Fratelli d’Italia?

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Epoca : post unità d’Italia

Fratelli         

d’Italia?

 

                      Di

     Domenico Platania

           

                                   

                                             

 

                                                 Dicembre  2007

PREMESSA

La commedia, ambientata in Sicilia, focalizza la situazione sociale e politica sul finire del 1800. Nell’isola permane un senso di sfiducia e di insoddisfazione dovuto alla mancata realizzazione delle aspettative che l’Unità d’Italia aveva fatto intravedere. Le nuove disposizioni dei Governi che si succedono, anziché portare il benessere tanto sperato o attuare riforme, continuano a restare sordi ai bisogni elementari della popolazione più povera.

Anni pieni di fermento, dovuti principalmente alla nascita dei primi movimenti popolari organizzati, i “Fasci dei Lavoratori, creati dai socialisti, ed i “Centri di assistenza sociale” di Don Luigi Sturzo, che si ispirano alla enciclica Rerum Novarum. Formazioni, queste, che rappresentano in assoluto, i primi tentativi di mutuo soccorso e di lotta.

Una Sicilia, angariata dalla grave piaga della mafia, radicata su buona parte della Sicilia, martoriata da una situazione di miseria e desolazione, abbandonata e repressa dallo Stato, vessata da tasse inique che si ripercuotono specialmente sulle classi meno abbienti. Qualcuno, addirittura, rimpiange il Governo Borbonico.

Ed in questo contesto, la commedia, fra il serio ed il faceto, insegue l’obiettivo di fare conoscere ai siciliani un tratto di quella storia che li riguarda e che i libri scolastici, nell’affannosa apologia risorgimentale, non raccontano o travisano. Ma mira pure a fare riflettere sulla inconfutabile verità che, nei riguardi dell’Isola, è cambiata poco o niente, fino ai nostri giorni, la scarsa disponibilità dei vari governi succedutisi nel tempo.

E’ ancora attuale, allora, quanto sostenuto da Don Angelo nella commedia, che, cioè, “Ppi nuatri siciliani, ‘u veru Risurgimentu ancora ha veniri”?

Domenico Platania    

 

sherpa9@tele2.it

DESCRIZIONE DEI PERSONAGGI

MARTINO - Persona di fiducia del “Circolo dei Patrioti”. Carattere aperto, mantiene rapporti cordiali e spontanei con tutti.

FELICE – Trasforma in potere la sua posizione di Funzionario della Prefettura Regia, sfruttandola per scopi reconditi. Ossequioso e deferente verso Perciapalle, esegue con diligenza i suoi ordini.

PERCIAPALLE – Sindaco della città e capo riconosciuto di un’organizzazione che persegue scopi illeciti. È attaccato al potere e non tollera chi cerca di contrastare i suoi progetti.

FRANCESCA CALANNA –  Ragazza educata rigidamente dalla famiglia, affettuosa con tutti, talvolta ingenua.

NZINA – Tipica domestica devota ma petulante.

PAOLO – Carattere tenace, evidenzia coerenza verso gli ideali che persegue. Ha a cuore le sorti della Sicilia e puntualmente e con lucidità ne denuncia la grave situazione.

DON ANGELO – Sacerdote che rispecchia e incarna le idee sociali che percorrono la Chiesa in quel periodo storico. 

TOTO’ SALAFIA – Possidente, esprime il tipico borghese arricchito attraverso speculazioni e amicizie politiche. Appoggia apertamente chi detiene il potere.

GREGORIO CALANNA – Notabile, pur essendo un uomo all’antica, riesce a cogliere le novità sociali che animano la Sicilia.

PIPITTA SALAFIA – Anche lei come il marito, non brilla per apertura mentale. Le sue umili origini e la condizione di neoricca sono palpabili ed evidenti nel linguaggio usato correntemente.

MINNELLA SALAFIA – E’ la copia della madre e pende dalle sue labbra.

COCIMA CALANNA – Vivace ed esuberante il comportamento, puntigliosa e tenace nei rapporti con gli altri.

BARONESSA PERCIAPALLE – Anche se di origine nobile si è adeguata ai maneggi del marito accettando e assecondando il suo comportamento.

                 

Personaggi in ordine di entrata: 

- Martino, cameriere del “Circolo dei Patrioti”

- Felice, Funzionario di Prefettura   

- Giovanni Perciapalle, Sindaco

- Francesca, figlia di Calanna 

- Nzina, cameriera di casa Calanna  

- Paolo, sposo di Francesca

- Don Angelo, sacerdote  

- Totò Salafia, possidente 

- Gregorio Calanna, notabile   

- Pipitta, moglie di Salafia

- Minnella, figlia di Salafia 

- Cocima, moglie di Calanna   

- Baronessa Perciapalle

- Prefetto del Governo (voce fuori scena)

     

- Altra voce fuori scena                                            

                                            

                   

                                    

   

                       FRATELLI D’ITALIA ?

                                           ATTO PRIMO

La scena rappresenta l’interno del “Circolo dei Patrioti”, in una città qualsiasi della Sicilia. Al centro, in fondo, sopra la porta d’ingresso a vetri, campeggia la scritta con la denominazione del circolo. A destra ed a sinistra, due porte che conducono negli altri locali. Sopra i tavoli, sparsi nella stanza, si trovano giornali, bicchieri, carte da gioco, una scacchiera e l’occorrente per scrivere. Mobili e quadri completano l’arredamento.                                                                     

                                              SCENA PRIMA  

VOCE FUORI SCENA - 4 Gennaio 1894. Il Capo del Governo Francesco Crispi, con il consenso di Umberto I di Savoia, proclama lo stato d’assedio in Sicilia e soffoca con brutale violenza i disordini popolari provocati dall’aumento delle tasse e del prezzo del pane. Vengono chiusi i Fasci Siciliani e colpiti anche i Centri Cattolici di Assistenza Sociale, organizzazioni nate per difendere i diritti dei lavoratori.

La situazione nell’Isola, dopo oltre trenta anni dall’Unità d’Italia, è molto grave. I  governi che si sono succeduti, anziché portare il benessere promesso o attuare riforme, sono rimasti sordi ai bisogni elementari della popolazione più povera, che continua a vivere una situazione di fame e di disperazione.

MARTINO – (si aggira per la stanza mettendo in ordine) Auh! ‘A cunfusioni ca làssunu ogni sira è mprissiunanti! Non ci n’è  unu ca si degna di pusari ‘i cosi o so postu: seggi, giurnali, carti e biccheri saliati unni e jè. Ma ‘a cosa ca non sumportu sunu ‘i culazzi d’’i sicarri,’i trovu na tutti l’agnuni. Di quantu pusacinniri avemu intra stu Circulu ‘i putissumu macari vinniri, ma oddìu su c’è ‘n-sociu ca ni fa usu! Ppi non parrari appoi d’’u tabaccu d’’u Cavaleri Burgio sbrizziatu pedi pedi. Salaratu, lu gran fituni ca fa! Si dici ca fuma ‘a pipa p’ammucciari ‘a puzza ca fa iddu d’’u so. E sarà macari veru, pirchì ‘u tenunu luntanu comu su avissi ‘a rugna. (bussano alla porta a vetri) ‘N-muminteddu ca vegnu. (va ad aprire)

                                            SCENA SECONDA

MARTINO– (entra dal fondo) Oh, don Filici, cu c’’u porta di capu matina o Circulu?

FELICE–Aveva ‘n-appuntamentu c’’u Sinnucu, l’avv. Perciapalli.

MARTINO – Non s’ha vistu nuddu …

FELICE – E va beni, voli diri ca mentri aspettu ci dugnu ‘n’ucchiata o giurnali.

MARTINO –Ancora chiddu novu non l’hanu purtatu. 

FELICE – Non fa nenti, (siede) tantu ‘i giurnali, gira furria e vota, portunu sempri ‘i stissi nutizii, non cangiunu. ‘I nfurmazioni cchiù mpurtanti, caru Martinu, sunu chiddi ca damu e ricivemu di l’amici.

MARTINO –E chissu è macari veru!

FELICE – Ammuccamu! Cosi di lussu nta stu Circulu! Ora ca ponu trasiri  macari ‘i fimmini, vi stati jinchennu l’occhi.

MARTINO – Comu no, semu tutti allianati!

FELICE – Pirchì, non è veru?

MARTINO – Ca certo, abbiamo migliorato! Prima si faceva sulu tagghiu, ora si fa tagghiu, cucitu e macari raccamu!

FELICE– Però, chi nicchi nacchi ‘i fimmini intra ‘n-Circulu ntitulatu a ‘i Patrioti.

MARTINO – A ddi tempi ‘u chiamànu accussi pirchì era di moda.

FELICE - Ma unni ‘i vistunu ‘i patrioti cca intra s’’a vidunu iddi! Boh?

MARTINO - Pirchì, quannu si chiamava “Circolo dei Nobili”, ppi casu ‘u friquintava qualchi nobili?

FELICE – Chissu è macari veru!

MARTINO - (bussano alla porta e va ad aprire) Cca c’è ‘u Sinnucu.

                                           SCENA TERZA

MARTINO- Bongiornu Sinnucu, don Filici ‘u sta aspittannu.(continua le pulizie)  

PERCIAPALLE – Bongiornu. (siede vicino a Felice) ‘I surdati m’hanu firmatu non sacciu quantu voti….

FELICE – A mia,‘u sapi chi mi successi.....?

PERCIAPALLE – Poi m’’u cunti. Chiuttostu dimmi comu finiu…

FELICE – (guarda in giro circospetto) Allura, ‘u novu Prifettu arriva oggi!

PERCIAPALLE – Chissu ‘u sanu tutti. Ma chi tipu è? Unni ha fattu sirviziu, comu s’ha cumpurtatu?

FELICE – E’ ‘a prima prima vota ca fa ‘u Prifettu, perciò...

PERCIAPALLE – (deluso) Ma allura, chi nutizii avemu?  

FELICE – ‘A cosa certa è ca è calabrisi.                              

PERCIAPALLE –  Oh, finalmente! Almenu cu chistu ni sapemu sentiri. L’ultimi c’amu avutu parravunu sulu cuntinintali e ppi capilli... Menu mali ca tu, comu capu di (modifica il tono) Gabinettu d’’a Prifittura, riniscevi a smurfiari chiddu ca dicevunu, annunca...

FELICE – (con falsa modestia)...Fissarii! Allura, turnannu o Prifettu, vinni a sapiri ca è ‘n-tipu ca parra parra ma non cunchiudi e, poi, ca è... comu si po diri ...eccu...cumprinsivu: basta fricarici ‘n-pocu di saimi o puntu giustu e sciddica ca è ‘n-piaciri…

PERCIAPALLE – Ahu! Tutti ‘i stissi sunu, cangiau sulu ‘a parrata.        

FELICE –Però, cummeni teniri l’occhi sempri aperti. Scupa nova scrusciu fa.

PERCIAPALLE –Scrusciu ci ni facemu fari quantu ni voli. Ma sempri scupa resta. L’impurtanti è ca cu (mentre marca il tono, fissa Felice)) avi a manu ssa scupa ‘a sapi maniari bona.

FELICE – Ppi chissu non ci sunu prublemi. Mi pari ca finu a ora mala cumparsa, cu vossia, non n’haiu fattu mai!  (Martino esce a destra)

PERCIAPALLE – E chissu è macari veru. Di comu c’’a facisti finiri all’ultimu Prifettu, l’eccillenza Bovis, mischineddu, t’’a poi vantari!

FELICE – Veramenti l’idea fu di vossia.

PERCIAPALLE – Si, ma l’orchestrali l’organizzasti tu.

FELICE – A pirita! Ci finiu a pirita, a Bovis!

PERCIAPALLE – Filici, cu mia ha parrari pulitu!

FELICE - Voscenza m’avi a pirdunari, ma, sempri cu rispettu parrannu, pirnacchia, n-sicilianu,  si dici piritu. E, ‘u Prifettu Bovis, ‘u mannamu a pi....

PERCIAPALLE – (interrompendolo)...Pirnacchi! A pirnacchi ’u mannamu!

FELICE – E ppi forza accussì c’ava a finiri. Ma iddu comu Prifettu cu caddu c’’u fici fari a miscarisi n’affariceddi nostri? 

PERCIAPALLE –‘A testa ci l’aveva cchiù dura d’’u ntagghiu. (seggono)

 FELICE - Nuddu, però, mi leva d’’a testa ca qualcunu ‘u tineva sutta scupa...

PERCIAPALLE – Ppi sordi o ppi fimmini?

FELICE – No capii, ma mi parsi troppu scrupulusu. Quannu mai, iddu.

PERCIAPALLE –Accuminciau a farimi tanti di ddi stricanacchi ca non sacciu c’avissi fattu ppi luvarammillu davanti.

FELICI – E nveci, senza sgrusciu e cu ‘na bella sturnillata, ‘u ficiumu scappari.

PERCIAPALLE – Ahu! Ddi carusi, di com’erunu accurdati, parevunu tanti artisti! Appena videvunu ‘u Prifettu o qualcunu d’’a so’ famigghia, attaccavunu a farici pirnacchi.

FELICI – Cuminciavunu ‘a matina prestu, appena ‘i Bovis grapevunu ‘i finestri, e ‘a finevunu ‘a notti, quannu ‘i chiudevunu. 

PERCIAPALLE – Hai vogghia a chiamari ‘i carabbineri, ‘i carusi, cchiù di ‘n-cintinaru, s’’a filavunu comu tanti cunigghi e, quannu fineva ‘u piriculu, s’arricugghevunu e attaccavunu ‘a banna.

FELICE – E ‘u risultatu fu chiddu ca vulevumu nuatri: ‘u Prifettu, non nisciu cchiù d’’a casa, finu a quannu non si fici trasfiriri.

PERCIAPALLE - (dando una pacca sulle spalle a Felice) Nenti, tu, comu capu (modifica il tono) Gabinettu d’’a Regia Prifittura, si’ spricatu!  

FELICE – (dopo una breve pausa) Sinnucu, non capisciu pirchì quannu muntuva a parola “gabinettu” cangia tonu. ‘U miu è ‘n-ufficiu mpurtanti.

PERCIAPALLE – ‘U sacciu! Però, su ‘u chiamunu accussì ‘n-mutivu ci sarà. Chi dici? Forsi capenu ca tra ‘u gabinettu e ‘u to ufficiu, tanta differenza non c’è!

FELICI – Vossia scherza sempri, ma... (Martino rientra portando due caffé)

PERCIAPALLE – (piano)…Parra alleggiu ca c’è ‘u cammareri…

FELICE – (a Martino) Finalmenti ti dicidisti a purtari ‘i café?

PERCIAPALLE - Va beni, semu d’accordu, ‘u poi avvisari ca l’aranci ci fazzu o stissu prezzu di l’annu scorsu…

MARTINO – Sinnucu, scusassi su m’intrumettu, ci vuleva diri ca ‘u prezzu d’aranci, specialmente d’’i partualli calabrisi, ‘st’annu aumintau bonu...

PERCIAPALLE – ‘U sacciu! Ma siccomu è ‘n-amicu, ‘u rispettu!

MARTINO – Certu! Ognunu c’’a so roba po fari nzoccu voli. Ppi l’amici, appoi,  chissu e autru… (si allontana)

PERCIAPALLE – Allura, ‘u novu Prifettu si deve riciviri comu merita! Pensa tu a tuttu, accuglienza, nvitati, ricevimentu, senza badari a spisi.

FELICE – Pari ca è ‘a prima vota…Vossia po stari tranquillu, sarà tuttu a puntinu, dumani matinu dugnu dispusizioni. Chiuttostu, ‘u trattamentu, ‘u facemu n-campagna o a so casa? (si alzano)

PERCIAPALLE – A me casa, certu! Vogghiu ca tutti vidunu ca a cangiari sunu sulu ‘i Prifetti, ca stamu girannu unicamente ‘n-fogghiu, ‘na pagina di ‘n-libru unni ‘a storia è sempri chidda.

FELICE -  E chi mutivu c’è di cangiari? Megghiu d’accussì!

PERCIAPALLE – Certu, certu! (mentre, assieme a Felice s’avvia verso l’uscita) Martinu, m’arraccumannu, oggi pulizia speciali, pirchì cchiù tardu o Circulu veni ‘u novu Prifettu!  (salutano ed escono)

MARTINO – (mentre li accompagna all’uscita)Vossia non si ni cura, sarà tuttu a puntinu! Sabbenedica a voscenza. Bongiornu, don Filici. (chiude la porta e riprende le pulizie). E menu mali ca non cangia mai nenti, pirchì su ppi disgrazia cangiassi qualchi cosa, fussi sicuramenti ‘n-peggiu! (bussano alla porta)Ahu! Stamatina si misunu tutti d’accordu a non farimi finiri ‘i pulizii.

                                              SCENA QUARTA

MARTINO - (apre ed appaiono Francesca e Nzina) Signurinedda, chi fu accussì prestu?

FRANCESCA –Siccomu non truvu cchiù ‘u vintagghiu, prima di jiri a Missa, vuleva vidiri su ppi casu ajeri sira me lo sono scordato qui!                                         

NZINA- Non fu vintagghiu ca si potti attruvari!

MARTINO–(con evidente ironia)Bih, e ora comu facemu ca persi ‘u vintagghiu!

                                              SCENA  QUINTA                           

PAOLO –  (impacciato, entra dalla porta di fondo) Bongiorno a tutti!

MARTINO – Oh, c’è macari ‘u duttureddu Paulu! Lei chi persi, ‘u muscaloru?

PAOLO – Quali muscaloru?

MARTINO – No, siccomu  stamatina  tutti cercunu qualchi cosa… pensava ca...

PAOLO – Passai ppi liggirimi ‘u giurnali…..

MARTINO – Ha vistu ca macari lei cercava qualchi cosa? Siccomu ‘u giurnali ancora non c’è, ci po dari (insinuante) ‘na manu a signurina a circari ‘u musca…’u vintagghiu!

NZINA – (con intenzione) Du’ occhi superchiu fanu sempri piaceri!

FRANCESCA – (invitante) Su Paulu voli essiri accussì gentili ….

PAOLO – (teatrale) Certu, è ‘n-piaciri aiutariti. Di unni accuminciamu. T’’u ricordi unni t’assittasti  ajeri sira?

FRANCESCA – Preciso preciso no.

NZINA – Non stesi ferma ‘n-minutu, si furriau tutti ‘i stanzi d’’u Circulu!

MARTINO – Allura, ‘a cosa non è tantu facili. Avemu dudici stanzi! Non sacciu su c’abbasta tutta ‘a matinata!

NZINA - Chi voli diri! ‘U vintagghiu l’amu a truvari!

PAOLO – (perentorio) Certo, ha ragione Nzina, si deve trovare, costi quel che costi!

FRANCESCA–  Si! Prima ca si n’accorgi me patri,! M’’u rijalau iddu.

MARTINO – (fra il serio e il faceto) Bih, allura ‘a cosa è seria daveru. E cu c’’u dici o Cavaleri Calanna ca si persi ‘u beddu vintagghiu? Matri, matri!

PAOLO – Ppi chissu dicu ca non c’è tempu di perdiri!

MARTINO – Putemu fari accussì: ju e ‘u dutturi jemu a circallu ddà banna, mentri ‘a signurina e Nzina taliunu di cca.

NZINA – No, no. Siccomu ju sacciu chi giru fici, ddà banna ci jemu tutti e dui (indica Martino) e di cca restunu iddi (indica Francesca e Paolo)

PAOLO – Si, si, facemu comu dici Nzina!

MARTINO – (con ironia) Certu, accussì sulu ‘u putemu attruvari! (esce a destra assieme a Nzina, portando via le tazze del caffé)

PAOLO –  (abbraccia Francesca) Oramai è quasi fatta, fra sei misi ni maritamu e finisci sta farsa ca appena t’attruzzu macari ppi sbagghiu, to matri mi talia comu su mi vulissi mangiari!  

FRANCESCA – ‘U sacciu, ‘u sacciu! Ajeri a sira, quannu n’arricugghemu a casa, non sai chiddu ca successi....

PAOLO –Ma su erumu assittati ju a livanti e tu a punenti!

FRANCESCA – Non fu ppi chissu ca si siddianu!

PAOLO -  E allura, pirchì?

FRANCESCA – ‘U papà dici ca c’è qualcunu ca ti sta cangiannu ‘a testa...e certi ragiunamenti non ci piaciunu...

PAOLO – Ma quali cangiata di testa? Ma su non vidu l’ura di maritarimi...

FRANCESCA -  No, no, si rifirisci e discursi ca fai contru ‘u guvernu.

PAOLO – Ah, ppi chissu quannu si ni jiu mancu mi salutau!

FRANCESCA – Si! E dissi macari ca su non cangi sunata ‘u matrimoniu n’’u fa vidiri c’’u binoculu! (piange) Si, accussì dissi...c’’u binoculu... (continua a piangere e singhiozzare)

                                                       SCENA SESTA

Da destra appaiono Nzina e Martino

MARTINO – (notando il pianto di Francesca) Avaia, signurinedda, non mi pari ‘u casu di chianciri ppi ‘n-vintagghiu! Su voli ci ni parru ju a so’ patri...

FRANCESCA – No, non è ppi chissu ca chianciu. E’... ca... Paulu mi cuntau ‘na storia ca ...mi fici cummoviri...         

NZINA – Avaia, dutturi, ci voli ‘n-pocu di dilicatezza quannu si cuntunu certi cosi. Chi fa no sapi ca Francesca avi l’animu troppu sensibili?

MARTINO – Nzina, non pirdemu cchiù tempu, circamulu di cca (indica la porta di sinistra)...‘u vintagghiu. Dutturi, mi raccumannu, ci issi alleggiu chi storii cummuventi. (esce con Nzina da sinistra)

PAOLO – (con disappunto)C’’u binoculu, veru? Ma chi c’entra ‘a pulitica c’’u beni ca ti vogghiu!

FRANCESCA – Sunu cunvinti ca c’entra, pirchì diciunu ca cu cumincia a ragiunari comu a tia è n’’a bona strata ppi divintari anarchicu e ‘n-anarchicu n’’a nostra famigghia non trasi! (piange) Accussì diciunu!        

PAOLO – Addirittura, addivintai anarchicu senza sapillu.....

FRANCESCA – (piange) Si, ma si ‘u stissu contru ‘u Guvernu....

PAOLO – Cu ’u dissi ca ppi forza amu a essiri d’accordu cu chiddu ca fa Crispi?  Ma unni è scrittu ca non po sbagghiari? Chi bella logica! To patri arraggiuna comu ‘i piemuntisi: cu n’‘a pensa comu a iddi è ‘n-nemicu dichiaratu ca, a secunnu di unni sciuscia ‘u ventu, po essiri anarchicu, socialista oppuru d’’u partitu clericali! Finu a qualchi annu fa, nveci, ‘u facevunu addivintari briganti...   

FRANCESCA – Lassa stari ‘i briganti, erunu tutti dilinquenti! 

PAOLO - Cui? Quannu? Chissa è ‘na favula ca ti cuntau to patri. Certu, ‘i veri briganti c’erunu, ma erunu ‘na minuranza. N’’a muntagna, però, ci dici a to patri, scappau macari tutta ddà genti ca n’accittava ‘i liggi d’’i piemuntisi. Erunu accussì assai, ca ppi cuntrastalli, fonu custritti a mannari 150 mila surdati, mità di l’esercitu italianu! Bastava non essiri d’accordu cu iddi e subitu ti facevunu passari ppi briganti!              

FRANCESCA – Basta, non ni parramu cchiù.

PAOLO - A to patri c’addumannai sulu ‘a to manu e no chidda di Crispi.

FRANCESCA – (con il broncio) Ti vulevi maritari macari a iddu?

PAOLO – Certu, e macari a Garibaldi!

FRANCESCA – Pirchì, allura, ti fa antipatia?

PAOLO – Pirsunalmenti non m’ha fattu nenti, ‘u dannu c’’u sta facennu a Sicilia, e chissu n’’u pozzu sumpurtari.

FRANCESCA – (si sente il vociare di Nzina e Martino) Stanu turnannu, è megghiu ca mi ni vaju ca si fici tardu. (tira fuori dalla borsetta il ventaglio)

PAOLO – (notando il ventaglio) Ma comu...?

FRANCESCA – ‘U  fici apposta ppi vidiriti!

                                           SCENA SETTIMA

Da sinistra entrano ridendo Nzina e Martino

FRANCESCA– (mostrando il ventaglio ai due)‘U truvamu! Era nficcatu arreri a ddu mobili!

PAOLO – Mancu ‘u traficu ca ficimu ppi spustallu...

MARTINO – Bih, a cu c’’u dici, ‘u sacciu ju chiddu ca vidu a matina... Ma antura, quannu scupai, comu fici a non vidillu?

NZINA- L’impurtanti è ca ‘u truvamu!

FRANCESCA – A ‘st’ura ‘a Missa finiu, è megghiu ca ni  nni turnamu a casa.

NZINA – ‘U Signuruzzu vidi ‘u cori! (Francesca e Nzina salutano ed escono)

MARTINO – Certu ca sti  vintagghi muderni...si nficcunu unni volunu! (esce da destra)

                                                 SCENA OTTAVA

Entrano Don Angelo e  Totò Salafia..

SALAFIA – (non accorgendosi di Paolo) Ma quanto è matinalora ‘a signurina Francesca...

DON ANGELO – (indicando Paolo) Si vidi ca circava qualchi cosa...

PAOLO – (pronto) ‘U vintagghiu! Ajeri sira si scurdau ‘u vintagghiu e s’’u vinni a pigghiari....

DON ANGELO – Truvau ‘u vintagghiu ma persi ‘a Missa....

MARTINO – (rientra ed esce da destra, dopo avere portato i giornali) Cca ci sunu ‘i giurnali. Oggi avemu belli nutizii!

PAOLO – Oh, finalmente! (ciascuno dei presenti prende un giornale e si siede)

SALAFIA -  (leggendo ad alta voce) “Dopo la proclamazione dello stato d’assedio, il Generale Morra di Lavriano, scioglie i Fasci dei Lavoratori e reprime con più di 40mila uomini i tumulti in tutta la Sicilia “

PAOLO – O Guvernu non ci parsi mancu veru ca finalmente appi ‘a scaciuni di fari libiramente nzoccu disiddirava.

DON ANGELO– Chistu veni chiamatu (alza il tono) “interventu ppi giusta causa!”

PAOLO - Aspittavunu stu mumentu ppi farannilla pavari col palmo e la gnutticatura. (legge) “ Non si conosce ancora il numero dei morti e dei feriti” ‘U tempu di cuntalli non l’hanu ancora avutu!

DON ANGELO – (legge) “Istituiti i Tribunali di Guerra: le prime pesanti condanne. Migliaia di arresti in tutta l’isola. Domicilio coatto per i facinorosi” Ora, ci n’è ppi tutti! Ppi cu c’entra e ppi cu non c’entra, autru ca Bronti! L’impurtanti è dari l’esempiu (con ironia) e fari capiri a tutti ca accussì ni stanu civilizzannu!

SALAFIA – Ma pirchì è cosa giusta e civili bruciari ‘i Municipi, svaligiari ‘i casi d’’i pussidenti e mpussissarisi d’’i beni di l’autri....? E poi si lamentunu su ci sparunu!

DON ANGELO – E’ veru, non è né giustu e mancu civili! Ma lei si l’ha dumannatu pirchì s’arrivau a tuttu chissu?

SALAFIA – Pirchì c’è qualcunu ca sciuscia supra ‘u focu, ppi fallu sbambari.

PAOLO – E secunnu lei, ppi ‘n-povuru svinturatu ca vivi n’’a miseria cchiù niura, ca non sapi chi darici a mangiari a famigghia, sfruttato comu ‘na bestia e senza diritti, ppi fallu sbambari c’è bisognu quanchidunu ca ci sciuscià?

SALAFIA – ‘U populinu sbrinnisi non n’ha fattu mai. Munnu ha statu e munnu sarà. (entra da destra, portando un vassoio con delle tazzine di caffè)                                         

DON ANGELO – Stu fatalismu non l’accettu. Chiuttostu, sugnu cunvintu ca  ‘sta vota persunu l’occasioni bona ppi dimustrari ca i tempi putevunu cangiari. Nveci di mannari l’esercitu e aumintari sdisulazioni, trivulu e lutti, o Guvernu, ci bastava fari ddu minimu di riformi ca ‘u populu ha sempri addumannatu. Chiddu ca mi prioccupa è ca, su cuntinuunu di stu passu, ni stanu facennu veniri ‘u disidderiu d’’i tempi quannu c’erunu ’i vecchi guvirnanti.

PAOLO – Difatti, n-giru si dici ca mancu ‘i Burbuni arriniscenu a fari peggiu di Crispi. 

SALAFIA – Avaia, non schirzamu. ‘U populinu, a ddi tempi mureva di fami, mangiava pani e cipudda e quannu era festa pani e angiovi....

MARTINO - Tannu almenu angiovi si mangiava, ora, nveci, finisci sempri a pani niuru e ciconia tutti i santi jorna. (con sarcasmo) Quannu è festa, però, ppi fari pranzu speciali, si prucurunu ‘n-pezzu di picurinu vecchiu - di chiddu ca ‘u ciauru si senti ‘n-migghiu distanti -  e ci dununu ‘na bella alliccata.

SALAFIA -  Alliccata? S’’u mangiunu!

MARTINO - Quannu mai! Ci po durari macari misi e misi, finu a quannu non si cunsuma attunna!          

SALAFIA - Comu si consuma su l’alliccunu?

DON ANGELO – Pirchì, allicca oggi e allicca dumani, ‘u furmaggiu, s’arrimodda e ci resta lingua lingua.... 

SALAFIA - Ca certu, cu ddi sorti di lingui rascusi e allupati ca hanu.....

DON ANGELO – (legge) “Domani verrà emanato il decreto che sospende la libertà di stampa, il diritto di associazione e di riunione”    

MARTINO – Allura, chiudunu macari ‘u nostru Circulu?

DON ANGELO – Chi c’entra? Ci l’hanu chi cammiri d’’i partiti, specialmenti d’’i socialisti e d’’i clericali. Luvannu a iddi d’’u menzu, non resta cchiù nuddu ca po diri cosa contru ‘u Guvernu.  

PAOLO –Sintiti chista. (legge) “Il Comitato Direttivo del Partito Socialista stigmatizza la rivolta in Sicilia e prende le distanze dai Fasci”  Ma i sucialisti cu ccu sunu?            

DON ANGELO  - Mancu iddi ‘u sanu.

SALAFIA –Ma c’è sempri ‘u Parlamentu, l’oppusizioni, ‘i diputati...

DON ANGELO – Ma pirchì, lei, o Parlamentu, si senti rapprisintatu di qualchidunu? S    upra 32miliuni d’abitanti c’avi l’Italia, l’ultima vota, sulu 1miliuni ci enu a vutari.

MARTINO - E l’autri?

PAOLO – Non cuntunu! Pirchì non hanu dirittu a vutari ‘i fimmini, cu non pussedi nenti e mancu cu non sapi leggiri e scriviri.

DON ANGELO –Cu arrisulta elettu, secunnu lei, a cu’ rapprisenta? 

MARTINO – L’amici,’i parenti e ‘i so’ nteressi.

DON ANGELO – Bravu!...E mai e poi mai ’a Sicilia e ’i siciliani.(Martino esce a sinistra portando via il vassoio)

                                           SCENA NONA

CALANNA – (dal fondo, entra Calanna) Bongiornu a tutti.

SALAFIA – Cavaleri, stamatina ci sunu mali frusculi.

CALANNA – ‘U sacciu! Pedi pedi c’è troppa gente c’’a testa malata e fanu beni a....(scorgendo Paolo) Oh!Paulu, si libiru? T’avissi a parrari!

PAOLO – A disposizioni! (avanzano verso il proscenio e seggono sul divano, mentre gli altri due continuano a leggere e discutere fra loro)

CALANNA –Tu ‘u sai quantu ti stimu e quantu ti vogghiu beni e sai macari cu quantu piaciri, du’ anni fa, accunsintii a fariti zitu cu me figghia Francesca. Ora ti parru comu a ‘n-figghiu.

PAOLO –  Macari ju ci vuleva parrari.             

CALANNA –Siccomu fra sei misi s’avissi a fari ‘u matrimoniu, è giustu ca di certi cosi ni parramu ora, chiaramenti.(pausa) Canusci ‘a me pusizioni suciali e..., nsumma, cerca di capirimi, certi ragiunamenti ca fai non mi piaciunu. Di cunsiguenza, prima di dari me figghia a unu ca putissi aviri problemi, vogghiu pinsarici bonu. Ora, sai comu ‘a penzu e....

PAOLO –  Cavaleri, ppi Francesca sugnu dispostu a qualsiasi sacrificiu. Ma non penzu ca ppi maritarimmilla haiu a curreggiri qualchi cosa, n’haiu ammazzatu a nuddu e mancu arrubbatu. Mi putiti sulu rimpruvirari di pinzalla diversamenti, ma finu a prova cuntraria l’opinioni non sunu bummi. Prima di giudicalli sbagghiati, mi pari giustu parrarini. Non si po diri: tu ‘si ‘n-furfanti sulu pirchì n’’a penzi comu a mia!    

CALANNA – ‘U problema, caru Paulu, è unu sulu, l’amicizia cu don Angilu non t’aggiuva. T’annichiliu ‘u ciriveddu di chiacchiri.      

PAOLO – Chi c’è bisognu di iddu ppi capiri comu stanu i cosi? Chi c’è bisognu di don Angilu ppi cunvincirisi d’’u maluguvernu ca stamu sumpurtannu? Troppu sunu ’i prumisi c’arrisultànu chiacchiri e ’i supirchiarii ca agghiuttemu n-cuntinuazioni. Comu fazzu a spiegarici ca ‘a delusioni addivintau rabbia e sdegnu? Vistu ca sunu cchiù di trent’anni ca si fici l’Italia, quantu amu aspittari ancora ppi vidiri ‘n-pocu di lustru? Rispunnissi a mia! E’chista l’Italia ca s’aspittava? Su è chista, ju non ci staju!

CALANNA - Fiducia ci voli, fiducia.

PAOLO – Ora basta c’’a fiducia, c’’a damu sulu a cu s’’a merita. Ora è tempu di gridari, di farisi sentiri.

CALANNA- Vuatri picciotti aviti sempri primura. L’Italia la devi cunsiddirari comu ‘na famigghia ca non avi tanti possibilità e non sempri po cuntintari a tutti: ‘na vota ‘i scarpi a chiddu, n’autra vota ‘a cammisa a d’autru. Si tratta d’aviri pacenzia e cunvincirisi ca ‘i nostri bisogni non sunu cchiù mpurtanti di chiddi di l’autri.  

PAOLO –Su l’Italia, comu dici lei, è ‘na famigghia, allura, o a nuatri siciliani ni tuccau ‘a parti d’’i figghiastri, masannunca sbagghiamu famigghia. E non po essiri diversamenti, pirchì di quant’avi ca n’attuccanu ssi parenti stritti, nuatri n’amu ricivutu mancu ‘n-paru di cosetti vecchi. ‘I scarpi e ‘i cammisi enu a finiri a qualcun’autru, forsi ‘i fratelli cuntinintali ni sanu qualchi cosa! (con forza)Cca sutta n’amu vistu nenti! ‘I cosi arristanu tali e quali ‘i lassanu ‘i Burbuni, su non peggiu: trazzeri ca continuamu a chiamari strati, qualchi chilomitru di ferrovia oramai fora usu, scoli picca e nenti spitali, ppi non parrari d’’a miseria e d’’a disperazioni c’aumenta.

CALANNA – Chi voi diri, allura, ca non c’hanu datu mai nenti? 

PAOLO – (con ironia)No, avi ragiunu, ‘na cosa ca non c’hanu fattu mai mancari c’è: ‘i tassi. N’avemu di tutti ‘i culuri e sapuri: supra  ‘u pani, l’ogghiu, ‘u latti, ‘a verdura, ‘i canali d’’u tettu, e non si scurdanu ‘a racina, ‘i pali ca sustenunu ‘a racina, ‘u vinu ca duna ‘a racina e p’anzina ‘i pospiri, e, su voli, pozzu cuntinuari finu a dumani. Ora, cuminciànu a tassari macari ’i finestri, ‘i purticati e ‘i balcuni c’avemu a casa! Sulu quannu hanu a mettiri ‘i tassi ci veni ‘a fantasia!

CALANNA-Ma comu si fanu‘i cosi senza dinari? (si alza, imitato da Paolo)

PAOLO – Ma non è né giustu e mancu onestu faraccilli pavari a cu non avi mancu l’occhi ppi chianciri e spinnilli facennu sulu l’interessi di menza Italia, comu su ‘u Regnu finissi a Roma. Cca ‘u malatu è gravi e ‘i chiacchiri non servunu cchiù a nenti.

CALANNA – Certu, sbagghi ci n’hanu statu assai, però ‘a cosa cchiù mpurtanti oramai è fatta, l’Italia. (come se volesse convincerlo)Ora, è compitu nostru falla divintari ‘a casa di tutti, ‘a casa d’‘i fratelli d’Italia. 

PAOLO – (con sarcasmo) Fratelli d’Italia? Addivintamu frati sulu quannu ci cummeni a iddi. ‘A verità è ca semu mali sumpurtati e cunsiddirati comu ‘na culonia tinuta sutta cuntrollu, cu tantu di truppa d’occupazioni, sbirri appustati na ogni cantunera....e leggi marziali ca non finisciunu mai.      

CALANNA –T’arricordu ca, pp’’u ‘u statu d’assediu, amu a ringraziari ddu pugnu di scilirati ca crianu apposta ‘i disordini. ‘A prutesta ‘a pozzu ammettiri, ma ‘a viulenza non si po giustificari!

PAOLO – (con passione)Chiddu ca cuntinuunu a non vuliri capiri Crispi e i so cumpari è ca cca ci sunu picciotti, fimmini, vecchi e picciriddi ca si sentunu italiani cu tuttu ‘u cori, attenti a fari ‘u propriu duviri, ma pronti a pritenniri ‘i stissi diritti e ‘i stissi opportunità di l’autri italiani. Avi ‘n-pezzu ca ni stancamu di limusinari chiddu ca ni spetta. Basta, ju non c’haiu a diri cchiù nenti. Pigghiassi ‘a so dicisioni libiramente e comu voli Diu! Però, prima di dari ‘a sintenza vulissi ca nta l’animu so, sinceramente, cunsidirassi ‘i cosi c’haiu dittu: su ‘u miu ha statu ‘n-parrari di pazzu o di unu ca voli beni ‘a so terra. (siedono)

CALANNA –(dopo una breve pausa) Certi voti non sacciu c’haiu a pinzari. Di chiddu ca hai dittu tortu non ti ni pozzu dari, ma, ti ripetu, c’è modu e modu d’addumannari ‘i propri diritti!

PAOLO – Ma è ‘a rabbia di cu non è ascutatu ...

CALANNA – ‘U capii, ma ’a viulenza mai!  Pp’’a Sicilia ‘u mumentu è difficili ma non vidu autra strata. Cangiari? Cu cui? E poi? Rischiannu di jittari l’acqua lorda cu tuttu ‘u picciriddu? No, no! Accuntu stamu accura a chiddu ca succedi e poi videmu. (pausa) A diri ‘a bedda verità, mi parevi cchiù tostu, nveci, sintennuti parrari mi facisti arricurdari certi battagli d’’i vecchi tempi. (pausa) Ascuta, ti vogghiu fari ‘na pruposta, ca ppi mia è macari ‘na scummissa. Pp’’i prossimi elezioni avemu bisognu di ‘n-picciottu ntilligenti e onestu ppi mannallu o Parlamentu. Chi ni pensi su o Prifettu ci fazzu suggiriri ‘u to nomu,.?

PAOLO – Ma comu, si fida di mia? Di uno ca avi a testa sballata?

CALANNA –Dicemu ca mi fidu. Eppoi, non ti dissi ca ppi mia è ‘na scummissa?

PAOLO – Allura, è sicuru ca ‘a perdi, pirchì ntinzioni di prisintarimi non n’haiu!

CALANNA – Pensici, Paulinu, pirchì l’avviniri cu Francesca po dipenniri macari di sta dicisioni.

PAOLO – Allura, non è ‘na pruposta è ‘n’ordini!

CALANNA – Pigghiala comu voi! (Paolo esce a destra e Calanna si avvicina a Don Angelo e Salafia, intrattenendosi con loro)

                                                   SCENA DECIMA

Dal fondo entrano Pipitta e Minnella

SALAFIA – Oh, arrivau ‘a me famigghia. (si sposta sul proscenio assieme ai familiari e don Angelo. Intanto dal fondo entrano Cocima, Francesca e Nzina e si fermano a parlare con Calanna)

DON ANGELO - Tutti prisenti ppi canusciri ‘u novu Prifettu, eh?

MINNELLA – Arrivau?

DON ANGELO – No, ancora no.

PIPITTA – Non capita tutti ‘i jorna di ncuntrari ‘n-Prifettu in carni e ossa...

MINNELLA – E sparti novu novu...

DON ANGELO – Certu, chistu non è mancu ngignatu!

SALAFIA – (insofferente) Forsi è megghiu ca passamu ddà banna! (esce a destra assieme a Don Angelo, alla moglie ed alla figlia. Mentre dal fondo appaiono Perciapalle, la consorte e Felice)

PERCIAPALLE – (rivolto a Calanna)Pinzava di essiri n-ritardu...

BARONESSA – Hai vistu? Mancu ‘a primura ca m’hai fattu...

COCIMA – Cu chiddu ca sta succidennu fora, o Prifettu,‘u chi fari non ci manca.

FRANCESCA – Nuzzinteddu! Forsi era megghiu rimannari l’invitu.

PERCIAPALLE – Veramenti fu iddu stissu ca nsistiu ppi veniri stamatina.

CALANNA – Prego (invita tutti ad avviarsi verso destra)

COCIMA – (alla Baronessa)Almenunon stamu nficcati intra. (escono)

                                                SCENA UNDICESIMA                                    

Da sinistra entra ed esce Martino, dopo avere messo ordine e raccolto i giornali.

Da destra giungono prima Paolo, poi, Francesca e Nzina. Mentre quest’ultima resta di guardia davanti all’uscio, i due giovani s’incontrano al centro del palco. FRANCESCA – Allura, ci parrasti?

PAOLO – Si.

FRANCESCA – Comu finiu? (pausa) Spicciti, prima ca passunu cca banna.

PAOLO – No sacciu! Non è facili capiri ‘i ntinzioni di to patri! Accuminciau rimproverannumi ca sugnu cchiù bruttu d’’u piccatu murtali e finiu nvitannumi a presentarimi e prossimi elezioni.

FRANCESCA – Oh, che bellu! Ju ‘u sapeva ca fineva accussì! Chissu voli diri ca me patri ti stima e voli ‘u nostru beni.

PAOLO – Stavota, però, sugnu ju ca non m’’a sentu... 

FRANCESCA –  Chi voli diri non t’’a senti?

PAOLO – ‘U passu è troppu mpurtanti e non mi sentu  priparatu ... mi ni putissi pèntiri.         

FRANCESCA – Ma allura m’hai pigghiatu sempri n-giru, hai apprufittatu d’’i me’ sintimenti..(piange)  

PAOLO – Francesca, ma chi capisti?... Fammi finiri di parrari.   

FRANCESCA – (idem) Basta, non vogghiu sentiri cchiù nenti...

NZINA – Signurinedda, so matri e so patri si susenu e stanu vinennu...

PAOLO – Ma ti stai sbagghiannu, ju ti vogghiu beni... stava parrannu d’’u fattu...

FRANCESCA - (idem) Non ti cridu cchiù, vattinni luntanu di mia... (Paolo esce a sinistra, mentre Nzina si avvicina a Francesca)

                                           SCENA DODICESIMA  

COCIMA – (entra Cocima seguita dal marito) Francesca, cchi fai cca banna? Pirchì chianci?

FRANCESCA – Non mi sentu bona…

COCIMA – Chi ti senti ?

FRANCESCA –Mi gira a testa...mi doli …

COCIMA – Assettiti, (Francesca siede sul divano) ca ti senti megghiu… (al marito) Gregoriu, a to figghia ci fa mali ‘a testa ...e…

CALANNA – Chiamici ‘u zitu…

COCIMA – Ma quantu si spirutusu, chi c’entra ora ‘u zitu c’’a testa ca ci gira. Chi fa, c’’a ncaramma iddu?

CALANNA – Chi cosa fa no sacciu, però, essennu medicu, è sicuru ca ni capisci cchiù assai di mia e di tia! Chi dici?

COCIMA –  Ju dicu sulu ca chissu a me figghia, prima di maritarasilla, n’’a tocca.

CALANNA – Ma prima di essiri ‘u zitu di to figghia, è medicu!

COCIMA – Po essiri macari... vitirinariu, ma n’’a tocca ‘u stissu mancu cu ‘n-jitu!

CALANNA – E va beni, ‘u chiamu ju!

COCIMA – Fallu, appoi vidi chi fazzu succediri.  

CALANNA – Poi ‘u videmu! (perentorio) Nzina, cerca ‘u dutturi Paulu e ‘u fai veniri cca! (Nzina esce a  sinistra)

COCIMA – Chissa ca stai facennu è ‘na supirchiaria! ‘N-capricciu ca ti voi passari!

CALANNA – Hai propriu ragiuni, ‘na supirchiaria!

                                          SCENA TREDICESIMA

Entra Paolo da sinistra, seguito da Nzina.

PAOLO – Avi bisognu di mia?

CALANNA – Vidi chi c’avi Francesca, non si senti bona.

COCIMA – (si pone avanti a Francesca) Arrassiti, tantu a me figghia non t’’a fazzu mancu truzzari!

PAOLO – Ma signura, debbo visitarla…

COCIMA – Certu, e cu ti lu mpidisci? Di luntanu poi fari nzoccu voi! Ahu, vadda che bella, ‘u primu ca passa si metti a maniari a me figghia.

CALANNA – Sta’ facennu arridiri a tutti. Ti voi luvari davanti ?

COCIMA – No! Su propiu nsisti …’a... visitamu ...nzèmula...Si, nzèmula!

PAOLO – Assèmi? E comu?

COCIMA – Tu parri, ju ...visitu e poi rifirisciu!

PAOLO – (con pazienza) E va beni. Cuminciassi a sbuttunarici ‘u cullettu, allintarici ‘u bustu... 

COCIMA – Ahu! Chi ti mittisti n-testa, di spugghialla davanti a tutti?

PAOLO – Accussì rispira megghiu. Ci sbuttunassi macari ‘u  pusu ca ci cuntrollu ‘i battiti..

COCIMA – Alleggiu alleggiu nuda si sta arridducennu.

CALANNA – (alla moglie)Senti, m’’u fai ‘u favuri di finiriccilla?

COCIMA – (con decisione) No, no e no! Siccomu a chissu, comu zitu, non c’amu fattu fari ‘n-puntu, ora, comu medicu ni voli apprufittari. Ti l’haiu dittu sempri ca è senza affruntu, scostumatu e macari... vastasu. Ma non l’hai vistu comu ‘a talia, c’’u sapi quantu voti l’ha spugghiatu cu l’occhi! Mancu a li cani, scummettu ca n-manu a chissu me figghia vidi sulu peni!

CALANNA- (idem) Porcomora ‘u problema cchiù urgenti è ‘a saluti di to figghia, appoi pp’’u restu ci pinzamu ....

COCIMA  - Va beni! (slaccia il polso alla figlia) Cca c’è ‘u pusu sbuttunatu. C’è autru? (Paolo si avvicina a Francesca e le tasta il polso. Cocima rimane vicina) Ahu! ‘U sapeva, si c’allanzau! E semu prisenti matri e patri, fiuramini su non c’erumu, avissi fattu minnitta, avissi fattu, di sta povira criatura nnuccenti!

CALANNA – (c.s.)Ci scummetti ca ora ‘a fazzu ju minnitta su non ti ni vai davanti l’occhi mei? Annachiti e leviti di ddocu! (Cocima si scosta) 

PAOLO – Nenti di gravi, ‘i battiti sunu regolari. Cca intra l’aria è troppu viziata, è megghiu ca s’affaccia ‘n-pocu fora. Vado a prendere un poco d’acqua. (esce a destra)

COCIMA – Chissu, di viziatu avi ‘u ciriveddu. Non ci parsi mancu veru ca truvau ‘a scusa ppi munciri a me figghia. Ma a cosa cchiù gravi ha statu ‘a cunnivenza di so patri. (al marito) Chiddu ca pirmittisti sutta ‘i me occhi è cchiù ca sicuru ca ti resta ppi sempri n’’a cuscenza! Virgognati! Forsi è megghiu ca t’’u vai a cunfissari! (siede vicino alla figlia) E comu ci stringeva ‘u pusu!....Jaliotu!  (a Francesca) Bedda d’’a mammuzza, comu ti senti?

FRANCESCA – (con un filo di voce) ‘N-pocu megghiu.

COCIMA – Certu, idda chi po diri...’Na povera carusa ca subisci viulenza, accussì, di bonu e bonu, (guarda il marito e marca le parole) c’’u  patri cunsenzienti, comu si po sentiri? Oh! Signuri, comu ‘i poi pirmettiri certi cosi!

CALANNA – Prima ca scatasciu bonu bonu è megghiu ca mi ni vajiu!  (esce a destra)

COCIMA – Ahu! Voli macari ragiuni! (alla figlia) Ma ti n’adduni chi sorti di patri ca ti capitau?

                                  SCENA QUATTORDICESIMA

PIPITTA– (entra da destra) Cca c’è l’acqua c’’u zuccuru pp’’a malatedda. M’’a desi ‘u dutturi Paulu. Ma chi bravu carusu. Biata cu s’’u marita! Comu sta Ciccinella?

COCIMA – (marcando il nome) Francesca, appi un semplici buttiamentu di testa... (rivolta alla figlia) ca ci sta passannu, veru?

FRANCESCA – Si, mi sentu megghiu. Haiu bisognu di ‘n-pocu di aria frisca.

COCIMA – Si, prijizza d’’u me cori, affacciti d’’u balcuni (mentre la figlia esce da sinistra, assieme a Nzina) Signura Pipitta, non sacciu comu sdibitarimi cu lei.

PIPITTA- Bih! E chi fici di tantu mpurtanti...

COCIMA – Cu me figghia non ci pozzu combattiri! Siccomu mangia cchiù picca di ‘n-acidduzzu, basta c’assaggia ‘n-viscutteddu superchiu ci venunu ‘i frastorni.....

PIPITTA – Bih, quantu l’avi trangilosa...Me figghia, ‘a papuzzedda, nveci....

COCIMA – ‘A canusciu ‘a so... papuzzedda e sacciu quantu pisa...vuleva diri quantu pistìa... nsumma, ‘u pitittu ca avi. Comu fa a mantinirisi sicca comu ‘n-passuluni s’’a vidi idda...    

PIPITTA – E’costituzioni, semplici costituzioni. Chi voli, non potiamo essiri tutti le stisse scurciate. Ci ni sunu di quelle ammizzigliate, scucchiariate, sdinguse, ca parunu tuccati d’’a grannula e non vidunu lustru mancu su ‘i prijinchi con il mutu, comu ‘a sasizza; autri, nveci, ca macari su mangiunu ferru filatu si mantenunu bagiane e chini di saluti !

COCIMA – (con ironia) Miatiddi ‘i matri ca hanu ‘i figghi accussì salutivi. Ppi non parrari d’’u bellu guadagnu ca diventunu pp’’i mariti. Cchi c’è parauni fra ‘na muggheri tinuta additta a forza di cutuletti, farsumauru e braciulittini, cu ‘n’autra ca c’abbasta ghiommuru di ferru filatu ‘a simana! ‘A carni nto macillaiu costa,  nveci, filu di ferru si ni trova unni e jé. L’unicu piriculu è chiddu ca po essiri ‘n-pocu arruggiatu, ma basta ‘na punta di bicarbunatu o tannicchia di acqua c’addauru e si digerisci tuttu, filu, chiova, tacci e macari buluni! (cambia tono) Però, e c’è ‘n-però, non è ‘a prima vota ca si senti diri di carusi chini di saluti ca, senza sgrusciu di tricchi-tracchi o schigghi di papira, tutti ntuttuna, dununu una calata e, nuzzinteddi, s’’a quagghiunu; autri, nveci, c’’a faccidda sdisciurata e mpatidduta, ca nveci campunu cent’anni. 

PIPITTA –Giustu! Su ‘a morti non li nzerta ponu campari macari mill’anni. Certu, chi mi dici a mia. (cambiando tono) Ma, appoi, chi c’entra (marcando il nome) Francesca cu sti discursi ca stamu facendo. Cu è ca n’avutu mai ‘n-buttiamentu di testa! Veru?  

COCIMA – Propriamenti!

                                          SCENA QUINDICESIMA

CALANNA – (entrano da destra Calanna e Minnella) Ci purtai a so figghia!

MINNELLA – (esegue un inchino esagerato) Bongiornu signora Cocimella.

COCIMA –Parraumu propriu di tia.

PIPITTA – Quannu pensu ca a fini di l’annu l’haiu a perdiri, mi veni di chianciri.

CALANNA – Esagerata, quannu ‘na figghia si marita è sempri ‘na gioia.

COCIMA – A propositu, comu vanu ‘i priparativi?

PIPITTA – Nsumma. Non putiti cridiri chiddu ca stamu vidennu chi nicuzianti. Cosi di rumanzu! Non ni putemu cchiù!

MINNELLA – Putemu cchiù!

COCIMA–Bih!Aviti pobblemi?Assittamini! (siedono soltanto Cocima e Pipitta)

PIPITTA - Prima c’arriva ‘u Prifettu vi cuntu chista. Datosi che siamo nello spenniri, ppi nostra figlia Minnella, non stiamo abbadando alle spese. Fra le tanti cose, ci abbiamo comprato nella più meglio putia di anticheria di Catania…

COCIMA - …Putia di chi?

MINNELLA - …Di antiquateria…

PIPITTA – Nsumma, unni vinnunu cosi vecchi…

CALANNA – Ah! Antiquariato!

PIPITTA – Pirchì? Ju chi dissi?

MINNELLA -  Ma accussì vecchi, ca sunu tutti pieni di previlazzo. Macari ci fete, di quantu previlazzo ci hanno accucchiatu! A voglia a stricalli, non ci nesci nenti…Il previlazzo è comu...che ci debbo dire...come allippato…

PIPITTA – Ma chi ci vai ncucchiando….Ora, chi ci trasi l’allippamento… Allura, ci abbiamo comprato un lumi, ma un lumi, caru Cavaleri, ca piedi piedi ci ni sono picca e nenti. Col miccio, vah!

MINNELLA -  …Ma un miccio che non vi dico e non vi conto…Accussì longu (mima una dimensione esagerata), ancora sano, ca nuddu aveva addumato. PIPITTA – Ahu! Sempri idda parra. Talia ca ju non vuleva significari il miccio, quello dove ppi la quale s’adduma il lume. Ma, dicennu “col miccio”, volevo ntendiri ‘na cosa di lussu! …Mafiosa assai, vah! Mi ho chiarita?

CALANNA – ‘Na cosa fora d’’a norma !

PIPITTA – (fra se) Ma chi ci trasi ora a Norma e ‘a Traviata ?

MINNELLA - Una cosa ca ci n’è picca e nenti. (gesticolando, descrive il lume) Co una boccia di vetro di quelle che ci soffiano ppi falli vunchiari, che avi disignatu a Cogliermo Telli che tira la fileccia a suo figlio, appitturato a mano coll’olio e…( notando il volto arrabbiato della madre si blocca)

PIPITTA – ...‘N-pocu d’arriniu e ‘na mungiuta di lumia… Nsumma, ci accattamu stu bellu lumi ca, dittu n-cunfidenza, ni custau ‘n’occhiu d’’a testa e macari qualche cosa supecchiu. Ma quannu ‘na cosa si devi fari, o bona o nenti. Accussì sugnu fatta!

MINNELLA - Accussì semu fatti nuatri….Chi voliti, figghia unica sugnu…  

PIPITTA–E menu mali, pirchì, di quantu mi sta custannu questo sponsalizio,su ‘i figghi erunu cchiù assai, a quest’ora ero abbiata sopra il lastricu a manichi n-tila.

MINNELLA - Solo a manichi n-tila? T’arridducevi senza cajella e con le brache di fora. Ah,ah,ah

PIPITTA – (alla figlia) Pipita mascolina! Ma quantu stifinii! Chi ti parsi di avere svumicatu ‘na cosa spiritosa? Non ti n’adduni ca stai arridennu sulu tu? (occhiataccia alla figlia) Prisichennu, caru Cavalieri, li scerri col putiaro non nascenu pp’’u prezzu esagiratu ca mi fici. A mia…

MINNELLA -  …A nuatri…            

PIPITTA - …Quannu ‘na cosa mi piaci non taliu nenti…

MINNELLA -  …Non taliamu nenti…

PIPITTA - …Chi voli ca sunu ppi mia (con un’occhiata significativa blocca la figlia che sta per intervenire) milli cchiù o milli menu. Ci l’haiu e ‘i spennu!

MINNELLA -  (in fretta)…’I spinnemu!

CALANNA – E allora, quali fu ‘u motivu d’’a custioni?

PIPITTA – Quali? Che questo putiaro si era fissato che mi vuleva mannari per supercheria il lumi a casa con il trammi. Cui, quannu, ci dissi ju, ma lei è pazzu di catina! E su putacaso il sciaffurro si sbalanca cu tutto il trammi e si rumpi il lumi cu tutta la cunocchia, poi come la mentiamo? Cu pava le spese? Ah?

COCIMA – Giustu, piccatu su si rumpeva ‘u beddu lumi.

MINNELLA -   Piccatu sulu? ‘N-sacrilegiu, poi diri!

PIPITTA – Basta! Trammi si, trammi no, ‘u sapi, Cavaleri, comu finiu?

CALANNA – No.

PIPITTA – Lei non ci cridi, me maritu ha stato costretto a fari mpaiari il migliore assai dei nostri cavalli equini, ‘u baju, chiddu con la stella in fronte ...

MINNELLA - ...E il sole nel didietro...Ah,ah, ah.

PIPITTA – (dopo aver strattonata la figlia) ...E il lumi, mi l’appi a mannari a pigghiari c’’a carrozza!

MINNELLA -  Accussì sulu arrivau beddu, sanu e salvu!

PIPITTA – Amen!

CALANNA – Certo, indenne!

PIPITTA–(fra se)Chistu è peggiu di me figghia.Chi caddu ci trasunu ora ‘i ntinni?

COCIMA -Ni cummeni passari ddà banna, pirchì ‘u Prifettu arrivau! (escono da destra, mentre da sinistra  rientra Martino. Questi,  mentre è intento a mettere ordine, trova dietro il solito mobiletto un ventaglio, poi, appena inizia a parlare il Prefetto, si ferma e con una mimica appropriata commenta le sue parole. Il tutto viene accompagnato da una musica da banda)

PREFETTO – (voce fuori scena)Siciliani, il Primo Ministro del Regno d’Italia, onorevole Crispi, mi ha incaricato di porgervi i più fervidi saluti e di assicurarvi che, rispettoso degli impegni assunti, il Governo, si accinge ad approvare importanti provvedimenti che porteranno benessere e prosperità a tutti i siciliani. (stacco musicale) E’ chiaro che non sarà possibile realizzare tutto e subito, ma si comincerà da quelle urgenze che una speciale commissione avrà il compito di individuare. Innanzitutto le cose essenziali; il resto, il superfluo, verrà nel tempo. (idem) Chiarisco meglio con un esempio. Da più parti si pretende dal Governo un maggiore impegno nel settore dei trasporti pubblici in Sicilia. E’ questo un problema veramente reale? No! E’, invece, un falso problema! (idem)Mi chiedo e vi chiedo, qui, in Sicilia, non avete quei bei carretti, tutti dipinti e decorati, con pennacchi e nastrini, ornati con agli e cipolle fresche e con tanta bella gente sopra, che solitamente usate per spostarvi? A cosa vi servono, allora, i treni? Per quattro ceste d’arance? (idem)

Fiducia, fiducia, fiducia, ecco cosa vi chiede il Governo italiano, fiducia nel suo lungimirante operato. (idem)

A tale proposito, prima di chiudere, vorrei farvi partecipi di una notizia che sono sicuro sarà apprezzata da tutti voi. Mi giunge voce che il Primo Ministro ha in animo di realizzare un’opera che farà parlare il mondo, un progetto grandioso, epocale: il Ponte sullo Stretto di Messina! (idem)Finalmente la Sicilia sarà collegata all’Italia e si realizzerà quell’unità geografica ed umana tra voi siciliani ed i fratelli italiani. (idem)

I propositi del Governo a favore di questa bella terra non fiscono qui, perché...... (la musica di scena sovrasta la voce del Prefetto, mentre Martino esegue un balletto estemporaneo)                            

                                                             SIPARIO

                                       

                                          ATTO SECONDO

Salotto di casa Calanna. Una porta, al centro, in fondo, conduce in un corridoio; lateralmente, a destra ed a sinistra, ancora due aperture. L’arredamento è tipico delle famiglie borghesi. A sinistra, tavolo con sedie imbottite attorno, un divano con due poltroncine a destra, mobili vari e quadri alle pareti. All’apertura del sipario, Nzina è intenta a fare le pulizie.

                                            SCENA PRIMA

COCIMA – (entra da destra) Nzina, scinni nto curtigghiu e ci dici a signura su ppi gintilizza po’ vanniari di menu,  avi ‘na matinata ca sdillirìa.

NZINA – Ancora ci dura?

COCIMA- Pirchì, successi cosa? C’’u vicinatu cummeni aviri sempri boni rapporti.

NZINA - Ajeri, mentri mi truvava nta cucina, visti ca d’’u curtigghiu acchianava fumu, ma ‘n-fumu precisu scurciatu a chiddu d’’u papuri d’’u mpiraturi sultanu Melallicchi.

COCIMA – Accuntu si chiama Menelicchi e poi chi c’avi di spiciali ssu fumu?

NZINA – Chi c’avi? E’ comu ‘u so patruni, niuru giuittu, cchiù niuru di chiddu d’’a siccia, d’’u nchiostru e d’’a pumata pp’’i scarpi. Africanu, vah! E sparti mpicusu!

COCIMA – ‘U capii! Ma a tia cu ti l’ha dittu ca è accussì?

NZINA – Me cucinu Natali, ca sta facennu ’u surdatu nto Paisi di ... Salamallicchi...Salamallacchi, o comu schifiu si chiama. Mi dissi ca unni si ferma ssu papuri, pp’’u fumu ca svommica, ppi tri jorna ci cala comu ‘na negghia accussì fitta ca cu ci ntappa bonu bonu si po fari bummulu e macari n’acchettu...

COCIMA – Cu ntappa nta negghia?

NZINA – Si! Anzi, mi dissi macari, ca...    

COCIMA – Senti, d’’i storii ca ti cunta to cucinu poi ni parramu, chiuttostu dimmi chi successi c’’a signura di cca sutta.

NZINA – E ppi chissu ci dicu, ca ssu fumu anniricau tutti ‘i beddi robi stinnuti, ‘i linzola, ‘i tuvagghi, ‘i mutanni longhi di so maritu....

COCIMA – Mih! Ci trasiu macari intra ‘i mutanni di Gregoriu?

NZINA- Annunca, l’arriduciu ‘na fitinzia.

COCIMA –Bih! E su mentri si nficca... ntappa...nta sa negghia putenti?

NZINA – Ssu piriculu non c’è pirchì sciacquariai tutti cosi n’autra vota.

COCIMA - Ma comu mai ‘a signura fici ssa gran sorti di fumu?

NZINA – Propriu chiddu ca c’addumannai ju! Signuruzza, ci dissi cu gintilizza, stamattina chi vi avete susuto cu lo sballo? Prima di fari ssa speci di fumu ca si usa dda banna mari e sparti africanu, n’’a putevuru jisari a cucuzza leggia c’aviti ppi testa e taliari su c’erunu mpidimenti?

COCIMA–Ma ci dicisti propriu “vi avete susuto cu lo sballo?”

NZINA – Pirchì? Sbagghiatu è?

COCIMA – Ca quali! Non sapeva ca canuscevi macari l’italianu!

NZINA – M’arrangiu! (con orgoglio)Ju ‘i studii ci l’haiu!               

COCIMA - E idda chi t’arrispunniu?

 NZINA – Mi dissi: (imitando la voce della vicina) Ca sicuru, ‘a matina ni manca sulu chissu, ca prima di farini ‘a cruci n’amu a mettiri accura di unni mina ‘a voria, chi c’è nta l’aria, su passunu cumetii c’’a cuda, su volunu aceddi piscaturi, aciddazzi varvuti, aceddi di voscu, acedduzzi di mari...  

COCIMA –Diminiscanza, ni canusci aceddi, chissa! Scavaddatuna s’arrivilau ‘a signura d’’u curtigghiu! Non c’’a faceva ssa lingua!

NZINA –  E comu! Pareva muzzicata d’’i lapuni! (imitando la vicina, con voce sguaiata) ‘U fumu nta stu Paisi è l’unica cosa ca non pava daziu e mancu tassi e, ringraziannu a Diu, è libiru di jiri unni ci passa pp’’a testa, ‘u fumu. E’ liggi di natura, non l’ho astrummintata io ca al fumo ci veni comoto acchianari all’aria.

COCIMA – Però, a talianu, mancu idda scherza!

NZINA – Veru è, ma no chiossai di mia?

COCIMA – Ppi carità, chiossai di tia no! Tu, chi scoli facisti?

NZINA – ‘A prima ‘a ripitii du’ voti e ‘a secunna quattro –certu, manu manu ‘i studi si ficiunu cchiù difficili-, poi, me patri si scantau ca puteva addivintari troppu struita e mi fici arritirari. Ma su non era ppi iddu, a st’ura...

COCIMA – M’’u fiuru unni avissi arrivatu. Nuatri, chiuttostu, unni erumu arrivati?

NZINA – Ah, si! Arrispunnennuci educatamenti ci dissi: Signura cortigliara, è inutili ca faciti l’Orlandu nfuriusu; cu mia, e chissu ‘u sapiti, c’’a putiti sulu appizzari, pirchì sugnu capaci di vunchiarivi comu ‘na ciaramedda, a muta a muta e senza ca vi n’accurgiti. Ju non vi staiu pruibbennu nenti, vi vogghiu sulu fari capiri ca, primu, a prossima vota ca vi veni cori d’addumari ‘u cufuni vogghiu essiri avvisata almenu almenu ‘na simana prima; secunnu, non v’arrisicati a mettiri supra ‘u focu pistiamentu fitinziusu, tipu stigghiola, meusa o rugnuni, ca ponu causari negghia nsivusa o per meglio diri, nsaimata.

COCIMA – Brava! Ci dicisti chiddu ca si miritava! E idda?

NZINA - Prima m’arrispunniu comu ‘na pazza. (imitando la voce della vicina) Auh! Finiu ca nta sta lurdia di curtigghiu sugnu macari priva d’àrrustiri ‘a sasizza e ‘u crastagneddu ca portau me maritu. (con voce normale) Appoi, cu ‘na vuci matelica, attaccau: (biascicando le parole) Voli diri ca ‘a prossima vota ca mi veni ‘u disidderiu d’addumari ‘u focu ci addomanniamo il pirmesso a vossignuria mannannuci ‘n-tilicramma espresso urgente. Non dubitassi. (con voce normale) Mi dissi propriamente accussì!   

COCIMA – Mizzica! Ma varda a chissa, arrisultau c’’a nasca additta e ‘i pinni n-testa.

NZINA – A stu puntu, signuruzza bedda, mi stancai di fari a pirsunedda educata, non ni potti cchiù e ci cantai ‘u so miserere.

COCIMA – Si?  Cunta, cunta!  

NZINA -  Allura, ci dissi: (come se parlasse con la vicina) Ppi scupriri cu siti e cu non siti, non c’è bisognu di nterrugari ‘u nimìna vintura, vi canuscemu bona e sapemu ca comu a vui non si nni trovunu cchiù mancu nta brunia d’’u spiziali. Chissu è ‘u priambulu, passamu a sustanza! (alterandosi) Non v’’u ripetu cchiù, a prossima vota, su vi veni ‘u pitittu d’arrustiri ‘u crastu di vostru maritu cu tutta ‘a sasizza, vi ni doviti jiri nel vosco, a chiana o sopra qualchi scogghiu e mai e poi mai in un pubblico cortiglio. A propositu, n’autra cosa. Auh, ‘u chiama maritu! Vistu ca ni cangiati unu a simana, m’ata a fari ‘u caddu e piaciri di non numinari cchiù accussì ddu manciammatula ca sta ccu vui, pirchì affinniti tutti i fimmineddi onesti e maritati comu a mia. Al massimu ‘u putiti chiamari attaccagghia, ricuttaru, cugnintura o verusìa mantinutu, ma mai e poi mai maritu.

COCIMA – E finiu ddocu?

NZINA – No! Ppi cunchiudiri ‘a discussioni, mentri cuntinuava a sbraitari,  pigghiai bellu sicchiu d’acqua e dopo ca assappanai a idda cu tuttu ‘u cufuni, ci chiusi ‘a cassina nta facci!

COCIMA – ‘A vagnata t’’a putevi risparmiari!

NZINA – Ma ci fici piaciri, pirchì finalmente n’apprufittau ppi sgaddarisi ‘u grasciu ca avi mpicatu di ncoddu!

COCIMA- Cu certa gintuzza è megghiu n’aviri nenti chi spartiri. Quanta cunfidenza si pigghiau chissa! Ora c’’u dicu a me maritu e ci fazzu aumintari l’affittu d’’i cammiri!

                                                SCENA SECONDA

CALANNA – (entra da destra) Cocima, ‘a spisa ‘a lassai ddà banna.

COCIMA – Ora avvisu ‘i cammareri. A propositu, ‘a signura ca sta cca sutta ci pigghiau ‘a sterica. Ajeri t’affumicau pansina ‘i mutanni ....Anzi, quannu t’’i metti, stai attentu su c’arristau negghia e... ntappi.

CALANNA – Ah! Ppi chissu...!

NZINA – (a Cocima, con  soddisfazione) Ha vistu!

CALANNA – A propositu. All’autru jornu si lamintau ca ci spanni acqua d’’u purtusu ca c’è sutta ‘u finistruni.

COCIMA – Forsi è Nzina quannu lava ‘u pavimentu.

CALANNA – (rivolto a  Nzina) M’’u voi spiegari comu fai a lavari?

COCIMA – Ma chi voi fari ‘u cumannanti macari ne sirvizza d’’a casa?

NZINA – Comu fazzu? Comu faceva quann’era a me casa. Pigghiu tri sicchi  chini chini d’acqua e ‘i sduvacu n’’a cammira. Appoi, c’’a scupa ammuttu l’acqua versu ‘u purtusu finu a quannu non si ni va tutta.

CALANNA – E stu travagghiu ‘u fai scausa?

NZINA  - No, mi mettu ‘i stivali!

CALANNA – ‘U voi ‘n-cunsigghiu? ‘A prossima vota cummeni ca ti metti macari ‘u salvagenti! (esce dal fondo)

NZINA – Signura, chissa non l’haiu caputu. Pirchì m’haiu a mettiri ‘u salvagenti?

COCIMA – Pirchì ci po essiri ‘u piriculu ca, assemi all’acqua, nesci macari tu di qualchi purtusu. (suona il campanello) Accuntu vai a grapiri, appoi t’’a spiegu megghiu,! (Nzina esce dal fondo) Ora capisciu pirchì ‘i pedi d’’i mobili stanu nfracitennu tutti! E me maritu m’ha mpapucchiatu c’avemu i mobili malati: ca a cridenza e a l’armuarru ci stanu criscennu ‘i caddi e o cantaranu ci sta pigghiannu ‘a  reuma!

                                                  SCENA TERZA

NZINA – (rientra dal fondo) Arrivau ‘a signura Pipitta Salafia cu so figghia Minnella.   

COCIMA – Falli passari. (Nzina esce dal fondo, da dove, un attimo dopo, entrano Pipitta e  Minnella) Oh, chi piaciri ! (abbracci) Comu mai sta bella mpruvvisata?

PIPITTA – Sappumu c’arrivanu Francesca e Paulu e passamu a salutalli! COCIMA – Sunu fora, a farisi du’ passi. L’haiu dittu sempri, ppi delicatezza siti sempri ‘i primi! Accumudativi. (seggono)

MINNELLA  – Ppi essiri primi facemu ‘a cursa, accussì n’attoccunu ‘i megghiu posti! (ride) Ah!Ah!Ah!

PIPITTA – (adirata) Ridi, ridi ca ’u patri stuppau! Ahu! Si sempri tu, non cangi!(con tono pacato) Me maritu è mpignatu a spurugghiari certi affariceddi c’’u gabillotu... Passa cchiù tardu.

MINNELLA - C’’u gabillotu. Ca voli cumannari comu su fussi iddu ‘u patruni... 

PIPITTA – (alla figlia, con stizza) Tagghiala, accuzzila e finiscila. Ppi forza mi devi fare sdilliriari? Chi c’interessa a signura Cocima d’’u nostru gabillotu?         

MINNELLA – Hai ragiuni, omà.

PIPITTA – (c.s.) Si, haiu ragiuni e m’’a mangiu squarata! (riprendendosi) Chiuttostu, semu cuntenti ca in questi giorni putemu aviri l’occasioni di ncuntrari a Franciscuzza e a Paulu, anzi, all’Onorevoli Paulu, certu, ora è Diputatu. Quant’avi ca mancunu, ‘i carusi?

COCIMA– Quasi du’ anni. Sunu sempri ‘i stissi, parunu ancora ziti frischi. Certu, non videvunu l’ura di turnari n-Sicilia ppi stari ‘n-pocu cu nuatri e truvari l’amici.

PIPITTA – Ma chi bravi carusi ca sunu!

MINNELLA – (sospirando) A mia Paulu m’ha piaciutu sempri, assai... (si blocca dopo un’occhiataccia della madre)

COCIMA - Vi potemu offrire qualchi cosa? Dicemu, ‘n-grapi pitittu! Chi facemu purtari? V’’a damu caura, frisca, duci, amara, annunca menza e menza!

MINNELLA -  No, grazie, non si cardaciassi!

COCIMA - Ci sonu a cammarera (tira il cordone del campanello) Oramai, di quant’avi che ci hanno impiantato questo cordone, non c’è bisognu di fari vuci.Prima, ‘a servitù, faceva finta ca non sinteva e avevi voglia di scannarozzariti.‘U ciatu se ne andava di longu e longu e la voce ce l’avevo sempre arriciatata. (siede) Ora, osentunu o sentunu, scusi non n’hanu cchiù! Abbiamo arrifriscato!

                                            SCENA QUARTA

NZINA – (entra da sinistra) La signora chiamò a mia ?

COCIMA – Chi pobblema, ahu! A mia, a tia! Sunu dumanni ca si fanu? Eh? Chiamai e basta! Siti cincu ddà banna, fra maggiordomu, cocu, sirvizzeri e cuccheri. Cu è libiru veni! (a Pipitta) Signura cara, certi voti non ni pozzu cchiù! Mi cuntintassi fari tutti cosi sula, per non anningari a nuddu!

PIPITTA - Oh, come la capiscio! Con le cammarere bisogna avere un polso, ma un polso, di quello malandrino!

MINNELLA – Ppi mia ‘n-bicchieri d’acqua cu ‘na sbrizziata di zammù.

PIPITTA – Macari ppi mia! Però, lo gradirebbe... annacato!

COCIMA – Come lo voli?

PIPITTA – A n n a c a t o! Come si usa ne’ migliori ciospi di Catania.

MINNELLA – Bih, veru, macari ju lo voglio annacato! Posso, vero?

COCIMA – Ma ci mancassi autru! Solo che, essendo che nell’ultimi tempi non haiu avutu tempu di frequentari o spissu ‘i ciospi, arristai arreri e ‘a storia dell’annacamentu l’ho sautata.                                     

MINNELLA – Comu? Non canusci ‘a vivuta c’’u l’annacamentu? Ma se la sanno anche cani e porci! Bih! Mi sta facennu macari maravigghia!

PIPITTA – (alla figlia)Statti muta, n’’a fari cunfunniri! (a Cocima)Non si stranizzi. E’ semplici semplici. Si pigghia ‘n-bicchieri cu l’acqua, si c’abbia una bella sghicciata di zammù, si duna una annaculiata o bicchieri, accussì, (imitata da Minnella,  fa ruotare due volte un immaginario bicchiere, accompagnando il gesto con gridolini) oh, oh, oh..... appoi, si chiudunu l’occhi e, hop là, si lo tumma (sempre assieme, fanno il gesto di bere e chiudono gli occhi, con goduria) Aaaah! (con la manica del vestito si puliscono le labbra)

COCIMA – Tumma?

MINNELLA – Si, si lo colla, si lo cafulla, vah!

PIPITTA – (fra se) Non c’è peggio di quannu vanu a scola!

COCIMA – Ma comu, non s’arrimina cchiù c’’a cucchiarina?

MINNELLA – Ca quali! Una vota! E chissu è ‘u truccu: c’’a semplici annacata (muovendosi c.s.) tutto il zammù si agghiumma e ne’ cannarini c’arriva di botto una vampa c’arriciala ppi tutta ‘a jurnata.    

PIPITTA-MINNELLA – (c.s.) Aaaah! (si puliscono c.s.)

COCIMA –Allura, Nzina, bicchieri d’acqua e zammù per tutti, (guarda le signore presenti con un sorriso ironico) a quelli delle signore ci duni ‘na bella annacata, accussì. (ripete il movimento di prima delle due donne).

PIPITTA-MINNELLA – (c.s.) Aaaah! (si puliscono c.s.)

PIPITTA – Signora Cocima, se pirmetti, io, me lo voglio annacare da sola. MINNELLA – Bih, allora macari ju me lo annaco personalmente da sola a sola.

COCIMA -(a Nzina) ‘I sintisti alle signore? (con decisione, marcando le parole)Annacata ppi nuddu! (a Pipitta) Certu è ca di questi tempi il progresso non si teni cchiù, s’’a sta facennu di cursa. Cu ni l’ava a dire ca aumu arrivari a vivirini l’acqua e zammù cu l’annacata. Su turnassi me nannu...

                                                SCENA QUINTA

CALANNA – (entra dal fondo) Oh! La bellezza della signora Pipitta! (accenna un baciamano) La cara Minnella! Chi dici ‘u zitu?

MINNELLA – Crisci!

CALANNA – Bene, bene!    

COCIMA – (a Nzina rimasta immobile) Nzina, non capisciu pirchì stai ddocu mpalata comu ‘a statua d’’a tapallara! Prima d’aviri tannicchia d’acqua dobbiamo appilari d’’a siti? Ma ci senti, almenu?

NZINA –Signora, di sentiri sentu macari chiddu ca lei non dici. A mia non mi costa nenti purtaraccilla, ma, il pobblema è... ca...pozzu parrari a quattro e quattru ca fanu ottu?

COCIMA – Ca certu, su ti veni megghiu, macari a sidici e sidici ca fanu trentasei. (decisa) Parra!

NZINA - (scandendo ogni frase) Zammù, n-casa, non n’avemu!

COCIMA – (imitandola) Oh, oh, oh! Comu, non n’avemu?  (normale)Ma da dovi ti vengono certi papalati. Nella ispensa ce n’è ‘n-bottiglione sanu! Accattato da me medesima nella potia di Cocimu il minnico. (a Pipitta) Lei, la conosce questa potia? Quella all’angulu con la vanella di l’Allattumati, vicino al pizzicagnolo...

PIPITTA – Comu ‘u sanu sentiri a chissu?

COCIMA - ‘U baccalaruso. Ci ha uno di tuttu e anche di più!

MINNELLA -  Si, macari nuatri jemu ddocu!

COCIMA – (a Nzina)Ma che ppi forza mi debbo susiri e andari di persona a prendere il zammù? (si alza)Veni con me, vah, che ti faccio vedere ca di quantu n’avemu ti ci poi fari il pediluvio e, di chiddu c’avanza, ti poi sgrasciari n’autra cosa ca ppi bona creanza non pozzu muntuvari! (con forza) N’avemu zammù!… Autru su n’avemu! Amuninni, vah! Annachiti! (esce a sinistra assieme a Nzina che ancheggia vistosamente)

PIPITTA – A me casa è ‘a stissa cosa. ‘I criati, scanzatini, cchiù ‘i tratti boni e cchiù si pigghiuno ‘u jitu, ‘a manu e macari ...

MINNELLA – Li peri! (occhiataccia della madre)

CALANNA – Si deve usari ‘na vota ‘u vastuni e n’autra vota ‘a carota: chissa è ‘a giusta midicina !

PIPITTA – ‘A carota ? Bih, questa non la sapevo c’aggiuvava macari ‘a carota.

MINNELLA - E comu si fa, soffritta o a ministrina?...

CALANNA – Comu c’appitisci ‘u cori!               

MINNELLA – Omà, non ti scurdari ‘a littra pp’a za’ Cuncittina!

PIPITTA – (sorridendo alle parole della figlia) Ca quali littra, chi ci ncucchiarii tu n’autra? E morti si ci ponu mannari mai ‘i littri? Chi c’è l’ufficiu pustali n-Paradisu? E poi, cu c’’i leggi? Chi franchebullu ci vulissi? (mima una misura esagerata) Tantu? Che babba sta carusa! Si chiama negro-rològio.

MINNELLA – Bih! ‘U niuru cc’’u ruloggiu!

PIPITTA – (dopo un’occhiataccia alla figlia, si rivolge a Calanna) Cavaleri, ci vuleva addumannari ‘n-favuri. Me cugnatu Prospiru, pp’arricurdari a tutti ca dumani fa ‘n’annu ca ci morsi ddà santa di so muggheri Cuncittina...

MINNELLA – ...Cu nasci è beddu, cu si marita è bonu, cu mori è santu...

PIPITTA - (solita occhiataccia) Me cugnatu, diceva, siccomu è scognitu di scola, mi fici priparari du’ paroli ppi falli stampari nto giurnali. Chi fa, mi c’’u duna lei ‘n’occhiu su vanu boni?   

CALANNA  – Ah, ‘n-necrologio.                                        

PIPITTA– Pirchì, ju chi dissi? Allura, (legge con voce commossa, mentre Minnella emette gridolini e mima il contenuto della lettera) Cuncittina, un anno è passato da quando all’improvviso ti accalasti e abbuccasti il capo della testa annarreto. E quando io ti addomandai “Che c’hai Cuncittina?”, tu con gli occhi chiusi a pampinella mentre salivi al Cielo mi arrispondesti “Mi gira la testa” e non parlasti più. (singhiozza, assieme alla figlia) Sei sempre nei nostri pensieri. Con stima, ti salutano e ti abbracciano, tuo marito Prospero e i tuoi figli Beato, Fortunato, Serena, Felice, Benedetto e Fausto, che sei mesi fa è partito a sordato. (a Calanna) Chi ci ni pari?

CALANNA – Nsumma! Non si po nijari ca il messaggio è chiaru e cummuventi. Cu no voli capiri no capisci, cu nveci ‘u capisci sugnu sicuru ca ci fa effettu!

MINNELLA – E chi è purganti?

                                                     SCENA SESTA

Rientrano Cocima e Nzina, con vassoio e bicchieri

COCIMA–(appena esce Nzina, siede) Ora vi faccio arridere! Ni putevumu capire mai con Nzina? Ppi idda il zammù si chiama anici e basta! Hai voglia d’insistere! E’ il zammù, ci dicevo io! No, è l’anici, arrispunneva idda! Alla fine, ci ho dato una tagliata e via. Nella mia posizione, ho pinzato, mi posso mettere ndichetta con una accussì dozzinali? Mai Maria!( Pipitta e la figlia ruotano i bicchieri c.s.)

PIPITTA-MINNELLA – (esagerando c.s.) Aaaah! (si puliscono c.s.)

COCIMA - Basta ca sanu tèniri ‘a scopa nte manu si sentunu cammareri fini.

MINNELLA - Nenti, sunu e restunu scecchi gnuranti. Ni putemu mettiri a farici scola a loro, chi ce lo ha tutto questo tempo. Fra provi na custurera, parruccheri, catasta di beneficenza…

CALANNA – Canasta…

MINNELLA - Oh, oh, oh! Mi scappò catasta…E poi, sciampagnate cogli amici di questo novo circolo…quello col servizio accutturatu...

COCIMA – ...Si, a focu lentu!

CALANNA - Acculturato!

MINNELLA – Comu si chiama? Il…lo…la…

CALANNA - ..I, gli, le. E chissi sunu l’articuli !

PIPITTA – Bih, mancu a mia mi veni ‘u nomu...botta d’acitu, comu si chiama ?

CALANNA – ‘U capii, ‘u novu Circulu d’’u Sinnucu Perciapalle.

PIPITTA – Ah, c’è infilato anche lei, Cavaleri, in questa novo clebbiti?

CALANNA – No, però, mi n’hanu parratu.

PIPITTA – Per entrarci, ci hanno pregato in ginocchio. Ci abbiamo dato una bella offerta, non mi ricordo se per impiantare un bifatrofio novo di zecca o una fabbrica di cuncimi di seconda mano...

MINNELLA – No, è o cuntrariu, ‘u bifatrofiu era di secunna manu e ‘a fabbrica di cuncimi nova di zecca...

PIPITTA – (con stizza, alla figlia) Tagghiala, accuzzila e finiscila!...Ppi chissu ‘i giuvinotti appena ti canusciunu bona bona votunu bordu. (pausa, poi con calma) E, come ci dicevo, in questo Circolo, ci abbiamo entrati come soci. Ma pirché non ci trasi anche lei ?

CALANNA – No, grazie.

MINNELLA - Avaia, Cavaleri. Basta che parra e nuatri.... Vero omà?

PIPITTA – Ca certo, chi voli diri, che abbiamo pobblemi noi! Ppi lei questo e anche l’altro. Palli, se avi bisogno di una ammuttata, semo a disposizione.

MINNELLA - Parrassi, Cavalieri, e ce lo infiliamo noi, di botto, non si abbarruassi!

CALANNA – No, troppu gentili!

COCIMA – (con ironia)  Forza di ddocu, trasici, apprufittini di st’ammuttunu!

MINNELLA – Fanu certi rinfreschi! C’’u me zitu n’arrichiamu a pistiari!

PIPITTA -  Ma taliassi che il club è pieno di persone serie e timurate di Dio. C’è il Conte Salarato, l’ingegnere Cupicchietto, per non parlare poi del notaio Pellerito, del direttore di banca Boria Boria e tanti autri che non m’arricordo. Ma se voli, ci pozzo leggiri l’elencu cumpletu d’’i tissirati, c’è l’ho nella vurza!

CALANNA – No, grazie!

PIPITTA - Insumma, tutta genti mpurtanti, ca vali… Certu, na bona parti è nfumata, si cridi Dominiddiu, ma a mia non m’interessa...

MINNELLA – Mancu a mia... Nuatri jemu pp’’u nostru filagnu, ni facemu ‘i caddi nostri...(dopo la solita occhiata della madre, come se volesse scusarsi) Bih, mi scappau! Vuleva diri, ca ni facemu sulu l’affari nostri.

PIPITTA - Di bonu ‘u sapi chi c’è? Ca quannu unu di nuatri avi bisognu, tutti curremu ppi darici ‘na manu. Comu si dici, ‘na manu lava l’autra… vah! Lei mi capisci.

CALANNA – E’ appuntu pirchì ‘a capisciu ci vogghiu pinzari.

PIPITTA – Minnella, amuninni ca si fici tardu. Susiti! Voli diri ca ppi salutari ‘i carusi turnamu n’autru jornu.

CALANNA – Sempre a disposizioni. Anzi, su vi fa piaciri, ‘a prossima vota, vi firmati a pranzu. Va beni?

MINNELLA –Sta pinzata mi piaci. Allura, mi portu macari o zitu. Iddu, quannu c’è di mangiari ci godi troppu, anzi troppissimo.

PIPITTA – Tagghiala, accuzzila e finiscila. (esce dal fondo, assieme a Calanna e alla figlia )

                                           SCENA SETTIMA

FRANCESCA – (entrando da sinistra) Bonasira mammà.

COCIMA – Oh, Francesca, v’arricugghistuvu finalmenti?

FRANCESCA – Ma chi c’avi ‘a signura di cca sutta? Avi ‘na jurnata ca si murmuria.

COCIMA –  Nenti, sarà ‘u primu caudu ca c’acchianau n-testa. Allura, ancora non m’ha cuntatu nenti. Comu ti trovi a Roma? Chi fai ?

FRANCESCA – Chi voi ca ti cuntu, ppi mia non cangiau nenti, fazzu ‘i stissi cosi ca faceva cca. Roma è assai bella, ma non c’’a cangiu c’’a Sicilia.

COCIMA – Brava! Unni ‘a trovi ‘na terra cchiù bedda d’’a nostra?

                                         SCENA OTTAVA

DON ANGELO – (entra dal fondo) Pozzu trasiri o m’haiu a fari raccumannari?

FRANCESCA – Oh, don Angilu (si abbracciano)  

COCIMA – Passu ddà banna a dari disposizioni pp’’u pranzu (esce a destra)

DON ANGELO – (a Cocima)Bongiornu. (osservando Francesca) Si’ sempri ‘a stissa.

FRANCESCA – Non è veru, sugnu du’ anni cchiù vecchia.

DON ANGELO –E Paulu?              

FRANCESCA – Grazii a Diu, sta beni.           

DON ANGELO – Mi ni cumpiacciu! Comu si trova ddà?

FRANCESCA – Benissimu! ‘U sapi comu è iddu, non sta fermu ‘n-minutu, ma è assai cuntentu di chiddu ca fa. Certu, ‘i primi tempi, ‘u so impegnu pp’’a Sicilia desi fastidiu a tanti, ma appoi alleggiu alleggiu, rinisciu a guadagnarisi ‘a stima e ‘u rispettu di tutti. L’autru jornu, tuttu filici, mi dissi ca, a Cammira, qualsiasi diputatu, appena muntuva ‘u nomu d’’a Sicilia, talia a iddu.

DON ANGELO – Bellissimu! Chissu voli diri ca ‘a Sicilia è sempri prisenti e Paulu è  ricanusciutu comu so rapprisintanti.         

FRANCESCA – Accussì è! ‘Na sira vinni a truvallu macari ‘n-pezzu grossu d’’u Guvernu, stesunu a parrari cchiù di du’ uri; poi, Paulu mi dissi ca c’ava offrutu ‘na carrica mpurtanti.

DON ANGELO – S’’u vuleva accattari! 

                                                      SCENA NONA

PAOLO – (entra dal fondo) ‘A puzza ca c’è ‘n-parrinu si senti d’’u curtigghiu! Don Angilu, beddu spicchiu d’agghiu, comu jemu? (si abbracciano con affetto)

DON ANGELO – Cerca di purtarimi rispettu, annunca mi levu ‘a tonica e t’’i sonu di mala manera! Onurevuli, ppi casu voi essiri numinatu Cavaleri?

PAOLO – Cavaleri? E pirchì?

DON ANGELO – Pirchì, all’autru jornu, ‘n-cullega to, o Parlamentu, dissi  ca n-Italia addivintau facili facili essiri numinatu Cavalieri, basta pigghiarasilla che parrini!

PAOLO – No, a mia ssu titulu non m’interessa. Me nannu mi lassau dittu ca non cummeni mai mittirisi contro a chiddi ca portunu ‘a tonica, pirchì po essiri piriculusu!

DON ANGELO -  Mizzicaredda, addirittura piriculusu!

PAOLO – Ppi forza, pirchì non sulu siti ‘na putenza cca sutta (indica il suolo), ma cu l’amicizia c’aviti cu chiddi di ddà supra (indica il cielo) si po rischiari di passarasilla mali ppi tutta l’eternità.

DON ANGELO – Ma quantu si’ spiritusu! Allura, chi mi cunti di bellu? Chi si dici o Parlamentu?

FRANCESCA – Megghiu ca mi nni vaju, prima ca attaccàti a parrari di pulitica (esce a destra)

PAOLO – O Parlamentu c’è di tuttu, pari ‘n-circulu equestri. C’è cu arrobba senza problemi pirchì, avennu ‘a riti di sutta, casca sempri a ditta, cu fa jochi di pristigiu e pigghia ppi fissa a tutti, ppi non parrari di chiddi ca parunu ammaestrati, comu certi cani. Nsumma, è ‘n-divertimentu cuntiniuu! Anzi, mi meravigghia comu mai, ppi trasiri o Parlamentu, non fanu pavari ‘u bigliettu, comu o tiatru!

DON ANGELO -  E a tia chi parti ti desunu? Chidda d’’u camiddu?

PAOLO -  No, fazzu (con enfasi) il domatore di leoni intra ‘a jaggia (fa il verso del leone). ‘N-postu piriculusu, unni si deve stare sempri cu l’occhi aperti ppi non farisi sbranari. ‘I primi tempi qualche muzzicuni m’’u stavunu chiantannu, ma oramai mparai a canusciri ssa speci d’animali e sunu iddi ca si scantunu di mia. Però, ‘a frusta ’a portu sempri appressu, non si sa mai ca qualche belva nesci fora e m’azzanna, comu stava succidennu tempu fa. (si accomodano)

DON ANGELO – Ma era firoci, ssa bestia?  

PAOLO – Firocissima! Fiuriti ca era accussì brutta ca ppi non farimi scantari si travistiu di Ministru. Dopu du’ uri ca circau di spiegarimi chiddu ca è giustu e chiddu ca è sbagghiatu, mi fici l’offerta ca su ju ‘a fineva di fari ‘u dumaturi, mi numinava cumannanti d’’i nani e d’’i ballerini!

DON ANGELO –Macari d’’i ballerini? Mih! Ti putevi sistimari ppi sempri. E tu chi facisti?

PAOLO – Ci mustrai ‘a frusta e, sia ‘u Ministru ca ‘u liuni ... stanu ancora fujiennu!

DON ANGELO – E d’’a Sicilia chi si dici o Parlamentu?

PAOLO - ‘A Sicilia, ppi iddi, avi sulu ‘n-problema,’a mafia, ‘u restu va ottimamenti. E’ veru ca manca di tuttu, diciunu, ma sistimata ‘a custioni di l’ordini pubblicu, tuttu s’abbersa. Chi sensu avi fari strati, scoli, spitali e fugnaturi, su appoi vanu tutti n-manu a mafia? Perciò, finanziamenti, picca e nenti! Accussì ragiununu! E Crispi di mafia ni capisci!

DON ANGELO –Certu, ‘a mafia è piriculusa assai, ma chiddu ca fanu a Roma è ‘n-ragiunamentu c’affossa ‘a Sicilia! Spetta a iddi vigilari a cu vanu l’appalti. E comu su dicissi: non nesciu, pirchì su chiovi mi pozzu vagnari o non mangiu, pirchì mi po aggruppari. Ma chi voli diri? Accussì ‘u dispettu c’’u fanu a Sicilia e a ‘i siciliani e no a mafia. Nveci, ‘i canteri s’hanu a grapiri pirchì portunu travagghiu e benessiri. ‘U capisci macari ‘n-picciriddu ca ‘a mafia si po battiri sulu cu l’istruzioni e ‘u travagghiu ppi tutti.  

PAOLO - Ma no fanu ppi mali, mischineddi. Siccomu sanu ca nuatri siciliani avemu tanta pazienza, s’’a pigghiunu cu calma.Chi c’è primura? Fari ‘n-spitali, ‘n-seculu prima o ‘n-seculu dopu, chi cangia?

DON ANGELO– (con sarcasmo) Certu, n’’u putemu pirmettiri! Ma non c’è di farisi maravigghia pirchì sempri accussì ha statu. Nuatri, caru Paulu, amu avutu a disgrazia di stari sempri sutta ‘n-patruni, ca s’ha chiamatu guvirnaturi o annunca principi, vicerè, eccetra, eccetra. Ca avutu l’abilità di non farini arraggiunari c’’a nostra testa, ca n’ha dittu chi cosa era giustu fari, chi cosa aumu a cridiri e cu era ‘u nimicu ca s’ava cummattiri. Ma soprattuttu, n’ha nsignatu a sumpurtari ‘a fami e ‘a miseria cu rassegnazioni, comu sumpurtamu ‘u ventu o ‘u sciroccu. Tali e quali.    

PAOLO - Comu su fussunu cosi naturali, ca c’hanu a essiri ppi forza.

DON ANGELO- Hanu avutu sempri l’abilità di amministrari ‘a rassegnazioni, inchennuni ‘a testa cchi soliti riturnelli. Cu ccu t’’a pigghi su ‘a malasorti non ti fa truvari travagghiu? Chi ti ribelli a fari su è distino ca ‘i cosi hanu a jiri ppi forza accussì e non ponu canciari? Ca jisi a fari a testa? Tantu, a fini, ‘n-patruni t’attocca sempri! Autru non ti resta, allura, ca rassignariti, aviri pacenza e sumpurtari, macari su si trattatu peggiu di ‘n-animali.

PAOLO – Non c’è dubbiu ca ‘a nostra storia ‘a sanu macari ‘i guvirnanti attuali, pirchì, siccomu ci pari mali cangiari, ni stanu cuntinuannu a trattari c’’u stissu metru di sempri. Tu ‘u sai quantu spenni ‘u Statu, ppi ogni sicilianu, ppi fari opiri pubblichi, comu strati, ponti, casi, porti e scoli?

DON ANGELO – No!

PAOLO – T’’u dicu ju! 19 liri, ppi ogni abitanti. Mentri ppi unu ca sta nta Liguria 71 e ppi unu ca sta nto Laziu 93 liri.

DON ANGELO – Ma non c’è proporzioni, 19 liri contru 93!

PAOLO - E ppi fari travagghi di bonifica idraulica? Ca veni a diri acqua pp’abbivirari ‘i campagni,  ppi viviri e lavarisi? Non ti sfurzari, è semplici! Pp’’u Venetu 55 liri, ppi l’Emilia 45 e pp’’a Sicilia 37...( sollecitando la risposta)

DON ANGELO – Liri!

PAOLO – No, centesimi, 37 centesimi ppi ogni abitanti! Ca significa chiaramenti: su non v’abbastunu, arrangiativi. Pozzu cuntinuari?

DON ANGELO – No! Basta taliarisi attornu ppi capiri ca ‘u Statu ppi nuatri avi pocu nteressi. E su non n’arrusbigghiamu prestu, tra cent’anni ‘i problemi saranu ‘i stissi di oggi, su non peggiu! Ppi nuatri, ‘u veru Risurgimentu ancora ha veniri!

PAOLO- A propositu, ‘u sentisti chiddu ca sta facennu ddu parrinu di Caltagiruni?

DON ANGELO – Oramai ‘u sanu tutti. Sta facennu bellu travagghiu! Certu, ‘a cosa sta disturbannu a tanti, ma iddu va avanti comu ‘na litturina, organizzannu centri d’assistenza suciali, cassi rurali e cuperativi. ‘N-jornu di chisti l’haiu a jiri a  truvari.

PAOLO -  C’hai persu tempu!   

                                             SCENA DECIMA

COCIMA - (entrando  da destra) Ma comu, ancora cca siti?.

PAOLO – ‘A curpa è di stu parrinazzu. Don Angilu, passamu ddà banna. (esce a destra assieme al sacerdote)

                                           SCENA UNDICESIMA

NZINA – (entra dal fondo) Signura, arrivau ‘u Sinnucu Perciapalle cu so muggheri, ‘a Barunissa, e don Felici.

COCIMA – Falli passari! (Nzina esce dal fondo e ritorna in scena assieme ai nuovi venuti)

PERCIAPALLE – (baciando la mano a Cocima) Signora, chi piaceri rivederla.

COCIMA – Il piacere è tutto mio (abbraccia la Baronessa). Accumudativi (seggono)

BARONESSA- Cuntenta c’arrivanu ‘i spusini?

COCIMA – Cuntintuna!

BARONESSA - Comu s’’a passanu a Roma, ‘i carusi?

COCIMA – Appustuni! Paolo, comu diputatu, s’’a fa tuttu ‘u jornu Parlamentu Parlamentu e Francesca, ddà figghiaredda mia, abbada a casa. Certu, non è comu stari ‘n-Sicilia, però pianu pianu si stanu abituannu. Chi voli, ‘na vota      nesciunu cu ‘n-cullega diputatu, n’autra vota c’’u primu ministru. Appoi......

BARONESSA - ...C’’u re, c’hanu....

COCIMA – C’hanu nisciutu? No, ancora c’’u re no! Ma non manca a iddi, prima o poi...

BARONESSA – Certu, certu! No, ‘a dumanna mia era su c’’u re c’hanu parratu!

COCIMA -  Garantitu! Ormai, nna tuttu stu tempu, lei chi penza ca ‘u riuzzu, sapennuli suli suli a Roma, non si c’ha fattu sentiri?

BARONESSA – (con ironia) Ca sicuru, ‘u re a sti cosi ci teni, appena sapi ca a Roma c’è qualcunu senza nuddu, subitu subitu, pigghia ‘u telefunu pp’addumannarici su avi bisognu di qualchi cosa. 

PERCIAPALLE – E il nostro Cavaleri?  

COCIMA – E’ ddà banna.

PERCIAPALLE – Non c’ha statu versu di putirici parrari! Cara signuruzza, come lei sicuramente saprà, grazii all’incuraggiamentu di sua Eccellenza ‘u Prifettu, abbiamo aperto in cità un Circulu culturali. A soci non ni putemu lamintari, ci sunu tutti ‘i megghiu galantomini. Ancora, però, ni manca ‘u megghiu pezzu: so maritu! Ci l’haiu mannatu a diri, ma iddu ancora non m’ha datu risposta. Avillu comu sociu, ppi nuatri fussi comu...che debbo dire...ecco...comu aviri ‘a ciliegina supra ‘a torta.

COCIMA – (ride) Ah! Ah! Ah!

BARONESSA – E pirchì sta arridennu?

COCIMA – Pinzava a me maritu, ca trasennu nta ssu Circulu addivinta di bottu ‘na ciliegina! C’’u sapi comu ha pariri beddu! (ride) Ah!Ah!Ah! No spustati, ppi carità, lassatulu unni è, supra ‘a torta!

PERCIAPALLE – (confuso)L’invitu vali macari ppi lei, so figghia e so jennuru, l’Onorevoli Paolo.

COCIMA – (continuando a ridere) E nuatri chi putissimo fari? ‘I bigné o ‘a frutta candita?

BARONESSA – (con ironia) Ma quantu è simpatica, ‘a signura!

COCIMA – (tutta dolce) Grazii, troppu gintili! (alla Baronessa) Chi dici ‘a muggheri d’’u Prifettu, ‘a calabrisa, sacciu ca siti sempri nzèmula.

BARONESSA – Bona, bona, è. (minimizzando, con malcelata soddisfazione) Sempri assemi...dicemu ca ni videmu ogni tantu...  

PERCIAPALLE– Avaja, a signora Cocima c’’u poi diri  ca vi spartiti ’u jornu c’’a notti.

BARONESSA – Non mai comu a tia c’’u so maritu: ‘n-passu tu, ‘n-passu iddu. Addivintastuvu megghiu d’’i frati, c’‘u Prifettu.

COCIMA – Nsumma, ‘na bella amicizia.

PERCIAPALLE – Certu, chi c’è paraguni cu chiddu ca c’era prima. ‘U piemuntisi, era sulu ‘n-balluni vunchiatu!

FELICE – E a so muggheri unni a mittiti, non v’’a ricurdati? Scanzatini, chi caratteri c’aveva. Quannu parrava non taliava mai nta facci e su qualchi vota ‘u faceva, c’‘u l’occhi ti mannava a diri ca ti stava facennu ‘n-favuri.

BARONESSA -  Chi era bedda, salaratu!

PERCIAPALLE – Pareva ‘n-manicu di scupa c’’u caratteri di ‘n-marruggiu di picuraru!

FELICE – Marruggiu cuntinintali, però!

BARONESSA – Certu, cuntinintali! (imitando la parlata continentale) Che schifo, che schifo n-Sicilia è tutto uno schifo, non vedo l’ora di tornarmene nel mio bel Piemonte!

FELICE -  Di quant’era sdisiccata ‘a sapevunu sentiri “’a vecchia di l’acitu” e tuttu pareva tranni ca ‘na fimmina. Tantu ca me muggheri mi cuntinuava a ripetiri: “Ma si sicuru ca a prifittissa Bovis apparteni al sesso debole?”

COCIMA – E lei pirchì non c’’u dumannava all’interessata o annunca...a  scummigghiava?

FELICE –Ca certu ca è fimmina, ci diceva ju, porta ‘a vesti! E idda: bih, chi voli diri, non è ca chiddi ca purtati ‘i causi siti tutti masculi!

PERCIAPALLE – Certu, megghiu di to muggheri cu ti po canusciri?

COCIMA  – Che simpatica so muggheri.

BARONESSA – Ascutati chista. ‘N-pomeriggiu, Bovis e so muggheri, ni vinnunu a truvari a casa. Allura, ppi farici cosa gradita, fici priparari d’’u nostru munzù ‘na bella tavulata di cosi sfiziosi. ‘A Prifittissa, prima fici ‘a stinchiusa, appoi, tantu p’accittari, si cafuddau menza nguantera d’arancini caudi caudi, ‘na bedda fedda di cassata, menza duzzina di cannoli c’’a ricotta e quattro sfingiuni tanti (fa la mossa). Appena appi ‘a vucca leggia, accuminciau a sintinziari ca l’arancini e ‘i sfingiunu (imitando la parlata continentale) erano oltremodo grossolani e ‘i dolci, mai e poi mai, potevano competere con i gianduiotti di Turinu. (a Cocima con tono normale)‘U capiu? Appoi, senza vulillu, mi misi addunu ca, ammucciuni, s’ava jinchiutu ‘a borsa di arancini e cannola!

FELICE – Ora, sarà cuntintuna di mangiarisi (imitando la parlata continentale) i gianduiotti o so paisi!

                                                 SCENA DODICESIMA

Dal fondo entra Calanna

CALANNA – Oh, chi bella sorpresa (bacia la mano alla Baronessa)

COCIMA – Parraumu propriu di tia! (ride) Ah!Ah!Ah! ‘U sai ca...

PERCIAPALLE– (interrompendo Cocima) Carissimu Cavaliere, in qualità di Presidente, sono venuto a sollecitare la sua adesione al Circolo Culturale  “Amici e fratellanza”.

CALANNA– Grazie Sinnucu. Ci vulissi pinzari megghiu.

FELICE – E chi c’è di pinzarici?

PERCIAPALLE -Ci dicu sulu ca ‘n-cità, di chiddi ca cuntunu, manca sulu lei. E’ ‘n-Circulu di cappeddi, no di coppuli!

CALANNA -  Lei, caru Sinnucu, cu mia è troppu bonu, ‘i so primuri non m’’i meritu. ‘U sacciu ca è ‘n-circulu mpurtanti, n-cità non si parra d’autru, comu mpurtanti sunu ‘i galantomini ca ‘u frequentunu. Anzi, ci pozzu diri ca, cu ccu parru parru, tutti volunu cuntu e ragiuni pirchì ancora non sugnu scrittu o Circulu d’’i...fratelli...

FELICE – (puntualizzando) ...”Amici e fratellanza” !

CALANNA – All’autru jornu macari ‘u Prifettu mi ni parrau....e comu nsisteva!

PERCIAPALLE – Chissu pirchì ‘u vulemu beni e semu cunvinti ca ccu nuatri non c’’a appizza né lei e mancu so jenniru...

CALANNA – Chi c’entra me jenniru?

PERCIAPALLE –Pirchì, ‘u so Cullegiu Elettorali non è forsi chistu? Ascutassi a mia, scrivennusi non si nni penti! Trova sulu amici fidati!

CALANNA – Certu, chi c’è dubbiu, sulu amici fidati!

COCIMA –Varda varda chi ciliegina arrisuluta, non c’è cchiù munnu! Tutti erunu pronti a spartirasilla ma, siccomu è di razza sarvaggia, nuddu arrinisciu a nguantalla (al marito) E’ veru?

CALANNA – E ju chi ci trasu?

COCIMA – Tu?....E m’’u cunti a mia? Amuninni ddà banna, ca ci sunu ‘i carusi.

PERCIAPALLE–Passati avanti.Vinemu subitu.(Si alzano tutti.Dopo che Cocima, la Baronessa e Calanna escono a destra, Perciapalle e Felice risiedono)

FELICE – E’ ‘n-pocu ustinatu, ‘u Cavalieri Calanna.

PERCIAPALLE – No fa ppi mali, è ‘n-povuru illusu, ca cridi a chiddu ca si nsonna! ‘A nostra Associazioni ppi iddu è comu su fussi ‘u diavulu e non c’è putenza umana di farici cangiari opinioni.   

FELICE - Ognunu è patruni di cumplicarisi ‘a vita comu voli.

PERCIAPALLE –Di quant’avi ca Paulu è diputatu, Calanna sballau di testa. E’ sempri assemi a ddu parrinu ca, salvannici ‘u sacramentu di l’Ordini, è ‘n-capuraisi d’’a megghiu manera.

FELICE – E ancora non sapi ca so jenniru oramai è o capulinia, ca tempu di stari a Roma ci n’arristau picca e nenti, giustu chiddu di mangiarisi ’n-gilatu e basta.

PERCIAPALLE– Certu, ‘u duttureddu Paulu oramai finiu di fari l’Onorevuli. M’arrisulta ca, siccomu a Cammira c’hanu fattu vinciri qualchi battaglia, si muntau ‘a testa e cuntinua a fari sgrusciu assemi a ‘n-pugnu di Diputati ca ci vanu appressu. Ma ‘a cosa cchiù gravi è ca, cu ‘na gran faccitosta, cuntinua a mancarici di rispettu a certi diputati ca ppi sustanza putissunu essiri i so patruni.

FELICE – ‘U Prifettu dissi ca i prossimi candidati hanu a essiri affidabili o centu per centu.

PERCIAPALLE – Mi dispiaci ppi l’amicu Prifettu, ma tannu, ‘na bona parola ppi prisintari a Paulu c’’a misi macari ju. Era cunvintu ca, comu ava successu cu l’autri, alleggiu alleggiu, macari a iddu c’avissunu calmatu ‘i bollenti spiriti. E nveci.... E va beni, ormai è fatta! (si alza, seguito da Felice)

FELICE – Avaia, Sinnucu, ma pirchì ni stamu abbiliannu, oramai è storia passata. Chiddu ca nveci cunta è ca ‘a dicisioni di prisintari a vossia comu diputatu è già pigghiata! 

PERCIAPALLE – Si, ma non è ancora ura di parrarini pubblicamenti. A vogghiu vidiri ‘a facci d’‘u Cavalieri Calanna quannu senti sta nutizia?

FELICE – Ci pigghia ‘n-corpu!

PERCIAPALLE - L’impurtanti è ca doppu non venunu a chianciri, pirchì non ci nesciunu nenti. ‘U fattu è fattu!

FELICE –Ragiuni avi!

PERCIAPALLE -  Lassamu perdiri ssi fissarii e parramu di cosi serii. Non m’hai dittu ancora ‘i ntinzioni di Saru Sgro ppi ddi tirreni, chiddi vicinu ‘u Simetu.

FELICE – Sparau grossu!

PERCIAPALLE –E va beni, voli diri ca rispunnemu o focu. Chissu, voli fari ’u spertu cu nuatri! Fallu scantari bonu bonu, finu a quannu non si convinci d’addumannari ‘u giustu, chiddi ca c’abbastunu pp’accattarisi ‘na cartata di luppini. Tantu, sempri ni nuatri ha veniri! Non ti scurdari, appoi, ‘u prituri Siminara, ci fai arrivari ‘i picciuli ca addumannau e ci ricordi ca ddi amici nostri stanu ancora aspittannu ‘u pirmissu pp’’u portu d’armi.Chi fa, c’amu a cangiari ‘a facci cu qualchi cullega so?

                                            SCENA TREDICESIMA

SALAFIA– (entrando dal fondo) Bongiornu. Oh, Sinnucu, circava propriu a lei...

PERCIAPALLE – Don Totò, c’haiu a dari ‘na bella nutizia. ‘U Prifettu, mi fici sapiri, in cunfidenza, ca ddu favuri ca lei addumannau ‘u po cunsiddirari fattu.

SALAFIA – Quali? Chiddu d’’a strata nova?

PERCIAPALLE – Si! Certu, ‘a diviazioni cumporta ‘n-tracciatu cchiù longu e cumplicatu, ma su ‘a strata ha passari davanti ‘a so proprietà, ppi forza accussì si deve fare.

SALAFIA -  Allura, di sta manera, sauta ‘i terri d’’u Cavaleri Calanna!

FELICE - Chi va pinzannu, sauta chiddi ca ha sautari e basta.

SALAFIA – Accomora, ci dicu grazii, ma restu obbligatu cu lei e ‘u Prifettu....

PERCIAPALLE – Lassassi perdiri. Su haiu bisognu, chi fa, lei non si metti a dispusizioni? Chiuttostu, chi m’ava a diri.

SALAFIA – Haiu problemi c’’u gabillotu d’’a “Purciddara”, ’u feudo vicinu a Passupisciaru. Avi ‘n-pugnu d’anni ca sdunau attunna, fa e disfa comu su ‘a pruprietà fussi a so e si rifiuta di pavarimi ‘a gabella.

FELICE – E ‘u mutivu?

SALAFIA – Dici ca ‘a curpa è d’’i malannati...

PERCIAPALLE - E chissa è ‘na fissaria...                                                      

SALAFIA – Mentri, nveci, sacciu ca i picciuli ‘i mitateri ci l’hanu datu puntualmenti. 

PERCIAPALLE – Comu si chiama su galantomu?

SALAFIA – Cicciu Prezzaventu.

FELICE – Beddu cocciu di piru. N’haiu ntisu parrari e m’arrisulta ca è cosa d’ammilinarici ‘i pupi!  

SALAFIA – Di sicuru non è ‘n-santu, però di quant’avi ca c’è iddu n’ha successu mai nenti. Mentri prima arrubbatini e priputenzi erunu una appressu all’autra.

PERCIAPALLE – (a Felice) Cu ccu s’’a fa chissu?

FELICE – Cu nuddu. E’ ‘n-giuvanottu ca ppi sintirisi cacoccila, cumincia a pistari ‘i pedi a cu capita prima.

PERCIAPALLE – Biniditta carusanza! Capisciu ca si voli fari strata, ma prima nformiti cu è ‘a genti. E poi, pistari ‘i pedi all’autri non è mai educatu, ma sopratuttu è azzardusu, pirchì è facili attruppicari e arruzzuliari n-terra.

FELICE - M’arrisulta ca ‘u stissu sirvizzu c’‘u sta facennu a so cucinu, ‘u nutaru Arena, pp’’i terri di Mungiuffi.

PERCIAPALLE – ‘U capii. Purtroppu, ogni tantu, spuntunu certi individui c’’a facci di mpigna ca non hanu rispettu ppi nuddu e vanu all’urbigna. ‘U nostru duviri, essennu cchiù granni e giudiziusi, è allura chiddu di ntirviniri e, pp’’u so beni, cunsigghiarici ‘a  giusta strata, prima ca si struppiunu malamenti.

FELICE – Certu, prima di tuttu i boni maneri...

SALAFIA – E su non capisciunu?          

PERCIAPALLE – Capisciunu, capisciunu!

SALAFIA -  Sinnucu, non c’haiu a diri cchiù nenti.

FELICE – ‘A megghiu parola è chidda ca non si dici.

PERCIAPALLE – Quannu ‘na cosa si po fari.

SALAFIA - Passu ddà banna a salutari ‘u patruni di casa.

PERCIAPALLE – (dopo che Salafia esce a destra). Haiu l’impressioni ca stanu criscennu troppi rami storti. Forsi arrivau l’ura di darici ‘na bella rimunnata all’arvulu, ppi farici pigghiari cchiù aria.

FELICE – Certu, prima ca poi diventa cchiù cumplicatu livarici ‘u dannificu.

PERCIAPALLE –Caru Filici, su non fussi ppi nuatri, ca stamu sempri attenti a tuttu chiddu ca succedi, ca ntirvinemu a risolviri milli custioni, ‘a Sicilia si n’avissi jutu a strafuttiri. Chi valunu re, ministri, Prifetti senza ‘u nostru mpegnu?

FELICE – Nenti, ‘u restu di nenti!

PERCIAPALLE – Travagghiamu a muta a muta, spartennu giustizia a tutti, senza fari sgrusciu e senza pritenniri midagghi! Non n’avemu bisognu! Chi ni facemu d’’i midagghi?

FELICE – Nenti, ‘u restu di nenti!

PERCIAPALLE – Semu fatti di sta manera, è ’a natura ca ni mpastau accussì. A nuatri n’abbasta ‘u rispettu e ‘a ricanuscenza d’’a genti. E ppi chissu nsistu e dicu sempri: lassamili stari quieti ‘i siciliani, lassamili dormiri ‘n-paci, n’’i scuitamu, cu nuatri ponu stari tranquilli, ci semu nuatri ca pinzamu a iddi e a nostra bedda terra! (escono a destra, accompagnati da una musica appropriata)   

                                                 F  I  N  E         

                                               Bibliografia

Le vicende  presentate nella commedia, così come i dati riportati, rispondono alla realtà storica e sono ampiamente documentate dai testi appresso indicati. Per il prezioso aiuto offertomi, ringrazio i loro autori.

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- Franchetti-Sonnino – Inchiesta in Sicilia- Vallecchi

- Grispo-Carbone – Atti Parlamentari- Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876) - Cappelli

- AA.VV. - Storia d’Italia  - Vol. 4  -  Einaudi

- P. K. O’Clery - La rivoluzione italiana – Come fu fatta l’Unità della Nazione – Ares

- AA.VV. – La rivoluzione italiana- Storia critica del Risorgimento- Minotauro

- A.Gramsci – Il Risorgimento – Einaudi

- C.Correnti – Breve storia della Sicilia –  Newton

- AA.VV. -Liberismo e Meridionalismo -  Flavio Pagano Ed.

- Angela Pellicciari – Risorgimento da riscrivere – Ares

- AA.VV. – Miti e storia dell’Italia Unita – Il Mulino

- Nicolò Zitara – L’Unità d’Italia: nascita di una colonia – Jaca Book

- Vincenzo Gulì - Il saccheggio del Sud –Campania bella

- Paolo Mieli – Risorgimento, fascismo e comunismo – Rizzoli

- Antonio Ciano- I Savoia e il massacro del Sud – Granmelò

- Bufalino & Zago – Cento Sicilie – La Nuova Italia

- Gaspare Scarcella -Il brigantaggio in Sicilia – Sicania

-  Lorenzo Del Boca – Maledetti Savoia – Piemme

- L.Sciascia – I fatti di Bronte - Salvatore Sciascia Ed.

- I.Montanelli – L’Italia dei notabili – Rizzoli

- Settimanale “D’Artagnan” – Direttore N.Martoglio -Annate 1893-1894-1895-1896

- Civiltà Cattolica – Annate 1894 e 1896

- F.De Roberto – I Vicerè – Newton

- L.Pirandello – I vecchi e i giovani – BIT

- G.Verga – I nuovi Tartufi – Le Monnier

- G.Verga – Dalle novelle rusticane – Libertà - Mondadori

- Levi – Cristo si è fermato a Eboli- Mondadori

- A.Camilleri -La bolla di componenda – Sellerio

- A.Camilleri -La concessione del telefono – Sellerio

- A.Camilleri – Il birraio di Preston – Sellerio

- A.Camilleri – La strage dimenticata – Sellerio

- A.Camilleri – Un filo di fumo -  Sellerio

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