Filosofia ed amore

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FILOSOFIA ED AMORE

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo P. A., da rappresentarsi nel Teatro Giustinian di

S. Moisè il Carnovale dell'Anno .

PERSONAGGI

PARTI SERIE

CLORIDEA schiava di Xanto.

La Sig. GiuseppaBigiogera. LEONZIO scolaro di Xanto.

La Sig. Perin Corani.

PARTI BUFFE


XANTO filosofo.

Il Sig. Pietro Bigiogero. MENALIPPE sua moglie.

La Sig. Serafina Penni. RAPA ortolano.

Il Sig. Domenica Occhiluppo. CORINA serva di Menalippe.

La Sig. Francesca Mucci. MERLINA schiava.

La Sig. Teresa Tiocchi. ESOPO schiavo.

La Scena si rappresenta in Samo.

Il Sig. Pietro Leonardi.


La Musica e del Sig. Florian Gazman.
BALLERINI
Il Sig. Giuseppe Forti.               La Sig. Giacomina Bonomi.

Il Sig. Vincenzo Galleotti,       La Sig. Giuditta Pasqualini.
Il Sig. Francesco Marinelli.    La Sig. Angela Badj.
Il Sig. Giovanni Marchesini    La Sig. Agata Ventre.
Il Sig. Matteo Forti.                   La Sig. Marianna Ciriati.

Li Balli sono d'invenzione e direzione del Sig. Giuseppe Forti.


MUTAZIONI DI SCENE

ATTO PRIMO Giardino. Camera.

Per il Primo Ballo. Campagna con padiglioni.

ATTO SECONDO Camera. Cortile.

Per il Secondo Ballo. Campagna aperta.

ATTO TERZO Camera. Sala.

Le suddette Scene sono d'invenzione e direzione del Sig. Girolamo Mauro.


ATTO PRIMO


SCENA PRIMA

Giardino.

Cloridea, Leonzio, poi Menalippe

CLOR. LEON.

MEN.

Dolce amor, te solo invoco
Testimon del nostro foco.
} adue   Opratu,chenoninvano

Questo cuore e questa mano Pegno sia di vera fé. Bravo, bravo! brava, brava! Lo scolaro colla schiava Si diverte? Così è; Ma l'avrete a far con me.

Mi rallegro con voi di tutto cuore.

Che giovani garbati!

Son ambi innamorati;

E s'unirian, senz'altro testimonio,

La schiava e lo scolaro in matrimonio.
CLOR.                   Menalippe, pietà.

LEON.                                                Pietà, signora.

MEN.                     Me la chiedete ancora?

No, che pietà non c'è.

Disgraziati, l'avrete a far con me.

Una schiava comprata

A denari contanti (a Cloridea), uno scolaro

Del filosofo Xanto (a Leonzio)

Ardiscono cotanto? Io, di Xanto la sposa,

Comando a tutti due,

Con quel poter che ho dallo sposo mio.

Che andiate tosto.
CLOR.                   V'obbedisco. Addio. (a Leonzio)

Parto per obbedirvi. (a Menalippe) Resta con te il mio cor. (a Leonzio) (Tu mi proteggi, Amor, Nume sovrano).

Meco non siate austera. (a Menalippe) Caro, non mi lasciar. (a Leonzio) (Ch'io non lo voglia amar Si spera invano). (da sé, e parte)

SCENA SECONDA


Menalippe e Leonzio

LEON.                   Vado anch'io, mia signora.

MEN.                                                                No, fermate.

Dunque così studiate?

Mentre fuor di paese è il precettore,

State voi colla schiava a far l'amore?
LEON.                   Veramente confesso

Che amar non mi dispiace...
MEN.                     Una più degna face

Arder vi veggo in petto,

E pietosa m'avrete al vostro affetto.
LEON.                   Cloridea non è vile.

MEN.                                                    È una mia schiava.

LEON.                   È ver, ma i suoi natali

Sono incogniti ancora;

E quel che in lei si vede,

Che sia nobile nata a noi fa fede.
MEN.                     Costei, qualunque siasi,

Da noi la scaccierò.

Voi l'adorate, ed io la venderò.
LEON.                   Ma perché mai?

MEN.                                                Perché...

Il perché lo so io.

Vecchio è lo sposo mio;

E poi la fé gli ho data,

Ma non son maritata. Egli potrebbe

Pentirsi, abbandonarmi,

O morire e lasciarmi.

Quando sola restassi...

E s'io giungessi a questo passo amaro...

Consolarmi potrebbe un suo scolaro.
LEON.                   Cose lontane troppo

Voi ravvolgete in mente...
MEN.                                                                È ver, ma quando

Lo volesse il destin, dite, Leonzio,

SCENA TERZA

Menalippe, poi Corina

MEN.                     Stanca son di soffrire

Un amante noioso, Filosofo, seccante e fastidioso; E se volesse il fato Trarmi una volta da cotanti guai, Questo scolar mi piacerebbe assai. Perciò di questa schiava, Che nel seno di lui destato ha il foco,

L'affetto mio non gradireste allora?
LEON.                   Lungi siam noi; non vi rispondo ancora. (parte)


Nemica son per gelosia non poco.
COR.                     Oh, signora padrona,

Buone nuove.
MEN.                                           Che c'è?

COR.                                                          Torna il padrone.

MEN.                     Non me n'importa un fico:

Quando torna, per me torna un intrico.
COR.                     Ha comprato di nuovo

Un'altra schiava ed uno schiavo ancora.
MEN.                     Lo schiavo è bello almen?

COR.                                                                 Non l'ho veduto,

Ma vuò sperare che bellino ei sia,

E che mi tenga buona compagnia.
MEN.                     Bada ben; s'è vezzoso,

Tu non l'hai da mirar.
COR.                                                       Oh, bella affé!

Tutto, tutto per voi, niente per me?

Lo scolar non vi basta?
MEN.                                                           E tu non sei

Di Rapa giardinier tenera amante?
COR.                     È ver, l'amo costante;

Ma se procuro anch'io d'averne un paro,

Dalla padrona a regolarmi imparo.
MEN.                     Basta... basta... vien Xanto.

SCENA QUARTA Xanto e dette.

XAN.                     Si chiama e si richiama,

Ed alcun non si vede.
MEN.                                                       Eccomi qui.

XAN.                     Vorrei che foste dove nasce il dì.

MEN.                     E voi, senz'altre fole,

Vorrei che andaste dove muore il sole.
COR.                     Bravi, bravi, mi piace:

Così lontani vivereste in pace.
XAN.                     Dopo tre dì ch'io manco,

Così la cara sposa,

Da me fatta padrona in queste soglie,

Mi viene incontro, ed il suo sposo accoglie?
MEN.                     Ah, di tre giorni il giro

Come presto è passato!
XAN.                     Ben trovata, signora.

MEN.                                                       Oh! ben tornato.

COR.                     Dopo che per tre giorni

Stati siete lontani,

Via, di buon cor, toccatevi le mani.
MEN.                     Oh, non importa, no.


Il mio tormento or viene.
COR.                     (Oh, questi due si vogliono il gran bene!) (da sé)


XAN.                                                       No, non importa.

MEN.                     Già ci vogliamo ben senz'altri fatti.

COR.                     Che maniera gentil! Che amor da gatti!

XAN.                     Ho comprato uno schiavo ed una schiava.

MEN.                     Lo schiavo è bello almeno?

XAN.                                                                Anzi è bellissimo.

Il gusto esquisitissimo

Di lei mi è noto, a belle cose avvezza; (ironico)

Ho comprato un Narciso, una bellezza.
MEN.                     (Son curiosa davver). Dov'è?

XAN.                                                                     Corina,

Presto, dite allo schiavo

Che, senza altra dimora,

Venga a baciar la mano alla signora.
COR.                     Dov'è?

XAN.                                 L'ordine mio

Fuor nella sala aspetta.
COR.                     Glielo dirò; corro a chiamarlo in fretta. (va per partire, poi torna)

Ehi, signore, una parola. (a Xanto) (La padrona... non vorrei... Tutti i schiavi vuol per lei... Non mi state a palesar). (piano a Xanto) (Gli dicevo della schiava Che Leonzio vuol amar). (piano a Menalippe) (La signora è innamorata Del scolaro, ed or vorria Collo schiavo amoreggiar). (piano a Xanto) Questi amori, miei signori, Voi dovete rimediar. (forte) (Non mi state a palesar). (piano a Xanto, indi parte)

SCENA QUINTA Xanto e Menalippe

XAN.                     (Di Leonzio scolaro

Menalippe graziosa è innamorata?) (da sé)
MEN.                     (Ho piacer che Corina

A Xanto abbia svelato

Leonzio della schiava innamorato). (da sé)
XAN.                     Dunque lo scolaretto

Le sue fiamme coltiva in questo tetto? (a Menalippe)
MEN.                     Non avete sentito?

XAN.                                                  Sì, ho sentito.

E voi lo confermate?
MEN.                     Ho piacer lo sappiate.

XAN.                                                         Anche di più?

MEN.                     Se poco è quel che fu,

Potete preveder quel che sarà.
XAN.                     Brava, signora sposa, in verità!


Son filosofo, è vero;

Non mi prendo pensiero

Di certe coserelle,

Ma queste poi mi toccano la pelle.
MEN.                     Chi è colui che ora viene?

XAN.                     Lo schiavo che ho comprato.

MEN.                     Quel mostro sciagurato

Soffrir deggio vedere a me vicino?
XAN.                     Eh sì sì; lo scolaro è più bellino.

MEN.                     (Diamine! non vorrei...) Che importa a me

Che Leonzio sia bello,

S'egli ama Cloridea?
XAN.                     (Quanto si scusa più, più si fa rea). (da sé)

SCENA SESTA

Esopo e detti.

XAN.                     Vieni, Esopo, t'avanza.

ESO.                      Eccomi qui, signore.

Ma fatemi un favore,

Questa donna chi è?
MEN.                                                    Brutto villano,

Questa donna si dice a una mia pari?

Son di Xanto la sposa, e voi, signore, (a Xanto)

O cacciatelo via,

O ch'io lo fo saltar con un bastone.
ESO.                      Presto, signor padrone,

Cacciate via uno schiavo

Vile, come son io, brutto e meschino;

La padrona ne vuole un più bellino.

E sapete il perché? Lo dirò io.

Perché, padrone mio,

Vogliono certe tali

Che supplisca talvolta al loro umore,

Dove manca il padrone, il servitore.
XAN.                     Bravo, Esopo, bravissimo!

MEN.                                                                Il lodate? (a Xanto)

Ancor gli dite bravo?

Veramente di voi degno è lo schiavo.
XAN.                     Via, via, signora sposa,

Non trattate il meschin con tanta asprezza,

Che anzi la sua bruttezza

Più risaltar farà

La vostra vezzosissima beltà.
MEN.                     Voi mi schernite, indegno,

Per mettermi in impegno

D'andarmene lontan da' muri vostri,

Per viver quieta ed isfuggir due mostri.
XAN.                     Parla, Esopo, rispondi

A lei che pieno ha di veleno il gozzo.


ESO.                      Cosa ho da dir? Gettatela in un pozzo.

MEN.                     Temerario, così...

XAN.                                                  Dicesti bene.

Disfarmene dovrei prima d'un'ora; (a Esopo) Ma quel volto mi piace, e l'amo ancora.

ESO.                      Voi filosofo siete? Come può darsi mai

Che uniscansi fra loro in armonia Amor di donna e di filosofia?

MEN.                     Sciocco! che pensi tu che sia la donna?

ESO.                      Che cosa sia non so,

Ma quel che dire intesi

Della femmina un giorno, anch'io dirò.

Del caval la bizzarria Suol domarsi con lo sprone, E la donna col bastone La perfidia suol cangiar.

Non vi state a riscaldar. (a Menalippe) Delle triste sol ragiono; Ma le buone quante sono? Mia signora, in verità, L'un per cento non si dà! (parte)

SCENA SETTIMA Xanto e Menalippe

MEN.                     Una di queste due, padrone mio:

O via colui, o me ne vado io.
XAN.                     Ne parleremo poi.

MEN.                                                  Parliamo adesso.

Rispondetemi a tuono.
XAN.                     Ora impegnato sono.

Deggio andar alla scuola.
MEN.                                                              Signor no.

O risolvete, o non vi lascierò.
XAN.                     Fra poco... (volendo partire)

MEN.                                      Non v'è caso;

Non voglio che partiate,

Se di scacciar colui non v'impegnate.
XAN.                     Lo scaccierò... (come sopra)

MEN.                                             Che mi burliate io dubito.

Voglio che lo scacciate adesso subito.
XAN.                     Ma non ho tempo...

MEN.                                                    Il tempo è bello e buono.

XAN.                     Ma di voi stanco sono.

MEN.                     Tant'è, voglio così; non replicate.

XAN.                     Eh, lasciatemi andar; non mi seccate.

(Canta l'aria sempre in atto di partire, trattenuto da Menalippe)

Che impertinenza è questa?


Dico ch'io voglio andar. Mi parlerete poi... Quel che volete voi... Ma se v'ho già capito. M'avete omai stordito... Basta; non vuò sentire... Eh, che non vuò impazzire... Sia maledetto il giorno Che mi veniste intorno: No, non ne posso più. (parte)

SCENA OTTAVA

Menalippe sola.

Questo mancava ancora:

Che mi venisse in casa,

Oltre l'odiato sposo,

Un altro ceffo impertinente, odioso.

Ma so ben io quel che farò; se a Xanto

Questo bel schiavo è caro,

Io mi vendicherò collo scolaro.

Già lo so che il filosofo

Ha per me dell'affetto,

E vuò far quel che voglio a suo dispetto.

Noi altre femmine

Siam fatte a posta

Per far degli uomini

Crepar il cor. Se ci patiscono,

Noi facciam peggio.

Se si disperano,

Godiamo allor. Se ci rispondono,

Noi siamo l'ultime;

E se ci ammazzano,

Parliamo ancor. (parte)

SCENA NONA

Camera. Rapa e Corina

RAPA                    Sì sì, per dir il vero,

È il padron di buon gusto.

In Esopo davver comprò un bel fusto!

COR.                     Certo ch'ei non è bello,


Ma ha tanto buon cervello;

È tanto astuto e destro,

Che di filosofia pare un maestro.
RAPA                    Come lo sai?

COR.                                           Lo so, perché ho sentito

Come colui ragiona. Mel disse la padrona,

Lo dicon da per tutto,

Che di spirito è bel, se il viso ha brutto.
RAPA                    Dunque, per quel ch'io sento,

Corina, del suo spirto innamorata,

Quasi quasi di me s'è già scordata.

Ma però mi consolo,

Che avrò il modo ancor io di vendicarmi.
COR.                     Come? Vuoi tu lasciarmi?

RAPA                                                             Sto a vedere

Quello che tu sai far; poi colla schiava,

Che il padron questa mane ha qui condotta,

Saprò fare di te la mia vendetta.
COR.                     Eh, di quella fraschetta

Soggezione non ho. So ch'è una sciocca,

So che non apre bocca

Che non dica per uso una sciocchezza.
RAPA                    È un gran pregio però la giovinezza.

COR.                     Ed io non sono forse

Giovine quanto basta? E mi vorresti

Porre di quella stolida al confronto?

A me codesto affronto?
RAPA                                                        E in faccia mia

Vuoi Esopo lodare a mio dispetto?
COR.                     Voglio dir quel ch'io voglio.

RAPA                                                                 Ed io pretendo

Amar chi più m'alletta.
COR.                     Ecco la tua diletta:

Amala, disgraziato.

Ti lascio in libertà.
RAPA                                                   Corina mia,

SCENA DECIMA

Rapa, poi Merlina

RAPA                    Godo che ci patisca. Imparerà

Lodare in faccia mia Un altro oggetto, e darmi gelosia. Per altro colla schiava Io non saprei che farmi: Semplice è un poco troppo, e a lei non bado. Le frutta e i fiori a coltivare io vado. (s'avvia al fondo del giardino)

Teco volli scherzar.
COR.                                                       Voglio andar via. (parte)


MERL.                              Poverina, ho già perduta

La mia cara libertà. Sono schiava, son venduta, E servir mi converrà.

RAPA                    Sento che si lamenta.

Ascoltiamo che dice. (accostandosi un poco)
MERL.                                                    Oh poverina!

Son tanto tenerina;

Se faticar mi fanno,

Resister non potrò sicuramente;

E poi non so far niente.
RAPA                                                        Ehi, quella giovane.

MERL.                   Oimè! cosa volete? (con timore)

RAPA                    Dite, che nome avete?

MERL.                   Merlina è il nome mio.

RAPA                    Siete greca voi pur?

MERL.                                                  Greca son io.

RAPA                    Avete mai servito?

MERL.                                                Signor no.

RAPA                    Or dovrete servir.

MERL.                                                Mi proverò.

RAPA                    Cosa sapete far?

MERL.                                             So camminare,

So mangiar, so vestirmi,

So pianger quando ho male,

So rider se bisogna, e di buon core,

Se qualcun mi vuol ben, so far l'amore.
RAPA                    (Bella semplicità!)

Dite la verità: foste finora

Di molti innamorata?
MERL.                                                    Oh sì, signore:

Ho amato in una volta

Più di dieci persone.
RAPA                                                      Brava, brava!

E tutti giovanotti?
MERL.                                                Oh, signor no.

Chi amai ve lo dirò.

Ho amato mio fratello,

Che è tanto, tanto bello,

E mio padre, e mia madre,

E mio nonno, e mia nonna,

E quella buona donna

Della balia Graziosa,

E fu la mia amorosa

Nicandra mia cugina,

Cloridea, Floridaura, e ancor Barsina.
RAPA                    (È innocente davvero). Vi ho sentito

Fra tante e tante donne

Cloridea nominar.
MERL.                                                Povera figlia!

Stata è anch'ella venduta

E non l'ho più veduta; e tanto, tanto


Bene ci volevam, che sempre ho pianto.
RAPA                    Il padrone ha comprata

Una che appunto Cloridea è chiamata:

Se sia quella non so.
MERL.                   Io la conoscerò. Volesse il cielo,

Che fosse quella che cotanto ho amata!

Vorrei che fosse la mia innamorata.
RAPA                    Ma ditemi, di grazia:

Amar voi non sapreste

Un uomo, e che non fosse

Né fratel, né cugino?
MERL.                   L'amerei, s'egli fosse un po' bellino.

RAPA                    Per esempio, s'io fossi

Invaghito di voi, non mi amereste?
MERL.                   Signor no.

RAPA                                     Perché no? Che scusa avete

Per non volermi amar?
MERL.                                                       Non mi piacete.

RAPA                    Davver?

MERL.                                 Vi parlo schietta.

RAPA                                                               Ed io vi dico:

Non me n'importa un fico. La bellezza

Senza spirito e brio poco s'apprezza.

Il pregio non curo D'incolta beltà; Più gusto mi dà Quel vezzo, quel brio, Che piace al cor mio: Due sguardi furbetti, Due bei sorrisetti, Un volto che ad arte Più bello si fa. Non merita affetto Chi amare non sa. (parte)

SCENA UNDICESIMA Merlina, poi Leonzio

MERL.                   Io non so che si dica, e non m'importa

Di saperlo nemmen. Vorrei vedere Se la mia Cloridea qui si ritrova. E se la cara amica

Si presenta di nuovo agli occhi miei, Voglio far all'amor solo con lei.

LEON.                   (Menalippe per tutto

Mi segue ed importuna; ed io sospiro Veder l'idolo mio). (da sé)

MERL.                                                (Che bel signore!

Questo mi piaceria più di quell'altro.


S'ei mi volesse bene,

Forse ne avrei conforto;

Ma alla mia Cloridea non vuò far torto).
LEON.                   (Chi è costei? Non mi pare

Di averla più veduta).
MERL.                   (Mi guarda attentamente.

Quasi gli parlerei; ma non ardisco).
LEON.                   Giovinetta gentil.

MERL.                                             La riverisco.

LEON.                   Siete voi forestiera?

MERL.                                                  Io non lo sono.

LEON.                   Siete voi nata in Samo?

MERL.                                                         Signor no.

LEON.                   Perché dunque mi dite

Non esser forestiera?
MERL.                                                    Oh quest'è bella!

Nel paese, signor, dove son nata,

Forestiera nessun mi ha mai chiamata.
LEON.                   (È innocente, al vedere).

MERL.                                                         E voi chi siete?

LEON.                   Uno scolaro io sono

Del filosofo Xanto.
MERL.                                                  E che imparate?

LEON.                   Filosofici arcani

M'insegna il precettore;

Ma una scienza miglior mi detta Amore.
MERL.                   Oh, oh, di questa scienza

Me n'intendo ancor io.
LEON.                                                       Voi pure amate?

MERL.                   Sì signor, per servirla, e mi lusingo

D'essere fortunata,

Se qui ritrovo la mia innamorata.
LEON.                   Come? L'innamorata?

Siete uomo, o siete donna?
MERL.                                                              Oh quest'è bella!

Son donna, a parer mio.
LEON.                   Non vi capisco.

MERL.                                           E non v'intendo anch'io.

LEON.                   Ma chi cercate?

MERL.                                             Io cerco

Una donna vezzosa,

Bella come una dea.
LEON.                   E qual è il di lei nome?

MERL.                                                       È Cloridea.

LEON.                   Oh ciel! La conoscete?

MERL.                   La conosco sicuro:

Siam nate entrambe nel paese istesso,

Siam d'un medesmo sesso,

Siam della stessa età.

Ditemi s'ella è qui, per carità.
LEON.                   Cloridea qui si trova.

Ma chi sa poi s'è quella?
MERL.                   È vezzosa?


LEON.                                    È vezzosa.

MERL.                                                    È bella?

LEON.                                                                   È bella.

MERL.                   Dunque è quella senz'altro.

Affé, l'ho ritrovata.

Voglio vedere la mia innamorata.
LEON.                   Ma questa è l'amor mio.

MERL.                   Signor no, signor no; la voglio io.

SCENA DODICESIMA Menalippe e detti.

MEN.                     (Leonzio colla schiava

Nuovamente comprata?) (da sé)
MERL.                   Io sono innamorata,

E non posso soffrir la gelosia.
MEN.                     (Brava!)

LEON.                                  Della mia fiamma

Lagnar non vi potrete.
MEN.                                                       (Oh maledetto!)

MERL.                   Vuò che mi promettiate

Non amar Cloridea.
LEON.                                                  Vi do parola

Che sarete ambedue liete e contente.
MEN.                     Via di qua, impertinente. (a Merlina)

MERL.                   Oimé! cosa vi ho fatto?

MEN.                     Ben, ben, faremo i conti. (a Leonzio)

LEON.                   Pensate che con lei...

MEN.                                                       Giovin garbata,

Siete già innamorata? (a Merlina)
MERL.                   Sì signora.

MEN.                                      Sentite? (a Leonzio)

LEON.                                                Non di me...

MEN.                                                                     Dello scolaro

Siete voi l'amorosa?
MERL.                   Sono di lui gelosa.

MEN.                     Anche di più? Sentite? (a Leonzio)

LEON.                   Vi dirò la ragion...

MEN.                                                  Non vuò sentire.

Via di qua. (a Merlina)

MERL.                   Non mi fate intimorire.

Io non sono impertinente, Ma son tenera di cor; E ho imparato dalla gente Voler bene, e far l'amor.

Amerei ancora voi, Se non foste sì cattiva... Non gridate, - non mi date.


Sarò buona, - perdonate.

Son fanciulla di buon cor,

E mi piace a far l'amor. (parte)

SCENA TREDICESIMA

Leonzio, Menalippe, poi Cloridea

MEN.                     Bravo! due alla volta?

LEON.                                                       V'ingannate...

MEN.                     Eh, invano vi scusate;

Ho sentito, ho veduto.
LEON.                                                       Eppur credete...

MEN.                     Siete un bravo scolaro, e imparerete.

LEON.                   Questa è la prima volta...

MEN.                                                              Poverino!

La prima volta è questa

Che fa l'amor con due.

Badate ancora a me,

Che in questa guisa ne averete tre.
LEON.                   Se dir mi lascierete...

MEN.                                                         Eh, già lo so

Quel che dir mi vorreste. Nell'amare

Delle schiave la facile beltà,

Ci trovate minor difficoltà.
LEON.                   Lo dico e lo protesto,

Sono un giovane onesto.
MEN.                                                           Oh, oh, davvero,

Per le vie, per le piazze a dir si sente:

Quel povero Leonzio è un innocente!
LEON.                   Mi deridete a torto.

MEN.                                                    Affé di bacco,

Veggo là Cloridea dolente e sola.

Ehi, dico: una parola. (verso la scena)
LEON.                                                     E che volete?

MEN.                     Voglio quello ch'io voglio, e voi tacete.

CLOR.                   Eccomi ai cenni vostri.

MEN.                                                         Poverina,

Mi dispiace di darvi

Una trista novella:

Si è trovata Leonzio un'altra bella.
CLOR.                   Davver?

LEON.                                  Non lo credete...

MEN.                     Un temerario siete

Dandomi una mentita. Io l'ho sentito

Con la schiava novella

A favellar d'amore, (a Cloridea)

E negarlo vorrebbe il mentitore. (verso Leonzio)
CLOR.                   (Povera me!)

LEON.                                         Credetemi...

MEN.                     A lui non date fede.


In volto gli si vede

La malizia, l'inganno e il tradimento.

(Dalla rabbia ch'ho in sen, crepar mi sento).

Oh, guardate il bel soggetto

Che più donne vuol amar!

Vi vuol altro, poveretto,

Che languire e sospirar!

Non crediate ch'io ci pensi,

Che di voi non so che far. (a Leonzio) Quel bel fusto voi amate?

Ma da lui cosa sperate?

Ehi, sentite una parola:

Vi consiglio di star sola

Se di meglio non si dà. (a Cloridea)

Sguaiatello, via di qua. (a Leonzio, e parte)

SCENA QUATTORDICESIMA

Leonzio e Cloridea

LEON.                   Cloridea, non badate...

CLOR.                                                       Eh, non vi credo.

M'ingannate, crudele, io già lo vedo.
LEON.                   La schiava è vostra amica.

CLOR.                                                            Eh, cosa importa?

LEON.                   Ella del grado vostro

Può far testimonianza.
CLOR.                                                       Io son chi sono.

LEON.                   Vi domando perdono;

Seco parlate, e intenderete poi...
CLOR.                   Credere non vogl'io né a lei, né a voi. (parte)

SCENA QUINDICESIMA

Leonzio solo.

Misero me! da tutti

Schernito, abbandonato,

Che farò in tale stato? Ah, finalmente

Si saprà che son io fido e innocente.

Dalle nubi il sol lucente Qualche volta si scolora; Ma ritorna bello ancora, Dileguato il rio vapor;

Ed un'anima innocente, Se talora è calunniata, L'innocenza alfin provata,


Merta fede, acquista onor. (parte)

SCENA SEDICESIMA

Scuola di Xanto.

Xanto e vari Scolari seduti, che ascoltano la lezione; poi Esopo; e poi Corina, Rapa, Merlina e Menalippe

XAN.                     Abbadate, scolari,

A quel ch'io vi dirò,

E sapienti e felici io vi farò.

Ma Leonzio per anche

Non viene alla lezion? Quel ragazzaccio

Ha il cervello distratto in amoretti,

Ed in lui la ragion cede agli affetti.

Andatelo a chiamar. (Lo compatisco:

Anch'io sento nel core

Che l'umana ragion cede all'amore.

Lo so che Menalippe

Poco mi ama e moltissimo m'inquieta,

E pure all'evidenza

La passïon contrasta.

Filosofia non basta

A superar l'affetto,

E la deggio soffrire a mio dispetto).

Orsù, giacché ci siamo,

La lezione facciamo. State attenti,

E stampate nel cor tai sentimenti.
ESO.                      Signor, se si contenta,

Vorrei sentire anch'io.
XAN.                                                         Tu cosa sai,

Che studiato non hai?
ESO.                                                        Non ho studiato;

Ma uomo anch'io son nato, e la natura,

Madre comune e pia,

Insegna a tutti la filosofia.
XAN.                     È ver, da ciascheduno

Si suol filosofar. Ma gl'intelletti

Si ammaestran però con i precetti.
ESO.                      Anzi, con buona grazia,

Soglion le vostre scuole

I cervelli imbrogliar con cento fole.
XAN.                     Tu non sai quel che dici.

ESO.                      Io ve lo proverò.

XAN.                     Vuò dettar la lezione.

ESO.                                                        Ascolterò.

XAN.                                 È l'amore un certo foco

Che s'inoltra a poco a poco, Ed accende il nostro cor.


ESO.

XAN.

ESO.

XAN.

ESO.

XAN.

ESO.

XAN.

COR. XAN. COR.

XAN.

ESO.

XAN.

RAPA

XAN.

RAPA

ESO. XAN.

MERL.

XAN.

MERL. XAN.

MEN. XAN. MEN. XAN.

MEN. XAN. MEN. XAN.


}

}


a due

a due


Questo foco non accende, Se ad estinguerlo si attende Sul principio dell'ardor. Bravo, bravo, mi contento; Caro Esopo, a quel ch'io sento, Sei filosofo tu ancor. Sì signor, con questa mia Natural filosofia Mi ho diretto fino ad or. Seguitiamo la lezione. Son con voi, signor padrone. Più bel gusto non si dà. Chi ha talento, imparerà. Le passion con noi son nate, Ma nell'alme illuminate La ragion trionferà. Padron mio, con sua licenza. Via di qua, che impertinenza! Voglio dirvi, vuò avvertirvi, Che Merlina, - innocentina, È venuta a far l'amor.

Voi farete peggio ancor.

Ritorniamo alla lezione.

Io dicea che la ragione...

Con licenza, padron mio.

La lezione far vogl'io.

Questo schiavo, così bravo, (accenna Esopo)

Di Corina - graziosina

Ha d'amore acceso il cor.

Obbligato dell'onor.

Via di qua, sei mentitor.

La lezion vuò seguitar...

Io vi prego a perdonare,

Se vi vengo a disturbar.

La padrona mi vuol dare,

E mi ha fatto lacrimar.

Vonno farmi disperar.

Via di qua. (a Merlina)

Per carità. La lezion vuò seguitar. La ragione che è perfetta... Signor sposo...

(Maledetta!) Vi son molte novità. Eh, partite; via di qua. La ragione, io vi dicea... È una frasca Cloridea. La ragion comanda al core... Con Leonzio fa all'amore. E con voi che cosa fa? Deh partite, in carità. La ragione chi ha perduta...


MEN.

XAN.

MEN.

XAN.

MERL.

XAN.

RAPA

RAPA

COR.

MEN.

XAN.

ESO.

MEN.

COR.

MERL.

RAPA

XAN.

a quattro

XAN.

a quattro

XAN.

a quattro

XAN.


}

a due

} a

quattro


E la schiava ch'è venuta... La passion non vincerà. Fa l'amore in società. State zitta. La ragione... Non è ver, signor padrone. Ma tacete.

Sì signore.

Ancor essa fa all'amore.

Tutti quanti - son birbanti E scacciateli di qua. Che dispetto, che martire! No, non posso più soffrire, Andar via mi converrà. Ah filosofo padrone, Filosofica ragione Sopportar v'insegnerà.

Ascoltate quel che io dico.

Non v'ascolto, non m'intrico. Voglio dir la mia ragione. Vuò finir la mia lezione. Ma sentite.

Via di qua. Ma sentite, padron mio. Maledetti! anderò io. Non vi posso tollerar.

TUTTI

È finita la lezione, Più non giova la ragione. La natura, - che procura La passione superar, Qualche volta - divien stolta, E si vede a delirar.



ATTO SECONDO SCENA PRIMA

Camera in casa di Xanto. Xanto ed Esopo

XAN.                     Esopo mio, son disperato affé;

Più rimedio non c'è;

Menalippe m'inquieta, e il rio demonio

Mi vorria trappolar col matrimonio.

Viver procuro in pace,

A lei la guerra piace;

Il suo costume insano

Frenar procuro, e m'affatico invano.
ESO.                      Un carbonaio un giorno

Invitò in propria casa un nettapanni;

Ma questi disse a quello:

«Io verrò sporco, e tu non verrai bello».

Vuò dir che facilmente

Dal cattivo guastare il buon s'ha visto,

Anzi che il buon faccia migliore un tristo.
XAN.                     Dunque, che far degg'io?

ESO.                      Lasciate, padron mio,

Lasciate fare a me che vi prometto

Far che resti umiliata a suo dispetto.
XAN.                     Grande è l'impegno, amico.

ESO.                      E pur quel che vi dico

Da me si manterrà;

Ma voglio in premio la mia libertà.
XAN.                     Veggasi pria l'effetto,

Poi dartela prometto.

Se tu cambi una donna, affé, sei bravo;

SCENA SECONDA Esopo, poi Leonzio

ESO.                      Egli teme a ragion, perché non sa

Qual sia del mio cervel l'abilità.

LEON.                   Esopo, amico mio!

ESO.                      Leonzio qui?

LEON.                                      Sono scolaro anch'io.

Per seguir una bella, Da' genitori suoi venduta a Xanto, Lasciai la patria, e mi condussi alfine

Ma per questa ragion resterai schiavo. (parte)


Quella ch'io cerco ed amo

Schiava infelice a rintracciare in Samo.

ESO.                      È qui dunque?

LEON.                                         Sì, amico:

Il mio ben, la mia dea, Quella per cui sospiro, è Cloridea.

ESO.                      Il padrone lo sa?

LEON.                                              Credo lo sappia;

Ma all'amor mio s'oppone Strano desio di Menalippe ardita. Ella di me invaghita, Non sa quel che si faccia: Or mi tenta, or m'insulta ed or minaccia.

ESO.                      Ho piacer di saperlo;

Lasciate ogni spavento,

Ch'io m'impegno di farvi un dì contento.

LEON.                   Come?

ESO.                                   Non vuò dir come:

Quando tempo sarà, ve lo dirò. Farete a modo mio?

LEON.                                                  Sì, lo farò.

So che saggio voi siete, So che meco comun la patria avete. Di voi, amico mio, di voi mi fido, E col vostro favor la morte io sfido.

Frema pure il mar sdegnato, Minacciando stragi e morte; Anderò, da voi scortato, Le tempeste ad incontrar.

Colla speme e col consiglio Voi mi fate ardito e forte, Né saravvi alcun periglio Che mi faccia paventar. (parte)

SCENA TERZA Esopo, poi Menalippe

ESO.                      Questa è cosa opportuna al caso nostro.

Farò che quest'amore

Serva di mezzo... Basta... si può dare...

Eccola appunto. Vuò dissimulare.
MEN.                     (Vuò provar colle buone

Se mi riesce ingannar questo volpone). (da sé)
ESO.                      Buon giorno il ciel vi dia,

Bella padrona mia, gentil, garbata.
MEN.                     Sì, caro, al tuo buon cor sono obbligata.

ESO.                      (Ti conosco, mal'erba).

MEN.                                                         (Eh furfantone!)

ESO.                      Posso in nulla servirvi? Comandate.


MEN.                     Che maniera gentil!

ESO.                                                      Voi mi obbligate.

Nella mia schiavitù

Certo son fortunato,

Tale padrona avendo ritrovato.
MEN.                     Anzi è fortuna mia

D'uno schiavo sì bel la leggiadria.
ESO.                      Non ho veduta più tanta bellezza.

MEN.                     Tu sei proprio la stessa gentilezza.

ESO.                      Oh che grazia!

MEN.                                             Oh che brio!

ESO.                      (S'ella mi burla, la corbello anch'io).

MEN.                     Alla bellezza estrema,

Che piace ed innamora,

Il bello interno corrisponde ancora.
ESO.                      Non si può dir di lei, che ha un sì bel core,

Come la volpe al lupo del scultore:

Bella testa - certo è questa, Bella testa in verità.

Bella bocca ed occhio bello; Ma cervello - in sé non ha.

MEN.                     Bravo, vorresti dir dunque perciò

Ch'io son bellina, ma cervel non ho?

ESO.                      Non signora, non son tanto incivile.

MEN.                     Vossignoria è gentile,

Ma non vorrei che gli venisse fatto Come fece col sorcio astuto gatto.

Stava bonino

Certo gattino,

Che non mostrava

Di minacciar. Quando il topino

Gli andò vicino,

Presto coll'ugne

L'ebbe a strozzar.

ESO.                      Le mani mie, signora,

A far male a nessun non sono avvezze;

E se posso, ho piacer di far carezze.
MEN.                     Sposa son io; per altro,

Se fossi in libertà, discreto amante

Ritroverebbe in me

Vera corrispondenza e vera fé.
ESO.                      La fede in una donna è cosa rara,

Come da questa favola s'impara.

Con pelle d'agnella La lupa coperta, Fu poscia scoperta Da scaltro pastor.


Chi finger procura, Fingendo non dura, Si scopre - con l'opre, Si sente all'odor.

MEN.                     Dunque per tal ragione

Essere in te potrebbe, Ad onta ancor della malizia usata, Questa favola mia verificata.

Un certo somarone Con pelle di leone Un giorno si vestì.

Ma un'asina mirando, E per amor ragghiando, Alfine si scoprì.

ESO.                      Bravissima! mi piace

Che ancora voi le favolette amando,

Vi andate con gli apologhi spiegando;

E sentirmi da voi, perciò m'è caro,

Con pelle di leon chiamar somaro.
MEN.                     Ed io pure ho goduto

Sentirmi dir da quella bocca esperta

Lupa da pelle d'agnellin coperta.
ESO.                      Dunque, per quel ch'io sento,

Signora cara, dalle voci sue,

Noi siamo tutti due

Bravi ed accorti al paro:

Si va da galeotto a marinaro.
MEN.                     Onde, sia per virtù, sia per malizia,

Ci potressimo unire in amicizia.
ESO.                      In quel ch'Esopo vale,

Fatene capitale. Se vi preme

Qualche cosa ottener segretamente,

Il padrone da me non saprà niente.
MEN.                     Oh, quanto ti son grata

Vedo che mi vuoi ben; ma per costume

Fare o pensar non oso

Cosa che dispiacer possa al mio sposo.
ESO.                      (È astuta).

MEN.                                    (Non ci casco).

ESO.                                                             Perdonate:

Non dico che voi siate

Una sposa infedel; ma... che so io?

Se mai per avventura

Vi nascesse nel cor qualche amoretto,

Segretezza ed aiuto io vi prometto.
MEN.                     (Eh forca, ti ho capito). In vita mia,

Fuor di quello di Xanto,

Altro amor non m'intesi ardere il petto.
ESO.                      E pur mi è stato detto

Che di un certo scolaro


Il faretrato arciero

Vi abbia il core ferito.
MEN.                                                         Oh, non è vero.

ESO.                      Quand'è così, ho piacere.

Il povero Leonzio,

Senza difficoltà,

La schiava Cloridea sposar potrà.
MEN.                     No, sposare una schiava

Lo scolaro non dee. (con ira)
ESO.                                                      Vi riscaldate?

Fra lo sdegno e l'amor non v'imbrogliate.
MEN.                     Non mi sdegno per me.

ESO.                      Via, ditemi il perché.

MEN.                                                       Perché una schiava

Degna non è di queste nozze.
ESO.                                                                    Oh brava!

La ragione ho capito:

Vi lodo e vi protesto,

Della vostra virtù stupito io resto.

Che vivano le femmine Sincere come voi, Che degli affetti suoi Non si hanno da pentir. La vostra già si sa, Ch'è tutta carità.

Leonzio non vi preme; Ma colla schiava insieme Unir non si dovrà. Brava davver sul sodo; Brava, conosco e lodo La sua sincerità. (parte)

SCENA QUARTA Menalippe, poi Merlina

MEN.                     Quant'è astuto costui!

Ma sono al par di lui pronta ed accorta,

E so fare ancor io la gatta morta.
MERL.                   Oh poverina me! (vedendo Menalippe, si ferma)

MEN.                     Merlina, che cos'è?

Di che avete timor?
MERL.                                                  Niente, signora...

Che mi gridaste mi ricordo ancora.
MEN.                     Venite qui.

MERL.                                    Obbedisco.

MEN.                                                         Le bugie

Non le voglio soffrir. Quando vi parlo

D'una cosa ch'io so,

Non si dice di no.

Non vuò sentirmi a contraddir così.


MERL.                   (Oh, in avvenir sempre dirò di sì).

MEN.                     Ditemi, siete amante?

MERL.                                                    Sì, signora.

MEN.                     Di chi?

MERL.                               Signora sì.

MEN.                     Sciocca! Amate Leonzio?

MERL.                                                           Io non lo so.

MEN.                     L'amate sì o no?

MERL.                                             Dirò così...

MEN.                     Dite la verità. (con sdegno)

MERL.                                         Signora sì. (tremando)

MEN.                     Egli vi corrisponde?

MERL.                                                    Sì, signora.

MEN.                     Lo vorreste sposar?

MERL.                                                  Signora sì.

MEN.                     Quando?

MERL.                                 Signora sì.

MEN.                     Sciocca!

MERL.                                 Signora sì.

MEN.                                                    Eh, vi conosco:

Voi fingete la stolta

Per schernir chi v'ascolta.

E che? pensate,

Parlandomi così,

Che sia pazza ancor io?
MERL.                                                         Signora sì.

MEN.                     Temeraria, insolente!

Dirmi in faccia di sì?
MERL.                                                    Per carità...

MEN.                     (Compatisco la sua semplicità). (da sé)

SCENA QUINTA Rapa e dette.

RAPA                    Oh signora, il padrone

Vi cerca e vi domanda. (a Menalippe)
MEN.                                                         (Vuò provare

Se costei veramente,

Qual si finge, è innocente, o se Leonzio

Le sta nel cor). (da sé)
RAPA                                            Signora,

Il padrone vi aspetta.
MEN.                                                       Aspetti pure:

Anch'egli mi vedrà

Quando a me parerà. (Tu dimmi intanto:

Prenderesti una sposa?) (a Rapa)
RAPA                                                          (E perché no?) (a Menalippe)

MEN.                     (Se Merlina ti piace, io te la do). (a Rapa)

RAPA                    (Convien prima saper s'io piaccio a lei). (a Menalippe)

MEN.                     (Ella deve obbedire ai cenni miei.


Pochi momenti aspetta). (a Rapa)
RAPA                    (Di Corina così farei vendetta). (da sé)

MEN.                     Dimmi tu: s'io ti dessi uno sposino,

Accettarlo vorresti? (a Merlina)
MERL.                                                  (Ora non so

Se risponder degg'io di sì o di no). (da sé)
MEN.                     Dimmi, lo prenderesti?

MERL.                                                       Non saprei.

Gnora no, gnora sì, come vuol lei.
MEN.                     Rapa ti piace?

MERL.                                           Ed or cosa ho da dire?

MEN.                     Hai da dir che ti piace,

Che Rapa non è brutto; e quando ancora

Orrido fosse, obbediente al cenno,

Dar gli devi la mano in questo dì.

Rispondi, lo farai?
MERL.                                                Dirò di sì.

MEN.                     Senti? Puoi star sicuro:

L'ha detto in faccia mia. (a Rapa)
RAPA                                                          Son contentissimo.

MEN.                     E queste nozze si han da far prestissimo.

MERL.                   Ma io...

MEN                                  Sei fortunata.

Almeno accompagnata

Da un giovane sarai;

SCENA SESTA Merlina e Rapa

RAPA                    Dunque con mio contento

Voi sarete mia sposa, a quel ch'io sento.

MERL.                   (Guarda per la scena)

RAPA                    Che guardate?

MERL.                                         S'io vedo la padrona.

RAPA                    No, non c'è; se n'è andata.

Via, sposina garbata, Ritornatemi a dir se voi mi amate.

MERL.                   (Come sopra)

RAPA                    Ma che diavolo fate?

MERL.                   Ho paura che torni, per mia fé.

RAPA                    Pericolo non c'è.

MERL.                   Quand'è così,

Quel che dissi stamane a voi ridico:

Del vostro amor non me n'importa un fico.

Ho veduto tanti e tanti Colle donne far gli amanti, E poi dopo le meschine Le ho vedute a bastonar. Qualche volta in allegria:

Ma io col vecchio ho da passar dei guai. (parte)


Coccolina, vita mia, Sempre più ti voglio amar; E poi dopo s'alza il grugno, E alla sposa con un pugno Le carezze soglion far. (parte)

SCENA SETTIMA Rapa, poi Corina

RAPA                    Ecco qui, siam da capo. Io facilmente

Mi volgo ad ogni vento,

E mi trovo alla fin poco contento.

Vedo venir Corina; converrà

Soffrir qualche rimprovero da lei;

Viver senza un'amante io non potrei.
COR.                     Serva sua, signor Rapa.

RAPA                                                          Riverisco.

COR.                     Mi consolo con lei.

RAPA                                                   Non la capisco.

COR.                     Crede che non si sappiano

Le sue consolazioni? Menalippe

Le sue nozze vicine ha pubblicato.

Sposo gentil, garbato,

Il ciel cortese e pio

Vi dia tutto quel ben che m'intend'io.
RAPA                    Grazie dei buoni auguri;

Comprendo la bontà del vostro cuore,

Ma per le nozze mie siete in errore.
COR.                     Che? Non è forse vero

Che sposate Merlina?
RAPA                                                        Oibò; pensate!

Menalippe volea... ma non vi è caso.

Sol l'amor di Corina è il mio conforto,

E a quel caro visin non faccio un torto.
COR.                     Caro, mi consolate in verità.

Mi sentiva morir. Se voi mi amate,

Fida v'adorerò, lieta e contenta.

(Finché meglio non trovi, o non mi penta). (da sé)
RAPA                    Ah, se sarete mia,

Sarò lieto e felice, io vel protesto.

(Ma mi posso pentir, se non fa presto). (da sé)

Venga presto il dì bramato

Che mi possa consolar.
COR.                                 Venga il giorno sospirato

Che mi faccia giubilar.
RAPA                                Oh bellina!

COR.                                                  Oh carino!

a due                                  Tu m'hai fatto innamorar.

RAPA                                (Sì davver, non vedo l'ora

Di potermi maritar). (da sé)


COR.                                 (Non ho fretta, è presto ancora;

Non mi vuò precipitar). (da sé)
RAPA                                Mi vuoi bene?

COR.                                                          In quantità.

RAPA                                Vuoi sposarmi?

COR.                                                          Si vedrà.

RAPA                                Ah furbetta!

COR.                                                     Malizioso!

RAPA                                Sei pur cara!

COR.                                                     Sei grazioso!

a due                                  Presto, presto il dì verrà

Della mia felicità. (partono)

SCENA OTTAVA

Cortile. Xanto ed Esopo

ESO.                      Tant'è, signor padrone,

Fate quel che vi dico. Fingetevi ammalato. In su la sedia Ponetevi a sedere in aria mesta, E lasciate operare alla mia testa.

XAN.                     Ah Esopo mio, pavento

Trovar quel che mi spiace. Fin ch'io dubito Del cuor di Menalippe, Fra speranza e timor mi serbo in vita; Se la scopro infedel, per me è finita.

ESO.                      E ben, finita sia.

Buona filosofia,

Lo sapete voi pure, insegna e dice: Meglio è morir, che vivere infelice.

XAN.                     È vero; ai miei scolari

Sprezzar la vita vo insegnando anch'io, Ma vorrei prolungare il viver mio.

ESO.                      Sì, capisco; voi fate

Come il medico saggio,

Che il vino buono proibisce altrui,

Ed il vino miglior cerca per lui.

XAN.                     L'universal natura

Sussistere procura; e il scioglimento Deve all'umanità recar tormento.

ESO.                      È ver, l'accordo anch'io;

Né col consiglio mio Procurarvi la morte ora pretendo, Ma che viviate più felice intendo.

XAN.                     Ma se perdo colei...

ESO.                                                      Oh via, tacete;

Se filosofo siete, La donna amate fino a un certo segno,


Ma l'amore non sia di Xanto indegno.
XAN.                     Tu mi sgridi a ragion. Son qui, farò

Tutto quello che vuoi; non mi opporrò.
ESO.                      Ponetevi a sedere.

XAN.                                                  Ecco, mi siedo.

ESO.                      Fingete d'aver male.

XAN.                                                    Ed un filosofo

Finger dovrà?
ESO.                                            Davvero

Ridere voi mi fate.

Sincerità vantate,

E un filosofo scaltro si procura

La sua fama maggior coll'impostura.
XAN.                     Sei più furbo di me...

ESO.                                                        Zitto, vien gente;

Fate quel che vi ho detto,

E vedrete fra poco il buon effetto.

Presto, presto, accorrete, (va verso la scena)

Il povero padrone

È vicino a morir.

SCENA NONA

Leonzio, Cloridea, Menalippe, e detti.

LEON.                                              Cos'è accaduto?

CLOR.                   Oimè, che cosa è stato?

MEN.                     Povero Xanto mio! (Fosse crepato).

ESO.                      Lo prese un accidente.

MEN.                     Via, via, non sarà niente.

XAN.                     Ahi, che morir mi sento.

MEN.                     (Consigliate ch'ei faccia testamento). (ad Esopo)

ESO.                      (Sì, dite ben, signora). (a Menalippe)

La vostra cara sposa,

Per voi tanto amorosa,

Pria che Caronte veggavi passare,

Il testamento vi consiglia fare.
XAN.                     Grazie alla sua bontà.

MEN.                                                         Per me non parlo.

Son tanto appassionata,

Son tanto addolorata,

Che mi par di sentirmi a venir male.

(Spero d'esser l'erede universale). (da sé)
ESO.                      Signor, pria di morire,

Perché sia consolata,

Fate che Menalippe sia sposata.
MEN.                     Con chi?

ESO.                                     Sposar potrebbe

Leonzio lo scolaro.
MEN.                     Oh, non lo farò mai. (L'avrei pur caro). (da sé)

XAN.                     Se Menalippe il brama,


Forse l'accorderò.
MEN.                                                  Come potrei

Cambiar quel grand'affetto

Che per voi nutro in petto? Ahi, m'addolora

Un sì tristo pensier. (Non vedo l'ora). (da sé)
CLOR.                   Leonzio, perdonate,

Esser dee sposo mio.
MEN.                                                       Voi non c'entrate. (a Cloridea)

LEON.                   A Cloridea, il sapete,

Ho promessa la fede.
MEN.                                                       E voi tacete.

XAN.                     Dunque, per quel ch'io sento,

Menalippe contenta

Di Leonzio mi sembra.
MEN.                                                         Uh, cosa dite?

Pericolo non c'è.

(Se lo posso sposar, felice me!) (da sé)
ESO.                      Caro signor padrone,

Sposar non lo potrebbe

Senza un poco di dote. Via, testate,

E una dote discreta a lei lasciate.
XAN.                     Ma io...

ESO.                                     (Finger dovete). (piano a Xanto)

XAN.                     Via, sì, sì, lo farò:

Sposi pure chi vuol, la doterò.
MEN.                     Oh, povero il mio sposo,

Mi fa pianger davver per tenerezza!

(Rido dentro al cor mio per l'allegrezza). (da sé)
LEON.                   Lo dico e lo protesto,

Altre nozze detesto...
MEN.                                                       Eh via, insolente,

D'un povero ammalato

Abbiate carità:

Non parlate con tanta inciviltà.
LEON.                   Amo il maestro anch'io,

Ma voglio a modo mio dispor del core,

E la schiava sposar quand'egli more. (parte)
CLOR.                   (Mi consola quel labbro). (da sé)

MEN.                                                              Io mi lusingo

Che Xanto viverà; mandate presto

Un medico a cercar, che lo guarisca.

(Spero far che Leonzio si pentisca). (da sé)

Presto, trovate un medico

Che il venga a medicar.

Ah, vi vorrebbe un recipe

(Che lo facesse andar). (da sé) Il polso, poverino,

Batte così e così. (cercando il polso)

Oh povero sposino

Tutto il suo mal sta qui. (gli tocca la fronte) Il dottore che sia lesto

A ordinare presto presto


Il salasso e le coppette, Vescicanti e le sanguette, Il mercurio e l'antimonio, E un purgante da demonio Che lo possa liberar. Lo sposino, - poverino, Lo vogliamo risanar. (parte)


SCENA DECIMA

Xanto, Esopo e Cloridea

ESO.                      Ebben, cosa vi pare? (a Xanto)

XAN.                                                       Non capisco. (s'alza)

Talor che Menalippe

Brami la morte mia dubbio mi viene,

E talor parmi che mi voglia bene.
ESO.                      Eh signor, la commedia

Non è ancora finita. Andiamo innanzi,

E vedrete quel cor se è simulato.
CLOR.                   Signor padrone, siete risanato?

XAN.                     Sì, sto meglio per ora.

ESO.                      Sta meglio, è ver; ma v'è del dubbio ancora.

(Non fate che discopra

La menzogna costei. Venite meco:

Andiam subitamente,

Che un'altra cosa mi è venuta in mente).
CLOR.                   Signor, per carità,

Movetevi a pietà d'un'infelice,

Se grazia dal padron sperar mi lice.
XAN.                     Sì, sì, non dubitate;

So che Leonzio amate,

E so che Menalippe...
ESO.                                                          Eh via, tacete,

Se morir non volete. (a Xanto)

E voi, poter del mondo,

Non scaldate la testa a un moribondo. (a Cloridea)

XAN.                                   Ah, pur troppo al cor mi sento

Una smania ed un tormento

Che davver morir mi fa. Sì, l'ingrata - dispietata

Nutre in sen l'infedeltà.

No, mi sento a dir dal core,

D'altra fiamma e d'altro amore

L'idol mio non arderà. Fra i pensieri titubando,

Vaneggiando - e delirando,

Non so dir cosa sarà.

Cieli, stelle, oh dei, pietà! (parte con Esopo)


SCENA UNDICESIMA

Cloridea sola.

Del filosofo il male

Parmi dubbioso ancor. Ma il duol ch'io sento

Per gelosia di Menalippe audace,

Pur troppo è nel mio sen certo e verace.

Viva Xanto o perisca,

Mi spaventa colei; ma pur chi sa?

Non è sol di viltà centro il cor mio;

Son schiava, è ver, ma ho del coraggio anch'io.

Ha la natura impressa

In ogni sen ragione,

E la natura istessa

Suol animare il cor. E quel timor che rende

Vile l'altrui coraggio,

D'ira talor s'accende

Se lo consiglia amor. (parte)

SCENA DODICESIMA

Esopo e Rapa

ESO.                      Vanne, il padron ti chiama;

Egli è nella sua stanza;

Quel che vuole da te tu sentirai,

E il suo disegno secondar dovrai.
RAPA                    Andrò per obbedire

A quel che mi dà il pane, e far prometto

Quanto mai potrò fare,

Se una donna si tratta di burlare. (via)

SCENA TREDICESIMA

Esopo, poi Menalippe e Corina, poi Xanto e Rapa

ESO.                      Spero che Menalippe

Sia burlata e scoperta in questo dì Per salute di Xanto. Eccola qui.

MEN.                     Xanto dov'è?

ESO.                                            Tacete.

COR.                     Che cos'è del padron?

ESO.                      Donne, piangete.


MEN.

COR.

ESO.

COR.

MEN.

ESO.

MEN.

COR.

ESO.

COR.

MEN.

ESO.

MEN.

COR.

ESO.

COR.

MEN.

ESO.

MEN.

COR.

ESO.

MEN. MEN. COR. ESO.

MEN.

ESO.

MEN.

ESO.

MEN.

COR. ESO.

MEN.

ESO. a tre

ESO.


} adue } atre

} adue } adue

} adue } adue } adue

}

a due


Donne, donne, piangete, piangete!

Che disgrazia, che barbara sorte!

È venuta, è venuta la morte,

E mi sento le gambe tremar. Che cosa è avvenuto?

Che mai è accaduto?

Il core! - d'orrore Mi sento mancar.

Xanto è morto.

Non lo credo.

Morto è Xanto.

Già lo vedo,

Ci volete corbellar. Colà entrate, lo vedrete: Vi potrete - soddisfar.

Vuò sapere... - vuò vedere...

Me ne voglio assicurar. Poverino! - che destino!

Ah, s'è vero, - mi dispero.

Vi potrete soddisfar.

Me ne voglio assicurar. (entrano nella stanza)

Adesso si vedrà

Di lei la carità.

L'amore - che ha nel core

La sposa mostrerà.

Zitto, zitto. - Egli è fritto. (escono dalla stanza)

Più non vive: - siamo prive

Tutte due d'un seccator.

(Oh che donna di buon cor!) (da sé)

Non piangete?

Piangerò! Non è tempo?

Adesso no. Che pensate ora di fare? Un marito ritrovare, Che mi possa consolar. Questo è quel che dovrà far. Brava, brava! dite bene, E poi dopo lacrimar. Io Leonzio sposerò, E contenta viverò. Vi potete consolar. E chi è morto, morto sia. Si ha da stare in allegria, Non mi voglio disperar. Facciam presto il matrimonio; Ritroviamo il testimonio, E finiamola così.


COR. MEN. ESO.

XAN. RAPA

COR. MEN. XAN.

MEN.

XAN.

MEN.

ESO.

ESO.

XAN.

RAPA

MEN.

ESO.

COR.

ESO.

COR.

MEN.

ESO.

XAN.

RAPA


}

a due

} adue } adue

}

a tre

} adue } atre


Bravo, bravo!

Eccolo qui. Facciam pure il matrimonio. Noi saremo testimonio Della sua felicità.

Cosa vedo! cosa sento!

Son sicuro, son contento Della sua sincerità. Caro sposo. (a Xanto)

Via di qua. Caro Esopo.

Via di qua.

Oh, che bella fedeltà!

Ah, bugiardo! (ad Esopo) Dice a me? È un maliardo. (ad Esopo) Ma perché? Che rossore, - che rancore Quel briccon ci fa provar!

Che diletto - provo in petto Nel vederla a delirar!

TUTTI

Mondo, mondo! - Mi confondo. Tutti cercan di burlar.



ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera in casa di Xanto.

Cloridea, Leonzio e Merlina


MERL.                   Sì signore, lo dico e lo mantengo:

Cloridea, poverina, D'Atene è cittadina. Il padre è morto;

E la sua mamma, in povertà venuta, Per non farle le spese l'ha venduta.

LEON.                   Da Cloridea medesima

Tutto ciò mi fu detto; e poi si vede Ch'ella è gentil, ma il suo padron nol crede.

CLOR.                   Xanto non è che opponga

Alla mia libertà, ma Menalippe,

Per gelosia tiranna

O pur per avarizia,

Fa che Xanto commetta un'ingiustizia.

LEON.                   Ma io pronto ho esibito

L'opportuno danar per liberarvi,

E il riscatto il padron non può negarvi.

MERL.                   Al padrone io medesma ho palesato

Di Cloridea lo stato; Esopo ancora L'ha detto alla signora, ed ho sentito Che Xanto a Cloridea vuol dar marito.

LEON.                   Dunque, per quel ch'io sento,

Sarà mia Cloridea.

MERL.                                                  No, padron mio.

LEON.                   Chi la può contrastar?

MERL.                                                       La voglio io.

CLOR.                   Sì, Merlina diletta,

Sarò tua, non temer. Leonzio, è vero,

Sposo mio diverrà; ma nel mio petto

Sempre avrà l'amor tuo la preferenza. (a Merlina)

(Compatire convien la sua innocenza). (a Leonzio)

LEON.                   Anzi mi sarà caro,

Che tu segua ad amarla. (a Merlina)

MERL.                   Se è così,

Siatele pur marito, e se volete Ch'io sia contenta delle gioie sue, Maritar ci potete tutte due.

CLOR.                   No, cara, non conviene;

Se il bene ch'io godrò goder ti preme, Trova uno sposo, e viveremo insieme.


MERL.                   Sì, sì, lo troverò. Rapa mi ha detto

Che era di me bramoso: Se me lo torna a dire, oggi lo sposo.


SCENA SECONDA Esopo e detti.

ESO.                      Ragazzi, allegramente:

Il padrone acconsente,

Forse per far dispetto a Menalippe,

Se davvero vi amate,

Che alla presenza mia vi maritiate.
LEON.                   Posso crederti?

ESO.                                              Io dico

La pura verità:

Fatelo, ed il padron l'approverà.
CLOR.                   Il dubitarne è vano:

Porgetemi la mano.
ESO.                      Io sono il testimonio.

LEON.                                                     Ecco la destra. (Dà la mano a Cloridea)

ESO.                      È fatto il matrimonio.

LEON.                   Giunto è il dì fortunato.

CLOR.                   Oh giorno d'allegrezza!

LEON.                   Oh dì beato!

Idolo mio diletto,

Stringer ti posso al seno.

Più non mi cruccio e peno,

Sento brillarmi il cor.
CLOR.                            Caro mio dolce affetto,

Stringerti al sen mi lice:

Tu renderai felice

Il mio costante amor.
LEON.                            Vieni, mio ben.

CLOR.                                                     Son teco.

LEON.                               Amami.

CLOR.                                           Il cor t'adora.

a due                               Non ho provato ancora

Tante dolcezze e tante.

Stelle! che lieto istante!

SCENA TERZA

Merlina ed Esopo

MERL.                   Voglio andare ancor io.

ESO.                                                             Fermati.

Che fortunato ardor! (partono)


MERL.                                                                       Oh bella!

Vuò andar con Cloridea.
ESO.                                                             Ferma. Sei pazza?

Non dee andare alle nozze una ragazza.
MERL.                   Dunque come ho da far per star con lei?

ESO.                      Maritati ancor tu.

MERL.                                             Con chi?

ESO.                                                               Con Rapa.

Eccolo ch'egli viene.
MERL.                   Sì, sì, lo sposerò, s'ei mi vuol bene.

SCENA QUARTA Rapa e detti.

RAPA                    Bravo Esopo davvero! il tuo cervello

Fece toccar con mano

Che di donna all'amor si crede invano.
ESO.                      Tutte però non sono

Di un medesimo cor. Vedi Merlina,

Innocente, buonina.

Se tu la sposerai,

Malizia nel suo cuor non troverai.
MERL.                   Malizia! signor no:

Parlo sincera e fingere non so.
RAPA                    Mi vuoi bene?

MERL.                                           Un pochino.

RAPA                    Ma io, se mi marito,

Voglio tutto l'amor della mia sposa.
MERL.                   Tutto, tutto poi no.

RAPA                                                 D'amare un altro

Avresti per l'idea?
MERL.                   Voglio amare lo sposo e Cloridea.

ESO.                      Senti? Che bella cosa

Trovare una fanciulla

Innocente così come costei!

Credimi, la natura,

Dopo che questa giovine ha prodotto,

Per disgrazia del mondo il stampo ha rotto.

Non si trovano al mondo oggidì Delle femmine fatte così. Tutte bramano far le signore, Tutte vogliono far le dottore, E per solito sanno ingannar, E ci sogliono far disperar. (parte)

SCENA QUINTA


Merlina, Rapa, poi Corina

MERL.                   Oh, io non son di quelle.

RAPA                                                          Sì, lo vedo;

Siete una buona giovane, ma temo Che la vostra bontà Pecchi un po' troppo di semplicità.

MERL.                   Provatemi.

RAPA                                     E in che modo?

COR.                     (Esce, e sente)

MERL.                                                              Vostra sposa

Fatemi per un mese, E quando il mio costume non vi piace, Ditemi allor ch'io me ne vada in pace.

COR.                     Brava! bei sentimenti

D'una ragazza onesta! (a Merlina)

Dica, signor, che bella moda è questa? (a Rapa)

RAPA                    (Ora sono imbrogliato). (da sé)

MERL.                                                         Che pretende

Questa cara signora?

COR.                     Mel domandate ancora?

Rapa dev'esser mio.

MERL.                   Rapa per questa volta lo vogl'io.

RAPA                    Grazie, signore mie; per verità,

Due donne in competenza Veder per mia cagione io non son uso, E le finezze lor mi hanno confuso.

COR.                     Presto, venite qui.

MERL.                                                Con me venite.

RAPA                    Non facciamo una lite.

Per me vi parlo schietto: Da vostro buon amico e servitore, Prenderò quella che mi par migliore.

Ha ciascheduna le grazie sue, Voglio far stima di tutte due; Ma se fra loro vi è differenza, Con sua licenza scoprir io vuò.

MERL.                              Farò di tutto per compiacervi.

COR.                                 Sarò capace di mantenervi.

MERL.                              Non son stizzosa.

COR.                                                            Non son gelosa.

a due                                  Quel che volete per voi farò.

RAPA                                Una fortuna - sarebbe ognuna,

Ma non so dire né sì, né no.

COR.                                 Che far pensate

Con quella pazza?

MERL.                              Non v'intricate

Con quella razza.

COR.                                 A me, insolente?

MERL.                              Non temo niente.

COR.                                 Che ignorantella!

MERL.                              Che sfacciatella!


COR. MERL. a due

RAPA

COR.

MERL.

COR.

MERL.

COR.

MERL.

RAPA

MERL.

RAPA

COR.

RAPA

COR.

MERL.

COR.

RAPA

a tre

RAPA

MERL.

RAPA

MERL.

RAPA COR.

MERL.

COR.

MERL.

RAPA

a tre

COR.

MERL.

RAPA


} adue } adue

}

a due

}

a due


Che gran signora! Che gran dottora! Con più rispetto Parlate a me. Care, carine, Siate bonine. Non vi scaldate... Ma cosa c'è?

    son la prima.
Mi diè parola.
M'ha da sposare.
M'ha da pigliare.
Sì, mia signora.
Signora no.

Ma questa lite

Chi ha decidere?

M'ho da dividere?

Ciò non si può.

Orsù via, facciam così:

Sposo suo siate la sera,

Sposo mio sarete il dì.

Che grazioso aggiustamento!

Sì signori, mi contento.

(L'innocenza ho già capito).

Voi sarete mio marito.

C'intendiam. Dirò di sì. (accennando Corina che sarà suo)

Va benissimo così.

La mia mano a lei presento. (a Merlina, e dà la mano a Corina)

Ed a me cosa si dà?

Un grazioso complimento

Per il giorno basterà.

Sono allegra, son sposata;

Col marito accompagnata

Cloridea mi rivedrà.

Che piacere, che diletto!

Altro amor, te lo prometto,

Nel mio cor non arderà. (fra loro due)

Sposo mio.

Non per la sera. Vostra son.

Per innocenza. La sentenza va così.

    mio sposo è questo qui.

La mia sposa è questa qui. (a Corina, e partono)


SCENA SESTA


Sala in casa di Xanto. Xanto ed Esopo

ESO.                      Grazie, padrone, della libertà

Che mi avete donata.

XAN.                     Tu te l'hai guadagnata.

Chiaro veder m'hai fatto Che fui finor nell'amor mio schernito, E dalla malattia sono guarito.

ESO.                      Guarito veramente?

XAN.                                                    Guaritissimo.

ESO.                      E siete costantissimo

Di non crederle più?

XAN.                                                       Te lo protesto.

ESO.                      E di mandarla via?

XAN.                                                    Sì, presto presto.

ESO.                      Bravo! se lo farete,

Filosofo davver comparirete.

Ma se cedete alla passione il cuore,

Sarà Filosofia vinta d'Amore. (parte)

SCENA SETTIMA Xanto, poi Esopo

XAN.                     Sì, sì, son risoluto:

Il vero ho conosciuto.

Menalippe mendace ognora fu:

Vada l'ingrata; io non la voglio più.

Ma senza il mio tesoro

Come viver potrò? Povero Xanto!

Oimè, son disperato.

Son filosofo, è ver; ma innamorato.

Eh, coraggio vi vuole.

Non facciam più parole.

Ella sen vada

Lungi da questo tetto,

E la filosofia vinca l'affetto.
ESO.                      Signor, forti all'assalto.

Menalippe sen vien.

Per guadagnarvi,

In uso metterà l'ingegno e l'arte;

Io, se vaglio per voi, sarò in disparte.

SCENA OTTAVA Xanto, poi Menalippe, ed Esopo in disparte.


XAN.                     Ahi, che fiero cimento!

Già cominciar mi sento

I palpiti del cuore.

Ma no, voglio mostrare il mio valore.
MEN.                     (Povera Menalippe!

Barbaro crudo fato!

Leonzio è maritato,

Xanto da sé mi scaccia:

Non so quello ch'io pensi, o quel ch'io faccia).
XAN.                     (Oimè, che s'io la guardo,

Bella mi sembra ancora,

E mi sdegna in un tempo e m'innamora).
MEN.                     (Non veggo altro rimedio

Che tentar nuovamente il cor di Xanto.

Userò per placarlo arte e natura,

Ma di vincerlo poi chi m'assicura?)
XAN.                     (Discacciarla vorrei, ma se le parlo,

Se mesta mi risponde,

Si perde e si confonde

L'afflitto cor di quelle luci al raggio).
ESO.                      (Via, coraggio, padrone). (a Xanto, non veduto da Menalippe)

XAN.                                                              (Sì, coraggio).

Sposa infida, sposa ingrata,

Ho scoperto il vostro cor.

Da me siete licenziata,

E fia giusto il mio rigor.
MEN.                              Poverina! sfortunata!

Mi ha tradita un mentitor.

Son da tutti assassinata,

Non resisto al mio dolor.
XAN.                                 Vostro danno, il meritate.

MEN.                                 Caro sposo.

XAN.                                                    Eh, m'ingannate.

MEN.                                 Questo pianto rimirate,

Che sugli occhi vien dal cor.
XAN.                                 (Ahi, quel pianto mi tormenta,

Par ch'io senta - un batticor).

(Esopo di lontano incoraggisce Xanto)
MEN.                                 Deh, movetevi a pietà.

a due                                  (All'incanto di un bel pianto

Chi resistere potrà?) (ognun da sé)
MEN.                                 Non son più quella

Sposina bella

Del mio carino

Dolce sposino,

Che mi diceva:

«Con quegli occhietti,

Così furbetti,

Tu m'hai ferito

Nel seno il cor».
XAN.                                 (Ah, per resistere

Non ho valor).


MEN.                                 Caro tesoro,

Sento ch'io moro;

Se mi lasciate,

Se mi scacciate,

Dolente e misera

Io morirò.
XAN.                                 (Ahi, che resistere

Più non si può). (da sé)

Siete pentita?
MEN.                                 Sì, mio tesoro.

Sento ch'io moro

Per l'allegrezza.
XAN.                                 (Tanta dolcezza

Perder non so).
MEN.                                 (L'ho guadagnato). (Esopo rimprovera Xanto in disparte)

XAN.                                 (Sono imbrogliato).

MEN.                                 Fatta è la pace?

XAN.                                 Siete mendace.

MEN.                                 Siete volubile

Peggio di me.
XAN.                                 Se son volubile,

Vi è il suo perché.
MEN.                                 Ah, pur troppo indegna sono

Della grazia, del perdono,

Ma la man vi vuò baciar.
XAN.                                 La mia mano?... No, non voglio. (Esopo gli fa cenno di no)

MEN.                                 Parto dunque...

XAN.                                                         Aspetta un poco.

(Ahi nel sen mi sento un foco:

Ho paura di crepar).
MEN.                                 Caro sposo, io partirò,

E mai più non vi vedrò.
XAN.                                 No, mia cara, non partir,

Che mi dai troppo martir.
MEN.                                 Sarò vostra?

XAN.                                                    Sarai mia. (Esopo lo rimprovera)

(Non val più Filosofia,

Se comanda il dio d'Amor). (verso Esopo)
MEN.                                 (Ai filosofi prevale

D'una femmina il valor). (da sé)
a due                                  Nel mio core - sento amore,

Che mi dice: - «Sei felice;

Quel ch'è stato, stato sia».

Dolce, cara gioia mia,

SCENA NONA
Esopo, Leonzio, Cloridea, Corina, Rapa e Merlina
ESO.                      Venite tutti quanti,

Tu m'hai fatto giubilar. (partono)


Stupite, ed ammirate

Una donna che rese un uom vigliacco,

E la Filosofia pose in un sacco.

TUTTI

Evviva, cantiamo Quel nume bambino, Che Xanto meschino Trafisse nel cor.

Quest'alma contenta,

LCELOONR..      } adue      CChanetlaireetamriagspioronan,a

Le laudi d'Amor. Amore è quel foco,

RCAOPRA.        } adue    CAhmeosrceaèlduanodginleitptoetto,

D'ogni altro maggior.
MERL.                            Amante perduta

Non son di nessuno: Ma un poco per uno Vi dono il mio cor.


XAN.

MEN.


SCENA ULTIMA Xanto, Menalippe e detti.

Ah figliuoli, compatite La disgrazia del padrone: Filosofica ragione Non mi valse a riparar.

Gran disgrazia, poverino! Via, non fate più lunari, Che una giovane mia pari Potrà farvi consolar.

TUTTI

Viva, viva il dio d'Amore, Che ha saputo con valore Il filosofo incantar. Imparate, miei signori, Che i filosofi, i dottori, Che i sapienti, che gli eroi Son soggetti come noi Colle femmine a cascar.

Fine del Dramma.