Fuga in via Borra
Marcello Piquè 2016
Io sono scappato di casa.
Quando avevo tre anni.
All’epoca abitavamo in Via Borra accanto al Monte di Pietà.
Per arrivare a casa nostra si passava da quel bel portone con le colonne di marmo sormontate da un balcone con la balaustra di marmo e le palle; ma la nostra casa non era quella.
Fra il palazzo sulla Via Borra e quello sugli Scali Montepio del fosso di Venezia c’è un bruttissimo palazzo interno che prende aria e luce dalle corti: noi si stava li.
Le scale erano strette, umide, ripide e poco illuminate da lampadine ingabbiate messe dentro nicchie nelle pareti.
La casa aveva stanze enormi, una dentro l’altra e i soffitti erano altissimi.
L’ingresso prendeva luce da una lunetta con inferriata in alto che dava sul corridoio dell’appartamento di sopra; in pratica si vedevano le gambe di quelli che passavano. Far vedere la lunetta con le mani
Era una mattina e io ero in casa con nonna e la zia Rossana che abitava a Castagneto Carducci dove lo zio era veterinario e ogni tanto ci veniva a trovare.
Babbo era al lavoro al Pronto Soccorso, mamma era a scuola alle Marradi, Isella, mia sorella, era al Paradisino e nonno a fare la spesa.
Nonna e la zia chiacchieravano mentre rifacevano i letti; io giocavo con le costruzioni sulla cassapanca dell’ingresso e le stavo ad ascoltare.
-Rossana, Laura come va a scuola ?- (Parla velocemente)
-Bene, la maestra le fa lavorare tanto per l’esame.-(Parla lentamente)
-Che esame ?-
-Come che esame mamma ? L’esame di quinta. L’anno prossimo va alle medie.-
-Alle medie ! Mi sembra ieri . . . . . -
Ad un certo punto io sono andato in cucina ho preso una seggiola l’ho trascinata al portone di casa, ci sono montato sopra, ho aperto e me ne sono andato.
La mia idea era quella di andare a prendere Isella al Paradisino senza aspettare nonno.
Ho sceso le scale e attraversato il cortile bello con le colonne e gli archi far vedere dove giocavo con Enrico il figliolo della “sora” Lina, la nostra portinaia.
Enrico era due o tre anni più grande di me e mi ha insegnato tutto; la trottola, il circuito con i tappini e il “pingozzo”.
Sicuramente la sora Lina era nello stanzino dietro la portineria a sorvegliare la cottura di uno dei suoi minestroni che riempivano l’androne con la loro fragranza; sono passato davanti allo sgabuzzino e sono uscito sulla via Borra.
Dopo un po’ nonna, andando verso la cucina, si è accorta della seggiola e della porta aperta.
-Rossana, Rossana corri, Marcello è uscito.-
-Mamma, ma sei sicura stai calma.-
-Dove sarà andato ? -
-Ma è un bimbo, dove voi che sia andato, sarà giù nella corte. Vado a riprenderlo; guarda è venuta anche la signora Rita. Aspettatemi qui.
-Un bimbo ? Quello è un delinquente. Vai. -
La signora Rita, nostra casigliana, aveva sempre le antenne accese e in in che c c c ava un pop o pochino.
-B b bona Iside sia br br brava che ora nee tro tro trovano. Glielo piglio un un un bicchier d’ d’ d’acqua ? –
-Acqua ? Io c’ho ‘r sangue in acqua; ma si rende ‘onto è scappato ora cosa gli racconto al mi figliolo e alla mi nora.
-S s si metta a sedè.
-Ma ‘un se l’auguri. Appena lo trovano lo gonfio dai ciaffoni quanto è vero che mi chiamo Iside.-
La zia scese le scale a quattro a quattro.
-Marcello, Marcello.-
Nel cortile con il portico non c’ero e non ero nemmeno in quello stretto sotto la cucina.
-Signora Lina, ha visto Marcello ?-
-No. Madonnina ‘un sarà mia uscito ? –
-Di sicuro, lo vado a cercare. –
-Guardi entra il Simoncini con la bicicletta, lo domandi a lui.
Il Simoncini era l’inquilino del terzo piano
Il Simoncini non mi aveva visto e la zia lo ha convinto ad aiutarla nelle ricerche.
Hanno preso direzioni opposte; la zia verso i Pompieri e il Simoncini verso il Paradisino e, appena girato l’angolo di Via Borra, mi ha visto vicino alla passerella di legno per mano ad un vecchietto.
-Marcello, finalmente ma cosa hai fatto sono tutti in pensiero.-
Mi prese e mi mise sulla canna e domandò al vecchietto come era andata.
-De, come è andata. S’era a sedere sulla spalletta del fosso e si ragionava del più e del meno quando vedo questo bimbetto arrivare solo; l’ho fermato e gli ho chiesto: Come ti chiami ? -
-Maccello –
-E poi ? –
-Non lo so –
-Dove stai di casa ? –
-Non lo so –
-Dove è la tua mamma ? –
-Non lo so –
-E babbo dovè ? –
-Babbo è all’uppidale –
-Ma senti te, il babbo poverino è all’ospedale, la mamma è andata di siuro al passo e lui è uscito di casa. Lo porto con me al Pascoli e voi sentite in giro che se lo cercano è con me – ho detto alle tre o quattro persone che avevano fatto capannello. Si stava appunto andando al Pascoli quando è arrivato lei.-
Il Simoncini lo ha ringraziato e con quattro pedalate mi ha riportato a casa.
Appena m’ha visto nonna piangendo m’ha abbracciato.
-Marcellino ma cosa ci fai; ci fai disperare. –
Così nonna non mi ha dato neanche uno dei ciaffoni che mi aveva promesso.
Fine