Fine dell’uomo

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FINE DELL’UOMO

Commedia in un atto

di GLAUCO DI SALLE

                                                          

PERSONAGGI

LA DONNA

L'UOMO

SE­CONDO UOMO

IL CAPO

I GREGARI

Commedia formattata da Cateragia per il sito

Una pianura larga, chiusa sul fondo in lontanissimo piano dalla città distrutta. Si vedono scheletri contorti di grattacieli, spettrali. Attorno è rovina e morte, sen­sazione precisa di vita mancata. In primo piano a sinistra un tronco smozzicato su un viluppo di radici e un germoglio filiforme con qualche foglia in cima, tentativo sporadico di rinascita. A destra due corti muri, distanti pochi passi, fatti di mattoni collocati uno sull'altro e sopra un intrico di rami e una sara­cinesca ondulata che fa da tetto. Dentro è quasi buio: pare ci sia qualcosa. È Valba.

(La donna, coperta da una corta veste scura, sbrindel­lata, che lascia nude le ginocchia, esce quasi fuggendo da quella specie di tana. I capelli sono lunghi e il suo viso è patito. Attraversa la scena, raggiunge il tronco smozzicato e si lascia cadere sulle radici, strisciando lentamente le mani sulla corteccia. Appare sulla soglia della tana Vuomo. Ha Vaspetto selvaggio di un solita­rio abitatore di isole; la barba incolta e lunga, la cami­cia a pezzi, stringe nelle mani degli stracci scuri, ampi).

L’Uomo                      - (guarda la donna in silenzio, poi dice adagio) Tu hai avuto paura.

La Donna                    - (ha uno scatto, si rivolge) Ti ho svegliato?

L’Uomo                      - Abbiamo un'eternità per dormire. Di che cosa hai avuto paura? La Donna          - Di niente.

L’Uomo                      - Non puoi aver avuto paura che di me. In questo deserto non è rimasta nessuna creatura umana, solo qualche bestia affamata della carne che ci rimane addosso. Hai sentito latrare un cane arrab­biato? Io dormivo, ma tu no.

La Donna                    - Non ho sentito niente.

L’Uomo                      - Non vuoi tornare dentro?

La Donna                    - (con un grido) No.

L’Uomo                      - Tu hai paura di me.

La Donna                    - È vero; è vero. (Piange istericamente).

L’Uomo                      - (tenta di avvicinarsele) Ascolta...

La Donna                    - Sta' indietro, indietro. Non mi toccare.

L’Uomo                      - (si ferma) Da due anni viviamo in questa maledizione, io e te, da quando ci siamo ritrovati soli in un mondo di morti che ci guardavano. È stato una meraviglia sentirti vicino a me, viva. E insieme, fino a quando i piedi ci sono diventati gonfi e le ginoc­chia rigide, abbiamo camminato in cerca di qual­cun altro vivo e non abbiamo trovato che occhi fìssi, mucchietti di ossa spolpate, figure incastrate nel cemento dalla forza della distruzione. Due anni e nessuno. Io sono sicuro che noi siamo rimasti soli sulla crosta della terra, o quasi soli.

La Donna                    - Non ricominciare. Non voglio sapere che cosa pensi. Io dico che verrà qualcuno, ci sco­veranno, qualcuno penserà che altri come lui possa ancora vivere.

L’Uomo                      - Bisogna vedere se possono venire qui e se vogliono e se ci sono.

La Donna                    - Ci sono, ci devono essere.

L’Uomo                      - E se non ci fossero?

La Donna                    - Ascoltami, ricordi? Sei sempre stato un po' strano tu. Di te, tutti dicevano che eri un uomo intelligente ma con qualcosa che ti guastava. Tu prendevi la vita come una missione o qualcosa di simile. Adesso ti sei cacciato in testa che siamo rimasti soli e che queste pietre, queste città distrutte hanno bisogno di noi così come la terra maledetta. È questo, vero?

L’Uomo                      - Tu sei sempre stata una stupida.

La Donna                    - E allora perchè non mi lasci morire?

L’Uomo                      - Ho bisogno di te.

La Donna                    - (urlando, in piedi) Da me non avrai niente, mai!

L’Uomo                      - Non so per quale miracolo siamo rimasti noi, vivi e non due altri, ma se due sono rimasti vivi, è perchè su questi due si dovranno ricostruire le città e la vita.

La Donna                    - Aspettiamo ancora.

L’Uomo                      - Ho paura anch'io di te. Ho paura che tu muoia. Vivendo in questo modo ci rimangono ancora pochi anni. Capisci, poi dovremo finire. Non ti dice niente questo? FINIRE. La nostra terra sarà nuda e la vita, se non si vuole credere a Darwin, ritornerà chissà quando, per un capriccio divino, forse.

La Donna                    - Non m'importa se la terra ha bisogno di noi. Tu, voglio sapere, tu che cosa vuoi?

L’Uomo                      - Perchè sei fuggita?

La Donna                    - Io lo so che cosa vuoi. Sei sempre stato falso come Giuda.

L’Uomo                      - (adagio) Senti, un giorno ci dissero che ci sarebbe stata la guerra, la guerra totale e ci siamo azzannati così bene e con forze così sproporzionate al nostro miserabile pianeta che si siamo distrutti insieme. Non ci sono stati né vinti, né vincitori, credo. Ci sono stati solamente morti e non son rimasti nemmeno intatti, fatti a brani, polverizzati. Dopo gli scoppi, ricordi? il sole non tornò subito, scomparve dietro una cortina nera., la stessa che ci faceva tenere per mano e ci faceva credere di camminare nel buio. Piano la cortina si diradò, ogni giorno divenne più leg­gera e noi vedemmo attorno la città distrutta e le miserie. Lottammo per yivere contro la disperazione e il terrore, contro la fame e il gelo. Ci piaceva sperare, ma poi pian piano la speranza se ne andò: nessuno, capisci? E perchè noi, noi soli, vivi?

La Donna                    - Sarebbe stato cento volte meglio rima­nere fermi, aspettare di morire. E poi tutto questo non c'entra. Non rimane che continuare a vivere, è così?

L’Uomo                      - Perchè sei fuggita?

La Donna                    - Vuoi che lo dica? Perchè sei falso come Giuda.

L’Uomo                      - Non c'è ragione perchè io cerchi d'in­gannarti.

La Donna                    - Sicuro, non c'è ragione. Lo dici tu. C'è la ragione ed è questa: tu non mi guardi bene con quei tuoi occhi che ogni giorno si allargano di più, simili a cerchi in uno stagno, tu mi guardi male e io lo sento. Per questo parli di vita sulla terra, di uomini scomparsi e di necessità inutili.

L’Uomo                      - Io capisco queste necessità.

La Donna                    - Mi credi stupida, vero? Lo fai per te, per te solamente. E non mi spingere più a pensare tutto questo, che mi sale il vomito, mi sento la bocca piena di nausea. Ah! fossimo rimasti lì, fermi, ad aspettare di morire!

L’Uomo                      - No, non lo faccio per me. Io sono ridotto uno straccio, tu lo vedi, non ho desideri, ma vorrei che qualcosa rimanesse di noi, se siamo soli. Non possiamo lasciare che gli anni ci riducano a scheletri.

La Donna                    - Tu non mi toccherai.

L’Uomo                      - Io lo farò.

La Donna                    - Tu non mi toccherai, ho detto.

L’Uomo                      - (avvicinandosi) Tu hai sentito che pen­savo di farlo, nella nostra tana e sei fuggita, ma sei sola e tu mi devi credere.

La Donna                    - Sei falso come Giuda, tu.

L’Uomo                      - Ma no, non è vero. Ti chiedo di aiutarmi. Dovresti sentire che bisogna fare così...

La Donna                    - Tu non mi toccherai. Ma sai quello che vuoi fare? Ti sei accorto che non posso più guar­darti in faccia?

L’Uomo                      - Lo so, lo so. Ho pensato. Ho dovuto vincermi, si capisce. Ho pensato mentre tu dormivi tremando sul mio petto per molte notti. Adesso sono convinto. Bisogna. Noi siamo strumenti. Siamo come il sole e il mare che danno la pioggia. Tu sei il mare, io il sole: siamo strumenti.

La Donna                    - Ti sei convinto?

L’Uomo                      - Sì.

La Donna                    - Facile convincersi della propria inno­cenza, quando si è ladri.

L’Uomo                      - Basta, tu devi ascoltarmi.

La Donna                    - Fuggirò.

L’Uomo                      - Tu non fuggirai.

La Donna                    - Io mi difenderò con le pietre.

L’Uomo                      - Tu non hai abbastanza forza.

La Donna                    - Non mi guardare così. Io ti ucciderò nel sonno.

L’Uomo                      - Non dormiremo più fino a quando non vorrai capire.

La Donna                    - Ti ucciderò dopo.

L’Uomo                      - Dopo... se vorrai...

La Donna                    - Stai indietro. Lasciami aspettare ancora.

L’Uomo                      - Non verrà nessuno.

 

La Donna                    - Ti chiedo un giorno.

L’Uomo                      - Ma sono io che ti chiedo di capire.

La Donna                    - Un giorno solo.

L’Uomo                      - È inutile.

La Donna                    - Aspettiamo la notte.

L’Uomo                      - Non fuggirai, vero?

La Donna                    - No.

L’Uomo                      - Così va bene.

La Donna                    - (pacata) Ma ti ricordi che io sono tua sorella?

L’Uomo                      - Tu non sei mia sorella.

La Donna                    - Falso: abbiamo avuto la stessa madre.

L’Uomo                      - Sì, ma tu non sei mia sorella.

La Donna                    - Continui nella tua storia, capisco. Ma non puoi non pensare che abbiamo avuto la stessa madre.

L’Uomo                      - Per me tu sei uno strumento, io sono uno strumento.

La Donna                    - Ti vedo negli occhi che menti.

L’Uomo                      - Io sono puro. Noi siamo puri. Tutti eravamo nati da fratelli, i nostri progenitori dove­vano essere stati necessariamente fratelli.

La Donna                    - E se non avremo figli? Allora che cosa saremo?

L’Uomo                      -  Bisogna tentare. Bisognerà averne più d'uno e di sesso diverso. Abbiamo un enorme peso sulle spalle ma anche un grande destino.

La Donna                    - Pazzo! Pazzo! Io prima mi taglierò la gola, prima.

L’Uomo                      - Tu non mi vuoi capire.

La Donna                    - Ti schiaccerò la testa con una pietra.

L’Uomo                      - No. (Si avvicina).

La Donna                    - Stai lontano. Avevi detto... (Raccoglie una pietra).

L’Uomo                      - (le afferra il braccio levato e glielo storce, la pietra cade, la donna si inginocchia, poi si rialza libera e mentre l'uomo cerca di stringerla ancora e trascinarla la donna scoppia in un pianto lamentoso, abbandonandosi. Allora Vtiomo si allontana) Non devi fare così. Calmati. Deve entrare in te la coscienza della terra, la vasta matrice dei semi che mettono foglie e frutti. Devi cercare di proiettare il tuo problema sullo schermo dell'infinito. Vedrai che perderà forma, diverrà minuscolo, piccolo grano di polvere in un fiotto di luce.

La Donna                    - Mi vuoi incantare con le tue parole. Io mi sento miserabile e tu mi sembri un mostro.

L’Uomo                      - Credi che io sia capace di mentire fino a questo punto? A che scopo? Se veramente ti volessi per me, prima mi caverei gli occhi, Kimarrei nel buio finché il tuo viso, la tua persona potessero diven­tare sconosciuti e non vorrei più sentire la tua voce. Infine saresti un'altra.

La Donna                    - Un'altra...

L’Uomo                      - Siamo soli. Solitudine. Questa parola non ti impaurisce?

La Donna                    - Solitudine... Ho vent'anni dietro di me.

L’Uomo                      - Sono stati distrutti con la tua città, con il mondo di ieri. Sono rimasti schiacciati da una trave di ferro, sepolti da un cumulo di macerie.

La Donna                    - Io non riesco a dimenticarli.

L’Uomo                      - Li dimenticherai.

La Donna                    - Lasciami del tempo.

L’Uomo                      - Ce n'è sfuggito anche troppo.

La Donna                    - Sono stanca. Qualche volta mi vedo muovere come in una boccia di vetro, lenta. Non avverto più il mio peso.

L’Uomo                      - Dovrai portarne un altro. La Donna {piange) Perchè non ci sediamo, invece, sopra un cornicione caduto in mezzo alla via, nella nostra città e aspettiamo in pace la fine?

L’Uomo                      - Tocca a noi fare in modo che essa non arrivi. Ci spia, lo so, è pronta, tutte le cose ci spingono a volerla; ma le cose sono per loro natura finite, solamente l'uomo aspira all'infinito, di generazione in generazione.

La Donna                    - Anche le bestie.

L’Uomo                      - Le bestie hanno l'istinto: le capre man­giano sempre erba e per l'eternità rumineranno erba e fiori di prato. Noi abbiamo fame di stelle.

La Donna                    - Tu mi vuoi incantare.

L’Uomo                      - Non capisci?

La Donna                    - Forse...

L’Uomo                      - (le accarezza appena i capelli) Non aver paura.

La Donna                    - Voglio una prova.

L’Uomo                      - Quale prova?

La Donna                    - Che quello che tu dici è vero. Che non mi vuoi per te.

L’Uomo                      - Mi devi credere.

La Donna                    - Voglio una prova.

L’Uomo                      - Non so.

La Donna                    - Fino a quando non me la darai, io ti sarò contro.

L’Uomo                      - Sono più forte di te.

La Donna                    - Non userò le pietre.

L’Uomo                      - Non hai nessun altro modo possibile.

La Donna                    - Ti chiamerò sempre, finché avrò un filo di voce, finché mi stringerai le dita attorno al collo, ti chiamerò « fratello ». Ti dirò : « Lasciami, fratello»; griderò: «non mi toccare, fratello».

L’Uomo                      - Ti stringerò le dita attorno al collo, me l'hai suggerito tu.

La Donna                    - Mi potresti uccidere, fratello.

L’Uomo                      - Smettila, bastarda!

La Donna                    - Non arrabbiarti, mi fai pena. Cerca una prova, fratello.

L’Uomo                      - Chiamo a testimonio la Terra.

La Donna                    - Sono parole.

L’Uomo                      - Lo giuro su Dio.

La Donna                    - Tu non credi in Dio.

L’Uomo                      - Ti costringerò.

La Donna                    - Mi dovrai lasciare, fratello.

L’Uomo                      - Se lo ripeti ti lincio.

La Donna                    - Non hai prove, vero?

L’Uomo                      - (implorando) Credimi. È necessario.

La Donna                    - Che cosa ne fai delle tue mani, dimmi?

L’Uomo                      - Mi aiutano a vivere, ci aiutano a vivere.

La Donna                    - Sono grandi e larghe, sono diventate pale. Dure...

L’Uomo                      - Sì, dure...

La Donna                    - Quando stringono, stritolano senza sapere. Ti è capitato di raccogliere, ieri, quel passero buttato là, sull'argine del fiume e ti è rimasta nel palmo, ancora viva, solamente la sabbia che strideva.

L’Uomo                      - Non l'ho fatto apposta. Che cosa vuoi da queste mie mani?

 La Donna                   - Legartele.

L’Uomo                      - Che cosa?

La Donna                    - Sulla schiena. (Pausa).

L’Uomo                      - Ti fanno paura?

La Donna                    - Schifo.

L’Uomo                      - Legale.

La Donna                    - (entra nella tana e ne esce con una filaccia. Con questa lega sulla schiena le mani all'uomo. Ma l'uomo ad un tratto si divincola. La donna fugge. Lui la rincorre, le è addosso, quando grida) C'è un uomo, guarda, un uomo! (L'uomo e la donna si volgono a destra e indietreggiano fissando il nuovo personaggio. È un uomo giovane, ma livido, viene avanti a strappi, pare che i piedi una volta posati non possano più staccarsi da terra e sono nudi; è curvo e tende le braccia, poi le lascia cadere; finché giunto in mezzo alla scena, si inginocchia, sfinito).

L’Uomo                      - (e la donna adesso si precipitano su di lui e lo mettono a sedere. L'uomo, dietro, appoggia contro le proprie ginocchia la schiena del secondo uomo. La donna è di fianco, vicinissima).

La Donna                    - Chi sei? (Al fratello) Hai visto?

L’Uomo                      - Ma che cos'ha? (Il secondo uomo è ago­nizzante, con le mani raspa la terra, misteriosamente).

La Donna                    - Parla!

L’Uomo                      - Vai a prendergli un sorso d'acqua. (La donna entra nella tana e ne esce subito con una scatola di latta piena d'acqua).

La Donna                    - Bevi, su! Bevi!

L’Uomo                      - È malato.

La Donna                    - (con violenza) Malato?

L’Uomo                      - Non vedi che la pelle gli si tira sul viso e gli occhi saltan fuori, non vedi che raspa con le mani la terra? Tutti i moribondi fanno così, lo do­vresti sapere.

La Donna                    - Non voglio, non voglio. (Al secondo uomo) Tu devi vivere. Che cosa possiamo fare per te? Di', parla!

Secondo Uomo           - Datemi... l'acqua...

La Donna                    - Sicuro, sicuro. Ti daremo tutto quello che vorrai, eccoti l'acqua, bevi, bevi piano. Apri la bocca così, di più, apri! Non battere i denti.

L’Uomo                      - Ho paura che sia malato da morire.

La Donna                    - Non deve essere così. Tu taci. Dob­biamo sapere se è solo o no. Se ci sono altri con lui, più indietro o dove li ha lasciati.

L’Uomo                      - Non gli tirerai fuori molte parole.

Secondo Uomo           - Acqua... acqua...

L’Uomo                      - Toh! Bevi ancora, bravo, prendi forza. Ti potremo dare qualcosa. Eimarrai qui con noi. Forza. Inghiottì!

La Donna                    - Mi ha sbavato sulle mani. Non importa. Bisogna che viva assolutamente. Ma perchè non parla?

L’Uomo                      - Non sa che dire « acqua ». Sta per morire. Stiamo tormentando un agonizzante, non credi?

La Donna                    - (al secondo uomo) Da dove vieni?

Secondo Uomo           - Da lontano. Sono due anni...

L’Uomo                      - Due anni che cosa?

Secondo Uomo           - ... che cammino...

La Donna                    - Sei solo?

Secondo Uomo           - (fa cenno di sì con la testa).

La Donna                    - Non è vero! (Lo scuote).

Secondo Uomo           - (fa ancora cenno di sì).

La Donna                    - Hai visto altri?

L’Uomo                      - Altri come noi?

Secondo Uomo           - No... no...

La Donna                    - Non hai hai visto gente viva?

Secondo Uomo           - No...

La Donna                    - Tu non dici la verità.

L’Uomo                      - La dice.

Secondo Uomo           - Sì, nessuno... io... muoio...

La Donna                    - (istericamente) Tu non devi morire. Non puoi morire. Fallo per me. Devi vivere. Su, attaccati coi denti qui al mio braccio, addenta, su, non ti lascerò morire, se mi succhiorai il sangue. Perchè tu hai bisogno di sangue, non ne hai più una goccia. Sei livido.

L’Uomo                      - Lascialo stare, morirà in pace.

La Donna                    - Già, si capisce, perchè tu ci guadagni alla sua morte. Erediti il mio corpo, ma questa ere­dità non voglio che lui te la lasci.

L’Uomo                      - Stai diventando pazza.

La Donna                    - (al secondo uomo) Su, su, non devi morire. Non puoi morire; Eiesci a guardarmi un istante? Apri gli occhi ancora. Sì, è vero non ho più la pella chiara e liscia, ma sono giovane, sai e sono tua, se tu vivi. Guardami. Potrai toccarmi. Vivrai sempre con me, non pare ma sono molto gio­vane, sai? E prima, in città, tutti mi volevano perchè dicevano che ero bella e fatta bene. Non sono più quella di prima, ma potrò ritornare così, forse con il tuo aiuto, con il tuo amore. Ti chiedo di vivere. Attaccati, attaccati qui, al braccio, mettici i denti, succhia, forza, non ti lasciare andare, reagisci, mi senti? Vero che mi senti? Vero che vincerai il torpore che ti sale dai piedi e che cerca di afferrarti il cuore?

L’Uomo                      - Lascialo, lo stai tormentando.

La Donna                    - Tu mi ascolti, vero? Mi senti? È la voce di una donna che ti parla. Ti piace, eh? È mia questa voce. La sentirai al mattino, ti sveglierò io tutte le mattine e avremo le notti tutte per noi, intere. Lasceremo da parte, solo, questo mio fratello impastato di sudiciume. Io ti amerò, ti amerò come in un sogno. Non puoi lasciarmi, dammi una spe­ranza, di' che stai meglio, che la crisi è passata, che ora è tempo di fare qualcosa per te, perchè la dispe­razione è vinta, la stanchezza e la morte sono state vinte. Parla! (Silenzio. Lo scuote) Ti scongiuro. Vuoi che io pianga? Ma gli occhi mi sono diventati fosse aride, non chiedermelo! Rispondi. Non battere i denti!

L’Uomo                      - Adesso basta! Non vedi? Ha il flato corto, può rimanere secco da un momento all'altro.

La Donna                    - Stregone! Indovino marchiato dal delitto. La sua morte ricadrà su di te.

L’Uomo                      - Smettila, pecora! Io sento invece che siamo veramente soli e mi gonfio d'orgoglio.

La Donna                    - L'orgoglio è un vizio spaventoso. Sarai punito! (Si accorge che il secondo uomo non respira più. La testa gli è caduta sul petto. Lo scuote, poi furibonda gli dà uno schiaffo violento urlando fra i singhiozzi) È morto! È morto!

FINE PRIMO QUADRO

QUADRO SECONDO

La stessa scena del primo quadro. Sono passati tre mesi. Il sole è alto e caldissimo.

 (La donna è seduta in terra e si appoggia alla tana.

Sola. Guarda il mozzicone d'albero con occhi inespres­sivi. Dopo un istante entra l'uomo).

L’Uomo                      - Sei ancora lì? Da stamattina?

La Donna                    - Sì. Mi piace il sole. Lo sento: è una persona calda.

L’Uomo                      - Ti potrebbe anche far male, non credi? Ma abbiamo bisogno di sole: ci riscalda le ossa. Anch'io sono stato al sole ma ho fatto qualcosa. Sai che nel mio saccheggio ho trovato una montagna di roba che ci può servire? Nella città bisogna andar cauti, ma è una miniera per noi. Pensa ho visto, d'un tratto...

La Donna                    - Ci verrò anch'io..

L’Uomo                      - È meglio che tu non venga. Ti stavo dicendo che ho visto una tribù di gatti. La città, me n'ero accorto anche prima, è piena di gatti. Sono stati gli animali che hanno sofferto meno.

La Donna                    - Sembrano avere due anime come hanno due occhi.

L’Uomo                      - Sai che cosa hanno fatto?

La Donna                    - Se me lo dici.

L’Uomo                      - Hanno assalito un cane. Gli sono saltati addosso inferociti. Il cane era magro e si tirava dietro una zampa ridotta a un moncone. Ha tentato di difendersi, poi di fuggire, ma è rimasto sotto 1& unghie dei gatti, stirato lungo, scosso da certi sin­ghiozzi umani dalla coda alle gengive.

La Donna                    - E tu sei rimasto a guardare, fermo?

L’Uomo                      - Ho pensato che i gatti avrebbero potuto assalirmi. Ho tirato una sassata. Vedi? il mondo è capovolto, i principi si confondono...

La Donna                    - Tocca a noi, vero, ricomporlo?

L’Uomo                      - Non sei Aera di questo destino, Elisa?

La Donna                    - (di scatto) Perchè mi chiami Elisat

L’Uomo                      - Credevo di farti piacere dandoti un nome.

La Donna                    - Ma perchè, Elisa?

L’Uomo                      - È un nome dolce, per questo.

La Donna                    - Ma non è il mio.

L’Uomo                      - Tu non hai avuto mai un nome.

La Donna                    - In principio mi chiamavi per nome. Poi, a mano a mano che il dubbio di essere rimasti soli aumentava, il mio nome lo pronunciavi sempre meno, fin quando l'hai dimenticato. Io non ti ho più chiamato da quando ho indovinato che cosa pensavi.

L’Uomo                      - Va bene, non ti tormentare, ti chiamerò Gea, che vuol dire « terra ».

La Donna                    - Non voglio nome. Lo daremo...

L’Uomo                      - (tremulo) Sicuro.., a lui...

La Donna                    - Che cosa ti accade? La tua voce trema.

L’Uomo                      - Tu sogni.

La Donna                    - Ascoltami. Mi sembra che tu abbia perduto qualcosa. Che so io? Una moneta d'oro. Sono tre mesi che tu hai fatto ciò che volevi. Ma dopo, giorno per giorno, la tua voce si è incrinata: hai perduto la fede.

L’Uomo                      - Storie, sono l'uomo di prima.

La Donna                    - Proprio, di prima, di una volta.

L’Uomo                      - (rabbioso) No!

La Donna                    - (calma) Guarda me, non sono calma? Io ti scongiuro per questa mia rassegnazione a non tremare più quando parli di lui... di questo peso che cresce con lo smorzarsi della tua fede. Stai attento, se io ti vedrò perduto, se ti sentirò vile, adesso, anche per un momento, se ancora te ne andrai, perchè non mi puoi vedere più, a cercare fra le rovine le mise­rabili basi della tua superbia, non mi ritroverai viva.

L’Uomo                      - Devi capirmi, qualche volta. Anche per me è stato duro.

La Donna                    - Hai visto qualcuno!

L’Uomo                      - Nessuno. È che mi capita di sentirmi troppo piccolo per essere un « principio ». Ma non ho paura.

La Donna                    - Ti credo. (Pausa) Non hai visto nessuno?

L’Uomo                      - Perchè lo ripeti? Ti ho già risposto di no.

La Donna                    - Lo sai perchè lo ripeto.

L’Uomo                      - Sì, ma non c'è proprio nessuno.

La Donna                    - Vivo.

L’Uomo                      - Si capisce.

La Donna                    - Questo è il mio incubo. Mi sono dimen­ticata chi sei, sono quasi in pace se ti sento forte, ma vedo, nelle ombre della notte, ombre di uomini vivi e rabbrividisco. Ogni cespuglio fino all'oriz­zonte, ogni buca sono abitati da uomini vivi pronti a schizzarmi addosso, burattini lanciati da una molla, chiusi in scatole paurose. Io li vedo, li sogno con gli occhi fìssi agli orli delle buche, agli stecchi dei cespugli: vivi. Rispondi! Che cosa faresti se saltassero fuori, di carne, se arrivassero fin qui sulle gambe, col passo nostro e ci mostrassero, a noi increduli, che non sono fantasmi, facendo gocciolare il loro san­gue fluido sulle nostre mani?

L’Uomo                      - Non è possibile.

La Donna                    - Tu non mi rispondi. Dimmi, invece, che cosa faresti? Rimarresti lì, al tuo posto, simile a una pietra? Che cosa sentiresti dentro, riusciresti ancora a tenere gli occhi aperti?

L’Uomo                      - Tutto il nostro dolore non può meritare...

La Donna                    - Che cosa ne sai? Io, ti dico la verità, io ho sempre paura che spuntino gli uomini vivi. Non saprei che fuggire dinanzi a loro, rintanarmi dove le loro voci non potessero raggiungermi, finché ci fosse in cielo una goccia di sole. Porse nel buio, potrei.

L’Uomo                      - Gli uomini non avrebbero niente da dirti.

La Donna                    - Comincerebbero subito invece, guar­dandomi. E poi è per me, capisci? O non ci pensi? E se tu hai le spalle così grosse e la coscienza vuota da poter sopportare il pensiero di avermi presa inu­tilmente, beato te. lo no. Non resisterei. Questo pensiero mi fa patire, ogni giorno.

L’Uomo                      - Lascia passare il tempo. Ci darà ragione di tutto.

La Donna                    - Mi chiedo se tu hai già dimenticato.

L’Uomo                      - (di scatto) No! No! Non ho dimenticato niente! Ma perchè mi tormenti? Lasciami in pace. Abbiamo fatto quello che abbiamo fatto e basta.

La Donna                    - Hai fatto.

L’Uomo                      - Ah! Tu no, vero? Non ti ricordi?

La Donna                    - Ricordo la nausea.

L’Uomo                      - Nient'altro?

La Donna                    - Sei stato tu.

L’Uomo                      - Ti sei rassegnata.

La Donna                    - Mi hai costretto.

L’Uomo                      - Ti ha costretto l'uomo che è venuto a morire qui.

La Donna                    - Io non ti ho tentato.

L’Uomo                      - Mi vuoi lasciare solo! Sì, ma tranne pochi momenti, posso rimanere solo. Tu non meritavi una avventura così vertiginosa, perchè eri una donna destinata alla mediocrità. Lasciami solo, non im­porta. Sono stato io, va bene, se ciò ti può calmare. Tutte le colpe sono mie, lo proclamo a questo deserto, ma non mi batto il petto, perchè finora non ho cono­sciuto che sacrifìci e speranze. (Si dirige verso la città distrutta e quasi in tono di preghiera) Su questo deserto ritornerà la vita, i muri si rialzeranno attorno agli scheletri di ferro, alle armature. Le case avranno abitatori. La terra darà frutto, pane e vino. Nei cieli si volerà. I mari saranno segnati da rótte innu­merevoli. La sabbia delle spiagge porterà ancora impresso il piede dell'uomo e tutti gli elementi, un giorno, obbediranno a lui, creatura viva dell'uni­verso. Gli uomini ricorderanno il mio viso nei loro figli e nei loro amori goccerà il mio seme. (Si inter­rompe. Bimane nell'atto della preghiera preveggente, impietrito fissando qualcosa fuori scena, a destra).

La Donna                    - Continua. Ti sei inghiottito la lingua? (Pausa) Che cosa hai? (La donna gli si avvicina e guarda nella stessa direzione dell'uomo per un attimo, poi è presa dal terrore, si volta all'uomo e senza voler guardare più, lo percuote sul petto coi pugni e grida): Chi sono?

L’Uomo                      - Figure in piedi.

La Donna                    - Vive?

L’Uomo                      - Uomini.

La Donna                    - (fa per fuggire. L'uomo l'afferra. Lei lotta disperata, gridando) No, non posso rimanere. Lasciami! Lasciami!

L’Uomo                      - Dove vuoi andare?

La Donna                    - Non posso rimanere qui. Lasciami fuggire! (Riesce a svincolarsi e fugge a sinistra scom­parendo. Appena muove il primo passo la voce del Capo da destra, urla arrochita e bestiale).

La voce del Capo       - Ferma! (La donna continua nella sua fuga e la voce ripete violentemente) Ferma! Ferma!

(Poi si ode un crepitare di mitraglia. L'uomo che era rimasto immobile corre verso sinistra dopo un istante di silenzio. Entrano in scena da destra il Capo e i tre gregari. Sono, questi uomini, ridotti a bruti. Una casacca, che potrebbe essere quello che rimane di una divisa militare, li fa uguali. Imbracciano tutti armi e sembra che le dita siano inchiodate sui calci.

I visi sono barbuti e bestiali. Le fronti basse. Gli occhi crudeli. Il Capo è un passo avanti gli altri. Contem­ poraneamente da sinistra entra l'uomo reggendo sulle braccia la donna morta. Un silenzio).

L’Uomo                      - Chi siete voi?

II Capo                       - (interdetto prima, poi rivolgendosi agli altri e sghignazzando altezzoso) Diteglielo voi: chi siamo? (Gli altri accennano a un riso forzato).

Uno dei Gregari          - Noi siamo... (Bimane sospeso). Il Capo (a voce altissima) I vincitori! (Pausa).

L’Uomo                      - E quanti siete?

Il Capo                        - (volgendosi ancóra indietro e smarrendosi improvvisamente dopo aver guardato uno per uno t suoi gregari) NOI.

FINE