Firenze-Bologna, si cambia

Stampa questo copione

FIRENZE-BOLOGNA, SI CAMBIA

 


Commedia in tre atti

di Gaspare Cataldo

PERSONAGGI

Lorenzo Gualdi, 45 anni

Giulia, sua moglie, 24 anni

Franco Genesi, 29 anni

Olga, madre di Giulia, 50 anni.

Cesare De Ritis, 48 anni

Giovanna, sua figlia, 23 anni

Adele, cameriera

Un commesso

A Roma, oggi.

Tra il primo e il secondo atto, tre giorni. Il terzo, il giorno dopo.

CAPPELLI EDITORE

ATTO PRIMO

Uno studio legale assai decoroso, con i soliti scaffali pieni di codici, sinossi e pubblicazioni giuridiche. A destra, la scrivania con fioche carte e il telefono; in se­condo piano, la finestra. A sinistra, poltrone divano ta­volino e mobile-bar; in secondo piano, la comune. Di fronte un'altra porta, verso il salottino privato. Mattino.

SCENA PRIMA

Giulia, Franco,Olga, Cesare, Commesso

(Quando si al­za il sipario, Olga sfoglia una rivista; Giulia siede accanto a lei; Franco, appoggiato al vano della, fine­stra, guarda fuori).

Franco (Dà un'occhiata all'orologio, soffoca uno sbadiglio, si avvicina alla scrivania, prende un codice rilegato, lo sfoglia rapidamente, lo rimette a posto) - Se è an­dato in tribunale,  stiamo freschi.

Olga - Che ore sono?

Franco - Quasi mezzogiorno... Potremmo lasciargli un biglietto...

Olga - Un biglietto?

Franco - Per quello che abbiamo da dirgli...

Olga - E il telegramma?

Franco - Gli lasci anche quello: lo metterà agli atti.

Olga - Voglio sentire l'avvocato.

Franco - Ma che cosa vuole che dica, l'avvocato? La legge è quella che è, non è mica cambiata, da ieri l'altro. Ecco qua!... (riprende il codice) Vuole che glielo legga io il codice? (accorgendosi che, Giulia ha acceso la sigaretta)   Giulia?!...

Giulia - È appena la seconda.

Franco - La terza. Non aspirare.

Giulia - Sì, caro...

Olga - Che male le può fare una sigaretta più o meno? Non ho mai sentito dire che i malati di nervi si curano così.

Franco - Cioè?

Olga - Cioè... ricordandole tutti i momenti che sta male, togliendole  il  respiro...

Franco - Scusi, signora, chi è il medico di noi due?

Giulia - Povera mamma!... Anche lei, oggi, è nervosa. La   delusione   è   stata  grande.

Olga - Niente affatto. Non mi sono mai illusa.

Franco - Allora, perché si è rivolta all'avvocato? Perché ha voluto che gli scrivesse?

Olga - Per uno scrupolo. Pazzo per pazzo, poteva anche rispondere.

Franco - Macché pazzo! Quello ragiona meglio di me e di lei. Egoista, mascalzone, ma sa "bene quello che fa.

Olga - E continua a scappare?

Franco - Per non aver noie. Il suo signor genero è fatto così. È il suo stile: scappare, sfuggire alle proprie responsabilità, far pagare agli altri ì propri errori. In un altro paese, gli costerebbe caro. Invece... non gli costa nulla. Lui se la gode; oggi in America, domani in Europa, libero, padrone di sé... E noi qui, tre mosche condannate a sbattere contro il muro, contro questa bella collezione di codici, di leggi, istituzioni... Qui non si scherza: siamo nella patria del diritto!...  Jus!... Lex!...

Cesare (dalla comune, la borsa sotto il braccio) - Domando scusa, ma quando si va in tribunale... Come sta, signora? (stretta di mano a Olga) E lei, Giulia? Un po' meglio, no? La speranza è una gran medicina.

Franco (amaro) - A piccole dosi. Gli mostri il telegramma. (Olga lo ha già tolto dalla borsetta e glielo porge).

Cesare (leggendo) - « Lorenzo partito ieri sera. Saluti. Adolfo ».   E   incredibile.

Franco - Troppo lunga, la sua lettera, caro avvocato, troppi argomenti. Io ne avrei adoperato uno solo, ma efficace.

Cesare - La rivoltella?

Franco - Là, a quattrocchi, in una camera d'albergo: O acconsenti al divorzio o t'ammazzo.

Cesare - Addirittura?!...

Franco - Gli lasciavo la scelta: vuoi che sposi tua moglie... O la tua vedova? Decidi! Era il solo ten­tativo  da  fare,   il  solo  rimedio!

Cesare - Bel rimedio!

Franco - Allora, ce ne suggerisca un altro.

Cesare - Purtroppo...

Olga - Ma è possibile che in tutti quei codici non ci sia un articolo,  un paragrafo?...

Franco - Non c'è, signora, non c'è. Siamo in Italia, no? Niente annullamento,  senza l'accordo delle parti.

Olga - Anche quando la colpa del marito è così evidente?

Franco - E dai! Lo vuoi capire che in Italia il marito è in una botte di ferro? Finché non uccide la moglie, ha ragione lui. (A Giulia) Tu sei viva e hai torto. Ce ne possiamo andare.

Olga - Non ancora... (A Cesare) Se non erro, l'altro gior­no lei ha accennato alla possibilità di un'azione... un'azione...

Cesare - ... unilaterale? Solo in tre casi. Articoli 117-124 del codice civile.

Franco - Barbaro. Codice barbaro.

Olga - E sarebbero?

Cesare   -   Primo, impotenza preesistente; secondo...

Franco - ... errore di persona; terzo, vizio di consenso. E qui, ci sarebbe l'appiglio. Giulia non lo voleva.

Cesare -  In un primo  tempo.

Franco - Né prima né dopo. Ne fece una malattia. (Olga accenna a protestare) La verità, signora. Storia.

Olga - Ho fatto il mio dovere di madre. Era un buon partito.

Franco - Ottimo. Lei vent’anni, lui quarantino. Ma era ricco.

Cesare (sorridendo) - Ha la sua importanza...

Giulia (scattando, con violenza) - Non per me. Dovresti almeno  ricordare   che...

Olga - Ma sì, cara... lo riconosco: sono stata io a...

Cesare - Per il suo bene.

Olga - E perché altro? Ma è mutile: questo processo dura da tre anni, tutti i giorni, avvocato. Ora sono in due contro di me... come se avessi potuto prevedere che...

Cesare - Sono giovani, si vogliono bene... potrebbero essere felici...

Olga - Potrebbero... Ma non vogliono!

Franco - Io non regalo mio figlio al signor Gualdi Chiaro?

Giulia - Non te l'ho mai chiesto! Sarebbe mostruoso!

Cesare - Lei ha un figlio?

Franco - Ma no!... Dovrei averlo... per lei.

Olga - Ma questo lui non lo diceva! Ho dovuto portarla da un altro medico...

Giulia - Mamma, ti prego!...

Olga - È bene che sappia! Quest'altro medico, che non è una bestia...

Franco - Grazie!

Olga - No! Neanche tu lo sei... ma stavi zitto. Giulia guarirà soltanto diventando madre... Solo la mater­nità potrà ristabilire l'equilibrio del suo sistema psico... psicofisico, logorato dai dispiaceri. E sic­come... (indica Franco) non può essere, si consuma e va di male in peggio. E lui continua a scrivere ricette.

Franco - L'avvocato vuole così.

Cesare - Io???!

Franco - I suoi codici, la legge. Come si chiamerebbe suo figlio... se nascesse qui?

Cesare - Gualdi. Il nome del marito.

Franco - Ecco: il nome del marito.

Cesare  -  Potrebbe...  nascere  altrove.

Franco - Oh!... Ecco il punto!...

Cesare - Il mondo è grande.

Franco - È quello che le sto dicendo, da un mese: il mondo è grande!

Giulia - Ti ho forse detto di no? Sono pronta a seguirti, dove vorrai.

Franco - Sì, col fagottino in mano: emigranti di terza classe. Sarei un pazzo a farti correre quest'alea.

Cesare  -  Che  alea?

Franco - La miseria, avvocato, la fame. Non sono mica un contadino, un operaio... arrivo e mi metto a lavorare. Mi ci vogliono almeno due anni di tiro­cinio, due anni di magra.

Giulia - Che importa. Non ci sono nata, nel lusso.

Franco - Niente lusso: solo quel benessere, di cui non puoi fare a meno, per le tue condizioni di salute.

Olga - Qui ha ragione lui. Tu devi provvedere a te stessa.

Cesare - Può affittare l'appartamento!

Giulia - Con quale diritto?

Cesare - Lei ha tutti i diritti e nessun dovere, verso suo marito. Ne va della sua salute, Giulia!

Franco - L'appartamento non basta. Io non me n'in­tendo, sono la negazione degli affari, ma così, a occhio e croce...

Cesare - Ricaverà una discreta somma... forse un paio di milioni.

Franco - Di lire, lire svalutate. Provi a cambiarle in dollari, in sterline, in pesos... Addio lire! Bastano per il viaggio e le prime spese. Sono in due.

Olga - Allora, vendi!

Cesare - Non può signora. L'appartamento non è suo.

Olga - Non dico l'appartamento.

Cesare - E che altro? Capisco... Qualche quadro... l'argenteria...

Olga - Quello che occorre, per mettere insieme.

Franco - Cinque.  Cinque milioni, il minimo  perché possiate tirare avanti un paio d'anni. Di me non mi preoccupo; sono pronto a tutto, anche a fare il lustrascarpe. Ma tu devi avere quel che ti occorre.

Cesare - Giusto.

Franco - Ma lei non vuole, è piena di scrupoli... anche dopo quel telegramma.

Cesare - Ha torto, Giulia. Non parlo da avvocato, si capisce: legalmente...

Giulia - ... è un furto!

Cesare  -  Non esageriamo.  Esercizio  arbitrario  delle proprie ragioni.

Giulia - Allora, lei mi consiglia di?...

Cesare - Vendere in una volta, quello che dovrebbe vendere a poco a poco, se restasse qui.

Olga - Naturale! Un quadro oggi, un arazzo domani, in due o tre anni siamo lì... Ma lei spera nei suoi guadagni.

Frango - Ha ragione di sperare. Ma ci vuole tempo, Purtroppo non sono che un medico...

Cesare - Un bravo medico!

Franco - Ma giovane. Ho anche la disgrazia di sembrare più giovane di quello che sono.

Cesare - E che vuoi dire?

Franco - Vuoi dire molto. Quanti anni ha il suo medico?

Cesare - Non saprei. Forse cinquantadue, cinquantaquattro.

Franco - Ecco. Tutti così. Il medico giovane non ispira fiducia... (a Olga) neanche in famiglia. Volevo farmi crescere la barba...

Giulia (con orrore) - Per carità!

Franco - Sente? Dica lei che cosa devo fare.

Cesare - Quello che le ho detto; emigrare. Dobbiamo risalire alle origini: qui c'è un marito che pianta la moglie senza motivo, senza una spiegazione...

Olga - Neanche due righe di saluto!

Cesare - ... e una moglie che si rassegna, che rinunzia ad ogni rivalsa e resta lì a custodirgli la casa. Il marito è molto ricco, ha ingenti capitali all'estero, industrie in America, ma non si cura di mandarle neanche il minimo perché possa tirare avanti. La moglie vende qualche gioiello, qualche quadro, ri­duce il treno di vita...

Olga - Sepolta viva, avvocato! Tre mesi che non esce, non frequenta, non riceve una visita, a parte Gio­vanna che è come una sorella...

Cesare - Lo so, signora. Contegno ammirevole.

Giulia - Non  tanto...

Cesare - Ma lei è giovane, ha diritto di rifarsi una vita! Basta con gli scrupoli, Giulia!... Affitti, venda, fac­cia quello che è necessario per togliersi da questa... (dalla comune fa capolino il commesso) Che c'è?

Commesso - Mi scusi, signor avvocato... (gli si accosta e gli mormora qualche parola all'orecchio).

Cesare (con un sobbalzo) - Eh?!... (guarda Giulia e Franco, imbarazzato).

Giulia (balzando in piedi, emozionata) - È lui! (Cesare annuisce, grattandosi la testa).

Olga - Lui?

Franco  (livido)  - È  contenta?

Cesare - Io sì. Vuol dire che la lettera ha avuto il suo effetto. Meglio della rivoltella, dottore.

Olga - Cioè, lei crede che?...

Cesare - Non si sarebbe preso tutto questo disturbo, per venirmi a dire che non acconsente. Questione di logica. Del resto, lo sapremo subito. Passate nel salottino, vi prego. Coraggio, coraggio! Forse ci siamo!... (Spinge Giulia verso la porta di fronte).

Olga - Ma sì, cara, l'avvocato ha ragione. Se è tornato...

Cesare - Prego...

(Escono tutti e tre. Cesare richiude la porta ed esce, dalla comune).

SCENA SECONDA

Lorenzo e Cesare

Lorenzo (in abito da viaggio, disinvolto, sorridente, d'ot­timo umore: entra tenendo Cesare sotto braccio) - ...non capisco la tua sorpresa: mi hai chiamato...

Cesare - M'aspettavo una lettera, un telegramma. Questo è il più  bel successo  della mia carriera.

Lorenzo - Addirittura?

Cesare - Fingi di non capire, eh?! Siedi!... Quando sei arrivato?

Lorenzo - Un'ora fa.  Ottimo viaggio.

Cesare - Ti trovo bene,  infatti.  Non  sei cambiato.

Lorenzo - Dovevo cambiare?

Cesare - Son passati tre anni.

Lorenzo - Davvero!  Mi sembra ieri.

Cesare - Beato te! Per qualcuno invece, sono stati lunghi.

Lorenzo - Dispiaceri?

Cesare - Non parlo di me.

Lorenzo - E di chi?

Cesare - Me lo domandi?

Lorenzo - Ah, già...  Come sta tua figlia?

Cesare - Benissimo,  grazie.

Lorenzo - Sposata?

Cesare - No... non ancora...

Lorenzo  -   Fidanzata?

Cesare - Neanche.

Lorenzo - E che aspetta?

Cesare - Domandalo a lei.

Lorenzo  -  Glielo  domanderò.  Non  mi  dai da bere?

Cesare - Subito. (va al mobile-bar) Il solito?

Lorenzo - Non sono cambiato.

Cesare (versa da due bottiglie) - ... e molto gin... Ecco.

Lorenzo - Grazie. Come hai saputo che ero a Losanna?

Cesare - Un parente di tua moglie ti vide per caso, ti seguì all'albergo...

Lorenzo -... e fece la spia! Trentasei mesi in America e la prima volta che m'avvicino alla cara patria, tàcchete: preso al volo! Che c'è di nuovo al circolo?

Cesare - Niente. Le solite chiacchiere, il solito bridge... Dunque, Lorenzo?...

Lorenzo - Che cosa?

Cesare - In merito al contenuto della mia lettera...

Lorenzo - Auff! Lasciami respirare! Avremo tempo! Non riparto mica stasera.

Cesare - Lo spero.

Lorenzo - Voglio passare un po' di giorni in famiglia. (Cesare lo scruta sorpreso) A casa, insomma. Dirai che sono un sentimentale, ma ti confesso che quando il tassì si è fermato davanti al portone...

Cesare   (allarmato)  - Che portone?

Lorenzo - Il portone di casa.

Cesare - Ma come, sei andato a casa?

Lorenzo - Perché no? L'appartamento è grande!.. Mi sono rincantucciato nella camera degli ospiti. Un po' fredda, in questa stagione, ma mi contento. Anche per te sarà comodo.

Cesare - Che c'entro io?

Lorenzo - Come avvocato delle due parti.

Cesare - Prego! Avvocato di nessuno: amico. Per quanto, tu abbia messo a dura prova la nostra amicizia.

Lorenzo - Non l'ho fatto apposta.

Cesare - Tre anni fa, fui il solo a prendere le tue difese.

Lorenzo - Bel coraggio! E...  come andò a finire?

Cesare - Che cosa?

Lorenzo - Il processo dell'opinione pubblica?

Cesare - Condannato. La mia difesa non convinse nes­suno, non avevo argomenti. Per me, che ti ero stato così vicino, che ti sapevo, o meglio, ti credevo tanto innamorato di Giulia, la tua fuga fu un vero mistero. Ma ora che sei qui...

Lorenzo - Nessuna rivelazione. Niente che tu non sappia.

Cesare - Io non so nulla.

Lorenzo - Ma hai indovinato, hai capito tutto. Sei perspicace!

Cesare (severo) - ft che ti conosco! Ma che diritto avevi di sacrificare quella povera donna? Una ragazza di vent'anni, che aveva il solo torto di volerti bene, di aver creduto  alla tua conversione...

Lorenzo - Anche tu ci avevi creduto.

Cesare - Con qualche riserva, anche per la differenza di età.

Lorenzo - Ecco il punto: troppo giovane. (Cesare annuisce)    Io, non lei.

Cesare -  Tu?

Lorenzo - È così. Con una diecina d'anni di più sulle spalle, sarei stato un buon marito. Superati i cin­quanta, è facile rassegnarsi, abdicare... Ma a qua­ranta uno come me, abituato a... Fu una ragazzata!

Cesare - Una cattiva azione! Tu non amavi Giulia. Ti piaceva.

Lorenzo   (sincero) - Molto.

Cesare - Ma era onesta: o prendere per tutta la vita, o   lasciare.

Lorenzo - Io, invece, l'ho presa... e poi l'ho lasciata! (Ride. Sotto lo sguardo severo di Cesare, smette, morti­ficato) Scusa, Cesare.  Continua la tua requisitoria.

Cesare  -  Ti  diverte?

Lorenzo - Tutt'altro. Ma insomma, che dovevo fare, secondo  te?

Cesare  -  Non  sposarla.

Lorenzo - D'accordo. Mea culpa. Ma avendola sposata, ed essendomi accorto che avevo fatto una scioc-chezza,  che non avevo la  vocazione del marito?

Cesare - ...e tanto meno  quella dell'infermiere!

Lorenzo - Sicuro! Anche questo. E tu l'hai capito.

Cesare - Non era difficile. Giulia si ammala; i medici la mandano a Merano, tu resti a Roma per i tuoi af­fari, ti ritrovi scapolo e ci riprendi gusto, tanto che una sera, dopo averle preannunziato per telefono il tuo arrivo, ti metti in treno e sparisci. Molto elegante.

Lorenzo - Che dovevo fare?

Cesare - Qualunque altra cosa. Parlarle, scriverle se non altro...

Lorenzo - Sì... Cara Giulia, credevo di volerti bene, ma mi sono sbagliato. arrivederci e grazie!... Bi­sogna trovarcisi in certe situazioni!... Sei troppo severo  col tuo  vecchio  amico.

Cesare - No, caro. In fatto di morale, noi due non siamo mai andati d'accordo. Ma lasciamo stare il passato. Che intenzioni hai, Lorenzo?

Lorenzo - Non lo so...  Che dovrei fare, secondo te?

Cesare  -  Rileggi  la  mia  lettera.

Lorenzo - Un po' vago... Torti da riparare... situazione da risolvere... Praticamente? Devo chiedere il divorzio?

Cesare - Il divorzio lo chiede lei. Tu devi acconsentire, ammettere le tue responsabilità.

Lorenzo   -   E   basta?

Cesare - Per il divorzio. Poi chiediamo l'annulla­mento, cioè che la sentenza diventi esecutiva in Italia... e speriamo bene.

Lorenzo - Nient'altro?

Cesare - No. Fa l'esame di coscienza e...

Lorenzo - Già fatto. Stanotte, non ho chiuso occhio.

Cesare (incredulo) - Molti non riescono a dormire in treno.

Lorenzo - Parlo sul serio.

Cesare - Tanto meglio.

Lorenzo - Tanto meglio per me o per mia moglie?

Cesare - Per tua moglie. Da tre anni, sono testimone delle sue sofferenze.

Lorenzo - Ha sofferto molto?

Cesare - Quello che t'ho scritto è solo una parte della verità. Non credevo che Giulia ti volesse così bene.

Lorenzo -  Le donne si affezionano.

Cesare - Anche a chi non se lo merita! Aggiungi l'ama­rezza, l'umiliazione... Altro che ragazzata! Ma lasciamo andare questo argomento. Parliamo del divorzio.

Lorenzo - È affar tuo.

Cesare - Già!... Ma non è più tanto semplice. Tre anni fa, sarebbe stato uno scherzo: bastava andare a San Marino.

Lorenzo - Una bella comodità!

Cesare - Ma è durata poco. C'era ancora la Svizzera, che funzionava benissimo, l'Ungheria... Tu andavi a Budapest, con quattro soldi ti facevi adottare da un tizio qualsiasi, ottenevi il divorzio, tornavi... ed era latta. Poi c'è stato un giro di vite... La legge non è cambiata, ma il governo, ha tirato fuori i mo­tivi   di   ordine   pubblico...

Lorenzo  -  Che c'entra?

Cesare - Domandalo al Governo. Pare che questi an­nullamenti di matrimonio in seguito a sentenze di divorzio pronunciate all'estero siano un pericolo pubblico.  Conclusione...

Lorenzo  -  Troppo tardi.

Cesare - Forse no. Ma bisognerà andare in Romania.. o  altrove:  ima procedura più lunga, più  costosa.

Lorenzo- Pago io. Mio il torto, mio il danno. Il meno che possa fare per quella poveretta che, tra l'altro, non deve nuotare nell'oro. Ridotta a fare l'affit­tacamere! Ho intravisto una targa sul pianerottolo: un medico, se non sbaglio.

Cesare  -  Avresti  potuto  evitarlo,   mandandole...

Lorenzo - D'accordo.

Cesare - Con quello che costa la vita, al giorno d'oggi.

Lorenzo - Vita ritirata, suppongo.

Cesare - Ritiratissima, anche per le sue condizioni di salute.

Lorenzo  -  Ancora  ammalata?

Cesare - Purtroppo. Anche per  questo, avrei preferito che tu fossi andato all'albergo.

Lorenzo - È una fissazione: ti ripeto che non le darò noia.

Cesare - Basta la presenza, la vicinanza. Non vorrei che  succedesse  uno  scontro.

Lorenzo - Non vedo la ragione.

Cesare - Non si sa mai... (imbarazzato) Quando l'atmo­sfera è carica di elettricità, basta una sciocchezza, una parola... Tu dici: non le darò noia. Ma potrebbe esserci qualcosa che da noia a te... I quadri, per esempio.

Lorenzo - I  quadri?

Cesare - Sì, la tua collezione, a cui eri affezionato... (Lorenzo, allarmato, accenna a interromperlo, Cesare lo ferma col gesto) Colpa tua, Lorenzo! Giulia non voleva... Si sarebbe lasciata morire di fame, piutto­sto! Creatura orgogliosa, piena di scrupoli... anche troppo! Ammirevole, ti dico. Prima di decidersi, ha chiesto il mio consiglio, direi quasi la mia autorizzazione...

Lorenzo - Grazie!

Cesare - Per non morire di fame, Lorenzo! Per vestirsi, per curarsi.

Lorenzo - Poteva vendere qualche altra cosa: i gioielli, per esempio.  Ne ha per qualche milione.

Cesare (ridendo) -I gioielli?

Lorenzo -  Perché ridi?

Cesare - Son passati tre anni, Lorenzo!... Non lo sai che i milioni non valgono più niente?

Lorenzo - Ah, sì?

Cesare - Quasi niente. Lire, lire svalutate... carta. È logico che prima di vendere ì tuoi quadri, abbia venduto quello che era suo. Del resto, i quadri sono lì: non tutti, ma...

Lorenzo - Sono contento. Temevo che Giulia soffrisse la  fame,  invece no:  mangiava.

Cesare - Aveva bisogno di cure, dì distrazione, qualche viaggio. Ora si è un po' rimessa, ma tre anni fa...

Lorenzo - E... quanto ha ricavato dalla vendita dei quadri?

Cesare - Non so... Un paio di milioni e mezzo, forse qualche cosa di più.

Lorenzo - Altrettanto dai gioielli: totale, cinque milioni.

Cesare - In tre anni.

Lorenzo - Un altro milioncino credo lo avesse in banca, a nome suo...

Cesare - E con questo?!

Lorenzo - Fa sei.

Cesare - Questo è il conto della serva! Sono ester­refatto, Lorenzo! E se tua moglie avesse chiesto la separazione legale? Nessun magistrato avrebbe po­tuto negarle gli alimenti... alimenti importanti, sostanziosi, proporzionati alle tue possibilità...

Lorenzo - E allora?

Cesare - E allora, tua moglie ha preso quello che era suo, una parte di quello che le spettava, di diritto. Capisci, Lorenzo? Di diritto.

Lorenzo - Ha fatto bene. E... chi sarebbe il fidanzato di  mia  moglie?

Cesare (imbarazzato) - Veramente non so... non mi risulta...

Lorenzo - Se vuole annullare il matrimonio...

Cesare - Per mettersi a posto, per uscire da una situazione moralmente e socialmente insostenibile.

Lorenzo - Sì... ma tutta questa fretta...

Cesare - Macché fretta! Si vede che per te son passati presto, questi tre anni. Per lei no, sai? Purtroppo, non c'era niente da fare. Qui bisogna essere in due, a chiedere l'annullamento.

Lorenzo - Non in tre? Domanda accademica. Ma tu mi nascondi qualcosa... Sì, sì... c'è anche il terzo.

Cesare  (energico)  - E se ci fosse?  Avanti, Lorenzo, sentiamo che cosa faresti; una scena di gelosia? Querela per adulterio?

Lorenzo (ridendo di cuore) - Quasi quasi... (serio) Mac­ché querela! Ti sto dicendo che non me ne importa niente.  Semplice curiosità.  Allora?

Cesare - È fidanzata.

Lorenzo - Un buon partito?

Cesare  -  Le vuole molto bene.

Lorenzo - E lei?

Cesare - Lo adora.

Lorenzo - E non è felice?

Cesare - Come può esserlo, Lorenzo?! Ti ho spiegato, nella   lettera...

Lorenzo - Ah, già... sicuro...

Cesare - Del resto, è una cosa recente... circa sei mesi fa. Si sono conosciuti l'estate scorsa, a Vallombrosa. C'era anche Giovanna.

Lorenzo - In villeggiatura?

Cesare - Giulia si sentiva male, soffriva molto il caldo... Il cambiamento d'aria le aveva sempre giovato. Quella volta, invece, ebbe addirittura una crisi: capogiro, svenimento, una cosa preoccupante. Per combinazione, nello stesso albergo si trovò un medico, uno specialista dì malattie nervose...

Lorenzo - L'inquilino?

Cesare - Come lo sai?

Lorenzo - Hai detto « malattie nervose » e mi sono ri­cordato  della targa sul pianerottolo. Si chiama...

Cesare - Franco Genesi. Un bravo ragazzo, serio, ener­gico... Anche troppo. Quando seppe che eri a Losanna, voleva farti una sorpresa... (sorridendo) a mano armata.

Lorenzo  -   Davvero?

Cesare - Altroché! Deciso a sposare tua moglie... o la tua vedova. A te la scelta.

Lorenzo - Bè... tutto sommato, sarà meglio che sposi mia   moglie.

Cesare - E giovane,  impulsivo...

Lorenzo - Lo vedo. E... soltanto fidanzato?

Cesare  (evasivo) - Non lo so...

Lorenzo - Va' là che lo sai. Lo sai e non me lo vuoi dire. Invece, me l'hai già detto.

Cesare  -  Io?

Lorenzo - Un momento fa. «Che vuoi fare, Lorenzo? Una scena di gelosia? Querela per adulterio?». Del resto, è logico, naturale.  Dunque?

Cesare - Ti ripeto che non so niente, ma non escludo che...

Lorenzo - Ho capito: per questo, non ti ha chiesto l'autorizzazione.

Cesare - Lascia stare l'ironia! È tardi per rivendicare i tuoi diritti di marito.

Lorenzo - Perché? C'è la prescrizione?

Cesare - Morale. È strano che tu non te ne renda conto.

Lorenzo - Ma sì! Non ci mancherebbe altro. Voglio soltanto... orientarmi.

Cesare - Più di due anni t'ha aspettato, chiusa nel suo dolore.

Lorenzo - Me l'hai già detto. Giulia è a posto. Tanto più che non si tratta d'una avventura, d'un capriccio.  È una cosa seria.

Cesare - Più seria di così... Si sposano.

Lorenzo - Alla dote penso io.

Cesare - Alla dote?

Lorenzo - Indennizzo, appannaggio. Sono o non sono in debito?

Cesare - Ah, sì!

Lorenzo - E allora devo pagare. Hai già fissato la cifra?

Cesare - Ma no!... avremo tempo di riparlarne.

Lorenzo - Bene. E... come vogliamo motivare la domanda di divorzio?

Cesare - Incompatibilità, maltrattamenti... se non hai nulla in contrario.

Lorenzo - È la verità. Se non proprio maltrattata, l'ho trattata male.

Cesare - Malissimo.

Lorenzo - E tu rincara la dose: maltrattamenti e sevi­zie. Meglio abbondare. Credi che Giulia sia disposta a concedermi un breve colloquio?

Cesare - Penso di sì.

Lorenzo - Anche subito? So che è qui... dal tuo com­messo. È bene che il primo scontro avvenga in ter­reno neutro. Chiedile questo favore, da parte mia. Io torno di là e aspetto.

Cesare - Va bene. (Lo accompagna alla comune - Lorenzo esce - richiude e apre la porta del salottino). Avanti!

SCENA  TERZA

Cesare, Franco,  Olga,  Giulia

Olga (ansiosa, con Giulia e Franco) - Che ha detto?

Cesare - Che acconsente. Pronto a iniziare la causa...

Olga - Sia lodato il cielo!

Cesare - ... a sue spese. « Mio il torto, mio il danno ». Parole sue.

(Franco e Giulia scambiano una lunga occhiata).

Olga - Nessuna difficoltà?

Cesare - Nessuna. Contenta?

Giulia - Sì... certo.

Cesare - Non si direbbe.

Franco - Siamo tutti un po' sorpresi... Troppo conciliante, il signor Gualdi.

Cesare - Riconosce il suo torto.

Olga - Un po' tardi.

Cesare - Contentiamoci. Piuttosto, Lorenzo vorrebbe... m'ha pregato di chiederle un breve colloquio. È qui, in anticamera.

Giulia - Me l'aspettavo.  (guarda Franco).

Franco - Sarebbe meglio rinviarlo, questo colloquio. Oggi non stai bene.

Giulia - Meglio subito.

Olga - Finalmente ti potrai sfogare.

Cesare - Senza eccedere, mi raccomando. Dato che è ben disposto... Lei ha tutte le ragioni, avrebbe tutte le   ragioni di...

Giulia - Sia tranquillo, avvocato: non eccederò.

Cesare - Ecco... Tanto più che gli ho già detto il fatto

suo. Allora, se non vi dispiace... (accompagna Olga e Franco nel salottino, richiude   la   sporta)   Posso?

Giulia - Sì.

(Cesare esce dalla comune).

SCENA QUARTA

Lorenzo, Giulia

Lorenzo (Dalla comune le lancia una occhiata, avanza lentamente, esitando, come intimorito, accenna timi­damente un, saluto. Giulia, immobile, lo scruta. A una certa distanza da lei si ferma, si guarda intorno come in cerca d'aiuto, si gratta la testa,-poi tira fuori il fazzoletto, spolvera il pavimento, si inginocchia, e alza gli occhi su di lei, a mani giunte) - Perdono! (Giulia, sorpresa, sconcertata, fa un passo indietro, continuando a fissarlo) Hai ragione: il perdono bi­sogna meritarselo. (si rialza, si spolvera meticolo­samente i pantaloni) Non so più che dire... Mi ero preparato un discorsetto, ma... (avvicinandosi al mobile-bar si versa un liquore e lo manda giù d'un fiato, si riaccosta a Giulia) Ti ha detto De Ritis che acconsento, che sono pronto a fare... tutto quello che vuoi? Non pretendo che tu mi dica grazie; so­no sempre in debito, lo so. Ma voglio pagare, voglio riparare,   espiare...   (la   osserva;  Giulia,   a   disagio, si volta dall'altra parte) Si vede che non stai bene. Ma sei sempre bella, forse più bella, nonostante le sofferenze di questi anni. So che ti sei fidanzata... (Giulia si volge vivamente a guardarlo) ... con un bra­vo ragazzo. De Ritis me ne ha parlato bene.

Giulia  (in atto di sfida) - Lo amo!

Lorenzo - Ne sono convinto. Anch'io ti amavo... o me­glio, credevo dì amarti, invece... Forse ha ragione De Ritis: se non ti fossi ammalata e non m'avessi lasciato solo... Come vedi non è una difesa, non è neppure una spiegazione,

Giulia - No.

Lorenzo - Te lo sto dicendo. La spiegazione l'ha trovata De Ritis, nel mio passato di vecchio scapolo indurito, nel mio carattere volubile, insofferente... Avrei dovuto essere più leale, aprirmi con te... o almeno lasciarti una lettera, ma forse non mi avresti creduto.

Giulia - No.

Lorenzo - Per questo, ho preferito sparire. Con che co­raggio mi sarei presentato davanti a te, ammalata, depressa, per dirti: sai, Giulia, credevo di amarti, ma in questi giorni mi sono accorto che... Dirai che sono stato un vile...

Giulia - Continua.

Lorenzo - Ad ogni modo, scappando riconoscevo il mio torto.

Giulia - In che modo?

Lorenzo - Implicitamente, lasciandoti la mia casa, il mio nome... So che hai fatto buon uso dell'una e dell'altro: ti ringrazio. Ora tocca a me. Dati i pre­cedenti, non puoi credermi sulla parola, ma ti assi­curo che sono cambiato... Tu no; sempre la stessa... tale e quale. Solo...

Giulia - Solo?

Lorenzo - ... più bella. (Le fa un piccolo inchino ed esce dalla comune. Giulia si lascia andare sulla poltrona, e resta immobile, assorta).

SCENA  QUINTA

Detti, Cesare

Cesare (dalla comune, seguito da Lorenzo) - Fatta la pace?

Lorenzo -  Così...  una mezza pace...

Cesare - Il perdono bisogna meritarselo.

Lorenzo - Gliel'ho detto. Ti prometto che farò il possibile per meritarmelo.

Cesare - Promettilo a lei.

Lorenzo - Non mi crede. Questa volta non scappo, Giulia. Nessuno mi obbligava a tornare. Se sono qui vuol dire che...

Cesare - Qualche volta il diavolo si fa frate.

Lorenzo - Proprio così! Accidenti!...

Cesare - Che c'è?

Lorenzo - Glielo dissi tre anni fa, che mi facevo frate... proprio il giorno del matrimonio. Potevi scegliere un'altra frase meno screditata. Te ne ricordi, Giulia?

Giulia (fissandolo) - Perfettamente, Eri sincero, allora... Più di adesso.

Lorenzo (A Cesare) - Vedi? Non si fida. E non c'è niente da fare.

Cesare - Al contrario: credo che tu possa fare molto per convincerla delle tue buone intenzioni.

Lorenzo - Appunto. Ci vogliono i fatti. Sono qui per questo: per acconsentire, firmare, facilitare in tutti i modi... A disposizione, insomma. Ti costringerò a perdonarmi.   Arrivederci.    (esce dalla comune).

Cesare (soddisfatto) - Ebbene? (si avvicina alla porta di   fondo).

Giulia (agitata) - No, la prego!... Cioè... vorrei parlare un momento con Franco, se non le dispiace...

Cesare - Glielo mando subito. (esce dalla porta di fondo).

SCENA  SESTA

Giulia, Franco

Giulia (si copre il volto con le mani, poi con uno sforzo si avvicina alla porta, da cui entra Franco, che la guar­da  ansioso)   -  Sa  tutto!

Franco (sussultando) - C'era da aspettarselo!... (pausa. Poi con un improvviso scoppio di collera) Se mi avessi dato retta, saremmo andati via tre mesi fa. Ora non c'è più niente da fare. Ecco il risultato delle tue tergiversazioni, dei tuoi scrupoli. Siamo nelle sue mani!... Rovinati! (siede restando assorto, avvilito).

Giulia (gli si accosta amorosa e l'accarezza) - Perdonami, Franco.

Franco - E quando t'ho perdonato? Però è ignobile! Con l'avvocato fa la commedia, acconsente al divorzio, poi con te...

Giulia - Anche con me. M'ha chiesto perdono. In ginocchio!

Franco - Come?

Giulia - Il seguito della commedia. Dice che si era stan­cato di me, che non ebbe il coraggio di confessarmelo...

Franco - Un momento, Giulia! Vediamo di raccapezzarci! Ti ha detto?

Giulia - ... che è pentito, che acconsente al divorzio, che mi costringerà a perdonarlo, Ma io gliel'ho letto negli occhi.

Franco - Che cosa?

Giulia - Che sa tutto. Mi ha perfino ringraziata per il buon uso che ho fatto della sua casa, del suo nome... E mi guardava.

Franco  - Ti  guardava,  come?   Beffardo,  con  odio?

Giulia - Al contrario; umile, vergognoso.

Franco - Allora, come fai a dire che sa tutto?

Giulia - Perché non era sincero.

Franco - Questo è un altro scherzo dei tuoi nervi. Non sa niente.

Giulia  -   Ne  sono  certa.

Franco - Ma la logica, scusa? Perché sarebbe tornato, se sa tutto?

Giulia   -   Per  vendicarsi.

Franco - Dopo tre anni? Fingendo di acconsentire al divorzio in presenza dell'avvocato, che. domani gli porterà la carta bollata da firmare? Che odio impla­cabile è questo, che ha bisogno della lettera d'un estraneo, per svegliarsi? E quando l'avrebbe saputo, sentiamo? Prima della tua partenza per Merano, no, altrimenti non ti lasciava andar via. Dopo? Inverosimile. Lui a Roma, tu a settecento chilometri...

Giulia - Forse ero sorvegliata.

Franco - Non sta in piedi. Un marito che fa sorvegliare la moglie, è un marito geloso, che sospetta, che spara... o magari fa qualche altra cosa, ma non se ne va cosi senza fare rumore, come se il colpevole fosse lui. Capisci, Giulia? Non sa niente, non può sapere. Tu hai sempre avuto questa fissazione. È naturale che, rivedendolo, dato il tuo stato d'animo, la prevenzione... Ma non può essere, non c'è logica, non c'è senso comune. Non lo sa. non lo sa! Mette­rei la mano sul fuoco. (euforico, si frega le mani, mentre Giulia, tace, perplessa) Non sa proprio niente! O meglio, sa di essere dalla parte del torto. Forse anche lui è contento  di riprendere la sua libertà.

Giulia - Quando mai l'ha perduta?

Franco - D'accordo. Ma era sempre un pensiero, una situazione irregolare. Domani volesse riprender moglie... Che ne sappiamo noi, se non ha un'amica, una relazione? Non è mica così sciocco da raccon­tarlo a te, ma può darsi benissimo che la cosa stia proprio così, che non gli sembri vero di cavarsela a buon mercato. Forse questa è la spiegazione: una amante. Forse anche un figlio. Il signor Gualdi è fortunato! Un'altra, al tuo posto, gliela venderebbe cara la sua libertà. Ma questo è secondario. L'impor­tante e che non sappia. (apre la porta di fondo, men­tre Giulia continua a guardarlo, perplessa).

SCENA   SETTIMA

Giulia, Franco,  Cesare,  Olga

Olga (entrando, con Cesare) - Come va,  cara?

Franco - Molto meglio. Andiamo a casa.

Cesare -  A proposito...

Olga - C'è una piccola complicazione...

Cesare - Niente di grave. Lorenzo...

Franco - Che ha fatto?

Cesare - Quello che non avrebbe dovuto fare..

Olga - Abbiamo un ospite!

Cesare - Esatto: gli basta una camera. Quella degli ospiti, per l'appunto. Mi ha promesso che non darà noia.

Franco - Forse il signor Gualdi ignora che Giulia non è più sola.

Cesare - Lo sa.

Franco (sconcertato) - E non si rende conto che?...

Cesare - In fondo, è nel suo diritto.

Franco - Lasci stare il diritto. È questione di opportunità.

Olga - Dice che la casa è grande e c'è posto per tutti.

Franco - Per tutti... e tre?

Giulia (scattando) - Ha ragione. La casa è grande. Ma tra me e lui non cambierà nulla, glielo dica, avvo­cato. Franco verrà quando vuole, come prima... più di prima...  finché non ci caccerà via tutti e due. Questo sì, lo può fare... è nel suo diritto. Ma niente altro. Perché ci vogliamo bene, ce ne vogliamo tanto che possiamo fare a meno anche del suo consenso, della sua firma sulla carta bollata!... Glielo dica, avvocato. Forse incomincerà a capire! Andiamo! (esce dalla comune).

Franco - Nervi, nervi... Non ci badate. (si avvia con gli altri).

Sipario


ATTO SECONDO

Salotto signorile, fine '800. Mobili e arredamento di stile « umbertino ». Occorrono: divano e poltrone, un piccolo scaffale con alcuni libri rilegati, un tavolo, tende, stampe murali, qualche soprammobile. La comune è a destra: un'altra porta a sinistra, verso l'appartamento; una finestra di fronte. Tardo pomeriggio.

SCENA  PRIMA

Olga, Franco, Adele, Giovanna, Giulia

(Quando si alza il sipario, Olga sta attaccando una stampa alla parete di destra. Franco siede dal lato op­posto, la testa tra le mani, cupamente assorto. Entra da sinistra Adele, portando un'altra stampa simile alla prima che spolvera in fretta con una pezzuola).

Adele - Ecco, signora. Occorre altro?

Olga - No, va pure. Mi raccomando il tè, Adele: molto scuro.

Adele - Sì, signora. (esce dalla comune).

Olga (attacca, al chiodo la seconda stampa, fa due passi indietro, si assicura che sia simmetrica all'altra, la sposta leggermente, torna ad osservarla, è soddisfatta) -Così va bene. La parete spoglia dava più all'occhio, non ti pare?

Franco - Altroché! Magnifico, geniale!... Ora possiamo stare tranquilli. (si alza di scatto) Io domando che bisogno  c'era  svegliare, il cane  che  dorme!

Olga  -  Non   dormiva.

Franco - Se ne stava lì per conto suo.

Olga - Appunto. Dimenticato.

Franco - Se lui è contento...

Olga - Può darsi che sia contento, ma noi avevamo il dovere di invitar!o. Dopo tutto, non è un estra­neo e neanche un nemico. Ha riconosciuto il suo torto/ acconsente al divorzio, paga le spese... Che altro deve fare?

Franco - Andarsene.

Olga - Gli vorrai dare il tempo di sistemare le cose, di mettersi d'accordo con l'avvocato... Ormai, ci siamo.

Franco - Ci siamo?Ma lo sa lei che ci vogliono due anni, per l'annullamento? Due anni di seccature, di preoccupazioni, di nervi, quando invece... Nean­che l'avesse saputo, il signor Gualdi.

Olga - Saputo, che cosa?

Franco - Che avevamo trovato la via d'uscita. Per tre anni non si fa trovare; il giorno che non abbiamo più bisogno di lui, eccolo!

Olga - A Giulia non piaceva la nostra via d'uscita. Se Dio vuole, ora siamo sulla strada maestra.

Franco - Una strada lunga, signora. Passa per Vienna, per Budapest... Il giro del mondo,

Olga - Ma ci conduce alla mèta.

Franco - Non lo so. Da questo governo m'aspetto di tutto. Niente di più facile che da qui a due anni ci sia una legge che non si possono sposare neanche le vedove. Siamo in India, signora, in Papuasia. Per questo me ne volevo andare. Nossignore qui!... (schiaccia con stizza la sigaretta, sul portacenere, si siede e rimane nuovamente assorto, avvilito).

Giovanna (dalla comune guarda le stampe che Olga ha attaccato e sorride) - Precauzione mutile!

Olga (preoccupata) - Forse, ma mi è parso che...

Giovanna - Sa tutto, fin dal primo giorno: gliel'ha detto mio padre.

Olga (ansiosa) - Ebbene?

Giovanna - Ha incassato.

Olga - Grazie, Giovanna, mi togli un gran peso. Ma che ha detto?

Giovanna - Che un'altra, al posto di Giulia, non gli avrebbe fatto trovare nemmeno la casa! (a Franco) Che ne dice, dottore?

Franco (cupo) - Niente.

Giovanna - Che cos:ha?

Olga -  Dice  che potevamo fare  a meno  d'invitarlo.

Giovanna - Non parlerebbe così, se avesse assistito al mio colloquio con Lorenzo. Anch'io ero prevenuta, ma mi ha disarmato. Lorenzo non ha che una preoc­cupazione: la felicità di Giulia. Deciso a farsi per­donare; a riabilitarsi. Il denaro non è tutto, si capisce, ma il fatto che insiste sulla dote...

Olga - Che dote? (Franco tende l'orecchio).

Giovanna - L'appartamento, con tutto quello che con­tiene: mobili, quadri, arazzi, tappeti, libri, argenteria...  tutto  a  Giulia.

Franco (dominando l'orgasmo) - Ah, sì? Tutto a Giulia?... E a che titolo?

Giovanna - Indennizzo. Dice che non tornerà più in Italia, che dell'appartamento non sa che farsene, mentre a Giulia può far comodo.

Olga - Lo credo bene!

Franco (fiero) - Giulia non ha bisogno di dote, per passare a seconde nozze!

Giovanna - Beninteso, e Lorenzo lo sa. Ma sa pure che  lei...   (sorride)

Franco - Che io?

Giovanna - Dice che in tre giorni, il campanello della sua porta ha squillato una volta sola. Dalla camera di Lorenzo, si sente.

Franco - E con ciò?

Giovanna - Niente. Lorenzo sa che lei è giovane... che ci vuol tempo a farsi la clientela. Ma nell'attesa, Giulia non deve avere preoccupazioni. Ha già sofferto abbastanza.

Franco - Di chi la colpa?

Giovanna - Appunto, Non vuole altri rimorsi.

Franco - La cosa non mi riguarda. Giulia... si regolerà come crede.   (guarda l'orologio)  Arrivederci.

Giovanna - Non scappi Franco. Se Lorenzo la trova qui, non succederà niente.

Franco - Ne sono convinto, ma non ci tengo.

Giovanna - Lui sì, invece: sarebbe lieto di conoscerla.

Franco (sorpreso) - Ah!... Molto spregiudicato, il signor Gualdi.

Giovanna - Viene dall'America. Allora?

Franco - No.

Giovanna - Ipocrisia! Lorenzo sa benissimo chi è lei, che cosa è per Giulia, che cosa sarà...

Franco - Sia pure. Ma a che scopo?

Giovanna - Perché lei non abbia l'aria di nascondersi, di giocare a rimpiattino. Non è serio.

Franco - Può darsi, ma non vorrei che Giulia, assistendo all'incontro, si emozionasse.

Olga - È vero.

Giovanna   -   È una scusa.

Giulia (da sinistra, con alcuni fiori, l'aria stanca) - Buona sera.   (sbircia le stampe attaccate da Olga).

Giovanna  -   Come stai, cara?

Giulia - Un po' stanca. Sono tornata a piedi, da casa tua.

Franco - Che sei andata a fare?

Giulia - Due chiacchiere con suo padre. (si lascia andare sulla poltrona)   Mamma?   (le porge i fiori).

Franco - Anche i fiori!

Giulia - Due garofani... per allegria! Tuo padre sarà qui tra poco.

Franco   (inquieto)   - C'è qualche complicazione?

Giulia - No. Tutto liscio, tutto per il meglio. Mi sem­bra un sogno! Tre giorni fa ero disperata... e ora prendo il tè con mio marito. A proposito, mamma: hai preparato le tartine?

Olga - Vado subito.

Giulia - Sono quasi le cinque. Fatti aiutare da Giovanna. Ti dispiace, cara?

Giovanna - No, no, figurati! arrivederci, dottore. E smetta quell'aria da funerale! (a Giulia, sorridendo) È geloso! (esce con Olga, a sinistra).

SCENA   SECONDA

Giulia, Franco

Giulia (sìavvicina a Franco, gli accarezza la testa, quasi materna) - È vero? (Franco alza le spalle) Non sono mica stata io, ad invitarlo. Per me poteva stare lì anche un mese.

Franco - Avresti fatto male.

Giulia (sorpresa) - Come?

Franco - Finché non avrà firmato, finché non avrà messo in atto i suoi buoni propositi, è sempre in grado di nuocere. Ci vuole diplomazia.

Giulia - La diplomazia è di competenza di mia madre.

Franco - Anche tua, entro certi limiti. Rapporti nor­mali su un piano di correttezza, di finta cordialità. Il tè va benissimo.

Giulia - Hai paura che cambi idea?

Franco - Non si sa mai. Quello ci mette poco a riprendere il treno.  Fingere, fingere.

Giulia - Come lui, insomma?

Franco - Non finge. Lo sai che ha detto a Giovanna, a proposito dei quadri venduti? Che un'altra al tuo posto, non gli avrebbe fatto trovare neanche la casa.

Giulia - C'è di più: a De Ritis ha detto che vuol farmi la dote.

Franco (fingendosi sorpreso) - La dote?

Giulia - Sì, l'appartamento con quello che contiene: « non già a compenso del male che le ho fatto, ma come riconoscimento della sua condotta irreprensibile ». Detto da lui.

Franco - Ebbene?

Giulia - Quando avrò accettato, dirà: ecco qua, signori, ecco la donna leale, la povera vittima da tutti compianta, che mi concede il perdono in cambio del divorzio e dell'appartamento! Ma la verità, signori  è,  che...

Franco - ... io sono becco! Eh, sì! Se dice la verità... Non c'è logica.

Giulia - Tu non lo conosci, non sai il bene che mi vole­va, la sua angoscia quando mi credette ammalata, le sue telefonate, tutte le sere, fino all'ultima sera... Non fingeva, sai? Ora finge. Ma non importa. Non abbiamo paura di lui, perché ci vogliamo bene. Qualunque cosa faccia, non riuscirà a separarci. (seduta sul bracciolo della poltrona, si stringe a lui) Vorrei che entrasse in questo momento.

Franco - Se non ha sparato allora...

Giulia - Perché? Te lo sei mai chiesto perché?

Franco - Lo domando a te: come mai quest'uomo innamorato pazzo di sua moglie...

Giulia - Non lo so.

Franco - Te lo dico io: perché non era più né innamorato né pazzo, perché non sa niente!

Giulia - Non continuiamo a torturarci.

Franco - Sono sicuro che non sa. Perché io ragiono, a differenza di te. Tu dici che finge. Ma a che scopo? Per divertirsi alle nostre spalle?

Giulia - Vorrà fare uno scandalo.

Franco - E dai! Un uomo passa più volentieri per egoista, per mascalzone, anziché per... quello che è lui. Capisci, Giulia? Il tuo ragionamento è zoppo. Manca Io scopo, per il quale reciterebbe questa commedia. Tuo marito è stato molti anni all'estero. In America...

Giulia - E che vuoi dire?

Franco - Altra mentalità: moderna, spregiudicata. Mi guardo bene dal difenderlo: cerco di capirlo e ci riesco meglio di te, che sei costretta a dire: non lo so, non me io spiego. Vuoi sapere l'ultima del si­gnor Gualdi? Ha detto a Giovanna che sarebbe lieto di conoscermi. Non avrei nulla in contrario, ma è inutile: diresti che finge anche con me.

Adele (dalla comune) - Scusi, signora, suo marito le domanda  se...

Giulia - Sì, sì, tra due minuti... Avverti mia madre. (La cameriera esce, mentre Franco siede, accende la sigaretta) Ma che fai?

Franco (ridendo) - Sfido la morte! E così Giovanna non dirà più che gioco a rimpiattino.

Giulia (agitata) - Non voglio!

Franco - Ma come? Volevi che entrasse poco fa, in una situazione   più  intima.

Giulia - L'ho detto così... Vattene, Franco!

Franco - No. Anch'io lo voglio conoscere, farci due chiacchiere. Dev'essere un uomo di spirito. Spero che anche tu sarai all'altezza.

Giulia (c.s.)- Sì... non ho paura di lui. Ma voglio che questo incontro serva a qualche cosa. Niente chiac­chiere: gli dirai... gli dirai che sto male., sì... che devo cambiare aria... che vado a Merano, con te..

Franco - Per metterlo alla prova?

Giulia - Sì, come allora. La stessa bugia, la stessa commedia: il medico e l'ammalata. Vedremo che cosa farà.

Franco - Niente. Ma tu continuerai a dire che finge.

Giulia - Non più. Se rimane calmo, se non si tradisce, vuoi dire che hai ragione tu, che non sa niente. Dam­mi una sigaretta, per favore. (Franco esita) Mi aiuta.

Franco (Le si accosta, le offre e poi le accende la sigaretta) - Siediti. (Giulia siede. Franco sì mette a passeggiare)  Non  guardare  la porta.   Indifferente.

Giulia   -   Sì, sono calma.

Franco - Non guardare la porta. (prende un libro dallo scaffale e glielo porge) Leggi. (Giulia si mette a leggere, Franco riprende ad andare su e giù, zufolando),

Giulia (Pausa) - Ma che aspetta?

Franco - I due minuti. Leggi, leggi... e ricorda quello che  t'ho  detto.   (zufola).

Giulia (Leggendo) - Che cosa hai detto?

Franco - Che non spara. (zufola - pausa - bussano alla comune).

Giulia - Avanti! (posa il libro, lo riprende).

SCENA  TERZA

Giulia, Franco, Lorenzo, Olga, Giovanna, Adele, Cesare

Lorenzo (entrando) - Si può? Buona sera!... (fissa Franco, puntandogli contro l'indice) Il dottor Genesi? (Franco accenna un inchino. Lorenzo si affretta verso di lui, con un largo sorriso di simpatia) Como­do, comodo... (gli stringe la mano con effusione) Tanto piacere, dottore. (si accosta a Giulia e le bacia la mano, molto compito) Come va, ex moglie?

Giulia - Non c'è male.  Prego...

Lorenzo - Grazie. (siede, sempre sorridendo; squadra Franco) Ho sentito parlare molto di lei... molto bene. (Franco ringrazia con un cenno) Lei è un gran seduttore!

Franco - Crede?

Lorenzo - Ha conquistato tutti: lei, sua madre, Giovanna... Perfino De Ritis, il mio migliore amico! Vediamo se riesce a conquistare anche me. L'av­verto che sono un osso duro! (Entrano da sinistra Olga e Giovanna,, sorprese dì trovare Franco) Ecco le altre vittime del suo fascino. Come sta, signora?

Olga - Bene, grazie.

Lorenzo - Qui, vicino a me. (Olga siede. Giovanna prende posto accanto a Giulia) Come va la nostra ammalata?

Franco - Non troppo bene.

Lorenzo - Lo so. Finché sarò qua io, niente da fare. Anche se non mi vede, mi sente. Io la capisco... anzi vorrei che Giulia mi dicesse francamente se me ne devo andare.

Olga - Ma no!

Lorenzo - L'ho chiesto a Giulia, signora. Lei ha la mania di rispondere alle domande che rivolgo a sua figlia. (Rivolgendosi a Franco) Quattro anni fa, mi fece lo stesso scherzo: domandai a Giulia se vole­va sposarmi... e lei mi rispose di sì.

Giulia - Anch'io ti dissi di sì.

Lorenzo - Il giorno dopo, con un filo di voce, guardando altrove. Poi mi chiedesti una sigaretta. Eri molto turbata...   Allora?

Giulia - Puoi restare, Lorenzo. Me ne vado io.

Lorenzo - Non lo permetterò mai. (a Franco) E spero che anche lei...

Giulia - Parto.

Lorenzo - Così all'improvviso?

Giulia - Ordine del medico. Vero, Franco?

Franco - Sì... è molto depressa: deve cambiare aria.

Lorenzo - Colpa mia, colpa mia! Non sapevo che fosse in queste condizioni, la credevo guarita.

Olga - Magari!

(Entra Adele col vassoio del tè e il piatto delle tartine).

Olga - Lascia pure. (Adele li posa sul tavolo ed esce. Olga si alza e incomincia a servire) Limone?

Lorenzo - Naturalmente. (si alza premuroso e prende la tazza, osserva il tè) Molto scuro... Grazie del pensiero. Lei niente, è vero?

Franco - Non ci mancherebbe altro! Né tè né caffè. Tre sigarette al giorno a parte quelle che fuma di nascosto.

Lorenzo - Ah, ah, male! Bisogna obbedire al medico.

Giulia - È il mio tiranno.

Lorenzo - Per il tuo bene.

Giulia - Infatti... mi ha ordinato di partire e io parto. Non è una scusa, sai? Già da un paio di settimane, non mi sentivo bene. In questi ultimi giorni, poi, niente appetito, insonnia, il solito dolore qui... (si tocca la nuca).

Lorenzo  -  Gli  stessi sintomi  di  allora.

Giulia - Gli stessi.

Lorenzo - Oh, povera Giulia! Ma non c'è una cura?

Giovanna - Avrebbe dovuto fare una altra vita: viaggiare, svagarsi... Invece...

Olga - Sempre chiusa qui dentro!

Lorenzo (sorridendo) - Questa è una bugia!

Olga - Oh, no! Diglielo tu, Giovanna...

Lorenzo - Dov'eri l'estate scorsa?  Rispondi.

Giovanna - A Vallombrosa. So io, quello che mi ci volle, per  convincerla.

Lorenzo - Me l'ha detto tuo padre. Il cambiamento d'aria non le fece bene, ma in compenso... Vero, dottore?

Franco - Sì... fu in quell'occasione che...

Giovanna - Io dico che fu il destino. Pensa che lui era appena arrivato...

Franco - Sì: il tempo di cambiarmi e di scendere in sala da pranzo. Mi ero appena seduto, quando si affac­cia il portiere, tutto agitato: un medico, presto!... C'è una signora che si sente male...

Giovanna - Dopo cena, Giulia mi pregò di accompa­gnarla in camera. Appena entrata fu colta dal capo-giro e svenne tra le mie braccia! Che spavento! Non sapevo che fare. L'adagio sul sola, suono il campanello, chiamo il portiere al telefono, le spruzzo un po' d'acqua sul viso... Niente. Come morta. Finalmente arriva la cameriera e dopo il portiere, con lui.

Lorenzo - E rinvenne subito?

Franco - Dopo qualche minuto.

Giovanna - Tornò la mattina dopo...

Lorenzo - ... e poi molte altre volte. Quanti anni ha, dottore?

Franco -  Ventinove.

Lorenzo - Ventinove anni?! Avete tutta la vita, davanti a voi. Ma bisogna guarire.

Giulia - L'altra volta mi fece bene l'aria di Merano.

Lorenzo (con un moto di sorpresa, subito represso) - Merano?

Giulia - Sì... duecento metri più su. Andrò nello stesso albergo.

Lorenzo - ... solitario, al limite tra il bosco e la prate­ria... Ricordo le tue descrizioni. (a Franco) Io non ci andai... Avevo da fare, qui... mi era anche morto uno zio e volevano soffiarmi l'eredità. A quel tempo ero molto attaccato al denaro. Insomma, dovetti restare a Roma... Ma lei forse lo sa. Una storia che non mi fa onore. Me ne sono accorto appena t'ho rivista, che non eri guarita. Io ho l'occhio clinico. E poi, il malato di nervi si vede subito. Lei per esempio.

Franco - Io?

Lorenzo - Poco fa, nel tenere la tazza, le tremava la mano. Fa male a prendere il tè, e poi così forte. Quante sigarette?

Franco - Molte.

Lorenzo - Male! Quando si ha un temperamento impressionabile come il suo...

Franco (ironico) - Ma lei mi ruba il mestiere!

Lorenzo (mangiando una tartina) - E lei non m'ha ru­bato la moglie? (ride di cuore) Rubato per modo di dire. Diciamo ereditato. Nessun rancore per questo, anzi... lei ha tutta la mia simpatia.

Franco - Allora, ho conquistato anche lei.

Lorenzo - Non ancora, ma... traballo. Sento che tra­ballo. (Puntandogli contro l'indice) «Medice cura te ipsum»! Temperamento emotivo, forse iperteso, simpatico tonico, simpaticissimo tonico. Senza vizi,  secondo Giovanna.

Giovanna - Per quello che ne so.

Lorenzo - E con una grande virtù: sa giocare a scacchi. Me l'ha detto lei.

Franco  - Modesto dilettante.

Lorenzo - La metterò alla prova. Sì, sì... una di queste sere, che lei non ha da fare...

Giovanna - Ma non ti annoi sempre lì  dentro,   solo?

Lorenzo - Non sempre. Stamane sono uscito... e anche ieri... Mi trovo benissimo. E lei, dottore?

Franco - Che cosa?

Lorenzo - Si trova bene, qui, nel suo appartamentino?

Franco   -   Abbastanza.

Lorenzo - È un vecchio palazzo, ma centrale, primo piano... Per lei, è comodo. (accenna a Giulia, ammiccando; poi le si rivolge) Paga l'affitto questo signore?

Giulia   (risentita)   -   Certamente.

Lorenzo - Io scherzo, sa? Scherzo sempre. E il mio carattere: ipoteso, vagotonico. Pressione centoventi.

Franco - È poco...

Lorenzo - ... alla mia età, vero? Infatti. Quando m'ar­rabbio, arrivo a centoventicinque. Ma non m'arrabbio quasi mai.

Cesare (dalla comune) - Buona sera.

Lorenzo - Ora siamo al completo.

Cesare (sbirciando Franco) - Già... al gran completo.

Olga - Venga qui, avvocato: le do una tazza di tè.

Cesare - Grazie. (siede) Come va?

Lorenzo - Bene. Ci stiamo... affiatando.

Cesare - Ah! Sì?

Lorenzo - Avevi ragione: simpatico, serio. Mi piace.

Franco  -  Troppo   buono.

Lorenzo - Io, invece, non gli vado a genio. È geloso.

Giovanna - Un po', sì.

Franco - Che cosa ve lo fa supporre?

Lorenzo - Il bene che lei vuole a Giulia. Amore e gelosia. Gelosia del passato, si capisce. Lei mi fa un onore immeritato, caro dottore. Per Giulia, non ero che il marito... e che marito! Di quelli che non si rim­piangono, che non tornano neanche nel ricordo. La mia ombra non offuscherà mai la vostra felicità. Credo di essere l'ideale del primo marito.

Giulia   (alzandosi)   -  Scusate!  (esce rapida a sinistra).

Giovanna - Giulia?... (a Lorenzo) Non avevi un altro argomento?

Lorenzo - Mi dispiace.

(Giovanna esce a sua volta).

Franco - Nervi, nervi: non ci badi.

Olga - È così suscettibile in questi giorni!

Lorenzo - Sono mortificato... Vada anche lei, signora, la prego.

Olga - Sì, grazie. Con permesso... (esce).

Lorenzo (mortificato, a Cesare) - Avevi ragione di vo­lermi mandare all'albergo... e ha ragione anche lei di mandarla via. È molto scossa.

Franco - Le emozioni di questi giorni.

Cesare - Se parlassimo un po' di affari...

Franco - Prego. (sialza e sta per avviarsi).

Lorenzo - Non è di troppo, dottore... anzi è interessato.

Franco - Di che si tratta?

Lorenzo  -  Una piccola divergenza tra  me e Giulia.

Cesare -  ... a proposito dell'appartamento.

Franco (che si era sedato, torna ad alzarsi, un po' ri­sentito) - Non mi riguarda. Con permesso... (si avvia).

Lorenzo - Non se ne vada, la prego. Ho bisogno di lei.

Franco   -   Di me?

Lorenzo - Lei deve aiutarmi dottore. Giulia è impul­siva, si lascia guidare dal risentimento... giustificato, non dico di no, ma forse un po' eccessivo, al punto a cui siamo. Vuole mortificarmi.

Franco - In che modo?

Cesare - Il signor Gualdi ne fa una questione di amor proprio.

Lorenzo - Di decoro. Voglio soltanto salvare la faccia.

Cesare - Tre anni fa, la sua condotta fu giudicata molto severamente.

Lorenzo - Anche dai miei amici più cari, anche da lui.

Cesare  -   Esatto.

Lorenzo - Ora mi si offre l'occasione di riabilitarmi e Giulia me l'impedisce. Con che diritto? Un uo­mo che riconosce i suoi torti e che è pronto a ri­pararli, nei limiti del possibile, non merita dì essere umiliato, calpestato...

Franco - Per colpa di Giulia?

Lorenzo - Del suo orgoglio. E non capisce che è in gioco la mia reputazione. Io ho la disgrazia di essere molto ricco... quello che si dice una figura assai nota, negli ambienti finanziari... Che direbbe la gente se dovessi sbarazzarmi di mia moglie... gratis, pri­vandola anche di un modesto, modestissimo ap­pannaggio? Direbbe che mia moglie non poteva accampare nessun diritto, che esiste una verità diversa da quella che tutti sanno. Per forza. Penseranno che c'è sotto qualcosa... qualcosa che non è difficile indovinare.

Franco - Cioè?

Lorenzo - Una colpa di Giulia: il colmo!

Cesare - È così.

Lorenzo - Diamine! Volessi coprirla d'oro, potrei anche capire  la sua ribellione.  Ma io non le offro niente!

Franco - Niente?

Lorenzo - Quasi niente: la casa, con queste quattro sedie, quattro tappeti... quattro libri... un po' di posateria... Per me, è niente. O forse lei non crede che io sia così ricco? Lo domandi a lui.

Cesare  (annuendo con un largo gesto) - C'è  margine.

Lorenzo - Altro che margine! Insomma, voglio partire tranquillo. Come potrei esserlo, pensando che Giulia non dispone nemmeno di quel minimo che... Non si offenda, dottore. Lei farà una magnifica carriera, ma ora e all'inizio. Ormai è qui, ha la sua piccola clientela...

Franco (sorridendo) - Piccolissima.

Lorenzo - Crescerà. Sarebbe seccante per lei dover lasciare l'appartamento. Con quello che ci vuole oggi a metter su casa... e poi la famiglia, i figli... Non credo che lei, dopo tutte le spese sostenute per arredare il suo gabinetto... una cosa di lusso, a quanto  mi  è  stato  detto...

Franco - Decorosa.

Lorenzo - Ha fatto benissimo. Viviamo di apparenze, purtroppo. Ma è probabile che, avendo fatto questo sforzo, non sia in grado di...

Cesare  - Non lo  è.

Lorenzo - Allora, se rifiuta è un poeta, non un padre di famiglia.

Franco  -  Non  si tratta di me.

Lorenzo - Lei ha un grande ascendente su Giulia, le fa fare quello che vuole.

Franco - Ma in questo caso...

Lorenzo - Anche in questo caso, sempre che lei rico­nosca il mio diritto a salvare la faccia, Giulia fa parlare troppo il suo orgoglio ferito. Vorrebbe usci­re da qui povera come è venuta. « Neanche un fiore, da quel mascalzone! * Un bel gesto, ma per me sa­rebbe il colpo di grazia... e per voi un lusso che non potete permettervi. Ci pensi, dottore, e mi dia pre­sto la buona notizia, anzi la darà a lui. (si alza imi­tato da Franco) Arrivederci. (Gli tende io, mano. Franco gliela stringe con calore. Indicando le due forte)   Da che parte?

Franco - Di qua. (indica la comune) Aspetto un cliente... (sorridendo) il secondo, in tre giorni.

Lorenzo - Ah, già... il campanello. Non si scoraggi. La crisi si aggrava. Crisi vuol dire fallimenti, dispiaceri, preoccupazioni, nervi tesi... Lei ha buone pro­spettive. (gli batte la mano sulla spalla) Nuovamente, dottore.

Franco - Buona sera. (esce dalla comune, accompagnato fin sulla porta da Lorenzo, che lo saluta ancora con mi cenno della mano e un sorriso).

Cesare (tendendo la mano) - Vieni qua, Lorenzo, dammi la mano. (Lorenzo se la lascia stringere) Sei un galantuomo.

Lorenzo - Non lo sapevi?

Cesare - Me l'ero dimenticato. Sei depresso, eh? Io ti capisco. Sono disgrazie che capitano a quelli come te... che non hanno saputo rassegnarsi...

Lorenzo - A che?

Cesare - Ad invecchiare a poco a poco... senza accor-gersene, come succede ai mediocri. Tu, invece, ti eri ribellato e sci invecchiato in tre giorni. Sei arrivato baldanzoso, insolente... ed eccoti qua! Uno straccio. Come vedi, è più facile dimenticare l'atto matrimoniale che Tatto di nascita. Lei ventiquattro anni, lui ventinove... e tu paterno, pieno di comprensione... distaccato. È triste. In compenso hai ritrovato un amico.  Se questo ti può consolare...

Lorenzo - Meglio che niente. (da sinistra, appare Giulia, che si ferma sulla soglia) Oh!... Passati i nervi?

Giulia - Come vedi. Le domando scusa,  avvocato...

Cesare  - E  di che?

Lorenzo - Sono io che chiedo scusa. Vai con tua madre a Merano?

Giulia - Con Franco. (lo guarda fermamente, quasi in atto di sfida).

Lorenzo (dopo una pausa) - Un lusso da miliardari, viaggiare col proprio medico.

Cesare - Arrivederci, Giulia.

Giulia - Avete parlato? (li scruta).

Cesare - Non era il momento.

Giulia - Possiamo parlare ora.

Cesare - Se proprio ci tieni...

Lorenzo - Grazie, caro, ma tu hai da fare. Hai detto che hai un appuntamento importante.... E anche tu non sei nelle migliori condizioni per affrontare una discussione. Un altro giorno.

Giulia - Ma io parto, Lorenzo.

Lorenzo - Ah, già... Allora, al tuo ritorno, tanto più che siamo già d'accordo.

Cesare - Sì, in linea di massima...

Lorenzo - Arrivederci, Cesare. Ti accompagno.

Cesare - Prego. (si avvia) Buona sera. (esce dalla comune).

Lorenzo (tornando verso Giulia, che si è seduta e lo os­serva) -Hai torto di non fidarti di lui. È un galan­tuomo, un giusto. La tua causa gli sta molto a cuore, più della mia. Arrivederci.

Giulia - Hai anche tu un appuntamento?

Lorenzo - No, ma so che la mia presenza non ti fa bene.

Giulia - È stato un momento: ora sono calma. Siediti. (gli indica la poltrona accanto).

Lorenzo - Grazie.  (siede più lontano).

Giulia - Ho pregato mia madre e Giovanna di lasciarci soli.

Lorenzo - Per... parlare di affari?

Giulia - Se non ti dispiace. (Lorenzo fa un gesto rassegnato).

Lorenzo (pausa) - Devo parlare io?

Giulia - No. Incomincerò io... con una domanda; dove vuoi arrivare?

Lorenzo - Non capisco.

Giulia - Ti domando che cosa vuoi da me.

Lorenzo - Niente.

Giulia - Allora, perché questa commedia? Per chi? Guardami negli occhi, prima di rispondere.

Lorenzo - Non è facile per me, sostenere il tuo sguardo.

Giulia - Già... Allora, ti vengo in aiuto. Non è vero che ti eri stancato dì me. Hai saputo che avevo un amante. Ecco la verità.

Lorenzo - Sei molto coraggiosa.

Giulia - Sarà il coraggio della disperazione. Anche questa mia calma non è vera... Ho vuotato la botti-glietta del bromuro... Niente paura; solo una dose doppia, quella che mi ci voleva.

Lorenzo  -  Per... sfidarmi?

Giulia - Per vincere la mia vigliaccheria. Anche per arrendersi qualche volta ci vuole coraggio. Resa a discrezione, Lorenzo, alla tua discrezione. È questo che  volevi,  no?

Lorenzo - Non lo so. Io non ho fatto altro che stare al gioco, assecondarti... M'hai fatto scrivere che ur­geva il mio ritorno e mi sono precipitato. M'hai chiesto il divorzio e ho detto di sì. Mi hai fatto pas­sare per il peggiore dei mariti... e pazienza! Il tuo amante è un gentiluomo? E stringiamo la mano al gentiluomo. Agli ordini.

Giulia - Continui a giocare?

Lorenzo - Potrei averci preso gusto.

Giulia - Io no! So dove vuoi arrivare, ma non ci riuscirai.

Lorenzo - A che?

Giulia - A staccarmi da lui. Il resto non m'importa... neanche la mia reputazione. Sono pronta a rila­sciarti una dichiarazione, una confessione completa. Se vuoi, te lo metto per iscritto, quello che sono... Avanti, dimmi che devo fare!

Lorenzo (indicando la parla) - Abbassare la voce.

Giulia - Niente scandalo, dunque? (esasperata) Ma allora  perché  sei  tornato?

Lorenzo - E che ne so? Domandalo al tuo avvocato... che mi ha scritto quella lettera. Se non ho inteso male, sarei qui per riparare i miei torti, per toglierti da una situazione insostenibile...

Giulia - Non lo farai! Tu non hai nessuna intenzione di acconsentire al divorzio. Il tuo non è che un gioco, una specie di tortura che hai inventato per farmi confessare.  Ma ora è inutile.  Sono pronta!...

Lorenzo   (nuovamente   accennando   la   porta)   -   Sssst!

Giulia - Perché non ti sei vendicato tre anni fa? Allora dovevi uccidermi.

Lorenzo - Ti ho uccisa... te e lui, a revolverate.

Giulia - Ma che dici?

Lorenzo - Parola d'onore. Vi ho sparato per tutta la notte... sei ore di treno, trecento chilometri di fuoco... da Roma a Firenze.

Giulia - E poi?

Lorenzo - Mi sono scaricato.

Giulia (fremendo) - Che vuol dire mi sono scaricato?

Lorenzo - Vuol dire scaricato. Un ferroviere gridò: «Bologna! Per Milano si cambia!» Ed io cambiai, anche per uniformarmi alla volontà della maggio­ranza. Sì... un piccolo referendum indetto lì per lì, tra i miei compagni di viaggio... È stata una solu­zione  democratica.

Giulia - Che cosa mi racconti?

Lorenzo - La verità. Dopo Prato, quando il treno co­mincia a salire, mi venne la tentazione di rileggere una certa lettera... (Prende il portafogli, ne toglie un foglio ripiegato, lo spiega e glielo mostra. Giulia vi dà un'occhiata e si turba) Leggi e rileggi, mi venne da ridere... Uno dei compagni di viaggio mi additò agli altri: « Il signore - disse - è allegro ». Una signora seduta a me di fronte aggiunse: « Beato lei! Non capita spesso, di questi tempi, di ricevere buo­ne notizie! » E un terzo, di rincalzo: « Se è una sto­riella,  ce la racconti », E io gliela raccontai.

Giulia (trasecolata) - Che cosa?

Lorenzo - La nostra storiella. Non in prima persona, beninteso.... Dissi che il fatto era accaduto a un tale, a un marito che si era rivolto a me, come avvo­cato, un uomo sui quaranta, molto ricco, che aveva sposato una ragazza di venti, povera e bella. Sei mesi dopo il matrimonio, la moglie incomincia a star male: emicrania, inappetenza, insonnia, tutti i sintomi dell'esaurimento nervoso. Il marito la conduce dal medico, poi da un altro medico e alla fine, non potendo allontanarsi da Roma, si rasse­gna a lasciarla partir sola... per Merano. La pove­rina è disperata, gli dice che penserà sempre a lui, giorno e notte e che ogni sera lo chiamerà al tele­fono, per sentire la sua voce... - Ed è scappata! - interrompe uno. No, dico io, state a sentire. Pun­tualmente, la brava mogliettina telefona tutte le sere al marito e gli dice che sta meglio, che non è il caso che trascuri i suoi affari per raggiungerla... Stia tranquillo, non si dia pena per lei. Finalmente il marito sbriga i suoi affari e annunzia alla moglie che partirà la sera dopo. La moglie se ne rallegra, dice che conterà le ore, i minuti... e lo prega di por­tarle una certa gonna di lana e una giacca che si trovano in un certo armadio. La sera dopo il marito incomincia a fare la valigia, fischietta, è felice. Prende la gonna, la giacca, la piega... Dalla tasca... viene fuori una lettera indirizzata alla moglie, fermo posta. Un po' sorpreso, se la rigira tra le mani, poi la legge. Eccola qui... Coro dei viaggiatori: ce la legga, ce la legga! E incomincio (legge) « Mia cara... mettiamo Francesca, sono molto preoccupato. La tua lettera dimostra che hai perduto completamente la testa. Per amor del Cielo, Francesca, non fare questa pazzia! Te ne pentiresti il giorno dopo. Ca­pisco il tuo stato d'animo, le tue sofferenze accanto a quell'uomo, ma ti scongiuro di riflettere. Io sono povero, Francesca, non posso dirti dì abbandonare la tua casa e affrontare l'ignoto, non posso e non debbo. Anch'io ti amo, ti vorrei tutta per me: è il mio sogno, ma la realtà è un'altra cosa. Tu dici: lavorerò anch'io, troverò un impiego, ma questo non lo permetterò mai. Dobbiamo dominare i nostri impulsi, soffocare il nostro sentimento, aspettare. Forse è soltanto questione di qualche mese. Intanto, non è detto che si debba stare lontani. Forse potre­mo prenderci un piccolo acconto, forse non tutto il male viene per nuocere. Alludo alle tue condi­zioni di salute, ai tuoi nervi tesi, esasperati. Che ne diresti, se fosse proprio tuo marito a buttarti fra le mie braccia? Non scherzo Francesca. Ho un piano semplice e geniale. Se saprai eseguirlo, riu­scirà. Per questo, ti chiedo di seguire a puntino le mie istruzioni: primo, mangia poco e di mala voglia; secondo, accusa mal di testa, insonnia, spossatezza. Quando chiudi gli occhi, vedi tante puntine nere, puntine rosse, come dei cerchietti...; terzo, mostrati irritabile, insofferente, oppressa, come se ti mancasse il respiro. Mi faccio tagliare la testa, se il mio col­lega, chiunque sia, non ti ordinerà di cambiare aria. E poiché tuo marito, come dici, non si può muo­vere, partirai sola. Per dove? Incomincia la seconda parte, la più semplice. (Lorenzo volta pagina) Fin­gi di lasciare agli altri la scelta, poi butta lì un nome... Merano... un albergo isolato, in collina, dove è stata una tua amica. Posto tranquillo, cinquecento metri sul mare... Il medico darà il suo benestare e tuo ma­rito ti accompagnerà alla stazione. Parentesi: in via eccezionale ti autorizzo a buttargli le braccia al collo. Chiusa parentesi. Così avremo almeno una set­timana tutta per noi. Come vedi, tutto dipende da te. Tienimi informato del decorso della tua... puntini malattia e avvisami della tua partenza. Da qui, ogni sera alle undici, telefonerai a tuo marito. Ho riscontrato sull'orario che l'ultimo treno per Bologna - Bolzano parte da Roma alle 22,50.   Così tuo marito sarà tranquillo e...anche noi. Baci, abbracci eccetera. Il tuo affezionatissimo... mettiamo Gedeone ». Coro dei viaggiatori, quando ebbero, finito di ridere: «E che fece il marito? » Lo sapete già: si è rivolto all'avvocato. Voi che avreste fatto, sen­tiamo? Ecco il referendum. Risultato: la signora disse: ben gli sta, un uomo di quarant'anni non doveva sposare una ragazza di venti! Tre appro­varono la querela cioè la separazione; l'ultimo disse che avrebbe sparato.  Era siciliano.

Giulia - E tu?

Lorenzo - Io non sono siciliano. Non sparai, non sporsi querela e mi separai, a modo mio, pensando che forse aveva ragione la signora: un uomo sui quaranta non deve sposare una ragazza di venti.

Giulia - Che non l'ama e glielo ha fatto capire in tutti i modi.

Lorenzo - L'ho riconosciuto poc'anzi in presenza di tutti. È la tua giustificazione.

Giulia - Un'attenuante. Vale per te. Con lui, non ne ho nessuna. L'ho tradito per debolezza, stanca delle sollecitazioni, delle scenate di mia madre... Non me lo perdonerò mai.

Lorenzo- È il tuo solo rimorso?

Giulia (pausa) - È così. Che m'importa di te? Che cosa puoi farmi?

Lorenzo - Tante cose potrei farti... paura... pena... Invece niente. Come se non ci fossi!

Giulia - Voglio finirla. Ora sai come stanno le cose: lo conoscevo da prima, due anni prima di te... e ci volevamo bene...

Lorenzo - È perché non vi siete sposati?

Giulia - Con quali mezzi? Povera io, povero lui...

Lorenzo - Tuttavia, la povertà non ti faceva paura, lo dice la lettera. Forse fece paura a lui... E' così, vero?...

Giulia - Che vuoi dire?

Lorenzo - Niente, niente... Seguivo un pensiero.

Giulia - Povero Lorenzo!

Lorenzo - Già... Tutti poveri, chi per un verso, chi per un  altro...  Non  dirgli nulla  di  questo nostro colloquio.

Giulia -  Perché?

Lorenzo - Nel tuo interesse. Lasciagli credere che non so niente... Ormai ne è convinto... Siamo diventati amici.

Giulia - Sapessi come ti odia!

Lorenzo - Chi sa?...

Giulia - Ti capisco, sai? Te lo leggo negli occhi, quello che pensi. Come l'altro giorno, quando ti sei butta­to  in ginocchio,  per chiedermi perdono.

Lorenzo - Peccato che tu non legga altrettanto bene negli  occhi di quell'altro. Non dirgli nulla, Giulia, e non partire.

Giulia - Perché tu possa continuare il tuo gioco con lui?

Lorenzo - Sì. Noi giochiamo e tu stai a vedere.

Giulia - Ah, si?!... E credi che io mi presti?...

Lorenzo - Nel tuo interesse... per non fare un altro matrimonio sbagliato. Promettimi solo di non essere gelosa.

Giulia   -    Gelosa?!...

Lorenzo - Il tuo amante ha preso una cotta per me.

Arrivederci.   (campanello   interno)   To'!   Un altro cliente,  il secondo.

Adele (dalla comune conia bolletta) - Signora, c'è quello del  gas.

Lorenzo - Falso allarme, È sempre uno. (esce).

Sipario


ATTO TERZO

La stessa scena. Di giorno.

SCENA   PRIMA

Giulia,   Olga,   Giovanna

(Quando si alza il sipario, Giulia fa il solitario; Giovanna, seduta vicino a lei, segue il gioco; Olga legge il giornale).

Giovanna - Ma no! Devi liberare l'asso di quadri.

Giulia - Come?

Giovanna (muovendo due carte) - Così... così...

Giulia - E poi?

Giovanna - Già... c'è questo maledetto re...

Giulia - È già il terzo che non riesce. (raccoglie le carte).

Olga (allusiva) - Giornata nera!

Giovanna - Be', che vuoi fare? Sono le quattro...

Giulia - Scusami,  Giovanna, ma oggi...

Olga - Niente cinema: siamo in lutto.

Giulia  (snervata) - Mamma, ti prego!

Giovanna - Ma infine, che è successo?

Olga - Tragedia familiare: Franco è uscito senza salutarla.

Giulia - Non era mai accaduto.

Giovanna - Avrà avuto da fare, una chiamata urgente. Capace di fargli una scenata.

Olga - Non glielo consiglio. Non ammette che anche gli altri possano avere i loro momenti di malumore, i loro nervi.

Giovanna - Avete litigato?

Giulia - No, te lo giuro: neanche una parola.

Giovanna - E allora?

Olga - E allora, c'è anche qualcun altro, in questa casa, no? Non l'avessi mai fatto, Giovanna!...

Giovanna - Che cosa?

Olga - Quella telefonata a tuo padre; quella lettera... Abbiamo combinato un bel guaio, insieme! Franco l'ha detto subito: quello viene a complicare le cose. Ci vogliono due anni, per l'annullamento, se ci arri­veremo. Viaggi all'estero, per settimane, mesi...

Giovanna - Ha detto che paga lui.

Olga - Appunto. Giulia ed io saremo suoi ospiti... e Franco qui,  ad aspettare.

Giovanna - È proprio così. Che ti ho detto ieri? È geloso.

Giulia (alzando le spalle) - Ma no!

Olga - Allora, perché è rimasto qui, ieri? Quando Giovanna gli ha detto che Lorenzo desiderava conoscerlo, ha voltato le spalle. Poi ha cambiato idea.

Giovanna - Aggiungi la paura che ha di tua madre.

Olga - Di me?

Giovanna - Che lei, ora che è tornato Lorenzo, possa accarezzare qualche progetto... una riconciliazione...

Olga - Oh, no! Te lo giuro, Giovanna.

Giovanna - Lo so, ma egli lo pensa, specialmente dopo il tè.

Olga - Ma se me l'hai consigliato tu, d'invitarlo!

Giovanna - E gliel'ho anche detto, ma non ci crede. Franco è sospettoso per natura, e dato il precedente... Inconvenienti della coabitazione forzata. E più l'altro gli fa buon viso e si mostra generoso, più si sente umiliato. Lorenzo dovrebbe parlare meno dei suoi milioni.

Giulia  (che  ha  ascoltato  avidamente)  -  È  così... (un po' commossa) Anch'io non volevo che restasse qui, ieri... ma lui s'è seduto su quella poltrona e ha acceso la sigaretta. « Di’ quello che vuoi, io non mi muovo e vi tengo d'occhio te e tua madre! ». Sì, anche te, mamma... (ride di cuore) Ce l'ha a morte con te!... E anche con te... con tuo padre: con tutti! Deve avere un diavolo per capello! (come liberata da un peso) Ah!... Ora Lorenzo può fare quello che vuole, anche metterci alla porta, tutti e tre. Coraggio, mamma, non moriremo di fame. Tuo padre mi darà un posto.

Giovanna - Un posto?

Giulia - Segreteria. Per modestia, non te l'ho mai detto, ma io sono stenodattilografa, diplomata. Un po'  fuori esercizio,  ma...

Olga - Che discorso stupido!

Giulia (scherzosa) - Le suona male! Sempre la stessa! Lei crede che quando uno è povero non può essere felice. Errore, mamma.

Olga - Hai   interpellato  i  poveri?

Giulia - Il tuo non è che un pregiudizio.

Olga - Forse, ma ci sono attaccata. Mi sono messa in testa, fin da quando avevo vent'anni e mi guada­gnavo la vita con le lezioni di pianoforte, che una poltrona di velluto è meglio d'una sedia sgangherata, che il pollo arrosto è più nutriente della cicoria e che il ricco non è felice solo perché è stupido, al contra­rio del povero, che per sentirsi felice, ha bisogno di essere molto intelligente; e io non lo sono.

SCENA  SECONDA

Dette, Franco, Lorenzo

Franco (dalla comune, con una scacchiera e la scatola degli scacchi, molto seccato) - Buona sera! (si dirige verso il tavolo).

Giovanna - Buona sera. (Franco posa la scacchiera, rovescia la scatola e incomincia a piantare i pezzi, con   stizza).

Giulia (alzandosi e avvicinandoglisi) - Da dove vieni? (Franco accenna a destra) Di là?

Franco - Sì, a giocare a scacchi. Ha perso e vuole la rivincita: qui, perché in camera sua fa freddo. Vuole anche una cioccolata caldissima, con poco latte. Si raccomanda a lei. (rivolto a Olga).

Olga - La vuole subito?

Franco - Sì. Mentre lui indossa la giacca, lei gli prepara la cioccolata e io metto a posto i pezzi, (esegue, sem­pre stizzito) Una partita un'ora e mezza!... Un quarto d'ora, prima di muovere un pezzo! L'avrei strozzato.

(Olga  esce   a  sinistra).

Giulia - Potevi non accettare la sfida.

Franco - Chi se ne ricordava? Io mi ero sdraiato sul letto, dormivo... Sento il campanello...

Giulia - Lui?

Franco - Sì, che rideva, soddisfatto dello scherzo. « Credeva che fosse un cliente? Invece no: sono io! ». Se non la smette con questa storia del campanello, gli rompo la testa.

Giulia - Che  cos'è la storia del campanello?

Franco - È che... glielo dica lei.

Giovanna - Niente...  uno  scherzo.

Franco - Di pessimo gusto!

Giovanna - Dalla camera di Lorenzo si sente...

Franco - Mi conta le visite! E me lo dice, anche! Cre­tino! (continua a mettere a posto i pezzi).

Giulia (felice) - Non farti cattivo sangue... (bussano alla comune) Avanti!... (Franco cambia espressione, si alza e si volge verso la comune, sorridente) Avanti!...

Lorenzo - Disturbo?

Olga - Affatto.

Lorenzo - L'ho chiesto a lei. Disturbo?

Giulia - Ma no!

Lorenzo - Ora va bene. So che non è ora di visite...

Giovanna - Lo dici per me?

Lorenzo - Tu sei di casa. Se disturbo, è colpa sua. Io volevo passare in biblioteca...

Franco - È altrettanto fredda.

Lorenzo - Verissimo. Lì non potevamo stare. La ca­mera s'era riempita di fumo, bisognava aprire la finestra...  Allora,  posso?

Giulia - Naturalmente.

Lorenzo - Grazie. (Siede di fronte a Franco) Diceva di essere un dilettante, ma conosce anche la teoria... l'apertura, il finale... Io sono un po' fuori esercizio.

Franco - Prego.

Lorenzo - Eh, no! Il bianco tocca a lei. Una volta per uno.   (gira la scacchiera),

Franco - Come vuole.  (fa la prima mossa).

Lorenzo - Apertura di dama. (punta il gomito sul ta­volo, appoggia il mento sulla mano e piomba in pro­fonda meditazione) Vedo.

Giovanna - Giochi al poker?

Lorenzo - Ssst! Lei prima ha preso il sopravvento perché ho accettato il gambitto. Questa volta il pe­done non glielo  mangio.  Prudenza.   (muove).

Franco  -  Benissimo,   (muove).

Lorenzo - Rieccolo! Le ho detto che non mangio; Timeo Danaos... (medita, lunga pausa, Franco scam­bia una occhiata con Giulia) ... et dona ferentes (Giovanna dice qualche parola sottovoce a Giulia, come per invitarla, Giulia accenna di no) ferentes!...

Giovanna (si alza) - Arrivederci. E grazie della compa­gnia!

(Franco la saluta con un cenno. Lorenzo è assorto).

Olga (da sinistra) - Ecco la cioccolata.

Giovanna - Sssst!...

(Olga si ferma, sorpresa; poi accen­na di aver capito e quasi in punta di piedi va a po­sare il vassoio  sul tavolo).

Lorenzo  (assorto)  - Grazie.   (Giovanna,  Giulia e Olga escono a sinistra. Lorenzo accenna a toccare un pezzo, ma ritrae la mano come scottato e guarda Franco, con un sorriso furbo) No!

Franco - La cioccolata si raffredda.

Lorenzo (sospettoso) - Lei cerca di distrarmi. Sospen­diamo.

Franco -  Sospendiamo.

Lorenzo (sorseggiando) - Scotta! Ma è buona... come piace a me.

Franco - La signora conosce i suoi gusti.

Lorenzo - Brava cuoca, bravissima. Giulia da questo lato vale poco. Sua madre la completa. (sorseggia) A proposito, dottore... Ha poi parlato con Giulia?

Franco - Un accenno, stamane.  Purtroppo...

Lorenzo - È testarda. Ma io non cedo.

Franco - Neanche lei. È una situazione senza uscita.

Lorenzo (sorridendo accenna di no) - Ho trovato la scap­patoia. Ne ho già parlato con De Ritis: in due giorni, è fatto:  se lei è  d'accordo.

Franco (con slancio) - Io sì... (riprendendosi) Non vedo l'ora che sia finita, sono cose antipatiche. Ma Giulia...

Lorenzo - La faccenda riguarda soltanto noi due: io vendo e lei compra.

Franco - Che cosa?

Lorenzo - L'appartamento. Sei milioni. Vale molto di più, ma noi diciamo sei e risparmiamo un sacco di spese.

Franco - Sarebbe un ottimo affare, ma...

Lorenzo - Se n'accorgerà nel pagare le tasse!

Franco - Già, le tasse... lI fatto è che io non dispongo...

Lorenzo - Pagamento rateizzato. In novantanove anni.

Franco - In novantanove anni?

Lorenzo - Vendita apparente, capisce? Fittizia. Una donazione non gliela posso fare: non l'accetterebbe.

Franco - Ah, no!

Lorenzo - Quindi, vendita. Lei finge di pagare e io le rilascio tanto di ricevuta. Oggi stesso De Ritis prepara la bozza dell'atto, domani la porta dal notaio e dopodomani mattina andiamo a firmare. D'accordo?

Franco - Che cosa vuole che le dica?

Lorenzo - Niente. Una stretta di mano. (Franco gliela stringe, con effusione) E così sabato me ne posso andare.

Franco - Parte?

Lorenzo - Sì, devo trovarmi a Parigi lunedì mattina, per un affare.

Franco - Migliore di questo, spero.

Lqrenzo - Perché questo, secondo lei, non è un buon affare per me? Lo domandi a De Ritis. Un'altra, al posto di Giulia, m'avrebbe mangiato vivo. Altro che appartamento! Abbandono del tetto coniugale, separazione, per colpa del marito, alimenti: tre o quattrocentomila lire al mese, a dir poco. Cinque milioni all'anno. La rendita di cento milioni. Io me la cavo con quindici: chi lo fa l'affare? E ora beviamoci sopra.

Franco- Ottima idea: un liquorino,

Lorenzo - Un cognacchino. Lo faccia portare. Io vado a telefonare a De Ritis: aspetta la conferma, per preparare la bozza. A tra poco. (si avvia).

Franco (come colto da un sospetto improvviso) - Signor Gualdi?... (Lorenzo si volge) Ma non è meglio che questo passaggio di proprietà avvenga tra lei e la signora Olga? Sarebbe più logico... più... prudente, dato che io... finché non avrò sposato Giulia... voglio dire legalmente... Lei non ha nessuna garanzia che io, una volta padrone dell'appartamento...

Lorenzo - Lo dice lei.

Franco - C'è una clausola?

Lorenzo (lo guarda compiaciuto, con simpatia, gli si accosta e gli mette la mano sulla spalla) - Questa obiezione le fa onore. No, no... la signora Olga non mi ispira nessuna fiducia... e nessuna simpatia, detto fra noi. La ritengo incapace di mantenere un segreto. È donna. Lei  invece...

Franco - Sono uomo.

Lorenzo - Gode tutta la fiducia di Giulia. E questa per me, è la migliore garanzia. Faccia portare il cognac. (esce rapido).

SCENA  TERZA

Franco, Giulia

Franco (con un profondo respiro di sollievo, si lascia andare sulla poltrona, come soffocato dall'emozione, bruscamente si alza, si guarda intorno, prende, quasi, possesso dell'appartamento, con gli occhi, passa lenta­mente la mano sul broccato della poltrona, quasi ac­carezzandola; infine va ad aprire la porta a sinistra) - Giulia?!... (cambia espressione, riprendendo l'aria seccata).

Giulia   (dalla   comune)   -   Lorenzo?...

Franco - È andato a. telefonare, ma torna. C'è del cognac  in  casa?

Giulia - Sì.

Franco - Vuole anche il cognacchino, e io devo bere con lui, se no se l'ha a male. Se avesse un cane, mi pregherebbe di portarglielo a spasso, e io dovrei dirgli: volentieri, signor Gualdi, s'immagini... Credimi, Giulia...

Giulia - Ho capito... e ho deciso.

Franco - Che cosa?

Giulia - Di partire, con te. Questa sera stessa.

Franco (allarmato) - Questa sera?!

Giulia - È necessario, Franco: per i « tuoi nervi ».

Franco - Ora esageri. Non nego che sono messi a dura prova, ma saprò resistere, dobbiamo resistere, Giulia... Per pochi giorni, del resto: sabato parte.

Giulia - Partiremo, noi, questa sera.

Franco - Ma non possiamo, non puoi andartene così, senza aver definito...

Giulia - C'è De Ritis. E poi, non m'importa... Faccia quello che vuole. Non ho nessuna voglia di mettermi a girare per tutta l'Europa dietro a lui, a sue spese, da un tribunale all'altro. Voglio uscire subito di qui, andarmene da questa casa. Sapessi come la odio!

Franco  -  Anch'io  non  l'amo,  tuttavia...

Giulia - Qui siamo intossicati, Franco. È come un ve­leno che sparge con la sua presenza, quando si muove, quando parla... Voglio andare in un posto dove siamo stati una volta... a Portofino. Non ci sarà nessuno, in questa stagione. Ci staremo poco... una settimana... tu ed io... felici... Prima, però, dovrò dirti una cosa, una brutta cosa... una gran paura che ho avuto.

Franco - Di quello lì?

Giulia - No. (gli accarezza i capelli) È passata...

Franco - Mi vuoi spiegare?!

Giulia (c. s.) - Non ora... È andata male per me, sai? Tu ci hai guadagnato.

Franco - Ci ho guadagnato?

Giulia - Sì... perché ti voglio più bene. (gli prende la matto e vi appoggia la guancia).

Franco (pausa) - Sarà bene che mi occupi dei biglietti.

Giulia - Sì... vacci subito. (notando l'occhiata di lui agli scacchi) Gli farò le tue scuse. Va' va'...

Franco   -  Arrivederci   (esce).

Giulia   -   Ciao.

SCENA  QUARTA

Giulia, Adele, Lorenzo

(Giulia suona il campanello, poi si accosta alla scac­chiera e con gesto risoluto, abbatte i pezzi).

Adele -  Signora?...

Giulia - Porta la bottiglia del cognac e un bicchiere. (siede).

Adele - Subito. (esce).

Lorenzo (dalla comune) - Tutto fatto. (sorpreso) Ma...

Giulia - Il tuo avversario ti prega di scusarlo: è dovuto...

Lorenzo - Un cliente?!

Giulia - Forse. Purtroppo, io non so giocare.

Lorenzo - Non ci sarebbe gusto.

Giulia - Evidentemente.

Lorenzo - Evidentemente.  

(Rientra Adele,  col vassoio e la bottiglia).

Giulia - Ecco il tuo cognac.   (Adele posa il vassoio ed esce) Pieno?

Lorenzo - Fai tu. (si avvicina) La mia marca.

Giulia - La tua bottiglia. È sempre quella!

Lorenzo - Ma no?!

Giulia - È quasi finito (Lorenzo beve). Dunque Lorenzo... Come va... il tuo « flirt»?

Lorenzo  -  Faccio  progressi.  Tra un paio  di giorni spero di...

Giulia - No, Franco ed io partiamo questa sera. Resta mia madre, per qualche giorno, se non ti dà noia.

Lorenzo - Gliel'hai voluto dire, eh? Hai avuto paura che te lo mostrassi con la sua vera faccia?

Giulia - No.

Lorenzo  -  Allora,  perché  me lo  porti via?

Giulia - Per sottrarlo al tuo fascino. Sono gelosa. (ride).

Lorenzo - E lui acconsente? (Giulia annuisce) Stasera? (Giulia c.s.) Non ci credo. Quello non parte, non partirebbe neanche se sapesse che viene il terremoto. Tu sì, non vedi l'ora, perché non sei tranquilla... stai sulle spine, qui.

Giulia - Come t'illudi!... Ma non capisci che non ce ne importa più niente del tuo consenso, dell'annulla­mento... di quello che potrai ancora escogitare, contro di noi? A questo sei riuscito col tuo contegno, a farmi mettere da parte tutti gli scrupoli, le preoc­cupazioni che avevo. Non mi sono mai sentita così forte come in questo momento! Tant'è vero che me ne vado, ti sfido!... Avanti, Lorenzo!... Fai valere i tuoi diritti di marito, dimmi che devo stare qui, a tua disposizione!

Lorenzo (la guarda, con assoluta calma) - Buon viaggio.

Giulia - Ma che uomo sei? Che sangue hai nelle vene?

Lorenzo - Piuttosto freddo... anche in questo momento, che mi dai del vile. Tu!...

Giulia (pausa, riprende il controllo di sé) - Perdonami! Non so quello che dico... Ma infine è colpa tua, se siamo arrivati a questo punto. Tre anni fa, avresti potuto uccidermi... e non l'hai fatto. Ora potevi buttarmi fuori di casa...

Lorenzo - ... e non l'ho fatto.

Giulia - Allora, dovevi perdonare. Qualunque cosa, ma non questa finzione assurda, crudele, inutile ormai...

Lorenzo - Per te.

Giulia - Anche per lui. Tu non lo conosci, non puoi giudicarlo, ma è un bravo ragazzo... Non sarà un'aquila, ma a me piace così com'è: modesto, af­fettuoso, un po' provinciale, come me.

Lorenzo - Scaltro.

Giulia - Ma come puoi dirlo?

Lorenzo - Un tipo interessante, il tuo provinciale, paziente, tenace.... Ogni mossa calcolata, diretta a uno scopo... Il vero giocatore di scacchi. Ma non ti ama, non ti ha mai amato.

Giulia - Se lo dici tu...

Lorenzo - No, lo dice lui! (prende il portafogli e ne to­glie la lettera) Io lo so com'è un uomo innamorato, i pensieri che gli passano per la testa, le sciocchezze che può fare. Lui, no: freddo, lucido, sempre pre­sente a se stesso... anche nei momenti di furore, come quando voleva precipitarsi a Losanna con la rivoltella... e senza passaporto. Non l'ha mai avuto, il passaporto. È una delle cose che ho potuto accer­tare, in questi giorni. Un'altra è la data di una certa fattura... Ditta Giorgi, forniture per i signori medici: più di seicentomila lire pagate dal dottor Genesi il 16 giugno... due giorni dopo che tu avevi fatto posto a quelle stampe... Galleria d'arte Faelli & C.: un milione e centomila lire versate alla signora Giu­lia Gualdi, il 14 giugno. Con tutto ciò non escludo che possa volerti bene. A modo suo. Un bene giudi­zioso, riflessivo... redditizio. Non ti chiese in mo­glie quan d'eri povera, non ti rapì quando incomin­ciai a frequentare la tua casa, non ti uccise quando sposasti un altro... non si uccise... E' incredibile la quantità di sciocchezze che ha saputo evitare! Anche il tuo progetto di fuga... (mostra la lettera) poteva essere allettante, una vera tentazione per un ragazzo innamorato, roso dalla gelosia... Chi sa che lotta, nel suo giovane cuore! Ma ancora una volta, il buon senso prevale. « Dominiamo i nostri impulsi, Giulia, aspettiamo! » Cioè, continua a dividerti tra me e tuo marito... No, no... Il dottor Genesi è impa­stato di prudenza, è un saggio. Soltanto con me s'è un po' lasciato andare... forse per gratitudine. Gliene ho fatti di favori, in quattro anni!... Il primo quando t'ho sposata, assumendomi la responsabilità a cui si era sottratto... Via libera, per il dottore!... Liberissima, dopo la mia scomparsa. Sposata, ricca... e senza marito: l'ideale. Incontra qualche difficoltà a muovere i primi passi nella professione? Ci penso io, da lontano. Deve metter su il gabinetto? Ci sono i miei quadri. Si vuole sistemare? Una bella lettera a papà Lorenzo e papà Lorenzo interviene e ti fa la dote. E lui accetta, accetta qualsiasi cosa: la mo­glie, gli aiuti, la casa... tutto. Rapporti di assoluta confidenza... Padre e figlio. Fortuna che non ha il vizio del gioco!...

(Giulia che ha ascoltato fremendo, fa per avviarsi, si ferma vedendo Olga, che, entrata un momento prima da sinistra, ascolta allarmata)

Non andartene Giulia, non aver paura. Anche se ci trova insieme, non spara. E non parte. Né stasera né domani. Dopodomani forse... non tanto presto... dopodomani sera. Tra l'altro, mi deve una rivincita. A più tardi.  (esce a destra).

SCEMA  SESTA

Giulia,   Olga,   Franco

Olga - Ma che è successo? Chi deve sparare?

Giulia - Nessuno. Qui non spara nessuno. (Si lascia andare sulla poltrona, avvilita, si rialza di scatto) Non è vero!... È lui che vede le cose come gli con­viene... perché lo odia, perché mi ama ancora!

Olga - Lorenzo?!

Giulia - Sì. Dice che sono una stupida, e anche tu, Giovanna, suo padre... Tutti ciechi! S'è messo a fare il poliziotto... in cerca di prove: un'inchiesta in piena regola, a carico di Franco! Ma che ne sa lui, di quello che c'è voluto, per indurlo a venire qui, vicino  a me?  Ho dovuto fargli il contratto!

Olga - Ma l'affitto non l'ha mai pagato.

Giulia - Perché non può. Sono miserie, mamma... Tu puoi pensarle... Lorenzo: ma io lo conosco meglio di voi... da sei  anni.

Olga - Cosa?!

Giulia - Da sei anni! Non l'hai ancora capito?

Olga - No!... Non voglio capire! È il tuo amante da sei anni?

Giulia - No. Fu a Merano tre anni fa, e Lorenzo lo seppe!

Olga - Allora, fu per questo che?... È spaventoso! (si prende la testa fra le mani).

Giulia - Non così, mamma, non su questo tono! Sei l'ultima persona al mondo, che può condannarmi. Non tocchiamo questo tasto. (Olga accusa il colpo) Che stavo dicendo? Ah, sì... l'appartamento... il contratto... No, no... Franco non è così, non mi ha mai chiesto nulla. È anche troppo orgoglioso. Ogni volta dovevo supplicarlo, mettermi in ginocchio... Ero io che smaniavo, che non mi rassegnavo a ve­derlo per qualche ora, di nascosto... Allora non mi vuoi bene, gli dicevo... Che altro poteva fare? (ascolta) È lui! (comprimendo i battiti del cuore, cerca dì assumere un'aria disinvolta).

Franco (dalla comune, contrariato, scuotendo il capo) -Niente   da  fare.

Giulia (col cuore in gola) - Che significa?

Franco (mostrando gli scontrini) - Bisognava pensarci prima. Sono per dopodomani, alle 23,40. C'era po­sto anche sul treno delle 21,25, ma non mi piace arrivare di notte. Ecco qua... dieci e undici... al centro...

Giulia (annientata, con un filo dì voce) - Sì... le ruote mi danno fastidio.

Franco - Ho provato ad offrire una mancia: se non per stasera, per domani... Niente. Tutto prenotato: deputati e senatori. Lavorassero invece di viaggiare!

Giulia - Potremmo... potremmo fare a meno del vagone letto.

Franco - Nove ore di treno, nelle tue condizioni? Lo sai come si viaggia, no? La gente così... vetture in­decenti...   niente  riscaldamento...   Africa  Centrale, Congo, Papuasia! E hanno il coraggio di parlare di ricostruzione ferroviaria. Tra vent'armi, forse. Che paese! (a Olga) Non la faccio viaggiare senza il letto! Guardi in che stato è ridotta! A momenti si mette a piangere. (Giulia, immobile,, lo guarda: due lacrime le scendono sulle guance) Eccola lì... Piange!... Non tollera la più piccola contrarietà! Andiamo, Giulia... non vale la pena... Se l'abbiamo sopportato per quattro giorni, lo sopporteremo per sei. Sabato se ne va. Per conto mio, posso giocare a scacchi per quarantotto ore di seguito. E se vuole, gli porto anche la valigia. Sono corazzato... insen­sibile: un fachiro. Tu no, purtroppo... ma eviteremo altri incontri. Non piangere, su... e stai calma... Non succederà niente. (le sfiora la guancia con una carezza - al contatto, Giulia ha una scossa) Le dia le gocce... anche venti. Faccio una capatina in far­macia e torno subito.   (esce dalla comune).

Olga (pausa) - Le vuoi, le gocce?

Giulia (accenna di no) -Lasciami sola.

Olga - Niente  affatto...

Giulia - Ti prego!

(Olga esita ancora, poi esce a sinistra).

SCENA  QUARTA

Giulia, Lorenzo, Olga, Adele

(Giulia si copre il volto con le mani e singhiozza, sommessa).

Lorenzo (dalla comune, avanza lentamente, siede lon­tano da Giulia, la guarda) - Non poteva partire... per via dell'appartamento... Ha un appuntamento con me dal notaio... dopodomani mattina... Quasi quasi glielo regalo davvero! Se l'è guadagnato! Ci pensi che fatica, fare l'innamorato per quattro anni... senza esserlo e senza farsene accorgere. Che bravo!... (pausa) È un brutto momento, lo so. Io ero là, in camera tua... Rimasi non so quanto tempo con quella lettera in mano, inebetito. Per te, è peg­gio... non hai neanche una rivoltella da accarezzare... quelle canne lisce, fredde che ti bruciano le dita... Tu non hai che un fazzoletto... non puoi fare niente. Ma qualcosa bisogna fare, non fosse che per sentirsi vivi. Ma io ti sto consolando, e invece sono il vinci­tore. È il momento tanto agognato... Il momento di assaporare il trionfo! Uhm!... Qui c'è poco da assaporare! (Giulia alza su di lui uno sguardo smar­rito) E poco da consolare. Lo farei volentieri; non per compassione.... Per un altro motivo... incredibile. Te lo voglio dire ora, nel momento meno adatto. Il motivo è che ti voglio bene... ancora... (Giulia rimane, immobile, la testa tra le mani) Ci mancava quest'altro guaio! Ma che cosa ci posso fare? Do­vrei nascondertelo, per orgoglio? Lasciarti andar via? E poi? Poco fa, mentre me ne stavo nascosto in biblioteca, aspettando che uscisse quell'altro, ho voluto rifarti il processo: interrogatorio, depo­sizioni, arringa, tutto. C'erano anche tre testimoni: uno contro di te, che ero io, e due a favore: tua ma­dre... e ancora io. Te la sei cavata. Tua madre, in­vece, ne è uscita molto male... Ha dovuto confessare molte cose. Caso tipico di violenza morale... E non soltanto morale, se è vero che una certa sera ti diede uno schiaffo. Il tuo difensore ebbe buon gioco... se la prese anche con me: mancò poco che non chie­desse la mia incriminazione. Sai come sono gli avvo­cati... Ed io che ero lì ad aspettare la tua condanna, per concederti il perdono... neanche questa soddi­sfazione. Assolta. (Giulia scuote il capo) Hai torto, Giulia. (si alza e le si accosta) Questa è una cosa che né tu né io potremo dimenticare, se non insieme, aiutandoci. Ci vorrà del tempo, ma forse un giorno dovrai  riconoscere che quest'aiuto me  lo  merito.

Giulia  -   Se   bastasse   riconoscerlo...

Lorenzo - È vero. Ma dobbiamo tentare. Non abbiamo altro da fare. Ma non lo vedi che siamo tutti e due a terra? Chi vuoi che ci rialzi? Qualunque altra donna entrasse nella mia vita, lo farebbe per interesse... o almeno lo crederei. E anche tu... dove lo trovi un amico più sicuro, più collaudato di me?

Giulia - Un amico?

Lorenzo - E che altro? Io so aspettare, ho sempre avuto una gran fiducia in me stesso. Tre anni fa, ti dissi: Io so che non mi vuoi bene, ma non importa: me ne vorrai in seguito.

Giulia   -   Infatti...

Lorenzo - Lo so. Ma voglio ritentare. Non qui. Questa casa non mi piace più. Dirò a De Ritis che faccia pu­lizia e la venda. A proposito di pulizia... (prende la lettera e la fa a pezzettini) Fai bene a partire ma non questa sera: sarebbe un « tour de force *. Partirai domani, con tua madre, per destinazione ignota... a lui. Io devo andare a Parigi, ma ti raggiungerò tra una settimana o poco più... (da sinistra entra Olga ansiosa) Ecco tua madre! Venga, venga signora... (suona   il   campanello).

Olga (accennando a- Giulia) - Come sta?

Lorenzo - Molto male. Si è mai fatta un'operazione lei?

Olga - No, grazie a Dio.

Lorenzo -.Lei sì, adesso... senza anestesia. Bisogna avere molti riguardi per Giulia. (Olga annuisce. Da sinistra entra Adele) Ah, sì... Adele... è probabile che tra poco ritorni il dottore.

Adele - Sì, signore.

Lorenzo - Non deve entrare. (Adele ha un moto di sorpresa) Non deve più entrare, ha capito?

Adele (con gioia) - Sì, signore... perfettamente.

Lorenzo - La signora è guarita.  (Adele esce). Ed ora ti lascio. Mettila al corrente delle ultime novità. Sarà contenta.

Olga (commossa) - Oh, sì...  tanto contenta!  Caro Lorenzo...

Lorenzo - Dopo, signora, dopo.... I festeggiamenti sono rinviati. (Si avvia) Un'altra cosa... Non appena uscirò da questa porta Giulia si metterà a piangere... a sin­ghiozzare. Non le dica nulla e non si spaventi: può essere un buon segno. arrivederci. (esce dalla comune).

Sipario