George Dandin

Stampa questo copione

 


ovvero


Commedia in tre atti

di Molière

(1668)

Titolo originale George Dandin ou le mari confondu.

Traduzione di Bruno Schacherl

da Tutto il Teatro - Vol. II -

Newton Compton Editori s.r.l. - Roma

Personaggi

George Dandin, contadino ricco, marito di Angélique

Angélique, moglie di George Dandin e figlia del signor de Sotenville

Il signor de Sotenville, gentiluomo di campagna, padre di Angélique

La signora de Sotenville, sua moglie

Clitandre, amante di Angélique

Claudine,  cameriera di Angélique

Lubin, villico,al servizio di Clitandre

Colin, servo di George Dandin

La scena è davanti alla casa di George Dandin  (in campagna)

Prima rappresentazione:  Versailles, 18 luglio 1668.


ATTO PRIMO

SCENA  PRIMA

George Dandin  (solo)

George Dandin: Ah! bell'affare una moglie contessa! E che lezione il mio matrimonio per tutti quei contadini che vogliono elevarsi sopra il loro stato, e cercan moglie, come ho fatto io, in casa di gentiluomini! La nobiltà, per sé, è cosa buona, sti­mabile cosa, indubbiamente; ma tante ingrate circostanze l'accompagnano, che meglio non immischiarsene del tutto. Questo, l'ho imparato a mie spese, e conosco ormai lo stile dei nobili quando ci fanno entrare, noi altri, in famiglia. Con noi, fanno poca razza. Sposano, ma solo il nostro denaro, e quanto avrei fatto meglio, con tutti i miei quattrini, a metter su casa con brava e schietta gente di campagna, anziché prendermi una moglie che si sente superiore, e sembra ci rimetta a por­tare il mio nome, e pensa che tutto il mio denaro non ha pagato abbastanza l'onore di esserle marito. George Dandin, George Dandin, tu hai fatto la più grande sciocchezza del mon­do. Casa mia è diventata un inferno, e rimettervi piede vuol dire ogni volta trovare dispiaceri.

SCENA SECONDA

George Dandin, Lubin

George Dandin (a parte, vedendo Lubin uscire di casa): Che diamine viene a fare quel cretino in casa mia!

Lubin (scorgendo George Dandin, a parte): C'è un uomo che mi  guarda!

George Dandin (a parte):  Non mi conosce.

Lubin (a parte):   Sospetta  qualcosa.

George Dandin (a parte):   Eh, dura fatica a salutare!

Lubin (a parte): E se ora dice che m'ha visto uscire di là dentro?

George Dandin:    ... giorno.

Lubin:  Servo suo.

George Dandin:  Voi non siete di qua, mi pare?

Lubin:  No, no, sono venuto soltanto per vedere la festa di domani.

George Dandin:  Ehi, ditemi un po': siete stato là dentro?

Lubin:  Sssst!!

George Dandin:  Come?

Lubin:  Zitto!

George Dandin:   Beh?

Lubin:  Silenzio!

George Dandin:    Cosa?

Lubin: Acqua in bocca! Non si deve dire, che lei mi ha visto uscire di là.

George Dandin:   Perché?

Lubin:  Mio Dio!  Perché...

George Dandin:   Ma per che  cosa?

Lubin:  Piano!  ho paura che ci ascoltino.

George Dandin:  Macché, macché.

Lubin: Ecco: sono stato a parlare con la padrona di casa, per conto di un certo signore che le fa gli occhi di triglia, e que­sto non si deve sapere. Capite?

George  Dandin:    Eh!

Lubin: Ecco la ragione. Mi hanno raccomandato di fare attenzione che nessuno mi veda, e la prego almeno di non dire che m'ha visto.

George Dandin:  Me ne guardo!

Lubin: Io ci tengo a fare le cose in segreto, come m'hanno raccomandato.

George Dandin:   Bene!

Lubin: Il marito, dicono, è geloso, e non vuole che si faccia all'amore con sua moglie; farebbe il diavolo a quattro se la cosa gli venisse alle orecchie.  Compreso bene?

George Dandin:  Benissimo.

Lubin:  Lui non deve sapere niente di tutto  questo.

George Dandin:   Certo.

Lubin:  Lo vogliono  ingannare con garbo.  Capito bene?

George Dandin:  Meglio di così...

Lubin: Se lei dirà di avermi visto uscire da casa sua, man­derebbe all'aria tutto. Compreso bene?

George Dandin: Assolutamente bene! Ehi! come si chiama quel tale che vi ha mandato là dentro?

Lubin: È il signore del paese, il signor Visconte della cosa... Per!... non mi ricordo mai come diamine biascicano quel nome... Sì, il signor di Cli... Clitandre.

George Dandin:   Quel  giovane  cortigiano che  abita...?

Lubin:  Già. Lì accanto a quegli alberi.

George Dandin (a parte): Ah, è per questo che da qualche giorno il signorino ha preso alloggio qui di faccia? Avevo buon fiuto io, e quel vicinato m'aveva già messo in sospetto.

Lubin:  Per la miseria, è il più brav'uomo che si sia mai veduto. Mi ha dato tre scudi d'oro soltanto perché andassi a dire a madama che lui è innamorato di lei e che anela con tutto il cuore all'onore di poterle parlare. Si figuri che fatica, per pagarmi così bene, e cos'è a petto di questo una giornata di lavoro che mi frutta appena dieci soldi.

George Dandin:  Ebbene, l'imbasciata l'avete fatta?

Lubin: Sì, ho trovato là dentro una certa Claudine che ha capito a volo cosa volevo, e m'ha fatto parlare con la padrona.

George Dandin (a  parte):   Vigliacca  d'una   serva!

Lubin: Satanasso, che figliola quella Claudine! Mi ha preso il cuore, e sta soltanto a lei ormai, se ci si deve sposare, noi due.

George Dandin: Ma che risposta ha dato la padrona a questo signor cortigiano?

Lubin: Mi ha detto di dirgli... Aspetti, non so se ricorderò bene tutto... ah, che non sa come ringraziarlo dell'affetto che ha per lei, e che per via di suo marito, che è fissato, badi bene a non far trapelare niente, e che occorrerà pensare a qualche trucco per poter stare insieme tutti e due.

George Dandin (a parte):  Ah! demonio di una donna!

Lubin: Miseriaccia, sarà tutta da ridere: il marito non se la sognerà nemmeno la trappola, e con tutta la sua gelosia resterà con tanto di naso. (Pausa.) No?

George Dandin:   Eh!

Lubin: Addio. Come non detto, però. Serbi bene il segreto, che il marito non lo sappia.

George Dandin:   Sì,   sì.

Lubin: Io, per parte mia, farò finta di nulla. Ho i miei numeri io, e nessuno sospetterebbe che c'entri io.

SCENA  TERZA

George Dandin  (solo)

George Dandin: Vedi, George Dandin, vedi a che modo ti tratta la moglie! Ecco cos'è aver voluto sposare una contessa: te ne fanno di tutti i colori senza che tu possa vendicarti, e la nobilerìa ti tiene le mani legate. L'uguaglianza di stato lascia almeno all'onore del marito la libertà di ribellarsi, e se era una contadina, tu avresti ora le mani libere, libere di farti giustizia a suon di bastonate. Ma sei stato tu a voler assaggiare la nobiltà, sei stato tu che ti annoiavi a esser padrone in casa tua. Ah, che rabbia, che rabbia, mi prenderei volentieri a schiaffi. Ma come! dare ascolto sfacciatamente all'amore di un damerino, e come se non bastasse, promettergli di ricam­biarlo! Corpo di bacco, non voglio lasciar perdere un'occasione simile. Bisogna correre subito a fare le lagnanze al padre e alla madre, e chiamarli a testimoni, per ogni evenienza, delle pene e degli affanni che mi da la figlia. Ma eccoli, lui e lei davvero a proposito.                                                                  

SCENA QUARTA

George Dandin, il signore e La Signora de Sotenville

de Sotenville:   Cosa c'è, genero mio? Mi sembrate tutto turbato.

George Dandin:  E  n'ho  ben   donde,   e...

La Signora de Sotenville: Mio   Dio,   genero   nostro,   quanta poca creanza avete! Non salutate le persone quando le accostate?

George Dandin:   Per amor del cielo,  suocera mia,  ho ben altro per il capo, e...

La Signora de Sotenville:  Di  nuovo!  È possibile,  genero nostro, che sappiate tanto poco vivere, e che non ci sia verso di insegnarvi come si sta in mezzo alla gente di mondo?

George Dandin:    Come?

La Signora de Sotenville: Non vi divezzerete mai di questa familiarità? « Suocera mia »! Non vi abituerete mai a dirmi « Madama »!

George Dandin: Perbacco! Se lei mi chiama genero, mi sembra che io possa chiamarla suocera!

La Signora de Sotenville: Sarebbe bella! Non è lo stesso. Sappiate, di grazia, che non spetta a voi adoperare quella parola con una signora del mio rango; per genero che siate, tra voi e noi c'è grande differenza, e dovreste ormai sapere chi siete.

de Sotenville:   Basta, tesoro, lasciamo correre.

La Signora de Sotenville: Mio Dio, signor de Sotenville, solo voi avete di queste indulgenze, e non sapete farvi dare dalle persone quello che vi spetta.

de Sotenville: Perdiana, mi spiace, su questo punto nessuno mi può insegnare; io ho saputo dare nella mia vita almeno venti prove di energia, e non sono davvero io l'uomo che cede anche su una piccola parte delle sue pretese. Ma per questa volta basta un piccolo ammonimento. Sentiamo un po', genero, cosa avete nel cuore?

George Dandin: Senta, è meglio parlare chiaro. Le dirò, signor de Sotenville, che ho ragione di...

de Sotenville: Piano, piano, genero. Imparate che non è rispet­toso chiamare le persone per nome; a chi è sopra di voi, dovete dire « signore » e basta.

George Dandin: Va bene, signore e basta, e non più signor de Sotenville... Le debbo dire che mia moglie mi da...

de Sotenville: Bello! Imparate pure che non dovete dire « mia moglie » quando parlate di nostra figlia.

George Dandin: Ioscoppio... Ma come? Mia moglie non è mia moglie?

La Signora de Sotenville: Sì, genero nostro, è vostra moglie, ma non vi è permesso di chiamarla così. Potreste farlo benissimo,  se aveste sposato una vostra pari.

George Dandin (a   voce  bassa,  a  parte):   Oh,  George  Dandin, dove ti sei cacciato!   (A voce alta: )  Per amor del cielo, met­tete per un istante da parte la vostra nobiltà, e lasciate che vi parli adesso come potrò.  (A parte: )  Che un diavolo se le porti, tutte queste storie.  (Al signor de Sotenville: )  Vi dico insomma che sono tutt'altro che contento del mio matrimonio.

de Sotenville:   La  ragione, genero mio?

La Signora de Sotenville:   Come? Parlate così di una cosa che vi ha portato tanti vantaggi?

George Dandin: E che vantaggi, madama? ...va bene madama? Per voi non è stato un cattivo affare, perché senza di me, le vostre faccende, col vostro permesso, andavano in malora, e i miei quattrini sono serviti a tappare dei bei buchi; ma io che ci ho guadagnato, io, vi prego, se non una coda al mio nome, e invece di George Dandin sono diventato grazie a voi « signor de la Dandinière »?

de Sotenville:  E  non contate nulla, genero mio, il vantaggio d'imparentarvi col casato di Sotenville?

La Signora de Sotenville:  E  con quello de la Prudoterie, da cui mi onoro provenire? In casa mia, è il ventre che fa nobili... (Dandin le guarda il ventre:)   La madre!  E grazie a questo privilegio i vostri  figli saranno gentiluomini.

George Dandin:  Sì, è una bella cosa, i miei figli saranno genti­luomini;  ma io sarò becco, io, se non ci si pone rimedio.

de Sotenville:  Come  sarebbe  a dire, genero?

George Dandin:  Sarebbe a dire che vostra figlia non vive come deve vivere una  moglie, e fa cose che  sono contro  l'onore.

La Signora de Sotenville:   Stupendo!  Fate attenzione a quello che dite. Mia figlia è di una razza troppo virtuosa per poter mai fare cosa che violi l'onestà; nella famiglia de la Prudoterie da più di trecent'anni non v'è stata donna, grazie a Dio, che abbia dato luogo a delle chiacchiere.

de Sotenville: Perdiana! Nella famiglia de Sotenville non s'è mai vista una civetta, e tanto è ereditario il valore dei maschi, quanto la virtù nelle femmine.

La Signora de Sotenville: Da noi c'è stata una Jacqueline de la Prudoterie, che non volle mai essere l'amante di un duca e pari di Francia, governatore della nostra provincia.

de Sotenville: C'è stata una Mathurine de Sotenville che rifiu­tò ventimila scudi da un favorito del re, il quale le domandava appena il favore di parlarle!

George Dandin:   Benissimo! Ma vostra figlia non è tanto difficile, e si vede che s'è fatta più domestica, da quando sta con me.

de Sotenville:  Spiegatevi,  genero.  Non   siamo  gente,  noi,  da darle mano in cattive azioni, e saremo i primi, sua madre ed io, a rendervi giustizia.

La Signora de Sotenville:  Non   ammettiamo   scherzi,   noi,   in materia   d'onore,   e  l'abbiamo  allevata  con   tutta  la  severità possibile.

George Dandin:  Quel che posso dir loro, è che qui sta un cor­tigiano, l'avete visto, il quale è innamorato di lei, in barba a me, e le ha mandato profferte d'amore che lei ha molto calorosamente accettato.

La Signora de Sotenville:  Cielo  degli   angeli!   La  strangolerei con le mie mani, se dovesse tralignare dall'onestà di sua madre!

de Sotenville:  Perdiana!   Le infilerei la mia spada nel corpo, a lei e al cascamorto, se avesse fatto sfregio al suo onore!

George Dandin:  Vi ho detto cosa avviene, vi ho fatto le  mie lagnanze, e ora vi domando soddisfazione.

de Sotenville:  Non  vi  angustiate, l'avrete,  e  da  tutti  e  due. Io son uomo da mettere a freno chicchessia. Ma siete ben sicuro di ciò che dite?

George Dandin:   Sicurissimo.

de Sotenville:  Sinceratevi   bene,   perché   tra  gentiluomini   son cose delicate, e non è il caso di creare inutilmente uno scandalo.

George Dandin:  Non v'ho detto niente, vi assicuro, che non sia vero.

de Sotenville:  Tesoro, andate a parlare con vostra figlia, io con mio genero andrò a parlare con l'uomo.

La Signora de Sotenville:  Com'è possibile, anima mia, che sia a tal punto dimentica di sé dopo gli esempi di morigeratezza, voi lo sapete, che le ho dato io?

de Sotenville:  Faremo  luce  su  tutto.   Seguitemi,  genero  mio, e non datevi pena. Vedrete da voi come sappiamo infiammar­ci  quando  ci  toccano  in   qualcosa  che   può  aver  a  che  fare con noi.

George Dandin:  Eccolo!  Viene verso di  noi.

SCENA  QUINTA

I signor de Sotenville, Clitandre e George Dandin

de Sotenville:  Signore, il nome mio le è noto?

Clitandre: No, ch'io sappia, signore.

de Sotenville:  Mi chiamo:   barone de Sotenville.

Clitandre:   Rallegramenti vivissimi.                                                

de Sotenville:  È un nome conosciuto a corte; io ebbi, in gioventù, l'onore di  distinguermi tra i primi alla grande parata di Nancy.                                                                                       

Clitandre:  Alla grazia!

de Sotenville:  Il mio signor padre, Jean-Gilles de Sotenville, ebbe la gloria di assistere in persona al grande assedio di Montauban.

Clitandre:  Ne sono commosso.

de Sotenville: Ed un mio antenato, Bertrand de Sotenville, godette ai suoi tempi di tanta considerazione, che gli fu con­cesso di vendere ogni suo avere e partire per le terre d'ol­tremare.

Clitandre:  Non ho nessuna  intenzione  di dubitarne.

de Sotenville: Oh! M'hanno riferito, signore, che lei ama e importuna una giovane signora, che è poi mia figlia ed è sotto la mia protezione, come pure quest'uomo (indicando George Dandin)  qui, che ha l'onore di essere mio genero.

Clitandre:    Io?

de Sotenville: Lei, e sono lieto che mi offra il destro di chie­derle, con sua licenza, una spiegazione.

Clitandre: Malignità! Assurda malignità! Chi gliel'ha detto, signore?

de Sotenville:  Una persona che lo sa con certezza.

Clitandre: La persona ha mentito. Io son uomo d'onore. Mi crede capace, signore, d'una azione così vile? Io, amare una giovane e bella signora, che ha l'onore d'esser figlia del barone de Sotenville! E dove andrebbe il rispetto e l'omaggio che io le debbo, barone?  Chiunque gliel'ha detto è un idiota...

de Sotenville:   A voi, genero!

George Dandin:   Come?

Clitandre:   ... un villano e un furfante.

de Sotenville (a Dandin):  Rispondete.

George Dandin:   Rispondete voi.

Clitandre: Se io sapessi chi è, gli passerei il ventre con la spada sotto i vostri occhi.

de Sotenville:  Andiamo,  reggete  l'accusa.

George Dandin:   Si regge  da sé.  È  vera.

Clitandre:   È stato suo genero, signore...

de Sotenville:   Sì, è stato lui  a lagnarsi.

Clitandre: Davvero, può ringraziare d'esser dei vostri, che altri­menti gli insegnerei io a tenere simili discorsi sul conto d'un mio pari.

SCENA   SESTA

Il signore e La Signora de Sotenville, Angélique, Clitandre, George Dandin, Claudine

La Signora de Sotenville: Davvero, che strana faccenda la gelosia! Ecco mia figlia, che metterà in chiaro la cosa davanti a tutti.

Clitandre:  È stata lei, signora, a dire a suo marito che io l'amo?

Angélique: Io? e perché glielo avrei dovuto dire? È forse vero? Vorrei vedere che lei fosse innamorato di me! Si provi, la prego, troverà chi le risponde. Le consiglio di farlo. Provi a ricorrere a tutte le astuzie degli innamorati: mi mandi amba­sciate, per piacere, mi scriva in segreto bigliettini dolci, spii i momenti che non ci sarà mio marito, o quando io uscirò, per parlarmi del suo amore. Non ha che da venire, le prometto che sarà ricevuto come merita.

Clitandre: Eh, là, là, vada piano, signora. Non ho bisogno di tante lezioni e, non c'è niente da scandalizzarsi. Chi le dice che  io pensi  ad  amarla?

Angélique:  E che ne so, io? me lo vanno raccontando.

Clitandre: Dicano quel che vogliono: lo sa lei, se le ho parlato d'amore quando l'ho incontrata.

Angélique:  Non aveva che da farlo, sarebbe stato il benvenuto.

Clitandre: Le assicuro che con me non ha niente da temere. Non è mio costume far disperare le belle. Ho troppo rispetto per lei, e per i suoi signori genitori, perché mi venga in mente di  innamorarmene.

La Signora de Sotenville (a  Dandin):   Ecco,  vedete?

de Sotenville:  Avete avuto soddisfazione, genero. Che ne dite?

George Dandin: Dico che son favole da raccontarsi a veglia; so bene quel che so; già che ci siamo, costei poco fa, ha ricevuto un'ambasciata da lui.

Angélique:  Ioricevuta...

Clitandre:  Io mandata...

Angélique e Clitandre (insieme):   Un'ambasciata?

Angélique:  Claudine!

Clitandre (a Claudine):   Dite voi.

Claudine:  Giuro che è un'assurda menzogna!

George Dandin: Tacete voi, carogna. Ne so parecchie sul conto vostro. Siete stata voi, poco fa, a far entrare il messaggero.

Claudine:   Io?

George Dandin:  Voi,  voi.  Sì.  Non  fate tanto  l'innocentina.

Claudine: Ahimè, come è pieno il mondo di cattiveria, sospet­tarmi così, io che sono l'innocenza in persona!

George Dandin: Tacete, buona lana. Vi conosco da tempo, la sapete lunga, voi, che siete navigata più di quel che pare.

Claudine (ad Angélique):   Signora, ho forse...

George Dandin: Tacete, dico; o va a finire che la faccio scontare a voi per tutti quanti:  e voi, non avete un padre nobile.

Angélique:  È una tale impostura e mi ferisce così addentro che non ho neanche la forza di rispondere. È orribile essere accu­sata da un  marito  quando  non gli si fa  nient'altro se non quello che gli è dovuto. Ahimè, se di qualcosa mi si può biasimare, è di trattarlo troppo bene.                                               

Claudine: Davvero!                                                                    

Angélique: La mia disgrazia è tutta lì; ho troppi riguardi. Vo­lesse il cielo che fossi capace di accettare, come dice lui, la corte da qualcuno. Sarei meno da compatire. Addio. Io rientro, non posso sopportare più che mi si offenda a questo modo.

La Signora de Sotenville (a George Dandin): Ecco, voi non meritate una moglie onesta come quella che vi abbiamo dato!

Claudine: Giuro, meriterebbe che gliele facesse sul serio; io se fossi al posto della signora non ci penserei due volte. (A Clitandre:)

Sì, signore, lei, per punirlo, deve fare all'amore con la mia padrona. Vada a fondo, glielo dico io, sarà tempo speso bene. E io m'offro di servirla, tanto ormai sono già sotto ac­cusa. (Esce.)

de Sotenville: Meritate, genero, le cose che vi dicono. È la vostra condotta che vi mette tutti contro.

La Signora de Sotenville: Ecco, pensate a trattar meglio una gentildonna di buona famiglia, e badate d'ora in poi a non prender più granchi simili.

George Dandin (a parte): Oh rabbia, oh rabbia, aver torto quan­do ho ragione!

Clitandre (al signor de Sotenville): Signore, lei vede quanto falsamente sono stato accusato. Lei non ignora certo le regole dell'onore e domando a lei ragione dell'affronto che mi è stato fatto.

de Sotenville: Giusto, è la procedura. Avanti, genero, date sod­disfazione al signore.

George Dandin:  Che soddisfazione?

de Sotenville: Sì, è la regola. È dovere vostro, per averlo ac­cusato a torto.

George Dandin: Su questo non sono d'accordo, io, d'averlo accu­sato a torto, e mi tengo la mia opinione.

de Sotenville: Non importa. Qualunque opinione vi teniate, lui ha negato, vi ha dato soddisfazione; e non si ha nessun diritto di lagnarsi di chi smentisce.

George Dandin: Sicché se lo trovassi a letto con mia moglie, se la caverebbe smentendo?

de Sotenville: Oh, basta con le chiacchiere. Fategli le scuse che vi dico.

George Dandin: Io? io dovrò ancora far delle scuse a lui, dopo che...

de Sotenville: Avanti, vi dico. Non c'è motivo di tentennare; e non abbiate paura di far più del dovuto. Sono io che vi guido.

George Dandin:   Io  non  potrei mai...

de Sotenville: Perdiana, genero mio, non mi fate salire il san­gue alla testa, altrimenti mi metto con lui contro di voi. Avanti, avanti, lasciatevi dirigere da me.

George Dandin (a parte):   Ah, George Dandin!...

de Sotenville:  Prima  di  tutto,  giù  il  cappello,   il  signore   è  nobile e voi no.

George Dandin (a parte,  col cappello  in  matto):   Che  rabbia!

de Sotenville:  Ripetete con me:   « Signore ».

George Dandin:   « Signore »...

de Sotenville:  « Le  chiedo  scusa... »  (Vede che  il  genero  la difficoltà ad obbedire.) Oh!

George Dandin:   « Le chiedo scusa... ».

de Sotenville:  « Dei pensieri offensivi che ho concepito a suo riguardo... ».

George Dandin:   «Dei pensieri offensivi che ho concepito a suo riguardo... ».

de Sotenville:   « Perché  non   avevo  l'onore  di  conoscerla... ».

George Dandin:  « Perché non avevo l'onore di conoscerla... ».

de Sotenville:  « E la prego di credere... ».

George Dandin:  «E la prego di credere... ».

de Sotenville:   « Che sono suo servitore... ».

George Dandin:  Vuole che  io  sia  servitore d'un uomo che  mi vuol far becco?

de Sotenville (minacciandolo ancora):  Oh!

Clitandre:  Mi basta così, signore.

de  Sotenville:  No, no, voglio che finisca e che tutto proceda secondo le regole:   « Che sono suo servitore...».

George Dandin:  « Che sono suo servitore ».

Clitandre (a  George Dandin):   E io,  signore,  sono il  vostro, sinceramente, e non penso più all'accaduto. (A de Sotenville:) Quanto  a lei,  signore, la  riverisco,  e  sono  mortificato  della seccatura che le è stata inflitta.

de Sotenville:  Bacio le mani;  e  quando le piacerà, le offrirò lo svago di una partita di caccia.

Clitandre:  Troppo gentile. (Esce.)

de Sotenville: Ecco, genero mio, così bisogna condurre le que­stioni. Addio.  E  sappiate che la famiglia dove siete  entrato, vi  appoggerà sempre e non permetterà mai che vi si faccia alcun affronto.

SCENA   SETTIMA

George Dandin  (solo)

George Dandin: Ah! Io... L'hai voluto tu, l'hai voluto tu, George Dandin, l'hai voluto tu, ti ci sta bene, eccoti servito, hai pro­prio quel che meriti. Suvvia, basterebbe aprir gli occhi al padre e alla madre. Forse troverò il modo per riuscirvi.

(Fine del primo atto)


ATTO SECONDO

SCENA  PRIMA

Claudine  e  Lubin

Claudine: Eh, già, avevo indovinato che era colpa tua, e che l'avevi detto te a qualcuno che poi l'ha riferito  al padrone.

Lubin: Ti assicuro, guarda, avrò scambiato due parole con uno, appunto perché non dicesse d'avermi visto uscire; si vede che sono dei gran chiacchieroni in questo paese.

Claudine: Ha proprio fatto una buona scelta questo signor visconte a prendere te come ambasciatore. Ha trovato un uomo così  fortunato!

Lubin: Va bene, un'altra volta sarò più furbo e farò più atten­zione.

Claudine:  Sì,  sì,  sarebbe  ora.

Lubin:  Non  parliamone  più.  Ascolta.

Claudine:  Cosa devo ascoltare?

Lubin:  Voltati un po' col viso verso di me.

Claudine:  Beh,  che  c'è?

Lubin:  Claudine?

Claudine:   Che?

Lubin:  Va là, che sai bene cosa voglio dire.

Claudine:  Non so niente io.

Lubin:  Porco diavolo! Ti amo!

Claudine:  Ma davvero?

Lubin: Sì, che il diavolo mi porti! Puoi credermi, lo dico sotto giuramento.

Claudine:  Ah,   quand'è  così...!

Lubin: Mi sento tutto rimescolare dentro quando ti guardo...

Claudine:  Bella cosa!

Lubin:  Come fai ad essere così carina?

Claudine: Faccio come le altre.

Lubin: Vedi, per fare una frittata basta un uovo. Se vuoi, tu sarai mia moglie, io sarò tuo marito e tutti e due saremo marito e moglie.

Claudine:  Non saresti per caso geloso come il padrone?

Lubin:  Affatto.

Claudine: Io, odio i mariti sospettosi e ne voglio uno che non si spaventi di nulla, uno così pieno di fiducia e sicuro della mia onestà, da potermi lasciare, senza inquietudini, in mezzo a una trentina di uomini.

Lubin:  Bene, sarò proprio così.

Claudine: È la cosa più stupida del mondo dubitare d'una donna e tormentarla. E alla fin dei conti voi non ci guadagnate niente di buono, e a noi vengono cattivi pensieri. Spesso sono proprio i mariti con le loro escandescenze a chiamare le corna.

Lubin:  Bene, ti darò la libertà di fare tutto quello che vorrai.

Claudine: Così bisogna fare per non essere ingannati. Quando un marito si rimette a noi, noi prendiamo solo quella li­bertà che ci occorre. È come con quelli che ci aprono il bor­sellino e ci dicono: « Prendete ». Noi ne usiamo con discre­zione e ci accontentiamo del giusto. Ma chi fa lo spilorcio, noi ci sforziamo di pelarlo e non lo risparmiamo.

Lubin: Sta' tranquilla, io sarò di quelli che vuotano il borsel­lino. Non hai che da sposarmi.

Claudine:  Va bene, va bene, vedremo...

Lubin:  Allora, vieni qui, Claudine.

Claudine:  Che vuoi?

Lubin:  Vieni, ti dico.

Claudine:  Ehi!  Piano. Non mi piacciono gli sporcaccioni.

Lubin:  Eh! Un piccolo pegno d'amore.

Claudine:  Lasciami, ti dico, non ammetto scherzi.

Lubin:  Claudine!

Claudine (respingendolo):  Ahi!

Lubin: Vedi come sei sgarbata coi poveri diavoli! Accidenti, che malagrazia respingere così chi ti vuol bene! Non ti vergogni d'esser così bella e non voler carezze? Ehi!

Claudine:  Ti rompo il naso!

Lubin:  Oh! villana, selvaggia. Accidenti, più, brutta, crudele!

Claudine: Corri troppo,  tu.

Lubin:  Ma cosa ti costerebbe lasciarmi un po' fare?

Claudine:  Bisogna aver pazienza.

Lubin:  Un bacino soltanto, lo defalchiamo dalla prima notte?

Claudine:  Buona notte!

Lubin:  Claudine, te ne prego, un acconto.

Claudine: No, no, no, no, ci sono già cascata una volta. Addio! Vattene e di' al tuo padrone che sarà mia premura consegnare il suo biglietto.

Lubin:  Addio, bella mula ostinata.

Claudine:  Complimenti d'amore!

Lubin: Addio, roccia, macigno, pietra da mola, e tutto quel che c'è di più duro nel mondo.

Claudine (sola):  Ora   consegnerò   nelle   mani   della   padrona... Ma   eccola   col   marito;   allontaniamoci   e   aspettiamo   che   sia sola.

SCENA SECONDA

George Dandin, Angélique e Clitandre

George Dandin: No, no, no, no. Non mi si incanta così facil­mente, e son fin troppo sicuro che ciò che mi è stato riferito è vero. Ho la vista più lunga di quel che si creda e non penserete di avermi abbagliato coi vostri sproloqui di poco fa.

Clitandre (nel fondo): Oh! È lei! ma c'è anche il marito.

George Dandin (senza vedere Clitandre): Tutte quelle vostre smorfie mi hanno confermato la verità di ciò che mi è stato detto e quanto poco rispettate il nodo che ci unisce. (Clitandre e Angélique si salutano) Dio buono, lasciate stare quelle riverenze, non è questo il rispetto che chiedo, e non c'è pro­prio nessun motivo di prendere in giro.

Angélique:   Io, prendere in giro? assolutamente no.

George Dandin: So cos'avete in testa. (Clitandre e Angélique si salutano di nuovo) ...e conosco... (Clitandre e Angélique si salutano ancora) Di nuovo? Insomma, finiamola di scher­zare! Lo so bene che per via della vostra nobiltà, vi sentite tanto superiore, e infatti io non parlo del rispetto per la mia persona, ma di quello che dovete a nodi così sacri come quelli del matrimonio. (Angélique fa un segno a Clitandre.) Non fate spallucce, non sto mica dicendo delle sciocchezze.

Angélique:  E chi si sogna di fare spallucce?

George Dandin: Buon Dio! Ci intendiamo, via, ci intendiamo! Ho detto e ripeto che il matrimonio è un legame che dev'essere rispettato e parecchio. È una brutta cosa trattarlo come lo trattate voi. (Angélique fa un segno con la testa a Clitandre.) Sì, sì, è una brutta cosa e non c'è nessun motivo di scuotere la testa e di farmi le boccacce.

Angélique:   Io? Non so cosa volete dire.

George Dandin: Lo so io. Lo so benissimo; conosco le vostre arie. Se non sono nato nobile, per lo meno in casa mia non c'è mai stato niente da rimproverare:   la famiglia dei Dandin...

Clitandre (dietro Angélique, senza essere veduto da Dandin): Soltanto due parole.

George Dandin (senza vedere Clitandre):  Eh?

Angélique:  Che c'è? non ho aperto bocca.

George Dandin (gira intorno alla moglie e Clitandre si ritira dopo aver fatto una profonda riverenza a George Dandin): Eccolo di nuovo a ronzare intorno a voi.

Angélique:  E ne ho colpa io? che ci posso fare?

George Dandin: Dovete fare quello che fa una donna onesta quando vuol piacere soltanto a suo marito. Si ha un bel dire, ma questi mosconi vi stanno intorno perché sanno di essere ben accetti. Per attirarli, bisogna averci il miele dipinto in faccia, come fate voi. Invece le donne oneste si comportano in modo da scacciarli, prima ancora che s'accostino..

Angélique: Io scacciarli? e per che motivo? non è mica uno scandalo se mi trovano graziosa; a me fa piacere.

George Dandin: Sì, ma che parte ci fa il marito in mezzo a tutti questi sdilinquimenti?

Angélique: La parte di un galantuomo che è contento di veder apprezzare le doti di sua moglie.

George Dandin: E buona notte suonatori! non è affar mio. I Dandin non ci sono abituati.

Angélique: Oh! i Dandin ci si abitueranno, o peggio per loro. Per parte mia vi dichiaro che non ho affatto intenzione di rinunziare al mondo e di seppellirmi viva dentro un marito. Ma come! perché uno decide di sposarci, sta a vedere che il mondo è finito per noi, che bisogna troncare ogni relazione coi viventi? Ah, meravigliosa questa tirannia dei signori mariti. Che cari, a volerci morte per tutti i divertimenti e vive soltan­to per loro! ma io me ne rido, e non ho alcuna intenzione di morire così giovane.

George Dandin: È così che adempite i doveri della parola che mi avete pubblicamente data?

Angélique: Io? Non ve l'ho mica data di mia volontà, me l'avete strappata voi. Forse che prima del matrimonio avete domandato il mio consenso? se vi volevo, o non vi volevo? Non avete consultato che mio padre e mia madre; in fondo, sono loro che vi hanno sposato, e farete bene a lagnarvi sempre con loro delle disgrazie che vi potranno capitare. Quanto a me, non vi ho chiesto di prendermi per moglie, m'avete presa senza consultare il mio cuore e pretendo dunque di non essere affatto tenuta a farvi da schiava; voglio godermi, vi piaccia o no, i pochi giorni belli della mia giovinezza, prendermi quelle dolci libertà che l'età mi concede, vedere un po' di bel mondo, e sentirmi dire tante dolci parole. A tutto questo preparatevi senz'altro, per vostro castigo. E ringraziate il cielo che io non son capace di peggio.

George Dandin: Ah! la prendete su questo tono? Io sono vostro marito e vi dico che non la intendo affatto così.

Angélique: E io sono vostra moglie e vi dico che la intendo così.

George Dandin (a parte): Mi vien voglia di far marmellata di quel suo bel visino; così nessuno si sognerà mai più di cantarle madrigali. Ah! Va' via, George Dandin, va' via, finiresti per esplodere; meglio che tu te ne vada.

SCENA  TERZA

Claudine, Angélique

Claudine: Signora, non vedevo l'ora che se ne andasse per poter­le consegnare questo da parte di chi sa lei.

Angélique: Vediamo.

Claudine (a parte): Mi pare che quelle parole non le dispiac­ciono.

Angélique: Ah! Claudine, com'è galante questo biglietto! come sono distinti quelli della Corte in tutto quello che dicono e in tutto quello che fanno! e che pena, che pena, al loro con­fronto, questi nostri provinciali...

Claudine: Ci credo, che dopo aver visto quelli, i Dandin non vi  piacciono più!

Angélique: Resta qui, vado a scrivere la risposta.

Claudine (sola): Non c'è bisogno, mi pare, di raccomandarle che la scriva gentile. Ma ecco...

SCENA QUARTA

Clitandre, Lubin, Claudine

Claudine:  Un bell'uomo di fiducia vi siete trovato, signore.

Clitandre: Non ho osato mandare unodei miei.  Ma,  povera Claudine,  bisogna  che  ti  ricompensi  dei  tuoi  buoni  uffici... Li conosco, li conosco.  (Fruga in tasca.)

Claudine:  Oh,  signore, non c'è bisogno.  No, no, signore, non occorre che si scomodi. Io la servo perché lo merita e perché in fondo al cuore ho una certa inclinazione per lei.

Clitandre (dandole il denaro):  Molto obbligato.

Lubin (a Claudine):  Giacché ci dobbiamo sposare, dammelo, lo metto col mio.

Claudine: Te lo metto da parte io, insieme col bacio.

Clitandre (a Claudine):  Dimmi, hai consegnato il biglietto alla tua bella  padrona?

Claudine:  Sì, è andata a scrivere la risposta.

Clitandre:  Ma non c'è verso, Claudine, che possa stare un po' con   lei?

Claudine:  Come no?  Venga con  me, ci parlerà.

Clitandre:  Ma non se ne avrà a male? E non c'è rischio?

Claudine:  No, no, il marito non è in casa. E poi non è di lui che la signora deve preoccuparsi, ma di suo padre e di sua madre; e purché non ci trovino da ridire loro, non c'è altro da temere.

Clitandre: Mi rimetto a te.

Lubin (solo):   Satanasso!  Avrò una moglie fina!  Ha spirito da vendere!

SCENA  QUINTA

George Dandin, Lubin

George Dandin (a bassa voce, a parte): Ecco l'uomo di prima. Oh, cielo se volesse farsi lui testimone di fronte al padre e alla madre di quello che non vogliono credere.

Lubin: Giusto lei, signor chiacchierone: m'ero tanto raccoman­dato che non parlasse, me l'aveva promesso. Dunque le piace spettegolare, e i segreti lei li va subito a ridire.

George Dandin:    Io?

Lubin: Lei sì. Ha spiattellato tutto al marito, ed è per colpa sua che c'è stato tutto quel baccano. Ma ora lo so che lingua lunga ha lei, e non le dirò più niente.

George Dandin:   Ascolta,  amico.

Lubin: Se non avesse chiacchierato, io potrei raccontarle cosa sta succedendo ora; ma, per castigo, non saprà più niente.

George Dandin:   Come? cosa succede?

Lubin:  Niente,   niente.   Ecco,   cosa   vuol   dire   parlare;   non   ne assaggerà più, le lascio l'acquolina in bocca.

George Dandin:   Un momento.

Lubin:  No e no.

George Dandin:  Una parola sola.

Lubin:  No, no, no, no. Lei mi vuole infinocchiare.

George Dandin:  Ma no, non è vero.

Lubin:  Fossi scemo; vedo dove vuole arrivare.

George Dandin:   No, è un'altra cosa. Ascolta.

Lubin: Niente da  fare. Le piacerebbe, eh, che le dicessi che signor visconte ha dato la mancia a Claudine, e lei l'ha portato dalla padrona. Ma io non sono mica tanto cretino.

George Dandin:   Per favore.

Lubin:  No.

George Dandin:  Ti  darò...

Lubin: Tararò...

SCENA   SESTA

George Dandin  (solo)

George Dandin:   Con questo imbecille il mio disegno non è riuscito.  Ma si  è lasciato  sfuggire un'altra informazione, che fa lo stesso, e se il pappagallo è in casa mia, è una buona occasione per aprir gli occhi a padre e madre e convincerli quanto sia sfrenata la figlia. Il male è che non so come fare per approfittare della cosa. Se entro io, scappa la lepre, ed anche se vedessi  il mio disonore in tutti i particolari, non basterebbe giurare per farsi credere, mi direbbero che sogno. Se invece vado a cercare suocero e suocera senz'essere sicuro di beccare in casa lo spasimante, stessa cosa; mi capiteranno i guai di poco fa. Se provassi senza far rumore a dare un'occhiata per vedere se c'è ancora? (Dopo aver guardato dal buco della ser­ratura) Cielo! nessun dubbio più, l'ho visto dal buco della chiave. È il destino che mi concede di schiacciare i miei rivali; ed ecco qui i giudici che mi servivano proprio.

SCENA   SETTIMA

Il signore e La Signora de Sotenville, George Dandin

George Dandin: Allora? Dianzi non m'avete voluto credere, e vo­stra figlia l'ha avuta vinta. Ma io ho in mano le prove di quante me ne fa patire, e grazie a Dio, ora il mio disonore è palese, e non potrete più dubitarne.

de Sotenville:  Come, genero mio, ci state ancora a pensare?

George Dandin: Sì, ci sto, e non ho mai avuto tante ragioni di starci.

La Signora de Sotenville: Ma cosa! voi volete ancora met­terci in testa?...

George Dandin: Sì, madama, dato che sulla mia vogliono metter­ci qualcosa di peggio.

de Sotenville:  Non siete stanco di far la figura del noioso?

George Dandin: No. Ma stanchissimo di far la figura dello scemo.

La Signora de Sotenville: Non volete insomma cacciar via quelle vostre  stravaganti visioni?

George Dandin: No, madama: preferirei cacciar via una mo­glie che mi disonora.

La Signora de Sotenville: Numi del cielo, genero! badate a come  parlate!

de Sotenville:  Perdiana!   usate   termini  meno   offensivi!

George Dandin:   Ride storto chi perde il suo.

La Signora de Sotenville: Ricordatevi che avete sposato una nobildonna.

George Dandin: Eh, me ne ricordo, sì, e me ne ricorderò anche troppo.

de Sotenville: Se ve ne ricordate, abbiate dunque un po' più di rispetto   per  lei.

George Dandin: Ma perché non pensa lei ad agire più onesta­mente? Vorrei vedere! Perché è nobildonna, dovrà essere libera di farmi quello che le pare, senza che io osi aprir bocca?

de Sotenville: Ma si può sapere che avete da dire? Non avete vi­sto stamani come ha evitato persino di farsi presentare la per­sona che voi dicevate?

George Dandin: Sì. Ma cosa direbbe lei, se ora gliela facessi vedere appunto in compagnia di quella persona?

La Signora de Sotenville:  In  compagnia...?

George Dandin:  Sì, in compagnia, e dentro la mia casa.

de Sotenville:  Dentro la vostra casa?

George Dandin:   Sì, dentro la mia propria casa.

La Signora de Sotenville: Se è vero, saremo con voi contro di lei.

de Sotenville: Sì, l'onore del casato ci è più caro di ogni cosa, e, se voi dite la verità, la ripudieremo e l'abbandoneremo alla vostra ira.

George Dandin:  Non   avete  che  da  seguirmi.

La Signora de Sotenville:  Badate   a  non   sbagliare!

de Sotenville:  Come dianzi.

George Dandin: Dio buono! vedrete voi! (Mostra Clitandre che esce con Angélique.) Tò, ho mentito?

SCENA OTTAVA

Angélique, Clitandre, Claudine, il signore e La Signora de Sotenville, George Dandin

Angélique (a Clitandre): Addio. Non voglio che la sorpren­dano qui, e debbo serbare certe forme.

Clitandre: Oh, mi prometta, signora, che potrò parlare questa notte!

Angélique:  Farò  il  possibile.

Dandin (al signore e alLa Signora de Sotenville): Accostiamoci piano di dietro, e cerchiamo di non farci vedere.

Claudine: Ah, signora, tutto è perduto; vengono suo padre e sua madre accompagnati dal marito.

Clitandre:  Cielo!

Angélique: Fate finta di nulla, e lasciate fare a me tutti e due. (Ad alta voce a Clitandre.) Come? Lei osa agire a que­sto modo, dopo quello che è accaduto? È così che lei dissimula i suoi sentimenti? Mi riferiscono che lei mi ama e intende im­portunarmi; io esprimo il mio disappunto e parlo aperto in presenza di tutti; lei dice chiaro e tondo che non è vero, e mi da la sua parola di non aver alcuna intenzione di offen­dermi; e tuttavia, lo stesso giorno, si prende l'ardire di ve­nirmi a far visita, di dirmi che mi ama; e di raccontarmi cento stupide storie per persuadermi a rispondere alle sue follìe, come se io fossi capace di violare la parola data a un marito, e allontanarmi dalla strada della virtù insegnatami dai miei genitori. Ah, se mio padre lo sapesse, le farebbe passare lui la voglia di tentare imprese simili. Tuttavia una donna onesta non ama gli scandali. (Fa cenno a Claudine che le porti un bastone.) Mi forzerò a non parlargliene, ma anche se son donna, il coraggio m'avanza per vendicarmi io stessa delle offese che mi si fanno. Lei non ha agito da gentiluomo e io non voglio trattarla da gentiluomo. (Prende il bastone e batte suo marito, invece di Clitandre, che mette di mezzo George Dandin. )

Clitandre (gridando come se fosse battuto): Ahi, ahi, ahi, pia­no. (Fugge.)

Claudine:  Forte, signora, picchi sodo.

Angélique (fingendo di parlare a Clitandre): Se le resta qual­cosa da aggiungere, son qui per rispondere.

Claudine:  Impari  con chi ha a che fare.

Angélique (facendo meraviglie):  Ah, padre, voi qui!

de Sotenville: Sì, figlia mia, e vedo che ti mostri, per sag­gezza ed ardire, degno rampollo dei de Sotenville. Vieni, avvi­cinati che t'abbracci.

La Signora de Sotenville: Abbraccia anche me, figlia. Oh? io piango di gioia, e riconosco il sangue mio da quanto hai fatto.

de Sotenville: Genero mio, come dovete essere felice! Che dolce e lieto caso per voi! avevate giusto motivo d'allarmarvi; ma i vostri sospetti risultano infondati, anzi!

La Signora de Sotenville: Anzi, genero nostro! dovete essere ora l'uomo più contento del mondo.

Claudine: Oh certamente! quella è una donna. Lei è troppo fortunato, dovrebbe baciare la terra che calpesta!

George Dandin (a parte):   Uh!   traditrice!

de Sotenville: Cosa c'è, genero mio? perché non ringraziate vostra moglie dell'affetto che, lo vedete, vi dimostra?

Angélique: No, no, padre mio, non occorre. Non mi deve nes­suna riconoscenza per quanto ha veduto. Tutto ciò che faccio è per amor di me stessa.

de Sotenville:  Dove vai,  figliola?

Angélique: Mi ritiro, padre mio, per non essere costretta a rice­vere i suoi complimenti.  (Esce.)

Claudine (a George Dandin): Ha ragione d'essere in collera. È una donna che merita di essere adorata, e lei non la trat­ta come dovrebbe.

George Dandin (a parte): Scellerata!

de Sotenville: È un po' irritata per la discussione di poco fa. Ma con qualche carezza che le farete, passerà. Addio, genero, ora non avete più ragione d'inquietarvi. Andate a far la pace, e cercate di addolcirla facendole le vostre scuse per la scenata di poco fa.

La Signora de Sotenville: Dovete riflettere che è una gio­vane allevata nella virtù, e non ha l'abitudine di vedersi so­spettata  di  qualche  cattiva  azione.  Addio,  sono felice che  i disordini siano finiti tra voi, la sua condotta vi deve colmare il cuore  di  gioia.

George Dandin (solo): Non dico niente, perché niente ci gua­dagnerei a parlare. Io dico che non s'è mai visto niente di simile alle sventure mie. Sì, io ammiro la mia disgrazia, e la infernale astuzia di quella carogna di mia moglie che riesce sempre ad aver ragione lei, e sempre fa avere torto a me. Possibile che io debba sempre aver la peggio con lei, che le apparenze mi si rivoltino sempre contro, e che non riesca mai a cogliere in fallo questa impudente? Oh Cielo, seconda i miei disegni, e accordami la grazia di far vedere a tutti come io  sono disonorato!

(Fine del secondo atto)


ATTO TERZO

SCENA   PRIMA

Clitandre, Lubin

Clitandre: È notte fonda e ho paura che sia troppo tardi. Non vedo  neanche dove  metto i piedi.  Lubin?

Lubin:  Signore?

Clitandre:  Si va per di  qua?

Lubin: Credo di sì, signore. Accidenti, che stupida questa notte ad essere così nera!

Clitandre: Certo che ha torto. Però, se da una parte ci impe­disce di vedere, ci impedisce dall'altra di essere visti.

Lubin: Lei ha ragione. Non ha tutti i torti, la notte. Signore, vorrei sapere da lei che è tanto istruito, perché di notte non fa mai giorno.

Clitandre: È una domanda scabrosa e difficile. Sei curioso, Lubin.

Lubin: Oh sì. Se avessi studiato credo che mi sarei messo a pensare a certe cose che non passano per la mente di nessuno.

Clitandre: Lo credo. Tu hai l'aria d'aver il cervello sottile e penetrante.

Lubin: È proprio così. Capisco anche il latino senza averlo mai studiato: ho visto l'altro giorno scritto su un portone « collegium » e ho capito subito che voleva dire collegio.

Clitandre:   Sai che sei  ammirevole!   Allora  sai  leggere,  Lubin?

Lubin: Sì... Leggo le insegne, ma non sono mai riuscito a im­parare a leggere lo scritto.

Clitandre: Eccoci addosso alla casa. (Dopo aver battuto le mani) Questo è il segnale combinato con Claudine.

Lubin: Parola mia, è una ragazza che vale oro quanto pesa e io l'amo di tutto cuore.

Clitandre: Infatti t'ho condotto con me perché tu le faccia compagnia.

Lubin:   Signore, io vi sono...

Clitandre:  Zitto!  Sento un rumore.

SCENA SECONDA

Angélique, Claudine. Clitandre e Lubin

Angélique:   Claudine!

Claudine:  Che c'è?

Angélique:  Lascia la porta socchiusa.

Claudine:   Ecco fatto.

(Scena di notte. Gli attori si cercano tra loro nel buio.)

Clitandre (a Lubin):  Eccole. Sss!

Angélique:   Ssss!

Lubin:   Ssss!

Claudine:   Ssss!

Clitandre (a Claudine, che prende per Angélique): Mia signora!...

Angélique (a Lubin, che prende per Clitandre):  Cosa?

Lubin (ad Angélique, che prende per Claudine):  Claudine!

Claudine (a Clitandre, che prende per Lubin):   Che c'è?

Clitandre (a Claudine, che prende per Angélique):  Ah, signora! sono felice!

Lubin (ad Angélique, che prende per Claudine):   Claudine, mia piccola Claudine!

Claudine (a Clitandre):   Piano, signore.

Angélique (a Lubin):  Giù le mani, Lubin.

Clitandre:   Sei tu, Claudine?

Claudine:  Sì.

Lubin:   È lei, signora?

Angélique:   Sì.

Claudine (a Clitandre):  Ci ha presa l'una per l'altra.

Lubin (ad Angélique):  Davvero! La notte non si vede un corno.

Angélique:  È   lei,   Clitandre?

Clitandre:  Sì, signora.

Angélique:   Mio marito sta russando e approfitto di questo mo­mento per rimanere un po' con lei.

Clitandre:  Cerchiamo un posto per sederci.

Claudine:   È  un'eccellente   idea.   (Vanno  a  sedersi sul fondo.)

Lubin (cercando Claudine):  Claudine, dove ti sei cacciata?

SCENA   TERZA

George Dandin   (semisvestito)  e Lubin

George Dandin (a parte): Ho sentito scendere mia moglie e mi sono vestito in fretta per andarle dietro. Dove può essere an­data?  Sarà uscita?

Lubin (prende George Dandin per Claudine): Dove sei Claudine? Ah! Eccoti. Parola mia, il tuo padrone è intrappolato bene. Mi pare che questo scherzetto stia riuscendo ancor meglio delle bastonate di poco fa che mi hanno raccontato. La tua padrona dice che lui a quest'ora sta russando, e non sa che il signor visconte e lei sono insieme mentre lui se la dorme. Vorrei sapere cosa sogna in questo momento. Stavolta è veramente tutta da ridere! Ma perché poi si ostina ad essere geloso di sua moglie e a volerla sempre tutta per sé? È uno sfacciato, e il signor visconte gli fa troppo onore. Ma perché taci, Claudine? Via, seguiamo i padroni, e dammi la tua manina da baciare. Ah, che dolcezza! Mi sembra di succhiar giulebbe. (Mentre bacia la mano a Dandin, Dandin gliela sbatte rude­mente in faccia) Porca la miseria, ma come siete! La vostra manina è troppo energica!

George Dandin:  Chi va là?

Lubin:   Nessuno.

George Dandin: Sì, fuggì, fuggi, ma ormai ne so abbastanza sulle nuove perfidie di quella diavola. Andiamo, bisogna che mandi subito a chiamare il padre e la madre e che approfitti di questa avventura per ottenere la separazione. Ehilà! Colin! Colin!

SCENA QUARTA

Colin e George Dandin

Colin (alla finestra): Signore.

George Dandin: Vieni subito giù!

Colin (saltando dalla finestra):  Eccomi. Più in fretta di così...

George Dandin:    Sei  costì?

Colin:  Sì,  signore.

(Mentre Dandin gli parla da una parte, Colin  va dall'altra.)

George Dandin (voltandosi dalla parte dove crede sia Colin): Piano, parla sottovoce. Va' dai miei suoceri e dì loro che li prego di venire subito qui. Hai capito? Eh? Colin! Colin!

Colin (dall'altra parte):   Signore.

George Dandin:   Dove  diavolo sei?

Colin:   Qui.

(Nel cercarsi reciprocamente Dandin passa da una parte, Colin dall'altra.)

George Dandin: Gli venga la peste a quel briccone che spa­risce ogni momento! Ti ho detto di andare difilato dai miei suoceri e di dir loro che li scongiuro di venir qui subito. Hai capito?  Rispondi. Colin!  Colin!

Colin (dall'altra parte): Signore.

George Dandin: Assassino! Mi farà arrabbiare come un cane. (Si scontrano (e cadono entrambi).)

Ah!  traditore. M'hai azzoppato. Dove sei ora? Avvicinati che te ne dia  quattro.  Capace che ora scappa.

Colin:   Si capisce.

George Dandin:   Allora vieni o no.

Colin:  No, no, no, no davvero.

George Dandin:   Vieni, ti dico.

Colin:   Neanche per sogno!  Me le volete dare.

George Dandin:   Ovvia... no. Non ti  darò niente.

Colin:   Sto sicuro?

George Dandin: Sì. Avvicinati. Bene. (A Colin che trattiene per il braccio: ) La tua fortuna è che mi servi ora. Va' svelto a dire da parte mia a mio suocero e a mia suocera di venir qui più presto che potranno e digli che è cosa della più grande importanza. Se ti fanno qualche storia per l'ora tarda, insisti e fagli capire che è necessarissimo che vengano, così come   sono.  Hai  capito bene  ora?

Colin:   Sì,  signore.

George Dandin: Va svelto e torna subito. (Credendosi solo:) Io rientrerò in casa aspettando che... Ma sento qualcuno. Non sarà mica mia moglie? Voglio stare ad ascoltare, ecco, qui, e il buio mi aiuterà. (Si accosta alla porta di casa.)

SCENA  QUINTA

Clitandre, Angélique,  George Dandin,  Claudine  e  Lubin

Angélique (a Clitandre):   Addio. Devo rientrare ora.

Clitandre:   Come?  Così presto?

Angélique:   Siamo  stati   anche  troppo  insieme.

Clitandre: Ah! signora, come troppo? Come trovare in così breve tempo tutte le parole che le vorrei dire? Mi ci vorreb­bero giornate intere per dirle tutto ciò che provo per lei; finora non le ho detto che una minima parte di quello che ho dentro.

Angélique:  La starò di più a sentire un'altra volta.

Clitandre: Ah! mi trafigge li cuore quando dice di volersene andare. Non pensa a come mi lascia addolorato?

Angélique:   Troveremo  il  mezzo   di   rivederci.

Clitandre: Sì. Ma penso che ora, lasciandomi, lei torna da suo marito. Questo pensiero mi uccide. Per un uomo che ama, i privilegi dei mariti sono tanti strali nel cuore.

Angélique: Non sarà così pazzo da avere simili preoccupazioni! Ma, crede lei che si possano davvero amare certi mariti? Si prendono perché non se ne può fare a meno e per colpa dei genitori che pensano solo al denaro, ma, intendiamoci, purché stiano al posto loro. E non ci passa certo per il capo di trattarli diversamente da quello che si meritano.

George Dandin (a parte):   Ma  senti che  carogne  queste mogli!

Clitandre: Ah! Bisogna riconoscere che il suo le ha dato poco in cambio dell'onore che ha ricevuto, e trovo assurdo vedere una signora come lei accanto a quella razza d'uomo!

George  Dandin  (a  parte):   Poveri  mariti!   Così  vi  trattano!

Clitandre:   Davvero,  lei  meriterebbe una  sorte ben diversa,  il Cielo  non   l'ha  fatta  per  essere  la  moglie  di  un  contadino!

George  Dandin:   Piacesse  al cielo che fosse la tua!  Cambieresti tono.  Entriamo  in  casa,   ne  ho   abbastanza.   (Entra  e  chiude la porta.)

Claudine:  Signora, se vuoi dir male di suo marito, faccia presto, perché   è   tardi.

Clitandre:   Ah!   Come  sei  crudele,   Claudine!

Angélique (a Clitandre):  Ha ragione. Separiamoci.

Clitandre:   Bisogna dunque decidersi,  se lo vuole. Io la prego soltanto di pensare un poco ai terribili momenti che passerò e  di  compatirmi.

Angélique:   Addio.

Lubin:   Dove sei, Claudine? Che ti dia almeno la buona notte.

Claudine:   Vai, vai, la piglio di qua e di qua te la restituisco.

SCENA   SESTA

Angélique,  Claudine,  George Dandin

Angélique:   Entriamo  senza far rumore.

Claudine:  La porta è chiusa.

Angélique:   Ho la chiave.

Claudine:   Apra, ma faccia  piano.

Angélique:   È chiuso di dentro;  non so come faremo.

Claudine:   Chiami il servo che  dorme là.

Angélique:   Colin!   Colin!   Colin!

George Dandin (sporgendo il capo dalla finestra): Colin, Colin? Ah. Vi ci ho preso, madama! Voi vi fate le vostre scappa­telle mentre io dormo! Me ne rallegro, brava, e ancor più perché vi vedo fuori a quest'ora.

Angélique: Beh, che male c'è a uscire per prendere un po' di fresco  la  notte?

George Dandin: Sì, sì, è proprio l'ora di prendere il fresco, o piuttosto il caldo, madama Imbroglio; ma noi conosciamo tutto sulla tresca, e l'appuntamento, e il nobiluomo... Ab­biamo udito il vostro galante colloquio e i bei versi in lode mia che vi siete recitati l'uno all'altra. Mi consolo però che sto per essere vendicato e che vostro padre e vostra madre si convinceranno ora che le mie lagnanze sono giuste e che voi tenete una condotta indecente. Li ho mandati a chiamare e saranno qui  a momenti.

Angélique (a parte):  Ah! Cielo!

Claudine:   Signora!...

George Dandin: Sì, cara, certo non vi aspettavate questo colpo. Ora trionfo io, e  avrò modo di abbassare il vostro orgoglio e di distruggere le vostre macchinazioni. Finora vi siete bef­fata delle mie accuse, avete stordito i vostri genitori e masche­rato le vostre truffe. Avevo voglia di vedere, e di parlare!... Scaltra come siete, avevate sempre la meglio e sempre avete trovato il mezzo per aver ragione. Ma ora, grazie a Dio, la faccenda si chiarirà e la vostra faccia tosta non potrà più reggere.

Angélique:   Oh! Vi prego, fatemi aprire la porta!

George Dandin: No, no, no. Dovete aspettare quelli che ho fatti chiamare: voglio che vi trovino fuori, e a quest'ora! Mentre aspettate, pensate intanto, se v'aggrada, a qualche nuova inven­zione che vi levi d'impiccio, e rivesta di gala la vostra scap­pata, a qualche altra bella astuzia per ingannare il prossimo e sembrare innocente, o a qualche ingegnoso pretesto, come potrebbe essere un pellegrinaggio notturno, oppure un'amica presa dalle doglie che sareste andata ad assistere.

Angélique: No, non ho intenzione di nascondervi nulla. Non pretendo di scolparmi, né di negare i fatti, giacché sapete tutto.

George Dandin: Certo, perché vi state accorgendo che vi sono chiuse tutte le vie d'uscita e che potreste trovare mille scuse e  io  facilmente  dimostrarle   tutte  false.

Angélique: Sì. Confesso d'aver torto e che voi avete ragione di lamentarvi. Vi prego però di non espormi all'ira dei miei genitori, e di farmi aprire subito.

George Dandin:  Vi bacio le mani.

Angélique: Oh! maritino mio caro, vi scongiuro!

George Dandin: Ah! Maritino mio caro? Perché vi sentite persa, ora sono il vostro maritino caro? Ne sono ben lieto, non vi era mai passato per la testa di farmi tante smorfie.

Angélique: Ascoltate, vi prometto di non darvi più motivo di rimproverarmi  e  di...

George Dandin: Non serve a nulla. Non voglio davvero perdere questa occasione e mi preme che una buona volta si veda chiaro fino in fondo alla vostra condotta.

Angélique: Vi prego, lasciatemi parlare. Vi chiedo di ascoltarmi un momento.

George Dandin:   Ebbene?  Che c'è?

Angélique: Ho mancato, è vero, ve lo confesso ancora, e il vostro risentimento è giusto. Ho approfttato del vostro sonno per uscire, e sono uscita per un appuntamento che avevo dato alla persona che dite voi. Ma queste sono cose che dovete imputare alla mia età, e perdonare; sono gli impulsi di una giovane che non ha ancora visto nulla e vuole entrare nel mondo; sono libertà a cui ci si abbandona senza malizia e che davvero, in fondo, non hanno niente di...

George Dandin: Se lo dite voi, sono sentenze che vengono dal pulpito.

Angélique: Non voglio, con questo, scusarmi d'essere colpevole verso di voi. Vi prego soltanto di dimenticare l'offesa, vi domando perdono, sinceramente. Risparmiatemi i severi rim­proveri di mio padre e di mia madre! Se mi accordate gene­rosamente la grazia che vi chiedo, questo gesto gentile e la bontà che dimostrerete mi faranno tutta vostra, mi toccheranno proprio al cuore e nascerà in esso quello che né il potere dei genitori, né il nodo del matrimonio avevano potuto semi­narvi. In breve, per il vostro perdono rinuncerò a qualsiasi mondanità e non vorrò bene che a voi. Sì, vi dò la mia parola che avrete da qui in avanti la migliore delle mogli, e vi dimostrerò tanto affetto, tanto affetto, che ne sarete soddisfatto.

George Dandin: Ah! gatto mammone: giochi coi topi e poi li strangoli.

Angélique:   Fatemi questa grazia.

George Dandin:  Niente da fare. Sono inesorabile.

Angélique:  Mostratevi generoso.

George Dandin:   No.

Angélique:   Per pietà!

George Dandin:   Niente  affatto.

Angélique: Vi scongiuro con tutto il cuore.

George Dandin: No, no, no. Voglio che non ci siano più dubbi sul conto vostro e che si veda la vostra vergogna.

Angélique: Ebbene, se voi mi riducete alla disperazione, vi avverto che una donna in queste condizioni è capace di tutto e che farò qualche cosa, qui, di cui vi pentirete.

George Dandin:  E che farete, di grazia?

Angélique: Avrò il coraggio d'arrivare all'estrema decisione e davanti a voi,  con questo coltello, guardate, mi ucciderò!

George Dandin: Ah! Ah! alla buon'ora.

Angélique: No, non crediate che sarà un'ora tanto buona per voi. Tutti sanno che tra noi non c'è buon sangue, e conoscono il malanimo che covate sempre contro di me. Quando mi troveranno morta, nessuno metterà in dubbio che siete stato-voi ad uccidermi. I miei genitori non sono davvero gente da lasciare impunita questa morte ed essi faranno su di voi tutte le vendette consentite e dalla giustizia e dalla violenza della loro collera. Così mi potrò vendicare di voi; e non sarò stata la prima a ricorrere a simili vendette, a non esitare di fronte alla morte pur di perdere colui che, con la sua crudeltà, mi ha spinto alla risoluzione estrema.

George Dandin: Servo vostro. Accomodatevi. Non si pensa più a uccidersi; quella moda è passata da parecchio.

Angélique: È invece una cosa di cui potete essere sicuro. E se continuate nel vostro rifiuto e non mi fate aprire, vi giuro che  vi farò vedere subito fin dove può  arrivare una donna messa alla disperazione.

George Dandin:   Sciocchezze; sciocchezze. Volete farmi paura.

Angélique: Ebbene! Giacché lo volete, ecco ciò che darà sod­disfazione a tutti e due, e mostrerà al mondo se ho scherzato. (Fa l'atto di uccidersi) Ah! È finita. Mi conceda il Gelo che la mia morte sia vendicata come desidero e colui che ne è la causa riceva un giusto castigo per la crudeltà con cui mi ha sempre trattata.

George Dandin: Perbacco! Ma che sarà tanto maligna da ucci­dersi per farmi impiccare? Prendiamo una candela e andiamo un po' a vedere.

Angélique (a Claudine): Sss! Zitta! Mettiamoci subito ai lati della porta.

George Dandin: Fino a che punto può arrivare la cattiveria di una donna? (Esce con un mozzicone di candela senza vederle, quelle entrano e chiudono subito la porta.) Non c'è nessuno. Avevo ragione a non crederlo, e quella diavola se ne è andata vedendo che non otteneva niente né con le preghiere, né con le minacce. Meglio così! E tanto peggio andrà lei, e il padre e la madre, quando saranno qui, capiranno meglio le sue vergogne. (Va alla porta di casa per rientrare.) Oh! oh! La  porta  è  chiusa.   Èhilà!   Oh!   Gente!   Apritemi   subito!

Angélique (alla finestra con Claudine): Come? Sei tu? Di dove vieni, pezzo di mascalzone? È questa l'ora di tornare? È questa la vita che deve fare un marito per bene?

Claudine: Bella, bella cosa andare ad ubriacarsi tutta la notte e lasciare così, sola, in casa, una povera mogliettina!

George Dandin:   Come?   Avete...

Angélique: Vattene, traditore, sono stanca dei tuoi eccessi, e anzi, me ne voglio lagnare, senza aspettar più, con mio padre e mia madre...

George Dandin:  Cosa? Ah, voi osate...

SCENA   SETTIMA

Il signore e La Signora de Sotenville, Colin, Claudine, Angélique e George Dandin.

I signori de Sotenville sono in camicia da notte, guidati da Colin che ha una lanterna.

Angélique (al signore e alLa Signora de Sotenville): Avvicinatevi, vi prego, e rendetemi giustizia della peggiore offesa del mondo, quella di un marito così stravolto dal vino e dalla gelosia che non sa più quello che dice e quel che fa. Vi ha mandato a cercare lui stesso, per avervi a testimoni delle sue follie, le più assurde che si siano mai viste al mondo. Ritorna adesso, come vedete, dopo essersi fatto aspettare tutta la notte: se poi l'ascoltate vi dirà che ha da farvi su di me le più grandi lagnanze,  e che mentre  lui dormiva  mi sono allontanata per andare a spasso e cento altre simili storie che non si sa dove sia andato a sognare.

George Dandin  (a parte):  Vigliacca d'una carogna.

Claudine:   Sì. Ha voluto darci ad intendere che lui era in casa e noi fuori; è una pazzia che non si riesce a levargli di testa.

de Sotenville:   Come?  Sarebbe a dire?

La Signora de Sotenville: Ma che pazza sfacciataggine mandare a chiamarci...

George Dandin  :    Mai...

Angélique:  Padre mio, non posso più sopportare un tal marito. La mia pazienza è al limite, mi ha detto tante di quelle ingiurie!

de Sotenville  (a George Dandin):   Perdiana, siete proprio un uomo senza onore!

Claudine:   È un obbrobrio vedere una povera giovane  trattata così. È una cosa che grida vendetta.

George Dandin:  Ma è mai possibile...

La Signora de Sotenville:   Ecco, dovreste morire di vergogna.

George Dandin:   Lasciatemi dire due parole...

Angélique:   Sì, ascoltate, ve ne dirà delle belle.

George  Dandin   (a  parte):   Non  ho   più  speranze.

Claudine:   Ha  bevuto tanto  che  non so chi potrebbe resistere

davanti a lui. La puzza di vino del suo fiato è salita fino a noi.

George Dandin:   Signor, suocero, la scongiuro...

de   Sotenville:   Scostatevi,   puzzate   di  vino   a  un   miglio   di distanza.

George  Dandin:   Madama, la prego...

la   signora  de   Sotenville:   Pfu!   Non  avvicinatevi!   il  vostro fiato appesta!

George Dandin  (al signor de Sotenville):   Permetta che le...

de   Sotenville:   Scostatevi,   vi  dico.  Non  vi  posso  sopportare.

George Dandin  (alLa Signora de Sotenville):   Permetta, la prego, che...

la  signora de Sotenville:   Puah!   mi rivoltate lo stomaco!   Se proprio ci  tenete,  parlate da lontano.

George Dandin:   Ebbene, sì, parlo da lontano. Vi giuro  che io non mi sono mosso di cassa; è lei che è uscita.

Angélique:  Non è come vi ho detto?

Claudine:   E  invece voi  vedete  bene come stanno le cose.

de Sotenville  (a George Dandin):   Via,  via,  prendete in giro la gente.  Scendete, figlia mia, venite qui.

George Dandin:  Vi giuro per il cielo che ero io in casa e che...

la  signora de Sotenville:   Ma tacete, la vostra stravaganza è insopportabile!

George Dandin:  Che il cielo mi fulmini sull'istante se...

de Sotenville: Non frastornateci la testa ancora, e pensate piut­tosto a chiedere perdono a vostra moglie.

George Dandin:  Iochieder perdono?

de Sotenville:  Sì, perdono, e subito.

George Dandin:   Cosa?   Io...

de Sotenville: Perdiana! se replicate, vi insegnerò io a farvi beffe di noi!

George Dandin:  Oh!  George Dandin.

de Sotenville: Ecco, venite, figlia mia, vostro marito vi chiede perdono.

Angélique (che è discesa): Io perdonargli tutto quel che m'ha detto? no, no, padre mio, stavolta non posso farlo; anzi, vi prego di separarmi da un marito col quale ormai non potrei più vivere.

Claudine:  E chi mai potrebbe resistere?

de Sotenville: Figlia mia, queste separazioni avvengono pur­troppo non senza scandalo; voi dovete mostrarvi più saggia di lui e aver pazienza ancora una volta.

Angélique: Come aver pazienza dopo simili vergogne? No, padre mio, non posso più essere d'accordo.

de Sotenville: Bisogna, figlia mia, e sono io che ve lo comando.

Angélique: Questa parola mi chiude la bocca, voi avete su di me potere   assoluto.

Claudine:   La bontà...

Angélique: È doloroso essere costretta a dimenticare quelle ingiurie;  ma  anche  se mi costa tanto, devo  obbedirvi.

Claudine:  Un agnellino!

de Sotenville (ad Angélique): Avvicinatevi.

Angélique: Tutto quello che mi fate fare non servirà a niente, ve­drete se non ricomincerà domani.

de Sotenville: Ah, vi porremo noi un riparo. (a George Dandin:) Via, mettetevi in ginocchio.

George Dandin:   In ginocchio?

de Sotenville:   Sì,  in ginocchio e  alla svelta.

George Dandin (si mette in ginocchio con la candela in mano; a parte): Oh Cielo! (Al signor de Sotenville: ) Cosa devo dire?

de Sotenville:   « Signora, vi prego di perdonarmi... ».

George Dandin:   « Signora, vi prego di perdonarmi... ».

de Sotenville:  « La pazzia che ho fatto... ».

George Dandin: « La pazzia che ho fatto... » (a parte) di spo­sarvi...

La Signora de Sotenville: « E vi prometto di comportarmi meglio in futuro... ».

George Dandin: « ...E vi prometto di comportarmi meglio in futuro ».

de Sotenville (a George Dandin): State attento ora e sap­piate che questa è l'ultima impertinenza che noi sopporteremo.

La  Signora de Sotenville:   Dio del Cielo! se ci ricascate vi insegneremo  noi  il  rispetto che dovete  a vostra  moglie e  a coloro che le hanno dato i natali.

de Sotenville: Ecco, si è fatto giorno. (A George Dandin:) Addio, rientrate in casa e cercate di comportarvi meglio.

(Alla Signora de Sotenville.) E noi, amor mio, torniamocene a letto.

SCENA   SETTIMA

George Dandin, (solo)

George Dandin: Ah, basta, basta, ora! non c'è più rimedio, quando si ha in moglie una perfida di femmina come la mia, la miglior cosa da fare è gettarsi nell'acqua, e a capo fitto.

F I N E