Gelsomino d’Arabia

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GELSOMINO D’ARABIA

Commedia in tre atti

Di ANTONIO ANIANTE

PERSONAGGI

GELSOMINO D’ARABIA

MAGONZA, SUO SPOSO

STRAPIETRA, BRIGANTE

CRUDO, MALANDRINO

NEGHITTOSO

KARIS-EL –MABUL, TRIPOLINO

IL MARESCIALLO SPACCONE

MAGNOLIA E VIPERINA, COMARI

33 UOMINI-ANIMALI

2 LEVATRICI INCINTE

2 MAFIOSI

BECCAMORTO CADAVERICO

2 GENDARMI

L’ALLEGRA BRIGATA DELLA SERENATA

ELETTORI, BANDA COMUNALE, CANDIDATI POLITICI E ALTRI PERSONAGGI DI SECONDARIA IMPORTANZA

Il dramma si svolge alle falde del Mongibello

ANIANTE

 Aniante è nato in Sicilia, ha vissuto parecchio tempo a Parigi, fa il giornalista a Milano. Non ha ancora trent'anni, e chi non lo conosce che di nome non può dunque ritenerlo cinquan­tenne. In Italia i « giovani autori », come tutti sanno, debbono avere dai quarantacinque anni in su. Inutile fare dei nomi. Superfluo anche fare una descrizione fisica di Aniante, poiché il superbo ritratto che sovrasta queste righe è di una eloquenza definitiva. Questo ritratto, in­fatti, assomiglia in modo prodigioso ad un se­condo cugino materno dell'Autore di « Gelso­mino d'Arabia ». Antonio Aniante incominciò la sua carriera letteraria in qualità di poeta, l'ha continuata come romanziere, intende di concluderla come drammaturgo. Poiché le poe­sie più lette e più diffuse, in Italia, sono quelle che elogiano le acque minerali o le lozioni mi­racolose per far rinascere i capelli, Aniante lasciò la lirica pura e volle darsi al romanzo. "Per parecchi anni meditò alcune trame, che finiva regolarmente con l'abbandonare, poiché non gli garbavano. A Parigi, divenne l'amante di una bellerina ebrea che faceva delirare di de­siderio tutto Montmartre. Quella donna — l'unica sua donna — si uccise per lui. E allora

 egli scrisse il romanzo della sua vita: Sara Lilas, per resuscitarne il ricordo e il profumo ai centomila innamorati che non ebbero dalla fascinatrice bellissima- neppure l'elemosina di uno sguardo.

Sempre a Parigi, conobbe un taumaturgo in­diano, Karis, il quale gli insegnò un segreto di bellezza; al « Cabaret de l'Enfer » strinse ami­cizia con un ex-granduca russo, trasformatosi in « danseur nu », che per poco non lo assassi­nava a tradimento sospettandolo una spia del Soviets; a Deauville possedette un'automobile per tutta una notte: una notte in cui Citroen lo pregò di custodirgli la macchina, poiché do­veva perdere d'urgenza, al Casino, cinque mi­lioni. All'alba, per ringraziarlo, Citroen gli re­galò un autografo delle Dolly Sisters. Col ri­cavo della vendita di quell'autografo, Aniante tornò a Milano, e scrisse « Gelsomino », che fece rappresentare a Roma, agli « Indipen­denti » con bellissimo successo.

Vi preghiamo di leggerla con attenzione, e di scrivere il vostro parere all'autore, Hotel de la Ville, Milano, quinto corridoio a destra, set­timo stanzino a sinistra, ultimo piano. L'indi­rizzo può servire anche ai creditori

ATTO PRIMO

Primavera. Stanza con porte laterali fatte di tendine dai colori sgargianti; molte gabbie di uccelli sospese nel vuoto, formanti nel loro com­plesso una corona quadrata; vasi di fiori vario­pinti, formanti anch'essi una quadrata corona al pavimento foderato di tappezzeria orientale, sboccanti alla porta che sta di fronte fatta a semicerchio che dà a un muricciolo bianco e fiorito ove è scritto a carbone: « W. Gesomino D'Arabia e abbasso lo scienziato cornuto trenta volte » e vi stan disegnati elementarmente a gesso blu e rosso il Magonza con la papalina e Gelsomino con la rosa in mano. Sul muricciolo è visibile il Vulcano che ha lunghe striscie di fuoco alle falde e cipressi barcollanti. Molti libri sparsi qua e là. Nel mezzo è un seggiolino da pianoforte, girabile, di vimini, foderato di un drappo scarlatto a frangine d'oro.

 

Magonza                          - (Sposo di Gelsomino d'Arabia. Fisico di scienziato tormentatissimo. Trentenne ma invecchiato assai. Barba incolta e capelli on­dulati che gli scendono sul collo. Vestito con pigiama di pel di cammello dal bavero e cinto azzurro; porta guanti gialli a righe nere, ha un berrettino cardinalizio in capo e pantofole pelose ai piedi calzati di seta) Cin.. cin.. chi... (e tossisce come una vaporiera che man ca di carbone) Cuff... cuff... cin... cin... cuff.., (e tossisce come una vaporiera che manca di carbone) Cuff... cuff... cin... cin... cuff. cuff... iiiiii... (entra con un enorme messale che va a deporre a passi minuti e svelti ai piedi del seggiolino dorato, e rimane in gi nocchio, con la testa piegata su quello, dopo averlo baciato) Qui tu adagerai i tuoi pie dini di zucchero candido, o Gelsomino d'Ara bia, sonnambula e nottambula, appena ti sve glierai. Questo è un libro magico e miraco loso: chi lo tocca guarisce e va all'altro mondo. Tu sola lo puoi pestare e ne rimani illesa anzi trionfante. I topi sono tutti morti dopo di averlo sfiorato. I passeri ed io par li amo a te, o Gelsomino che non ti vuoi sve gliare ancora. (Le campane suonano malinco nicamente l'ave e si ode un lontano tintinnìo di gregge stanco) Gelsomino, è l'avemaria e tu devi conversare con gli angioletti e coi se­rafini, con gli usignoli e coi passeri affamati, col tuo Magonza e con un milione di stelle!... Ti faccio notare che hai dormito ventiquattro ore e in tutto questo tempo hai soltanto assaggiato una sola tazza di sangue di capretto selvaggio... Passeri, non è vero? (/ passeri rispondono con due: Cip, cip) Dunque è vero: e allora chiamate anche voi la mia Gelsomino... (i passeri fanno forte: Cip, cip, cip).

Gelsomino                       - (dal di fuori) Io non mi levo, o scienziato, se tu non fai tacere i cento passeri malignetti... Io oggi non ho voglia di calpe­stare il messale magico... (essa parla con voce uguale, lenta e sbiadita) Ho sognato cata­pulti e mari in tempesta, la lava del vul­cano nel nostro giardinetto, ho fatto venti­quattrore di sogni umani e sono stanca di guardare sulla terra...

Magonza                          - O Gelsomino, tu ricominci a farmi soffrire... Cuff... cuff... Cin... cin..,

Gelsomino                       - Io non mi alzo, o scienziato cru­dele, se tu non fai zittire i cento passeri pe­tulanti...

Magonza                          - (ai passeri) Tacete, in nome di Dio. o vi brucio le cervella!...

Gelsomino                       - (appena i passeri zittiscono) Ma te l'ho detto sempre che sei scemo...

Magonza                          - (piagnucolando improvvisamente) Perché?

Gelsomino                       - Non trovo al capezzale la tazza del sangue di capretto. L'hai dimenticata...

Magonza                          - (fa per levarsi) Hai ragione... quel Bergson mi ha distratto a tal punto...

Gelsomino                       - Rimani, rimani, l'ho trovata, era sul davanzale, al fresco... Ma ti dico che oggi non ho voglia di calpestare i libroni della cabala, - (sbadiglia rumorosamente) Questa volta il sangue innocente mi sa alla gola di tossico preparato...

Magonza                          - Ti levi tutte le sere col brutto pa­lato. Brutto palato vuol dire donna incinta.

Gelsomino                       - Queste teorie mi convincono che tu sei una bestia...

Magonza                          - Gelsomino, tu mi fai soffrire... Cuff... ciff... cu... cu... cu..,

Gelsomino                       - Allora io non parlo più e ti be­nedico... (sbadiglia e canticchia).

Magonza                          - Quando avrò il piacere di vederti?

Gelsomino                       - O scienziato pignuolo, stasera ho i nervi e se non taci ti batto col sacro messale.

Magonza                          - Sia fatta la tua volontà, o nottam­bula.

Beccamorto                     - (di fuori, mentre si ode chiudere una finestra) Buona sera, o Gelsomino fla­grante, come ti sei svegliata stasera?

Gelsomino                       - (sempre di fuori, mentre Magonza porge l'orecchio) O Beccamorto, non mi fare parlare...

Beccamorto                     - (c. s.) Infatti sei stralunata assai stasera...

Gelsomino                       - (c. s.) Tanto stralunata e scettica che se non te ne vai ti getto sulla testa una grasta di basilico ricciuto... (Magonza sorride)

Beccamorto                     - Questo vuol dire che lo scien­ziato becco non è ancora crepato ed io ho fabbricato a tempo perso per lui esclusiva­mente una bella bara di legno d'ebano fode­rata di velluto nero a frange rosse e pizzi d'oro, come per il cardinale...

Gelsomino                       - La tua jattura scenda in altra casa che il mio scienziato gode ottima salute e presto sarà padre... (si ode rumore di un vaso di fiori che cade sulla strada, di una finestra che si chiude: Magonza sorride di più).

Beccamorto                     - (si allontana) Ahi, ahi, ahi!...

Voci di donne e di uomini     - (di fuori) Povero becchino tutto insanguinato, chi ti ha rotto la testa?

Beccamorto                     - Ahi, ahi, ahi, la bella bagascia...

Voci                                 - (c. s.) Beccamorto sfortunato, chi ti ha ridotto così male? Portiamolo a l'ospedale... Meglio dal farmacista... Presto dallo spe­ziale...

Beccamorto                     - Ahi, ahi, ahi, che mi sento fuori il cervello...

Voci                                 - (c. s.) Andiamo noi dal maresciallo Spaccone a denunziare gli assassini.

Beccamorto                     - Andate pure dal maresciallo Spaccone ma io sto per morire. Ahi, ahi, ahi, (Magonza sorride e tende l'orecchio sulla strada, ora impassibile, ora spaventato, ina sorride sempre) e ditegli che Gelsomino quella che ha fatto cornuto trenta volte lo scienziato Magonza, m'ha gettato una grasta di bacilico in testa. Ahi, ahi, ahi... portatemi un piatto d'argento per metterci dentro il mio cervello di morto...

Voci                                 - (c. s.) Dal maresciallo Spaccone... tutti dal maresciallo... Questa mantenuta è lo scan­dalo del paese. E porco il signor sindaco che la protegge!... (le voci si sono totalmente al­lontanate: è tornato il silenzio: bagliori ros­sastri del crepuscolo inoltrato sulla scena).

Magonza                          - Calunnie! (e passeggia con una mano al gomito e una alla fronte) Calunnie e invidia! (come assorto nei pensieri profondi) Nient'altro.

Gelsomino                       - (Candida e celestiale giovinetta, dai capelli neri e lucenti di brillantina, stretti alla nuca da una coroncina di corallo opaco, di­visi sulla fronte e appiccicati alle tempie. Ap­pare coi piedi sul binario dei libri e rimane immobile a guardare lo scienziato che l'ha ancora vista. Dopo un minuto, leggermente gli fa) Scemo...

Magonza                          - (trasale, poi festante) Gelsomino!... (le si avvicina con amore e le bacia le scar­pine che lei gli porge fin sul muso: egli ri­mane alquanto ctttvo, in silenzio adorativo).

Gelsomino                       - Stasera calpesto   - (come trasognata e lenta) malvolentieri i libri maledetti della tua cabala. Non parlare.

Magonza                          - Non vedi che rimango in silenzio?

Gelsomino                       - Taci se non vuoi che scappino fuori i vermi dalla tua bocca...

Magonza                          - Sono o non sono una tomba?

Gelsomino                       - Sei una tomba scema...

Magonza                          - Ma una tomba però...

Gelsomino                       - E taci... (gli dà un leggero cef­fone alla guancia).

Magonza                          - Gelsomino, lasciami dire due sole parole...

Gelsomino                       - (tenendolo per la punta del naso) Ma spicciati...

Magonza                          - (parla con voce ridicola e nasale) Tu stai coi tuoi piedini di zucchero e miele nientemeno che sulla saggezza di Platone e di Aristotile; avanza un passo ancora...

Gelsomino                       - (esegue) Hai finito?

Magonza                          - Sì...

Gelsomino                       - E non ti vergogni di dire tante scemenze? (cammina sul binario di libri come un fantasma e va a sedere sul seggiolino dorato, di fronte al pubblico, coi piedi sul messale e le gambe nude in evidenza).

Magonza                          - (si rivolge agli uccelli delle gabbie e fa loro un gesto come per dire: aspettate, fra poco avrete il miglio; indi si avvicina a Gelsomino, con devozione).

Gelsomino                       - Brutto scienziato?...

Magonza                          - E' qui il tuo scimmione...

Gelsomino                       - Non mi parlare del Beccamorto...

Magonza                          - Hai fatto bene a spaccargli la testa.

Gelsomino                       - Ti scappano i vermi dalla bocca...

Magonza                          - Se il becchino muore tu hai uc­ciso due uomini per l'amore che ti lega allo, scienziato...

Gelsomino                       - Scemo e scimpanzè... (lo accarezza, rimanendo immobile, col solo movi­mento della mano sinistra).

Magonza                          - Tu mi ami...

Gelsomino                       - Talpa...

Magonza                          - Ma tu sai che io mi reggo in piedi soltanto grazie al tuo amore...

Gelsomino                       - (alzando la voce e la testa) Sta­sera il sangue di capretto innocente mi gor­goglia alla gola e mi sa di veleno preparato... Sono come una capra ruminante. Se tu non chiudi la bocca verminosa io non digeri­sco più... (frattanto gli uccellini riprendono a fare con insistenza: cip, cip, e Magonza li guarda e si porta le mani alle tempie) Si­lenzio, figliuoli del crepuscolo... Magonza?

Magonza                          - Comandi?

Gelsomino                       - Prendi la scatola del miglio, (lo scienziato esegue, Gelsomino prende la sca­tola e si leva e versa in ogni gabbia un po' di cibo e chiama ciascuno degli uccellini) Tu hai fame, o Spinoza? e tu, Bacone? e tu, Socrate? e tu, Seneca? e tu, Bernardino Varisco? e tu, Bertrando Spaventa?

Magonza                          - (correggendola) No... La Roche-faucould...

Gelsomino                       - Fa lo stesso... Ma se tu non chiudi la tua bocca verminosa io li chiamo coi nomi dei ruffiani e delle bagasce di Catania...

Magonza                          - No... no... chiamali col loro vero nome...

Gelsomino                       - (versa il rimanente del miglio nelle altre gabbie chiamando gli uccellini a voce bassissima mentre lo scienziato porge l'orecchio).

Magonza                          - Tu mi fai soffrire tanto... Cufif... cuff... ci... ci... iiiii...

Gelsomino                       - (getta la scatola vuota su un cu­scino e ritorna a sedere sul seggiolino) Stasera io mi sento tutto il sangue gelato del capretto alla gola e temo di dover fare qualche pazzia... Gufo?

Magonza                          - Regina?...

Gelsomino                       - Chiama le stelle...

Magonza                          - Non sono apparse ancora quelle che sono tue amiche e confidenti...

Gelsomino                       - Chiama allora quelle indiscipli-plinate e civette...

Magonza                          - (prende un grosso libro, lo depone a terra presso la porta di fronte, lo apre, mor­mora alcune parole e sul vulcano appaiono stelle di ogni colore) Eccole...

Gelsomino                       - (senza voltarsi) Di loro che aspettino...

Magonza                          - (in un eccesso di tenerezza) O Gel­somino mia, come sei brava, o Gelsomino in­cantata, come apprendi bene... Domani ti in­segnerò a invocare gli spiriti dannati che stanno sepolti nel cratere centrale del Mon-gibello...

Gelsomino                       - (tutta seria) Ora viene il tuo turno, o scimmiotto peloso... Anzitutto fammi il capretto di latte...

Magonza                          - (inginocchiato ai piedi di lei, imita la voce del capretto) Meeeee... meeeee... meeeee... (ma la sua voce è un po' rauca).

Gelsomino                       - Non cosi forte... ripetilo con me: meee... meee... e saltella!...

Magonza                          - Meee... meee... (e saltella goffa­mente attorno a Gelsomino).

Gelsomino                       - Ancora una volta: meee...

Magonza                          - (ripete).

Gelsomino                       - (gli dà uno schiaffettino compia­cente e una caramella) Ed ora fa il gal­letto di primo grido innanzi l'alba: Chichi-richì..., e drizza bene il collo...

IMagonza                        - (esegue a fatica Perché la voce non gli basta).

Gelsomino                       - (rivolta a Magonza) Ora fammi l'orsacchiotto che balla...

Magonza                          - (esegue cantilenando) Ma ma mammaù... mau... mau... mammaù... uuù...

Gelsomino                       - Fammi il chiù, presto fammi il chiù... chiù... chiù... chiù...

Magonza                          - (con le mani alle gote) Ciùùù... chiù... chiùùùùù...

Gelsomino                       - Taci, ascolta... (fa segno verso fuori: si ode un lontano monotono lamento di cuculo sospeso su un campanile) E' la tua eco? o un vero chiù? Non ti fa spavento la voce di un vero chiù? Lo abbiamo forse chia­mato noi?

Magonza                          - Quando sono accanto a te io ho solo spavento dell'amore che sento per te, o assassina nottambula!...

Gelsomino                       - Scemo?

Magonza                          - Comandi?

Gelsomino                       - E' ora che tu vada a letto...

Magonza                          - Gelsomino, non è compiuta un'ora da che parlo con te...

Gelsomino                       - Ed io già sono stanca e stufa di vederti...

Magonza                          - Se mi fai rimanere ancora un po' ti faccio il gatto che ha le doglie d'amore...

Gelsomino                       - Preferisco che tu faccia l'asino ebro, ma subito... dopo devi andare a letto...

Magonza                          - Sì... (imita la voce dell'asino) Ah ohà, ah ohà...

(Nel frattempo spunta alla porta di mezzo il maresciallo Spaccone, enorme, vile, con folta piuma di struzzo al berretto e con faccia verde e rasa; fiancheggiato da due gendarmi dalla si­garetta in bocca e mani in tasca; si ferma sba­lordito a guardare la scena. Si fa avanti con passo largo di malandrino e va a posare una mano verde su una mammella di Gelsomino).

Spaccone                         - (nell'altra mano ha le manette) Donna Gelsomino, ti prego di mandare a dormire lo scienziato...

Gelsomino                       - Magonza, fila!...

Magonza                          - Sono stato io a gettare la grasta di basilico sulla testa del becchino...

Spaccone                         - E allora - fa segno ai due gendarmi di ammanettare lo scienziato) portate in guar­dina questo signorotto nevrastenico, (i due gendarmi legano dalla testa ai piedi Magonza e, come un cadavere, se lo portano via).

Magonza                          - Gelsomino, addio, sposina mia in­candescente, chi ti porterà la sera al capez­zale odoroso di coty la tazzina di sangue di capretto innocente? Chi ti chiamerà le stelle obbedienti? Chi ti farà il chiù e l'asinelio innamorato? Addio, addio,          (singhiozza) po­vera Gelsomino infelice... (ai gendarmi) Met­tetemi sullo stomaco quel libro prezioso, (i gendarmi gli mettono sul ventre un pesantis­simo libro e se lo portano lentamente via, continuando sempre a fumare).

Spaccone                         - (rimasto solo con Gelsomino, dà uno sguardo alla stanza e poi le stringe con le mani i seni. Gelsomino d'Arabia, appena Magonza non è più in iscena, deve cambiare na­tura, voce e gesti sì da ritornare la volgare e sensuale lavandaia di un tempo, ma conser­vando però un non so che di sonnambolico).

Gelsomino                       - (dà un sospiro).

 Spaccone                        - Che libro ha portato con sé lo scienziato?

Gelsomino                       - La Repubblica dì Platone, mi pare. L'hai letta tu?

Spaccone                         - Non mi sembra. E di che tratta?

Gelsomino                       - Dei misteri della cabala infer­nale che possiede Magonza...

Spaccone                         - E' vero dunque che il tuo sposo è un'arca di scienza?

Gelsomino                       - E' vero, eppure non sembra a vederlo.

Spaccone                         - Gelsomino...

Gelsomino                       - Dì...

Spaccone                         - Ce l'hai tu quel libro di Nino detto il Moro, brigante delle Madonìe? Me lo puoi prestare che me lo leggerò in caserma?

Gelsomino                       - Non mi sai tenere discorsi mi­gliori?

Spaccone                         - (stringendola più forte ai seni e tor­cendo gli occhi) Gelsomino!...

Gelsomino                       - Maresciallo...

Spaccone                         - Tu mi ecciti...

Gelsomino                       - (sospira) Cosa vuoi che ti faccia?

Spaccone                         - Tutto il mio sangue verde mi monta agli occhi ed il cervello mi si riempie di spine... Il mio cuore deraglia e i miei nervi si spezzano come corde di chitarra...

Gelsomino                       - Ma chi non mi ha detto le stesse cose?

Spaccone                         - Se sono troppi gli uomini che ti fanno la corte che colpa ce ne ho io?

Gelsomino                       - Ma non sono cattiva io...

Spaccone                         - (felice) Lo so...

Gelsomino                       - Dunque...

Spaccone                         - Fata risplendente...

Gelsomino                       - Fai pure il porco...

Spaccone                         - Tormento!...

Gelsomino                       - Svelto, svelto...

Spaccone                         - Tormento!...

Gelsomino                       - Prima che venga gente...

Spaccone                         - Spasimo!...

Gelsomino                       - Sei o non sei un uomo?

Spaccone                         - Non ti rispondo Perché sono troppo sicuro della mia potenza micidiale...

Gelsomino                       - E prendimi, allora!...

Spaccone                         - Così presto?...

Gelsomino                       - O presto o nulla...

Spaccone                         - Tormento!...

Gelsomino                       - Spiegati...

Spaccone                         - (urla) Tormento!... spasimo!...

Gelsomino                       - Non ti capisco...

Spaccone                         - O Gelsomino, io vedo che tu non mi ami. Tu ti vuoi dare a me Perché speri che io ti ridia lo scienziato assassino...

Gelsomino                       - Che idea poco degna di te, o ma­resciallo!

 Spaccone                        - E' così, purtroppo... (fa il senti­mentale fino a carezzare con il suo pennac­chio la faccia di lei).

Gelsomino                       - No...

Spaccone                         - (salta in aria) No?

Gelsomino                       - (energica) No.

Spaccone                         - E dillo allora che mi vuoi far morire di amore maligno...

Gelsomino                       - Ma sì...

Spaccone                         - Tu mi ami, dunque...

Gelsomino                       - Già da due anni pieni... (gli dà uno schiaffettino e un rapido bacio).

Spaccone                         - (le si getta ai piedi e le bacia le scar­pine, indi si strappa le mostrine delle ma­niche, i lunghi baffi e il berretto e colloca tutto sotto il seggiolino: un minuto di silen­zio religioso) Tutta la mia importanza la metto ai tuoi piedini di strega maliosa...

Gelsomino                       - O Maresciallo...

Spaccone                         - Cattedrale...

Gelsomino                       - Non fare la talpa e andiamo su­bito ad amarci...

Spaccone                         - Lasciami prima riprendere il lume dell'intelletto: io sono come stordito ma felice...

Gelsomino                       - Non ti deve bastare così poco; io ti darò gioie più grandi, piaceri infiniti...

Spaccone                         - Aaaah... (questo grido deve essere come di gioia che confini col dolore più stra­ziante).

Gelsomino                       - Ti renderò ebro di piacere...

Spaccone                         - Aaaaah...

Gelsomino                       - Ammazzerò tutta la tua lussuria nutrita al lezzo delle caserme.

Spaccone                         - Aaaaah... (si rotola per terra come un epilettico, baciando il pavimento e muggendo di sensualità).

Gelsomino                       - Se continui a fare il ciuco io ti lascio...

Spaccone                         - No, no, no... tu mi ammazzeresti di colpo...

Gelsomino                       - Ma ti ho detto anche che ti am­mazzerò di troppo piacere...

Spaccone                         - Questo sì...

Gelsomino                       - Allora alzati e ascoltami.

Spaccone                         - No, voglio stare ancora un pochino a terra...

Gelsomino                       - Via, non fare il bambolone...

Spaccone                         - (singhiozzando) Io sono una bam­bola Perché ho il cuore tenere del bimbo ap­pena in fasce...

 Gelsomino                      - Ma con le donne innamorate non bisogna comportarsi in questo modo...

Spaccone                         - Non ci sono regole in tema di amore... Lo stesso scienziato lo dice: in amore il leone è uguale al coniglio... La donna ad­domestica l'uno e l'altro. E lasciami pian­gere... (indi muggisce).

Gelsomino                       - Me ne vado!... (fa per alzarsi e il maresciallo la ferma per una caviglia) E al­ lora alzati e ascoltami, muso di maiale (mentre Spaccone si leva, entra a passi di gatto il malandrino Crudo che se ne rimane appoggiato all'uscio di fronte e contempla la scena) Da due anni io penso a te...

Spaccone                         - E Perché non me lo hai mai detto?

Gelsomino                       - Mi sono sempre vergognata. Ma quando tu, davanti la piazza della matrice arrestavi i mafiosi dell'osteria, io ti volevo dire con tutto il cuore: Maresciallo Spaccone, tu mi piaci, prendimi, prendimi tutta, io sono tua!

Spaccone                         - E' sogno o realtà?

Gelsomino                       - Presto...

Crudo                              - (rimasto solo e avanzando il passo sulla scena) Questa donna mi fa commettere cento pazzie all'ora... Gelsomino maledetta!... (siede al seggiolino dorato e rimane tutto pen­sieroso. Dopo un minuto di silenzio gli occhi gli vanno sul cappello e sulle mostrine del ma­resciallo. Raccoglie le mostrine e se le mette alle maniche, la sciabola alla cintola, infine si mette il cappello con la piuma in testa e ritorna pensieroso).

Gelsomino                       - (dietro le quinte) Su, maresciallo.

Spaccone                         - (dietro le quinte) Gelsomino...

Gelsomino                       - (c. s.) Non fate il romantico...

Spaccone                         - (c. s.) Sei una statua, sia lo­dato Dio...

Gelsomino                       - (c. s.) Su, non perdiamo tempo...

Spaccone                         - (c. s.) Tormento... spasimo...

Gelsomino                       - (c. s.) Se ricominci così io ti p ianto subito...

Spaccone                         - (c. s.) No, no, no...

Gelsomino                       - (c. s.) E allora fai il bravo e spicciati... Fammi contenta...

Spaccone                         - (c. s.) Cosa vuoi dire?

Gelsomino                       - (c. s.) Intanto fai il capretto...

Spaccone                         - (c. s.) Meeeee... meeeee...

Gelsomino                       - (c. s.)... il chiù...

Spaccone                         - (c. s.) Chiuuuuù... chiuuuuù...

Gelsomino                       - (c. s.)... il cane...

Spaccone                         - (c. s.) Bauuu... bau...

Gelsomino                       - (c. s.)... il toro inferocito...

Spaccone                         - (inferocito di lussuria) Uuuuuum... uuuuuuu....

Gelsomino                       - (c. s. mentre il maresciallo conti­nua a urlare) Basta, basta, basta, pezzo animale...

Crudo                              - (guarda il pubblico, eccitatissimo e fe­rocemente ingelosito) E' pazza!... (frat­tanto si ode fuori la Allegra Brigata della Se­renata che strimpella in sordina e canta, indi si fa vedere di sul muricciolo facendosi luce con lanternini di bengala).

La brigata                        - (a Crudo, a bassa voce) Buona sera, signor maresciallo...

Crudo                              - (si è alzato e va verso il muro) Par­late adagio...

La brigata                        - Ma sei tu, Crudo?

Crudo                              - Sì, entrate senza far rumore... (la scena è nell'ombra mentre sul vulcano sono visibili le lingue di fuoco, i fanalini e le stelle amiche di Gelsomino. La brigata entra) Noi dobbiamo arrestare il maresciallo che in questo momento se la gode con Gelsomino...

La brigata                        - E' possibile?

Crudo                              - Ascoltate...

Gelsomino                       - (dopo un po' di silenzio) Vile, tu mi hai assassinato con il tuo amore di ba­silisco ardente...

Crudo                              - Avete udito?

La brigata                        - Che scandalo, Gesummaria...

Spaccone                         - (c. s.) E tu mi hai fatto parlare con le stelle...

Gelsomino                       - (c. s.) Ora ti devi allontanare facendo l'orso che balla... Vai che non ti vo­glio più vedere... la tua presenza è ancora un forte pericolo per i miei sensi svegliati... Fila, fila, fila, mio bel porcellino appassionato...

La brigata                        - Che parole... che parole...

Spaccone                         - (c. s.) Ciao, ciao, ciao (la bacia ri­petute volte) ciao, ciao, ciao, zucchero e miele, follìa delle follìe, profumo dei pro­fumi, giglio, circassa e chiromante...

Gelsomino                       - (c. s.) Basta, basta, basta...

Spaccone                         - Quando ci rivedremo, tesoro?

Gelsomino                       - Ti manderò un bigliettino di amore in caserma...

Spaccone                         - Presto o tardi?

Gelsomino                       - Prestissimo se tu ora ti allontani a passo di orso che balla...

Spaccone                         - Obbedisco... (spunta sulla scena saltellando) Uhmmm... uhmmm... (si ferma estere fatto dinanzi agli occhi di Crudo. E' in camicia, con le scarpe e la giubba in mano e i capelli scomposti).

Gelsomino                       - (di fuori, schiude una finestra e gor­gheggia).

Voce di donna                 - (di fuori) Buona sera, comare Gelsomino. Vi godete l'aria pura?

Gelsomino                       - (c. s.) No, attendo lo scienziato...

Voce                                - (c. s.) E siete certa che uscirà così presto dalla galera?

Gelsomino                       - Certissima.

Voce                                - Felice voi.

(Frattanto la brigata della serenata e Crudo hanno accerchiato il maresciallo).

Crudo                              - Voi siete il maresciallo Spaccone?

Spaccone                         - No... sì... no... sì... no, no, no, sì, sì, sì.

Crudo                              - Ed io chi sono?

Spaccone                         - Un finto maresciallo...

Crudo                              - Mandrillo... siete in arresto?...

Spaccone                         - A me?... voi che siete uno della mafia mi mettete in arresto?

Crudo                              - In questo momento io sono il vero maresciallo e voi siete il malandrino, ladro e birbante...

Spaccone                         - Io sono qui per amore'...

Crudo                              - Voi vi trovate qui Perché siete ladro e mandrillo...

Spaccone                         - Io sono un innocente e vi giuro che sono stato sedotto...

Crudo                              - Bugiardo!... (alla brigata) Legate come un salame questo malfattore e porta­temelo in guardina.

Spaccone                         - Ma questo è un equivoco...

Crudo                              - Lo dite voi...

Spaccone                         - Lasciatemi almeno suonare questo fischietto...

jCrudo                             - Niente fischietti Perché volete chia­mare in vostro aiuto i colleghi mandrilli...

Spaccone                         - Povero me... sono fritto.

Crudo                              - (alla brigata che ha legato dalla testa ai piedi il maresciallo le cui mani sono inca­tenate dalle sue stesse manette) Portate via questo sciagurato...

Spaccone                         - (mentre vien portato via di peso e due della brigata'strimpellano chitarra e mandolino) Gelsomino... Gelsomino...

Crudo                              - (gli dà un librone sulla testa) Taci... (spunta Gelsomino quando Spaccone e la brigata sono fuori scena) Buona sera alla re­gina, anzi alla tiranna del mio cuore.

Gelsomino                       - Buona sera al mio bel malan­drino neghittoso e crudele. Perché non ti sei fatto più vivo? Hai un'amante più bella forse di me?

Crudo                              - E tu? ti sei forse fatto un amante più bello di me nella persona di quel brutto cafone che è stato con te poco fa?

Gelsomino                       - Non mi calunniare...

Crudo                              - Che faccia tosta...

Gelsomino                       - E tu come mai sei divenuto così presto maresciallo?

Crudo                              - Mah...

Gelsomino                       - Così mi piaci di più...

Crudo                              - Vedo che tu hai un debole per i ma­rescialli.

Gelsomino                       - Per quelli valorosi in particolar modo...

Crudo                              - Gelsomino...

Gelsomino                       - (che è tornata a sedersi sul seggiolino dorato) Mio bel malandrino, mi è difficile dimenticarti... non vedi? vieni a ba­ciarmi la nuca, il collo e i ginocchi... vieni ad accarezzarmi i seni, e spegni con un amplesso sovrumano la gelosia che ti rode il Cuore di metallo.

Crudo                              - Gelsomino fatale e misteriosa, non sarò forse io quello che ti ucciderà? non sarò io che ti strapperà all'incantesimo dei tuoi trentadue amanti? allo sconfinato amore del tempo perso? cornuto Magonza? cornuto e scienziato a

Gelsomino                       - Tu sei troppo vile e troppo in­namorato di me.

Crudo                              - (estrae un acuto coltello e appoggia la punta su un seno) Io? io?

Gelsomino                       - Tu...

Crudo                              - Bada come parli.

Gelsomino                       - Mi fai pena...

Crudo                              - A ogni parola amara che tu mi dici io calco la lama nel tuo seno di peccatrice...

Gelsomino                       - Che parole grosse...

Crudo                              - L'amore sviscerato me le detta.

Gelsomino                       - Sei proprio vile... (dà un dolce grido di dolore e sorride) Così mi piaci...

Crudo                              - Lavandaia...

Gelsomino                       - Ladruncolo...

Crudo                              - Grazie... vogliamo cambiar tono?

Gelsomino                       - Sì, ma parlami sempre di amore e di gelosia...

Crudo                              - Dimmi: il maresciallo ti ha strappazzata?

Gelsomino                       - Quello poi è un impotente: non mi ha nemmeno battuta...

Crudo                              - (le dà uno schiaffo) Che stupido!... E tu Perché gli hai permesso certe cose?

Gelsomino                       - Perché voglio conoscere a fondo tutti gli uomini...

Crudo                              - (le si inginnocchia) Taci. Voglio pas­sare questa notte con te... Questa notte noi due dobbiamo diventare una sola cosa... a dispetto di tutti gli scienziati che dormono in galera in compagnia delle pulci e delle cimici dottissime.

Gelsomino                       - (mormora) Tutta la vita con te, bel mariuolo...

Crudo                              - (singhiozza) Ma se mi ami alla follìa Perché tu mi tradisci allora con l'arma be­nemerita dei reali carabinieri?

Gelsomino                       - Non ti ho mai tradito...

Crudo                              - Falsa.

Gelsomino                       - Sembro.

Crudo                              - Sembri ma sei una bambola? sei più casta di Sant'Agata, con rispetto parlando della Patrona di Catania e provincia?...

Gelsomino                       - Bravo... se non fossi così gli an­gioletti e i serafini non mi degnerebbero della loro parola...

Crudo                              - Andiamo, o Gelsomino, che mi sento carico di lussuria come una pila elettrica...

Gelsomino                       - Prima di amarci voglio che tu faccia soltanto il capretto smarrito...

Crudo                              - Cento capretti smarriti ti faccio!... Meeeee... meeeee...

(Nel frattempo ha scavalcato il muretto di fronte il brigante Strapietra, singolare e bello, vestito con smoking, guanti gialli, calzette di seta bianca, piccolissimo mantello foderato di stelle e di seta azzurra, alle spalle, con un fu­cile di bimbo a tracolla e un cappellino da Passatore, microscopico che gli sta soltanto sulla fronte. E' sbarbato, incipriato come un pierrot ed ha i capelli fitti, lucentissimi. di brillantina. E' già sera).

Strapietra                         - Bel capretto di latte, (cava fuori il pugnale lucente) ho bisogno del tuo sangue innocente per darlo a bere in una coppa di platino a Gelsomino d'Arabia...

Gelsomino                       - (senza scomporsi) Chi è?

Crudo                              - (spaventato) Meeeeeeeee... (trema) meeeee... meeeee...

Strapietra                         - Bella, non vi spaventate, è il lupo, anzi è il re dei lupi della montagna che è venuto ad offrirvi sangue innocente di ca­pretto...

Crudo                              - (saltella nella penombra con i piedi e con le mani) Meeeee... meeeee...

Strapietra                         - Non mi scappi, mio bel ca-prettino...

Crudo                              - (saltellando riesce a scappare e a spa­rire) Meee... meee... meee!

Strapietra                         - (elastico, sicuro, stilè, energico: si avvicina a Gelsomino e le nasconde gli occhi con le mani) Gelsomino d'Arabia, quando tu mi avrai visto darai un oh di meraviglia e di gioia.

Gelsomino                       - Parlate. La vostra voce non mi dispiace.

Strapietra"                       - Io sono il lupo mannaro: (a ogni frase Gelsomino sussulta. Strapietra ora legge su un pezzo di carta) io sono un ce­lebre brigante che tutte le fanciulle di questo paese hanno sognato centinaia e centinaia di volte e forse anche tu mi hai amato nel sogno. Io vengo da Roma. Là ho pran­zato con deputati liberali e con balle­rine circasse. Ma tu tremi come una foglia, o Gelsomino d'Arabia, Perché? Credi dunque ai ciarlatani del paese che ti avranno raccon­tato sul mio conto, Dio sa, quante menzogne? (Gelsomino fa cenno di no) Il giorno che cadrò nelle mani della Giustizia rimarrò a fronte alta dinnanzi i signori Giurati e non cesserò durante il lungo processo di fumare le siga­rette estere, per te, per te, per te che possiedi il mio cuore innamorato. Io non so mentire, sono leale e sincero come lo sono tutti i veri briganti... Chiamami brigante se ti fa piacere, chiamami cosi, ma puoi chia­marmi semplicemente Strapietra, ovvero Stratrà oppure Pepe, ossia Trirì... (rimette velocemente il pezzo di carta in tasca).

Gelsomino                       - Lupo mannaro ti chiamo e ti dico che tutte le notti ho vegliato per te, rica­mando le tre rose di argento del mio abito di festa. O mio lupo mannaro, quante volte ti fai aspettare... Non aspetto che te, non ricamo che per i tuoi occhi le tre rose d'argento sul mio abito di festa. Non andrò più a dormire se non prima tu sarai venuto, dicevo, non voglia la mala sorte che tu sia caduto proprio oggi nelle mani della Giu­stizia o che i malandrini ti abbiano fatta la spia col maresciallo Spaccone, o che ti ab­biano ucciso a tradimento dietro una siepe... E sospiravo e ricamavo... (fa con le dita gesto monotono di ricamare).

Strapietra                         - (le stacca la mano dagli occhi e le cade in ginocchio)

Gelsomino                       - (grida) Gel­somino superba, divina, immacolata... (lei si piega su di lui e si baciano a lungo sospi­rando. Si vedono vagare in fondo, sotto il muricciolo alcune lanternine. Silenzio. Din­nanzi l'uscio appare Crudo seguito da due mafiosi con mascherine agli occhi e lunghi coltelli in mano. Anche la Brigata della Serenata appare e si schiera al lato sinistro della scena come delle ombre).

Gelsomino                       - Anche tu, non mi vuoi fare un poco l'agnellino di latte? Mi faresti tanto piacere...

Strapietra                         - Ma sì, o Gelsomino adorata... io ti farò l'agnellino, il toro e il cavallo che nitrisce... Tu però dovresti capire che il mo­mento è solenne assai, che dobbiamo amarci in silenzio almeno durante un quarto d'ora...

Gelsomino                       - Sì, sì...

Strapietra                         - Almeno così io la penso... (Gelsomino gli cade sulle braccia come morta e Stra-pietra la solleva di peso e la porta nella camera di sinistra).

Crudo                              - (rimasto solo con gli amici sulla scena) Infamia... Gelosia... tradimento... (Va con i compagni ad origliare dietro le tendine. Un minuto di silenzio rotto dal respiro affannoso degli astanti). Abbiamo concesso agli amanti più di un minuto... Ora basta... Vigliacchi... (agli amici) Avete imparata bene.la vostra parte?

Gli amici                          - Sì...

Crudo                              - (alzando la voce) Il brigante Stra­pietra è qui!...

Gli amici                          - (agitandosi come se cercassero qual­che cosa) E' proprio qui!...

Crudo                              - Carabinieri, fuori le armi e le ma­nette!...

Gli amici                          - Pronte le armi!... (affilano i col­telli, come macellai).

Crudo                              - C'è qui la giustizia, siamo venuti per arrestarvi, o brigante Strapietra!

Gli amici                          - In nome della legge, aprite o sfon­diamo la porta..-

Gelsomino                       - Ah... ah... amore mio, scappa scappa!...

Strapietra                         - (esce e scompare calmissimo, mentre gli affilatori rallentano, per lo spavento, la loro azione).

Gli amici                          - (agitandosi ma evitando di afferrare il brigante) Afferralo, acchiappalo, ammaz­zalo, sparalo, corri corri!... (riaccendono i lanternini).

Crudo                              - (penetrando con sgambetti nella stanza di Gelsomino) Il colpo è riuscito a mera­viglia... Evviva la notte di sangue e d'amore. (La Brigata della Serenata attacca agli stru­menti il motivo della canzone napolitano: « A tazza o' cafe »).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo, a crepuscolo inol­trato. Sul muricciolo sono appiccicati striscioni di carta gialli, rossi e celesti su cui è stampato: « W lo scienziato e lo vogliamo giocoforza sin­daco... W il sindaco istruito. Magonza è inno­cente e perlappunto deve uscire dal carcere e diventare a tale uopo il nostro beneamato sin­daco». Queste diciture non debbono però coprire la effige di Gelsomino e di Magonza. La scena è vuota.

Gelsomino                       - (dalla sua stanza singhiozza e so­spira) Ih! ih! ih! ih!... uh! uh! uh! uuuuuuhhh... (schiude la finestra, sbadiglia sonoramente e ricomincia a singhiozzare) Ih! ih! ih! ih!... uuuuhhhuuuuhhh...

Magnolia                         - (di fuori) Comare Gelsomino, quante ore mi farete tenere il grembiule spa­lancato per raccogliere tutte le vostre lacri­me? Non siete contenta della scarcerazione dello scienziato?

Gelsomino                       - (continua a singhiozzare).

Magnolia                         - Volete che io entro a confortarvi un poco?

Gelsomino                       - No... no...

Magnolia                         - E non piangete allora se non volete guastarvi gli occhi belli!...

Gelsomino                       - Non mi annoiate, o comare Ma­gnolia, che stasera mi sono alzata con le male voglie...

Magnolia                         - Voi mi parlate come se foste una regina...

Gelsomino                       - E se non sono una regina che sono io? riparatevi la testa di capra se no vi getto addosso questa grasta di garofani ge­melli...

Magnolia                         - (fa via spaventata e contenta) Gesù mio, una lavandaia era ed ora ha tanti amanti quanti sono gli anni di Cristo...

Gelsomino                       - (singhiozzando) Stellucce, ditele che è una calunniatrice, stellucce percantate, rin­correte comare Magnolia e ditele che io ho soltanto un marito e un serraglio di circa 33 animali parlanti... (Le stelle si agitano e scompaiono per apparire dopo un minuto)

Beccamorto                     - (dalla strada) Vigliacca di una donna, vuoi rompermi un'altra testa?

Gelsomino                       - (ride sguaiatamente).

Beccamorto                     - Donna di mali affari e costumi, gettami le masserizie... tutte le graste... tutti i libri della cabala!... Non hai olio bollente in casa da versarmi sulla testa?

Gelsomino                       - (ride sgangheratamente).

Beccamorto                     - Ma non vedi, o fattucchiera, che ho il montecristo in mano? cento colpi sicuri; fai la pazza... fai la pazza!

Gelsomino                       - (di scatto) Rubacuori assassino e re dei peccatori!... (gli manda uno due tre baci rumorosi e poi ride forte).

Beccamorto                     - (grido straziante) Gelsomino!...  (e tace di scatto).

Gelsomino                       - Beccamorto, sparati alle tem­pie se non mi capisci à volo. Sotterrati vivo se non fai quello che devi fare subito... da quel seducente uomo che sei...

 Beccamorto                    - (con voce straziante e pietosa) Gelsomino...

Gelsomino                       - Impiccati, uccello di malaugurio, forse la mia porta non è aperta, scemo di un becchino?... fammi sentire l'odore di tutti i morti del camposanto...

Beccamorto                     - Santo Mauro, santo Mauro mi­racoloso, tu mi vedi? Sono forse io che voglio andare verso la tentazione? No, no, no... Io non ho mai peccato... Sono ancora un ver-ginello candido...

Gelsomino                       - (arrabbiata, gli sbalte i vetri della finestra) Scemo dell'harem!

Beccamorto                     - No, no, no... Gelsomino odo­roso... no, nonono!... Pietà pietà!.. (si precipita sulla scena. E' smilzo, dinoccoluto, cadaverico, vestito di nero velluto, con calze bianche e guanti bianchi. Si ferma dinnanzi al pubblico nelf atteggiamento di Cristo che attende che gli si metta una grande croce dietro le spalle).

Gelsomino                       - (c. s.) Non entrate, becchino...

IÌeccamorto                     - Tranello?

Gelsomino                       - No, attendi che io mi faccia bella...

Beccamorto                     - Per me?

Gelsomino                       - Precisamente (sospira).

Beccamorto                     - (adagio) Sogno....

Gelsomino                       - Non ho avuto mai da fare con un uomo simile...

Beccamorto                     - Quale è insomma il mio fa­scino?

Gelsomino                       - Tu hai il fascino del crisan­temo...

Beccamorto                     - Tu sei la prima a dirmelo, o Gelsomino...

Gelsomino                       - La prima e l'ultima...

Beccamorto                     - E allora dimmelo un'altra volta...

Gelsomino                       - Crisantemo e peste maligna

Beccamorto                     - Gelsomino e acqua di colonia...

Gelsomino                       - Basta, e ora aspettami in si­lenzio.

Beccamorto                     - (fa con la testa un gesto come se volesse dire: pazienza; e riprende lo atteg­giamento di Cristo).

Gelsomino                       - Stellucce affettuose, ritiratevi... Perché? non vedete? io sto per commettere il più grande e il più bel peccato di mia vita...

Beccamorto                     - (spalanca gli occhi).

Gelsomino                       - Io cadrò fra poco nelle braccia del più seducente dei miei paesani, (le stelle si ritirano e il cielo diventa di un colore mai visto) Grazie, grazie molte grazie... Becca-morto, ti sei addormentato?...

Beccamorto                     - (forte) Gelsomino...

Gelsomino                       - Ti senti capace di rendere in­cinta una morta?

Beccamorto                     - (stupore) Ahhhh...

Gelsomino                       - Ti sentiresti capace di far risu­scitare una morta? col tuo amplesso?

Becctmorto                      - (trema tutto e si tiene a stento in piedi).

Gelsomino                       - Rispondi, o amore fatale...

Beccamorto                     - (belato tenue) Meeeeeee?...

Gelsomino                       - Tu proprio tu...

Beccamorto                     - Meeeeee?...

Gelsomino                       - Oggi non ho voglia che mi si faccia l'agnello di latte... Vuoi farmi forse l'agnellino di latte?

Beccamorto                     - (Fa segno di no con la testa).

Gelsomino                       - Tu devi farmi risuscitare Perché sono una morta...

Beccamorto                     - Il morto sono io... e siccome ero l'unico becchino di questo paese, non avrò nessuno che mi verrà a sotterrare...

Gelsomino                       - Tu devi dividermi in due e farmi risuscitare anche in due...

Beccamorto                     - Mi chiedi troppo... Io non sono San Mauro miracoloso...

Gelsomino                       - Scemo, tu non hai mai rese in­cinte le donne?

Beccamorto                     - Mai. mai: la prima donna sei tu...

Gelsomino                       - Che dici?

Beccamorto                     - Mi son conservato casto fin oltre i limiti...

Gelsomino                       - Dunque non sai cosa voglia dire rendere una donna incinta...

Beccamorto                     - Vorresti dire che lo Spirito Santo debba entrare in te?...

Gelsomino                       - Benissimo...

(Appare coperta da un mantello di lenzuolo che le si divide dalla fronte fino ai piedi nudi ma calzati da scarpine verniciate.

Beccamorto                     - (stupore) Ah... Nuda?... (trema e le si avvicina ma Gelsomino retrocede man mano sempre dando schiaffettini alle guancie e alle mani provocatrici del becchino) Spavento...

Gelsomino                       - Spavento? Se ti spaventi non ti avvicinare...

Beccamorto                     - Piacere...

Gelsomino                       - Ti piaccio?

Beccamorto                     - Uuuuuuuhhhhhmmmmm...

Gelsomino                       - E non senti come sono profu­mata?

Beccamorto                     - Mi fai perdere i sensi... (le cade in ginocchio e trema ancora) Mi sembra di sognare...

Gelsomino                       - Tutti gli uomini me lo dicono… Ed anche tu?

Beccamorto                     - Che cosa ho io più degli altri?!

Gelsomino                       - Il fascino.

Beccamorto                     - (mugge).

Gelsomino                       - Cammina... io mi son tutta profumata per te...

Beccamorto                     - Ed io ho addosso la puzza dei cadaveri che ho sotterrato stamane a l’alba...!

Gelsomino                       - Benissimo, arcibene... vieni al farmi sentire l'odore dei tuoi morti...

(La scena rimane vuota e l'ombra della sera  l'avvolge. I chiù riprendono a lamentarsi lontani).

Beccamorto                     - (dopo un minuto di pausa e di sospiri) Sei un ciclone!...

Gelsomino                       - Beccamorto...

Beccamorto                     - (forte) Questa è una tenaglia, santo Mauro, santo Mauro...

Gelsomino                       - Taci... taci...

Beccamorto                     - Mi sento salire il sangue alla gola...

Gelsomino                       - (dopo un istante di silenzio) E dimmelo che sei etico...

Beccamorto                     - (lamentoso) Santo Mauro... santo Mauro... una tenaglia di ferro mi ha stretto al petto... (Vien sulla scena, boccheggiante, lascia cadérsi il revolver, ha un flotto di san­gue che gli gronda da un labbro e gli mac­chia il mento incipriato; esce barcollando) Santo Mauro... santo Mauro... santo Mauro.

Gelsomino                       - (c. s.) Questo non è erede bene­ detto che voglia venire... (sospira) Non c'è fortuna... Che delusione... Un becchino etico... Uno scienziato etico... e forse anche l'erede sarà etico... sono stanca... sono stan­ca sono stanca di stare sola... Dove è andato a finire quel lazzaroncello del bri­gante Strapietra? Dove è andato a finire quel neghittoso e mantenuto di Crudo malandrino? E il maresciallo Spaccone? E gli altri trenta maiali? Sono tutti morti o in un fondo di ga­lera con lo scienziato? Sono tutti crepati di colera, di peste, di morbo maligno nel lazzaretto? (Gelsomino appare vestita come nel primo atto e si precipita verso le gabbie degli uccelli e le visita a una a una) Morti, morti e crepati di fame? E che dirà lo scienziato appena arriva dalla galera? ne morirà anche lui di dolore... Nessuno..... (sbadiglia) Ho fame e sete... (Frattanto si ode sulla strada il cornetto di Karisel-Mabul e indi la sua voce lunga lamentosa e suadente: Tappeti di Buharà... passa il tripolino Karis-el-Mabul...) Lo scienziato? No. (Tende l'orec­chio sulla strada) Il tripolino!

Karis                                - (di fuori) Passa il ricco tripolino... con gli affari d'oro... chiamatelo presto che tornerà soltanto fra nove mesi contati... e forse fra un anno... comprate comprate che scappa il ricco Karis-el-Mabul... tappeti orien­tali e scialli persiani... candelabri di Costan­tinopoli... pantofole marocchine... oro zec­chino e a diciotto carati... pendentini e braccialetti cesellati... candelabri finissimi per sale da pranzo... regali preziosi per fidanzati e fidanzate... (suona il cornetto e canticchia una canzone in arabo).

Gelsomino                       - (fattosi silenzio) Grazioso... (va verso il muricciolo).

Karis                                - E Perché, o gentili paesani, non por­tate il lume alle finestre? Siete a quest'ora tutti addormentati? Mi volete forse lasciare nelle mani del brigante Strapietra? Ingrati! Ingrati.

Gelsomino                       - No, no...

Karis                                - Chi parla con voce sì gentile?

Gelsomino                       - Gelsomino d'Arabia...

Karis                                - Mai conosciuta ma chi mi ha parlato di te? aspetta che ci penso un po': già, nel­l'osteria dello Smammanico alle Scalatelle...

Gelsomino                       - E chi non mi conosce?

Karis                                - Ma sai che non ho da perder tempo?

Gelsomino                       - (adagio) Grazioso questo tri­polino...

Karis                                - Ma sai che domani all'alba debbo trovarmi alle porte di Bronte?

Gelsomino                       - Ti troverai a Bronte se io non compro tutto quello che porti...

Karis                                - Ed hai soldi sufficienti per l'affare?

Gelsomino                       - Altro che... miniere!

Karis                                - Lo dici per burletta...

Gelsomino                       - No... no...            (ride).

Karis                                - (indignato non le risponde più e si al­lontana riprendendo la sua cantilena) E Perché, o gentili paesani, non portate il lume alle finestre? Siete a quest'ora tutti addor­mentati? Mi volete forse lasciare nelle mani del brigante Strapietra? Ingrati! ingrati!...

Gelsomino                       - No... no...            (più forte) No, no...

Karis                                - Vuoi tacere, o capricciosa? Vuoi la­sciarmi guadagnare il pane?

Gelsomino                       - Sì... sì (ride).

Karis                                - (stizzito) Ma, tu non vedi che io porto sulle spalle due quintali di mercanzia? Perché ti burli di me e non mi vuoi fare guada­gnare il pane e il companatico?

Gelsomino                       - (ride) No, no...

Karis                                - E lasciami in pace...

Gelsomino                       - No... no...

Karis                                - Ritirati, ti dico, canzonettista!

Gelsomino                       - Perché?

Karis                                - Perché sei perditempo in persona.

Gelsomino                       - Ti inganni...

Karis                                - La conosco la vita io... li conosco i miei clienti io...

Gelsomino                       - Porti scialli di Malta?

Karis                                - (cambiando voce) Tre di seta finis­sima.

Gelsomino                       - A quanto?

Karis                                - Milla franchi... son troppo?... ciao!

Gelsomino                       - No no... il mio scienziato me ne ha comprato uno a Catania per il doppio...

Karis                                - Quale scienziato?

Gelsomino                       - Lo scienziato Magonza, quello della cabala e dell'avvenire.

Karis                                - Lo ho visto nella piazza di Santo Mauro.

Gelsomino                       - Quando?

Karis                                - Non sono dieci minuti...

Gelsomino                       - E che faceva in piazza il mio sposo?

Karis                                - Ballava la tarantella coi paesani ubriachi...

Gelsomino                       - Ballava?

Karis                                - Ballava sì e quelli lo applaudivano: Evviva il signor Sindaco becco! Evviva il si­gnor sindaco bello!... Non ricordo se gli di­cevano bello o becco.

Gelsomino                       - Gli dicevano bello... e niente altro!

Karis                                - Allora tre mafiosi gli spararono ad­dosso tre colpi di pistola...

Gelsomino                       - Oh...

Karis                                - Il sindaco afferrò le palle a volo e io me la diedi a gambe per non farmi rubare nel trambusto la mercanzia...

Gelsomino                       - Oh...

Karis                                - Vuoi spendere mille lire?

Gelsomino                       - Sì e anche di più...

Karis                                - Non mi farai perder tempo?

Gelsomino                       - Si vede che non mi conosci...

Karis                                - Tanto di guadagnato... (entra canti­lenando) Passa il tripolino più ricco, pae­sani... Karis-el-Mabul è in casa di Gelsomino se lo volete trovare.

Gelsomino                       - (va in fretta a sedere al suo seggio­lino, con lo sguardo sorridente rivolto al pub­blico) Vieni, Karis-el-Mabul...

Karis                                - Perditempo...

Gelsomino                       - Non mi conosci ancora...

Karis                                - Canzonettista!

Gelsomino                       - Insisti su questo tono? riprendi la tua roba e via...

Karis                                - Ingrata, me lo dici ora che sono en­trato, ora che ho la mercanzia in disordine e a terra...

Gelsomino                       - Vieni qui e mostrami i tuoi

scialli.

Karis                                - Perfida e falsa...

Gelsomino                       - Mentre io mi sprofondo nei pen­sieri tu proverai su di me la tua roba ava­riata.

Karis                                - Ma comprerai?

Gelsomino                       - Tripolino, tu non mi conosci ancora ma io sono la più ricca donna del paese.

Karis                                - Bada che domani all'alba debbo tro­varmi a Bronte.

Gelsomino                       - Arriverai a Bronte e anche ti por­terò fortuna.

Karis                                - Mersì...

Gelsomino                       - Spicciati, bel moretto...

Karis                                - La premura è mia. (Comincia a fru­gare nella sua roba ed estrae uno scialle di Malta) Con questo sulle sue spalle ti voglio vedere regina.- (Glielo adagia) Infatti... (la mira e la rimira) Regina... (le gira intorno adagio e poi veloce, tutto soddisfatto) Re­gina...

Gelsomino                       - Eh...

Karis                                - Mille franchi.

Gelsomino                       - Sì.

Karis                                - Fatto l'affare?

Gelsomino                       - Sì.

Karis                                - Vuoi comprare braccialetti pendenti, corallo siciliano, pantofole marocchine finis­sime?

Gelsomino                       - Tutta la tua mercanzia, ti ripeto, voglio comprare...

Karis                                - E ti bastano i soldi?

Gelsomino                       - Non sai che il mio marito scien­ziato possiede l'oro della cabala?

Karis                                - Sssst... (fa segno col dito come per dire: ho compreso). Ora giacché è così, ti vo­glio vendere una collana che ti farà sembrare un'imperatrice... (fruga nella merce, la trova, la posa sul capo di Gelsomino) Imperatrice...

Gelsomino                       - Eh...

Karis                                - Mille franchi.

Gelsomino                       - Anche questa mille franchi?

Karis                                - Sì.

Gelsomino                       - Comprata.

 Karis                               - (segna in un taccuino) Duemila. Ora ti voglio vendere, è un affare, una bolera di marenghi d'oro di Maometto.

Gelsomino                       - Bene, è quella che cercavo da lungo tempo.

Karis                                - Hai visto? tu benedirai il tripolino... (cerca e la trova e la cala nel collo di Gelsomino) Zingara...

Gelsomino                       - Eh...

Karis                                - Tremila franchi.

Gelsomino                       - Comprata e a buon prezzo.

Karis                                - (segna nel taccuino) E sono cinquemila. Ora ti voglio vendere...

Gelsomino                       - Che? Fai presto...

Karis                                -... vera occasione, alcuni braccialetti orientali di ambra autentica.

Gelsomino                       - Questi mi fanno gola più dei cioccolattini.

Karis                                - (fruga, trova i braccialetti e li infila ai polsi di lei) Sant'Agata...

Karis                                - Mille e cinquecento franchi.

Gelsomino                       - A questo prezzo me li hai rega­lati.

Karis                                - (segna nel taccuino) Seimila e cinque­cento franchi. Ora ti voglio vendere...

Gelsomino                       - Che? spicciati spicciati... Sento l'odore dello scienziato...

Karis                                - (facendo sempre più in fretta)... vuoi fare un forfait?

Gelsomino                       - Sì, conta gli oggetti.

/Karis                               - (in fretta prende la sua mercanzia e la dispone in ordine nella camera. Gli oggetti di valore li colloca tutti addosso a Gelsomino che sembra parata come una santa meridio­nale) C'è tutto l'oro della Tripolitania qui; c'è tutta la seta di Persia e di Malta; tutta la ambra del mar dei Sargassi: tutti i tesori sono ait uoi piedi, o capricciosa amica.

Gelsomino                       - Tu, o bel moretto, chiacchieri troppo e conchiudi ben poco...

Karis                                - E' una necessità del mio mestiere...

Gelsomino                       - Tu sei un allocco e un passerotto di primo pelo...

Karis                                - Non ti piace dunque la mia mercanzia?

Gelsomino                       - Sì e molto ma conchiudiamo l'af­fare prima che arrivi lo scienziato.

Karis                                - Tu hai paura del signor sindaco tuo marito?

Gelsomino                       - No: voglio soltanto fargli una sorpresa...

Karis                                -... una sorpresa facendogli trovare tutti questi tesori?.

Gelsomino                       - Benissimo. Uh... uh... hai capito finalmente e ora fammi il forfait.

Karis                                - (pronunzia a bassa voce in atto di medi­tazione alcune frasi in arabo e infine)  Centomila lire, forfait.

Gelsomino                       - Poco...

Karis                                - Per una ricca signora come te mi pento di non aver chiesto più.

Gelsomino                       - Alla principessa di Reburdone quanto avresti chiesto?

Karis                                - Il triplo.

Gelsomino                       - E vuoi che anch'io ti dia il triplo?

Karis                                - Ma tu non sei la principessa di Re­burdone...

Gelsomino                       - Non ti interessa saperlo...

Karis                                - E sì...

Gelsomino                       - Pretenderesti il triplo?

Karis                                - E sì...

Gelsomino                       - Eccoti il triplo - gli dà tre schiaffi) uno... due... tre...

Karis                                - Mi hai... (grida e piagnucola) pagato così?

Gelsomino                       - (ride) Stupido di un tripolino... Sono tutti allocchi come te nel tuo paese?

Karis                                - Lo dicevo lo dicevo io che tu eri il perditempo in persona... E chi mi toglierà dalla testa che tu sei una ladra?

Gelsomino                       - Tripolino analfabeta, Perché viaggi per il mondo se sei così piccino? Quanti anni hai?

Karis                                - Diciannove suonati.

Gelsomino                       - E tua madre dove è?

Karis                                - A Catania.

Gelsomino                       - E che fa di mestiere?

Karis                                - Quello che fai tu...

Gelsomino                       - Cosa?

Karis                                - Mangia e dorme con tutti i marinai del porto vecchio...

Gelsomino                       - Tu sei figlio di bagascia e sei così stupido?

Karis                                - Stupida e bagascia sei tu e mantenuta dal sindaco... (le dà un colpo di pantofola sulla guancia e riprende a rimettersi in ordine la sua roba).

Gelsomino                       - (sorride).

Karis                                - (ricomincia a bestemmiare in arabo e a singhiozzare: per la rabbia straccia qualche fazzoletto di seta e rompe qualche collana) Brutta donna, mala femina...

Gelsomino                       - Brutta?...

Karis                                - Brutta... brutta!... (ora il tripolino le vuol togliere i gioielli che le ha messo ad­dosso e già le ha strappato dalle spalle lo scialle di Malta).

 

Gelsomino                       - Bel morettino mio, non ti inquie­tare... Perché mi hai detto brutta?

Karis                                - Per la rabbia che mi fai!

Gelsomino                       - Vieni un po' vicino a me e guar­dami bene.

Karis                                - Perditempo, io domani all'alba debbo trovarmi a Bronte.

Gelsomino                       - Sarai a Bronte prima del canto dei galli e ti porterò fortuna... ma prima di partire fai la pace con me...

Karis                                - (è con le mani e le ginocchia a terra come un animale) Brutta vecchia, donna senza scrupoli...

Gelsomino                       - Brutta e vecchia? No nonono...

Karis                                - (si porta fino ai piedi di lei, sempre come un animale).

Gelsomino                       - Grazioso... (gli accarezza i ca­pelli e il tripolino scuote la testa sdegnosa­mente) Grazioso... moretto...

Karis                                - Non mi toccare... (grida) non mi toc­care... (e rimane sempre sotto di lei).

Gelsomino                       - Presto... presto... prima che venga lo scienziato... morettino mio sel­vaggio...

Karis                                - Non mi toccare con le mani lorde...

Gelsomino                       - Lorde le mie mani?

Karis                                - Cattivo Mabul con le donne cattive: alle donne buone Mabul regala anche la vita...

Gelsomino                       - Io sono donna buona e non vo­glio la tua vita ma...

Karis                                - Ma ma ma.-.

Gelsomino                       - Non capisci niente... (gli dà una manata che fa volgere indietro il capo del tripolino come un cavallo)... sei proprio stu­pido quanto sei nero. Eccoti la tua roba e vai via subito... (fa per togliersi d'addosso gli oggetti preziosi).

Karis                                - (Si leva lentamente e si pone a fianco di Gelsomino, con le mani alle tempie di lei, le guarda con insistenza i seni, mormora an­cora in arabo e poi rimane in silenzio con­templativo).

Gelsomino                       - Presto, bel morettino, prima che venga lo sposo scienziato!...

Karis                                - Tu sei fatta di avorio...

Gelsomino                       - Tutto il mio corpo è di avorio meraviglioso e lucente...

Karis                                - Anche lucente?...

Karis                                - Quanti anni hai?...

Gelsomino                       - Diciannove anni.

Karis                                - La mia stessa età...

Gelsomino                       - Hai molti di questi nei?

Gelsomino                       - Una costellazione.

Gelsomino                       - (scatta in piedi come una belva e attanaglia con le sue dita la faccia del tri­polino) Vattene, scemo di un tripolino!

Karis                                - Ladra e gatta selvaggia, no!... (anche lui l'afferra e lei lo spinge verso fuori, ma Karis molto più forte prende il sopravvento e nella lotta l'uno e l'altra vanno a cadere tra i fiori, accanto all'uscio e alla porta della stanza di Gelsomino) Me ne sarei andato se non ti avessi trovata fatta di avorio... Dimmi quanti uomini ti hanno avuta o ti strozzo!- (// tripolino è sul corpo di Gersomino, mentre la stanza è nell'ombra fitta o è almeno nel­l'ombra fitta quel punto dove sono i due corpi).

Gelsomino                       - Lo scienziato soltanto...

Karis                                - Ti credo Perché sei fatta di avorio... (Frattanto si ode in discreta lontananza una marcia eseguita da banda municipale e grida lontane di «W lo Scienziato nostro sindaco; Evviva Gelsomino d'Arabia!!!»).

Gelsomino                       - (reagisce alla stretta inutilmente gridando) Scappa scappa, moretto, arriva lo scienziato!

Karis                                - (la trascina sempre rotolandosi con lei fin nella stanza vicina mugghiando) Avo­rio avorio avorio finissimo... (La scena ri­mane vuota e a un tratto i bagliori delle fiac­cole più vicine si distendono sul muricciolo illuminando gli striscioni di carta stampata. Tra gli strepiti e gli evviva appare sul muricciolo lo Scienziato sorretto da due-braccia nerborute. Le braccia lo depositano di qua dal muro tra gli applausi prolungati).

Magonza                          - (parla penosamente) Cittadini elet­tori, avete detto bene: io sono un calunniato e voi siete grandi e immensi se avete ingag­giato cuf cuf cuf cuf cin cin cin... la battaglia amministrativa sulla mia persona per stron­care una calunnia.

Folla                                - Bene bene perdio perdio perdio...

Magonza                          - Accetto di diventare vostro sindaco e se uscirò vittorioso dalle urne vi prometto sul mio onore che nel mio paese farò tabula rasa della mala erba che vi cresce...

Folla                                - Via dal paese gli Sparapaolo!... Via dal paese gli Strapietra!...

Magonza                          - Sì, sì, sì via, via dal paese i ma­landrini neghittosi...

Folla                                - E' anche troppo...

Magonza                          - Quei signori si son permessi di get­tare molto fango nella mia casa che è simbolo di scienza e di castità...

Folla                                - Evviva, evviva la sposa del nostro sindaco scienziato! Evviva. La casa del filosofo è un vero tempio...

Magonza                          - (commosso) Gelsomino d'Arabia! non si tocca... non si tocca come è vero che! la saggezza di Platone è eterna...

Folla                                - Benissimo... guai a chi le torce un ca-l pello...

Magonza                          - (diventa sempre più irascibile e sii contorce e rotea su se stesso come un arclaio)... e voi siete qui per affermare chel io sono uno sposo felice e invidiabile... e voi siete qui per dire a tutto il mondo civile cheGelsomino, lo splendido fiore di serra che mi appartiene e appartiene soltanto a meeeee...

Folla                                - Scienziato, tu parli meglio di Carnazza!...

Magonza                          - Tutto ciò prova che io sono degno della vostra fiducia i...ll...i...mi...ta...ta,! degno di reggere i destini di questo ubertoso e illibato paese... cuf, cuf, cuf, cuf, cin, ci

cin ci...

Folla                                - Benissimo... evviva, sempre viva lo scienziato!

Magonza                          - Ed ora sono stanco... non dimenti­cate che dopo di aver passato parecchie set­timane in carcere per amore del mio Gelso­mino capricciosetto ma bello e ingenuo, ho avuto anche la forza di ballare la tarantella in piazza in mezzo a voi carissimi... Ed ora basta, basta, basta... ecco il mio programma e buona notte...

(Frattanto dalle quinte di destra si ode ru­more d'altra gente, strombettìo e nacchere a festa).

Magonza                          - (fa segno con la mano alla moltitu­dine di tacere). Il contraddittorio sia... Cittadini, lasciate parlare il Baggiano...

Folla                                - No, no, no...

Folla                                - Sì, sì, sì...

Magonza                          - Ed io vi prego di lasciar parlare il Baggiano... (spuntano intanto sul muricciolo altri cartellini su cui è stampato: « W. il Bag­giano... » con dipinta una faccia grassa con gli occhi storti, e altro cartello ove è dipinta la faccia di Magonza con le corna alle tempie).

La voce del Baggiano     - (di fuori, a destra, to­nante) Cittadini, mi meraviglio, mi mera­viglio proprio del vostro contegno scandaloso.

Folla                                - (di destra) Perché?

Karis                                - (muggisce).

Gelsomino                       - Continua, morettino mio, sono i soliti discorsi dei sindaci...

Folla                                - (di sinistra) E' vero... è vero... (ride).

Folla                                - (di destra) E' falso... è falso... (urla e protesta).

Baggiano                         - (la folla protesta ancora e approva mentre lo scienziato si contorce come in preda allo spasimo) Io so nome e cognome e vita e miracoli dei trentatrè amanti della vergi-nellaaaaa...

Folla                                - (di sinistra)... Fuori i nomi o sei un calunniatore...

Baggiano                         -... Subito... uno: Sparapaolo...

Folla                                - (di sinistra) Falso, falso...

Baggiano                         -... due: Crudo, il malandrino...

Folla                                - (c. s.) Falso, falso...

Baggiano                         - (in fretta)... tre: Quartorana, quattro: Puglionisi, cinque: Strapietra, sei: il maresciallo Spaccone, sette: il baronello Pepe Scammacca, otto: Giovannino Acqua-cetosa inteso Sparaspara...

Magonza                          -... Basta, basta con le calunnie!... le urne giudicheranno!...

Uno della folla di sinistra       - Viva lo scien­ziato... le urne giudicheranno chi è stato di più tradito dalla moglie...

Un altro della folla di sinistra            -... Bag­giano, baggiano... tu che parli degli altri cor­nuti, vai a vedere cosa fa in questo momento tua moglie...

Baggiano                         - (con voce meno sicura) Mia moglie è andata a fare il pane nella casa di don Tu­rillo il Pinto...

Folla di sinistra                -... Il pane? il pane? il pane? (con ironia) il pane tua moglie lo fa fuori e poi te lo porta a casa e tu te lo mangi... tu mangi il pane che fa tua moglie nella casa degli altri...

Baggiano                         - Falso... falso... vi ingannate... (la folla lo approva) venite, venite; vi invito a venire con me fino alla casa di don Turillo il Pinto.

Folla di sinistra                - Baggiano, vai tu solo... (Intanto qualcuno spara qualche colpo di pistola e succede il parapiglia: più di un qualche cartellino va a sbattere sulla testa di Magonza: la folla scompare urlando).

Baggiano                         - (allontanandosi) E se è anche vero che Turillo il Pinto mi tradisce, io so anche sparare, sparare, sparare, sparareeee...

Magonza                          - (rimasto solo cammina a quattro gambe e vagola nel buio della scena chia­ mando con voce lamentosa) Gelsomino  Gelsomino... io vengo dalla galera. Sposa di­letta... ecco lo scienziato trionfante... Ti sei nascosta?... vuoi farmi una sorpresa?... come sei carina... e dove ti sei nascosta?... Gelso­mino... Gelsomino... (accende con fatica un lanternino colorato e ritorna a vagolare a quattro gambe) Una pistola? una pistola? per Socrate!... un'arma da fuoco in casa mia?

Karis                                - (entra in iscena tutto sconvolto gridando con le mani in alto) Allah... Allah... Allah. (e rotea un attimo nella stanza e scappa) Allah, Allah!

Magonza                          - (con la pistola in mano gli va dietro fino al muricciolo) Al ladro, al ladro turco... all'assassino della mia sposa... all'as­sassino di Gelsomino d'Arabia... (e scaglia la pistola nel vuoto) Bum, bum, bum.

Magnolia e Viperina        - (di fuori) Che succede, Gesù mio... (entrano spaventate e penetrano nella camera di Gelsomino) Gelsomino... Co­mare bella... ma il cuore le batte sì e come... è svenuta... è soltanto svenuta... Un po' di aria... un po' di acqua di colonia... (Magno­lia e Viperina portano sulla scena per le braccia e per le gambe Gelsomino inerte e tutta in disordine e dietro di loro spunta Ma-gonza che prende il sediolino dorato di mezzo alla scena e lo porta sotto il muricciolo. Le due comari adagiano quindi Gelsomino sul seggiolino, le fanno poggiare le spalle sul muro e la fiancheggiano per non farla cadere.)

Magonza                          - (non si dà pace e gira di qua e di là come un folle) Assassino... pirata nero... mi kai ucciso Gelsomino!... (va a sbattere contro le gabbie degli uccelli morti) Socrate, Aristotele, Platone, Spinoza, Kant, Schopen­hauer, che? che? che? morti? morti anche voi? che assassinio!... che assassinio!... mi ha ucciso anche gli usignoli!... anche i passe­rotti!... anche i cardellini!... (e va a cadere ai piedi di Gelsomino ancora inerte) Gelso­mino... sposa mia...

Magnolia e Viperina        - (gridando verso la strada) Speziale, speziale, un po' di acqua di Colonia...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La scena del secondo atto. La casa è parata a festa, con fiori, palme, stelle filanti, drappi di velluto, edera. I tappeti e tutta la mercanzia lasciata dal tripolino adornano la scena. Enormi grappoli d'uva pendono dal­l'alto. Atmosfera di lugubre ebrezza. Prima che si levi il sipario si ode un malinconico coro di vendemmiatori, che finisce appena la tela è tutta levata. Ai piedi del seggiolino dorato sono fiori candidi.

(Dalla camera di Gelsomino d'Arabia entrano nella scena vuota, in fila, il Beccamorto, Ma­gnolia e Viperina vestite a festa con abiti svo­lazzanti e variopinti, le due Levatrici dalla cuffia e dal grembiule bianco: queste quattro donne hanno le pancie grosse delle donne in­cinte. Il Beccamorto tossisce spesso, non parla e si esprime coi gesti, è deperito assai, ma i suoi occhi esprimono una gioia arcana).

Magnolia                         - E' un vero miracolo...

Viperina                           - Tutte le fortune capitano allo scienziato...

Prima Levatrice               - Noi, levatrici, siamo le più disgraziate...

Seconda Levatrice           - Immagino io la gioia di Magonza...

Beccamorto                     - (protesta con un filo di voce)  E' mio... è mio...

Magnolia                         - (al becchino) Tu bestemmi...

Beccamorto                     - E' mio...

Seconda Levatrice           - Non abbiamo tempo da perdere... diamoci da fare.

Prima Levatrice               - Mettiamo un po' di ordine che il signor sindaco e padrone non tarderà a venire...

Magnolia                         - Che casa fortunata... in una sola giornata lo scienziato è diventato sindaco e padre...

Viperina                           - Tutte le fortune capitano allo scien­ziato...

Beccamorto                     - Io vi dico che è mio... è mio...

Prima Levatrice               - Sei pazzo?

Beccamorto                     - Sono sicuro.., arcisicuro...

Prima Levatrice               - Levati dai piedi, tisicuzzo...

Beccamorto                     - E' l'invidia che ti fa parlare...

Viperina                           - Perché?

Beccamorto                     - Perché non ho fatto il bel pec­cato con una di voi...

Seconda Levatrice           - Se questa creaturina che ho nel ventre fosse tua io me la ammazzerei dentro col pollice e l'indice...

Beccamorto                     - Esageri...

Prima Levatrice               - Io prenderei l'erba santa per abortire...

Beccamorto                     - Esageri...

Magnolia                         - Io mi avvelenerei...

Beccamorto                     - Esagerata...

Viperina                           - Io manderei alla ruota il disgra­zia tello figliolo di un becchino...

Beccamorto                     - Esagerata... eppure vi dico che quello lì (indica col dito la camera di Gelso­mino) è mio...

Viperina                           - Ma sei cieco per non vedere che non ti rassomiglia niente?

Gelsomino                       - (di dentro) Eh?... eh?... eh...? dormi angioletto mio o ti strozzo (gli canta i primi versi di una ninna nanna).

Viperina                           - (al becchino) Taci, taci (gli mette una mano in bocca) che hai svegliato l'erede...

Beccamorto                     - (fa gesto di rassegnazione e si ag­gira attorno alla porta di Gelsomino mentre le donne incinte si danno un gran da fare e in realtà non fanno nulla).

Viperina                           - (sospira) Che somma pagherei per sgravare un tesoro simile!

Magnolia e le due Levatrici   - (sospirando) Anche noi!

Beccamorto                     - E' tempo già di poter accendere i ceri?

Viperina                           - Che ore sono?

Beccamorto                     - (mentre le campane suonano l'ave) Già suona l'ave...

Magnolia                         - Accendi pure...

Beccamorto                     - (accende con un moccolo i grandi ceri che stanno in primo piano, come cipressetti) Che festa... che festa... e nessuno vuoi credere che quello è sangue mio... (dopo l'ave le campane accennano a un lieto e breve motivo).

Magnolia                         - Che fortuna!

Viperina                           - Facciamo piano che si può sve­gliare l'erede!

Prima Levatrice               - Più piano di così...

Magnolia                         - Presto che già spuntano gli invi­tati... (le comari e le levatrici girano come fusi attorno alla stanza, in preda a una coster­nazione inspiegabile) Arrivano... arrivano...

Crudo                              - (di fuori) Muovetevi un po' che la mangiatoia è vicina, bestiole viziose... siamo arrivati e vi gettate a terra?... Uhm... uhm... uhm... olà olà olà... (schiocca la frusta) Di chi sarà il bastardello? (gli animali vociano come se dessero una risposta) Ebbene, lo ve­dremo; a chi di voi rassomiglierà il bastar­dello?... (gli animali rispondono ancora) Ebbene lo vedremo... (Crudo appare con una mano in tasca, la frusta lunga e serpeggiante nell'altra, battendo i tacchi come per taran­tella, con sigaretta in bocca, berretto disceso su un orecchio; subito dopo di lui appaiono per due i 33 amanti di Gelsomino, tutti con il capo nascosto nelle teste dei più svariati ani­mali. Crudo entra schioccando la frusta e li fa tutti mettere militarmente in ordine sì che gli animali formano tre file accostate all'enorme uscio di fronte) Dov'è Gelsomino? dov'è l'erede universale e bastardello?

Le Comari                       - (dolcemente) Dorme...

Crudo                              - (violento) Svegliatelo! qui ci sono tutti i padri legittimi...

Gli animali                       - (vociano).

Crudo                              - (schioccando la frusta) Proibito la­sciare aspettare i padri o bruciamo la casa della cabala...

Gelsomino                       - (di fuori) Malandrino... (silenzio sulla scena) se non taci strozzo il bimbo...

Crudo                              - (reagisce)... il mio sangue? assassina... (fa per slanciarsi nella camera di lei ma le donne lo trattengono).

Gelsomino                       - E allora taci e aspetta...

Crudo                              - Mala femmina...

Le Comari                       - Che dite? Quella è una santa...

Crudo                              - (ride) Ah, ah, ah...

Gli animali                       - (vociano).

Crudo                              - (levando la frusta verso gli animali) Silenzio... qui comando io!

Gelsomino                       - (c. s.) Lo strozzo...

Crudo                              - No, no... taccio... (a bassa voce) Ba­gascia, son certo che me l'hai fatta!

Le Comari                       - Che dite? che dite? quella è una santa.

Crudo                              - Viaaaaa... non bestemmiate.

Strapietra                         - (di fuori) Si può? si può? è per­messo? con permesso o senza permesso entro lo stesso... (entra portando sulle braccia un agnellino di zucchero candito. Al suo appa­rire gli animali tremano e Crudo si mette in disparte preso da soggezione improvvisa) Gel­somino d'Arabia? dov'è? Questo agnellino di zucchero candito è per lei, per lei, per lei, per la mia Gelsomino che ha dato al mondo un piccolo Strapietra, uno Strapietrino che farà tremare il Mongibello, un piccolo Stra-strà che è destinato a diventare il lupo più fiero di questa contrada di briganti... (più forte) Gelsomino? Gelsomino? Gelsomino?... lasciami vedere la nostra creatura. Eh, eh, eh? sono o non sono il celebre brigante Strapietra? e allora fate largo... voglio subito baciare il mio sangue!

Gelsomino                       - (c. s.) Strapietra... (il brigante trasale, ammutolisce e rimane con l'agnello sulle braccia, sospeso come un'ostia) Stra­pietra?... taci o strozzo quest'anima inno­cente...

Strapietra                         - (cade in ginocchio) Non fiato...

Gelsomino                       - Aspetta anche tu...

Strapietra                         - Amore...

 

Gelsomino                       - Ti raccomando di lasciare intatto l'agnellino...

Strapietra Sì...

Gelsomino                       - Non lo sgranocchiare... non lo rompere nell'attesa con la tua rabbia fu-j riosa...

Strapietra                         - I re magi non lasciarono intatti i loro regali al messia? rispondi o Gelsomino...

Gelsomino                       - Lo scienziato dice di sì...

Strapietra                         - Ed anch'io non frantumerò questo bellissimo regalo...

Crudo                              - (accende una sigaretta, mette le mani in tasca e guarda di traverso il brigante).

Strapietra                         - Sono ubriaco di mosto fermen­tato e mi sento un dio.

Crudo                              - Anch'io sono ubriaco di mosto bol­lente e mi sento (trema) due volte dio.

Strapietra                         - (sempre senza guardare il suo rivale) L'amore fa forti anche gli animali più vili, (gli animali vociano).

Crudo                              - (voltandosi di scatto) Aaaalt... (gli animali tacciono).

Strapietra                         - L'amore acceca gli uomini e quasi li scimunisce, se occorre... (gli ani­mali fremono).

Crudo                              - (voltandosi di scatto) Zut... (gli animali si ricompongono).

Strapietra                         - (senza guardare Crudo) Malan­drino neghittoso, uno di noi due deve andar via da questo tempio...

Crudo                              - (calmo) Mi pare anche a me.

Strapietra                         - Anche a me.

Crudo                              - Anche a me.

Strapietra                         - E anche a me.

Crudo                              - Lasciamo decidere a Gelsomino?

Strapietra                         - Fai come ti pare meglio a te.

Gelsomino                       - (di fuori) Io vi dico soltanto che l'innocentino che mi sta attaccato alla mam­mella sinistra appartiene a chi è stato il più forte e il più coraggioso...

Crudo                              - Dunque il pargoletto è mio.

Strapietra                         - Miooooo...

Crudo                              - Mio e rimango qui per l'eternità.

Gelsomino                       - (ride) Ah ah ah...

Crudo e Strapietra           - (fanno eco a Gelsomino molto seriamente) Ah ah ah.

Gelsomino                       - Non fate pazzie, o bravi malan­drini... Attendete la mia apparizione... (i due rimangono sulle loro posizioni, immobili) Magnolia, Viperina, comari levatrici in­cinte!... Beccamorto!... (i cinque personaggi chiamati si affrettano ad entrare nella ca­mera di Gelsomino. Dopo un minuto di silenzio spunta il becchino che fa agli astanti con le dita segno di far silenzio e dietro di lui appare Gelsomino d'Arabia col suo man­tello di lenzuolo al cui bordo sono ricamate tre rose d'argento, attaccato, come altra volta, al crine da una corona di gelsomino arabo, chiuso alla gola da una collana di corallo a molte file. E' pallidissima) Beccamorto...

Beccamorto                     - Gelsomino...

Gelsomino                       - Lo scienziato è stato eletto sin­daco?

Beccamorto                     - (riprende in qualche modo la sua voce) E come no?... sindaco a vita!...

Gelsomino                       - E Perché allora non è ancora tornato da Catania?

Beccamorto                     - Vuol dire che il signor Prefetto lo ha trattenuto in casa sua per congratu­larsi con lo scienziato...

Gelsomino                       - Vedo che la politica assorbe tutto il mio scienziato.

Beccamorto                     - Lo avremo presto deputato...

Gelsomino                       - Già...

Beccamorto                     - E la mia bella bara di velluto la venderò al Baggiano che è a letto con tutte le coltellate che gli ha dato Turillo il Pinto...

Gelsomino                       - Benissimo... Comari, gli avete telegrafato almeno?

Le Comari                       - Un telegramma con dieci parole di risposta pagata.

Gelsomino                       - Malandrini, (i due fanno atten­zione porgendosi le mani all'orecchio) vi ho detto e vi ripeto che l'innocentino bastar­dello che mi sta attaccato alla mammella si­nistra appartiene a chi è stato il più forte e il più coraggioso...

Crudo e Strapietra           - Dunque...

Gelsomino                       - Ho sempre sete di sangue fresco di caprettino di latte ma non ho spesso sete di sangue umano: oggi ho sete di sangue fresco, e se è sangue di uomini lo preferisco...

Le Comari                       - (a bassa voce, con le mani giunte) E' una santa... parla come una santa...

Crudo e Strapietra           - Dunque...

Gelsomino                       - Torniamo al nostro discorso di prima. Il più forte e il più coraggioso chi è? Non lo voglio vedere. Sia chi sia. Lui rimarrà in questa casa e di lui è quest'animella in­nocente...

Crudo e Strapietra           - E' chiara come l'acqua del fiume Simeto all'alba...

Gelsomino                       - Non voglio vedere. Sia chi sia. Mi dia ancora una volta prova della sua forza e del suo coraggio...

andò di lasciare in-

 Ckudo e Strapietra         - Questa donna è il silla­bario in persona.

Gelsomino                       - Sia chi sia.

Crudo e Strapietra           - Sia chi sia.

Beccamorto                     - (ai due malandrini) Se vi do­vete fare a pezzi andate al largo...

Gelsomino                       - No: davanti agli occhi miei.

Crudo e Strapietra           - Sia fatta la volontà di Gelsomino. (Crudo getta in aria il berretto e la giacca e cava fuori un lungo coltello lu­cente e si mette a saltare come un grillo, con la sigaretta in bocca, sempre, facendo scherma come per allenarsi. Strapietra, accuratamente depone il suo mantellino, la sua carabina e il suo berrettino su alcuni libri e si mostra in smoking, impeccabile; estrae dalla tasca un pugnaletto d'oro e va incontro a Crudo. Infine Crudo si avvilisce e va sotto e il bri­gante gli mette un ginocchio sullo stomaco e gli appoggia la punta della lama sul cuore senza ferirlo. Gli animali tremano e fremono).

Crudo                              - Mi arrendo alla forza superiore del brigante Strapietra.

Gelsomino                       - (al brigante che attende ordini da lei) Puoi anche farmi bere il suo sangue nella tazza che sta sul davanzale...

Strapietra                         - (gli fa con la lama un lungo taglio sulla guancia; il becchino va e torna con la tazza che dona a Strapietra il quale la avvi­cina alla ferita e la porge a Gelsomino che beve senza usare le braccia).

Crudo                              - (senza gridare, cava dalla saccoccia un fazzolettone variopinto, e si nasconde in esso tutta la faccia e si alza ,mentre il brigante gli mette in testa il berretto e nella mano la frusta).

Strapietra                         - (a Crudo) Ossequia la santa e va via.

Crudo                              - (s'inginnocchia ai piedi di Gelsomino, le bacia il lembo delle tre rose d'argento, si alza e dando un colpo di frusta in aria, si ri­volge agli animali) Non perdiamo tempo, o padri legittimi, via da questo fondaco... (Crudo si allontana schioccando la frusta e ogni animale passa prima di uscire davanti a Gelsomino, grida, scopre con una mano il petto nudo di lei, dà uno sguardo al bimbo che il pub­blico non vede, fa col dito un segno, come per dire: questo figlio non è mio; e scappa da vera e propria bestia presa da spavento). Gelsomino       - (a Strapietra) Finora sei tu il padre fortunato di questo bastardello...

Strapietra                         - (commosso le si mette a fianco, la carezza, va a rimettersi il cappello, il man­tello e la carabina e le ritorna al fianco ba­ciando il lenzuolo sul petto di lei) Non ti ho promesso una sera che io son pronto per l'amor tuo a battermi con tutti i pirati del Mediterraneo? Non sei ormai sicura di me? e della mia forza? e del mio amore? e del mio fegato?

Gelsomino                       - Sì...

Strapietra                         - E allora fammi baciare tre volte la creatura del nostro amore sconfinato...

Le Comari e il Beccamorto    - (si avvicinano e si oppongono) No, no, no non ancora... Du­rante la cerimonia sì, ma non ora... Stra­pietra, commettereste un peccato mortale... il bimbo non è ancora battezzato...

Gelsomino                       - Strapietra, se tu lo vuoi baciare con la forza io te lo strozzo sul muso...

Strapietra                         - (sorridendo) Cattiva...

Gelsomino                       - (immalinconendosi) Ed ora taci e riposati...

Strapietra                         - Non sono stanco...

Gelsomino                       - Presto dovrai combattere ancora.

Strapietra                         - (si rabbuia) Combatteremo... (ap­poggia il suo gomito sul capo di lei, la mano si porta sulla fronte e una gamba sull'altra) Sterminerò tutti i miei concorrenti...

Spaccone                         - (di fuori) Non si muova nessuno, non si muova nessuno... (entra munito di una tremenda durlindana sguainata in mano; agli stipiti dell'ampio uscio di fronte fanno capo­lino due teste di carabinieri che fumano) Non sono venuto per arrestare il brigante Strapie­tra, sono venuto invece Perché qui  - (accarezza col dorso della durlindana il petto di Gelso­mino) qui qui qui c'è un angioletto di para­diso che mi conosce a fondo e se io lo chiamo mi risponde: papà bello...

Gelsomino                       - Maresciallooooo...

Spaccone                         - (Si irrigidisce in posa buffa).

Gelsomino                       - Se non taci io strozzo il bimbo...

Spaccone                         - Assassinaaaaa... (alza la durlin­dana) non toccare il mio sangue!... (le comari lo fermano).

Gelsomino                       - E allora taci...

Spaccone                         - Taccio»...

Gelsomino                       - E sii mansueto...

Spaccone                         - Ma la mia natura è quella del­l'uomo feroce...

Gelsomino                       - Lo so ma sforzati di fare il man­sueto...

Spaccone                         - Spero di riuscirci e di acconten­tarti ma almeno fammi vedere una sola volta il tuo bimbetto...

Le donne                         - Durante la cerimonia sì e ora noi che commettereste un peccato mortale...

Spaccone                         - (Fa gesto di rassegnazione e sipone al fianco di Gelsomino, quello opposto al brigante, e imita nell'atteggiamento Strampietra).

Gelsomino                       - (fattosi silenzio) Soffro, (sospirai lungamente) non mi chiedete, vi prego, perchè soffro. Vi risponderei come una viperai assolata. Certo è che i miei seni d'avorio sei li mangia a poco a poco questo animaletto! innocente e affamato... Come una sanguisuga! mi svena... E voi mi dite che sono una santa?... che miracoli ha fatto Gersomino?... Cabaia volgare dello scienziato, non miracoli della chiesa romana... Non peccate, o gentili! comari che già io sono una grande peccatrice.!

Le donne                         - Questa è una santa che parla...! E' una beata... Che fortuna per il nostro! paese avere una santa viva che parla...

Gelsomino                       - (afflitta) Troppo gentili... voil siete troppo gentili e indulgenti... ed anche troppo fessi....

Spaccone                         - Infatti il frasario di Gelsomino non mi convince.

Strapietra                         - Perché?

Spaccone                         - Trovo le sue parole molto misteriose.

Strapietra                         - Maresciallo, con lo stare troppo tempo in caserma si finisce col capir poco le donne superiori.

Spaccone                         - Io vorrei tenere ai presenti un pic­colo discorso di occasione.

Gelsomino                       - Non voglio io. Nessuno deve sa­pere l'incanto.

Strapietra                         - Gatta ci cova?

Gelsomino                       - Non mi fate venire i nervi isterici.

Strapietra e Spaccone      - Noi?

Gelsomino                       - Sì.

Strapietra                         - Che vuoi dunque, Gelsomino? Posso uccidere un Maresciallo innocente per dissetare la tua malvagità? Posso togliere la vita ad un graduato che forse è il padre legit­timo della creatura che nascondi nel petto?

Gelsomino                       - Non dico a te. Parlo a Spaccone che ha la fifa. Egli dovrebbe dirti: - Stra­pietra, tu non hai diritto di rimanere in questa casa!

Spaccoce                         - (a Gelsomino) Amore, tu ti rivolgi a me?

Gelsomino                       - No, io parlo a Strapietra che do­vrebbe dirti: - Spaccone, tu non hai di­ritto di rimanere in questa casa! qui può re­stare il più coraggioso di noi due!

Strapietra                         - Ora sono io che non capisco più nulla. Domineddio, come è vero che mi chia­mo Strapietra qui scorrerà un fiume di san­gue tra mezz'ora se non si scioglie il mistero che mi nascondi, o adorata Gelsomino!

Gelsomino                       - Io sono capace di berlo tutto il fiume di sangue!

Spaccone                         - Io ci nuoto dentro con piacere e ci faccio anche il morto. Prima di fare il maresciallo io ero un temuto malandrino.

Gelsomino                       - Bravissimo: presto voglio vedere il fiume rosso, prima che giunga il sindaco.

Spaccone                         - Ai tuoi ordini!

Strapietra                         - Ai tuoi ordini (l'uno e l'altro brandiscono le armi: la durlindana ed il pugnaletto d'oro. Gelsomino sorride; i due si combattono a distanza e non accennano ad in­contrarsi).

Gelsomino                       - Svelti. Incrociate le lame.

Strapietra                         - Mi sento di ucciderti fumando.

Spaccone                         - Ma a me questo rumore esterno mi impedisce di continuare serenamente la giostra. (Suono di trombette, di piattini, di zufoli, di nacchere si avvicina).

Beccamorto                     - (va al muricciolo) C'è folla

Le comari                        - E' la verità... è la pura verità... (Suono di trombette, di piat­tini, di zufoli, di nacchere si avvicina).

Beccamorto                     - (va al muricciolo) C'è folla sulla piazza... ci sono i musicanti e le torce a vento!

Le donne                         - E' lo scienziato che arriva... Che festa!... che festa!... Tutto il paese verrà a baciare i piedi di Santa Gelsomino d'Arabia...

Magnolia                         - Svelti svelti... (le donne e il bec­chino si danno da fare, entrando e uscendo dalla stanza di Gelsomino d'Arabia. La mu­sica si avvicina).

Le comari                        - Arriva il sindaco... Arriva il sin­daco! (esse portano sulla scena un baldac­chino dorato e scarlatto, sì alto che anche il pubblico dei palchi possa vederci dentro. Sulla fronte del baldacchino sta scritto a caratteri di ghirlanda funebre, visibile al pub­blico:

W

GELSOMINO D' ARABIA

BEATA DEL MORETTO

Beccamorto                     - (ritorna al muricciolo) Evviva il signor Sindaco sposo felice!... (batte le mani) Evviva il sindaco scienziato!... (en­tra) E' qui... è qui... (e scappa nella camera di Gelsomino, ma la sua testa fa sempre capolino sulla scena. I rumori sono vicinissimi e infine appare sulla scena la folla variopinta dei vendemmiatori sbracciati seminudi e av­vinazzati, con a capo Magonza).

 Magonza                         - (entrato: le trombette suonano la marcia reale e subito una dozzina di angio­letti di gesso coloralo e di serafini, con doni e mazzolini di fiori in mano, sospesi da un filo invisibile scendono lentamente dal soffitto e si calano fin dentro il baldacchino) Che volete di più? che volete di più? miei bravi cittadini? (Il sindaco è in preda alla falsa gioia e all'epilessia). E' venuto l'erede!

Folla                                - Evviva il futuro sindaco... evviva il piccolo scienziato... evviva il figlio di Magonza... sindaco per eredità...

Magonza                          - Prima di vederlo, voglio sapere quali regali avete portato al Messia, o se siete venuti con le mani vuote alla ceri­monia...

Folla                                - Oro zecchino, a diciotto carati... co­rallo jonico... bolere di platino, zaffiri e'soli­tari... smeraldi e pietre granatine...

Magonza                          - Bravi i miei elettori, un plauso ai re magi...

Folla                                - Signor, sindaco, siamo tutti impazienti di baciare l'erede...

Magonza                          - Vi permetterò di portarlo in trionfo...

Folla                                - Fino a domani all'alba...

Magonza                          - E appena spunterà il sole di Ca­tania me lo riporterete?

Folla                                - Si...

Magonza                          - E Perché le campane non suonano a festa? dov'è il beccamorto?

Beccamorto                     - (appare) Scienziato...

Magonza e la Folla          - Vai a suonare le cam­pane in onore della santa...

Beccamorto                     - (Corre).

Magonza                          - Che volete di più?

Folla                                - (rovesciandosi sotto il baldacchino) Vogliamo baciare l'angioletto...

Gelsomino                       - (trae dal lenzuolo un braccio nudo ed allontana alcuni) Non mi fate violenza...

Magonza                          - Via dal baldacchino!...

Folla                                - (quella rimasta indietro) Via dal baldacchino!... lo vuole lo scienziato!... (tutta la folla si ritrae).

Magonza                          - Obbeditemi, obbeditemi, o gentili ubriachi!

Gelsomino                       - (fa segno di voler parlare e tutti rimangono di sasso) Se fate ancora i pazzi io strozzo l'erede...

Folla                                - Santa assassina!...

Magonza                          - (penetrando di fretta nel baldacchino) Gelsomino, non toccare il mio sangue!... (le strappa il bimbo dal petto, e Gelsomino re­sta immobile; le si intravedono ora i seni e un'intera gamba. Magonza leva in alto il bimbo che è nudo e nero come la pece).

Folla                                - (Si inginocchia e china la testa).

Magonza                          - Delirio... delirio... delirio!... (Gel­somino piega la testa e sta come un fiore ap­passito). Miei fedeli elettori ubriachi, levate la testa... e non vi prenda il feroce delirio... Nessuno deve morire di gioia...

Folla                                - (leva la testa e le braccia) Miracolo!...

Magonza                          - Non è cabala ma autentico mira­colo...

Folla                                - Miracolo!...

Magonza                          - Vero e proprio miracolo...

Folla                                - Santa... beata... santa Gelsomino d'Arabia!...

Magonza                          - (Fa vedere il bimbo da tutti i lati come se fosse il Santo Sacramento).

Folla                                - Lo vogliamo portare dal Papa... al Vaticano... al Vaticano!

Magonza                          - No dal Pontefice che lui poveretto non se ne intende...

Folla                                - Dove? dove?

Magonza                          - Per ora levatevi in piedi ed ascol­tatemi...

Folla                                - (Si leva).

Magonza                          - Siete tutti contenti dell'erede?

Folla                                - Contentissimi...

Magonza                          - Ed io altrettanto...

Folla                                - Evviva il piccolo sindaco di ciocco-latta!...

Magonza                          - Ballate, ballate la tarantella per l'occasione...

Magonza                          - L'erede è nelle vostre mani gentili vendemmiatori. Lo volete?

Folla                                - Subito...

Magonza                          - Ma non dimenticate che è il figlio del sindaco Magonza che portate in giro per il paese...

Folla                                - No, no... daccelo subito!

Magonza                          - Eccovelo... ma io vi dico dove voi dovete portarlo... E mi ubbidirete?

Folla                                - Sempre...

Magonza                          - Non dimenticate nemmeno che questo innocente se tocca un paralitico lo sana di colpo, se tocca un gobbo lo raddrizza, se tocca un malato di tabe lo guarisce imman­tinente. Questo è un angioletto che fa più miracoli di quanti ne ha fatti il vostro scienziato che possiede i libri della cabala misteriosa...

Folla                                - Noi siamo tutti pazzi di gioia!

Magonza                          - Lo vedo, vi vedo bene...

Magonza                          - Gli farete benedire il mosto che fermenta da tre giorni come un vulcano! e non è stanco mai di fermentare, quel mostol maledetto dalla perenospera...

Folla                                - Lo porteremo in braccio fino al parlamento nuovo...

Magonza                          - Sulle dita per non maltrattarlo.

Folla                                - Sì sì sì...

Magonza                          - Giunti che sarete all'orlo della cisterna del palmento nuovo, che farete del moretto divino?

Folla                                - Gli faremo benedire il mosto male­detto...

Magonza                          - E in che modo, sciagurati?

La Folla                           - (non sa rispondere).

Magonza                          - (inferocito rotea il bimbo come unum spada) Ubriachi gentili, in questo modo: uno di voi, lo Smammanico, per esempio, legherà con una cordicella bagnata nella fonte battesimale della matrice il pargoletto miracoloso alla schiena, poi tutti andrete uniti alle Sciare vecchie e quando sarete all'orlo della cisterna del palmento nuovo dove fermenta il mosto maledetto, lo Smammanico   calerà il moretto dentro il mosto, con cautela con cautela con cautela, o sciagurati... ada­ gio... adagio... adagio... (e intanto rotea il bimbo) adagio... adagio... senza fargli male; via!...  (e scaglia il bimbo sulla folla che lo afferra a volo. Gli ubriachi si contendono la creatura gridando: Miracolo! mentre Magonza barcollante penetra nel baldacchino, toglie di mano al Maresciallo assorto la durlindana e comincia a rotearla a destra e a manca) Via via via dal tempio i gentili ubria­chi!

(Gli strumenti riprendono a suonare la marcia reale e la folla sgombera tra commenti e vocìi: gli ultimi ad andar via sono il brigante e il maresciallo, l'uno e l'altro a braccetto, sin­ghiozzando e asciugandosi le lacrime e muoven­dosi lentamente).

Magonza                          - (Segue con l'occhio la folla, fin sul muricciolo e quando ogni rumore della sulla scena. Di qui l'azione deve procedere lentissimamente. Indi si ode di fuori tre volte il cornetto lamentoso di Karis-el-Mabul, e Magonza erge la testa e affila gli orecchi. Si fa vicina la cantilena del tripolino).

Karis                                - (stiracchia le parole quanto più può, come se si lamentasse) Passa il ricco tri­polino Mabul... porta tappeti orientali e scialli persiani... candelabri di Costantinopoli e pantofole marocchine... oro zecchino e a diciotto carati... pendentini e braccialetti ce­sellati...

Gelsomino                       - (lentamente ritorna in sé e len­tissimamente risolleva la testa, mentre Magonza la guarda, non visto, più inferocito di prima).

Karis                                - (c. s.)... candelabri finissimi per sale da pranzo... regali preziosi per fidanzate e fidanzati...

Gelsomino                       - (quale fantasma si è levata e gli occhi immobili gli sorridono come in un sogno).

Magonza                          - (si ritrae e si nasconde nell'ombra).

 Karis                               - (la sua voce è vicinissima) E Perché o gentili paesani non portate il lume alle finestre?... non mi lasciate nelle mani dei briganti... (suona a lungo il cornetto malin­conico).

Gelsomino                       - (va lentissimamente verso fuori, con le mani protese in avanti mentre l'ombra di Mabul si proietta innanzi l'uscio).

Karis                                - Passa il tripolino più ricco, o paesani, Karis-el-Mabul è in casa di Gelsomino d'A­rabia se lo volete trovare...     - (cornetto).

Magonza                          - (Si scaglia contro Gelsomino e dà con ambo le mani un colpo di durlindana nel vuoto. Gelsomino cade mostrando le sue nu­dità nel frattempo che Karis suona un'ultima volta il cornetto e lo scienziato si apposta bar­collando e trascinandosi dietro l'uscio per an­che colpire il tripolino ma prima che questi sia entrato cala rapidamente la tela).

FINE