Francesco Caracciolo

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FRANCESCO CARACCIOLO

Radiogramma in sette tempi

di GINO CUCCHETTI

PERSONAGGI

FRANCESCO CARACCIOLO

EMMA HAMILTON

ORAZIO NELSON

MARIA CARO­LINA

FERDINANDO IV

CARAMANICO

ACTON CARAFA

PRINCIPESSA CARACCIOLO

COLLETTA

DE DEO

PAGANO

LAUBERT

BELMONTE

SAINT CLAIR

MANTHONÈ

CARDINALE RUFFO

NATALE

DON SACCHINELLI

RIGHELLI

MAMMONE

MICHELE IL PAZZO

FOTHE IL COMANDANTE THURN

UN UFFICIALE D'ORDINANZA

UN ALTRO UFFICIALE

UN MARINAIO

UN SERGENTE

UN MAGGIORDOMO

VOCI VARIE

Commedia formattata da

PRIMO TEMPO

(Novembre 1793. A bordo della nave « Agamemnon», sulle acque di Napoli. Segnale di tromba che si ripete due volte).

Una Voce                 - Visita a bordo!

Altra Voce               - (che si ripete più lontana) Visita a bordo!

                                 - (Rumore di remi della scialuppa che attracca alla sca­letta della nave).

Ufficiale di Ordinanza           - Milady...

Emma                       - Sono l'ambasciatrice d'Inghilterra a Napoli, lady Hamilton. Desidero vedere subito il comandante Orazio Nelson.

L'Ufficiale                - Eccellenza, milady... Eccolo appunto che scende.

                                 - (Rumore dei passi di Nelson giù per la scaletta).

Emma                       - Sono Emma Hamilton, la moglie di lord Hamilton, ambasciatore di S. M. Britannica presso la Corte di Napoli...

Nelson                      - Oh, milady! Quale onore per me! L'amba­sciatrice, la stupenda, la divina lady Hamilton qui, sulla mia vecchia « Aganremnon », mentre io avrei dovuto... Ma abbiamo gettato le ancore da pochi momenti. Sono veramente confuso...

 Emma                      - (con voce un poco emozionata) Vi aspettavo con grande ansia, Nelson! Vi conoscevo da gran tempo a traverso i vostri molti atti di valore, la vostra leggen­daria vita di prode marinaio. (Con intenzione) Sono io che ho ottenuto dall'ammiraglio Hood che foste prescelto per questa missione a Napoli. Lasciate ch'io vi guardi, ora, ch'io vi ammiri innanzi a me, nella vostra bella uniforme di comandante della Marina inglese. Quanto sono felice!

Nelson                      - Non più di me, milady. La vostra amabilità mi confonde, (pausa), la vostra bellezza mi turba e mi avvince... Vi dispiace se ci ritiriamo per un istante nella mia cabina? Dovrò dirvi cose assai importanti.

Emma                       - E' quanto volevo proporvi.

                                 - (I due van su per la scaletta di bordo. Vocìo di ma­rinai. Una porta che s'apre e si chiude. Nella cabina di Nelson).

Nelson                      - Prego, milady, accomodatevi...

Emma                       - E voi qui, accanto a me. Credo che il destino ci farà vivere molto vicini uno all'altro...

Nelson                      - (galante) Non chiedo di meglio al destino, v'assicuro. Con Fallito del quale vorrei ora parlarvi di dolcissime cose, che so, di poesia, d'amore... Ma i fatti premono e debbo invece intrattenermi con voi su freddi aridi problemi di politica e di guerra. Il che avrei fatto con S. E. l'ambasciatore, se voi...

Emma                       - Che volete, mio marito ha settant'anni suo­nati, ama la caccia ed altri svaghi; per cui è lieto di affidare a me, che ne ho poco più di venti, e godo la piena fiducia della regina Maria Carolina, tutte le cure del suo ministero.

Nelson                      - Vi ama molto la Regina?

Emma                       - Siamo due corpi ed un'anima sola. Non fa nulla senza il mio aiuto, il mio consiglio. Re Ferdinando vale quanto mio marito, per cui il Regno è in mano nostra e in un nerbo di buone astutissime spie..

Nelson                      - Sentite, dunque milady. La Francia è ormai decisa a riprenderci Tolone. La città è quotidianamente bombardata. I cannoni francese da quando le batterie sono comandate da un giovane ufficiale corso chiamato Napoleone Buonaparte, tirano giusto. Dobbiamo agire senza perdere tempo. Che ne direste, milady, di una alleanza sempre più stretta del Regno delle Due Sicilie con l'Inghilterra?

Emma                       - Ma la Regina non chiede di meglio, credo. Ella ha per i francesi un odio tremendo. Troppo ricorda il supplizio della sorella Maria Antonietta. Se dipen­desse da lei, dice sempre che distruggerebbe la Francia repubblicana fino all'ultimo francese.

Nelson                      - Benissimo. E allora, col vostro squisito per­messo, bisognerebbe ch'io mi recassi subito dalla Re­gina.

Emma                       - Vi aspetta, comandante, ed io vi accompagnerò alla Reggia con la mia carrozza. (Insinuante) Ac­cettate?...

Nelson                      - Oh, che dite, milady! Con tutto il cuore...

Emma                       - Sì, ma... vi prego, non chiamatemi più milady...

Nelson                      - E' inteso: Emma, soavissima amica mia...

Emma                       - Sì. (Con trasporto) Per la vita e per la morte. (Pausa) Andiamo.

                                 - (Rumore dei loro passi dalla cabina a sopra coperta, indi già per la scaletta di bordo).

Nelson                      - (a voce alta) Tenente, una scialuppa in mare!

Ufficiale                   - Una scialuppa a mare!

Altra Voce               - (più lontana) Una scialuppa a mare!

Emma                       - Che ve ne pare di questo magico golfo?

Nelson                      - Magico e incomparabile... (più basso) come la vostra bellezza, milady...

Emma                       - Emma, Emma! Per voi, ormai, sono Emma. (Sottovoce, insinuante) Mi vorrete bene come già vi voglio?

Nelson                      - Vi amo come voi mi amerete... (Pausa) Scendiamo.

                                 - (Suono di tromba che si ripeterà due volte. Sciacquìo della scialuppa. A bordo della scialuppa).

Nelson                      - Remate veloci!

Emma                       - Questa sera resterete a terra. Dopo l'udienza con la Regina ceneremo noi due soli, a Posillipo...

Nelson                      - Schiavo vostro, Emma. (All'ufficiale d'or­dinanza) Voi tornate a bordo. A domani. (Rumore di remi).

Emma                       - Ecco la mia carrozza. (Scalpitìo di cavalli) Pasquale: alla Reggia! Di galoppo!

                                 - (Scalpitìo di due cavalli al galoppo. Schioccare di frusta. Nell'interno della carrozza).

Nelson                      - Di che carattere è questa austriaca?

Emma                       - Amabile con chi le va a genio e l'ubbidisce, a bacchetta. Violenta e crudele con chi odia. Il mio ca­rattere, Nelson. Per tenere in pugno questo popolo di lazzaroni e di aristocratici d'ogni sangue e d'ogni razza non ci vuole, del resto, gran che: un po' d'oro e molta forca. Maria Carolina è molto buona con me. Chi ci vuol male dice che abbiamo in comune il letto e la penna con cui facciamo firmare le sentenze di morte al Re. Divertente, vero?

Nelson                      - Chi è l'attuale amante della Regina?

Emma                       - Il principe di Caramanico. Ma di lui è stanca. E' troppo fiacco, mi capite, poco resistente. Presto se ne sbarazzerà come usa lei: con la galera o col veleno. Ha già buttato l'occhio su due uomini ugualmente forti e belli: l'inglese Acton e il napoletano Caracciolo. In ve­rità, preferisco il secondo. Robusto, quadrato, lupo di mare, vero figlio del Vesuvio.

Nelson                      - Mi pare che tra voi e la Regina vi sia, come dire, giuoco di concorrenze...

Emma                       - (con trasporto) Caro Nelson, questo vostro fugace impeto di gelosia mi mette fremiti di gioia...

                                 - (Suono di due trombe all'unisono. Il rumore della carrozza sul selciato pietroso del cortile della Reggia).

Emma                       - Siamo a Palazzo Reale.

                                 - (Rumore degli sportelli della carrozza che s'aprono e richiudono. Tintinnìo di speroni e di sciabole).

Una Voce                 - Presentate le armi!

                                 - (Lo scatto dei fucili).

La stessa Voce         - Pied'arm!

Caramanico              - I miei omaggi, milady.

Emma                       - (presentando) Il principe di Caramanico, gentiluomo di S. M. la Regina; il comandante visconte Orazio Nelson.

Caramanico              - Le LL. MM. vi attendono, coman­dante. Volete accomodarvi? Salite con noi, milady?

Emma                       - Grazie, no. Mi attende lord Hamilton. Co­mandante Nelson, la mia carrozza vi accompagnerà più tardi al mio palazzo. Arrivederci.

Nelson                      - Infinite grazie, milady. (Baciamano).

Caramanico              - (idem) Milady...

                                 - (Una pausa. Rumore di sciabole e speroni su per lo scalone del Palazzo).

Caramanico              - Abbiate la bontà di attendere un istante. Le LL. MM. vi ricevono subito.

Nelson                      - Prego.

                                 - (Una pausa. Nel salone delle udienze della Reggia di Napoli).

Caramanico              - Comandante, accomodatevi.

Una Voce                 - Il comandante visconte Orazio Nelson!

Nelson                      - Maestà! (Pausa) Maestà!

Ferdinando               - Siate il benvenuto fra noi, visconte.

Nelson                      - Ho l'alto onore di porgere alle VV. MM. il deferente saluto dell'ammiraglio Hood, comandante la flotta inglese nel Mediterraneo.

Ferdinando               - Ricambiamo, ricambiamo di gran cuore. x

Carolina                    - Caro visconte, quanto sono lieta di co­noscervi di persona. Accomodatevi. So che dovete dirci cose interessanti. Il Re ed io vi ascoltiamo con pia­cere. Vero, Ferdinando?

Ferdinando               - Infatti, infatti. Io però ho il parruc­chiere che mi aspetta da gran tempo nel mio appar­tamento e poi ho dato « rendez-vous » al principe di Caramanico per una partita a dama. Visconte, avremo tempo di vederci. Parlate con la Regina. Ella sarà tutt'orecchi. Ho detto bene, « Carulì » ? Addio, visconte.

Nelson                      - Maestà!

Carolina                    - Com...patitelo. Stanotte abbiamo avuto ballo a Corte e s'è fatto molto tardi. Se non dorme al­meno dodici ore non è a posto. (Cambiando tono) Dunque? Mi dicono che la Francia, la maledetta Francia, fa le bizze?

Nelson                      - Bizze piuttosto pericolose. Tolone è sotto il tiro delle sue artiglierie, Maestà. Noi dobbiamo in­tervenire senza ritardo. Sono qui per questo. Il governo di S. M. Britannica vi fa chiedere se, giusta l'alleanza che esiste fra i nostri due Stati, volete far partire su­bito la vostra flotta, darci l'ausilio di seimila fanti equipaggiati, provviste di grano e l'apertura di un cre­dito di sei milioni di ducati presso la Banca d'Inghil­terra.

Carolina                    - Bazzecole...

Nelson                      - Poca cosa, Maestà, se pensate a quel che occorre per una guerra.

Carolina                    - Già, già, non discuto. Odio i francesi quanto gli italiani, con le loro idee rivoluzionarie. Po­tessi non vederne più uno sulla faccia della terra! La forca non è più sufficiente, comandante. Sta bene. Tutto vi sarà accordato.

Nelson                      - Grazie, Maestà. Non debbo dimenticare un particolare importante. La flotta napoletana, secondo il desiderio del governo inglese, dovrà essere comandata dal vostro Caracciolo, prode soldato che voi, graziosa Maestà, e lady Hamilton stimate molto...

Carolina                    - Avete già parlato con lady Hamilton?

Nelson                      - Sì, Maestà. Si è degnata di visitarmi sull'« Agamemnon».

Carolina                    - Vedete, questo Caracciolo, appunto per le sue grandi qualità di soldato, in questo momento sarebbe molto più utile qui, alla difesa del golfo e delle molte coste...

Nelson                      - Non dovete temere minacce, Maestà. Na­poli e le coste delle Calabrie e della Sicilia possono calcolarsi intangibili. La flotta inglese ve ne dà affida­mento.

Carolina                    - Capisco. Ma poi, in tutta confidenza, di Caracciolo non sono troppo sicura. Va tenuto d'occhio.

Nelson                      - Lo terrò d'occhio io, Maestà, non dubitate.

Carolina                    - E sta bene. Impartisco ordini immediati per ogni cosa. Quando partirete, comandante?

Nelson                      - Domani o... dopodomani, al più tardi.

Carolina                    - Ho capito. Dopodomani. (Insinuando) Non mi avete confidato di aver già visto lady Hamil­ton?... Sono contenta. Emma è con me il perno del mio Regno. E' un valore assoluto. Ed è la mia migliore amica. E', infine, una bellissima creatura... Tenetela in grandissimo conto. A presto, comandante Nelson.

Nelson                      - Maestà!

                                 - (Una pausa. Scalpitìo di cavalli. Il suono delle due trombe all'unisono. Schioccare di frusta. Il trotto dei due cavalli).

                                 - (Sulla terrazza di una trattoria di Posillipo. Vocìo di gente, rumore di piatti e bicchieri, suono di chitarre e mandolini assai lontano).

Emma                       - Che ne dite di questa terrazza sul mare?

Nelson                      - Paradisiaca. Non potevate prepararmi ore più deliziose, Emma.

Emma                       - Napoli dunque vi piace?

Nelson                      - Mi piace Napoli, questo mare, questo cielo, ma soprattutto mi piacete voi, angelo bello...

Emma                       - Non partirete domani?

Nelson                      - Non partirò.

                                 - (Rumore più distinto di voci maschili).

Nelson                      - Chi sono quei gentiluomini a quel tavolo là in fondo? Mi hanno... non so... aria un po' so­spetta...

Emma                       - Un gruppo di cosiddetti patrioti napoletani: Filangeri, Pagano, Manthonè... Se non erro, vi è fra loro anche il nostro Caracciolo... Bene a sapersi.

Nelson                      - Lui?!

Emma                       - Non fateci caso. Son tenuti d'occhio. E lui più degli altri. Vedete quel figuro al tavolo vicino? E' Righelli, il più grande manigoldo di Napoli. E la spia più fidata della Regima.

                                 - ( Una voce accompagnata da una chitarra, sale dal golfo. Canta « Fenesta che lucive »).

Emma                       - Orazio...

Nelson                      - Emma...

SECONDO TEMPO

                                 - (In una sala riservata del Palazzo Reale di Napoli. Novembre 1793).

Una Voce                 - L'ammiraglio principe Francesco Carac­ciolo dei duchi di Brienza!

Caracciolo                - Maestà!

Carolina                    - Venite, venite, caro Caracciolo. Non vi si vede mai. Anche iersera al nostro ballo brillavate per la vostra assenza...

Caracciolo                - Maestà, gli onerosi doveri del mio uf­ficio...

Carolina                    - Lo so, lo so che li compite con ogni scrupolo. Ma la vostra Regina non dovete trascurarla così... la vostra Regina che, dal canto suo, non trascura occasione per dimostrarvi la sua stima, (insinuante) la sua simpatia...

Caracciolo                - Maestà, vi sono devotamente grato. Ma la Maestà vostra lo sa, io sono un marinaio piuttosto rude, un lupo di mare vero e proprio, un ribelle a tutte le formalità del cosiddetto gran mondo. Se mi si toglie dalla tolda delle mie navi, quasi mi pare di non sa­permi muovere, di non saper parlare...

Carolina                    - E invece parlate e vi movete benissimo, tanto che molte dame della mia Corte vanno pazze per voi...

Caracciolo                - C'è da ridere, Maestà. Queste dame, se mi concedete, son tutte pazze davvero e sprecano il loro tempo.

Carolina                    - Tutte?! Anche la vostra Regina?

Caracciolo                - Maestà... (Pausa) Sono in attesa che mi trasmettiate gli ordini del mio Sovrano.

Carolina                    - (una risatina irritata e sardonica) Sta bene. Allora vi dirò che il vostro Sovrano vi ordina di prepararvi a partire subito. Dobbiamo tener fede al trattato con S. M. Britannica ed aiutare l'Inghilterra a battere l'odiata Francia da cui ci viene questo ribut­tante morbo rivoluzionario. Domani sera torrete le an­core, ammiraglio Caracciolo. La flotta reale seguirà la rotta della nave del comandante Nelson verso Tolone. Questa piazzaforte va difesa a tutti i costi. Scorterete nel contempo il naviglio che porta ai nostri grandi al­leati milizie di rinforzo e provvigioni.

Caracciolo                - Agli ordini vostri, Maestà. I miei ma­rinai non chiedono di meglio che di battersi per l'onore del proprio paese. Oso però ricordare alla Maestà vostra la formale promessa fatta da re Ferdinando a traverso l'ammiraglio Lathouche, comandante la squadra francese, al governo di Parigi, di osservare la più scru­polosa neutralità in caso di conflitto tra Francia e In­ghilterra.

Carolina                    - Storie. La parola di re Ferdinando var­rebbe in quanto fosse scritta. La Francia va distrutta. Questo è l'importante. Ed io tengo all'amicizia inglese.

Caracciolo                - Verrà' un giorno, Maestà, in cui di questa amicizia si varrà il governo di S. M. Britannica per i suoi fini d'imperio anche nel nostro Mediter­raneo.

Carolina                    - Ammiraglio, non ho altro da aggiungere.

Caracciolo                - Maestà!

                                 - (US dicembre 1793. Sul molo di Santa Lucia. Brusìo di gran folla. Incrociarsi di grida. Prevale il dialetto napoletano).

Uno della folla         - (in dialetto napoletano) Chi sono quelle grandi autorità?

Un altro                    - (idem) Come si fa a non conoscerle? Quella è la famosa Hamilton, e quello vicino è il comandante Nelson. Quello un po' più in disparte è il nostro bravo ammiraglio Caracciolo, comandante della nostra flotta, e quella vecchietta che se lo tiene stretto al braccio è la principessa Caracciolo, sua madre...

                                 - (Sempre il brusìo della folla).

Caracciolo                - Comandante Nelson, lieto di essere an­cora una volta al vostro fianco.

Nelson                      - Già, noi ci siamo incontrati altra volta...

Caracciolo                - Il 17 ottobre 1776, esattamente dicias­sette anni or sono, nelle acque americane, non tanto preoccupati per la piccola flottiglia di Washington, di cui ci sbarazzammo con pochi colpi di cannone, ma per la bene agguerrita flotta francese...

Nelson                      - Esattamente. Ed oggi ancora una volta la Francia contro di noi. Il vento è buono. Domani sa­remo in vista di Tolone. Attenderemo la sera per lo sbarco delle vostre truppe. Volete scusare un istante, ammiraglio? (Più sottovoce ad Emma Hamilton) Emma, sono ancora tutto ebbro di te... Il ricordo di questa notte deliziosa mi accompagnerà per tutta la vita. Grazie. Addio.

Emma                       - Non addio, Orazio. Arrivederci presto, mio grande tesoro!

Principessa Caracciolo           - Francesco, figlio mio. Il compito che ti è stato affidato è assai duro. Ma io sono sicura di te.

Caracciolo                - Madre mia, la mia divisa sarà come sempre: saldo cuore e forte braccio!

Principessa Caracciolo           - Fatti onore dunque, e che Iddio ti protegga.

                                 - (Grida: «/ Sovrani »! «Z Sovrani »! «Viva il Re»! « Viva la Regina »! Suono di musiche, applausi. Fischi ripetuti di vapori. Tutti questi rumori in un certo mo­mento s'attenuano. S'ode ora soltanto lo sciabordìo dell'acqua sulle navi. Qualche fischio, ancora, di vapore lontano ormai in rotta).

                                 - (A bordo della nave « Tancredi ». Un picchiare di­screto alla porta della cabina di Caracciolo).

Caracciolo                - Avanti.

Un Marinaio             - Il tenente di guardia Carata d'Andria chiede di poter parlare a V. E.

Caracciolo                - Venga.

Carafa                      - Ammiraglio.

Caracciolo                - Che c'è?

Carafa                      - Un marinaio, o meglio, un brutto figuro con la divisa dei nostri marinai, s'è mescolato ai miei uomini di guardia. L'avevo addocchiato fin da ieri sera, quando lasciammo il porto. L'ho interrogato. Mi ha dato certamente nome falso. In ogni modo esso non figura nei ruolini di bordo.

Caracciolo                - - E' certo una spia. Una delle tante spie di cui ci gratifica l'amabile nostra Regina dietro istigazione di lady Hamilton. Passatela ai ferri. Nessuna pietà per questi cialtroni.

Carafa                      - Agli ordini vostri, ammiraglio.

Caracciolo                - Sono lieto di averti con me, Carafa. Ho promesso a tuo padre di esserti buon compagno, più che superiore, in questo tuo primo battesimo di guerra.

Carafa                      - Il destino non poteva riservarmi sorte mi­gliore e più eccezionale onore. Saprò rendermene degno. (Pausa) Ammiraglio, se permettete...

Caracciolo                - So cosa vuoi dirmi. Chiudi la porta. (Rumore della porticina che si chiude) Tuo padre, ch'è dei più fervidi patrioti del gruppo dei Filomati, ch'io ammiro e frequento, ti ha detto che questa guerra contro la Francia non è, almeno per il momento, per nulla sentita dai napoletani. E' vero. Noi non abbiamo nulla da temere per ora dalla Francia e tutto dall'Inghilterra. Aiutando quest'ultima e attaccando la Francia daremo esca al governo di Parigi di far varcare le Alpi a quell'esercito con cui più volte ci ha minacciato.

Carafa                      - Dunque questo che noi stiamo compiendo è un passo falso.

Caracciolo                - Peggio. Pericoloso.

Carafa                      - E perché lo facciamo?

Caracciolo .              - Perché ci è stato imposto. Siamo sol­dati, ragazzo mio, e un giuramento ci lega a Ferdi­nando IV, nostro sovrano

Carafa                      - Ma a Maria Carolina, a lady Hamilton ed a questo signor Nelson, per grazia di Dio non ci lega alcun giuramento;..

Caracciolo                - Vedo che sei un degno figlio di tuo padre, Carafa. Bravo. Fra non molto, credo, Napoli avrà bisogno di molti giovani del tuo stampo. Per ora pen­siamo a batterci con onore.

                                 - (Si picchia alla porta).

Caracciolo                - Avanti. Che c'è?

Un Ufficiale             - La costa francese è in vista. L'«Agamemnon » segnala che fra poche miglia saremo in linea col porto di Tolone.

Caracciolo                - Benissimo. Il naviglio che trasporta la truppa continui a seguire la rotta dell'« Agamemnon ». Informate il comandante di quella flottiglia che appena in vista della nave ammiraglia britannica si metta agli ordini dell'ammiraglio Hood. Saliamo a babordo.

                                 - (Rumore di passi. Lo sciabordìo della nave).

Caracciolo                - A me quel cannocchiale. La squadra in linea di battaglia!

Una Voce                 - (al megafono) La squadra in linea di battaglia!

                                 - (Ordini che s'incrociano. Lo sciabordìo della nave. Un colpo di cannone isolato, lontano. Un altro colpo).

Carafa                      - Sparano contro di noi. Sono le batterie di ponente, ammiraglio...

Caracciolo                - Perdio! (Altri colpi) Dunque la piaz­zaforte è espugnata?! Tolone è presa?! (Altro colpo) Quel diavolo di Buonaparte fa le cose alla svelta. A posto, ragazzi! Avvicinarsi senza sprecare un colpo. (Osservando al cannocchiale) Mi preoccupa piuttosto la sorte delle nostre truppe. Che dice l'« Agamemnon»?

                                 - (Altro colpo più vicino).

Carafa                      - L'« Agamemnon » segnala enorme difficoltà di sbarco. Tutta la costa appare presidiata.

Caracciolo                - Rispondete che ci prepariamo al tiro. Attendiamo che altrettanto faccia la squadra inglese per entrare in azione! Ai pezzi!

Una Voce                 - (al megafono) Ai pezzi!

Altra Voce               - (più lontana) Ai pezzi!

Caracciolo                - S'inizi il fuoco!

Una Voce                 - S'inizi il fuoco!

Altra Voce               - S'inizi il fuoco!

                                 - (Un intenso cannoneggiamento avrà coperto le ultime voci di comando. Suono di trombe lontano. Voci di co­mando diverso).

Caracciolo                - Bravo, perdio! Chi ha sparato questo colpo? . Una Voce     - Ohi ha sparato questo colpo?

Altra Voce               - Chi ha sparato questo colpo?

Una Voce                 - (al megafono) Il puntatore Gennaro Fasulo della «Minerva»...

Caracciolo                - Uno dei miei. Promosso capo canno­niere! Trasmettete!

Una Voce                 - (al megafono) Promosso capo canno­niere per ordine dell'ammiraglio!

                                 - (Il cannoneggiamento continua).

Caracciolo                - Questo tuo cannocchiale è un portento, ragazzo mio. Carafa, parlo con te.

Carapa                      - Ammiraglio, perdonate se mi permetto di dirvi che mi preoccupa la vostra presenza qui, fra questo fuoco d'inferno...

Caracciolo                - Ci stai tu? Ci posso stare anch'io. Quando mai il comandante abbandona i suoi ufficiali e i suoi marinai? (Osservando al cannocchiale) Vedi l'in­cendio provocato dal colpo del nostro Gennariello ?

                                 - (Colpo di cannone nemico che colpisce con fracasso la scaletta di bordo).

Carafa                      - Ve l'ho detto, ammiraglio? Ritiratevi sul ponte, ve ne prego. Per un pelo non siete stato colpito.

Caracciolo                - Tu scherzi, ragazzo mio. Avanti! Ri­prendete il fuoco con maggiore intensità! Spiegate le vele di gabbia e contro gabbia! Attenti ai pennoni del bompresso! Via, via, tutti aperti gli sportelli delle bombarde! Fuoco a continuazione! (Questi ordini ver­ranno ripetuti da varie voci, tra il frastuono del can­noneggiamento) Tolone dovrà ricordarsi dei cannoni di Caracciolo. Bravi i miei marinai! La torretta del forte centrale colpita in pieno! Bravi, ragazzi! Non abbiamo bisogno di batterie galleggianti, noi, come all'assedio di Gibilterra. (Altro colpo nemico che determina con fracasso la distruzione totale della scala esterna di ba­bordo) Addio scala... pensano di non farci più discen­dere. (Una risata).

Carafa                      - Ammiraglio!... Sangue sulla vostra fronte! Ve lo dissi...

Caracciolo                - (ancora ridendo) Accidenti che ferita! Ci vuol ben altro per mettere fuori combattimento un marinaio italiano! Forza, ragazzi! Munizioni ai pezzi!

                                 - (Intrecciarsi di comandi. Il cannoneggiamento con­tinua).

Carafa                      - (eccitatissimo) Ammiraglio! La «Victory» segnala di cessare il fuoco! Una imbarcazione si dirige a grandi remate verso di noi... L'« Agamemnon » gira il fianco, forse per riprendere la rotta nord nord-ovest... Che succede?

Caracciolo                - (con voce cupa) Succede che Tolone è persa, malgrado l'eroico comportamento dei marinai napoletani e... la boria dell'ammiraglio inglese...

                                 - (Ancora qualche colpo di cannone lontano).

Caracciolo                - (a malincuore) Cessate il fuoco!

Una Voce                 - Cessate il fuoco!

Altra Voce               - (più lontana) Cessate il fuoco!

Carafa                      - Il tenente Hughes, inviato di S. E. l'am­miraglio Hood, chiede dell'ammiraglio Caracciolo.

Caracciolo                - Venga. (I passi del tenente). Buongiorno, tenente. Voi siete forse figlio dell'ammiraglio Hughes ch'era comandante la «quadra delle Piccole Antille? Sì? Conosco. Dite dunque...

Hughes                     - S. E. l'ammiraglio Hood vi fa sapere che ogni tentativo di sbarco da parte delle truppe napole­tane e borboniche è stato vano. Tolone è purtroppo saldamente in mano francese. Il nemico ha concesso una tregua d'armi. S. E. vi trasmette a mio mezzo il più alto elogio per l'eroico comportamento della vostra squadra ed a nome del governo di S. M. Britannica vi ringrazia. Vi prega di attendere il calar del sole e di assistere coi prodi marinai della vostra squadra all'ammaina ban­diera della « Victory », per poi far rotta con la nave del contrammiraglio Nelson alla volta di Napoli.

Caracciolo                - Sta bene. Ringraziate S. E. e riferi­tegli che i suoi ordini saranno eseguiti. (Rumore di passi). Tutti gli equipaggi in coperta!

Una Voce                 - . Tutti gli equipaggi in coperta! (L'or­dine si ripete con voci lontane).

 (Rumori diversi di comandi, di voci, di fischietti di bordo, ecc.).

Carafa                      - Ammiraglio, tutti gli equipaggi sono al loro posto.

Caracciolo                - E il nostro?

Carafa                      - A poppa, in ordine di parata.

Caracciolo                - Andiamo.

                                 - (Rumore di passi. Tre segnali di tromba. Comandi dei diversi ufficiali ai loro plotoni).

Caracciolo                - A rapporto!

Un Capitano             - Quattrocentotrenta presenti. Diciotto feriti. Nessun mancante.

                                 - (Un suono lontano di tromba. Un istante di silenzio. Di lontano giungono solenni le note dell'inno inglese).

Caracciolo                - Ufficiali, sottufficiali, marinai: gridate Viva il Re!

Tutti                         - Viva il Re!

Caracciolo                - Viva il Re!

Tutti                         - Viva il Re!

Caracciolo                - Viva il Re!

Tutti                         - Viva il Re!

                                 - (Continuano lontane le note dell'inno inglese).

Caracciolo                - Carafa, che scherzi mi combini? La­grime sugli occhi di un ufficiale?

Carafa                      - Perdonate, ammiraglio: penso come toc­cherebbe il cuore dei nostri marinai se invece dell'inno inglese udissero quello del nostro Domenico Cimarosa...

Caracciolo                - Non dubitare, figlio mio. Verrà il giorno in cui lo canteremo liberamente e ci udrà tutto il nostro mare!

TERZO TEMPO

 (In una sala di un palazzo patrizio di Napoli. Fine dicembre del 1798. Brusìo di molte voci. Rumore di sedie. Il suono di un campanello da tavolo. Succederà un perfetto silenzio).

Pietro Colletta          - Do subito la parola al valoroso ammiraglio principe Caracciolo, come sempre vicino a noi nei momenti più difficili per la nostra Napoli. Egli ci esprimerà il suo prezioso pensiero sulla grave situa­zione che la Patria nostra attraversa.

                                 - (Applausi).

Caracciolo                - Ringrazio il caro amico Pietro Colletta, gloria napoletana e italiana, e tutti voi della fiducia che riponete in me. Il gruppo fitto e compatto dei Filomati, ligio al suo programma, continua a riunirsi in questa sala di vecchio palazzo patrizio che tutta Napoli co­nosce e che ha il suo portone aperto su una delle strade più frequentate della città. Il che vuol dire che i Filomati non hanno nulla da nascondere a chicchessia e perciò nulla da temere. Diritti dell'uomo, libertà, in­dipendenza, rivoluzione! Sono parole che fanno paura ai retrogradi regimi stranieri che governano purtroppo gran parte d'Italia, compreso il nostro. Regimi che non comprendono, o meglio, che non vogliono comprendere il progredire dei tempi e delle idee, l'emanciparsi degli spiriti liberi, l'evoluzione del pensiero moderno verso nuove forme di politica sociale, economica, religiosa...

Una Voce                 - Benissimo!

Tutti                         - Bravo! Bravo!

Caracciolo                - Mi riservo di rivelarvi in quale tra­gica situazione si trovi Napoli in questo momento. Oggi purtroppo è giorno di lutto per noi, che uno dei vostri più cari compagni di fede e di lavoro, il De Deo, è stato colpito nel suo affetto più sacro, quello di padre. Il suo figliuolo Emanuele, anima coraggiosa, promettente allievo della nostra università, colpevole di aver distri­buito tra il popolo, insieme a Vincenzo Galiani e a Vin­cenzo Vitaliani, alcune copie dei « Diritti dell'Uomo », proclamati dalla repubblica francese, colpito da un bar­baro giudizio di tribunale, è stato impiccato.

                                 - (Voci unanimi di orrore e di esecrazione).

Caracciolo                - L'orbato padre, qui presente, potrà suc­cintamente narrarvi a quale supplizio di dolori atroci sia stato sottoposto egli stesso nel tentativo di salvare il suo figlio diletto. A te la parola, mio povero De Deo...

                                 - (Mormorio di contristata attesa).

De Deo ------------ - Voi sapete a quali estremi di nauseanti bassezze scese in questi giorni la spietata banda di spioni, di poliziotti, di falsi giudici e di più falsi testimoni, al servizio di Maria Carolina e di lady Hamilton, mi­nacciando, incarcerando, seviziando fratelli nostri col­pevoli soltanto di amare la Patria. Maria Carolina cre­dette ad una congiura dei nostri Filomati. Fra i primi arrestati vi fu mio figlio al quale, come ai suoi com­pagni, si tentò di estorcere, con ogni mezzo, il nome dei presunti congiurati. Il mio Emanuele fu inflessibile e non parlò. Maria Carolina mi mandò a chiamare per assicurarmi che io potevo salvare mio figlio sol che avessi ottenuto da lui che rivelasse i nomi di tutti gli iscritti alla nostra Compagnia. «A me, a me soltanto - insisteva Maria Carolina - e non ad altri. Non è ch'io voglia sapere quei nomi per trarne vendetta. Ohibò! So che son gente di grande talento e dottrina e desidererei co­noscerli personalmente...». Io risposi, sia pure col cuore affranto: « Temo, Maestà, che mio figlio non asseconderà il vostro desiderio. In ogni modo vi prego, Maestà, ti scongiuro, fatemi vedere mio figlio ». Fui esaudito. Fui condotto al carcere dov'era rinchiuso e potei così strin­gere Emanuele fra le mie braccia. (Pausa) Gli dissi il dolore mio e di sua madre e il tentativo della Regina di estorcergli i nomi di tutti voi, compagni diletti, con l'illusoria promessa di salvargli la vita. Non ci fu bi­sogno che lo esortassi a tacere. (La voce gli si farà a tratti commossa) Mi disse: «Non avrei mai commessa una così abbietta azione, padre mio. Sono contento di morire per la mia Patria, come tanti altri. Sono fiero di questa mia sorte perché sento che il mio sacrificio non sarà vano. Addio, padre mio. Baciami la mamma e pregate entrambi Iddio per la mia povera anima ». (Pausa) Un'ora dopo, il mio Emanuele non era più. Mentre questo nostro colloquio si svolgeva in carcere, nel cortile il boia aveva già preparata la forca... (Un forte singhiozzo).

Una Voce                 - Orrore! Orrore!

Altra Voce               - Morte ai tiranni!

Altra Voce               - La misura è colma!

Altra Voce               - E intanto abbiamo i francesi alle porte!

Altra Voce               - Parli Caracciolo!

Tutti                         - Parli Caracciolo!

                                 - (Un istante di silenzio).

Caracciolo                - Voi siete a conoscenza dell'inconsulta decisione di mandare un nostro esercito in Lombardia, che pure si è battuto eroicamente contro i francesi, agli ordini, fra gli altri, del nostro valoroso generale Federici, qui presente (applausi). Sapete del non riu­scito tentativo di Nelson, di sbarcar truppe a Livorno. Sapete dell'armistizio, in fondo generoso, offerto dal Buonaparte e da noi accettato. Ma la frenesia guerresca riprende la nostra Regina. La lunga mano di lady Ha­milton, consigliata dal suo Nelson, è in piena attività. Le condizioni imposte da Napoleone e l'arrivo della flotta francese in Sicilia provocano la reazione. Nelson in luogo di lasciare Napoli, come le condizioni dell'ar­mistizio con Napoleone imponevano, vi si installa da padrone, istituendo, con buona pace dell'ambasciatore Hamilton, il suo dolce nido definitivo in casa della sua amante. Inghilterra, Austria, Russia, Turchia e il nostro Regno stringono alleanza per attaccare in qualsiasi modo la Francia. Nelson provoca la flotta francese del Medi­terraneo a battaglia e la vince ad Aboukir. Deliri di riconoscenza e di amore dei nostri Sovrani per Nelson, che la fa ancor più da padrone. Maria Carolina lo chiama addirittura il suo salvatore e benedice la tresca dell'ammiraglio con l'ambasciatrice. « England for ewer », è il suo grido. In tal modo si giunge alla nostra nuova dichiarazione di guerra alla Francia, con l'inca­rico di combatterla affidato al fedifrago generale Carlo Mack, uno straniero come sempre. Quello che n'è se­guito voi tutti sapete. La disfatta delle nostre truppe, lo scorno del nostro Re, costretto a ritirarsi da Roma ad Albano e poscia a Napoli, la vile diserzione del ge­nerale Mack, passato al nemico, il nemico, infine, sul territorio del nostro Regno.

Una Voce                 - Vergogna! Vergogna!

Altra Voce               - Morte allo straniero!

Tutti                         - Morte!

Caracciolo                - Ora abbiamo i francesi alle porte. Que­sta è la dura verità. Un esercito di veri, di autentici napoletani, agli ordini di ufficiali nostri valorosissimi, sta contendendogli il passo con un eroismo che forma l'ammirazione del nemico istesso. (Con voce più cupa) Mia ciò non toglie che domani saremo vinti. Troppo pochi siamo. E male armati e peggio nutriti e l'esercito fran­cese, comandato dal generale Championnet, è munitissimo e fortissimo. E in tanta tragicità imperversa più che mai la deleteria volontà di Nelson, della sua amante lady Hamilton, del visconte Acton, nuovo amante della Re­gina. E quello che è più mostruoso a dirsi, si sta pre­parando la fuga dei Sovrani da Napoli!

Una Voce                 - Vergogna! Vergogna!

Altra Voce               - Il disonore sulla nostra città, sulla nostra Patria!

Caracciolo                - Sì! Il disonore su noi e sui nostri figli se non ci ribelliamo a questo orrendo stato di cose.

Tutti                         - Ribellione! Ribellione!

Una Voce                 - Si vada a Palazzo Reale ad impedire la fuga del Re!

Tutti                         - A Palazzo Reale! A Palazzo Reale!

 (Grida ed invettive confuse. Uno squillo di campa­ nello).

Caracciolo                - Udite! Il generale Championnet ci fa sapere che s'inchina innanzi al valore del popolo napo­letano cui riconosce la virtù e l'onore e che non sa­rebbe alieno dal trattare con questo popolo una degna pace per salvarlo dalla rovina di un assedio e dall'i­gnominia di una intromissione inglese... (Grida ed in­vettive diverse e confuse) Io son d'avviso... (Ancora grida ed invettive) Io son d'avviso di rispondergli che il po­polo napoletano non vuole stranieri più, né dentro ne fuori della sua città, che intende difendersi fino all'ul­timo sangue e governarsi da sé.

Tutti                         - E' così! E' così! Viva Caracciolo! Morte allo straniero!

Caracciolo                - Se siete d'accordo andrò dal Ministro della guerra Airola ad esprimergli quale è la volontà popolare e d'accordo con lui chiederò udienza al Re.

Tutti                         - A Palazzo Reale! A Palazzo Reale!

                                 - (Grida, invettive, minacce confuse. Il rombo lontano del cannone. Il rumore di una carrozza. Un segnale, di tromba. Rumore di sportelli e quindi di passi. Al Pa­lazzo Reale di Napoli).

Acton                       - (pronuncia inglese) Principe... Ammiraglio...

Caracciolo                - Visconte Acton, ho fatto chiedere alle LL. MM. di essere ricevuto di grande urgenza. Volete avere la benevolenza di annunciarmi ?

Acton                       - Agli ordini vostri, principe. Compiacetevi di attendere un solo istante. Vi annuncio subito. Ma vi avverto che S. M. è seriamente indisposta. Sapete gli ultimi avvenimenti... poi vi informo che S. M. la Re­gina ha in udienza il contrammiraglio visconte Nel­son, e...

Caracciolo                - ... lady Hamilton...

Acton                       - Precisamente.

Caracciolo                - Tanto meglio. Attendo, visconte Acton. (Pausa).

Acton                       - Ammiraglio... principe... volete accomodarvi? (A gran voce) L'ammiraglio principe Francesco Carac­ciolo!

 Caracciolo               - Maestà! Ammiraglio! Milady!

Carolina                    - Ammiraglio, avete fatto molto bene a venire. V'avrei mandato a chiamare io stessa. Pare che i minuti siano diventati molto preziosi e il cannone, per quanto ancora lontano, romba tuttavia e ci...

Caracciolo                - ... deve indurre ad azioni degne del mo­mento. Scusate, Maestà, se ho osato interrompervi.

Carolina                    - La Corte si trasferisce a Palermo.

Caracciolo                - A Palermo?!

Carolina                    - Approntate subito la « Sannita », ammi­raglio, che so una delle vostre navi più celeri. Voi la co­manderete. Su di essa si imbarcheranno i miei servi e si caricheranno i miei bagagli. Sulla nave dell'ammiraglio Nelson ci imbarcheremo noi: il Re, la Regina, i Reali Principi, i loro seguiti, l'ambasciatore e l'ambasciatrice di S. M. Britannica.

Caracciolo                - Ma, Maestà... perdonate se oso mani­festarvi la mia dolorosa impressione... avete ben consi­derato il passo che vi proponete di compiere?...

Carolina                    - Abbiamo ben considerato ed abbiamo deciso. La nostra vita è in pericolo, ammiraglio! Ab­biamo un nemico alle porte ed un popolo infido.

Caracciolo                - Avete torto, Maestà, di dubitare del popolo napoletano. Esso vi è tuttora fedele. Non vi difenderebbe contro i francesi, come sta difendendovi...

Carolina                    - E' falso. Sta combattendo per difendere se stesso. Questo popolo che voi elogiate non più tardi di stamane ha vilmente trucidato uno dei miei più affe­zionati servitori, il Ferreri, un napoletano, mentre si recava a bordo della nave dell'ammiraglio Nelson per recargli una mia lettera...

Caracciolo                - Maestà, ma questa orribile commedia - ormai è risaputa da tutta Napoli - è stata inscenata da quell'esercito di spie e di venduti che, subdolo, agisce all'ombra della Reggia...

Carolina                    - Ammiraglio, vi proibisco di continuare su questo tono.

Caracciolo                - Maestà, come soldato sono agli ordini vostri, ma come uomo ho il dovere di dirvi quello che il mio cuore di italiano mi detta. Se la Corte lascia Napoli i napoletani avranno tutto il diritto di pensare e di dire che re Ferdinando e la regina Maria Carolina li hanno traditi!

Carolina                    - Del vostro parere non sono persone per lo meno esperte quanto voi. (A Nelson) Ammiraglio Nelson, dite il vostro.

Nelson                      - La Corte è in serio pericolo. Da un mo­mento all'altro i francesi possono entrare in Napoli, e far prigionieri voi, Maestà, S. M. il Re e LL. AA. i Reali Principi. E' assolutamente necessario che vi allon­taniate al più presto e che raggiungiate la località del Regno la più sicura...

Emma                       - Palermo! La bella, la incantevole Palermo che vi accoglierà trionfalmente!

Nelson                      - A tutelare gli interessi futuri del Regno delle Due Sicilie penserà l'Inghilterra.

Carolina                    - E' deciso. Stanotte salperemo per Pa­lermo.

Caracciolo                - - Voglia Iddio, Maestà, che questa fuga non vi sia fatale.

Acton                       - S. M. la Regina si ritira.

Caracciolo                - Maestà!

Nelson                      - Maestà!

Carolina                    - Tu, Emma, vieni con me.

                                 - (Una pausa).

Nelson                      - Ammiraglio Caracciolo. Voi potete rispon­dere della fedeltà del vostro equipaggio?

Caracciolo                - Che intendete dire, ammiraglio?

Nelson                      - Che so? (Un po' sarcastico) Qualcuno dei vostri uomini, potrebbe, condividendo il vostro punto di vista... ribellarsi a questa partenza... Certi bollori patriottici...

Caracciolo                - Infatti. Il sentimento della Patria e dell'onore è sempre stato una prerogativa dei marinai d'Italia. Pochi dunque mi seguiranno in questo incre­scioso dovere.

Nelson                      - E' perciò (con sarcasmo) che vi offro di mandarvi un centinaio di marinai inglesi...

Caracciolo                - Grazie, ammiraglio Nelson. Non ho comunque bisogno di marinai inglesi. La marina napo­letana farà da sé, come sempre.

QUARTO TEMPO

 (Febbraio 1799. A Palermo, presso e nelle prigioni).

La Voce di una sentinella      - Chi va là?

Caracciolo                - Taci. Ho un lasciapassare. Chiamami il sergente di guardia alle prigioni.

La Voce                   - Sergente capo-posto. Un borghese chiede di voi.

Il Sercenie                - Accidenti agli scocciatori! Vengo. (Ru­more di una chiave nella toppa di un portone) Chi sei? Che vuoi? Apri quel mantello. Caporale, fa luce con quella lanterna del diavolo. (Con sorpresa) Ufficiale della nostra marina?! Scusate...

Caracciolo                - Sono l'ammiraglio Caracciolo. Eccovi un lasciapassare del marchese Saint Clair, capitano della Guardia del Re. Conducetemi subito nella cella del principe di Belmonte.

Il Sergente                - Subito, eccellenza. E' proprio un caso che troviate ancora qui questo prigioniero. Con altri cinquantasei condannati politici doveva essere tra­sferito stanotte a Pantelleria.

Caracciolo                - E invece quando partiranno?

Il Sergente                - Domattina, eccellenza. Da questa parte, eccellenza. Ancora una scaletta e un corridoio e poi ci siamo (durante questo dialogo, rumore di passi fondi e di un grosso mazzo di chiavi). Eccoci. Ci siamo. (Ru­more delle chiavi, di alcuni catenacci e della porta che s'apre) Accomodatevi, eccellenza. Sarò a riprendervi fra una trentina di minuti. Eccellenza...

Belmonte                  - Tu, Caracciolo?! (Un commosso ab­braccio).

Caracciolo                - Io, caro Belmonte, per merito del mar­chese di Saint Clair che, per quanto vicino al Re, pare a noi favorevole. Abbiamo poco tempo e tu devi darmi alcune notizie se vuoi ch'io mi adoperi per te e per i tuoi coraggiosi compagni. Il tuo arresto è stato ina­spettato ed improvviso. Forse si sarebbe potuto ten­tare...

Belmonte                  - ...di commuovere Maria Carolina o lady Hamilton? Impossibile, mio caro: quelle son due belve assetate di sangue. So che mio fratello sta anche ri­schiando la pelle per salvarmi. E non riuscirà. Al Re è inutile parlare. Risponde che non s'occupa di politica, ma soltanto di caccia e di pesca... Domani saremo de­portati a Pantelleria.

Caracciolo                - Lo so. Nei nostri circoli si parla di un diario scoperto nei tuoi cassetti durante una perquisi­zione della polizia, diario che comprometterebbe te, ed indizierebbe molti altri. E' vero?

Belmonte                  - Vero, purtroppo. Materiale trafugato da quell'immondo serpe di Castrone. Lettere di amici sici­liani e napoletani carissimi: di Serra Cassano, di Montemiletto, di Stigliano, di D'Ajala, di Florio Manthonè, di Mario Pagano, di Conforti, della ardimentosa Fonseca, della buona e dolce Sanfelice. Tutta gente che, prima o dopo, farà la mia stessa fine...

Caracciolo                - Non è ancor detta l'ultima parola, Belmonte. Napoli è in pieno fervore di patriotismo. II dado è tratto. Championnet, per ordine del Buonaparte, ha firmato la pace. Napoli ha proclamato la Repubblica!

Belmonte                  - Ah! Iddio sia ringraziato! Potrò morire contento!

Caracciolo                - Non dirlo. Vi salveremo tutti, purché si giunga in tempo. Gabriele Manthonè, creato mi­nistro della guerra e della marina, mi ha fatto chia­mare per mettere in sesto la nostra flotta, trafugata dagli inglesi, o vilmente distrutta per ordine di Nelson. Partirò domani. Attaccheremo noi per i primi i pochi vascelli inglesi rimasti nel porto. Tutto mi fa sperare in un successo quale noi desideriamo.

Belmonte                  - Lo voglia Iddio! Ai Quattro Canti, Maria Carolina ha fatto bruciare dal boia, nei giorni scorsi, le due bandiere carpite ai patrioti napoletani, da quella buona lana di lady Hamilton. Verrà giorno in cui noi bruceremo tutti gli emblemi dei tiranni che tengono in catene l'Italia! (Rumore di chiavi e di cate­nacci) Ma bada... Il cardinale Ruffo è già stato ripetuta­mente ricevuto da Maria Carolina, è ormai anima sua. Egli si prepara ad attraversare le Calabrie per poi but­tarsi sul Napoletano. Ha con sé la peggiore canaglia racimolata dalle galere. E Acton sta riordinando le schiere dei Borbonici, mentre Nelson ha in animo di tentare uno sbarco in forze a Procida, ad Ischia ed a Castellammare...

Il Sergente                - Eccellenza, oso avvertirvi che sarebbe opportuno che usciste prima della ronda notturna. Mez­zanotte è suonata.

Caracciolo                - (in fretta) Riferirò tutto quanto mi hai detto a Manthonè. Conto di essere fra pochi giorni a Napoli. Grazie. Coraggio, caro Belmonte. Abbi fede in noi! (Un abbraccio).

Belmonte                  - Ne ho, dilettissimo amico. Saluta i cari della mia casa e i miei vecchi amici. Di' loro che la morte non mi fa paura. Addio, coraggio! Viva l'Italia!

Caracciolo                - Viva l'Italia!

 (Il giorno dopo, alla Casina Cinese, nel parco della Redi Favorita. Il festoso tintinnìo di una di quelle sonagliere di cui vanno adorni i cavalli dei rustici car­retti siciliani. Esso accompagna le strofe di un canto popolare modulato da un carrettiere: «E si fussi pesci lu mari passassi... - E si fussi acceddu - 'n tia venissi. -E vucca cu vucca - te vurria vasari - e visu cu visu parlari cu tia... ». (Col tintinnìo della sonagliera ogni tanto lo schioccar di una frusta e il grido caratteristico d'incitamento del carrettiere).

Il Portiere bella Casina Cinese - (chiamando a gran voce) Di'... tu...

Il Carrettiere             - (continuerà a cantare).

Il Portiere                 - Tu'. Carrettiere della malora!

Il Carrettiere             - (possibilmente in dialetto siciliano) Parli cu mia?

Il Portiere                 - Con te, con te, pezzo d'asino; vuoi finirla con la tua nenia e coi tuoi campanelli? Perché canti?

Il Carrettiere             - Perché mi piace di cantare. Oh, bella! (Qui cesserà il rumore dei campanelli).

Il Portiere                 - E sai che ora è?

Il Carrettiere             - Uh, quante cose vuoi sapere! So che a mezzogiorno devo essere a Partanna. Ecco tutto.

Il Portiere                 - Bene. E perché non rispetti le norme del bando?

Il Carrettiere             - Che ne so io di norme e di bando?

Il Portiere                 - Pezzo d'imbecille! Lungo la strada che costeggia la Real Favorita e soprattutto in questo tratto davanti alla Casina Cinese dove abitano le LL. MM. il Re e la Regina non si deve fare alcun rumore, pena la galera, fino alle undici perché fino alle undici il Re dorme. Capito? Non cantare dunque, se ti è cara la pelle. E leva quei maledetti campanelli al tuo ca­vallo.

Il Carrettiere             - E' un mulo, signor portiere. (Rumore, della sonagliera tolta dal collo del mulo.

Il Portiere                 - E bada di non fartelo dire un'altra volta, se passi di qua, altrimenti le tue ossa di cane finiscono al Lucciardone! Intesi.

Il Carrettiere             - La Santuzza benedetta mi salvi!

                                 - (I colpi di frusta che s'allontanano. La campana di una chiesa suona dodici tocchi).

Il Portiere                 - Misericordia! Don Ciccio, aprite i cancelli. S. E. l'ammiraglio Nelson ha, come il solito, dormito qui stanotte, presso la sua bella... Ed ora incominciano le sue udienze. Presto, Don Ciccio. Ecco qui una carrozza che arriva e si dirige alla villa...

                                 - (Il rumore di una carrozza che s'avvicina e s'allontana verso la villa).

Il Maggiordomo       - Eccellenza...

Caracciolo                - Annunciatemi all'ammiraglio Nelson. Sono l'ammiraglio Caracciolo. La mia udienza è fissata per mezzogiorno preciso. Sono in ritardo di cinque minuti...

Il Maggiordomo       - Appunto. Non so se S. E., dato il ritardo, potrà ricevervi...

Caracciolo                - Annunciatemi, vi ho detto. Non ho tempo da perdere.

Il Maggiordomo       - Eccellenza, lo farei volentieri, ma S. E. Nelson è piuttosto nervoso e mi ha dato ordini una volta per sempre di non...

Emma                       - Che c'è? Che c'è? Voi, ammiraglio Carac­ciolo? Che cosa succede?

Caracciolo                - Milady. Avevo udienza fissata per mez­zogiorno con l'ammiraglio Nelson e sono in ritardo di qualche minuto...

Emma                       - Poco male... (Posando) L'ammiraglio Carac­ciolo non è personaggio cui si dà appuntamento invano. (Con. gran tono al maggiordomo) Annunciate S. E. l'am­miraglio Caracciolo a S. E. l'ammiraglio Nelson duca di Bronte... (Posando ancora, a Caracciolo) Perché non so se sappiate che S. M» la graziosa Regina si è degnata di elargire al nostro grande valoroso amico il titolo di duca di Bronte con l'annesso feudo in provincia di Ca­tania...

Caracciolo                - (ironico) In compenso ai molti servigi resi a S. M. Britannica.

Emma                       - Sfrontato! (Dominandosi, al maggiordomo) Dite a S. E. il duca che lady Hamilton lo prega di ri­cevere...

Caracciolo                - ... il principe ammiraglio Caracciolo dei Duchi di Brienza. Giacché siamo in vena di titoli e i miei hanno qualche secolo di età... Grazie, milady.

Emma                       - Scusate se vi lascio. M'aspetta S. M. la Re­gina. Questa sera abbiamo gran ballo alla Casina, per l'inaugurazione del salone cinese. Non mancherete, voglio sperare...

Caracciolo                - Milady.

                                 - (Rumore di passi. Pausa).

Il Maggiordomo       - Volete accomodarvi, signor prin­cipe...

Nelson                      - Prego, ammiraglio. Scusate se vi ricevo in piedi. Ho molte cose da sbrigare. Come saprete, le no­tizie che ci giungono da Napoli non sono delle migliori, ed è necessario che tutti, voi dunque compreso, ammi­raglio, si agisca subito. A tal proposito v'informo che sarà opportuno, in assenza del Re ch'è a caccia al bosco della Ficuzza, che vi mettiate agli ordini di S. M. la Regina.

Caracciolo                - Son qui per questo. Per informare S. M. che io parto oggi stesso per Napoli.

Nelson                      - Voi partite? A quale scopo se non sono indiscreto ?

Caracciolo                - Scusate se non accondiscendo alla vostra curiosità. Di questa mia partenza non debbo dar ragione ad alcuno, ormai, e men che meno a voi, ammiraglio Nelson...

Nelson                      - Ah, così? Ma non mi spiego allora la vostra presenza qui...

Caracciolo                - Ammiraglio Nelson. Voi vi siete vantato di aver scritto in questi giorni a lord Saint Vincent, nuovo comandante della flotta inglese del Mediterraneo, che il popolo napoletano è un popolo di mandolinisti e di poltroni. Prima di partire volevo dirvi ben chiaro che a questo popolo appartengono, in numero assai maggiore di quanto crediate, uomini di salda volontà e di provato onore.

Nelson                      - Voi (ironico), ad esempio...

Caracciolo                - La vostra ironia non mi tocca. Avrò campo di dimostrarvi la giustezza delle mie parole se la fortuna vorrà che c'incontriamo in un'altra sede. Voi, ammiraglio Nelson, avete indotto la regina Maria Caro­lina ad ordinare la distruzione di gran parte della flotta napoletana, forse perché questa dava incomodo alla flotta inglese. Ebbene io vi annuncio che da oggi sono a disposizione del Ministro della Marina della Re­pubblica Partenopea e che da domani mi adoprerò a tutt'uomo perché le forze navali napoletane siano rico­struite. Come vedete vi ho accontentato. Ora sapete perché parto.

Nelson                      - L'avvenire deciderà, ammiraglio Carac­ciolo. Avete null'altro da dirmi?

Caracciolo                - Null’altro, ammiraglio Nelson.

                                 - (Il suono di un campanello).

Nelson                      - Annunciate il signore a S. M. la Regina.

Il Maggiordomo       - Subito, eccellenza. (Una pausa) Ac­comodatevi; Sua Maestà vi attende.

Caracciolo                - Maestà.

Carolina                    - Ammiraglio Caracciolo: so tutto, ho udito tutto.

Caracciolo                - Come mai, Maestà? Ah, capisco... Per­donate, Maestà, ma temo che... quella tenda, per quanto di ricchissimo broccato, abbia impedito che tutto il senso delle mie parole vi giunga...

Carolina                    - Vi ripeto che ho udito tutto. I vostri propositi testé manifestati all'ammiraglio Nelson, il più grande e fidato amico del mio Regno, sono semplice­mente infami. Voi state per tradire il vostro Re e per disonorare la vostra divisa di ammiraglio.

Caracciolo                - Sbagliate, Maestà. Ben altri hanno tra­dito fuggendo da Napoli nell'ora in cui la Patria era maggiormente in pericolo. Questa Patria ha ora bisogno dei suoi figli, di tutti i suoi figli, ed io non posso non rispondere al suo appello.

Carolina                    - Ma chi rappresenta la Patria per voi? Re Ferdinando o una accozzaglia di rivoluzionari senza legge che contro re Ferdinando congiura?

Caracciolo                - Per me la Patria è l'Italia. L'Italia ch'è purtroppo sotto il giogo di troppi stranieri e che un giorno gli italiani dovranno pur riscattare, Maestà, e far libera, una e indipendente.

Carolina                    - Questa famosa Repubblica Partenopea, dichiarata contro ogni legge di Dio e degli uomini, ap­profittando della nostra assenza, è il più mostruoso de­litto che si poteva compiere da quei quattro lazzaroni napoletani agli ordini del rinnegato Manthonè.

Caracciolo                - Ma perché la Corte è fuggita a Palermo, Maestà? Perché il Re e voi, Maestà, non siete rimasti a difendere i vostri diritti che proclamate sanciti da Dio? Era il solo modo forse per salvare il Regno ed il trono. Il popolo, nelle condizioni pietose in cui lo avete abbandonato, aveva tutto il diritto di proclamarsi padrone della terra dove è nato e vive.

Carolina                    - Questo popolo che voi cercate di difen­dere merita tutto il nostro disprezzo. Io soffocherò nel sangue questo suo ignobile tradimento.

Caracciolo                - Sbagliate, Maestà, se credete di sopire il sentimento dei napoletani con il carcere e la forca. Ucciderete degli uomini, ma non riuscirete ad uccidere l'idea. L'idea della Patria, insita nei nostri cuori, eterna come la Patria stessa. Troppi secoli di schiavitù, vi ri­peto, Maestà, ha sofferto il nostro Paese per non sentire il bisogno di reagire finalmente. Non ne udite la voce che si propaga dall'Alpi al mare di Sicilia e che do­mani sarà urlo irresistibile e possente?

Carolina                    - Siamo troppo sicuri di noi per temerlo. La flotta dell'ammiraglio di Saint Vincent domina il Me­diterraneo, Nelson è con noi, l'Inghilterra difenderà i nostri diritti a tutti i costi.

Caracciolo                - L'Inghilterra, Maestà, vi gioca e v'in­ganna, come sempre ha giocato ed ingannato tutto e tutti. Oggi occupa Messina come domani occuperà Malta. L'Inghilterra non fa i vostri, ma i propri interessi, Maestà, e se ancora la mia onesta e leale parola può avere una rispondenza nell'anima vostra, io vi consiglio, Maestà, di non fidarvi oltre di essa.

Carolina                    - Basta, ammiraglio. Troppe di queste pa­role avete avuto la temerarietà di pronunciare. Voi non partirete, ammiraglio Caracciolo. Questo è l'ordine di S. M. il re Ferdinando.

Caracciolo                - Maestà, sia pure con rammarico, debbo dichiararvi che nulla più mi trattiene a Palermo. Ho l'onore di rassegnare in mani vostre le dimissioni da comandante della Marina del Regno delle Due Sicilie.

Carolina                    - Voi non partirete, vi ripeto. Non usci­rete di qui. (Un suono di campanello. Al Maggiordomo) Chiamate immediatamente il marchese di Saint Clair.

Il Maggiordomo       - Subito, Maestà.

Saint Clair                - Maestà.

Carolina                    - L'ammiraglio principe Francesco Carac­ciolo è nostro desideratissimo ospite. Non dovrà uscire dalla villa senza il mio personale permesso. Mi capite? Compiacetevi di non abbandonarlo un istante. Signori, arrivederci.

Saint Clair                - Agli ordini vostri, Maestà.

                                 - (Una pausa).

Saint Clair                - (imponendo il silenzio a Caracciolo e a bassa voce in fretta) Avete potuto vedere Belmonte?

Caracciolo                - Sì, ieri sera.

Saint Clair                - Quando intendete partire?

Caracciolo                - Stanotte. L'equipaggio della « Sannita » leverà le ancore alle undici.

Saint Clair                - Bene. Durante il ballo di questa sera, voi scenderete per la scaletta di servizio nel parco. Protetto dalle ombre delle piante raggiungerete il can­cello laterale. Sulla strada vi farò trovare pronto un ca­vallo. Intesi?

Caracciolo                - Marchese Saint Clair, come dirvi la mia gratitudine ?

Saint Clair                - (imponendo silenzio ancora a Caracciolo e cambiando tono di voce) Ammiraglio, vi prego di accomodarvi. Avremo parecchie ore da trascorrere in­sieme.

                                 - (La sera stessa. Brusìo di voci diverse. Timbri di voci spiccatamente aristocratici: si udranno ben distinti gli attributi di « maestà », di « graziosa regina », di « mi-lady », di «principe », «duca», «marchese», «conte». A tratti il suono di un'orchestra d'archi, spinetta e flauti. Striscio di piedi, rumore di sciabole e di speroni, tinnìo di bicchieri, scoppiettìo di tappi di sciampagna. Evviva).

Carolina                    - Vi prego, Nelson, recatevi sulla terrazza e controllate anche le sentinelle siano state poste ai cancelli. (Più a bassa voce) Quell'odiato Caracciolo uscirà di qui domattina, sotto buona scorta.

Nelson                      - Sta bene, Maestà. (A lady Hamilton) Emma, amor mio, accompagnami.

                                 - (Rumore di passi. Il rumore della gente e dei suoni sempre più lontano, ma distinto).

Emma                       - Che magica notte! Che cielo divino! Ah, deliziosa Palermo! Baciami...

Nelson                      - Tesoro... (Una pausa).

Emma                       - Guarda. Le sentinelle sono al loro posto. Maria Carolina può star sicura...

Nelson                      - ... che Caracciolo fuggirà.

Emma                       - Che dici mai?

Nelson                      - Caracciolo « deve » fuggire. In questa sua fuga è la sua rovina e la fine. Lascia fare a me.

Una Voce                 - (nel parco) Chi va là?

Altra Voce               - Chi va là?

Nelson                      - (gridando verso il parco) Lasciate passare... Lasciate passare... Ordine del Re... E' un servo dell'am­miraglio Nelson che si reca a Palermo...

                                 - (Rumore di un, cancello che s'apre e si richiude. Il suono lontano di una gavotta).

QUINTO TEMPO

Ancora nel febbraio del 1799.

 (Sul balcone centrale del Palazzo della Municipalità di Napoli. Una grande dimostrazione di popolo transita sulla via tra grida di esultanza ed acclamazioni al Go­verno Provvisorio; s'udranno ben distinti gli evviva a Laubert, a Manthonè, a Pagano e gli urli di morte ai Borboni. Domina il suono delle musiche e delle campane della città).

Manthonè                 - Vedi vedi, Laubert, su Castel Sant'Elmo sventolano le due bandiere affratellate: la nostra e quella napoleonica!

Laubert                     - Dio faccia che Ghampionnet non sì ri­creda. Ho poca fiducia anche in questi francesi. Che ne pensi, Pagano?

Pagano                     - Penso che verrà il giorno in cui su Castel Sant'Elmo sventolerà il bel tricolore dei volontari emi­liani, il tricolore d'Italia! Questo unanime grido di popolo, questo vale, sì. Dimmi, Manthonè, chi è quello che cavalca alla testa?

Manthonè                 - Non lo conosci?! E' Michele Macchiavello, detto il «pazzo», il prode che durante tre giorni e tre notti guidò le centurie dei « lazzari » all'assalto, mettendo in scacco i francesi.

Michele il Pazzo       - (dal suo cavallo, sotto il balcone) Viva San Gennaro! Viva Napoli nostra! Viva la li­bertà! Parli Mario Pagano!

La Folla                    - (dalia strada) Viva la libertà! Parli Pa­gano! Parli Pagano!

Manthonè e Laubert   - (invitano Pagano a parlare al popolo).

Pagano                     - Popolo napoletano! Il turbine minaccioso di cui eri vicino a rimanere vittima è dissipato: una seréna calma domina nel tuo spirito. Il Re fuggiasco, ca­duto nei lacci della sua infedele consorte, ha sollecitato il momento avventuroso della tua felicità. I tuoi patrioti, affrontando impavidi la ferocia sua, determinati a renderti libero o morire, hanno meritato la stima di tutti. I patrioti, a dispetto della ferale persecuzione, della immensa folla dei delatori, delle orride prigioni, dei più barbari tormenti e degli stessi patiboli, battendo coraggiosi l'intrepida carriera, e risorgendo più vigorosi dopo le sconfitte, hanno riportato la gloria di far risol­vere a tuo favore la grande contesa. Che se Maria Caro­lina, dopo aver sacrificato migliaia dei tuoi cittadini, dopo aver spogliato le chiese e le case private di tutti gli argenti e gli arredi preziosi, dopo aver annientato il credito nazionale, vuotando le banche ed esaurendo il numerario, dopo essersi satollata di tutte le ricchezze della Nazione, rapendo financo i più preziosi monumenti dell'antichità, e, qual pubblico ladrone, tutto trafugando in Sicilia, dopo aver donato agli inglesi una parte dei legni della nostra Marina e fattane sommergere dalle acque o divorare dal fuoco i rimanenti, dopo aver sguarnito il litorale di tutte le sue fortificazioni per esporlo agli insulti dell'Inghilterra, potenza nemica dell'umanità, ti ha abbandonato ed ha preso da codarda la fuga; se anche dopo tanto tradimento ti ha fatto nuotare nel san­gue dei tuoi figli e ha cercato di seppellirti sotto la rovina della tua città; se ti ha procurato l'estremo dei mali la­sciandoti solo contro il nemico, a dispetto di così inu­mana condotta puoi aprire il cuore alla gioia nel vederti finalmente libero ed indipendente. Popolo napoletano! In alto i cuori e le bandiere! Il Governo fonderà le sue operazioni in base alla più scrupolosa giustizia. Fa voti, popolo napoletano, per la prosperità della Na­zione.

La Folla                    - Viva la libertà! Viva la Repubblica na­poletana! Morte a Carolina!

 (Il rumore delle grida, delle musiche, delle cam­pane s'allontanerà, s'affievolirà gradatamente. Nel salone centrale del Palazzo i componenti le varie commissioni del Governo della Repubblica discutono animatamente. Vocìo confuso).

Una Voce                 - Signori! Signori! Sta salendo le scale l'ammiraglio Caracciolo!

Molte Voci               - Viva Caracciolo!

Altre Voci                - Viva la Marina napoletana!

Altre Voci                - Viva la Repubblica Partenopea!

Manthonè                 - Vieni fra le mie braccia, Caracciolo!

Caracciolo                - Cari amici... Manthonè... e tu mio prode Federici... e tu Pagano... Ah, eccomi fra voi, finalmente!

Manthonè                 - Vedi qui intorno a te i membri della rappresentanza nazionale: Doria, Fasulo, Di Gennaro, Forges Davanzali, Albanesi, Laubert, Ciaja, Abbamonte, Cirillo, Praibelli... (Scambio di commossi saluti). Prego ora il nostro presidente Carlo Laubert di convocare d'urgenza l'alta Commissione militare

Laubert                     - Aderisco immediatamente. Invito i col­leghi Federici, Pagliacelli, Lupo, Manthonè e Carac­ciolo a seguirmi in questa sala laterale. (Rumore di passi, di sedie, incrociarsi di voci) A te la parola, Man­thonè, in qualità di ministro della guerra.

Manthonè                 - Caracciolo, valoroso amico nostro! Ab­biamo costituito in seno al Governo un'alta Commis­sione militare, da me presieduta, ed una Guardia nazio­nale con a capo il prode generale Federici. Tutti gli uomini migliori sono con noi. Te ne cito qualcuno: i Serra Cassano, i Carafa d'Andria, i Mauri Polvica, i Pignatelli Strongoli, i Marini Genzano, i Colonna Stigliano, i Montemayor... Alla difesa delle coste e del mare abbiamo chiamato te, Caracciolo. Il tuo glorioso passato di marinaio rassicura i nostri animi. Come tu sai, la nostra marina da guerra non esiste più. Com­plici Maria Carolina e la sua degna amica lady Ha­milton, Nelson, il suo drudo ufficiale, ci ha rubato i vascelli migliori, e il resto ha distrutto... Napoli è senza più una nave da guerra. E' tragico, ma è così. Per cui i nostri porti e le nostre coste sono in balìa della flotta inglese e della flotta francese, nemiche nostre entrambe, seppure nemiche fra loro, perché io non mi faccio so­verchie illusioni sul domani. Caracciolo, noi attendiamo ansiosi la tua franca parola. Cosa puoi dirci? Che pensi? Che cosa hai visto laggiù, a Palermo, tra quella lurida gente che forma la Corte di re Ferdinando? Ti senti in grado di aiutare la tua povera Patria?

                                 - (Una pausa).

Caracciolo                - Che cosa ho visto? Ho visto purtroppo il Re e tutta la Corte fuggire dinanzi al nemico che minacciava e quel ch'è peggio sono stato costretto ad aiutare materialmente questo ignobile tradimento. Ho visto quella fedifraga gente istallarsi a Palermo, altra terra nostra nobilissima, imponendosi con ogni specie di tiranniche angherie, vivendo con il denaro trafugato al nostro popolo ed a quello siciliano. Ho visto organiz­zare il più volgare e crudele esercito di spie, di denun­ciatori segreti, di falsi testimoni, di prezzolati tribunali e riempirsi le galere e colar sangue dalle forche. Tutto questo ho visto, fratelli, e vi è stato un giorno in cui ho pregato il cielo di mandarmi il dono della cecità per non veder più nulla (mormorio di ribrezzo). Poi ho pensato: no. L'Italia è pur bella anche se infelice: ha ancora il suo cielo, il suo sole, le sue ricche terre luminose, le sue preziose città, il suo mare, la sua eterna gloria! Va difesa l'Italia! A costo di tutto e di tutti! Finche giunga l'ora del suo trionfo. Fratelli! Ero ammiraglio del Regno delle Due Sicilie. Ora non lo sono più. Rabbrividisco al pensiero di aver servito questa putrida genia di traditori e di carnefici. Ora mi sento e sono soltanto soldato della mia Patria, della nostra Repubblica di cui mi dichiaro servo fedele ed umilissimo, disposto a versare per essa tutto il mio sangue. Eccomi a voi, fratelli; comandate ed io ob­bedirò.

Tutti                         - (applaudiranno fragorosamente).

Manthonè                 - Noi riorganizzeremo i nostri battaglioni. Ti senti, Caracciolo, di rimettere in sesto una flotta?

Caracciolo                - Tutto quanto è necessario farò. Bi­sogna agire subito. Il cardinale Ruffo, altra vergogna d'Italia, al soldo di Maria Carolina, sta salendo dalle Calabrie diretto contro di noi. Ha con sé la peggiore accozzaglia di mercenari borbonici e di briganti d'ogni specie. Le sue orde, comandate dal sanguinario Mam­mone e dal Righelli, sono entrate ad Altamura dove hanno fatto scempio in ogni casa, rubando, oltraggiando fan­ciulle e monache, massacrando vecchi e bambini, pro­fanando chiese e conventi. Bisogna agire, ripeto, senza un istante di ritardo.

Manthonè                 - Senti, Caracciolo, negli arsenali e nelle caserme ci sono ancora molti cannoni. Ti serviranno per armare le coste, secondo i tuoi piani e i tuoi ordini.

Caracciolo                - Bene. Fida in me. E sul mare? Su quale naviglio posso contare? Almeno nei primi giorni?

Manthonè                 - Abbiamo grosse imbarcazioni da pesca, ad una e due vele, qualche pinchio, qualche sciabecco e molte barche. Tu potrai tutte requisire ed armare.

Caracciolo --------- - Bene. Nelson è il nostro nemico giu­rato. E' lui che detiene il nostro mare in nome dell'o­diata Inghilterra! E' lui che bisogna abbattere per primo! Ho notizia che costui ha dato ordine di im­padronirsi di quanto naviglio i suoi ufficiali incontrano sulle loro rotte. Così una nave francese, ad esempio, che riconduceva in Patria qualche centinaio di operai colpiti da cecità durante certi lavori in Africa, è stata catturata, e gli operai ciechi sono stati tutti uccisi.  Nelson - l'ho saputo dal Belmonte, votato ormai alla morte con mille e mille altri - si prepara per uno sbarco a Castellammare. Probabilmente a quest'ora sta effettuando tale rotta. Ha con se un reggimento di fu­cilieri di marina inglesi e qualche centinaio di siciliani prezzolati. Vuol mettere fratelli contro fratelli. Addosso a lui, addosso a lui dobbiamo scagliarci!

Tutti ---------------- - Morte a Nelson!

Caracciolo                - Invito l'illustre nostro Mario Pagano a rivolgere un appello ai giovani perché accorrano subito ad arruolarsi.

Pacano                      - E' pronto. Uscirà domani nel « Monitore Napoletano », il coraggioso giornale della nostra eroina Eleonora Pimentel Fonseca.

Tutti                         - Si legga! Si legga!

Pagano                     - (leggerà) Siamo liberi, o giovani napole­tani, è vero. Godiamo della libertà. Ma le armi della Repubblica non devono riposare. Noi tutti tendiamo a non farvi perdere la libertà. A ciò tendono le nostre leggi e tutti i nostri sforzi. Sì, siete liberi, o giovani. Ma udite, voi che siete così ardenti della libertà e mo­strate nel vostro sguardo tanta fede, udite la mia parola, che è quella di un uomo incanutito più che per gli anni per i pensieri della Patria e per gli stenti della prigione. Correte alle armi e nelle armi siate ubbi­dienti. Tutte le virtù adornano la Repubblica, ma la virtù che più splende sta nei campi di battaglia. Le repubbliche dei primi popoli furono rozze, ignoranti, barbare, ma furono durevoli perché guerriere. Le re­pubbliche di civiltà corretta caddero presto, benché avessero in abbondanza buone leggi e buoni oratori. Questi badarono soltanto alle virtù, ma tollerarono che le armi cadessero. In voi soli, o giovani, sono le speranze della libertà. Il Governo provvisorio nel dirsi legit­timo e costituito intende da questo momento assolvere ai debiti suoi e voi, strenui giovani, correte da questo momento ad assolvere i vostri: date i vostri nomi alle bandiere!

Tutti                         - Alle armi! Alle armi! (Un canto patriottico che va via via smorzandosi).

                                 - (A bordo della nave ammiraglia inglese « Foudro-yant» comandata da Nelson, a specchio del porto dì Castellammare di Stabia. Rumore d'armi e d'armati. Il suono di una campana di bordo seguito da uno squillo di tromba).

Acton                       - (gridando da una scialuppa) L'ammiraglio Nelson è a bordo?

Una Voce                 - L'ammiraglio Nelson è sul ponte di comando.

Acton                       - Informatelo che il generale Acton, ai suoi ordini, sta per raggiungerlo.

La Voce                   - Lo informo subito. Salite da babordo.

 (Rumori di passi su per la scaletta e di varie voci, ordini, ecc.)

Nelson                      - Quale nuova, generale Acton?

Acton                       - Le ultime resistenze sono state vinte, am­miraglio. Le vostre batterie hanno fatto miracoli. Ca­stellammare è nelle mani dei nostri. Ora si stanno sni­dando i ribelli di casa in casa. Nessuno sfuggirà. Sta­notte il reggimento inglese raggiungerà Vietri, si spin­gerà a Cava dei Tirreni, Pagano e Nocera.

Nelson                      - Distruggere questa marmaglia dobbiamo. Che altro di nuovo?

Acton                       - Un messo ha recato una lettera del capitano Troubridge, da Ischia.

Nelson                      - Date qua. Ma prima lasciate che vi stringa la mano, generale Acton, e vi ringrazi. La vostra pre­senza fra i nostri ha giovato assai più che se non foste presso all'alleato cardinale Ruffo, di assai dubbia con­dotta... Vediamo un po' cosa scrive Troubridge. (Pausa) Bene, perdio! Ischia da tre giorni è occupata. Ne avrà mandati al creatore, quello lì! (Pausa) Troubridge è soldato che non fa complimenti. Ne avrà fatto rotolare delle teste! Ma soltanto così si domina questa genia. (Pausa: dà una risata) Ah, ah, ah! sentite questa, Acton, che è proprio graziosa. Troubridge mi allega una let­tera che ha ricevuto da un certo Giuseppe Mancuso, un suo scagnozzo matricolato. Udite, udite: « Signor Go­vernatore, come fedele suddito del mio re Ferdi­nando IV, che Iddio salvi, mi glorio presentarvi la testa di don Carlo Granozio di Giffoni, ch'era impie­gato dell'amministrazione diretta da Ferdinando Ruggi, quell'infame commissario repubblicano. Il detto Gra­nozio è stato da me ucciso in un luogo chiamato Li Pugi, distante da Ponte Cagnaro, allorché procurava fuggire. Prego la signoria vostra di accettare questa testa e di ritenerla una prova del mio attaccamento alla Corona ». Che ne dite, Acton: bella idea. E qui c'è una postilla del bravo capitano Troubridge che dice: «Vi mando questa lettera che mi è oggi arrivata con un bel dono. Peccato che non posso mandarvi anche il dono, data la temperatura troppo calda! ». E bravo Mancuso! Lo proporremo per una decorazione.

                                 - (Segnali di tromba).

Nelson                      - Scende la notte. Generale Acton, volete rimanere a bordo? Ho ospiti graditissimi anche lord e lady Hamilton...

Acton                       - Non vorrei essere dì troppo, ammiraglio...

Nelson                      - Via, non fate complimenti. Una buona ce-netta ed un bicchiere di vecchio Falerno non si ricu­sano in questi tempi.

Acton                       - E allora grazie ed accetto.

                                 - (Suoni insistenti della campana di bordo. Grida di esultanza di marinai).

Nelson                      - Che succede laggiù? (Al megafono) Te­nente di guardia: cosa significano queste grida e questi suoni di campana?

Una Voce                 - (al megafono) A nord, ammiraglio, guardate a nord! Castellammare brucia!

Nelson                      - Bene, Se Dio vuole crepano tutti questi napoletani della malora! Acton, andiamo a cena.

SESTO TEMPO

 (A Napoli, in una sala del Palazzo Reale, il 24 giu­gno 1199).

Cardinale Ruffo       - Eccellenze, signori, rappresen­tanti delle LL. MM. britannica, russa e turca! Appena due giorni fa, in qualità di alto vicario di S. M. Fer­dinando IV, re delle Due Sicilie, vi ho convocato a controfirmare la pace fra le mie armate ed il governo repubblicano. Ho qui il documento che porta oltre la mia firma quella del generale Massa per la Repubblica Napoletana, del comandante Fothe per l'Inghilterra, del comandante Méjan per la Francia, del comandante Achmed per la Turchia. Siamo stati tutti concordi nel riconoscere che un ulteriore versamento di sangue sa­rebbe stata un'inutile follìa. I patti erano che i castelli dell'Ovo, Nuovo e Sant'Elmo, con armi e munizioni mi sarebbero stati consegnati; che i repubblicani presi­diami il Castel dell'Ovo ed il Castello Nuovo sarebbero usciti con l'onore delle armi; che, rispettati e garantiti nelle loro persone ed in quelle delle loro famiglie, e nei loro beni, avrebbero potuto scegliere o di imbar­carsi per essere trasportati a Tolone o di rimanere nel Regno, sicuri di completa incolumità; che l'identico trattamento sarebbe stato fatto a tutti i prigionieri re­pubblicani fatti durante la presente guerra dalle truppe borboniche ed inglesi ed in genere a tutti coloro, che avendo combattuto sotto le bandiere repubblicane, si trovano ora chiusi nei porti, negli arsenali, nelle ca­serme o nelle proprie case. Questi patti erano stati, con il suggello di S. M. re Ferdinando, accettati da vincitori e da vinti. Ebbene, signori, l'ammiraglio Nelson mi fa recapitare in questo momento una lettera a firma -William Hamilton, che vi leggo integralmente: «Da bordo del « Foudroyant », nel golfo di Napoli 24 giu­gno 1799, ore cinque dopo mezzogiorno. - Eminenza, Milord Nelson mi prega di informare V. E. che egli ha ricevuto dal capitano Fothe, comandante della fre­gata « Sen House », una copia della capitolazione che V. E. ha creduto di fare con i comandanti dei castelli Sant'Elmo, Castel Nuovo e Castel dell'Ovo e che egli disapprova interamente questa capitolazione ed è riso­lutissimo a non restare neutrale con la forte flotta che ha l'onore di comandare. Egli ha inviato a V. E. i capi­tani Troubridge e Ball, comandanti dei vascelli di S. M. Britannica « Culloden » e « Alexandre». Essi conoscono pienamente i sentimenti di milord Nelson ed hanno l'incarico di spiegare a V. E. che egli ha il proposito di agire, in quello che farà, di concerto con V. E. nella giornata di domani. Il fine non può essere che comune e cioè ridurre il nemico a sottomettersi alla clemenza della Maestà Siciliana. Ho l'onore di essere di V. E. il più umile ed obbediente servo William Hamilton, in­viato straordinario e plenipotenziario di S. M. Britan­nica presso S. M. Siciliana ». Che ne dite, signori? A parer mio questo foglio costituisce una vera e propria violazione del diritto delle genti.

Una Voce                 - E' semplicemente enorme.

Altea Voce               - Tutto ciò è inaudito.

Cardinale Ruffo       - Signori, vi sentite voi di violare a poche ore di distanza quel trattato che in nome dei vostri Sovrani aveste l'onore di firmare? Io, in co­scienza, no.

Una Voce                 - Non si attenda domani. Si vada subito da Nelson.

Altra Voce               - Sì, si vada da Nelson.

Cardinale Ruffo       - E' quanto volevo proporvi. Si­gnori, i miei cavalli sono a vostra disposizione fino al molo di Santa Lucia. Andiamo.

 (Rumore di passi, di sciabole, poi di sportelli, dì carrozze, di cavalli, poi dello sciabordìo d'acqua sulla riva).

Cardinale Ruffo       - In questa scialuppa, signori, vi prego. Batte bandiera nostra.

                                 - (Rumore di remi. La scialuppa attracca alla nave di Nelson. Voci diverse. Suono di campana).

Cardinale Ruffo       - Voi ancora qui, comandante Fothe?

Fothe                        - Nelson è fuori di se. E' spalleggiato da lady Hamilton. Dice che questa pace è nulla, che voi non avevate i poteri per concluderla, ch'egli annullerà le clausole della convenzione. Salite, salite presto... Che non s'accorga alcuno di questo nostro incontro. Io debbo tornare a bordo del mio vascello e rimanervi agli ordini di Nelson. Eminenza, i miei omaggi.

                                 - (Uno squillo di tromba);

Cardinale Ruffo       - Tenente, sono il cardinale Ruffo, alto Vicario di S. M. il Re. Questi signori sono i co­mandanti delle navi russe e turche. Annunciateci, vi prego, all'ammiraglio Nelson.

Il Tenente                 - Vi prego, seguitemi. L'ammiraglio è nella sua cabina.

                                 - (Rumore di passi. Il tenente batte alla porta della cabina di Nelson).

Nelson                      - Avanti.

Il Tenente                 - S, E. il cardinale Ruffo e i coman­danti Baillie ed Achmed Bey...

Nelson                      - S'accomodino. Benvenuti, signori. Eminenza, non v'aspettavo così presto... Meglio così. Vi ascolto.

Baillie                       - Io sono il comandante Baillie, rappresen­tante di S. M. imperiale russa, e come tale, chiamato da S. E. il cardinale Ruffo, alto Vicario di S. M. il Re delle Due Sicilie, insieme agli altri rappresentanti delle LL. MM. i Sovrani d'Inghilterra e di Turchia, ho fir­mato il trattato di pace fra la Repubblica Napoletana, che ha deposto le armi, e re Ferdinando IV. Questo trattato è onorevole, interrompe una guerra civile e ga­rantisce a re Ferdinando IV la tranquillità futura. Il non rispettare questo trattato sarebbe un'infamia. A nome dei qui presenti vi domando, pertanto, di dare ad esso esecuzione immediata.

Nelson                      - Sarebbe un'infamia applicarlo, dico io. Re Ferdinando non può accettare imposizioni da chicchessia e men che meno da sudditi che gli sono stati ribelli fino a ieri. Perciò dichiaro la vostra convenzione uno straccio di carta qualunque. (Con posata ironia) Emi­nenza Ruffo, desidererei udire una vostra opinione in proposito...

Cardinale Ruffo       - Quanto abbiamo fatto, ammiraglio Nelson, rispondeva al vivo desiderio di tutti. Non mi so spiegare la vostra opposizione ad un'azione di uma­nità che assicura al Regno delle Due Sicilie quella tranquillità e quella pace di cui tanto aveva bisogno. Io francamente pensavo, e il buon Dio me ne perdoni l'immodestia, di aver bene coronato l'opera mia...

Nelson                      - Ma era necessario attendere la mia pre­senza, eminenza, prima di mettere piede a Napoli. Vi siete giunto in anticipo.

Cardinale Ruffo       - E voi, ammiraglio, vi siete giunto in ritardo.

Nelson                      - Noi avevamo la persona del Re da salva­guardare, eminenza.

Cardinale Ruffo       - E noi il Regno da salvare, am­miraglio.

Nelson                      - Alle corte. Io qui, e non voi e il capitano Fothe, rappresento contemporaneamente il Re delle Due Sicilie e l'Inghilterra di cui il mondo ben conosce la forza. Tanto la conosce che posso informarvi fin d'ora che la Francia, a mezzo del suo attuale rappresentante Méjan, comandante del Forte di Sant'Elmo, si è già messa a mia disposizione. Il vostro trattato è dunque nullo, eminenza, perché oltre a tutto viene a farvi difetto uno dei contraenti. In ogni modo sappiate che ho disposto perché contrariamente alle stupide clausole della vostra convenzione, ch'era a tutto favore dei traditori del re Ferdinando, siano arrestati e passati alle prigioni in attesa di giudizio tutti i capi e responsabili del movi­mento repubblicano.

Cardinale Ruffo       - Farete in tal modo migliaia e migliaia di vittime.

Nelson                      - Non cerco di mèglio. Non ne avete voi tante sulla coscienza, signor Cardinale?

Cardinale Ruffo       - E' vero purtroppo, e Iddio me lo perdoni! Iddio, cui dovremmo finalmente prostrarci, chiedendogli perdono del passato e quel tanto di cri­stiana ispirazione per l'avvenire onde rimediare a tante stragi e a tanti delitti.

Nelson                      - Io non chiedo nulla a nessuno perché non ho bisogno di nulla. Per concludere, signor Cardi­nale, prendete nota che da questo momento qui co­mando io. (Con sfacciato sarcasmo) So che qualche bello spirito napoletano vi ha chiamato (ira dialetto) « il chie­rico con la spada ». Ebbene, eminenza, cedete la spada ch'è tempo e tornate a fare il chierico. E voi, signori, tornate a comandare sulle vostre navi.

                                 - (Il suono di un campanello).

Il Tenente                 - Eccellenza, milord.

Nelson                      - Tenente, accompagnate i signori alla scia­luppa, poi tornate da me. Un momento... (Con voce posata, quasi melliflua) Eminentissimo cardinale Ruffo, vorreste essere tanto gentile di confidarmi dove s'è ri­fugiato il nostro caro ammiraglio Caracciolo dopo le (con ironia) sue strepitose vittorie navali... Mi preme­rebbe vederlo...

Cardinale Ruffo       - Eccellenza, non ne so proprio nulla... D'altronde... non mi compete...

Nelson                      - Eppure ci fu comune nemico, se non sbaglio...

Cardinale Ruffo       - Infatti, e valoroso anche, anzi eroico, come sempre... Ma a me non compete... (Ironico a sua volta) Torno a fare il chierico.

                                 - (Rumore di passi, indi lo sciabordìo della scialuppa, infine il rumore dei remi. La nocca che batte alla porta della cabina di Nelson).

Nelson                      - Avanti. Ed ora, tenente, pregate lady Ha­milton di venire da me e introducetemi quei due genti­luomini che son giunti poco fa e che vi avevo affidato.

                                 - (Una pausa).

Emma                       - Orazio! Finalmente! Hai fatto loro troppo onore. Soprattutto a quella specie di condottiero con lo zucchetto rosso in testa. Potevi arrestarlo e mandarlo sotto buona scorta al Santo Padre...

Nelson                      - (ridendo) L'idea non sarebbe stata mal­vagia. Già... ma tu dimentichi         - (ironico) che egli è alto Vicario di S. M. re Ferdinando? Ah, ah, ah! Ora di­ciamo due paroline a questi galantuomini. Eccoli che vengono. Avanti, avanti, amici miei.

Mammone e Righelli  - Eccellenza! Signor duca! (Con pronuncia spiccatamente napoletana).

Nelson                      - Tu dunque saresti... Mammolo... Mammone...

Mammone                - Signorsì, Mammone, il cosiddetto « bri­gante Mammone », e me ne vanto: vostro servo umi­lissimo.

Nelson                      - E tu... Righetti... Righelli...

Righelli                     - Righelli, precisamente, eccellenza: Gen­naro Righelli agli ordini vostri, figlio della balia del Re, fratello di latte di S. M. Ferdinando IV, nostro ama­tissimo sovrano, che Iddio salvi e protegga.

Nelson                      - Benissimo. Vi ringrazio di essere venuti alla mia chiamata. L'ambasciatore di S. M. Britannica, l'ambasciatrice, qui presente, ed io, abbiamo urgente bisogno di voi. Vi sappiamo fedeli ed obbedienti. Voi dunque agirete secondo ordini precisi che ora vi da­remo. Si tratta di difendere e salvaguardare gli interessi delle LL. MM. Ferdinando e Maria Carolina.

Richelli                     - Comandate, eccellenza, senza alcun ri­guardo. Noi siamo sudditi ossequienti alle leggi, servi umilissimi dei nostri beneamati Sovrani. Perciò, vedete, noi teniamo il ritratto di Ferdinando e di Maria Caro­lina insieme a quello di Maria Vergine benedetta e di San Gennaro nostro nello stesso scapolare. Comandate qualunque cosa, eccellentissimo signor duca ammiraglio, e noi eseguiremo.

Nelson                      - D'accordo dunque. Voi sapete il male che hanno procurato al popolo napoletano questi stolti in­tellettuali repubblicani tipo Massa, Pagano, Manthonè, Cirillo, D'Agnese e le offese con cui hanno vilipeso le sacre persone del Re e della Regina. Bisogna trarne vendetta e subito. Punirli tutti, nessuno escluso. Lady Hamilton ha qui una lista, compilata insieme con S. M. la Regina, delle persone che vanno afferrate ed uccise senza pietà, economizzando in tal modo le spese del giudizio. Voi dovrete dunque scoprirle e stanarle ovun­que esse siano. Intesi? Soprattutto mi interessa che mi «coviate l'ammiraglio Francesco Caracciolo. Quello, però, non bisogna toccarlo, non bisogna torcergli un capello. Trattarlo da principe qual è. Mi basta che me lo por­tiate qui. Coi dovuti modi, ripeto. Al resto penseremo noi. D'accordo?

Mammone e Righelli - Per San Gennaro nostro, d'accordissimo, eccellenza!

Nelson                      - Bene. A compenso di quanto farete avrete dalle LL. MM., sempre generose e pietose, denaro e titoli. Ed ora andate sicuri, giacche è bene Sappiate che a quest'ora i Castelli sono nelle mani dei miei valorosi fucilieri di marina. Sappiatelo e ditelo a tutti che ora non ci sono più né comandanti francesi, né ministri repubblicani, ne cardinali vicari, a Napoli, ma soltanto l'ammiraglio Orazio Nelson, duca di Bronte, che stritolerà chiunque si opponga ai suoi ordini. Andate, amici. Buon lavoro.

Mammone e Righelli - Eccellenza signor duca... Milady... (Il rumore dei loro passi).

Nelson                      - (ad Emma) Che te ne pare, Emma?

Emma                       - Perfetto. Di queste tue ore ne parlerà la storia e ne verrà, come sempre, grande onore alla nostra grande amata Inghilterra. Ora possiamo essere tranquilli. Maria Carolina scrive che dobbiamo trattare Napoli come se fosse una città ribelle dell'Irlanda. Puoi essere sicuro che le bande di Mammone e di Righelli la ridur­ranno un macello.

Nelson                      - Sì, ma Caracciolo?

Emma                       - Non passeranno molte ore e Caracciolo sarà nelle tue mani.

Nelson                      - Per cui, adorata mia, stanotte potremo amarci senza preoccupazioni. Cioè... una preoccupazione esiste sempre... (Con finta ansia) Nella cabina accanto a lady Hamilton veglia sugli importanti documenti da spedire a Londra con il corriere di domani lord Wil­liam Hamilton, ambasciatore di S. M. Britannica.

 Emma                      - (imitandolo nel finto ansioso sussiego) Non temete, ammiraglio: v'è chi ha pensato a dimenticare accanto a quei documenti quella famosa bottiglia di vecchio wisky, aperta stamane... L'ambasciatore dunque non veglierà, ma rapito nei fumi dell'acool, sognerà paradisi...

Nelson                      - A me, come sempre, basterà rubargliene uno di quei paradisi: Emma!

SETTIMO TEMPO

 (La notte del 28 giugno 1799, a Calvizzano, paesino a pochi chilometri da Napoli, in una modesta proprietà materna del Caracciolo. Si ha l’impressione della pace serale della campagna. Il frinire delle cicale e di qual­che grillo).

Natale                       - (vecchio fedele colono di casa Caracciolo, ha spiccata gorga napoletana e parlare ansioso) E allora, padrone mio, che cosa avvenne?

Caracciolo                - Non c'era nulla da fare, mio buon Na­tale. La mia scarsa flottiglia, i cui artiglieri avevano pur manovrato intrepidi, assestando colpi precisi sui va­scelli nemici, avendo oltre a tutto contrario il vento e la corrente marina, a fatica dovette riparare dietro Castel dell'Ovo.

Natale                       - Mannaggia! Oh, scusate, eccellenza. Ma pur eravate riuscito, padrone, l'aprile scorso a sopraf­fare quelle carogne! Qui tutti dicevano: vedrete, ve­drete il principino nostro li schiaccerà una volta per sempre queste canaglie e non avremo più ne Borboni, né inglesi...

Caracciolo                - Già; ma quella volta ci fu l'aiuto del prode generale Matera. Tre bandiere e lo stendardo del reggimento dei fucilieri della marina inglese ci portammo a casa, e diciassette cannoni, e cinquanta soldati bor­bonici e quattrocento inglesi! Bella giornata fu quella. Ora tutto è finito...

Natale                       - Che dite mai, padrone? Finito, come?

Caracciolo                - Napoli è perduta, Natale mio! Stretta fra i nemici di dentro e i nemici di fuori, Napoli si è arresa ancora una volta. Tradita dai francesi, minac­ciata dalle squadre navali inglesi, russe, turche, con un centinaio di vascelli davanti al suo porto, Napoli ha dovuto accettare la pace impostale da quello svergognato di Ruffo...

Natale                       - Gesumaria! Ed è un cardinale, s'intende! Gesumaria...

                                 - (Una pausa. Sempre il frinire delle cicale e dei grilli).

Caracciolo                - Scende la notte, Natale. Rincasiamo...

                                 - (I loro passi su per una scala di legno. Rumore di una porta che sì apre e si chiude).

Caracciolo                - Accendi quel petrolio, Natale, e chiudi le due finestre. (Pausa) Per cui devi prepararti, Natale mio, a vedermi qui ancora per poco tempo...

Natale                       - Che dite, padrone mio? Tornerà Ferdinando e voi tornerete ad essere il suo grande ammiraglio.

Caracciolo                - (con triste riso) Già. Tu vedi le cose a modo tuo. Tu credi, mio buon Natale, che un re si riprenda un ammiraglio che gli ha combattuto contro? Ma poi, ti sembrerebbe onorevole che il tuo padrone tornasse a servire un re che ha tradito la Patria?

Natale                       - Questo è vero, padrone, questo si è vero... questo non sarebbe degno di un par vostro... Ma non per ciò dovrete andarvene di qui... Pensate alla vostra povera figliola... Lei, ora, non è qui... ma pensate, se tornasse e sapesse che ve ne siete andato... e chissà dove!... Ma poi pensate alla povera mamma vostra, quanto dolore se sapesse che volete lasciare questa casa dove lei è nata... dove (commovendosi) è morta...

Caracciolo                - Su su, mio buon Natale. Non devi far così. L'anima della povera mamma mia vede di lassù e capisce tutto. E non è detto che se io dovrò andarmene in esilio, ci debba rimanere per tutta la vita.

Natale                       - Sì, ma io sono vecchio ormai, ed ho an­cora pochi anni di vita...

                                 - (Il rumore di un passo su per la scala esterna. Qual­cuno batte alla porta).

Natale                       - (sommesso) Zitto, per carità, padrone. Chi può essere? A quest'ora? E' quasi la mezzanotte...

Caracciolo                - (sommesso) Taci...

Natale                       - Padrone, vi scongiuro, ritiratevi...

                                 - (Si ribatte alla porta).

Caracciolo                - (ad alta voce) Chi è?

Una Voce esterna     - Amici, amici! Aprite presto, in nome di Dio!

Caracciolo                - Natale, dammi quella chiave!

Natale .                     - Ma padrone mio.»

Caracciolo                - Dammi quella chiave ti dico.

                                 - (Il rumore della chiave nella serratura. La porta che s'apre e si richiude).

Caracciolo                - Un sacerdote?! Chi siete?

Don Sacchinelli        - Sono l'abate Sacchinelli, segre­tario di sua eminenza il cardinale Ruffo.

Caracciolo                - Ah! E che vuoi da me?

Don Sacchinelli        - Mi manda di massima urgenza il Cardinale...

Caracciolo                - Che vuole da me quell'uomo?

Don Sacchinelli        - Con tutta umiltà il cardinale Ruffo, pentito di tutti i suoi falli, del gran male fatto a Napoli ed ai Napoletani, vi manda a dire di fuggire su­bito, senza un minuto di attesa. Da un istante all'altro due dei peggiori briganti di quelle che furono le sue bande verranno qui ad arrestarvi per ordine di Nelson.

Caracciolo                - Ma come è possibile tutto questo?! Non è stata firmata la pace? E che c'entra Nelson?!

Don Sacchinelli        - Il cardinale Ruffo è stato ricevuto da Nelson, a bordo del «Foudroyant» insieme ai firma­tari del trattato di pace. Nelson ha stracciato il trattato, ha fatto occupare i forti, Castel Nuovo e Castel dell'Ovo, ha comperato il francese Méjan, s'è impadronito di Castel Sant'Elmo. Più di duecento patrioti repubblicani sono stati arrestati; cinquanta, ahimè, sono già stati truci­dati. Mammone e Righelli hanno l'ordine di scovarvi e di portarvi da Nelson. Già sono in questi paraggi perché sanno che voi siete qui. Vi prego, vi scongiuro, in nome di sua eminenza il cardinale Ruffo, fuggite, ammiraglio, salvatevi!

Natale                       - Padrone, padrone mio, corro nella stalla e vi insello la mia vecchia storna, ch'è ancora svelta, e voi prendete la via fitta del bosco e vi buttate dalla parte del mare, là dove son le barche di Don Michele...

Caracciolo                - Taci tu. Monsignore, vi sono molto grato. A sua eminenza il cardinale Ruffo potrete dire che, se avesse ancora un briciolo di quell'amor del prossimo che Cristo insegnava, invece di pensare a me, che in fondo valgo tanto poco, avrebbe dovuto preoccuparsi della barbara sorte che sovrasta a migliaia e migliaia di patrioti napoletani per cui si son riaperte le galere e rialzate le forche di Ferdinando IV.

Don Sacchinelli        - E' così, eccellenza, è così: il car­dinale Ruffo s'è già messo in cammino; raggiungerà Salerno di dove spera di salpare con una sua tartana verso Palermo. Intende vedere a tutti i costi Maria Ca­rolina per farla desistere dai tanti truci delitti che fa compiere a Nelson e alla sua amante. Ma, intanto, voi, ammiraglio Caracciolo, fuggite fuggite. Quelle canaglie saranno presto qui.

Natale                       - (piangendo) Padrone, padrone, per la Santa Vergine del Carmine...

Caracciolo                - Mettetevi il cuore in pace, monsignore, e tu, mio buon Natale, non piangere. L'ammiraglio Caracciolo non fugge, non è mai fuggito in vita sua. L'ammiraglio Caracciolo sprezza il pericolo e come può, da buon soldato, lo sfida. Ma non fugge. Vedete, monsi­gnore, quel ritratto appeso al muro? E' il ritratto di mia madre (si udrà il singhiozzare represso di Natale), vissuta e morta da santa. Guardate. Io m'inginocchio innanzi a lei e giuro solennemente sulla sua memoria purissima che mai tradirò la mia Patria. Facciano di me quel che vogliono. Io resto, monsignore.

Don Sacchinelli        - Ma il vostro è un sacrificio inu­tile, eccellenza. Io sono pronto a cedervi il mio abito talare, qualora...

                                 - (Un vociare confuso fuori della casa).

Natale                       - Maria santa benedetta... Padrone... Monsi­gnore... Presto... Fuggite... Sono qui..

Caracciolo                - (coti voce tranquilla) E lasciali venire, Voi, monsignore, piuttosto, se non vi dispiace... Uscite per quell'altra porticina. Vi troverete sulla strada che conduce al bosco...

                                 - (Il vociare è vicino. Passi sulla scaletta esterna. Colpi di calci di fucile sulla porta).

Una Voce volgare    - Olà! Aprite!

Don Sacchinelli        - (sommesso) Iddio vi assista e vi salvi, eccellenza...

Natale                       - (c. s.) Io non mi «tacco da voi, padrone, sappiatelo.

La Voce volgare       - Volete o non volete aprire, sa­cramento ?

Caracciolo                - (risoluto) Natale, sta fermo. Non muo­verti. Apro io. (Pausa. Il rumore della porta) Ecco, si­gnori: entrate.

Righelli                     - Sei tu Francesco Caracciolo, ex ammi­raglio di S. M. il Re delle Due Sicilie?

Caracciolo                - Sono io. Hai detto bene: ex ammiraglio di S. M. il Re delle Due Sicilie.

Righelli                     - Bene. Sei in arresto. Ordine di S. E. l'am­miraglio Nelson.

Natale                       - (singhiozzando) Padrone...

Righelli                     - E finiscila, tu! Chi è costui? Mammone dagli una pizzicata.

Caracciolo                - Non toccatelo, veh, non toccatelo (quasi feroce) o vi prendo alla gola e vi strozzo quanto è vero Iddio!

Righelli                     - Beh, che ti salta? Hai un brutto tempe­ramento a quanto pare, caro il mio principe spodestato. (A Natale) Poche chiacchiere. Dacci piuttosto da bere, che tu ce l'hai il vino buono.

Caracciolo                - Natale, dà da bere a questi gentiluomini... (Rumore di bicchieri. I due sbirri tracannano uno dopo l'altro parecchi bicchieri).

Righelli                     - Dammi i tuoi polsi.

Caracciolo                - Eccoli. Fai quel che devi. Sei stato pa­gato per questo. (Il rumore delle manette).

Natale                       - (buttandogli ai piedi) Padrone mio, pa­drone caro...

Mammone                - Ma che padrone, ma che padrone! Sco­stati, carcassa...

Caracciolo                - Alzati, mio buon Natale... Coraggio, vecchio mio... Ti raccomando queste povere mura... e la stanzetta della mamma... e il suo geranio... Addio, Natale... anzi arrivederci, che lassù ci rivedremo tutti... (Il pianto di Natale. Il rumore dei passi giù per la scaletta esterna. Le cicale e i grilli).

Il 28 giugno 1799. A bordo della nave « Foudroyant ». Varii suoni di tromba lontani e meno. Qualcuno batte alla porta della cabina di Nelson).

Nelson                      - Avanti!

Un Ufficiale             - Certo Gennaro Righelli chiede di essere ammesso alla presenza dell'ammiraglio Nelson!

Nelson                      - Venga. (Rumore di passi e di una porta che si apre e si richiude) Avanti avanti!

Righelli                     - Ammiraglio, eccellenza, milord, siete ser­vito. Vi ho portato vivo e florido Francesco Caracciolo. L'ho consegnato ai vostri ufficiali.

Nelson                      - Qua la mano, «barone » Gennaro Righelli.

Righelli                     - Neh, che dite; ma voi scherzate; per chi mi prendete? Io sono Gennaro Righelli, figlio della balia del Re, questo sì, ma nient'altro

Nelson                      - E da questo momento « barone », per or­dine di S. M. re Ferdinando IV. E per ordine dell'ammi­raglio Orazio Nelson, da questo momento sei anche « generale di brigata ».

Righelli                     - Eccellenza, milord, signor duca, ammira­glio... Io barone?! Io generale?! Io mi prostro ai piedi vostri e di S. M. il Re... E Mammone, il bravo Mam­mone? Anche a lui qualche cosa, vero, eccellenza, mi­lord, signor du...

Nelson                      - Generale, anche lui. Diglielo.

Righelli                     - Ma, eccellenza, qui ci vorrebbe un Carac­ciolo al giorno...

Nelson                      - (ridendo) E bravo Righelli! (Suono di un campanello) Tenente: accompagnate il barone generale Righelli alla scialuppa. Esca la guardia e lo si onori con due squilli di tromba. Poi chiamate il comandante

Thurn                        - Che venga subito da me.

                                 - (Il rumore di passi. Una voce: «Presentate le armi! ». Due squilli di tromba).

Thurn                        - Ai vostri ordini, eccellenza.

Nelson                      - Comandante Thurn. Per le ore 14 sia riu­nito in coperta, su questa nave, un tribunale speciale composto di cinque ufficiali, voi presidente. Giudiche­rete l'ex ammiraglio Francesco Caracciolo, reo di tradi­mento e ribellione al suo legittimo Sovrano. Alle 15 mi porterete la sentenza di morte, s'intende. Andate, avete pochi minuti per incominciare il vostro lavoro.

                                 - (Passi. Scambio di voci. Comandi. Suoni di campana. Passi. Movimento di sedie).

Thurn                        - (secco) Quei quattro marinai armati tradu­cano qui l'imputato! (Passi. Rumori di fucili).

 Thurn                       - (c. s.) Lo si faccia sedere su quella panca! (Uno squillo di tromba).

Thurn                        - Francesco Caracciolo: alzatevi. L'ammiraglio Nelson ci ordina di giudicarvi per ribellione alla per­sona di S. M. il re Ferdinando IV e per diserzione. Avete qualcosa da dire in vostra difesa?

Caracciolo                - L'accusa formulata contro di me dall'ammiraglio straniero Orazio Nelson è falsa. Non sono io che ho disertato la persona del Re, ma è il Re che ha disertato il suo posto di sovrano e di comandante su­premo dell'esercito napoletano. Voi sapete che alla nostra frontiera era un, esercito pronto a scagliarsi contro il nemico che intendeva attaccare la nostra città. Voi sa­pete che le necessità prime per un esercito sono l'arma­mento, le munizioni e i viveri e che per ottenere tutto ciò ci vuol del denaro. Ebbene, il Re, e per essere più sinceri, la sua real consorte Maria Carolina, e se meglio credete, entrambi d'accordo, col pretesto di sopperire a queste spese per l'esercito, vuotarono le casse dello Stato, svaligiarono il Banco di Napoli, trafugarono da musei e da gallerie tesori d'arte, ammucchiarono cin­quanta barili d'oro, imbarcarono il tutto su un vascello della flotta inglese comandata dallo straniero Nelson, per essere precisi sul « Vanguard », e fuggirono a Pa­lermo. Signori giudici: chi sono i traditori? Noi, patrioti napoletani che non abbiamo abbandonato il nostro Paese o loro che vilmente lo disertano? A chi adde­bitarne la colpa se l'esercito dei nostri prodi rimase sopraffatto e il nemico francese entrò in Napoli? Che dovevo fare io, soldato? Abbandonare, dimenticare la mia Patria per restare a guardia dei Sovrani traditori? Ditelo voi, signori giudici: che cosa avreste fatto se vi foste trovati nelle mie condizioni? Avreste difeso la Patria o il Re? Ma perché mi fate parlare? Perché avete inscenata questa bieca commedia? Lo so. Ne siete stati comandati. Lo so. La mia sorte è segnata. Il difen­dermi dunque è vano. Lo straniero Nelson avrà la mia testa come tante altre. Ebbene, ditegli che Francesco Caracciolo, come non l'ha mai temuta, così non la teme oggi la morte, soprattutto se il suo sangue sarà semente per la futura libertà e per l'indipendenza della sua Patria adorata. A giudicare questo obbrobrioso gesto dell'inglese Nelson penserà la storia. Signori giudici, non ho altro da dire.

Thurn                        - Il Tribunale si ritira.

                                 - (Incrociarsi dì voci. Rumor di sedie, di passi. Pausa. Un suono di campanello).

Thurn                        - Il Tribunale militare speciale, ordinato da S. E. l'ammiraglio Orazio Nelson, comandante la flotta inglese, ha emesso la seguente sentenza: Francesco Ca­racciolo, ritenuto colpevole dei reati di cui all'accusa dell'ammiraglio Nelson è condannato alla pena del carcere a vita. Francesco Caracciolo, avete nulla da ag­giungere?

Caracciolo                - Nulla.

Thurn                        - Sergente, riconducete il condannato alla prigione di bordo. (Passi, rumor di panche, di fucili, ecc.).

 (Un orologio suona le quindici tre tocchi). Si batte alla porta della cabina di Nelson).

Nelson                      - Avanti. Ebbene, comandante Thurn?

Thurn                        - Ecco la sentenza.

 Nelson                     - (dopo aver letto) Ma cosa è questa? Comandante Thurn, mi pare di essermi spiegato ben chiaro: vi dissi che doveva essere condanna di morte. Intingete quella penna. Scancellate le parole « del carcere a vita » e sostituitele con quest'altre « di morte mediante impiccagione ».

Thurn                        - Eccellenza, non so se gli altri giudici... In coscienza...

Nelson                      - Che coscienza, che coscienza! Qui comando io e nessun altro. Comandante Thurn, recatevi sulla nave napoletana « Minerva », quella da noi catturata a suo tempo, e che fu un giorno comandata dal Caracciolo: ivi farete preparare il capestro sull'albero maestro. (Pausa) Lo spettacolo sarà veramente superbo! Se il condannato chiedesse di essere fucilato, ditegli che Nelson non glielo concede. Che i marinai napoletani, i suoi marinai, assistano all'impiccagione, ma fate che dietro a loro vigilino almeno cin­quanta marmai inglesi coi fucili carichi. Al minimo segno di protesta fate sparare. In pochi minuti tutto deve essere compiuto. Alle 17 in punto la salma sarà gettata in mare. Siamo intesi? Io, lord Hamilton e lady Hamilton, assisteremo a questa bella scena da questo ponte di comando. Comandante Thurn, siete in libertà. (Il rumore dei tacchi di Thurn nel saluto militare).

 (A bordo della nave « Minerva». Rumore di passi rigidamente militari, sincronizzati. Voci secche di comando. Uno squillo di tromba).

Thurn                        - Francesco Caracciolo! L'ordine dell'ammiraglio Nelson è che la vostra pena sia di morte.

                                 - (Mormorio di sdegno dei marinai napoletani).

Una Voce                 - E' una barbarie!

Altra Voce               - E' un'infamia!

Altra Voce               - Caracciolo è stato il nostro più puro eroe!

Molte Voci               - Salviamolo!

Thurn                        - (a voce altissima, secca) Basta! Fate silenzio, o faccio sparare!

Caracciolo                - Non preoccupatevi della mia sorte, fratelli miei! Conosco il vostro grande cuore. So che vi fa pena di vedermi morire. Ma io non ho paura, lo sapete.

Thurn                        - Francesco Caracciolo: avete nulla da chiedere?

Caracciolo                - Sì. Chiedo, data la mia qualità di soldato, di uomo d'onore, di essere fucilato.

Thurn                        - Non posso accontentarvi. L'ammiraglio lord Nelson vi nega questo privilegio. L'ordine che egli ha dato è che il vostro corpo venga appeso all'albero maestro della vostra nave e la vostra salma gettata in mare.

                                 - (Mormorio di sdegno, di indignazione e di raccapriccio).

Thurn                        - Silenzio!

Caracciolo                - (con commozione subito repressa) La mia nave...

Voci di Marinai        - Sì, la vostra nave! La mostra nave! Sarà ancora nostra, Caracciolo! .

Thurn                        - Silenzio, perdio, ho detto! (Pausa) Due di voi! via, applicategli il capestro!

Un Marinaio             - (sommesso molto) Possiamo fare qualche cosa per voi? Comandante, ammiraglio...

Caracciolo                - (c. s.) Salutate tutti gli amici... Dite loro che abbiano fede... Verranno i nostri giorni... E... se potete... (con voce leggermente commossa) portate un fiore... sulla tomba della mamma mia...

Il Marinaio               - (piangendo) Dateci le vostre mani, ammiraglie... in questo bacio è il bacio della nostra povera Napoli... In queste lagrime è il pianto di tutti noi...

Thurn                        - Fate presto, voi!

Caracciolo                - (con voce ferma, alta, che tutti l'odano) Andate ai vostri posti, miei marinai, basto io solo. Lasciate che quel vile inglese veda come sa morire il vostro comandante. Addio, gran mare di Napoli! Mare nostro! Viva l'Italia!

 (Un orologio suona le diciassette cinque tocchi). Un tonfo nell'acqua).

FINE