Filumena Marturano

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Personaggi

Filumena Marturano

di Eduardo De Filippo

PERSONAGGI

Filumena Marturano

Domenico Soriano, ricco dolciere

Alfredo Amoroso, '0 cucchieriello

Rosalia Solimene, confidente di Filumena

Diana, giovane «fiamma» di Soriano

Lucia, cameriera

Umberto, studente

Riccardo, commerciante

Michele, operaio

L'avvocato Nocella

Teresina, sarta

Primo Facchino

Secondo Facchino

ATTO PRIMO

In casa Soriano. Spaziosa stanza da pranzo in un deciso « stile 900» sfarzosamente arredata, con gusto, però, alquanto medio. Qualche quadro e qualche ninnolo, che ricordano teneramente l'epoca umbertina e che, evidentemente, un tempo, completarono l'arredamento della casa paterna di Domenico Soriano, disposti con cura alle pareti e sui mobili, stridono violentemente con tutto il resto. La porta, in prima quinta a sinistra, è quella che introduce nella camera da letto. In seconda quinta, sempre a sinistra, taglia l'angolo della stanza un grande telaio a vetri che lascia vedere un ampio terrazzo fiorito, protetto da una tenda di tela a strisce colorate. In fondo a destra, la porta di ingresso. A destra, la stanza si spazia Inoltrandosi profondamente in quinta e lasciando scorgere, attraverso un grande vano e l'apertura a metà di una tenda serica, lo «studio» del padrone di casa. Anche per l'arredamento del suo «studio» Domenico Soriano ha preferito lo «stile 900». È di questo stile anche il mobile vetrinato che protegge e mette in mostra una grande quantità di coppe di vario metallo e di differenti dimensioni e forme: «Primi premi» guadagnati dai suoi cavalli da corsa. Due « bandiere» incrociate sulla parete di fronte, dietro uno scrittoio, testimoniano le vittorie conseguite alla festa di Montevergine. Non un libro, non un giornale, non una carta. Quell'angolo, che soltanto Domenico Soriano osa chiamare «lo studio», è ordinato e lindo, ma senza vita. Il tavolo centrale, nella stanza da pranzo, è apparecchiato per due coperti, con un certo gusto ed anche ricercatezza: non vi . manca un «centro» di rose rosse freschissime. Primavera inoltrata: quasi estate. È l'imbrunire. Le ultime luci del giorno dileguano per il terrazzo. In piedi, quasi sulla soglia della camera da letto, le braccia conserte, in atto di sfida, sta Filumena Marturano. Indossa una candida e lunga camicia da notte. Capelli in disordine e ravviati in fretta. Piedi nudi nelle pantofole scendiletto. I tratti del volto di questa donna sono tormentati: segno di un passato di lotte e di tristezze. Non ha un aspetto grossolano, Filumena, ma non può nascondere la sua origine plebea: non lo vorrebbe nemmeno. I suoi gesti sono larghi e aperti; il tono della sua voce è sempre franco e deciso, da donna cosciente, ricca d'intelligenza istintiva e di forza morale, da donna che conosce le leggi della vita a modo suo, e a modo suo le affronta. Non ha che quarantotto anni, denunziati da qualche filo d'argento alle tempie, non già dagli i occhi che hanno conservato la vivezza giovanile del «nero» napoletano. Ella è pallida, cadaverica, un po' per la finzione di cui si è fatta protagonista, quella cioè di lasciarsi ritenere prossima alla fine, un po' per la bufera che, ormai, inevitabilmente dovrà affrontare. Ma ella non ha paura: è in atteggiamento, anzi, da belva ferita, pronta a spiccare il salto sull'avversario. Nell'angolo opposto, precisamente in prima quinta a destra, Domenico Soriano affronta la donna con la decisa volontà di colui il quale non vede limiti né ostacoli, pur di far trionfare la sua sacrosanta ragione, pur di spezzare l'infamia e mettere a nudo, di fronte al mondo, la bassezza con cui fu possibile ingannarlo. Si sente offeso, oltraggiato, colpito in qualche cosa, secondo lui, di sacro, che non può né intende confessare. Il fatto, poi, che egli possa apparire un vinto al cospetto della gente, gli sconvolge addirittura il cervello, gli fa perdere i lumi della ragione. È un uomo robusto, sano, sui cinquant'anni. Cinquant'anni ben vissuti. Gli agi e la cospicua posizione finanziaria lo hanno conservato di spirito acceso e di aspetto giovanile. La «buonanima»

di suo padre, Raimondo Soriano, uno tra i piu ricchi efurbi dolcieri di Napoli, che aveva fabbriche ai Vergini ed a Forcella, nonché negozi accorsatissimi a Toledo e a Foria, non aveva occhi che per lui. I capricci di don Domenico (da giovanotto era conosciuto come: «'O Signurino don Mimi»), non avevano limiti, né per la loro stravaganza, né per la loro originalità. Fecero epoca; si raccontano ancora a Napoli. Appassionato amatore di cavalli, è capace di trascorrere mezze giornate a rievoca-

re con gli amici le prodezze agonistiche, le «gesta » dei piu importanti esemplari equini che passarono per le sue nutrite scuderie. Ora è li, in pantalone e giacca da pigiama, sommariamente abbottonati, pallido e convulso di fronte a Filumena, a quella donna «da niente» che, per tanti anni, è stata trattata da lui come una schiava e che ora lo tiene in pugno, per schiacciarlo come un pulcino. A sinistra della stanza, nell'angolo, quasi presso il terrazzo, si scorge, in piedi, la mite ed umile figura di donna Rosalia Solimene. Ha settantacinque anni. Il colore dei suoi capelli è incerto: piu deciso per il bianco che per il grigio. Indossa un vestito scuro, «tinta morta». Un po' curva, ma ancora piena di vitalità. Abitava: in un «basso», al vico San Liborio, di fronte a quello abitato dalla famiglia Marturano, di cui conosce «vita, morte e miracoli». Conobbe, fin dalla piu tenera età, I Filumena; le fu vicina nei momenti piu tristi della sua esistenza, senza mai lesinarle quelle parole di conforto, di comprensione, di tenerezza che soltanto le nostre donne del popolo sanno prodigare e che sono un vero balsamo al cuore di chi soffre. Ella segue, ansiosa, i movimenti di Domenico, senza perderlo d'occhio un istante. Conosce, per dura esperienza, gli effetti dell'irascibilità di quell'uomo. per cui, pervasa dal terrore, non batte ciglio, come impietrita. Nel quarto angolo della stanza si scorge un altro personaggio: Alfredo Amoroso. È un simpatico uomo sui sessant'anni, di struttura solida, nerboruto, vigoroso. Dai compagni gli fu appioppato il nomignolo di «'O cucchieriello». Era bravo, infatti, come guidatore di cavalli, per cui fu assunto da Domenico, ed al suo fianco rimase in seguito, ricoprendo il ruolo di uomo di fatica, capro espiatorio, ruffiano, amico, Egli riassume tutto il passato del suo padrone. Basta osservare il modo con cui guarda Domenico, per comprendere fino a qual punto gli sia rimasto fedele e devoto, con la massima abnegazione. Indossa una giacca grigia un po' «risicata» ma di taglio perfetto, pantalone di altro colore e berretto a «scorz' 'e nucella» messo sul capo un po' a sghembo. Ostenta, al centro del panciotto, una catena d'oro. È in atteggiamento di attesa. È, forse, il piu sereno di tutti. Conosce il suo padrone. Quante volte le ha buscate per lui! Quando va su il sipario, cosi troviamo i quattro personaggi, in questa posizione da «quattro cantoni». Sembra che stiano li, per divertirsi come dei bimbi; ed è la vita invece che li ha scaraventati cosi, l'uno contro l'altro.

Pausa lunga.

DOMENICO                    (schiaffeggiandosi ripetutamente con veemenza ed esasperazione) Pazzo, pazzo, pazzo! Ciento vote, mille vote!

ALFREDO                       (con un timido gesto interviene) Ma che ffacite?

Rosalia si avvicina a Filumena e le pone sulle spalle uno scialle che avrà preso da una sedia sul Fondo.

DOMENICO                    Io songo n'ommo 'e niente! Io m'aggia mettere nnanz' 'o specchio e nun m'aggi' 'a stancà maie 'e me sputà nfaccia (Con un lampo di odio negli occhi a Filumena). Vicino atte aggio iettata 'a vita mia: vinticinc'anne 'e salute, 'e forza, 'e cervella, 'e giuventu! E che ato vuò? C'ato t'ha da da' Domenico Soriano? Pure 'o riesto 'e sta pelle, che nn'avite fatto chello ch'avite voluto vuie? (Inveendo contro tutti, come fuori di sé) Tutti hanno fatto chello che hanno vuluto! (Contro se stesso con disprezzo) Mentre tu te credive Giesù Cristo sciso nterra, tutte quante facevano chello ca vulevano d' 'a pella toia! (Mostrando un po' tutti, con atto d'accusa) Tu, tu, tu... 'o vico, 'o quartiere, Napule, 'o munno... Tutte quante m'hanno pigliato pe' fesso, sempe! (Il pensiero del tiro giuocatogli da Filumena gli torna alla mente d'improvviso e gli fa ribollire il sangue) Io nun ce pozzo penzà! Già, me l'avev' 'a aspettà! Sulamente na femmena comm' a tte, puteva arrivà addò si' arrivata tu! Nun te putive smentì! Vinticinc'anne nun te putevano cagnà! Ma nun te credere ch' he vinciuto 'o punto: 'o punto nun ll'he vinciuto! Io t'accido e te pavo tre sorde. Na femmena comm' a tte tanto se pava: tre sorde! E a tutte chille ca t'hanno tenuto mano: 'o miédeco, 'o prèvete... (mostrando Rosalia che trasale e Alfredo che, invece, è tranquillo, con aria minacciosa) ...sti duie schifuse, ca ll'aggio dato a magnà pe' tant'anne... v'accido a tutte quante!... (Risoluto) 'O rivòlvere... Dàteme 'o rivòlvere!

ALFREDO                        (calmo) 'E ppurtaie tutt' e dduie addu l'armiere p' 'e ffa' pulezzà. Comme       dicìsteve vuie.

DOMENICO                    Quanta cose aggio ditto io... e quante me n'hanno fatto dicere afforza! Ma ma è fernuta, 'o vvi'! Me so' scetato, aggio capito! ...(A Filumena) Tu te ne vaie... e si nun te ne vaie tu cu' 'e piede tuoie, overamente morta iesce 'a ccà ddinto. Nun ce sta legge, nun ce sta Padreterno ca pò piegà a Domenico Soriano. Attacco 'e falzo a tutte quante! Ve faccio ji' ngalera! 'E denare 'e ttengo e abballammo, Filume'! Te faccio abballà comme dich'io. Quann' aggio fatto sapé chi si' stata tu, e 'a copp' a qua' casa te venette a piglià, m'hann' 'a da' ragione afforza! E te distruggo, Filume', te distruggo!

(Pausa).

FILUMENA                     (niente affatto impressionata, sicura del fatto suo) He fernuto? He 'a dicere niente cchiu?

DOMENICO                    (di scatto) Statte zitta, nun parlà, nun me fido 'e te sèntere! (Basta la voce     di quella donna per sconvolgerlo).

FILUMENA                      Io quanno t'aggio ditta tutto chello che tengo ccà ncoppo, 'o vvi'? (mostra    lo stomaco) nun te guardo cchiu nfaccia, e 'a voce mia nun 'a siente cchiu!

DOMENICO                    (con disprezzo) Malafemmena! Malafemmena si' stata, e tale si' rimasta!

FILUMENA                     E c'è bisogno d' 'o dicere accussi, comm' 'o ddice tu? Ched'è, na nuvità?  Nun 'o ssanno tutte quante, io chi so' stata, e addò stevo? Però, addò stev'io, ce venive tu... Tu nzieme all'ate! E comm' all'ate t'aggio trattato. Pecché t'avev' 'a trattà 'e n'ata manera, a te? Nun songo tutte eguale ll'uommene? Quello che ho fatto, me lo piango io e la mia coscienza. Mo te so' mugliera. E 'a ccà nun me mòveno manco 'e carabiniere!

DOMENICO                    Mugliera? Ma mugliera a chi? Filume', tu me stisse danno 'e nummere, stasera? A chi te si' spusata?

FILUMENA                     (fredda) A te!

DOMENICO                    Ma tu si' pazza! L'inganno è palese. Tengo 'e testimone. (Mostra Alfredo e Rosalia).

ROSALIA                        (pronta) Io nun saccio niente... (Non vuole essere tirata in ballo in una      questione tanto grave) Io saccio sulamente ca donna Filumena s'è coricata, s'è aggravata e si è messa in agonia. Niente m'ha ditto e niente

                                          aggiu capito.

DOMENICO                     (ad Alfredo) Tu nemmeno saie niente? Tu nemmeno sapevi che l'agonia     era una finzione?

ALFREDO                        Don Dummi', p'ammor' 'a Madonna! Chella, donna Filumena me tene    ncopp' 'o stommaco, faceva 'a cunfidenza a me?

ROSALIA                         (a Domenico) E 'o prèvete?.. Il prete, chi m'ha ditto d' 'o ji' a chiammà?  Nun me l'avite ditto vuie?

DOMENICO                     Pecché essa... (mostra Filumena) 'o cercava. E io p' 'a fa' cuntenta...

FILUMENA                      Pecché nun te pareva overo ca io me ne ievo all'atu munno. Nun ce stive     dint' 'e panne, penzanno ca finalmente me te levave 'a tuorno!

DOMENICO                     (dispettoso) Brava! Ll' he capito! E quanno 'o prèvete, doppo che  aveva parlato cu' te, me dicette: « Sposatela in extremis, povera donna, è l'unico suo desiderio; perfezionate questo vincolo con la benedizione del Signore »... io dicette...

FILUMENA                     ...«Tanto che ce perdo? Chella sta murenno. È questione 'e n'atu paro d'ore e m' 'a levo 'a tuorno».(Beffarda) È rimasto male, don Domenico, quanno, appena se n'è ghiuto 'o prèvete, me so' mmenata 'a dint' 'o lietto e ll'aggio ditto: «Don Dummi' tanti auguri: simmo marito e mugliera!»

ROSALIA                         Io aggio fatto chillu zumpo! E m'è venuta chella resata! (Ne ride ancora) Giesu, ma comme l'ha fatta naturale tutta 'a malatia.

ALFREDO                        E pure l'agonia!

DOMENICO                     Vuie stateve zitte, si no ve metto in agonia a tutt' 'e duie! (Escludendo          qualsiasi probabilità di debolezza da parte sua) Nun pò essere, nun pò essere! (D'un tratto, ricordando un altro personaggio che, secondo lui, potrebbe essere il solo responsabile) E 'o miédeco? Ma comme, tu si' miédeco...! 'A scienza addò è ghiuta a fernì? Tu si' miédeco e nun te n'adduone ca chella sta bona, ca te sta facenno scemo?

ALFREDO                       Forse, secondo me, si è sbagliato.

DOMENICO                    (con disprezzo) Statte zitto, Alfre'. (Deciso) E 'o miédeco pava! Isso pava    pe' quant'è certo Dio! Pecché isso è stato d'accordo, nun pò essere in buona fede. (A Filumena, con malizia) Ha mangiato, è ove'? LI'he dato denare...

FILUMENA                     (nauseata) E chesto capisce tu: 'e denare! E cu' 'e denare t'he accattato tutto chello ca he voluto! Pure a me t'accattaste cu' 'e denare! Pecché tu ire don Mimi Soriano: 'e meglie sarte, 'e meglie cammesare... 'e cavalle tuoie currevano: tu 'e ffacive correre... Ma Filumena Marturano ha fatto correre essa a te! E currive senza ca te n'addunave... E ancora he 'a correre, ancora he 'a iettà 'o sango a capi comme se campa e se prucede 'a galantomo! 'O miédeco nun sapeva niente. Ce ha creduto pur'isso, e ce avev' 'a credere! Qualunque femmena, doppo vinticinc'anne che ha passato vicino a te, se mette in agonia. T'aggio fatto 'a serva! (A Rosalia e Alfredo) 'A serva ll'aggio fatta pè vinticinc'anne, e vuie 'o ssapite. Quanno isso parteva pe' se spassà: Londra, Parigge, 'e ccorse, io facevo 'a carabbiniera: d' 'a fabbrica a Furcella, a chella d' 'e Virgene e dint' 'e magazzine a Tuledo e a Furia, pecché si no 'e dipendente suoie ll'avarrìeno spugliato vivo! (Imitando un tono ipocrita di Domenico) «Si nun tenesse a te...» «Filume , si’ na femmena.» Ll’aggio purtata ‘a casa nnanze meglio 'e na mugliera! Ll'aggio lavate 'e piede! E no mo ca so' vecchia, ma quann'ero figliola. E maie ca me fosse sentuta vicin'a isso apprezzata, ricunusciuta, maie! Sempe comm'a na cammarera c' 'a nu mumento all'ato se pò mettere for' 'a porta!

DOMENICO                    E maie ca t'avesse visto sottomessa, che ssaccio? comprensiva, in fondo,  della situazione reale che esisteva tra me e te. Sempe cu' na faccia storta, strafuttente... ca tu dice: «Ma avesse tuorto io? ...Ll'avesse fatto quacche cosa?» Avesse visto maie na lagrima dint' a chill'uocchie! Maie! Quant'anne simmo state nzieme, nun ll'aggio vista maie 'e chiagnere!

FILUMENA                     E avev' 'a chiagnere pe' te? Era troppo bello 'o mobile.

DOMENICO                    Lassa sta 'o mobile. Un'anima in pena, senza pace, maie. Una donna che  non piange, non mangia, non dorme. T'avesse visto maie 'e durmi. N'ànema dannata, chesto si'.

FILUMENA                     E quanno me vulive vedé 'e durmi, tu? 'A strada d' 'a casa t' 'a scurdave. 'E  mmeglie feste, 'e meglie Natale me ll'aggio passate sola comm' a na cana.

Saie quanno se chiagne? Quanno se cunosce 'o bbene e nun se pò avé! Ma Filumena Marturano bene nun ne cunosce... e quanno se cunosce sulo 'o mmale nun se chiagne. 'A suddisfazione 'e chiagnere, Filumena Martu-

                                          rano, nun l'ha pututa maie avé! Comm' all'ultima femmena m' he trattato, sempe! (A Rosalia e Alfredo, unici testimoni delle sacrosante verità che dice) E nun parlammo 'e quann'isso era giovane, che uno puteva dicere: «Tene 'e sorde, 'a presenza...» Ma mo, all'urdemo all'urdemo, a cinquantaduie anne, se retira cu' 'e fazzulette spuorche 'e russetto, ca me fanno schifo... (A Rosalia) Addò stanno?

ROSALIA                         Stanno cunservate.

FILUMENA                     Senza nu poco 'e prudenza, senza penzà: «È mmeglio ca 'e llevo 'a    miezo... si chella 'e ttrova?» Ma già, si chella 'e ttrova, e che ffa? Chi è essa? Che diritto tene? E se nzallanisce appriesso a chella...

DOMENICO                     (come colto in fallo reagisce, furente) A chella chi? .,. A chella chi?

FILUMENA                      (niente affatto intimidita, con maggiore violenza di Domenico) Appriesso      a chella schifosa! Che te cride ca nun l'avevo capito? Tu buscie nun ne saie dicere, e chisto è 'o difetto tuio. Cinquantaduie anne, e se permette 'e se mettere cu' na figliola 'e vintiduie! Nun se ne mette scuorno! E mm' 'a mette dint' 'a casa, dicenno ca era l'infermiera... Pecché isso se credeva overo ca io stevo murenno... (Come raccontando una cosa incredibile) E nun cchiu tarde 'e n'ora fa, prima ca veneva 'o prèvete pe' ce spusà, se credevano ca io stevo pe' da' ll'anema a Dio e nun 'e vvedevo, vicin' 'o lietto mio s'abbracciavano e se vasavano! (Con irrefrenabile senso di nausea) Madonna... quanto me faie schifo! E se io stevo murenno overamente, tu chesto avisse fatto? Già, io murevo, e 'a tavola apparicchiata (la indica) pe' isso e chella morta allerta...

DOMENICO                    Ma pecché, tu murive e io nun avev' 'a magnà cchiu? Nun m'avev' 'a  sustené?

FILUMENA                     Ch'e rrose mmiez' 'a tavula?

DOMENICO                    Ch'e rrose mmiez' 'a tavula!

FILUMENA                     Rosse?

DOMENICO                    (esasperato) Rosse, verde, paunazze. Ma pecché, nun ero padrone d' 'e               mmettere? Nun ero padrone 'e me fa piacere ca tu murive?

FILUMENA                     Ma io nun so' morta! (Dispettosa) E nun moro pe' mo, Dummi'.

DOMENICO                    E questo è il piccolo contrattempo. (Pausa). Ma io nun me faccio capace. Si tu m'he trattato sempre comm' a tutte quante ll'ate, pecché, secondo te, ll'uommene so' tutte eguale, che te mpurtava 'e te spusà a mme? E se io me so' nnammurato 'e n'ata femmena e mm' 'a vulevo spusà... e mm' 'a sposo, pecché io a Diana m' 'a sposo, che te ne mporta si tene o nun tene vintiduie anne?

FILUMENA                     (ironica) Quanto me faie ridere! E quanto me faie pena! Ma che me ne mporta 'e te, d' 'a figliola che t'ha fatto perdere 'a capa, 'e tutto chello ca me dice? Ma tu te cride overo ca io ll'aggio fatto pe' te? Ma io nun te curo, nun t'aggio maie curato. Na femmena comm' a mme, ll'he ditto tu e mm' 'o stai dicenno 'a vinticinc'anne, se fa 'e cunte. Me sierve... Tu, me sierve! Tu te credive ca doppo vinticinc'anne c'aggiu fatto 'a vaiassa vicino a tte, me ne ievo accussi, cu' na mano nnanze e n'ata areto?

DOMENICO                    (con aria trionfante, credendo di aver compresa la ragione recondita della    beffa di Filumena) 'E denare! E nun te l'avarria date? Secondo te, Domenico Soriano, figlio a Raimondo Soriano (borioso) uno dei piu importanti e seri dolcieri di Napoli, nun avarria penzato a te mettere na casa, e a nun te fa' avé cchiu bisogno 'e nisciuno?

FILUMENA                     (avvilita per l'incomprensione, con disprezzo) Ma statte zitto! Ma è   possibile ca vuiate uommene nun capite maie niente? ...Qua' denare, Dummi'? Astipatille cu bbona salute 'e denare. È n'ata cosa che voglio 'a te... e m' 'a daie! Tengo tre figlie, Dummi'!

Domenico e Alfredo rimangono sbalorditi. Rosalia rimane, invece, impassibile.

DOMENICO                    Tre figlie?! Filume', ma che staie dicenno?

FILUMENA                     (macchinalmente, ripete) Tengo tre figlie, Dummi' !

DOMENICO                    (smarrito) E... a chi so' figlie?

FILUMENA                     (a cui non è sfuggito il timore di Domenico, fredda) A ll'uommene comm'            a tte!

DOMENICO                    Filume'... Filume', tu staie pazzianno c' ffuoco! Che vo' dicere: «A      ll'uommene comm' atte»?

FILUMENA                     Pecché site tutte eguale.

DOMENICO                    (a Rosalia) Vuie'o ssapiveve?

ROSALIA                        Gnorsi, chesto 'o ssapevo.

DOMENICO                    (ad Alfredo) E tu?

ALFREDO                       (pronto per scagionarsi) No. Donna Filumena mi odia, ve l'ho detto.

DOMENICO                    (non ancora convinto della realtà dei fatti, come a se stesso) Tre figlie! (A  Filumena) E quante anne tèneno?

FILUMENA                      '0 cchiu gruosso tene vintisei anne.

DOMENICO                     Vinti sei anne?

FILUMENA                     E nun fa' sta faccia! Nun te mettere paura: nun so' figlie a te. .

DOMENICO                    (alquanto rinfrancato) E te cunòsceno? Ve parlate, sanno che tu si' 'a mamma?

FILUMENA                     No. Ma 'e vveco sempe e ce parlo.

DOMENICO                    Addò stanno? Che ffanno? Comme càmpano?

FILUMENA                     Cu' 'e denare tuoie!

DOMENICO                    (sorpreso) Ch’’e denare mieie?

FILUMENA                     Eh, cu' 'e denare tuoie. T'aggio arrubbato! T'arrubbavo 'e denare 'a dint' 'o portafoglio! T'arrubbavo dint' all'uocchie.

DOMENICO                    (con disprezzo) Mariola!

FILUMENA                     (imperterrita) T'aggio arrubbato! Te vennevo 'e vestite, 'e scarpe! E nun te ne si' maie accorto! Chill'aniello c' 'o brillante, t' 'o ricuorde? Te dicette ca

                                          ll'avevo perduto: m' 'o vennette. Cu' 'e denare tuoie, aggio crisciuto 'e figlie mieie.

DOMENICO                    (disgustato) Io tenevo 'a mariola dint' 'a casa! Ma che femmena si' tu?

FILUMENA                     (come se non lo avesse ascoltato, continua) Uno tene 'a puteca 'o vicolo      appriesso: fa 'o stagnaro.

ROSALIA                        (alla quale non sembra vero di parlarne, corregge) L'idrauliche...

DOMENICO                    (che non ha capito) Comme?

ROSALIA                        (cercando di pronunziare meglio la parola) L'idraulico. Comme se dice:  acconcia 'e rubinette, spila 'e ffuntane... (Poi alludendo al secondo figlio) L'altro... comme se chiamma? (Ricordando a volo il nome) Riccardo. Quant'è bello! Nu piezz' 'e guaglione! Sta a Chiaia, tene 'o magazzin dint' 'o purtone 'a nnummero 74, fa 'o cammesaro...le camicie. E tene na bella clientela. Umberto poi...

FILUMENA                     ...ha studiato, ha vuluto studià. Fa 'o ragiuniere e scrive pure ncopp' 'e ggiurnale.

DOMENICO                    (ironico) Ci abbiamo pure lo scrittore in famiglia!

ROSALIA                        (esaltando i sentimenti materni di Filumena) E che mamma ch'è stata! Nun ll'ha fatto mancà maie niente! E io mo nce vo', so' vecchia e, al piu presto possibile, mi devo trovare davanti alla presenza dell'Ente Supremo, che tutto vede, considera e perdona, e ca chiacchiere nun se ne mmocca... Da quando erano piccoli, in fasce, nun ll'ha fatto mancare il latte delle formlcole...

DOMENICO                    ...cu’ ‘e denare'e don Dummmeco!

ROSALIA                         (spontanea, con istintivo senso di giustizia) Vuie 'e ghittàveve 'e denare!

DOMENICO                     E avev' 'a da' cunto a quaccheduno?

ROSALIA                         Gnernò, cu' ssalute! Ma manco ve ne site accorto

FILUMENA                      (sprezzante) Ma nun 'o date retta! Vuie 'o rispunnite pure?

DOMENICO                     (dominando i suoi nervi) Filume', tu afforza me vuo pògnere? Avimm'ascì all'impossibile? Ma tu 'o ccapisce chello c'he fatto? Tu m' he miso in condizioni 'e me fa' trattà comm' a n' ommo 'e paglia! Insomma sti tre signure, ca nun 'e ccunosco manco pe' prossimo, ca nun saccio 'a do' so' asciute, a nu certo punto me ponno ridere pure nfaccia! Pecché penzano: «Va buo', ce stanno 'e denare 'e don Dummmeco»!

ROSALIA                        (escludendo questa ipotesi) Gnernò, chesto no! E che ne sanno lloro?            ...Donna Filumena ha fatto sempe 'e ccose comme ll'avev' 'a fa': cu' prudenza e cu' 'a capa ncapo. '0 nutaro cunsignaie 'e sorde all'idraulico, quann' arapette 'a puteca 'o viculo appriesso, condicendo che una signora ca non si voleva fare accanoscere... E accussì facette pure c' 'o cammesaro. E 'o nutaro tiene l'incombenza di passare il mensile a Umberto p' 'o fa studià. No, no... voi non c'entrate proprio.

DOMENICO                    (amaro) Io aggio pavato sulamente!

FILUMENA                     (con uno scatto improvviso) E ll'avev' 'a accidere? ...Chesto avev' 'a fa', neh, Dummi'? Ll 'avev , 'a accidere comme fanno tant'ati ffemmene? Allora si, è ove', allora Filumena sarria stata bbona? (Incalzando) rispunne!...E chesto me cunzigliavano tutt' 'e ccumpagne meie 'e llà ncoppo... (Allude al lupanare) «A chi aspetti? Ti togli il pensiero!» (Cosciente) M' 'avarria miso 'o penziero! E chi avesse pututo campà cu' nu rimorso 'e chillo? E po', io parlaie c' 'a Madonna. (A Rosalia) 'A Madunnella d' 'e rrose, v' 'a ricurdate?

ROSALIA                         Comme,'a Madonna d' 'e rrose! Chella fa na grazia 'o giorno!

FILUMENA                     (rievocando il suo incontro mistico) Erano'e tre doppo mezanotte. P' 'a strada cammenavo io sola. D' 'a casa mia già me n'ero iuta 'a sei mise. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era 'a primma vota! E che ffaccio? A chi 'o ddico? Sentevo ncapo a me 'e vvoce d' 'e ccumpagne meie: «A chi aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo...» Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint' 'o vico mio, nnanz' all'altarino d' 'a Madonna d' 'e rrose. L'affruntaie accussi (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): «C'aggi' 'a fa'? Tu saie tutto... Saie pure pecché me trovo int' 'o peccato. C' aggi' 'a fa'?» Ma essa zitto, nun rispunneva. (Eccitata) «E accussi ffaie, è ove'? Cchiu nun parle e cchiu'a gente te crede? ...Sto parlanno cu' te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!» (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «'E figlie so' ffiglie! » Me gelaie. Rummanette accussi, ferma. (S’irrigidisce fissando l’effige immaginaria) Forse si m'avutavo avarria visto o capito 'a do' veneva 'a voce: 'a dint' a na casa c' 'o balcone apierto, d' 'o vico appriesso, 'a copp' a na fenesta... Ma penzaie: «E pecché proprio a chistu mumento? Che ne sape 'a ggente d' 'e fatte mieie? È stata Essa, allora... È stata 'a Madonna! S'è vista affruntata a tu per tu, e ha vuluta parlà... Ma, allora, 'a Madonna pe' parlà se serve 'e nuie... E quanno m'hanno ditto: "Ti togli il pensiero! ", è stata pur'essa ca m' 'ha ditta, pe' me mettere 'a prova! ...E nun saccio si fuie io a 'a Madonna d' 'e rrose ca facette c' 'a capa accussì! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai compreso") 'E figlie so' ffìglie!» E giuraie. Ca perciò so' rimasta tant'anne vicino a te... Pe' lloro aggio suppurtato tutto chello ca m' he fatto e comme m'he trattato! E quanno chillu giovane se nnammuraie 'e me, ca me vuleva spusà, te ricuorde? Stevemo già nzieme 'a cinc'anne: tu, ammogliato, 'a casa toia, e io a San Putito, dint' a chelli tre cammere e cucina... 'a primma casarella ca me mettiste quanno, doppo quatt'anne ca ce cunuscévamo, finalmente, me levaste 'a llà ncoppo! (Allude al lupanare) E mme vuleva spusà, 'o povero giovane...Ma tu faciste 'o geluso. Te tengo dint' 'e rrecchie: «Io so' ammogliato, nun te pozzo spusà. Si chisto te sposa...» E te mettiste a. chiagnere. Pecché saie chiagnere,  tu... Tutt' 'o cuntrano 'e me: tu, saie chiagnere! E lo dicette: «Va buo', chisto è 'o destino mio! Dummineco me vo' bbene, cu tutt' 'a bbona voluntà nun me pò spusà; è ammogliato... E ghiammo nnanze a San Putito dint' 'e tre cammere! » Ma, po', doppo duie anne, tua moglie murette. 'O tiempo passava... e io sempre a San Putito. E penzavo: «È giovane, nun se vo' attaccà pe' tutt' 'a vita cu n'ata femmena. Venarrà 'o mumento ca se calma, e cunsidera 'e sacrificie c'aggiu fatto!» E aspettavo. E quann'io, 'e vvote, dicevo: «Dummi', saie chi s'è spusato? ...Chella figliola ca steva 'e rimpetto a me dint' 'e fenestelle... », tu redive, te mettive a ridere, tale e quale comm' a quanno saglive, cull'amice tuoie, ncopp' addò stevo io, primma 'e San Putito. Chella resata ca nun è overa. Chella resata c'accumencia 'a miez' 'e scale... Chella resata ca è sempe 'a stessa, chiunque 'a fa! T'avarria acciso, quanno redive accussì! (Paziente) E aspettammo. E aggio aspettato vinticinc'anne! E aspettammo 'e grazie 'e don Dummineco! Oramaie tene cinquantaduie anne: è viecchio! Addò? Ca pozza iettà 'o sango, chillo se crede sempe nu giuvinuttiello! Corre appriesso 'e nennelle, se nfessisce, porta 'e fazzulette spuorche 'e russetto, m' 'a mette dint' 'a casa! (Minacciosa) Miettammélla mo dint' 'a casa, mo ca te so' mugliera. Te ne caccio a te e a essa. Ce simmo spusate. 'O prèvete ce ha spusate. Chesta è casa mia!

Campanello interno. Alfredo esce per il fondo a destra.

DOMENICO                    Casa toia? (Ride forzatamente ironico) Mo me staie facenno ridere tu a me!

FILUMENA                     (invogliandolo, con perfidia) E ride... Ride! Ca, oramaie, me fa piacere 'e te sentere 'e ridere... Pecché, comm' a tanno, nun saie ridere cchiu.

Alfredo torna, guarda un po' tutti, preoccupato per quanto dovrà dire.

DOMENICO                    (scorgendolo, sgarbatamente lo apostrofa) Tu che vuò?

ALFREDO                       Eh... che voglio? ...Hanno purtat' 'a cena!

DOMENICO                    Ma pecché nun avev' 'a mangià, secondo voi?

ALFREDO                       (come per dire: «io non c'entro») Eh... don Dummi'! (Parlando verso il fondo a destra) Trase!

Entrano due facchini, garzoni di un ristorante, che recano un portavivande e un cesto con la cena.

PRIMO FACCHINO        (servizievole, strisciante) Qua sta 'a cena. (All'altro) Miette ccà.   (Poggiano a terra il cesto nel punto indicato dal facchino). Signo', il pollastro è uno solo perché è grande e può saziare pure a quattro persone. Tutto quello che avete ordinato è di prima qualità. (Si accinge ad aprire la vivandiera).

DOMENICO                    (fermando il garzone con un gesto irritato) Oini', mo sa' c'he 'a fa'? Te n'he 'a ji'.

PRIMO FACCHINO        Gnorsì, signo'. (Prende dal cesto un dolce e poggiandolo sul tavolo) Questo è il dolce che piace alla signorina... (E posando una bottiglia) E chesto è 'o vino. (Le parole del facchino cadono nel piu  profondo silenzio. Ma l'uomo non si dà per vinto: parla ancora. Questa volta per chiedere qualcosa, con tono ! mellifluo) E... ve site scurdato?

DOMENICO                    'E che?

PRIMO FACCHINO        Comme? Quanno site venuto ogge p'urdinà 'a cena, ve ricurdate? Io v'aggio cercato si ternveve nu cazone viecchio. E vuie avite ditto: «Viene stasera, e si cchiu tarde succede na cosa che dich'i', si aggio avuta na bella nutizia, tengo nu vestito nuovo nuovo... '0 piglio e t' 'o regalo». (Il silenzio degli altri è cupo. Pausa. Il facchino è ingenuamente dispiaciuto). Nun è succiesa 'a cosa ca diciveve vuie? (Attende risposta. Domenico tace). Nun l'avite avuta 'a bbona nutizia?

DOMENICO                    (aggressivo) T'aggiu ditto vatténne!

PRIMO FACCHINO       (meravigliato pel tono di Domenico) Ce ne stiamo andando... (Guarda ancora Domenlco, poi con tristezza) I ammuncenne , Carlu', nun l'ha avuta'a , bbona nutizia... 'A furtuna mia! (Sospira) Bbona serata. (Esce per il fondo a destra seguito dal compagno).

FILUMENA                     (dopo pausa, sarcastica a Domenico) Mangia. Ched'è, nun mange? T' 'è passat' 'appetito?

DOMENICO                    (impacciato, rabbioso) Mangio! Cchiu tarde bevo e mangio!

FILUMENA                     (alludendo alla giovane donna nominata poco prima) Già: quanno vene 'a morta allerta.

DIANA                             (entra dalla comune. È una bella giovane di ventidue anni, o meglio, si sforza di dimostrarne ventidue, ma ne ha ventisette. È di una eleganza affettata, un po' snobistica: Guarda tutti dall'alto in basso. Nell'incedere parla un po' con tutti senza rivolgersi direttamente ad alcuno dei presenti che mostra di disprezzare in blocco. Non s'accorge, quindi, della presenza di Filumena. Reca dei pacchetti di medicinali che poggia, macchinamente, sul tavolo. Prende da una sedia un càmice bianco da infermiera e lo indossa) Folla, folla in farmacia. (Sgarbata, con fare da padrona) Rosalia, preparatemi un bagno. (Scorge le rose sul tavolo) Oh, le rose rosse...! Grazie, Domenico. (Annusando le vivande) Che profumino: ho un po' di appetito. (Prendendo dal tavolo una scatola di fialette) Ho trovato la canfora e l'adrenalina. Ossigeno niente. (Domenico è come fulminato. Filumena non batte ciglio: attende. Rosalia e Alfredo sono quasi divertiti. Diana siede accanto al tavolo di fronte al pubblico e accende una sigaretta) Pensavo: se... mio Dio, non vorrei dirla la parola, ma ormai... se muore stanotte, domattina parto di buon'ora. Ho trovato un posto nella macchina di una mia amica. Qui darei piu fastidio che altro. A Bologna, invece, ho certe cosette da fare, tanti affarucci da mettere a posto. Tornerò fra dieci giorni. Verrò a vedervi, Domenico. (Alludendo a Filumena) E... come sta? ...Sempre in agonia? ...È venuto il prete?

FILUMENA                     (dominandosi con affettata cortesia, s'avvicina lentamente alla giovane) Il preto è venute... (Diana sorpresa si alza e indietreggia di qualche passo) ...e confromme ha visto che stavo in agonizzazione... (Felina) Lèvate 'o càmmese!

DIANA                             (che veramente non ha compreso) Come?

FILUMENA                     (c. s.) Lèvate'o càmmese!

ROSALIA                        (s'accorge che Diana neanche questa volta ha compreso e per evitare il peggio, le consiglia prudentemente) Levatevi questo. (E su se stessa scuote, con due dita, la camiciola del suo abito, perché, finalmente, Diana possa comprendere a volo che Filumena allude al càmice d'infermiera).

Diana, con timore istintivo, si toglie il càmice.

FILUMENA                     (che ha seguito il gesto di Diana, senza staccarle gli occhi di dosso) Pòsalo ncopp' 'a seggia... Pòsalo ncopp' 'a seggia.

ROSALIA                        (prevedendo l'incomprensione di Diana) Mettetelo sopra la sedia.

Diana esegue.

FILUMENA                     (riprende il tono cortese di prima) Ha visto che agonizziavo e ha consigliato a don Domenico Soriano di perfezionare il vincolo in estremità. (Allude al prete. Diana per darsi un contegno, non sapendo che fare, prende dal «centro» una rosa e finge di aspirarne , il profumo. Filumena la fulmina con il tono opaco della sua voce) Pos' 'a rosa!

ROSALIA                        (pronta) Posate la rosa.

Diana, come obbedendo a un ordine teutonico, la rimette sul tavolo.

FILUMENA                     (ridiventa cortese) E don Domenico l'ha travato giusto perché ha penzato: «È giusto, sta disgraziata sta vicino a mme 'a vinticinc'anne...» E tante altre conseguenze e sconseguenze che non abbiamo il dovere di spiegarvi. È venuto vicino al letto (sempre alludendo al prete) e ci siamo sposati... con due testimoni e la benedizione del saciardote. Saranno i matrimoni che fanno bene, cert'è che mi sono sentita subito meglio. Mi sono alzata e abbiamo rimandata la morte. Naturalmente, dove non ci sono infermi malati non ci possono essere infermieri... e le schifezze... (con l'indice della mano destra teso assesta a Diana dei misurati colpetti sul mento, che costringono la donna a dire repentini e involontari: «No» col capo) ...le purcarie... (ripete il gesto) davanti a una che sta murenno... pecché tu sapive che io stavo murenno... 'e vaie a ffa' 'a casa 'e sòreta! (Diana sorride come un'ebete, come per dire: Non la conosco») Andatevene con i piedi vostri e truvàteve n'ata casa, no chesta.

DIANA                             (sempre ridendo indietreggia fino al limitare della porta d'ingresso) Va bene.

FILUMENA                     E se vi volete trovare veramente bene, dovete andare sopra addò stevo io... (Allude al lupanare).

DIANA                             Dove?

FILUMENA                     Ve lo fate dire da don Domenico, che quelle case le frequenteggiava e le frequenteggia ancora. Andate.

DIANA                             (dominata dallo sguardo rovente di Filumena, quasi presa da un subito orgasmo) Grazie. (Si avvia per il fondo a destra).

FILUMENA                     Non c'è di che. (E ritorna al suo posto a sinistra).

DIANA                             Buonanotte. (Esce).

DOMENICO                    (che fino a quel momento è rimasto pensoso, assorto in strane elucubrazioni, alludendo a Diana, si rivolge a Filumena) Accussi l'he trattata, è ove'?

FILUMENA                     Comme se mmèreta. (Gli fa un gesto di dispetto).

DOMENICO                    Ma 'assamme sèntere na cosa. Tu si' na diavula... Uno cu' te ha da sta' cu'     tantu nu paro d'uocchie apierte... 'E pparole toie s'hann' 'a tènere a mente, s'hann' 'a pesà. Te cunosco, mo. Si comm' a na tarla. Na tarla velenosa c'addò se posa, distrugge. Tu poco primma he ditto na cosa e io mo ce stevo penzanno. He ditto: «... È n'ata cosa ca voglio 'a te... e mm' 'a daie!» 'E denare no, pecché 'o ssaie ca te ll'avarrie date... (Come ossessionato) Che ato vuò 'a me? Che te si' mmise ncapo? C'he penzato, e nun m'he ditto ancora? ...Rispunne!

FILUMENA                     (con semplicità) Dummi', 'a saie chella canzone?.. (Ne accenna l'aria con allusione) «Me sto criscenno nu bello cardillo... quanta cose ca l'aggia mparà»...

ROSALIA                        (alzando gli occhi al cielo) Ah, Madonna!

DOMENICO                    (guardingo, sospettoso, pavido a Filumena) E che significa?

FILUMENA                     (precisa) 'O cardillo si' tu!

DOMENICO                    Filume', parla chiaro... Nun pazzià cchiù cu' mme... Me faie piglià 'a freva, Filume'...

FILUMENA                     (seria) 'E figlie so' ffiglie!

DOMENICO                    E che vuo' dicere?

FILUMENA                     Hann' 'a sapé chi è 'a mamma... Hann' 'a sapé chello c'ha fatto pe' lloro... M'hann' 'a vulé bene! (Infervorata) Nun s'hann' 'a mettere scuorno vicino all'at'uommene: nun s'hann' 'a senti avvilite quanno vanno pe' caccià na carta, nu documento: 'a famiglia, 'a casa... 'a famiglia ca s'aunisce pe' nu cunziglio, pe' nu sfogo... S'hann' 'a chiammà comm' a mme!

DOMENICO                    Comm' a me che?

FILUMENA                     Comme me chiamm' io... Simmo spusate: Soriano!

DOMENICO                    (sconvolto) E io l'avevo capito! Ma 'o vvulevo sentere a te,.. o vvulevo sentere a sta vocca sacrilega, pe' me fa' capace ca, pure si te ne caccio a càuce, pure si te scamazzo a capa, e come si a scamazzasse a na serpe: na serpa velenosa ca se distrugge pe' liberazione d' 'e povere cristiane ca ce ponno capità. (Alludendo al piano di Filumena) Ccà, ccà? Dint' 'a casa mia? C' 'o nommé mio? Chille figlie 'e...

FILUMENA                     (aggressiva per impedirgli di pronunciare la parola) 'E che?

DOMENICO                    Tuoie!,.. Si m'addimanne: 'e che? te pozzo risponnere: tuoie! Si m'addimanne: 'e chi? nun te pozzo risponnere, perché nun 'o ssaccio! E manco tu 'o ssaie! Ah!, te credive d'accuncià 'a facenna, 'e te mettere a posto cu' 'a cuscienza, 'e te salvà d' 'o peccato, purtanno dint' 'a casa mia tre estranei? ...S'hann' 'a nzerrà ll'uocchie mieie! Nun ce mettarranno pede ccà dinto! (Solenne) Ncopp' all'anema 'e pàtemo...

FILUMENA                     (repentinamente con uno scatto sincero lo interrompe come per metterlo sull'avviso di un castigo che gli potrebbe venire da un sacrilegio commesso per cause imponderabili) Nun giurà! Ca io, p'avé fatto nu giuramento, te sto cercanno 'a lemmòsena 'a vinticinc'anne... Nun giurà pecché è nu giuramento ca nun putisse mantené... E murrarisse dannato, si nu iuorno nun me putarrisse cercà 'a lemmòsena tu a me...

DOMENICO                      (suggestionato dalle parole di Filumena, come uscendo di senno) Che ato staie penzanno? ...Strega che si'! Ma io nun te temo! Nun me faie paura!

FILUMENA                     (sfidandolo) E pecché 'o ddice!

DOMENICO                      Statte zitta! (Ad Alfredo, togliendosi il pigiama) Damme 'a giacchetta! (Alfredo esce per lo «studio» senza parlare). Dimane te ne vaie! Me metto mmano all'avvocato, te denunzio. È stato nu traniello. Tengo 'e testimone... E si 'a legge m'avess' 'a da' tuorto, t'accido Filume'! Te levo d' 'o munno!

FILUMENA                     (ironica) E addome miette?

DOMENICO                      Addo stive! (È esasperato, offensivo. Alfredo ritorna recando la giacca. Domenico gliela strappa di mano e la indossa, dicendogli) Tu, dimane, vaie a chiammà l'avvocato mio, 'o saie? ...(Alfredo fa cenno di si col capo). E parlammo, Filume'!

FILUMENA                     E parlammo!

DOMENICO                    Te faccio cunoscere chi è Domenico Soriano e di che panne veste (Si avvia verso il fondo).

FILUMENA                      (indicando la tavola) Rosali', asséttate... ca he 'a tènere famma pure tu!              (Siede vicino al tavolo di fronte al pubblico).

DOMENICO                     Statte bbona... Filumena 'a napulitana!...

FILUMENA                      (canticchia) «Me sto criscenno nu bello cardillo»...

DOMENICO                     (sul canticchiare di Filumena, ride sghignazzando come per schernire e oltraggiare volutamente Filumena) T'arricuorde sta resata... Filumena Marturano! ...(Ed esce seguito da Alfredo, dal fondo a destra, mentre cade la tela sul primo atto).

ATTO SECONDO

L'indomani. La medesima scena del primo atto. Per pulire il pavimento la serva ha spostato tutte le

sedie: qualcuna portandola sul terrazzo, altre adagiandole, capovolte, sul tavolo, altre, ancora, confinandole nello «studio» di Domenico. Il tappeto, sul quale fa centro il tavolo da pranzo, è piegato su se stesso ai quattro lati. Luci normali di una bella mattina di sole. Lucia è la serva di casa: simpatica e sana ragazza sui ventitré anni. Ha completato il suo lavoro. Strizza per l'ultima volta lo strofinaccio nel secchio dell'acqua sudicia, quindi va a riporre tutti gli arnesi di pulizia sul

terrazzo.

ALFREDO                        (stanco, assonnato, entra dalla comune, mentre Lucia si accinge a rimettere a posto il tappeto) Luci', buongiorno. !

LUCIA                              (fermandolo con il tono risentito della voce e col gesto) Nun       accuminciate a cammenà cu' 'e piede!

ALFREDO                       Emo cammino cu 'e mmane!

LUCIA                              Io, mo ho finito di buttare il sangue... (Mostra il pavimento ancora in  parte bagnato) Vuie ve presentate cu sti ppedagne!

ALFREDO                        'E ppedagne? ...Io sto acciso! (Siede presso il tavolo) He capito che significa acciso? Tutt' 'a notte appriesso a don Dummineco, senza chiudere uocchie, assettato ncopp' 'o parapetto d' 'a Caracciolo. Mo accumencia a fa' pure frischetto... Ca il Padreterno mi doveva far capitare proprio a me alle dipendenze di lui! No ca mi lamento, p'ammor' 'a Madonna! Io ho campato, mi ha dato a vivere, e abbiamo avuto anche momenti di fasti, io con lui e lui con me. 'O Signore lo deve far campare mille anni, ma cuieto, tranquillo! Tengo sissant'anne, mica un giorno! Chi 'e pò ffa' cchiu 'e nnuttate appriesso a isso... Luci', damme na tazzulella 'e cafè.

LUCIA                              (che ha rimesso a posto le sedie, senza dare ascolto allo sfogo di Alfredo, con semplicità) Non ce n'è!

ALFREDO                        (contrariato) Non ce n'è?

LUCIA                              Non ce n'è. C'era quello di ieri: una tazza me la sono presa io, un'altra donna Rosalia non l'ha voluta e l'ha portata a donna Filumena, e un'altra l'ho conservata a don Domenico, caso mai viene...

ALFREDO                       (fissandola poco convinto) Caso mai viene?

LUCIA                             Eh, caso mai viene. Donna Rosalia 'o ccafè nun l'ha fatto.

ALFREDO                       E nun 'o pputive fa' tu?

LUCIA                              E ssaccio fa' 'o ccafè, io?

ALFREDO                        (sprezzante) Manco'o ccafè saie fa'. E pecché nun l'ha fatto Rosalia?

LUCIA                              È uscita presto. Dice che doveva portare tre lettere urgenti di donna  Filumena.

ALFREDO                        (sospettoso) ...Di donna Filumena? Tre lettere?

LUCIA                             Eh, tre: una, due e tre.

ALFREDO                        (considerando il suo stato di esaurimento) Ma io nu surzo 'e cafè me ll'aggia piglià. Sa' che vuo fa', Luci'?.. 'A tazza 'e don Domenico la dividi in due e dint' 'o ssuio ce miette ll'acqua.

LUCIA                             E si se n'addona?

ALFREDO                       Chillo è difficile ca vene. Steva nquartato 'e chella manera... E po', si vene, aggio cchiu abbisuogno io ca so' viecchio, ca lui. Chi ce l'ha fatto fa' 'e sta' mmiez' 'a via tutt' 'a nuttata?

LUCIA                              Io mo v' 'o scarfo e v' 'o pporto. (S'avvia per lo comune a sinistra, ma vedendo giungere Rosolia dal lato destro, si ferma e avverte Alfredo) Donna Rosalia... (Vedendo che Alfredo la guarda senza parlare) Che ffaccio? V' 'o pporto 'o ccafè?

ALFREDO                       Tanto piu che sta venenno donna Rosalia! Fa il caffè fresco per don  Domenico. Meza tazza ne voglio! (Lucia esce. Rosalia entra dalla comune e s'accorge della presenza di Alfredo. Finge però di non averlo visto e, tutta compresa in una sua missione, s'avvia alla camera da letto di donna Filumena. Alfredo a cui non è sfuggito l'atteggiamento di Rosalia, la fa giungere fin quasi al limitare della porta sinistra, poi, ironicamente,  la richiama) Rosali', ched'è... he perza 'a lengua?

ROSALIA                        (indifferente) Nun t'aggio visto.

ALFREDO                       Nuh t'aggio visto? E che sso' nu pòlice ncopp' i 'a sta seggia?'

ROSALIA                        (ambigua) Eh, nu pòlice c' 'a tosse... (Tossicchia).

ALFREDO                       (che non ha compreso l'allusione) C’ ‘a tosse? ...(Cercando di indagare) Si' asciuta ampressa?

ROSALIA                        (enigmatica) Già.

ALFREDO                       E addò si' ghiuta?

ROSALIA                        A messa.

ALFREDO                       (incredulo) A messa?! E po' he purtato tre lettere 'e donna Filumena...

ROSALIA                        (come colta in fallo, dominandosi) E una volta che lo sapevi, perché hai  domandato?

ALFREDO                       (simulando anch'egli indifferenza) Così, a titolo di esportazione. E a chi ll'he purtate?

ROSALIA                         Te l'ho detto prima: si' nu p6lice c' 'a tosse.

ALFREDO                       (impermalito, per non aver compreso, torvo) 'A tosse? Ma che ce trase sta tosse?

ROSALIA                        (come per dire: «Non sai mantenere un segreto») Parle, vaie parlanno. E po': si' spione!

ALFREDO                       Pecché, quacche vota aggio spiunato a tte?

ROSALIA                        A me? E a me nun ce sta niente 'a spiunà. Limpida comm' all'acqua surgiva surgente. 'E fatte mieie so' chiare, titò. (Come una cantilena che, ormai, per averla ripetuta chissà quante volte, conosce a memoria) Nata il '70. Fatt' 'o cunto quant'anne tengo. Da poveri ed onesti genitori. Mia madre, Sofia Trombetta, faceva 'a lavannara, e mio padre, Procopio Solimene, 'o maniscalco. Rosalia Solimene, ca sono io, e Vincenzo Bagliore che aggiustava mbrelle e cufenatore, contrassero regolare matrimonio addì due novembre 1887...

ALFREDO                        '0 iuorno d' 'e muorte?

ROSALIA                        Avévem’ ‘a da' cunto a te?

ALFREDO                       (divertito) No. (lnvogliandola a parlare) Iamme nnanze.

ROSALIA                        Da questa riunione vennero al mondo tre figli in una sola volta. Quando la   levatrice portò la notizia a mio marito che stava al vicolo appresso, intento al suo lavoro, 'o truvaie c' 'a capa dint' a na scafaréa...

ALFREDO                       S’ ‘a steva sciacquanno!

ROSALIA                        (con tono marcato, ripete la frase, come per fargli intendere l'inopportunità dello scherzo) ...cu 'a capa dint' a na scafaréa per sincope sopravvenuta che, immaturamente, lo rapiva. Orfana di genitori, ambodue...

ALFREDO                       E terno 'e tre...

ROSALIA                        (c. s.) ...ambodue e con tre figli da crescere, andai ad abitare al vicolo San Liborio, basso numero 80, e mi misi a vendere sciosciamosche, cascettelle p' 'e muorte e cappielle 'e Piererotta'. 'E sciosciamosche li fabbricavo io stessa e guadagnavo quel poco per portare avanti i miei figli. Al vicolo San Liborio ebbi a conoscere donna Filumena, che, bambina, giocava ch' 'e tre ffiglie mieie. Doppo vintun'anno, 'e figlie mieie, nun truvanno lavoro, se n'andaiene uno in Australia e duie in America... e nun aggio avuto cchiu nutizie. Rimanette io sola; io, 'e sciosciamosche e 'e cappielle 'e Piererotta. E nun ne parlammo, si no me va 'o sango ncapo! E si nun fosse stato pe' donna Filumena che mi prese con lei, in casa, quando si arriunì con don Domenico, sarei finita a chiedere l'elemosina sopra le scale di una chiesa! Arrivederci e grazie, è fernuta 'a pellicola.

ALFREDO                       (sorridendo) Domani nuovo programma! Ma a chi he purtato 'e tre lettere, nun s'è pututo sapé!

ROSALIA                        Questa incombenza delicata che mi è stata profferta, non la posso sprofferire per farla diventare di dominio pubblico.

ALFREDO                        (deluso, con dispetto) Quanto si' antipatica! 'A malignità t'ha sturzellata tutta quanta. E quanta vote si' brutta!

ROSALIA                        (sostenuta) Non devo trovare il partito!

ALFREDO                       (dimenticando lo scambio di offese, col tono abituale di confidenza) M'he'a còsere stu bottone vicino a sta giacchetta. (Mostra il punto).

ROSALIA                        (avviandosi in camera da letto, con lieve senso di ritorsione) Domani, se  tengo tempo.

ALFREDO                       E m'he 'a cosere pure na fettuccia mpont' 'a mutanda!

ROSALIA                        Comprate la fettuccia e ve la còso. Permesso. (Dignitosa esce per la porta di sinistra).

Dal fondo a sinistra entra Lucia recando una tazzina riempita a metà di caffè. Si ode il campanello.

Ella, che era diretta verso Alfredo, torna indietro ed esce per la comune.

DOMENICO                    (dopo una pausa, pallido, assonnato, entra dal fondo seguito da Lucia. Scorge il caffè) È ccafè, chesto?

LUCIA                              (dando un'occhiata d'intenzione ad Alfredo che, alla venuta di don Domenico, si è alzato) Sissignore.

DOMENICO                     Damme ccà. (Lucia porge la tazza a Domenico che ne beve il contenuto quasi d'un fiato) '0 ddesideravo nu poco 'e cafè!

ALFREDO                        (rabbuiato) Io pure.

DOMENICO                     (a Lucia) Portale na tazza 'e cafè. (Siede al tavolo, il volto tra le mani, assorto in cupi pensieri).

Lucia fa comprendere ad Alfredo, con i gesti, che l'altra metà della tazza di caffè che dovrà portargli, è già stata diluita in acqua.

ALFREDO                        (spazientito, rabbioso) Portalo'o stesso.

Lucia esce per il fondo a sinistra.

DOMENICO                    Ch'è stato?

ALFREDO                       (sorridendo forzatamente) Ha ditto c' 'o ccafè è friddo. Aggio ditto: portalo 'o stesso.

DOMENICO                    Lo riscalda e lo porta. (T ornando al suo pensiero) Si' stato dall'avvocato?

ALFREDO                       Comme no.

DOMENICO                    E quanno vene?

ALFREDO                       Appena tene tiempo. Ma in giornata senz'altro.

Lucia entra dal fondo recando un'altra tazza di caffè. Si avvicina ad Alfredo e gliela porge guardandolo ironicamente, quindi, divertita, esce per il fondo. Alfredo, sfiduciato, si accinge a sorbire la bevanda.

DOMENICO                    (completando ad alta voce il suo pensiero, con apprensione) ...E si è malamente?

ALFREDO                       (credendo che Domenico alluda al suo caffè, con rassegnazione) C'aggia fa', don Dummi', nun m' 'o ppiglio. Vo' dicere ca quanno scengo m' 'o ppiglio 'o bar.

DOMENICO                    (disorientato) Che cosa?

ALFREDO                       (convinto) '0 ccafè.

DOMENICO                    Che me ne mporta d' 'o ccafè, Alfre'. Io dico: si è malamente chello ca sto facenno... nel senso che l'avvocato me dice ca nun se pò ffa' niente...

ALFREDO                       (dopo di aver sorbito un sorso di caffè con una smorfia di disgusto) Non è possibile... (Va a deporre la tazza su di un mobile, in fondo).

DOMENICO                    Che ne sai, tu?

ALFREDO                       (da intenditore) Comme che ne saccio? È una schifezza!

DOMENICO                    Bravo: è una schifezza. Proprio cosi. L'ha fatto male. Nun l'ha saputo fa'...

ALFREDO                       Don Dummi', nun l'ha saputo maie fa'!

DOMENICO                    Ma io ricorro in tribunale, in appello, 'a Corte suprema!

ALFREDO                       (sbalordito) Don Dummi', p'ammor' 'a Madonna! Pe' nu surzo 'e cafè?

DOMENICO                    Ma tu che vvuo cu' stu ccafè? Io sto parlanno d' 'o fatto mio!

ALFR.EDO                      (non ha ancora compreso, vago) Ecco... (comprende divertito l'equivoco) Ah!... (Ride) Eh... (Poi temendo l'ira di don Domenico, diviene d'un tratto come partecipe alla gravità dello stato d'animo del padrone) Ah... eh... Perdio!

DOMENICO                    (al quale non è sfuggita la metamorfosi spirituale del suo interlocutore, s'intenerisce, rassegnato ad accettare l'incomprensione di Alfredo) Che parlo a ffa' , cu' te? 'E che pozzo parlà cu' te? D' 'o ppassato... Ma te pozzo parlà d' 'o ppresente? ...(Lo guarda come se allora lo avesse conosciuto. La sua voce assume un tono di sconforto) Guarda llà, gua'... Alfredo Amoroso, come sei ridotto! 'A faccia appesa, 'e capille ianche, ll'uocchie appannate, miezo rimbambito...

ALFREDO                       (ammettendo tutto, anche perché non oserebbe mai contraddire il padrone e come rassegnandosi ad una fatalità) Perdìo!

DOMENICO                    (considerando che anch'egli, in fondo, ha subito le metamorfosi dell'età e delle vicende umane, rievoca) Gli anni passano e passano per tutti quanti... T' 'o ricuorde a Mimi Soriano, don Mimi, t' 'o ricuorde?

ALFREDO                        (colto soprappensiero, falsamente interessato) , Gnernò, don Dummi', è  muorto?

DOMENICO                    (con amarezza) È muorto, proprio accussi. Don Mimi Soriano è morto!

ALFREDO                       (comprendendo a volo la gaffe) Ah... vuie dicìveve... Don Mimì… (Serio) Ma…perdìò!

DOMENICO                    (come rivedendo la sua immagine giovanile) 'E mustaccielle nire! Sicco comm' a nu iunco! 'A notte 'a facevo iuorno... Chi durmeva maie?

ALFREDO                       (sbadigliando) M’ ‘o ddicite a me?

DOMENICO                    T' 'a ricuorde chella figliola ncoppo Capemonte? ...Che bella guagliona: Gesummina! -« Fuimmencenne», -'a tengo dint' 'e rrecchie... E 'a mugliera d' 'o veterinario?

ALFREDO                       Comme... Ah, che me facite ricurdà! Chella po' teneva na cainata ca faceva 'a capera. Io mi ci misi appresso ma nun se facevano 'e carattere...

DOMENICO                    'E meglio attacche, quanno scennevo abbascio 'a Villa! Tanno ce steva  ancora 'o truttuarre.

ALFREDO                        Iveve nu figurino!

DOMENICO                    O «nuasetto» o grigio: chille erano 'e culure mieie. Cappello duro, 'a cravascia mmano... 'E meglie cavalle erano 'e mieie. T'arricuorde «Uocchie 'argiento» ?

ALFREDO                       Comme nun m' 'a ricordo? ...Perdìo! «Uocchie 'argiento », 'a storna? ...(Con nostalgia) Che grande cavalla! Ci aveva un di dietro che era una luna piena! Quanno se guardava 'e faccia il di dietro, sembrava una luna piena nel momento del risorgimento! Io me n'annammuraie 'e chella cavalla! E pirciò me lassaie cu 'a capera. E quanno v' 'a vennìsteve, Alfredo Amoroso , ebbe un grande dolore.

DOMENICO                    (abbandonandosi al volo dei suoi ricordi) Parigi, Londra... 'e ccorse... Me sentevo nu Padreterno! Me sentevo ca putevo fa' chello ca vulevo io: senza règula, senza cuntrollo... (Infervorandosi) Ca nisciuno, maie, manco Dio, me puteva levà 'a copp' 'o munno! Me sentevo padrone d' 'e muntagne, d' 'o mare, d' 'a vita mia stessa... E mo? Mo me sento finito, senza vuluntà, senza entusiasmo! E chello che ffaccio, 'o ffaccio pè dimustrà a me stesso ca nun è overo, ca songo ancora forte, ca pozzo ancora vencere l'uommene, 'e ccose, 'a morte... E 'o ffaccio accussì naturale, ca ce credo, me cunvinco, me stono... e cumbatto! (Risoluto) Aggia cumbattere! Domenico Soriano non si piega. (Ripigliando il suo tono deciso) Ch'è succiesso ccà? He saputo niente?

ALFREDO                       (reticente) Eh... «He saputo niente?» Qua mi tengono all'oscuro. Donna Filumena, 'o ssapite, nun me pò vedé. Vulesse sapé che ll'aggio fatto... Rosalia, pe' ditto 'e Lucia e confermato da Rosalia medesima, dice che ha purtato tre lettere orgente pe' cunto 'e donna Filumena.

DOMENICO                    (ruminando, ma sicuro delle sue supposizioni) A chi?

Alfredo fa per rispondere qualcosa, ma si arresta vedendo entrare, da sinistra, Filumena.

FILUMENA                     (in abito da casa, un po' in disordine, seguita da Rosalia che reca delle lenzuola e finge di non vederli. Chiama verso la comune) Luci'... (A Rosalia) Dateme 'a chiave.

ROSALIA                        (porgendo le chiavi) Eccomi a voi.

FILUMENA                     (intascandole, spazientita, alludendo a Lucia che ritarda) E vvi' si vene   chella... (Chiama con un tono di voce un po' piu forte e perentorio) Luci'!

LUCIA                             (entra dal fondo a sinistra, premurosa) Ch'è stato, signo'?

FILUMENA                     (tagliando corto) Pigliete sti lenzole. (Rosalia consegna la biancheria). 'O saluttino, vicino 'o studio, ce sta n'ottomana, l'accuonce a lietto.

LUCIA                              (un po' sorpresa) Va bene. (Fa per andare).

FILUMENA                     (fermandola) Aspetta.' A cammera toia me serve. (Lucia cade dalle nuvole). Cheste so' 'e llenzole pulite: doie mute. Tu te faie 'a branda dint' 'a cucina.

LUCIA                              (visibilmente contrariata) Va bene. E 'a rrobba mia? Aggi' 'a levà pure 'a rrobba mia?

FILUMENA                     T'aggio ditto ca me serve 'a cammera!

LUCIA                              (alzando un po' il tono della voce) E 'a rrobba mia addò 'a metto?

FILUMENA                     Te piglie 'o stipo dint' 'o curridore.

LUCIA                             Va bene. (Esce per il fondo a sinistra).

FILUMENA                     (fingendo di scorgere solo allora Domenico) Tu stive lloco?

DOMENICO                    Si, stevo ccà nterra... (Freddo) Se pò ssapé ched'è sta trasformazione in  casa mia?

FILUMENA                     Comme no? E che ci sono sicreti fra marito e moglie? Mi servono altre due camere da letto.

DOMENICO                    E pe' chi servono?

FILUMENA                     (categorica) P' 'e figlie mieie. Sarebbero state tre, ma siccome uno è ammogliato e tene pure quatto guagliune, se sta 'a casa soia, p' 'e fatte suoie.

DOMENICO                    Ah, mbè?! Ce stanno pure 'e niputine? ... (Provocatore) E comme se chiamma sta tribu che tenive astipata?

FILUMENA                     (sicura del fatto suo) Pe' mo portano 'o nomme mio... Più in là purtarranno 'o nomme tuio.

DOMENICO                    Senza'o cunsenzo mio, nun credo!

FILUMENA                     Ce 'o daie, Dummi'... ce 'o daie! (Esce per la porta di sinistra).

ROSALIA                        (a Domenico con ostentato senso di rispetto) Permesso. (Segue Filumena).

DOMENICO                    (con un incontenibile scatto grida attraverso la porta a Filumena,  alludendo ai figli) N’ ‘e ccaccio! He capito? N' 'e ccaccio!

FILUMENA                     (dall'interno, con voce ironica) Nchiudite 'a porta, Rusali'.

La porta si chiude sul muso di Domenico.

LUCIA                              (entra dal fondo e si rivolge a Domenica con tono riservato) Signo', fore ce sta 'a signurina Diana, con un altro signore.

DOMENICO                     (interessandosi) E falla trasì.

LUCIA                              Nun vo' trasì. Io ho insistito, ma ha ditto che andate voi for' 'a sala. Se  mette appaura 'e donna Filumena.

DOMENICO                    (esasperato) Vuie vedite 'o Pateterno! Aggio miso 'o cammurrista dint' 'a casa! (Alludendo a Diana) Dincello che tràseno perché ci sono io qua.

Lucia esce.

ALFREDO                        Chella si 'a vede... (accompagnando la parola col gesto, come per dire: «la picchia»)... 'a scutuléa...

DOMENICO                    (gridando in modo da farsi ascoltare anche oltre la porta chiusa della camera da letto, come per prevenire il caso) C'ha dda scutulià, Alfre'?! Ma ccà, overamente facimmo? ...Io songo 'o padrone! (Alludendo a Filumena) Essa nun è niente! Facìmmece capace tutte quante dint' a sta casa!

LUCIA                              (ritorna dal fondo e a Domenico) Signo', non ha voluto entrare. Dice che lei non risponde dei suoi nervi.

DOMENICO                    Ma chi ce sta cu essa?

LUCIA                              Nu signore. Essa l'ha chiamato avvocato. (Considerando) Ma me pare ca se mette appaura pur'isso...

DOMENICO                    Ma comme? ...Siamo tre uomini!

ALFREDO                       (sincero) A me non mi contate... Pecché, comme stongo stammatina, vaco tre sorde! (Deciso) Anzi, vuie avit' 'a parlà... Me vaco a ffà na sciacquata 'e faccia dint' 'a cucina. Se mi volete, mi chiamate... (Senza attendere risposta, esce per il fondo a sinistra).

LUCIA                              Signo', c'aggi' 'a fa'?

DOMENICO                    Mo ce vaco io! (Lucia esce per il fondo a sinistra, Domenico per il fondo  a destra, introducendo subito dopo, Diana e l'avvocato Nocella) Non lo dite neanche per ischerzo! Questa è casa mia.

DIANA                             (ferma sotto la soglia, con alle spalle l'avvocato, in preda ad evidente orgasmo) No, caro Domenico, dopo la scenata di ieri non intendo assolutamente di ritrovarmi a faccia a faccia con quella donna.

DOMENICO                    (rassicurandola) Ma vi prego, Diana, mi mortificate. Entrate, non dovete avere paura.

DIANA                             Paura, io? Ma neanche per sogno! Non voglio giungere a degli eccessi.

DOMENICO                    Non è il caso. Ci sono io qua.

DIANA                             Ieri sera pure, c'era lei.

DOMENICO                    Ma fu cosi all'improvviso... Ma vi assicuro che non dovete temere niente. Entrate, avvoca', accomodatevi.

DIANA                             (avanzando di qualche passo, allude a Filumena)

DOMENICO                    Vi ripeto: non vi preoccupate. Accomodatevi, sedetevi. (Porge le sedie. I tre seggono intorno al tavolo: Nocella nel mezzo, Domenico a destra, Diana a sinistra. Ella non perde d'occhio la camera da letto). Dunque?

NOCELLA                       (è un uomo sui quarant'anni, normale, insignificante. Veste con una certa eleganza sobria. Si trova li a parlare del caso Soriano perché vi è stato trascinato da Diana. Si nota, infatti, nel tono della voce, un certo disinteresse) Io abito nella pensione dove abita la signorina. E là ci siamo conosciuti tempo fa.

DIANA                             L'avvocato può dire chi sono e che vita faccio.

NOCELLA                       (che non vuole immischiarsi) Ci vediamo la sera, a tavola. Io, poi, in pensione ci sto raramente... Tribunale, clienti; e, di solito, non m'interesso.

DIANA                             (non riuscendo a trattenere la sua apprensione, dopo aver guardato ancora una volta a sinistra la porta donde ha timore debba uscire Filttmena da un momento all'altro, a Domenico) Scusi, Domenico... Preferisco sedere al posto suo. Ha difficoltà? ...

DOMENICO                    Vi pare...

I due cambiano posto.

DIANA                             (ripigliando il discorso iniziato da Nocella) E proprio a tavola, ieri sera, io  raccontai il caso suo e di Filomena.

NOCELLA                       Già... ci facemmo un sacco di risate...

Sguardo significativo di Domenico.

DIANA                             Oh, no, no, io non ne risi per niente.

Nocella la guarda con intenzione.

DOMENICO                    La signorina si trovava qua, perché io la feci fingere infermiera.

DIANA                             Mi fece fingere? Ma neanche per sogno! Sono infermiera, e come: con tanto di diploma! Non gliel'ho mai detto, Domenico?

DOMENICO                    (sorpreso) No, veramente.

DIANA                             Bah, in fondo, perché avrei dovuto dirglielo? ... (Ripigliando il discorso) Dissi il suo stato d'animo e la sua preoccupazione di dover rimanere legato ad una donna, senza averne avuto mai il minimo desiderio. E l'avvocato spiegò esaurientemente...

Campanello interno.

DOMENICO                    (preoccupato) Scusate, vi dispiace di passare nello studio? Hanno suonato il campanello.

Lucia attraversa il fondo da sinistra a destra.

DIANA                             (alzandosi) Si, forse è meglio.

Nocella si alza anche lui.

DOMENICO                    (mostrando loro lo «studio») Accomodatevi.

NOCELLA                       Grazie. (Esce per primo).

DOMENICO                    Ci sono novità?

DIANA                             (a Domenico con intimità) Sentirai... (Domenico è impaziente). Sei palliduccio... (Cosi dicendo, Diana accarezza la guancia di lui ed esce. Domenico interdetto, la segue).

LUCIA                              (introducendo Umberto) Accomodatevi.

UMBERTO                      (è un giovane alto, ben piantato. Veste con dignitosa modestia. Ama lo studio con convinzione. Il suo modo di parlare, il suo sguardo acuto da osservatore, dànno un senso di soggezione. Entrando) Grazie.

LUCIA                              Se vi volete sedere... nun saccio si donna Filumena esce subito.

UMBERTO                      Grazie, si, mi seggo volentieri. (Siede a sinistra al limitare del terrazzo. Si mette a scribacchiare su di un quaderno che ha recato con sé. Lucia si avvia verso la porta di sinistra ma sentendo trillare il campanello d'ingresso torna sui suoi passi ed esce dal fondo a destra. Dopo una breve pausa ritorna introducendo Riccardo)

LUCIA                             Entrate.

RICCARDO                     (è un giovane svelto, simpatico, vestito con vistosa eleganza. Nell'entrare guarda l'orologio da polso) Nenne', na cosa 'e ggiorno... (Lucia fa per raggiungere la porta di sinistra. Riccardo che l'ha sbirciata, la ferma con una scusa) Neh, guè, siente... (Lucia gli si avvicina).'A quanto tiempo staie ccà?

LUCIA                             È un anno e mezzo.

RICCARDO                     (galante alla buona) 'O ssaie ca si' na bella piccerella?

LUCIA                             (lusingata) Si nun me guasto c' 'o tiempo...

RICCARDO                     Viene 'a part' 'o magazzino mio...

LUCIA                             Tenite 'o magazzino?

RICCARDO                     Numero 74, a Chiaia, dint' '0 purtone... Te faccio 'e ccammise.

LUCIA                             Overo? E che mme mettite 'e ccammise 'a ommo? Iatevenne!

RICCARDO                     Eh! Io servo uomini e donne... All'uommene, ce metto 'e cammise, a 'e ffemmene comm'a tte... ce le levo! (Dicendo quest'ultima battuta fa per abbracciare la ragazza).

LUCIA                              (divincolandosi, offesa) Neh, neh! (Riesce a liberarsi) Vuie fusseve pazzo? Pe' chi m'avite pigliata? Io ce 'o ddico 'a signora. (Alludendo ad Umberto che ha seguito la scena senza attribuire ad essa alcun peso) Cu' chillo llà...

Campanello interno. Lucia si avvia verso il fondo.

RICCARDO                     (osservando Umberto, divertito) Guè, overo... Io non l'avevo visto.

LUCIA                             (risentita) E vuie nun vedite manco 'e ffigliole per bene ca se fanno 'e fatte lloro... (Si avvia).

RICCARDO                     (insinuante) Ce viene 'o magazzino?

LUCIA                             (sostenuta) A' nnummero 74? ...(Guardando il giovane con ammirazione, sorride).

RICCARDO                     (con un cenno che vuoi significare: «ti aspet.to») A Chiaia...

LUCIA                             Eh... e ce vengo! (Ed esce per il fondo a destra lanciando a Riccardo un ultimo sorriso d'intesa).

RICCARDO                     (passeggia un po' per la camera, guarda Umberto e vistosi fissato sente il bisogno di giustificare il suo modo di comportarsi nei riguardi di Lucia) È carina...

UMBERTO                      E a me che me n'importa?

RICCARDO                     (un po' risentito) Ma pecché, facite 'o prevete, vuie.

Umberto non risponde e continua a scribacchiare.

LUCIA                              (dal fondo, introducendo Michele) Trase Miche', 'a chesta parte.

MICHELE                        (in tuta blu da stagnino e con la borsa dei ferri, avanza semplicemente, È un giovane di buona salute, florido e grassoccio. Ha un carattere semplice e gioviale. Si sberretta) Luci', ma ch'è stato? 'O bagno scorre n'ata vota? Io ce facette chella saldatura.

LUCIA                             No, funziona.

MICHELE                        E allora che ato ve scorre?

LUCIA                             Oi ni', a nuie nun ce scorre niente. Aspetta, mo vaco a chiammà a donna Filumena. (Esce a sinistra).

MICHELE                        (a Riccardo, rispettoso) Servo. (Riccardo risponde al saluto con un lieve cenno del capo). Tengo 'a puteca sola... (Trae dalla tasca una cicca) Tenete un cerino?

RICCARDO                     (superbo) Nun'o tengo.

MICHELE                        E nun fumammo. (Pausa). Voi siete parente?

RICCARDO                     E voi siete 'o giudice istruttore?

MICHELE                        Come sarebbe?

RICCARDO                     Vuie tenite genio 'e parlà, io no.

MICHELE                        Ma nu poco 'e maniera 'a putansseve pure tené. Fùsseve o' Patetemo?

UMBERTO                      (intervenendo) No, nun è 'o Patetemo... è scostumato.

RICCARDO                     Come sarebbe?

UMBERTO                      E scusate, voi siete entrato e, senza badare che vi trovate in casa d'altri, ve site menato ncuoll' 'a cammarera... Trovate a mme, manco p' 'a capa... Mo ve mettite a sfottere a chillu povero Dio...

MICHELE                        (risentito, a Umberto) Oh, ma pecché, secondo te, io songo 'o tipo 'e me fa' sfottere... Tu vide 'o Pateterno... Uno iesce d' 'a casa pè fatte suoie... (A Riccardo) Avite ragione ca stammo ccà ncoppa.

RICCARDO                     '0 ssaie ca m'he scucciato? Mo te dongo nu bbuffo ccà ncoppo stesso...

MICHELE                        (diviene pallido d'ira. Lascia cadere in terra la borsa e si avvicina  lentamente, minaccioso) Famme vedé.

RICCARDO                     (gli va incontro con la stessa calma apparente) Ma pecché? ...Me mettesse appaura 'e te?

Umberto si è avvicinato ai due per intervenire e prevenire l'iniziativa dell'uno o dell'altro.

MICHELE                        (rabbioso) Stu piezz' 'e... (Con gesto rapido fa per dare un manrovescio a Riccardo, ma costui lo previene, anche per l'intervento di Umberto. Ad Umberto) Let' 'a miezo, tu...

Ha inizio la zuffa fra Michele e Riccardo, nella quale si trova coinvolto Umberto. Volano calci e manrovesci che non raggiungono mai gli obiettivi. I tre giovani piu si accaniscono, mormorando, fra i denti, parole d'ira e di offesa.

FILUMENA                     (dalla sinistra, entrando, interviene in tono energico) Ch'è stato?         ...(Rosalia che l'ha seguita si ferma alle sue spalle. I tre giovanotti, al richiamo, si compongono assumendo un atteggiamento d'indifferenza, si schierano al cospetto della donna). Che ve credite? Che state mmiez' 'a via?

UMBERTO                      (toccandosi il naso dolorante) Io dividevo!

RICCARDO                     Io pure.

MICHELE                        Anch'io.

FILUMENA                     E chi deva?

I TRE                                (all'unisono) Io no...

FILUMENA                     (deprecando) Purcarie! L'uno contro all'ato! (Pausa. Filumena ripiglia il suo atteggiamento abituale) Dunque, guagliu'... (Non trova il modo per iniziare il suo dire) Gli affari come vanno?

MICHELE                        Ringraziammo a Dio!

FILUMENA                     (a Michele) E i bambini?

MICHELE                        Bene.' A settimana scorsa ci ebbi il mezzano con un poco di febbre. Ma mo sta bene. Se mangiaie duie chile d'uva 'e nascosto d' 'a mamma. Io non c'ero. Fece una panza tosta che sembrava un tamburo. Sapete, quattro bambini... o l'uno o l'altro vi dànno sempre da fare. Pè furtuna ca l'olio di ricino piace a tutt'e quatto. Figuràteve ca, quanno purgo a uno, ll'ati tre arrevòtano 'a casa: pianti, strilli... E si nun purgo pure a lloro nun 'a fernésceno. Se mettono tutt'e quatto, in fila, sopra 'e rinalielle... So' bambini.

UMBERTO                      Signora, io ho ricevuto un suo biglietto. Il suo nome, sic et simpliciter, non mi diceva niente. Per fortuna c'era l'indirizzo e mi sono ricordato che, questa donna Filomena, l'incontro quasi ogni sera, quando esco per andare al giornale, e che, una volta, ebbi il piacere di accompagnarla proprio a questo indirizzo perché non ce la faceva a camminare, a causa di un piede che le doleva. Cosi ho ricostruito e...

FILUMENA                     Già, me faceva male 'o pede.

RICCARDO                     (piu esplicito) 'E che se tratta?

FILUMENA                     (a Riccardo) '0 negozio va bene?

RICCARDO                     E pecché avess' 'a ji' malamente? Certo che se avessi tutte clienti come voi, dopo un mese, dovrei chiudere. Quando venite voi dentr' 'o magazzino mio aggio na mazzata ncapo. Mi fate prendere tutte le pezze di stoffa: questa no, quella no... ci debbo pensare... E lasciate un negozio ca p' 'o mettere a posto ce vonno 'e facchine.

FILUMENA                      (materna) Vuol dire che non vi darò piu fastidio.

RICCARDO                     Che c'entra, voi siete la padrona, ma io sudo na cammisa 'a vota!

FILUMENA                     (quasi divertita) Dunque, io vi ho mandato a chiamare per una cosa seria. Se volete entrare un momento qua... (indica la prima a sinistra) stiamo piu tranquilli.

DOMENICO                    (dallo studio, seguito dall'avvocato Nocella, interviene. Ha ripreso il suo tono normale di uomo sicuro del fatto suo. Si rivolge a Filumena con energia bonaria) Lascia sta' Filume', non è il caso d'imbrogliare! maggiormente le tue cose... (All'avvocato) Io, senza essere avvocato, lo dissi prima di voi. Era chiaro. (Filumena lo guarda dubbiosa). Dunque, qua c'è l'avvocato Nocella che può darti tutti gli schiarimenti che vuoi. (Ai tre ragazzi) La signora si è sbagliata. Vi ha incomodati inutilmente. Vi chiediamo scusa e... se volete andare...

FILUMENA                      (fermando i tre che si avviano) Nu mumento... Io nun me so' sbagliata. Ll'aggio mannate a chiammà io. Che c'entri tu?

DOMENICO                     (con intenzione) Avimm’ ‘a parlà nnanz' 'a gente?

FILUMENA                     (ha compreso che qualcosa di serio è avvenuto, per cui l'andamento delle cose è completamente mutato. Il tono calmo della voce di Domenico le ha dato conferma di ciò. Si rivolge ai tre giovanotti) Scusate, cinque minuti... Volete aspettare for' 'a loggia?

 Umberto e Michele si avviano un po' interdetti.

RICCARDO                     (consultando l'orologio) Sentite! Ma a me mi pare che si abusi della cortesia altrui! Io ho da fare...

FILUMENA                     (perdendo la calma) Guè, ccà se tratta 'e na cosa seria, t'aggio ditto! (Trattandolo da moccioso, con un tono che non ammette replica) Cammina for' 'a loggia. Comme aspettano ll'ate, aspiette pure tu.

RICCARDO                     (sconcertato dal tono deciso di Filumena) Va bene! (Segue gli altri due, sempre, però, a malincuore).

FILUMENA                     (a Rosalia) Dalle na tazza 'e cafè.

ROSALIA                         Subito. (Ai tre) Iate for' 'a loggia. Ve mettite là bbascio... (Indica un punto) Mo ve porto na bella tazza 'e cafè. (Esce per il fondo a sinistra mentre i tre giovanotti escono fuori al terrazzo).

FILUMENA                     (a Domenico) Dunque?

DOMENICO                    (indifferente) Qua sta l'avvocato, 'o vi'? ...Parla cu isso.

FILUMENA                     (spazientita) Io cu 'a legge ce tengo poca amicizia. Ad ogni modo, 'e che se tratta?

NOCELLA                       Ecco qua, signora. Ripeto, io in questa faccenda non c'entro.

FILUMENA                     E allora, che ce si te venuto a ffa'?

NOCELLA                       Ecco, non c'entro, nel senso che il signore qua non è mio cliente, né mi ha mandato a chiamare.

FILUMENA                     Allora ce si te venuto?

NOCELLA                       No...

FILUMENA                     (ironica) Ve ce hanno mannato?

INOCELLA                      No, signo'. È difficile ch'io consenta a qualcheduno di mandarmivici.

DOMENICO                    (a Filumena) '0 vuo fa' parlà?

NOCELLA                       Di questo fatto me ne ha parlato la signorina... (Non vedendola dietro di sé, guarda verso lo studio) Dove sta?

DOMENICO                    (impaziente di riportare la discussione nei suoi termini essenziali) Avvoca', io... lei... chi ve ne ha parlato, non ha importanza. Venite alla conclusione.

FILUMENA                     (alludendo a Diana con sarcasmo feroce ma contenuto nel tono dell'interrogazione) Sta llà dinto, è ove'? Nun tene 'o curaggio d'ascì ccà fore. Iammo nnanze, avvoca'.

NOCELLA                       Per il caso espostomi da lui... dall'altra... insomma... p' 'o fatto ch'è  succieso, c'è l'articolo 101, che io ho trascritto qua. (Trae di tasca un foglio e lo mostra) Articolo 101: Matrimonio in imminente pericolo di vita. «Nel caso di imminente pericolo di vita... ecc...» spiega tutte le modalità. Ma l'imminente pericolo di vita non c'è stato, perché la vostra, secondo la versione del signore qua, è stata una finzione.

DOMENICO                    (pronto) Tengo i testimoni: Alfredo, Lucia, 'o guardaporta, Rosalia...

FILUMENA                     L'infermiera...

DOMENICO                    L'infermiera! Tutte quante! Appena 'o prèvete se n'è ghiuto, s'è alzata dal letto... (mostra Filumena) e ha detto: «Dummi', simmo marito e mugliera!»

NOCELLA                       (a Filumena) E allora c'è a suo vantaggio l'articolo 122: Violenza ed errore. (Legge) «Il matrimonio può essere impugnato da quello degli sposi il cui consenso è stato estorto con violenza o escluso per effetto di errore». L'estorsione c'è stata: in base all'articolo 122, il matrimonio viene impugnato.

FILUMENA                     (sincera) Io nun aggio capito.

DOMENICO                    (convinto di dare una interpretazione giusta all'articolo del codice, a Filumena, volendo soverchiarla) Io ti ho sposata perché dovevi morire...

NOCELLA                       No, il matrimonio non può essere sottoposto a condizioni. C'è l'articolo... mo nun m' 'o ricordo... Insomma dice: «Se le parti aggiungono un termine o una condizione, l'ufficiale di stato civile, o il sacerdote, non può procedere alla celebrazione del matrimonio».

DOMENICO                    Voi avete detto che l'imminente pericolo di vita non c’è stato...

FILUMENA                     (brusca) Statte zitto, ca manco tu he capito. Avvoca', spiegateve 'a napulitana.

NOCELLA                       (porgendo il foglio a Filumena) Questo è l'articolo. Leggetelo voi stessa.

FILUMENA                     (strappa il foglio senza neanche guardarlo) Io nun saccio leggere e po' carte nun n'accetto!

NOCELLA                       (un po' offeso) Signo', siccome nun site stata mpunt' 'e morte, 'o matrimonio s'annulla, nun vale.

FILUMENA                     E 'o prèvete?

NOCELLA                       Ve dice 'o stesso. Anze, ve dice ch'avite oltraggiato il sacramento. Non  vale!

FILUMENA                     (livida) Nun vale? Avev' 'a muri?

NOCELLA                       (pronto) Ecco.

FILUMENA                     Si murevo...

NOCELLA                       Allora sarebbe stato validissimo.

FILUMENA                     (mostrando Domenico che è rimasto impassibile) E lui si poteva  ammogliare un'altra volta, poteva avere dei figli...

NOCELLA                       Già, ma sempre da vedovo. Quest'altra probabile donna avrebbe sposato il vedovo della defunta signora Soriano.

DOMENICO                     Lei sarebbe diventata la signora Soriano...Morta!

FILUMENA                     (ironica, ma con amarezza) Bella soddisfazione! Allora io aggio spiso na vita pè furmà na famiglia, e 'a legge nun m' 'o permette? E chesta è giustizia?

NOCELLA                       Ma la legge non può sostenere un vostro principio, sia pure umano, rendendosi complice di un espediente perpetrato ai danni di un terzo. Domenico Soriano non intende unirsi in matrimonio con voi.

DOMENICO                    E ci devi credere. Se hai qualche dubbio, chiama un avvocato di tua fiducia.

FILUMENA                     No, ce credo. No pecché m' 'o ddice tu che hai tutto l'interesse... No pecché m' 'o ddice l'avvocato, pecché io ll'avvucate nun 'e ccunosco... Ma guardànnote nfaccia. Te pienze ca nun te cunosco? He pigliato n'ata vota 'a stess'aria 'e padrone. Te si' calmato... Na buscia me l'avarrisse ditta senza me guardà nfaccia, cu ll'uocchie nterra... pecché tu buscie nun n' he sapute maie dicere. È overo...

DOMENICO                    Avvoca', voi procedete.

NOCELLA                       Se mi date mandato.

FILUMENA                     (rimane per un attimo assorta. D'un tratto risponde all'ultima frase che le aveva rivolto Nocella. Il suo tono è altero, ma va crescendo di fervore, fino alto scatto) E io manco! (A Domenico) Io nemmno te voglio! (A Nocella) Avvoca', procedete. Nun  ' voglio nemmeno io. Nun è overo ca stevo mpunt' 'e morte. Vulevo fa' na truffa! Me vulevo arrubbà nu cugnome! Ma cunuscevo sulo 'a legge mia: chella legge ca fa ridere, no chella ca fa chiagnere! (Grida verso il terrazzo) A vvuie, venite 'a ccà!

DOMENICO                     (accomodante) Ma'a vuo fernì?

FILUMENA                      (Inviperita) Statte zitto! (Dal terrazzo ricompaiono i tre giovanotti un po' disorientati ed avanzano di qualche passo nella camera. Dal fondo, quasi contemporaneamente, Rosalia entra recando un vassoio con tre tazze di caffè, comprende la delicatezza del momento e, dopo aver appoggiato il vassoio su di un mobile, si pone in ascolto avvicinandosi quindi a Filumena, la quale, rivolta ai figli, cosi apertamente parla loro) Guagliu', vuie site uommene! Stateme a senti. (Mostra Domenico e Nocella) Ccà sta 'a ggente: 'o munno. '0 munno cu' tutt' 'e llegge e cu' tutt' 'e diritte... '0 munno ca se difende c' 'a carta e c' 'a penna. Domenico Soriano e l'avvocato... (Mostrando se stessa) E ccà ce sto io: Filumena Marturano, chella ca 'a leggia soia è ca nun sape chiàgnere. Pecché 'a ggente, Domenico Soriano, me l'ha ditto sempe: «Avesse visto maie na lacrema dint' a chill'uocchie!» E io senza chiagnere... '0 vvedite?! Ll'uocchie mieie so' asciutte comm' all'esca... (Fissando in volto i tre giovani) Vuie me site figlie!

DOMENICO                    ...Filume’!

FILUMENA                     (risoluta) E chi si' tu, ca me vuò mpedì 'e dicere, vicin' 'e figlie mieie, ca me so' ffiglie? (A Nocella) Avvoca', chesto 'a legge d' 'o munno m' 'o permette, no? ...(Piu aggressiva che commossa) Me site figlie! E io so' Filumena Marturano, e nun aggio bisogno 'e parlà. Vuie site giuvinotte e avite ntiso parlà 'e me. (I tre giovani rimangono impietriti: Umberto sbiancato in volto, Riccardo gli occhi a terra come vergognoso, Michele con la sua aria imbambolata per la meraviglia e la commozione. Filumena incalza) 'E me nun aggi' 'a dicere niente! Ma 'e fino a quanno tenevo diciassett'anne, si. (Pausa). Avvoca', 'e ssapite chilli vascie... (Marca la parola) I bassi... A San Giuvanniello, a 'e Virgene, a Furcella, 'e Tribunale, 'o Pallunetto! Nire, affummecate... addò 'a stagione nun se rispira p' 'o calore pecché 'a gente è assaie, e 'a vvierno 'o friddo fa sbattere 'e diente... Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno... Io parlo napoletano, scusate... Dove non c'è luce nemmeno a mezzogiorno... Chin' 'e ggente! Addò è meglio 'o friddo c' 'o calore... Dint' a nu vascio 'e chille, 'o vico San Liborio, ce stev'io c' 'a famiglia mia. Quant'èramo? Na folla! Io 'a famiglia mia nun saccio che fine ha fatto. Nun 'o vvoglio sapé. Nun m' 'o rricordo! ...Sempe ch' 'e ffaccie avutate, sempe in urto ll'uno cu' ll'ato... Ce coricàvemo senza di': «Buonanotte! » Ce scetàvemo senza di': «Bongiorno! » Una parola bbona, me ricordo ca m' 'a dicette pàtemo... e quanno m' 'arricordo tremmo mo pè tanno... Tenevo tridece anne. Me dicette: «Te staie facenno grossa, e ccà nun ce sta che magnà, 'o ssaje? » E 'o calore! ...'A notte, quanno se chiudeva 'a porta, nun se puteva rispirà. 'A sera ce mettévemo attuorno 'a tavula... Unu piatto gruosso e nun saccio quanta furchette. Forse nun era overo, ma ogne vota ca mettevo 'a furchetta dint' 'o piatto, me sentevo 'e guardà. Pareva comme si m' 'avesse arrubbato, chellu magnà! ...Tenevo diciassett'anne. Passàveno 'e ssignurine vestite bbene, cu' belli scarpe, e io 'e guardavo... Passàveno sott' 'o braccio d' 'e fidanzate. Na sera ncuntraie na cumpagna d' 'a mia, che manco 'a cunuscette talmente steva vestuta bbona... Forse, allora, me pareva cchiù bello tutte cose... Me dicette (sillabando): «Così... Così... Così...» Nun durmette tutt a notte... o calore... 'o calore... E cunuscette a tte! (Domenico trasale). Là, te ricuorde?.. Chella «casa» me pareva na reggia... Turnaie na sera 'o vico San Liborio, 'o core me sbatteva. Pensavo: «Forse nun me guardaranno nfaccia, me mettarranno for' 'a porta!» Nessuno mi disse niente: chi me deva 'a seggia, chi m'accarezzava... E me guardavano comm' a una superiore a loro, che dà soggezione... Sulo mammà, quanno 'a iette a salutà, teneva ll'uocchie chin' 'e lagreme... 'A casa mia nun ce turnaie cchiù! (Quasi gridando) Nun ll'aggio accise 'e figlie! 'A famiglia... 'a famiglia! Vinticinc'anne ce aggio penzato! (Ai giovanotti) E v'aggio crisciuto, v'aggio fatto uommene, aggio arrubbato a isso (mostra Domenico) pè ve crescere!

MICHELE                        (si avvicina alla madre commosso) E va bbuono, mo basta! (Si commuove sempre piu) Certo ch'avivev' 'a fa' cchiù 'e chello ch'avite fatto?!

UMBERTO                      (serio, si avvicina alla madre) Vorrei dirvi tante cose, ma mi riesce difficile parlare. Vi scriverò una lettera.

FILUMENA                     Nun saccio leggere.

UMBERTO                      E ve la leggerò io stesso. (Pausa).

FILUMENA                     (guarda Riccardo in attesa che le si avvicini. Ma egli esce per il fondo senza dire parola) Ah, se n'è andato...

UMBERTO                      (comprensivo) È carattere. Non ha capito. Domani, passo io per il suo negozio e gli parlo.

MICHELE                        (a Filumena) Voi ve ne potete venire con me. 'A casa è piccola, ma c'entriamo. Ce sta pure 'a luggetella. (Con gioia sincera) Chille, 'e bambine, domandavano sempe: 'A nonna... 'a nonna... e io mo dicevo na fessaria, mo ne dicevo n'ata... Io quanno arrivo e dico: , a nonna! (come dire.. «Eccola!») llà siente Piererotta! (Invogliando Filumena) Iammo.

FILUMENA                     (decisa) Si, vengo cu' tte.

MICHELE                        E ghiammo.

FILUMENA                     Nu mumento. Tu aspettame sott' 'o purtone. (A Umberto) Scendetevene insieme. Dieci minuti. Aggia dicere na cosa a don Domenico.

MICHELE                        (felice) Allora, ampressa ampressa. (A Umberto) Voi scendete?

UMBERTO                      Si, scendo, ti accompagno.

MICHELE                        (sempre allegro) Signori a tutti. (Avviandosi verso il fondo) Io mi sentivo una cosa... Perciò volevo parlare... (Esce con Umberto).

.FILUMENA                    Avvoca', scusate, duie minute... (Mostra lo «studio»).

NOCELLA                       No, io me ne vado.

FILUMENA                     Duie minute sulamente. Me fa piacere che ci siete pure voi, dopo che ho  parlato con don Domenico. Accomodatevi. (Nocella, a malincuore, esce per lo «studio». Rosalia, senza lasciarselo dire, esce per prima a sinistra. Filumena, posando le chiavi sul tavolo) Io me ne vaco, Dummi'. Di' all'avvocato che procedesse per vie legali. Io non nego niente e ti lascio libero.

DOMENICO                    '0 ccredo! Te pigliave na somma 'e denare senza fa tutte sti storie...

FILUMENA                     (sempre calmissima) Dimane me manno a piglià 'a rrobba mia.

DOMENICO                    (un po' turbato) Si', na pazza, chesto si'. Hai voluto guastare la pace di quei tre poveri giovani. Chi te l'ha fatto fa'? Perché glielo hai detto?

FILUMENA                     (fredda) Pecché uno 'e chilli tre è figlio a te!

DOMENICO                    (rimane con lo sguardo fisso su Filumena inchiodato a quell'assurda verità. Dopo una pausa, cercando di reagire alla piena dei suoi sentimenti) E chi te crede?

FILUMENA                     Uno'e chilli tre è figlio a te!

DOMENICO                    (non osando gridare, con gravità) Statte zitta!

FILUMENA                     Te putevo dicere ca tutt'e tre t'erano figlie, ce avarrisse creduto... T' 'o ffacevo credere! Ma nun è overo. T 'o pputevo dicere primma? Ma tu ll'avarrisse disprezzate all'ati duie... E io 'e vvulevo tutte eguale, senza particularità.

DOMENICO                    Nun è overo!

FILUMENA                     È overo, Dummi', è overo! Tu nun te ricuorde. Tu partive, ive a Londra, Parigge, 'e ccorse, 'e ffemmene... Na sera, una 'e chelli tante, ca, quanno te ne ive, me regalave na cart' 'e ciento lire…  na sera me diciste: «Filume', facimm' avvedé ca ce vulimmo bene», e stutaste 'a luce. Io, chella sera te vulette bène overamente. Tu, no, tu avive fatto avvedé... E quanno appicciaste 'a luce n'ata vota, me diste 'a soleta carta 'e ciento lire. Io ce segnaie 'a data e 'o giorno: 'o ssaie ca 'e nummere 'e ssaccio fa... Tu po' partiste e io t'aspettaie comm' a na santa!... Ma tu nun te ricuorde quanno fuie... E nun te dicette niente... Te dicette c' 'a vita mia era stata sempe 'a stessa... E, infatti, quanno me n'addunaie ca nun avive capito niente, fuie n'ata vota 'a stessa. .

DOMENICO                    (con tono perentorio che maschera il suo inconsapevole orgasmo) E chi è?

FILUMENA                     (decisa) E... no, chesto nun t' 'o ddico! Hann' 'a essere eguale tutt' 'e tre... .

DOMENICO                    (dopo un attimo di esitazione, come obbedendo ad un impulso) Nun è overo... Nun pò essere overo! Me l'avresti detto allora, per legarmi, pe' me tené stritto dint' a na mano. L'unica arma sarrìa stata nu figlio... e tu, Filumena Marturano, di quest'arma te ne saresti servita subito.

FILUMENA                     Me l'avarrisse fatto accìdere... Comm' 'a penzave tu, allora... E pure mo! Tu nun te si' cagnato! No una, ma ciento vote, me l'avarrisse fatto accidere! Me mettette appaura 'e t' 'o ddicere! Sulo per me, è vivo 'o figlio tuio!

DOMENICO                    E chi è?

FILUMENA                     Hann’ ‘a essere eguale tutt' 'e tre!

DOMENICO                    (esasperato, cattivo) E songo eguale!... So' ffiglie tuoie! E nun 'e vvoglio vedé. Nun 'e ccunosco... nun 'o cunosco... Vatténne!

FILUMENA                     Te ricuorde, aiere, quanno te dicette: «Nun giurà, ca murarisse dannato, si nu iuorno nun me putisse cercà 'a lemmòsena tu a mme»? Perciò t' 'o ddicette. Statte bbuono, Dummi'. E ricuordate: si chello ca t'aggio ditto 'o ddice a 'e figlie mieie... t'accido! Ma no comm' 'o ddice tu, ca me l'he ditto pe' venticinc'anne... comme t' 'o ddice Filumena Marturano: t'accido! He capito!??.. (Verso lo «studio» energica) Avvoca', venite... (Alludendo a Diana) Viene pure tu, nun te faccio niente... He vinciuto 'o punto. Me ne vaco. (Chiamando verso sinistra) Rosali', viene. Me ne vaco. (Abbraccia Rosalia che entra e a lei) Dimane me manna a piglià 'a rrobba mia. (Dallo studio» compare Nocella, seguito da Diana, mentre dal fondo, senza parlare, entra Alfredo). Statevi bene, ve saluto a tutte quante. Pure a vvuie, avvoca', e scusate. (Dal fondo viene anche Lucia). He capito, Dummi'... (Con ostentata giovialità) T' 'o ddico nnanz' 'a ggente: nun dicere niente 'e chello che t'aggio ditto. A nisciuno! Tienatello pe' te. (Prende dal seno un medaglione, lo apre e ne estrae, ripiegato diverse volte, un consunto biglietto da cento. Ne strappa un pezzetto, poi a Domenico) Ci avevo segnato sopra un conticino mio, nu cunticiello ca me serve. Tiene. (Poggia il biglietto sul tavolo e, con tono quasi allegro, ma profondamente sprezzante, gli dice) 'E figlie nun se pàvano! (Esce per il fondo a sinistra dicendo) Bona iurnata a tutte quante.

ATTO TERZO

La medesima scena degli atti precedenti. Fiori un po' da per tutto. Non mancano cesti ben confe-

zionati con, appuntati in cima, i biglietti dei donatori. I fiori saranno di colore delicato, non rossi, ma nemmeno bianchi. Un'aria di festa traspira da ogni angolo della casa. La tenda, che divide la camera da pranzo dallo studio, è completamente chiusa. Sono trascorsi dieci mesi dal secondo atto. È quasi sera. Rosalia entra dal fondo a destra in abito da festa. Contemporaneamente dallo studio entra Domenico: è completamente mutato. Non un gesto, non una intonazione che caratterizzavano la sua natura autorevole, si scorgono in lui. È divenuto mite, quasi umile. I capelli sono un po' piu bianchi. Vedendo Rosalia che si avvia a sinistra, la ferma.

DOMENICO                    Ched'è, site asciuta, vuie?

ROSALIA                         Sono andata a fare una commissione per donna Filumena.

DOMENICO                    Che commissione?

ROSALIA                        (insinuante, bonaria) Ched'è, site geluso? Sono andata al vicolo San Liborio...

DOMENICO                    A ffa' che?

ROSALIA                        (scherzosa) Guè, chillo overamente è geluso!

DOMENICO                    Ma che geluso. Me ne so' addunato ampressa.

ROSALIA                         Io scherzo. (Guardando con circospezione verso la stanza di Filumena) Io v' 'o ddico... ma nun dicite niente a donna Filumena, pecché nun 'o vo' fa' sapé.

DOMENICO                    E allora nun m' 'o ddicite.

ROSALIA                        E no... Io, po', penso che faccio bene a dirvelo, perché è una cosa che le fa        onore. M'ha fatto purtà mille lire e cinquanta candele 'a Madonna d' 'e rrose 'o vico San Liborio. E m'ha fatto da' l'incarico a navecchia d' 'o vico, che provvede sempre p' 'e fiore, p' 'a lampa, p' 'a cerca, di accendere le candele alle sei precise. E sapite pecché? Pecché alle sei è fissato 'o matrimmonio. Mentre spusate ccà, s'accendono'e candele nnanz' 'a Madonna d' 'e rrose.

DOMENICO                    Ho capito.

ROSALIA                         Na santa, ve pigliate, na santa. E s'è anche ringiovanita. Pare na figliulella: quant'è bella! E io ce 'o dicevo: «Ve pare che don Dummìneco se scorda 'e vuie? Ha vuluto annullà 'o matrimonio pe' puntiglio... Ma io 'a funzione è comme si 'a tenesse nnanz' all'uocchie».

DOMENICO                    (un poco infastidito dalla cicalata di Rosalia) Va buo', donna Rosali', iate dint'addu Filumena.

ROSALIA                         Sto andando. (Ma, quasi suo malgrado, continua a parlare) E si nun era per lei... finivo male, io. Mi prese in casa e qua so' rimasta, e qua resto, e qua moro.

DOMENICO                    Fate voi!

ROSALIA                         Io tengo tutto pronto. C'aggi' 'a fa'? ...(Alludendo al suo ultimo abbigliamento) 'A camicia bianca lunga cu' 'o pezzotto 'e merletto, 'a mutanda, 'e ccalze bianche, 'a cuffia. Sta tutto dint' a nu tiretto conservato. E lo sappiamo io e donna Filumena. Essa mi deve vestire. Embè, io nun tengo a nisciuno. Si turnassero 'e figlie miei, che io ci tengo sempre la speranza... Permettete. (Ed esce a sinistra).

DOMENICO                    (rimasto solo, gira un po' per la stanza, osserva i fiori, legge qualche biglietto, poi, macchinalmente, completa ad alta voce il suo pensiero) E va bene!

Dal fondo a destra si udranno le voci confuse di Umberto, Riccardo e Michele.

MICHELE                        (dall'interno) Alle sei. La funzione è alle sei.

RICCARDO                     (c. s.) Ma quando uno dà un appuntamento...

UMBERTO                      (c. s.) Ma io sono stato puntuale.

I tre giovanotti entrano sempre parlando.

MICHELE                        Ma noi abbiamo detto alle cinque. Io tre quarti d'ora ho tardato.

RICCARDO                     E he ditto niente!

MICHELE                        E va bene, ma l'appuntamento s'intende sempre una mezz'ora dopo. Se è alle cinque... alle cinque per le cinque e mezza, le sei meno un quarto...

RICCARDO                     (ironico) ...'o giorno appresso, 'o mese che trase...

MICHELE                        Oi ni', io tengo quattro figlie e orologge nun n'accatto cchiu... Pecché chille ca tenevo l'hanno scassato tuttu quante!

UMBERTO                      (scorgendo Domenico saluta rispettosamente) Don Domenico, buonasera.

RICCARDO                     (con lo stesso tono rispettoso) Don Domenico...

MICHELE                        Don Domenico...

E tutti e tre si schierano di fronte a Soriano, in silenzio.

DOMENICO                     Buonasera. (Lunga pausa). Mbè, e non parlate piu? Stiveve parlanno.

UMBERTO                       (un po' confuso) Già...

RICCARDO                      Embè... si parlava e poi... così.

MICHELE                         Na vota avévem' 'a ferni 'e parlà.

DOMENICO                     Appena m'avite visto... (A Michele) Si' arrivato tarde all'appuntamento?

MICHELE                         Sissignore, don Dome'.

DOMENICO                     (a Riccardo) E tu si' arrivato in orario.

RICCARDO                      Sissignore, don Dome'.

DOMENICO                    (a Umberto) E tu?

UMBERTO                       In orario, don Dome'.

DOMENICO                    (ripete come parlando a se stesso) In orario, don Dome'... (Pausa). E sedetevi. (I tre giovanotti seggono). La funzione è alle sei. Il tempo c'è. Alle sei viene il sacerdote. E... noi siamo fra di noi. Filomena non ha voluto nessuno. Vi volevo dire... io ve l'ho detto pure un'altra volta... Mi sembra che questo «don Dome'»... A me nun me piace.

UMBERTO                      (timido) Già.

RICCARDO                     (c. s.) Già.

MICHELE                        (c. s.) Già.

UMBERTO                      Ma non ci avete detto come vorreste essere chiamato.

DOMENICO                    E non ve l'ho detto perché avrei voluto che l'avesseve capito vuie. Stasera sposo vostra madre; ho già preso l'appuntamento con l'avvocato per la pratica che vi riguarda. Domani vi chiamerete come me: Soriano...

I tre giovani si guardano interrogandosi vicendevolmente sul modo di come rispondere. Ciascuno aspetta che l'altro si decida a parlare per primo.

UMBERTO                      (facendosi coraggio) Ecco, vedete... rispondo io, perché penso che tutti e tre siamo pervasi dallo stesso sentimento. Non siamo dei bambini, siamo degli uomini... e non possiamo, con disinvoltura, chiamarvi come, giustamente e generosamente, ci proponete di chiamarvi. Certe cose... bisogna sentirle dentro.

DOMENICO                    (con ansia interrogativa) E tu, dentro, non senti questo... diciamo bisogno... questa necessità di chiamare a uno... a me, per esempio, papà?

UMBERTO                      Non vi saprei mentire e non lo meritereste. Almeno per il momento: no!

DOMENICO                    (un po' deluso, rivolgendosi a Riccardo) E tu?

RICCARDO                     No, io nemmeno.

DOMENICO                    (a Michele) Allora tu?

MICHELE                        Io nemmeno, don Dome'!

DOMENICO                    Già, col tempo, uno ce fa l'abitudine. Mi fa piacere, sono contento di trovarmi con voi, sopratutto perché siete tre bravi ragazzi. Ognuno di voi lavora, chi in un campo, chi in un altro; ma con la stessa buona volontà, con la stessa tenacia. Bravi. (A Umberto) Tu sei impiegato e, per quanto mi risulta, svolgi il tuo lavoro con serietà ed orgoglio. Scrivi degli articoli.

UMBERTO                      Qualche novelletta.

DOMENICO                    Già, la tua ambizione sarebbe quella di diventare un grande scrittore.

UMBERTO                      Non ho questa pretesa.

DOMENICO                    E perché? Sei giovane. Capisco che per riuscire in questo campo si deve avere trasporto, ci si deve nascere...

UMBERTO                      E io non credo di esserci nato. Sapeste quante volte, preso dalla sfiducia, dico fra me e me: «Umbe', hai sbagliato... La tua strada è un'altra ».

DOMENICO                    (interessato) E quale altra potev'essere? Voglio dire, che ata cosa te sarria piaciuto 'e fa' nella vita?

UMBERTO                      Chi lo sa: sono tante le aspirazioni di quando si è ragazzi.

RICCARDO                     Quella poi, la vita, è tutta una combinazione. Io, per esempio, comme me trovo 'o negozio a Chiaia? Perché facevo l'amore con una camiciaia!

DOMENICO                    (cogliendo a volo) He fatt' 'ammore con molte ragazze, tu?

RICCARDO                     Così... non c'è male... (Domenico si alza interessato, scrutando ogni atteggiamento di Riccardo per scorgere in lui un gesto, un accento, ricollegabile alla sua giovinezza). Sapite ched'è? Non arrivo a trovare il tipo mio. Veco a una, me piace e dico: «Chesta è essa...» E subito penzo: «M' 'a sposo». Poi, veco a n'ata e me pare ca me piace cchiu assaie. Nun me faccio capace: ce sta sempe na femmena meglio 'e chella ca uno ha cunusciuto primma!

DOMENICO                    (a Umberto) Tu, invece, sei piu calmo, piu riflessivo, in materia di donne.

UMBERTO                      Fino ad un certo punto. Con le ragazze di oggi, c'è poco da essere riflessivo. Vuie, p' 'a strada, addò v'avutate vedete belle ragazze. La scelta è difficile. C'aggi' 'a fa', tante ne cambio fino a che trovo chella che dich'i'.

DOMENICO                    (rimane turbato nel constatare anche in Umberto la medesima tendenza di Riccardo. A Michele) E , tu? ...A te pure te piàceno 'e ffemmene?

MICHELE                        Io me nguaiaie ampressa ampressa. Conobbi a mia moglie e... ti saluto. Adesso devo stare con due piedi in una scarpa, con mia moglie non si scherza... E allora, capite, mi faccio i fatti miei. Non perché le ragazze non mi piacessero... ma perché mi metto paura!

DOMENICO                    (scoraggiato) Perché pure a te te piàceno 'e ffemmene... (Pausa. Poi tentando ancora di scrutare) Io quando ero giovane cantavo. Ci univamo sette, otto amici... Allora era l'epoca delle serenate. For' 'a loggia, si cenava e poi finiva sempre a canzone: mandolini, chitarre... Chi canta 'e vuie?

UMBERTO                       Io no.

RICCARDO                      Io nemmeno.

MICHELE                         Io si.

DOMENICO                    (felice) Tu cante?

MICHELE                        Comme! E si no, comme facesse a lavorà? Dint' 'a bottega canto sempe.

DOMENICO                    (ansioso) Famme senti quacche cosa.

MICHELE                        (schivo, pentito della sua ostentazione) Io? E che ve faccio senti?

DOMENICO                    Chello che vu6 tu.

MICHELE                        Sapete ched'è? ...Ca me metto scuorno.

DOMENICO                    E tu dint' 'a puteca nun cante?

MICHELE                        Ma è n'ata cosa... 'A sapite: «Munastero 'e Santa Chiara»? Quant'è bella! (Comincia ad accennare la canzone con voce incolore e stonata) «Munastero 'e Santa Chiara -tengo' o core scuro scuro -ma pecché pecché ogne sera -penzo a Napule comm'era...»

RICCARDO                     (interrompendolo) E accussi saccio cantà pur'io... Addò 'a tiene 'a voce?

MICHELE                        (quasi offeso) Chesta nun è voce? ...

UMBERTO                      Con questa voce posso cantare anch'io.

RICCARDO                     E io no?

DOMENICO                    Con questa voce può cantare chiunque. (A Riccardo) Famme senti tu.

RICCARDO                     Ma io non mi permetto. Nun tengo 'a faccia tosta 'e chisto. Appena, appena... (Accenna il motivo) «Munastero 'e Santa Chiara -tengo 'o core scuro scuro... Ma pecché, pecché ogne sera -penzo a Napule comm'era...» (Umberto continua la frase insieme alui). Penso a Napule comm'è... (Michele canta anche lui). No... nun è overo... No nun ce crero...

Ne nasce un coro scordato e inumano.

DOMENICO                    (interrompendoli) Basta, basta... (I tre zittiscono). Stateve zitte: è meglio... State emozionati... Non è possibile... Tre napulitane ca nun sanno cantà!

FILUMENA                     (entra da sinistra in un vistosissimo abito nuovo. Pettinatura alta «alla napole!ana», due file di perle al collo. Orecchini a «toppa». Il suo aspetto è diventato quasi giovanile. Parla a Teresina, la sarta, che la segue con Rosalia e Lucia) Tu qua' impressione, Teresi', ' difetto ce sta!

TERESINA                      (è una di quelle sarte napoletane che non disarmano: nel senso che le offese delle clienti deluse non la sfiorano nemmeno. La sua calma è addirittura irritante) Ma'o vedite vuie stu difetto, donna Filumena mia. Io, mo nce vo, so' tant'anne ca ve servo...

FILUMENA                     Tu tiene 'a faccia tosta! Si' capace 'e negà a faccia a ffaccia.

TERESINA                      Allora aggi' 'a dicere ca ce sta 'o difetto?

MICHELE                        Buonasera, mammà.

RICCARDO                     Buonasera e auguri.

UMBERTO                      Buonasera e auguri.

FILUMENA                     (lietamente sorpresa) Vuie state lloco? Bonasera! (A Teresina, cocciuta) E ssaie pecché ce sta 'o difetto? Pecché quanno haie nu taglio 'e stoffa mmano, he 'a fa' asci 'o vestetiello p' 'a piccerella toia...

TERESINA                      Uh, guardate!

FILUMENA                     Io già ce capitaie.., 'A vedette io, 'a piccerella toia, cu' nu vestito fatto cu' 'a stoffa ca faciste rimmané 'a nu vestito mio.

TERESINA                       Si dicite accussi, me facite piglià collera. (Con altro tono) Certo quanno 'a stoffa resta... (Filumena la guarda con rimprovero). Ma nun sacrifico maie 'a cliente. Nun sarria cuscienza.

ROSALIA                         (ammirata) Donna Filume', vuie state na bellezza! Site proprio 'a sposa! TERESINA                       Ma comme avev' 'a veni stu vestito?

FILUMENA                      (livida) Nun t 'aviv , 'a arrubbà 'a rrobba; he capito?

TERESINA                       (un po' offesa) E accussi nun avit' 'a dicere... Allora faccio 'a mariola? Aggio avé 'a mal a nutizia si è rimasta tanto 'e rrobba... (Fa il gesto per indicare una quantità irrisoria)

DOMENICO                    (che fino a quel momento ha assistito alla scena con impazienza, tutto assorto in una sua idea fissa e corrucciante, a Filumena) Filume', io t'aggi' 'a parlà nu mumento.

FILUMENA                     (fa qualche passo verso Domenico, ma zoppica a causa delle scarpe nuove che le fanno dolore) Madonna... sti scarpe...

DOMENICO                    Te fanno male? Levatelle e te ne miette n'atti paro.

FILUMENA                     Che m'he'a dicere?

DOMENICO.                   Teresi' se ve ne andate ci fate piacere.

TERESINA                       Comme no? Mo me ne vado. (Piega un panno nero che aveva con sé e lo mette sul braccio) Auguri e buona fortuna. (A Lucia avviandosi per il fondo) Neh, e comme avev' 'a ji', chillu vestito? (Esce seguita da Lucia).

DOMENICO                    (ai tre giovanotti) Vuie iate dint' 'o salotto a trattené 'o cumpare e 'a cummara. 'E ddate a bere qualche cosa. Rusali', accumpàgnale.

ROSALIA                        (annuisce) Gnorsi. (Ai tre giovanotti) Venite. (Esce per lo studio).

MICHELE                        (ai fratelli) Iammo, venite.

RICCARDO                     (irridendolo) Tu he sbagliato professione. Aviv' 'a ji' a San Carlo.

Ridendo, i tre giovanotti escono per lo studio.

DOMENICO                    (guarda Filumena} fammira) Comme staie bene, Filume'... Si' turnata n'ata vota figliola... E si stesse , tranquillo, sereno, te diciarria che tu puo' fa' ancora perdere 'a capa a n'ommo.

FILUMENA                     (vuole evitare, a tutti i costi, l’argomento che sta a cuore a Domenico e del quale ella ha intuito il tenore. Evade) Me pare ca nun manca niente. So' stata accussi stunata, ogge.

DOMENICO                    lo invece nun stongo tranquillo e nun stongo sereno.

FILUMENA                     (fraintendendo ad arte) E che vuo sta' tranquillo? Uno pò fa' affidamento sulo su Lucia. Alfredo e Rosalia so' duie viecchie...

DOMENICO                    (riprende il discorso iniziato) Nun cagnà discorso, Filume'; nun cagnà discorso pecché tu staie penzanno chello che sto penzanno io... (Continuando) E sta tranquillità, sta serenità, m' 'a puo' da' tu sola, Filume...

FILUMENA                     Io?

DOMENICO                    Tu he visto c'aggio fatto chello ca vulive tu. Dopo l'annullamento del matrimonio te venette a chiammà. E no una vota ma tanta vote... pecché tu facive dicere ca nun ce stive. So' stato io, ca so' venuto addu te e t'aggio ditto: «Filume', spusàmmece ».

FILUMENA                     E stasera ce spusammo.

DOMENICO                    E si' felice? ...Almeno, credo.

FILUMENA                     Comme no?

DOMENICO                    E allora m'he 'a fa' sta' felice pure a me. Asséttate, stamme a senti. (Filumena siede). Si tu sapisse quanta vote, in questi ultimi mesi, ho cercato di parlarti e non ci sono riuscito. Ho tentato con tutte le mie forze di vincere questo senso di pudore e me n'è mancato il coraggio. Capisco, l'argomento è delicato e fa male a me stesso metterti di fronte ll'imbarazzo delle risposte; ma nuie ce avimm' 'a spusà. Tra poco ci troveremo inginocchiati davanti a Dio, non come due giovani che ci si trovano per aver creduto amore un sentimento che poteva essere soddisfatto ed esaurito nel piu semplice e naturale dei modi... Filume', nuie 'a vita nosta ll'avimmo campata... io tengo cinquantaduie anne passate e tu ne tiene qurantotto: due coscienze formate che hanno il dovere di comprendere con crudezza e fino in fondo il loro gesto e di affrontarlo, assumendone in pieno tutta la responsabilità. Tu saie pecché me spuse: ma io no. Io saccio sulamente che ti sposo pecché m'he ditto che uno 'e chilli tre è figlio a me...

FILUMENA                     Sulo pe' chesto?

DOMENICO                    No... Pecché te voglio bene, simme state nzieme vinticinc'anne, e vinticinc'anne rappresentano una vita: ricordi, nostalgie, vita in comune... l'ho capito da me che mi troverei sbandato... e po', pecché ce credo; sono cose che si sentono, e io lo sento. Ti conosco bene e perciò te sto parlanno accussl. (Grave, accorato) Io 'a notte nun dormo. So' diece mise, 'a chella sera, te ricuorde? …che nun aggio truvato cchiu pace. Nun dormo, nun mangio, nun me spasso... nun campo! Tu nun saie dint' a stu core che tengo... Na cosa ca me ferma 'o respiro... Faccio accussl... (come per respirare una boccata d'aria) e 'o respiro se ferma ccà... (mostra la gola) e tu nun me può fa' campà accussl. Tu tiene core, si' na femmena c'ha campato, che capisce e m'aviss' 'a vulé pure nu poco 'e bbene. Nun me po fa' campà accussì! Te ricuorde quanno me diciste: «Nun giurà...» e io nun giuraie. E, allora, Filume', t' 'a pozzo cercà l'elemosina... E t' 'a cerco comme vuo tu: inginocchiato, baciannote 'e mmane, 'a vesta... Dimmello, Filume' dimme chi è figliemo, 'a carne mia... 'o sango mio... E me l'he 'a dicere, pe' te stessa, pe' nun da' l'impressione che staie facenno nu ricatto... Oo te sposo 'o stesso, t' 'o giuro!

FILUMENA                     (dopo una lunga pausa, durante la quale ha lungamente guardato il suo uomo) '0 vvuo sapé? ...E io t' 'o ddico. A me basta che te dico: «Tuo figlio è chillu là». Allora tu che faie? Cercherai di portartelo sempre con te, penserai a dargli un avvenire migliore e, naturalmente, studierai tutti i modi per dare piu denaro a lui che agli altri due...

DOMENICO                    Bè?

FILUMENA                     (dolce, insinuante) E aiutalo allora: ha bisogno, tene quatto figlie.

DOMENICO                    (con ansia interrogativa) L'operaio?

FILUMENA                     (assentendo) L'idraulico, comme dice Rosalia.

DOMENICO                    (a se stesso, man mano esaltandosi nei suoi ragionamenti) ...Un buon ragazzo... ben piantato... di buona salute. Perché si è ammogliato così presto? Con una piccola bottega che pò guadagnà? ...È un'arte anche quella. Con un capitale a disposizione pò mettere una piccola officina con operai, lui fa da padrone: un negozio di apparecchi idraulici moderni... (D'un tratto guarda Filumena con sospetto) Guarda, guarda... proprio 'o stagnaro... l'idraulico! E già, quello ammogliato, il piu bisognoso...

FILUMENA                     (fingendo disappunto) E na mamma ch'ha da fa'? ...Deve cercare di aiutare il piu debole... Ma tu nun l'he creduto... Tu, si' furbo, tu... È Riccardo, 'o commerciante.

DOMENICO                     '0 camiciaio?

FILUMENA                     No, è Umberto, 'o scrittore.

DOMENICO                    (esasperato, violento) Ancora... ancora me vuò mettere cu' 'e spalle nfaccia 'o muro? ...Fino all'ultimo!

FILUMENA                     (commossa per il tono accorato e affranto con cui Domenico ha pronunciato le sue parole, cerca di raccogliere tutti i suoi sentimenti più' intimi per trarne, in sintesi, la formula di un discorso persuasivo, che finalmente dia all'uomo delle spiegazioni concrete e definitive) Siénteme buono, Dummi', e po' nun ce turnammo cchiu ncoppa. (Con uno slancio d'amore da lungo tempo contenuto) T'aggio vuluto bene cu' tutt' 'e ftorze d' 'a vita mia! All'uocchie mieie tu ire nu Dio... e ancora te voglio bene, e forse meglio 'e primma... (Considerando d'un tratto l'inavvedutezza e l'incomprensione di lui) Ah, c he fatto, Dumml ! ...'E vuluto suffrì afforza... '0 padreterno t'aveva dato tutto p'essere felice: salute, presenza, denaro... a me: a me, ca pe' nun te da' nu dulore, me sarrìa stata zitta, nun avarìa parlato manco mpunt' 'e morte... e tu, tu sarrisse stato ll'ommo generoso c'aveva fatto bene a tre disgraziate.,. (Pausa). Nun m' 'addimannà cchiu pecché nun t' 'o ddico. Nun t' , 'o pozzo dicere... E tu devi essere galantuomo a non domandarmelo mai, pecché, p' 'o bbene che te voglio, in un momento di debolezza, Dummi'... e sarebbe la nostra rovina. Ma nun he visto che, non appena io ti ho detto c' 'o figlio tuio era l'idraulico, subito he cominciato a penzà ai denari... 'o capitale... il grande negozio... Pecché tu ti preoccupi e giustamente, pecché tu dice: «'E denare so' 'e mieie». E accumience a penzà: «E pecché nun ce 'o ppozzo dicere ca songo ' pate?» « E ll'ati duie chi songo?» « Che diritto tèneno?» L'inferno!... Tu capisci che l'interesse li metterebbe l'uno contro l'altro... Sono tre uomini, nun so' tre guagliune. Sarriano capace 'e s'accidere fra di loro... Nun penzà a te, nun penzà a mme... pienz' a loro. Dummi', 'o bello d' 'e figlie l'avimmo perduto!... 'E figlie so' chille che se teneno mbraccia, quanno so' piccerille, ca te dànno preoccupazione quanno stanno malate e nun te sanno dicere che se sènteno... Che te corrono incontro cu' 'e braccelle aperte, dicenno: «Papà! »... Chille ca 'e vvide 'e venì d' 'a scola cu' 'e manelle fredde e'o nasillo russo e te cercano 'a bella cosa... Ma quanno so' gruosse, quanno song'uommene, o so' figlie tutte quante, o so' nemice... Tu si' ancora a tiempo. Male nun te ne voglio... Lasciammo sta 'e ccose comme stanno, e ognuno va p' 'a strada soia!

Internamente si udranno i primi accordi di prova di un organo.

ROSALIA                        (dallo «studio» seguita dai tre giovani) È venuto... è venuto 'o ricco sacerdote...

MICHELE                        Mammà!...

DOMENICO                    (si alza dal tavolo e guarda tutti lungamente. Poi, come una decisione  immediata) Lasciammo sta' e ccose comme stanno, e ognuno va p’ ‘a strada soia... (Ai ragazzi) Io vi devo parlare... (Tutti attendono sospesi). Sono un galantuomo e non mi sento d'ingannarvi. Stateme a senti...

I TRE                                Si, papà!

DOMENICO                    (commosso guarda Filumena e decide) Grazie. Quanto m'avite fatto piacere... (Riprendendosi) Allora... Quando due si sposano è sempre il padre cheaccompagna la sposa all'altare. Qua genitori non ce ne sono... Ci sono i figli. Due accompagnano la sposa, e uno accompagna lo sposo.

MICHELE                        A mammà 'accumpagnammo nuie. (Si avvia verso Filumena e invita Riccardo a fare altrettanto).

FILUMENA                     (improvvisamente ricordando) Che ore songo?

RICCARDO                     Mancano cinque minuti alle sei.

FILUMENA                     (si avvicina a Rosalia) Rosali'...

ROSALIA                         Nun ce penzate. Alle sei precise s'appìcceno'e ccannéle pure llà.

FILUMENA                     (appoggiandosi al braccio di Michele e a quello di Riccardo) Iammo...

(Ed entrano nello studio)

DOMENICO                    (a Umberto)  E a me m'accumpagne tu...

Formano il breve corteo ed entrano nello «studio». Rosalia commossa, mite come sempre, rimane al suo posto battendo le mani e guardando la tenda. Internamente, l'organo intona la «Marcia Nuziale». Ora Rosalia piange. Poco dopo la raggiunge Alfredo, ed insieme seguono la cerimonia. Anche Lucia si unisce a loro. Le luci scendono in «resistenza» fino al buio completo. Dal terrazzo giunge lentamente un raggio lunare, e pian piano si accende la luce del lampadario. È passato

del tempo.

FILUMENA                     (seguita da Umberto, Michele e Rosalia entra dallo «studio» difilato, va verso sinistra) Che stanchezza, Madonna!

MICHELE                        E mo v'arrepusate. Ce ne iammo pure nuie. Dimane tengo 'a puteca.

ROSALIA                        (con una guantiera contenente dei bicchieri vuoti, verso Filumena) Auguri, auguri, auguri... Che bella funzione! Cient'anne he 'a campà, figlia mia, ca figlia me puo' essere!

RICCARDO                     (dallo «studio») È stata proprio na bella funzione.

FILUMENA                     (a Rosalia) Rusali', nu bicchiere d'acqua.

ROSALIA                        (marcando) Subito, signora... (Esce dal fondo).

DOMENICO                    (dallo «studio», recando una bottiglia di vino «speciale» con il tappo cosparso di ceralacca) Niente invitati, niente banchetto, ma na butteglia in famiglia, ce l'avimm' 'a vévere... (Prende il cavatappi sul mobile di fondo) Questo ci accompagnerà a dormire. (Stappa la bottiglia).

ROSALIA                        (ritorna con un bicchiere d'acqua in un piatto all'uso napoletano) Ecco l'acqua.

DOMENICO                    C'avimm’ ‘a fa' cu ll'acqua?

ROSALIA                        (come per dire: «Me l' ha chiesto donna Filumena») 'A signora.

DOMENICO                    Dincello,'a signora, che, di questa serata, l'acqua è malaugurio. E chiamma pure a Lucia... Mo me scurdavo... chiama pure Alfredo Amoroso: montatore e guidatore nonché conoscitore di cavalli da corsa.

ROSALIA                        (chiama verso il fondo a destra) Alfre'... Alfre', viene, viénete a bere nu bicchiere 'e vino cu 'o signore... Luci', viene tu pure.

ALFREDO                       (dal fondo, seguito da Lucia) Eccomi prisento.

DOMENICO                    (ha riempito i bicchieri ed ora li distribuisce) Teh, Filume', vive. (Agli altri) Bevete.

ALFREDO                       (trincando) 'A salute!

DOMENICO                    (guarda il suo fedele con tenerezza e nostalgia) Te ricuorde, Alfre', quanno 'e cavalle nuoste currevano?

ALFREDO                        Perdio!

DOMENICO                     Se so' fermate... Se fermaieno tantu tiempo fa. E io nun 'o vvulevo  credere, e dint' 'a fantasia mia 'e vvedevo sempe 'e correre. Ma, mo, aggiu capito ca s'erano fermate già 'a nu sacco 'e tiempo! (Mostra i giovanotti) Mo hann' 'a correre lloro! Hann' 'a correre sti cavalle ccà, ca so' giuvene, so' pullidre 'e sango! Che figura faciarriamo si vuléssemo fa' correre ancora 'e cavalle nuoste? Ce faciarriamo ridere nfaccia, Alfre'!

ALFREDO                        Perdio!

DOMENICO                    Bive, Alfre'... (Tutti bevono). 'E figlie so' ffiglie! E so' pruvvidenza. E sempre, sempre... quando, in una famiglia, ce ne sono tre o quattro, sempre succede che il padre ha un occhio particolare, che so io, un riguardo speciale per uno dei quattro. O peèché è cchiu brutto, o pecché è malato, o pecché è cchiu prepotente, cchiu capuzziello... E gli altri figli non se l'hanno a male... lo trovano giusto. È quasi un diritto del padre. Fra noi questo non ha potuto accadere, perché la nostra famiglia si è riunita troppo tardi. Forse è meglio. Vuol dire che quel bene che io avrei avuto il diritto di volere ad uno dei miei figli... lo divido fra tutti e tre. (Beve) 'A salute! (Filumena non risponde. Ha preso, dal seno, un mazzolino di fiori d'arancio e, di tanto in tanto, ne aspira il profumo. Domenico si volge ai tre giovani, bonario) Guagliu', romane ve ne venite a mangià ccà.

I TRE                                Grazie.

RICCARDO                     (avvicinandosi verso la madre) Ora vi lasciamo perché è tardi e mammà se vo' arrepusà. Stàteve bbona, mammà. (La bacia) Auguri e ce vedimmo dimane.

UMBERTO                      (imitando il fratello) Stàteve bbona.

MICHELE                        Buonasera ed auguri...

UMBERTO                      (avvicinandosi a Domenico e sorridendogli teneramente) Buonanotte, papà...

RICCARDO                     Papà, buonanotte.

MICHELE                        Papà, buonanotte.

DOMENICO                    (guarda i tre giovanotti con riconoscenza. Pausa) Dateme nu bacio! (I tre, l'uno dopo l'altro, baciano con effusione Domenico) Ce vedimmo dimane.

I TRE                                (uscendo seguiti da Alfredo, Rosalia e Lucia) A domani.

Domenico li ha seguiti con lo sguardo, assorto nelle sue riflessioni sentimentali. Ora si avvicina al tavolo e si versa ancora da bere.

FILUMENA                     (si è seduta sulla poltrona e si è tolta le scarpe) Madonna, ma che stanchezza! Tutta mo m' 'a sento!

DOMENICO                    (con affetto comprensivo) Tutta la giornata in movimento... poi l'emozione... tutti i preparativi di questi ultimi. giorni... ma mo statte tranquilla e ripòsati. (Prende il bicchiere e avvicinandosi al terrazzo) È pure ‘na bella serata! (Filumena avverte qualche cosa alla gola che la fa gemere. Emette dei suoni quasi simili a un lamento. Infatti fissa lo sguardo nel vuoto come in attesa di un evento. Il volto le si riga di lacrime come acqua pura sulla ghiaia pulita e levigata. Domenico preoccupato le si avvicina) Filume', ch'è stato?

FILUMENA                     (felice) Dummi', sto chiagnenno... Quant'è bello a chiàgnere...

DOMENICO                    (stringendola teneramente a sé) È niente... è niente. He curruto... he curruto... te si' mmisa appaura... si' caduta... te si' aizata... te si' arranfecata... He penzato, e 'o ppenzà stanca... Mo nun he 'a correre cchiu, non he 'a penzà cchiu... Ripòsate! ...(Ritorna al tavolo per bere ancora, un sorso di vino) 'E figlie so' ffiglie... E so' tutte eguale... Hai ragione, Filume', hai ragione tu! ...(E tracanna il suo vino mentre cala la tela}.