piacer di far carezze.
MEN. Sposa son io; per altro,
Se fossi in libertà, discreto amante
Ritroverebbe in me
Vera corrispondenza e
vera fé.
ESO. La fede in una donna è cosa
rara,
Come da questa favola s'impara.
Con pelle d'agnella La lupa coperta, Fu poscia scoperta Da scaltro pastor.
Chi finger procura, Fingendo non dura, Si scopre - con l'opre, Si sente all'odor.
MEN. Dunque per tal ragione
Essere in te potrebbe, Ad onta ancor della malizia usata, Questa favola mia verificata.
Un certo somarone Con pelle di leone Un giorno si vestì.
Ma un'asina mirando, E per amor ragghiando, Alfine si scoprì.
ESO. Bravissima! mi piace
Che ancora voi le favolette amando,
Vi andate con gli apologhi spiegando;
E sentirmi da voi, perciò m'è caro,
Con pelle di leon
chiamar somaro.
MEN. Ed io pure ho goduto
Sentirmi dir da quella bocca esperta
Lupa
da pelle d'agnellin coperta.
ESO. Dunque, per quel ch'io sento,
Signora cara, dalle voci sue,
Noi siamo tutti due
Bravi ed accorti al paro:
Si va da galeotto a marinaro.
MEN. Onde, sia per virtù, sia per
malizia,
Ci
potressimo unire in amicizia.
ESO. In quel ch'Esopo vale,
Fatene capitale. Se vi preme
Qualche cosa ottener segretamente,
Il padrone da me
non saprà niente.
MEN. Oh, quanto ti son grata
Vedo che mi vuoi ben; ma per costume
Fare o pensar non oso
Cosa che dispiacer
possa al mio sposo.
ESO. (È astuta).
MEN. (Non ci casco).
ESO. Perdonate:
Non dico che voi siate
Una sposa infedel; ma... che so io?
Se mai per avventura
Vi nascesse nel cor qualche amoretto,
Segretezza ed aiuto
io vi prometto.
MEN. (Eh forca, ti ho capito). In
vita mia,
Fuor di quello di Xanto,
Altro amor non
m'intesi ardere il petto.
ESO. E pur mi è stato detto
Che di un certo scolaro
Il faretrato arciero
Vi abbia il core
ferito.
MEN. Oh, non è vero.
ESO. Quand'è così, ho piacere.
Il povero Leonzio,
Senza difficoltà,
La
schiava Cloridea sposar potrà.
MEN. No, sposare una schiava
Lo scolaro non dee. (con
ira)
ESO. Vi riscaldate?
Fra
lo sdegno e l'amor non v'imbrogliate.
MEN. Non mi sdegno per me.
ESO. Via, ditemi il perché.
MEN. Perché una schiava
Degna non è di queste
nozze.
ESO. Oh brava!
La ragione ho capito:
Vi lodo e vi protesto,
Della vostra virtù stupito io resto.
Che vivano le femmine Sincere come voi, Che degli affetti suoi Non si hanno da pentir. La vostra già si sa, Ch'è tutta carità.
Leonzio non vi preme; Ma colla schiava insieme Unir non si dovrà. Brava davver sul sodo; Brava, conosco e lodo La sua sincerità. (parte)
SCENA QUARTA Menalippe, poi Merlina
MEN. Quant'è astuto costui!
Ma sono al par di lui pronta ed accorta,
E so fare ancor io la gatta morta.
MERL. Oh poverina me! (vedendo
Menalippe, si ferma)
MEN. Merlina, che cos'è?
Di che avete timor?
MERL. Niente, signora...
Che
mi gridaste mi ricordo ancora.
MEN. Venite
qui.
MERL. Obbedisco.
MEN. Le bugie
Non le voglio soffrir. Quando vi parlo
D'una cosa ch'io so,
Non si dice di no.
Non vuò sentirmi a contraddir così.
MERL. (Oh, in avvenir sempre dirò di sì). MEN. Ditemi, siete amante? MERL. Sì, signora. MEN. Di chi? MERL. Signora sì. MEN. Sciocca! Amate Leonzio? MERL. Io non lo so. MEN. L'amate sì o no? MERL. Dirò così... MEN. Dite la verità. (con sdegno) MERL. Signora sì. (tremando) MEN. Egli vi corrisponde? MERL. Sì, signora. MEN. Lo vorreste sposar? MERL. Signora sì. MEN. Quando? MERL. Signora sì. MEN. Sciocca! MERL. Signora sì. MEN. Eh, vi conosco: Voi fingete la stolta Per schernir chi v'ascolta. E che? pensate, Parlandomi così, Che sia pazza ancor io? MEN. Temeraria, insolente! Dirmi in faccia di sì? MEN. (Compatisco la sua semplicità). (da sé) |
SCENA QUINTA Rapa e dette.
RAPA Oh signora, il padrone
Vi
cerca e vi domanda. (a Menalippe)
MEN. (Vuò provare
Se costei veramente,
Qual si finge, è innocente, o se Leonzio
Le sta nel cor). (da
sé)
RAPA Signora,
Il padrone vi aspetta.
MEN. Aspetti pure:
Anch'egli mi vedrà
Quando a me parerà. (Tu dimmi intanto:
Prenderesti una sposa?) (a Rapa)
RAPA (E
perché no?) (a Menalippe)
MEN. (Se Merlina ti piace, io te la do). (a Rapa)
RAPA (Convien prima saper s'io piaccio a lei). (a Menalippe)
MEN. (Ella deve obbedire ai cenni miei.
Pochi momenti aspetta). (a Rapa)
RAPA (Di Corina così farei vendetta).
(da sé)
MEN. Dimmi tu: s'io ti dessi uno sposino,
Accettarlo
vorresti? (a Merlina)
MERL. (Ora non so
Se risponder
degg'io di sì o di no). (da sé)
MEN. Dimmi, lo prenderesti?
MERL. Non saprei.
Gnora
no, gnora sì, come vuol lei.
MEN. Rapa ti piace?
MERL. Ed or cosa ho da dire?
MEN. Hai da dir che ti piace,
Che Rapa non è brutto; e quando ancora
Orrido fosse, obbediente al cenno,
Dar gli devi la mano in questo dì.
Rispondi, lo farai?
MERL. Dirò di sì.
MEN. Senti? Puoi star sicuro:
L'ha detto in faccia mia. (a Rapa)
RAPA Son contentissimo.
MEN. E queste nozze si han da far prestissimo.
MERL. Ma io...
MEN Sei fortunata.
Almeno accompagnata
Da un giovane sarai;
SCENA SESTA Merlina e Rapa RAPA Dunque con mio contento Voi sarete mia sposa, a quel ch'io sento. MERL. (Guarda per la scena) RAPA Che guardate? MERL. S'io vedo la padrona. RAPA No, non c'è; se n'è andata. Via, sposina garbata, Ritornatemi a dir se voi mi amate. MERL. (Come sopra) RAPA Ma che diavolo fate? MERL. Ho paura che torni, per mia fé. RAPA Pericolo non c'è. MERL. Quand'è così, Quel che dissi stamane a voi ridico: Del vostro amor non me n'importa un fico. Ho veduto tanti e tanti Colle donne far gli amanti, E poi dopo le meschine Le ho vedute a bastonar. Qualche volta in allegria: |
Ma io col vecchio ho da passar dei guai. (parte)
Coccolina, vita mia, Sempre più ti voglio amar; E poi dopo s'alza il grugno, E alla sposa con un pugno Le carezze soglion far. (parte)
SCENA SETTIMA Rapa, poi Corina
RAPA Ecco qui, siam da capo. Io facilmente
Mi volgo ad ogni vento,
E mi trovo alla fin poco contento.
Vedo venir Corina; converrà
Soffrir qualche rimprovero da lei;
Viver
senza un'amante io non potrei.
COR. Serva sua, signor Rapa.
RAPA Riverisco.
COR. Mi consolo con lei.
RAPA Non la capisco.
COR. Crede che non si sappiano
Le sue consolazioni? Menalippe
Le sue nozze vicine ha pubblicato.
Sposo gentil, garbato,
Il ciel cortese e pio
Vi
dia tutto quel ben che m'intend'io.
RAPA Grazie dei buoni auguri;
Comprendo la bontà del vostro cuore,
Ma
per le nozze mie siete in errore.
COR. Che? Non è forse vero
Che sposate Merlina?
RAPA Oibò; pensate!
Menalippe volea... ma non vi è caso.
Sol l'amor di Corina è il mio conforto,
E a quel caro visin non faccio un torto.
COR. Caro, mi consolate in verità.
Mi sentiva morir. Se voi mi amate,
Fida v'adorerò, lieta e contenta.
(Finché meglio non
trovi, o non mi penta). (da sé)
RAPA Ah, se sarete mia,
Sarò lieto e felice, io vel protesto.
(Ma mi posso pentir, se non fa presto). (da sé)
Venga presto il dì bramato
Che mi possa consolar.
COR. Venga il giorno sospirato
Che
mi faccia giubilar.
RAPA Oh bellina!
COR. Oh carino!
a due Tu m'hai fatto innamorar.
RAPA (Sì davver, non vedo l'ora
Di potermi maritar). (da sé)
COR. (Non ho fretta, è presto ancora;
Non mi vuò
precipitar). (da sé)
RAPA Mi vuoi bene?
COR. In quantità.
RAPA Vuoi sposarmi?
COR. Si vedrà.
RAPA Ah furbetta!
COR. Malizioso!
RAPA Sei pur cara!
COR. Sei grazioso!
a due Presto, presto il dì verrà
Della mia felicità. (partono)
SCENA OTTAVA
Cortile. Xanto ed Esopo
ESO. Tant'è, signor padrone,
Fate quel che vi dico. Fingetevi ammalato. In su la sedia Ponetevi a sedere in aria mesta, E lasciate operare alla mia testa.
XAN. Ah Esopo mio, pavento
Trovar quel che mi spiace. Fin ch'io dubito Del cuor di Menalippe, Fra speranza e timor mi serbo in vita; Se la scopro infedel, per me è finita.
ESO. E ben, finita sia.
Buona filosofia,
Lo sapete voi pure, insegna e dice: Meglio è morir, che vivere infelice.
XAN. È vero; ai miei scolari
Sprezzar la vita vo insegnando anch'io, Ma vorrei prolungare il viver mio.
ESO. Sì, capisco; voi fate
Come il medico saggio,
Che il vino buono proibisce altrui,
Ed il vino miglior cerca per lui.
XAN. L'universal natura
Sussistere procura; e il scioglimento Deve all'umanità recar tormento.
ESO. È ver, l'accordo anch'io;
Né col consiglio mio Procurarvi la morte ora pretendo, Ma che viviate più felice intendo.
XAN. Ma se perdo colei...
ESO. Oh via, tacete;
Se filosofo siete, La donna amate fino a un certo segno,
Ma
l'amore non sia di Xanto indegno.
XAN. Tu mi sgridi a ragion. Son qui, farò
Tutto
quello che vuoi; non mi opporrò.
ESO. Ponetevi a sedere.
XAN. Ecco, mi siedo.
ESO. Fingete d'aver male.
XAN. Ed un filosofo
Finger dovrà?
ESO. Davvero
Ridere voi mi fate.
Sincerità vantate,
E un filosofo scaltro si procura
La
sua fama maggior coll'impostura.
XAN. Sei più furbo di me...
ESO. Zitto, vien gente;
Fate quel che vi ho detto,
E vedrete fra poco il buon effetto.
Presto, presto, accorrete, (va verso la scena)
Il povero padrone
È vicino a morir.
SCENA NONA
Leonzio, Cloridea, Menalippe, e detti.
LEON. Cos'è accaduto?
CLOR. Oimè, che cosa è stato?
MEN. Povero Xanto mio! (Fosse crepato).
ESO. Lo prese un accidente.
MEN. Via, via, non sarà niente.
XAN. Ahi, che morir mi sento.
MEN. (Consigliate ch'ei faccia testamento). (ad Esopo)
ESO. (Sì, dite ben, signora). (a Menalippe)
La vostra cara sposa,
Per voi tanto amorosa,
Pria che Caronte veggavi passare,
Il
testamento vi consiglia fare.
XAN. Grazie alla sua bontà.
MEN. Per me non parlo.
Son tanto appassionata,
Son tanto addolorata,
Che mi par di sentirmi a venir male.
(Spero
d'esser l'erede universale). (da sé)
ESO. Signor,
pria di morire,
Perché sia consolata,
Fate
che Menalippe sia sposata.
MEN. Con
chi?
ESO. Sposar potrebbe
Leonzio lo scolaro.
MEN. Oh, non lo farò mai. (L'avrei
pur caro). (da sé)
XAN. Se Menalippe il brama,
Forse l'accorderò.
MEN. Come potrei
Cambiar quel grand'affetto
Che per voi nutro in petto? Ahi, m'addolora
Un
sì tristo pensier. (Non vedo l'ora). (da sé)
CLOR. Leonzio, perdonate,
Esser dee sposo mio.
MEN. Voi non c'entrate. (a
Cloridea)
LEON. A Cloridea, il sapete,
Ho promessa la fede.
MEN. E voi tacete.
XAN. Dunque, per quel ch'io sento,
Menalippe contenta
Di Leonzio mi sembra.
MEN. Uh, cosa dite?
Pericolo non c'è.
(Se
lo posso sposar, felice me!) (da sé)
ESO. Caro signor padrone,
Sposar non lo potrebbe
Senza un poco di dote. Via, testate,
E
una dote discreta a lei lasciate.
XAN. Ma io...
ESO. (Finger dovete). (piano a Xanto)
XAN. Via, sì, sì, lo farò:
Sposi
pure chi vuol, la doterò.
MEN. Oh, povero il mio sposo,
Mi fa pianger davver per tenerezza!
(Rido dentro al cor
mio per l'allegrezza). (da sé)
LEON. Lo dico e lo protesto,
Altre nozze detesto...
MEN. Eh via, insolente,
D'un povero ammalato
Abbiate carità:
Non
parlate con tanta inciviltà.
LEON. Amo il maestro anch'io,
Ma voglio a modo mio dispor del core,
E
la schiava sposar quand'egli more. (parte)
CLOR. (Mi consola quel labbro). (da sé)
MEN. Io mi lusingo
Che Xanto viverà; mandate presto
Un medico a cercar, che lo guarisca.
(Spero far che Leonzio si pentisca). (da sé)
Presto, trovate un medico
Che il venga a medicar.
Ah, vi vorrebbe un recipe
(Che lo facesse andar). (da sé) Il polso, poverino,
Batte così e così. (cercando il polso)
Oh povero sposino
Tutto il suo mal sta qui. (gli tocca la fronte) Il dottore che sia lesto
A ordinare presto presto
Il salasso e le coppette, Vescicanti e le sanguette, Il mercurio e l'antimonio, E un purgante da demonio Che lo possa liberar. Lo sposino, - poverino, Lo vogliamo risanar. (parte)
SCENA DECIMA
Xanto, Esopo e Cloridea
ESO. Ebben, cosa vi pare? (a Xanto)
XAN. Non capisco. (s'alza)
Talor che Menalippe
Brami la morte mia dubbio mi viene,
E talor parmi che mi voglia bene.
ESO. Eh signor, la commedia
Non è ancora finita. Andiamo innanzi,
E vedrete quel cor se è simulato.
CLOR. Signor padrone, siete risanato?
XAN. Sì, sto meglio per ora.
ESO. Sta meglio, è ver; ma v'è del dubbio ancora.
(Non fate che discopra
La menzogna costei. Venite meco:
Andiam subitamente,
Che
un'altra cosa mi è venuta in mente).
CLOR. Signor,
per carità,
Movetevi a pietà d'un'infelice,
Se
grazia dal padron sperar mi lice.
XAN. Sì, sì, non dubitate;
So che Leonzio amate,
E
so che Menalippe...
ESO. Eh via, tacete,
Se morir non volete. (a Xanto)
E voi, poter del mondo,
Non scaldate la testa a un moribondo. (a Cloridea)
XAN. Ah, pur troppo al cor mi sento
Una smania ed un tormento
Che davver morir mi fa. Sì, l'ingrata - dispietata
Nutre in sen l'infedeltà.
No, mi sento a dir dal core,
D'altra fiamma e d'altro amore
L'idol mio non arderà. Fra i pensieri titubando,
Vaneggiando - e delirando,
Non so dir cosa sarà.
Cieli, stelle, oh dei, pietà! (parte con Esopo)
SCENA UNDICESIMA
Cloridea sola.
Del filosofo il male
Parmi dubbioso ancor. Ma il duol ch'io sento
Per gelosia di Menalippe audace,
Pur troppo è nel mio sen certo e verace.
Viva Xanto o perisca,
Mi spaventa colei; ma pur chi sa?
Non è sol di viltà centro il cor mio;
Son schiava, è ver, ma ho del coraggio anch'io.
Ha la natura impressa
In ogni sen ragione,
E la natura istessa
Suol animare il cor. E quel timor che rende
Vile l'altrui coraggio,
D'ira talor s'accende
Se lo consiglia amor. (parte)
SCENA DODICESIMA
Esopo e Rapa
ESO. Vanne, il padron ti chiama;
Egli è nella sua stanza;
Quel che vuole da te tu sentirai,
E
il suo disegno secondar dovrai.
RAPA Andrò per obbedire
A quel che mi dà il pane, e far prometto
Quanto mai potrò fare,
Se una donna si tratta di burlare. (via)
SCENA TREDICESIMA
Esopo, poi Menalippe e Corina, poi Xanto e Rapa
ESO. Spero che Menalippe
Sia burlata e scoperta in questo dì Per salute di Xanto. Eccola qui.
MEN. Xanto dov'è?
ESO. Tacete.
COR. Che cos'è del padron?
ESO. Donne, piangete.
MEN.
COR.
ESO.
COR.
MEN.
ESO.
MEN.
COR.
ESO.
COR.
MEN.
ESO.
MEN.
COR.
ESO.
COR.
MEN.
ESO.
MEN.
COR.
ESO.
MEN. MEN. COR. ESO.
MEN.
ESO.
MEN.
ESO.
MEN.
COR. ESO.
MEN.
ESO. a tre
ESO.
} adue } atre
} adue } adue
} adue } adue } adue
} |
a due
Donne, donne, piangete, piangete!
Che disgrazia, che barbara sorte!
È venuta, è venuta la morte,
E mi sento le gambe tremar. Che cosa è avvenuto?
Che mai è accaduto?
Il core! - d'orrore Mi sento mancar.
Xanto è morto.
Non lo credo.
Morto è Xanto.
Già lo vedo,
Ci volete corbellar. Colà entrate, lo vedrete: Vi potrete - soddisfar.
Vuò sapere... - vuò vedere...
Me ne voglio assicurar. Poverino! - che destino!
Ah, s'è vero, - mi dispero.
Vi potrete soddisfar.
Me ne voglio assicurar. (entrano nella stanza)
Adesso si vedrà
Di lei la carità.
L'amore - che ha nel core
La sposa mostrerà.
Zitto, zitto. - Egli è fritto. (escono dalla stanza)
Più non vive: - siamo prive
Tutte due d'un seccator.
(Oh che donna di buon cor!) (da sé)
Non piangete?
Piangerò! Non è tempo?
Adesso no. Che pensate ora di fare? Un marito ritrovare, Che mi possa consolar. Questo è quel che dovrà far. Brava, brava! dite bene, E poi dopo lacrimar. Io Leonzio sposerò, E contenta viverò. Vi potete consolar. E chi è morto, morto sia. Si ha da stare in allegria, Non mi voglio disperar. Facciam presto il matrimonio; Ritroviamo il testimonio, E finiamola così.
COR. MEN. ESO.
XAN. RAPA
COR. MEN. XAN.
MEN.
XAN.
MEN.
ESO.
ESO.
XAN.
RAPA
MEN.
ESO.
COR.
ESO.
COR.
MEN.
ESO.
XAN.
RAPA
} |
a due
} adue } adue
} |
a tre
} adue } atre
Bravo, bravo!
Eccolo qui. Facciam pure il matrimonio. Noi saremo testimonio Della sua felicità.
Cosa vedo! cosa sento!
Son sicuro, son contento Della sua sincerità. Caro sposo. (a Xanto)
Via di qua. Caro Esopo.
Via di qua.
Oh, che bella fedeltà!
Ah, bugiardo! (ad Esopo) Dice a me? È un maliardo. (ad Esopo) Ma perché? Che rossore, - che rancore Quel briccon ci fa provar!
Che diletto - provo in petto Nel vederla a delirar!
TUTTI
Mondo, mondo! - Mi confondo. Tutti cercan di burlar.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Xanto.
Cloridea, Leonzio e Merlina
MERL. Sì signore, lo dico e lo mantengo:
Cloridea, poverina, D'Atene è cittadina. Il padre è morto;
E la sua mamma, in povertà venuta, Per non farle le spese l'ha venduta.
LEON. Da Cloridea medesima
Tutto ciò mi fu detto; e poi si vede Ch'ella è gentil, ma il suo padron nol crede.
CLOR. Xanto non è che opponga
Alla mia libertà, ma Menalippe,
Per gelosia tiranna
O pur per avarizia,
Fa che Xanto commetta un'ingiustizia.
LEON. Ma io pronto ho esibito
L'opportuno danar per liberarvi,
E il riscatto il padron non può negarvi.
MERL. Al padrone io medesma ho palesato
Di Cloridea lo stato; Esopo ancora L'ha detto alla signora, ed ho sentito Che Xanto a Cloridea vuol dar marito.
LEON. Dunque, per quel ch'io sento,
Sarà mia Cloridea.
MERL. No, padron mio.
LEON. Chi la può contrastar?
MERL. La voglio io.
CLOR. Sì, Merlina diletta,
Sarò tua, non temer. Leonzio, è vero,
Sposo mio diverrà; ma nel mio petto
Sempre avrà l'amor tuo la preferenza. (a Merlina)
(Compatire convien la sua innocenza). (a Leonzio)
LEON. Anzi mi sarà caro,
Che tu segua ad amarla. (a Merlina)
MERL. Se è così,
Siatele pur marito, e se volete Ch'io sia contenta delle gioie sue, Maritar ci potete tutte due.
CLOR. No, cara, non conviene;
Se il bene ch'io godrò goder ti preme, Trova uno sposo, e viveremo insieme.
MERL. Sì, sì, lo troverò. Rapa mi ha detto
Che era di me bramoso: Se me lo torna a dire, oggi lo sposo.
SCENA SECONDA Esopo e detti.
ESO. Ragazzi, allegramente:
Il padrone acconsente,
Forse per far dispetto a Menalippe,
Se davvero vi amate,
Che
alla presenza mia vi maritiate.
LEON. Posso
crederti?
ESO. Io dico
La pura verità:
Fatelo,
ed il padron l'approverà.
CLOR. Il dubitarne è vano:
Porgetemi la mano.
ESO. Io sono il testimonio.
LEON. Ecco la destra. (Dà la mano a Cloridea)
ESO. È fatto il matrimonio.
LEON. Giunto è il dì fortunato.
CLOR. Oh giorno d'allegrezza!
LEON. Oh dì beato!
Idolo mio diletto,
Stringer ti posso al seno.
Più non mi cruccio e peno,
Sento
brillarmi il cor.
CLOR. Caro mio dolce affetto,
Stringerti al sen mi lice:
Tu renderai felice
Il
mio costante amor.
LEON. Vieni, mio ben.
CLOR. Son teco.
LEON. Amami.
CLOR. Il cor t'adora.
a due Non ho provato ancora
Tante dolcezze e tante.
Stelle! che lieto istante!
SCENA TERZA Merlina ed Esopo MERL. Voglio andare ancor io. ESO. Fermati. |
Che fortunato ardor! (partono)
MERL. Oh bella!
Vuò andar con Cloridea.
ESO. Ferma. Sei pazza?
Non dee andare alle
nozze una ragazza.
MERL. Dunque come ho da far per star
con lei?
ESO. Maritati ancor tu.
MERL. Con chi?
ESO. Con Rapa.
Eccolo ch'egli viene.
MERL. Sì, sì, lo sposerò, s'ei mi vuol
bene.
SCENA QUARTA Rapa e detti.
RAPA Bravo Esopo davvero! il tuo cervello
Fece toccar con mano
Che di donna
all'amor si crede invano.
ESO. Tutte
però non sono
Di un medesimo cor. Vedi Merlina,
Innocente, buonina.
Se tu la sposerai,
Malizia
nel suo cuor non troverai.
MERL. Malizia! signor no:
Parlo
sincera e fingere non so.
RAPA Mi vuoi bene?
MERL. Un pochino.
RAPA Ma io, se mi marito,
Voglio
tutto l'amor della mia sposa.
MERL. Tutto,
tutto poi no.
RAPA D'amare un altro
Avresti per l'idea?
MERL. Voglio amare lo sposo e
Cloridea.
ESO. Senti? Che bella cosa
Trovare una fanciulla
Innocente così come costei!
Credimi, la natura,
Dopo che questa giovine ha prodotto,
Per disgrazia del mondo il stampo ha rotto.
Non si trovano al mondo oggidì Delle femmine fatte così. Tutte bramano far le signore, Tutte vogliono far le dottore, E per solito sanno ingannar, E ci sogliono far disperar. (parte)
SCENA QUINTA
Merlina, Rapa, poi Corina
MERL. Oh, io non son di quelle.
RAPA Sì, lo vedo;
Siete una buona giovane, ma temo Che la vostra bontà Pecchi un po' troppo di semplicità.
MERL. Provatemi.
RAPA E in che modo?
COR. (Esce, e sente)
MERL. Vostra sposa
Fatemi per un mese, E quando il mio costume non vi piace, Ditemi allor ch'io me ne vada in pace.
COR. Brava! bei sentimenti
D'una ragazza onesta! (a Merlina)
Dica, signor, che bella moda è questa? (a Rapa)
RAPA (Ora sono imbrogliato). (da sé)
MERL. Che pretende
Questa cara signora?
COR. Mel domandate ancora?
Rapa dev'esser mio.
MERL. Rapa per questa volta lo vogl'io.
RAPA Grazie, signore mie; per verità,
Due donne in competenza Veder per mia cagione io non son uso, E le finezze lor mi hanno confuso.
COR. Presto, venite qui.
MERL. Con me venite.
RAPA Non facciamo una lite.
Per me vi parlo schietto: Da vostro buon amico e servitore, Prenderò quella che mi par migliore.
Ha ciascheduna le grazie sue, Voglio far stima di tutte due; Ma se fra loro vi è differenza, Con sua licenza scoprir io vuò.
MERL. Farò di tutto per compiacervi.
COR. Sarò capace di mantenervi.
MERL. Non son stizzosa.
COR. Non son gelosa.
a due Quel che volete per voi farò.
RAPA Una fortuna - sarebbe ognuna,
Ma non so dire né sì, né no.
COR. Che far pensate
Con quella pazza?
MERL. Non v'intricate
Con quella razza.
COR. A me, insolente?
MERL. Non temo niente.
COR. Che ignorantella!
MERL. Che sfacciatella!
COR. MERL. a due
RAPA
COR.
MERL.
COR.
MERL.
COR.
MERL.
RAPA
MERL.
RAPA
COR.
RAPA
COR.
MERL.
COR.
RAPA
a tre
RAPA
MERL.
RAPA
MERL.
RAPA COR.
MERL.
COR.
MERL.
RAPA
a tre
COR.
MERL.
RAPA
} adue } adue
} |
a due
} |
a due
Che gran signora! Che gran dottora! Con più rispetto Parlate a me. Care, carine, Siate bonine. Non vi scaldate... Ma cosa c'è?
son
la prima.
Mi diè parola.
M'ha da sposare.
M'ha da pigliare.
Sì, mia signora.
Signora no.
Ma questa lite
Chi ha decidere?
M'ho da dividere?
Ciò non si può.
Orsù via, facciam così:
Sposo suo siate la sera,
Sposo mio sarete il dì.
Che grazioso aggiustamento!
Sì signori, mi contento.
(L'innocenza ho già capito).
Voi sarete mio marito.
C'intendiam. Dirò di sì. (accennando Corina che sarà suo)
Va benissimo così.
La mia mano a lei presento. (a Merlina, e dà la mano a Corina)
Ed a me cosa si dà?
Un grazioso complimento
Per il giorno basterà.
Sono allegra, son sposata;
Col marito accompagnata
Cloridea mi rivedrà.
Che piacere, che diletto!
Altro amor, te lo prometto,
Nel mio cor non arderà. (fra loro due)
Sposo mio.
Non per la sera. Vostra son.
Per innocenza. La sentenza va così.
mio sposo è questo qui.
La mia sposa è questa qui. (a Corina, e partono)
SCENA SESTA
Sala in casa di Xanto. Xanto ed Esopo
ESO. Grazie, padrone, della libertà
Che mi avete donata.
XAN. Tu te l'hai guadagnata.
Chiaro veder m'hai fatto Che fui finor nell'amor mio schernito, E dalla malattia sono guarito.
ESO. Guarito veramente?
XAN. Guaritissimo.
ESO. E siete costantissimo
Di non crederle più?
XAN. Te lo protesto.
ESO. E di mandarla via?
XAN. Sì, presto presto.
ESO. Bravo! se lo farete,
Filosofo davver comparirete.
Ma se cedete alla passione il cuore,
Sarà Filosofia vinta d'Amore. (parte)
SCENA SETTIMA Xanto, poi Esopo
XAN. Sì, sì, son risoluto:
Il vero ho conosciuto.
Menalippe mendace ognora fu:
Vada l'ingrata; io non la voglio più.
Ma senza il mio tesoro
Come viver potrò? Povero Xanto!
Oimè, son disperato.
Son filosofo, è ver; ma innamorato.
Eh, coraggio vi vuole.
Non facciam più parole.
Ella sen vada
Lungi da questo tetto,
E la filosofia vinca l'affetto.
ESO. Signor, forti all'assalto.
Menalippe sen vien.
Per guadagnarvi,
In uso metterà l'ingegno e l'arte;
Io, se vaglio per voi, sarò in disparte.
SCENA OTTAVA Xanto, poi Menalippe, ed Esopo in disparte.
XAN. Ahi, che fiero cimento!
Già cominciar mi sento
I palpiti del cuore.
Ma
no, voglio mostrare il mio valore.
MEN. (Povera Menalippe!
Barbaro crudo fato!
Leonzio è maritato,
Xanto da sé mi scaccia:
Non
so quello ch'io pensi, o quel ch'io faccia).
XAN. (Oimè, che s'io la guardo,
Bella mi sembra ancora,
E
mi sdegna in un tempo e m'innamora).
MEN. (Non veggo altro rimedio
Che tentar nuovamente il cor di Xanto.
Userò per placarlo arte e natura,
Ma
di vincerlo poi chi m'assicura?)
XAN. (Discacciarla vorrei, ma se le
parlo,
Se mesta mi risponde,
Si perde e si confonde
L'afflitto cor di quelle luci al raggio).
ESO. (Via, coraggio, padrone). (a
Xanto, non veduto da Menalippe)
XAN. (Sì, coraggio).
Sposa infida, sposa ingrata,
Ho scoperto il vostro cor.
Da me siete licenziata,
E
fia giusto il mio rigor.
MEN. Poverina! sfortunata!
Mi ha tradita un mentitor.
Son da tutti assassinata,
Non resisto al mio
dolor.
XAN. Vostro danno, il meritate.
MEN. Caro sposo.
XAN. Eh, m'ingannate.
MEN. Questo pianto rimirate,
Che sugli occhi vien
dal cor.
XAN. (Ahi, quel pianto mi tormenta,
Par ch'io senta - un batticor).
(Esopo
di lontano incoraggisce Xanto)
MEN. Deh, movetevi a pietà.
a due (All'incanto di un bel pianto
Chi
resistere potrà?) (ognun da sé)
MEN. Non son più quella
Sposina bella
Del mio carino
Dolce sposino,
Che mi diceva:
«Con quegli occhietti,
Così furbetti,
Tu m'hai ferito
Nel seno il cor».
XAN. (Ah, per resistere
Non ho valor).
MEN. Caro tesoro,
Sento ch'io moro;
Se mi lasciate,
Se mi scacciate,
Dolente e misera
Io morirò.
XAN. (Ahi, che resistere
Più non si può). (da sé)
Siete pentita?
MEN. Sì, mio tesoro.
Sento ch'io moro
Per
l'allegrezza.
XAN. (Tanta dolcezza
Perder non so).
MEN. (L'ho guadagnato). (Esopo
rimprovera Xanto in disparte)
XAN. (Sono imbrogliato).
MEN. Fatta è la pace?
XAN. Siete mendace.
MEN. Siete volubile
Peggio
di me.
XAN. Se son volubile,
Vi è il suo perché.
MEN. Ah, pur troppo indegna sono
Della grazia, del perdono,
Ma la man vi vuò baciar.
XAN. La mia mano?... No, non voglio.
(Esopo gli fa cenno di no)
MEN. Parto dunque...
XAN. Aspetta un poco.
(Ahi nel sen mi sento un foco:
Ho paura di crepar).
MEN. Caro sposo, io partirò,
E mai più non vi vedrò.
XAN. No, mia cara, non partir,
Che
mi dai troppo martir.
MEN. Sarò vostra?
XAN. Sarai mia. (Esopo lo rimprovera)
(Non val più Filosofia,
Se
comanda il dio d'Amor). (verso Esopo)
MEN. (Ai filosofi prevale
D'una
femmina il valor). (da sé)
a due Nel mio core - sento amore,
Che mi dice: - «Sei felice;
Quel ch'è stato, stato sia».
Dolce, cara gioia mia,
SCENA NONA |
Tu m'hai fatto giubilar. (partono)
Stupite, ed ammirate
Una donna che rese un uom vigliacco,
E la Filosofia pose in un sacco.
TUTTI
Evviva, cantiamo Quel nume bambino, Che Xanto meschino Trafisse nel cor.
Quest'alma contenta,
LCELOONR.. } adue CChanetlaireetamriagspioronan,a
Le laudi d'Amor. Amore è quel foco,
RCAOPRA. } adue CAhmeosrceaèlduanodginleitptoetto,
D'ogni
altro maggior.
MERL. Amante perduta
Non son di nessuno: Ma un poco per uno Vi dono il mio cor.
XAN.
MEN.
SCENA ULTIMA Xanto, Menalippe e detti.
Ah figliuoli, compatite La disgrazia del padrone: Filosofica ragione Non mi valse a riparar.
Gran disgrazia, poverino! Via, non fate più lunari, Che una giovane mia pari Potrà farvi consolar.
TUTTI
Viva, viva il dio d'Amore, Che ha saputo con valore Il filosofo incantar. Imparate, miei signori, Che i filosofi, i dottori, Che i sapienti, che gli eroi Son soggetti come noi Colle femmine a cascar.
Fine del Dramma.