Gio-casta?

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POPOLOCROIS

                                        

                      Gio-casta?

             

      racconto in forma teatrale della veridica storia di

                                  

                           Edipo

                                                                                              Dramma in due parti di:

                                                                                                                                            Claudio Trionfi

                                                                             e-mail: claudiotrionfi@tiscali.it

                                                                                                                                                        tel.:  347-7663764

 “Noi sappiamo raccontare molte menzogne simili a verità - ma pure sappiamo, qualora ci aggradi, il vero cantare”                                                                                                                                                                   (Esiodo: Teogonia versi 27, 28)

                                                      Parte prima

(un rombo cupo e un tremore del terreno avvertibile anche dal pubblico. Si illumina

sullo sfondo un teatro greco come avrebbe potuto dipingerlo Savinio.)

NUNZIO        (sul fondo) Ateniesi del Demo di Colono

se dovessi comunicarvi in breve

                       ciò che avvenne e ciò che in parte vidi,

                       mi basterebbe dire “Edipo è morto”!

                       Ma tali furono i mirabili portenti

                       cui assistetti, che per forza è d’uopo

                       ch’io mi prolunghi nella descrizione.

                       Giunti che fummo nelle vicinanze

                       della rupestre tenebrosa soglia

che solo Teseo, il nostro amato re,

varcò all’andata e rivarcò al ritorno,

Edipo fece cenno di fermarsi

e tra il pero selvatico e il sepolcro

di marmo che voi ben conoscete

si assise e a sé chiamò le figlie

che in lacrime si strinsero al suo petto.

Fu proprio allora che tremò la terra

e un sotterraneo nume emise un rombo.

Rabbrividimmo tutti a quel portento.

Edipo solo si mostrò sereno

e disse alle figliuole ch’era tempo

 di rivolgersi l’ultimo saluto.

Quindi scese una superna voce:

‘Edipo, Edipo, Edipo! troppo indugi.

E’ giunto il tempo. Poniti in cammino!’

Udito ch’ebbe quel divino appello,

il vecchio si levò, disteso il volto;

e accarezzando con le cieche mani

le bianche guance roride di pianto

delle figliuole Antigone ed Ismene,

invitò queste ad allontanarsi

e insieme a loro congedò la scorta.

Tutti obbedimmo e tra lamenti e pianti

quel mesto corteo volse i suoi passi.

Teseo soltanto Edipo volle al fianco,

che lo portasse  alla rupestre soglia.

(appare in proscenio a sinistra Edipo accompagnato da Teseo)

EDIPO           Hai fermato il passo, Teseo. Debbo arguire che siamo giunti davanti alla soglia che tu solo e pochi altri avete varcato potendo poi riuscirne. Ora è il mio turno. Io non tornerò per raccontare ciò che là mi attende; ma non temo l’Ade. So da tempo ormai che cosa voglia dire essere uno spirito morto pur sopportando il peso di un corpo ancora vivo. Non ho idea di quanto tempo sia trascorso da quell’infausto giorno quando reietto, vilipeso, lasciai Tebe dalle sette porte con gli occhi e con il cuore grondanti sangue. Ho continuato a esistere da allora, ma non ho più vissuto: anche una pietra esiste, anche una foglia mossa dal vento; ma puoi dire che vivano? Non credo. Corpo esanime, ho vagato, mendico, per selve e campi senza aver più la cognizione dell’alternarsi del giorno con la notte. Non ho voluto più tenere il conto del cambio delle stagioni. Forse non sono trascorsi da allora che pochi anni, non so, ma a me sembrano un’eternità; e durante questo tempo infinito, sempre, come un incubo, nel sonno e nella veglia, ho avuto davanti agli occhi della mente l’immagine tremenda, inesorabile di Giocasta, la mia casta sposa, appesa per il collo ad una corda. Ero giovane allora, questo lo ricordo, ero forte, ero felice. Ma basta! Il tempo che mi resta è poco. Hai udito tu stesso la tonante voce del dio che mi chiamava. Ma prima di lasciarti e di lasciare questo infausto mondo voglio spiegarti perché ho voluto che tu, e tu soltanto, mi accompagnassi fino a questa estrema soglia. Ti sono noti tutti i miei travagli, l’Ellade intera conosce le mie sventure; lo so perché ovunque passassi, la gente mi additava gridando o sussurrando, taluni con sdegno altri con pietà, ‘Quegli è Edipo, lo sposo di sua madre, l’uccisore di suo padre!’. E’ la verità, chi potrà mai negarla? Gli eventi sono quelli ma la veridica storia è un’altra; e voglio consegnarla a te, mio buon Teseo, perché non venga seppellita con il mio corpo. Tu la ascolterai e a tua volta, prima di morire, dovrai trasmetterla ad un altro uomo che a sua volta la trasmetta a un altro e così via per i secoli a venire fino alla fine dei tempi. Che nessun altro, però, ne venga a conoscenza, te ne prego, tanto meno Ismene e Antigone, le mie adorate figlie che mi hanno sempre seguito di lontano e spesso accompagnato con filiale devozione durante tutti questi anni di mio peregrinare. Perché ciò che sto per confessarti è molto più orribile di quel che si racconta, e se venissero a saperlo quelle due dolci creature, che tanto amo e troppo mi hanno amato, probabilmente muterebbero il loro amore in odio. Ascolta, dunque. Tutto è accaduto nel giro di una giornata: all’alba il prologo, l’epilogo al tramonto. Da quindici anni ormai io governavo serenamente, anzi, posso dire felicemente, sui cittadini della bella Tebe i quali mi amavano come fossi uno di loro pur sapendo che, ventenne, ero giunto da Corinto e che mi ero conquistato il rango di tiranno e sposo di Giocasta per avere eliminato la perniciosa Sfinge. Nulla sarebbe accaduto di ciò che accadde se la nera Peste, per l’iniquo volere di un dio ostile,  non si fosse accanita contro la città di Cadmo, e stesse seminando ormai da alcuni mesi terrore e morte tra i tebani e i loro armenti insinuandosi, come l’acqua attraverso una rete, all’interno di abitazioni e stalle. Quella mattina, con il cuore affranto, mi aggiravo come sempre per le vie della città sforzandomi di consolare i miei sudditi illudendoli che presto si sarebbe trovato il rimedio a quel disastro e che come anni addietro li avevo tratti in salvo dall’incubo della difforme Sfinge, così ora avrei cacciato dalle nostre terre la pestilenziale dea che tante vittime stava gettando in pasto al mai sazio Plutone. A un tratto vidi giungere a passo veloce il figlio di Meneceo, Creonte, fratello della mia amata sposa, che si era offerto di recarsi a Delfi per consultare l’oracolo di Apollo che suggerisse in quale modo avrei potuto liberare Tebe dalla nera peste.

CREONTE     (arriva dal fondo) Progenie di Agenore e di Cadmo, sventurati Tebani, rallegratevi perché torno da Delfi con un responso che a me pare propizio.

GIOCASTA   (entra con Edipo) Creonte, fratello mio, vieni, entriamo nel palazzo, è bene che il nostro re conosca per primo e in separata sede il vaticinio delfico.

EDIPO           Ma no, mia cara, voglio, anzi, che parli davanti a tutti e subito; è in gioco la sorte dei Tebani, non la mia. Orsù Creonte, racconta ciò che sai.

CREONTE     Come tu vuoi, Edipo. Ascolta dunque ciò che rispose la sacerdotessa di Febo alle mie richieste: quando le domandai quale dio si fosse così crudelmente accanito sulla nostra città e perché, la Pizia mi rispose che non un dio ma un uomo era la causa di tutti i nostri mali e quell’uomo si trovava ancora vivo e libero tra noi; e finché non fosse stato cacciato o ancora meglio, condannato a morte, il morbo seminatore di lutti avrebbe continuato a dilagare per le nostre case. E alla mia seconda domanda su chi fosse quest’uomo e di quale atroce colpa si fosse mai macchiato, il divino responso fu questo: ‘Sia rintracciato e punito chi si macchiò dell’uccisione di Laio, il vostro precedente re’.

GIOCASTA   (sempre più allarmata) Ma come può essere possibile scoprire oggi, a tanti anni di distanza, l’uomo che uccise Laio, se nessuno è stato in grado di trovarlo allora?

EDIPO           Giocasta ha ragione. Lo hai domandato alla sacerdotessa sacra?

CREONTE     Sì, questa fu appunto la mia terza domanda ed ecco la risposta: ‘Chi cerca con attenzione scoprirà di avere sotto gli occhi, ad un passo da sé, ciò che ritiene introvabile’.

EDIPO           E dunque che si attende ad iniziare le ricerche? Se chiare sono le parole del pitico oracolo, sia chiaro il nostro intendimento di rispettare il divino precetto. Cadmei, miei amati e fedeli sudditi, dopo il delitto che vi privò del precedente re, a voi piacque accogliermi come vostro cittadino e duce. Ora, quindi, come sovrano e figlio acquisito di questa terra, per il bene di tutti e per rispetto a Dike, levo alta la mia voce perché ognuno di voi la possa intendere e dico: Chiunque sappia o supponga da chi Laio di Labdaco fu ucciso, ha l’obbligo di farsi avanti e venirlo a dire anche a costo di accusare se stesso o un suo parente; e gli prometto che null’altro avrà da sopportare se non l’esilio dal suo paese che vedendolo partire, nonché ingiuriarlo, lo ringrazierà per averlo salvato dalla peste. Ma chi non vorrà obbedire a questo mio comando, e pur sapendo, continuerà a tacere per interesse o paura, o per qualunque altro motivo, sappia che fin d’ora cadrà sulla sua testa la mia maledizione e quella di tutti gli abitanti della nostra martoriata città. Apollo mi sia testimone: metterò tutto il mio impegno per scoprire l’uccisore di Laio come se dovessi cercare l’assassino di mio padre. E quando finalmente sarà nelle mie mani, dovessi trovarlo tra le mura stesse della reggia, sarò implacabile con lui e lo costringerò a vivere e a morire negli spasimi più atroci.  

GIOCASTA   Calmati Edipo; frena il tuo impeto; ritrova la ragione che la passione ti ha evidentemente offuscato.

EDIPO           Tu mi dici di frenare l’impeto? Proprio tu che dovresti essere la prima a reclamare giustizia perché fosti la prima a subire il torto?

GIOCASTA   Dico soltanto che troppe volte la sacerdotessa di Delfi si è ingannata nel dare i suoi responsi e troppo spesso i sacerdoti si lasciano corrompere perché rilascino oracoli mendaci.

CREONTE     Tu bestemmi, sorella! Accusi la Pizia di aver dato un consiglio fraudolento! Ti rendi conto delle conseguenze a cui andrebbe incontro ognuno di noi, e tu per prima, se si eludesse la volontà di Apollo?

GIOCASTA   Io non accuso, Creonte; anzi temo e tremo di fronte a quel verdetto. Tu ci hai comunicato le parole dell’oracolo che tu soltanto, se non vado errata, hai ascoltato dalla viva voce della sacerdotessa. Se ritenessi false quelle parole sarebbe come ritenere false le tue parole stesse; e sai che non mi azzarderei mai a contraddire chi ha nelle vene il mio stesso sangue.

EDIPO           E allora, Giocasta, sposa mia diletta, perché mi chiedi di indugiare piuttosto che spronarmi, come sarebbe giusto, a dare ascolto al vaticinio delfico in modo da scongiurare ulteriori mali e restituire salute e prosperità ai nostri cittadini?  

GIOCASTA   Perché credo che la soluzione alle sciagure attuali sia da richiedere, più che a Febo, ai sacerdoti di suo figlio Asclepio curatore di tanti morbi occulti.     

CREONTE     Se mia sorella nutre legittime perplessità sulla rettitudine morale di chi presiede al tempio del Delio Apollo, o dubita che io abbia potuto fraintendere il divino messaggio, allora Edipo, posso suggerirti di dare ascolto a chi per unanime convinzione è al di sopra di ogni sospetto?

EDIPO           A chi ti riferisci? Parla senza indugio. Sono ansioso di ascoltare la voce di chiunque possa aiutarci a trovare l’assassino di Laio. Tanto più numerosi sono gli occhi che scrutano la selva tanto maggiore è la probabilità che venga individuato dai cacciatori il cinghiale braccato.

CREONTE     L’uomo a cui mi riferisco è Tiresia, il nostro vate che investiga i misteri della terra e quelli del cielo; che scruta nel futuro e nel passato. Egli conosce bene, anche senza vedere, lo strazio che si legge sul volto dei tebani stremati dal contagio. Dammi ascolto, Edipo: fa che venga e interrogalo; chiedi lumi a lui perché sono convinto che egli solo può trovare la soluzione giusta per salvare la nostra città.

EDIPO           Mi sembra un ottimo consiglio. Vorrei conoscere anche il tuo parere, Giocasta. Sai che le tue parole sono sempre state dei fari illuminanti per me.

GIOCASTA   Creonte è un leale consigliere. Segui dunque i suoi suggerimenti e sii certo che non sbaglierai.

EDIPO           Conosco l’affetto che nutri per tuo fratello e ne sono felice. Sia dunque condotto alla mia presenza il pio vate.

GIOCASTA   Ti prego, Edipo, mentre si attende l’arrivo di Tiresia accompagnami al palazzo. Questa mattina non mi sento troppo bene. Vorrei trovare sollievo e nuove energie nella quiete delle mie stanze.

EDIPO           Come vuoi, Giocasta. Appoggiati al mio braccio. Cittadini, per ora mi ritiro nel palazzo con la mia amata sposa. Chiamatemi non appena Tiresia sarà giunto e continuate a pregare i numi perché si dimostrino benigni.(si spostano sulla destra, luogo deputato a interno del palazzo) Mi dispiace che non ti senta bene.

GIOCASTA   Non è nulla di grave, stai tranquillo.

EDIPO           Mi sono accorto subito che qualcosa non andava in te, questa mattina. Non vorrei sbagliare, ma ti ho visto rabbuiare in volto quando Creonte ci ha riferito l’oracolo della Pizia.

GIOCASTA   Hai notato bene, Edipo. Quel responso non mi convince; e non mi convincono le parole di mio fratello. Non mi fido di lui, non mi sono mai fidata.

EDIPO           Ma come? Casco dalle nuvole! Se siete sempre stati così uniti e concordi nel darmi consigli e aiuto ogni volta che ne ho avuto bisogno. Io sono più giovane di voi; ero un ragazzo quando mi hai sposato; tu eri già regina e Creonte già consigliere; e insieme mi avete addestrato all’arte del governo; in armonia tra voi avete forgiato il re che oggi sono. E ora, così improvvisamente, mi riveli di non esserti mai fidata di tuo fratello?! Perché mi hai tenuto nascosto fino ad oggi questo tuo astio nei suoi confronti? Cos’è successo? Parla, rispondi.

GIOCASTA   E’ una persona infida, Edipo, subdola, maligna. Mi spiace dover parlare così di lui, ma è la verità, credimi. Ho cercato, in questi anni, da quando tu sei re, di vigilare sui suoi comportamenti. Egli sa bene di essere controllato e quindi sta molto attento a ciò che dice e fa, ma so che sta attendendo l’occasione buona per detronizzarti. Tu sei troppo gentile d’animo, amor mio, e forse troppo ingenuo; non riesci a vedere il male se chi lo compie sa nasconderlo dietro un falso sorriso o una frase adulatoria. Per te esistono soltanto la luce del sole o il buio della notte; il bianco è bianco, e se non è bianco è nero; non vuoi convincerti che siamo circondati anche e soprattutto dai grigi, da sfumature di colore, da striscianti insidie di chi trama nell’ombra. Ti ripeto: come mai Creonte non fece nulla allora per scoprire l’assassino? Ma perché forse era stato proprio lui il mandante di quel delitto!

EDIPO           Ma che dici?! Giocasta, mi spaventi! Quale motivo avrebbe avuto Creonte per uccidere il re?

GIOCASTA   Appunto perché era il re! La sua sfrenata ambizione sarebbe stata appagata soltanto quando fosse riuscito a sedere su quel trono! E tutto sarebbe andato secondo i suoi calcoli se non fossi giunto tu e se io non avessi deciso di sposarti.

EDIPO           Vuoi dire…che ti sei unita a me…soltanto per non perdere il ruolo di regina?...per non cedere il regno a tuo fratello?

GIOCASTA   Pensa quello che vuoi, ma guardati da Creonte; sicuramente sta tramando qualche artifizio per eliminare te come fece con Laio.

EDIPO           Rispondi alla mia domanda! Mi hai sposato per rimanere regina?!

GIOCASTA   Sì, sì, sì! Anche per questo! In un primo tempo. Ma poi l’amore ha preso il sopravvento, te lo giuro, e mi ha legato a te indissolubilmente! E sono felice di vivere al tuo fianco e dividere con te talamo e trono. Ho rinunciato a qualunque mia ambizione; ho deciso di dedicare la mia esistenza soltanto a te e ai figli che mi

hai dato. Come una chioccia sospettosa, ho pensato soltanto a proteggere famiglia e regno dalle insidie delle faine sempre in agguato.

EDIPO           E’ terribile! Mi si schiude un mondo del tutto ignoto! Ho vissuto come un cieco fino ad oggi; non vedevo chi mi si muoveva intorno! Ero ben lieto di farmi consigliare da due persone che amavo e ritenevo superiori a me non solo per età ma anche per intelletto e cuore; e ora, d’improvviso, mi si svelano davanti due fratelli ambiziosi che giocano con me e mi manovrano come fossi un burattino nelle mani ora dell’uno ora dell’altra.

GIOCASTA   Non è così come tu pensi, Edipo.

EDIPO           Sì che è così! Mi hai aperto gli occhi. Ora finalmente distinguo le sfumature dei colori. Non vedo solo il bianco intorno a me. Se l’animo di tuo fratello è di un ambiguo grigio, mi pare che il tuo non sia diverso. E pensare che per gioco, ma con sincera deferenza, ho sempre chiamato lui zio, e te, nei momenti di maggiore intimità, per divertirmi a stuzzicare la tua vanità di donna più matura, chiamavo madre.

GIOCASTA   No! No! Non voglio sentir pronunciare da te quella parola! Eteocle, Polinice, Ismene, Antigone; loro soltanto possono chiamarmi madre. Per te non devo essere altro che la tua donna, la regina; sono Giocasta! Gio-casta come ti piace definirmi quando mi stringi a te dopo ogni amoroso amplesso. Io ti amo, Edipo, non puoi sapere quanto; amo tutto di te, animo e corpo. Tu sei il mio uomo, il padre dei miei figli. Sei di tanto più giovane di me, lo so, lo vedo, ma non voglio sentirmi definire madre, neanche per gioco. Pensa, se vuoi, che sono una vecchia lasciva, usa il mio corpo fintanto che desterà ancora in te qualche desiderio e poi cercati pure carne più fresca. Ma rivolgiti a me come alla donna che ti ama e che darebbe la vita pur di vederti felice. E non credere che ti abbia usato come un burattino. Se ti metto in guardia da chi ordisce losche trame ai tuoi danni, è soltanto per amore che lo faccio.

EDIPO           Non ti ho mai visto alterata in questo modo. E’ una Giocasta sconosciuta quella che mi sta davanti. Che cosa ti succede, amore mio? Che cosa sta succedendo intorno a me che non comprendo? Tu mi ami, lo so, come io ti amo. Non ho mai inteso offenderti, giocando sullo scarto di età che ci separa. Per me, come ti ho sempre detto, l’amore è un frugoletto che nasce e cresce all’interno di una coppia; l’età degli amanti non conta. Tu per me sei la donna più bella e più desiderabile del mondo. E ho sempre pensato che fossi anche la più pura e saggia. Perché all’improvviso vuoi che ti scopra, invece, vecchia e intrigante? Ebbene, se è questo che vuoi, non ti deluderò. D’ora in avanti mi chiuderò in me stesso; non scherzerò più con te; ti tratterò con il distacco rispettoso con cui va trattata una regina. Ma nemmeno terrò più conto dei tuoi suggerimenti. Prenderò da solo le decisioni che riguardano la mia persona e Tebe. Mi guarderò alle spalle con sospetto. Impugnerò con forza lo scettro che finora avevo lasciato, fiducioso, nelle vostre mani. Cambierò colore, insomma; diventerò un uomo grigio, come tutti voi. Mi farò ascoltare; mi farò obbedire; mi farò temere come si addice a un vero sovrano. Per prima cosa voglio risolvere il mistero della morte di Laio, e, se l’oracolo di un dio ha ancora un minimo di valore tra i mortali, voglio liberare la mia martoriata città dalla pestilenza trovando al più presto l’assassino e chi coprì il suo scellerato gesto.

TIRESIA         (fuori campo) Ahimè, misero che sono! Perché mi costringete a seguirvi con la forza?

EDIPO           Ecco Tiresia, il vecchio vate che potrà aiutarmi. Andiamo ad ascoltare ciò che avrà da dire.

GIOCASTA   Io non vengo; preferisco restare qui a palazzo.

EDIPO           Tu invece verrai, te lo comando. Voglio che ascolti anche tu le sue parole.

TIRESIA        (appare dal fondo accompagnato da due uomini) Per la quiete comune, uomini ciechi, non costringete un vecchio cieco inerme a disvelare a voi la verità che avete sotto gli occhi e non vedete! Lasciatemi tornare a casa mia. Perché mi si impone di riportare alla luce quei lontani eventi che sono ormai dissolti nell’oblio?

EDIPO           (a Teseo)  Quell’inaspettato dialogo con Giocasta mi aveva terribilmente scosso. Credo che in tanti anni di convivenza, quella sia stata la prima volta che l’uno e l’altra alzammo la voce.  La spinsi quasi a forza fuori dal palazzo dove il vecchio Tiresia stava urlando frasi sconnesse e lamentose.

TIRESIA        E’ un povero vegliardo che vi supplica; lasciatemi tornare a casa e non venite più a cercarmi. Se mi trascinerete con la forza al cospetto del sovrano, sono certo che con la forza egli mi obbligherà a parlare, e purtroppo quando avrà saputo, allora maledirà di avermi fatto chiamare.

EDIPO           Che cosa vai blaterando, vecchio? Perché tanti strepiti?

TIRESIA        Lasciami andare, Edipo, mio buon re. Fammi tornare a casa. Dammi ascolto. Sarà meglio per te, per me e per chi ci sta d’intorno.

EDIPO           Tu invece parlerai proprio per il bene dei tuoi concittadini. Devi dire tutto ciò che sai a proposito del regicidio avvenuto quindici anni or sono.

TIRESIA        Tanto tempo è trascorso da allora. Come posso ricordare? Sono vecchio, lo vedi. Più la vita di un uomo si allunga, più corta si fa la memoria.

EDIPO           Tu menti! Vuoi nascondere, per qualche tua losca ragione, alcune verità, che non puoi aver dimenticato. Anche se non penso che sia stato tu, cieco come sei, ad avere ucciso Laio, sicuramente sei complice di chi commise materialmente il delitto. Ti farò frustare e vedremo se avrai ancora la forza di tacere sotto le sferzate. E quando infine avrai svuotato il sacco, ti farò appendere, in compagnia dell’assassino, alla più dura quercia, in pasto a quegli uccelli di cui hai sempre vanamente scrutato il volo.  

TIRESIA        Pensa come sarebbe divertente se per ordine tuo ci trovassimo appesi, nostro malgrado, fianco a fianco, ad un solido ramo della stessa quercia.

EDIPO           Che cosa intendi dire? Parla chiaro.

GIOCASTA   Lascialo andare, Edipo. Non vedi che farnetica. E’ evidente che l’età gli ha fatto perdere, insieme alla memoria, anche il senno.

TIRESIA        Sì, è vero, sono un vecchio folle; ha ragione la tua saggia sposa: mandami a casa, scorda ciò che ho detto e se ti preme conoscere la verità rivolgiti piuttosto a chi è più giovane e meno smemorato di me; magari proprio a chi ti vive accanto. E forse allora appeso a quel ramo di quercia non vedrai più me penzolarti al fianco.

GIOCASTA   E sopporti ancora che questo vecchio invasato ti copra di insulti?! Caccialo, Edipo, e non prestargli ascolto.

EDIPO           No, non si allontanerà da qui fintanto che non mi avrà spiegato che cosa significano questi oscuri presagi e ammonimenti.

TIRESIA        Perché oscuri? Ti sto dicendo con la massima chiarezza che dovresti far uso, tu, della tua memoria e non pretendere da me che vada a rivangare  in fondo al tuo passato. Chiedi a te stesso e a chi ti vive accanto di ripercorrere gli accadimenti di quei lontani travagliati giorni. Allora forse ti renderai conto che l’informe sembiante della colpevolezza molte volte si cela ad arte sotto le seriche vesti dell’innocenza.

EDIPO           Che cosa stai cercando di nascondere, vecchio, dietro queste tue parole sempre più ambigue e sempre più minacciose? 

GIOCASTA   (prendendolo in disparte) Apri finalmente gli occhi, Edipo. Non capisci che si stanno tramando insidie ai tuoi danni. Questo miserabile, che si guadagna da vivere carpendo oboli all’ingenuo volgo grazie alle sue presunte capacità divinatorie, è stato sicuramente prezzolato da qualcuno interessato al trono, perché insinuasse nell’animo tuo e dei tebani tutti l’idea che a uccidere Laio sei stato tu. Mi pare che stia riuscendo nel suo intento. E io non posso permetterlo, per il bene che voglio a te, ai miei figli, e alla mia città. Quindi ti prego, Edipo, non dargli ascolto. Caccialo. Ripeto: è un mestatore.

EDIPO           Secondo te questo vecchio vate, rispettato da tutti sin dai tempi dell’antico Cadmo, è un mestatore. Sempre secondo te, Creonte, tuo fratello, che mi ha sempre dato consigli saggi e spassionati, è un subdolo intrigante che mira soltanto ad usurparmi il trono. Ma tu chi sei? Perché dovrei credere a te dal momento che tu stessa mi hai insegnato oggi che è meglio non fidarsi di nessuno?   

GIOCASTA   Tu mi ferisci! Vuoi lacerarmi il cuore! Non puoi pensare quello che mi dici! Questo maledetto morbo che infesta la città sta sconvolgendo la ragione a tutti e a te per primo. E’ comprensibile, lo so; ma non lasciamo che un funesto accidente voluto dal destino incattivisca anche l’animo nostro e inquini i sentimenti puri che ci hanno accomunato fino ad oggi. Ti ripeto, chiedi ai seguaci di Asclepio la soluzione ai mali che affliggono Tebe perché solo loro possono trovare il giusto rimedio. Non ti affidare alla corrotta casta di vati e sacerdoti sempre disposti a vendersi al migliore offerente.

EDIPO           Anche tu, come Creonte, come questo vecchio, mi stai schiacciando sotto il peso di contorti e fumosi sottintesi. Dite la verità, in nome degli dei! Parlate chiaro! Voglio capire quale sia la più giusta risoluzione da prendere; non per me, per Tebe. 

GIOCASTA   Diffida delle parole di questo finto vate, di mio fratello e anche delle mie, se vuoi, che hanno intorbidato la limpida sorgente dei tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti. Ma torna a credere, ti prego, che io ti amo e ti ho sempre amato di un amore... indescrivibile. Nessuna donna al mondo può aver amato o potrà amare un uomo così totalmente come t’amo io.

EDIPO           Scusami, Giocasta, sono frastornato. Non voglio mettere in dubbio il tuo amore e non rinnego il mio. Ma da questa mattina è come se mi si fosse rivelato un aspetto di te finora sconosciuto, un lato oscuro che vorrei chiarire, anche a costo di mettere in crisi l’armonia e l’accordo che ci hanno sempre uniti. Perdona se divento sospettoso, ma per il bene di tutti, come dici tu, voglio far chiarezza. (rivolto a Tiresia) Vecchio cialtrone, vattene dove vuoi; sparisci. Non ho più bisogno delle tue risibili invettive. Ma prima di tornare a casa va ad avvertire Creonte, che ti ha mandato qui a sputare i tuoi veleni, che mi raggiunga immediatamente al palazzo. (Tiresia esce)

GIOCASTA   Che intendi fare, Edipo? Perché vuoi vedere di nuovo Creonte?

EDIPO           Voglio che tu e tuo fratello vi guardiate in faccia e senza reticenze vi confrontiate in mia presenza. (entra nel palazzo)

GIOCASTA   Tu non te ne rendi conto, amore mio, ma ci stiamo muovendo sul ciglio di un baratro. Ferma i tuoi passi, fin che siamo in tempo; rinuncia alle indagini sulla morte di Laio che Febo e la sua Pizia, o forse Creonte e il suo Tiresia, vogliono che tu conduca. (entra nel palazzo seguendo Edipo)

EDIPO           (a Teseo) Se fino a quel momento avevo sentito oscillare il terreno sotto i miei piedi, dopo l’incontro-scontro tra i due fratelli mi si aprì dinnanzi quel baratro che Giocasta mi aveva indicato; ed ebbe inizio per me la rovinosa caduta che soltanto oggi, finalmente, vedrà il suo arresto.

CREONTE     (giungendo trafelato) Cittadini, mi sono giunte all’orecchio le gravi intollerabili accuse che mi muove Edipo. Voglio entrare subito alla reggia. Ch’io ne esca a testa alta, con la reputazione intatta, oppure che venga esiliato o anche messo a morte. Non posso tollerare che voi, tebani, mi consideriate un lestofante che altera gli oracoli divini per guadagnare non so quali vantaggi. Ma ecco, vedo giungere il re insieme alla regina. (entrano Edipo e Giocasta) Mi hai fatto chiamare, Edipo. Eccomi. Corre la voce che tu mi accusi di chissà quali e quante nefandezze. Ebbene, parla, sono tutt’orecchi. E quando avrai finito di rovesciare su di me le tue ingiurie, se non saprò rispondere, punto per punto, a tutte le accuse, fammi murare vivo nella più tenebrosa delle spelonche. Ma se dovrai ravvederti riconoscendo che le frasi di Tiresia, all’apparenza ambigue, non sono poi così indecifrabili, allora dovrai anche riconoscere che il responso della Pizia è l’espressione vera della volontà di Lossia. E quindi, se vorrai liberare davvero, come dici, i cittadini di Tebe dal devastante morbo che li affligge, dovrai rinunciare al trono e lasciare la città per sempre.

EDIPO           Creonte, ti ho lasciato parlare. Ora risponderai alle mie domande e vediamo se riuscirai a conservare questa tracotanza che per la verità è la prima volta, da che ti conosco, che ti vedo esprimere. Entra. Come questa mattina ho voluto che parlassi al cospetto di tutti, perché tutti ascoltassero il responso della Pizia, così ora voglio confrontarmi in privato con te, e con lei, (indica Giocasta) perché quelle che dovremo chiarire sono questioni che riguardano soltanto noi.(entrano nel palazzo)

CREONTE     Parla pure. Sono pronto a rispondere a tutte le domande e a sciogliere ogni tuo dubbio.

EDIPO           Giocasta, la mia adorata sposa, la tua amabile sorella, (con sarcasmo) ha insinuato che le sacerdotesse di Delfi, non sono sempre così pure come si crede, e che si lasciano facilmente corrompere per una manciata di monete.

GIOCASTA   Edipo, ti prego…

EDIPO           Lasciami parlare! Non mi ha detto apertamente che anche tu potresti aver usato quel sistema, ma, visto che ormai sono abituato a sentirvi esprimere attraverso enigmi, io credo che abbia voluto farmelo intendere.

CREONTE     Non so se la mia amabile sorella abbia voluto insinuare questa malignità nei miei confronti. D’altronde, conoscendo i suoi pensieri da quando è nata, cinquant’anni or sono, e avendo avuto modo di sperimentare in più di una occasione la falsità e la doppiezza che albergano nel suo cuore, non mi stupirei che abbia tentato di screditarmi ai tuoi creduli occhi.

GIOCASTA   (molto tesa) E per quale motivo avrei dovuto farlo?

CREONTE     (sicuro di sé) Non so; forse perché temi che emerga qualche cosa che potrebbe nuocere a lui, a te e ai vostri figli.

GIOCASTA   (sempre più tesa) Io non temo nulla; se anche tu non hai nulla da temere!

CREONTE     (sempre più spavaldo) E infatti io sono tranquillo, come sei tranquilla tu.

EDIPO           (alterato) Ora basta! Rispondi alla mia domanda: hai comprato il responso della Pizia o quello è il vero volere di Apollo?

CREONTE     Se non credi a me, manda a Delfi un tuo fidato suddito e fai fare indagini sul luogo.

EDIPO           Stai pur certo che lo farò se lo riterrò opportuno. Ma c’è un’altra cosa che Giocasta, la mia adorata sposa, la tua amabile sorella, (sempre sarcastico) ha insinuato: e cioè che anche il vecchio veggente che mi hai suggerito di consultare e che mi ha predetto un destino infausto, non sia altro che un tuo sicario pronto a obbedire ad ogni tuo volere.

CREONTE     Tiresia è un vate onorato e rispettato fin dai tempi di Cadmo, il re padre fondatore della nostra città. Offendendo lui si offende Cadmo stesso e Polidoro suo figlio, e Labdaco figlio di suo figlio, e Laio, e infine te, ultimo re di Tebe. Chi mette in dubbio la sua rettitudine e il suo attaccamento al popolo tebano mette in dubbio le istituzioni stesse che sono alla base della nostra società. 

EDIPO           (amaramente ironico) Che cosa rispondi, adorata sposa?

GIOCASTA   Avverto tutta l’ironia, anzi il sarcasmo, che si nasconde dietro questa tua domanda, Edipo. E allora, se vogliamo uscire dalla palude infida del detto e non detto, sono costretta ad aprirti gli occhi che con tenera, commovente ingenuità, hai tenuto chiusi come fossi un qualunque sprovveduto cittadino. Tiresia è un nome; Tiresia è una funzione. Dietro quel nome, dietro quella funzione si alternano individui che possono essere, come ogni uomo, probi o disonesti. Ma puoi immaginare che un Tiresia, già vecchio al tempo di Cadmo, sia sopravvissuto a quattro re e ancora sia capace di vaticinare? Questo Tiresia, con il quale oggi ti sei scontrato, è una creatura di Creonte che se ne serve all’occorrenza da quando è morto Laio. Con ciò non voglio dire che non possa essere attendibile nei suoi vaticini. Dico soltanto che è un semplice strumento e come tutti gli strumenti può suonare bene o male a seconda dell’aulete che lo usa.

EDIPO           E in questo caso, secondo te, come ha suonato? Quanto c’è di vero in quello che mi ha detto?

GIOCASTA   Non lo so, Edipo, non lo so. Non ricordo nemmeno quello che ti ha detto.

CREONTE     Te lo ricordo io, amabile sorella, visto che, secondo te, ha detto ciò che io ho voluto che dicesse. Ha fatto intendere che ad uccidere Laio sia stato Edipo, non è vero?

EDIPO           Sì è proprio così. E questo mi ha indignato.

CREONTE     E ha aggiunto, se non sbaglio, che ad usare la memoria non doveva essere lui ma qualcun altro.

EDIPO           Appunto. Ma pare che nessuno ricordi o voglia ricordare.

CREONTE     Ma tu, scusami Edipo, hai fatto questo sforzo?

EDIPO           Di ricordare? Che cosa dovrei ricordare? Io sono giunto a Tebe quando il re era già morto.

CREONTE     A proposito, non ci hai mai raccontato per quale motivo stavi venendo a Tebe.

EDIPO           A te non l’ho mai raccontato. Giocasta lo sa; a lei non ho mai nascosto nulla dei miei trascorsi prima di sposarci. Comunque, se la cosa ti può interessare, eccoti tutto in breve: Lasciai  Corinto perché una sera ad un convivio con amici un tale che non conoscevo insinuò che Polibo e Merope non fossero i miei veri genitori e mi suggerì di recarmi a Delfi per chiedere lumi alla Pizia. Così feci e questo fu il responso. ‘Vai a Tebe dove cancellerai il ricordo di Corinto. Chissà che non uccida tuo padre e non realizzi il sogno di giacerti con tua madre; ma soltanto così potrai trovare la tua vera famiglia’. Interpretai l’oracolo nel senso che Polibo avrebbe potuto morire di dolore per la mia partenza e il desiderio di ricongiungermi con Merope sarebbe diventato il mio assillo notturno. Si sa infatti che molti hanno, in sogno, rapporti carnali con la propria madre; ma il sogno non è controllabile dalla nostra volontà; quindi non è punibile il vivo ricordo di un evento mai nato. Venni dunque a Tebe, vinsi la Sfinge e conquistai il diritto di sposare Giocasta, creandomi qui la mia famiglia. E l’amore che nacque tra noi due fu per me il segno che l’oracolo era giusto. Eccoti accontentato; adesso sai perché sono venuto.

CREONTE     E appena varcata la porta di Tebe fosti informato della morte di Laio. Era appena morto quando tu arrivasti.

EDIPO           Che vuoi dire?

CREONTE     Voglio dire che quando il re fu ucciso al trivio dove confluiscono le strade per Tebe, Daulia e Delfi, tu, come qualunque altro passante, avresti potuto essere lì e assistere al delitto.

EDIPO           (sgomento) Laio fu ucciso al trivio per la Focide?

CREONTE     Sì. Non lo sapevi? Perché questo stupore? Ti vedo impallidire. Forse che ti sta tornando alla memoria qualche particolare di allora?

EDIPO           Giocasta, tu lo sai, ti ho raccontato di quell’incidente che mi occorse venendo a Tebe; dello scontro che ebbi con un gruppo di predoni che volevano uccidermi e che invece uccisi io. Successe proprio là, a quel trivio! Oh, sommo Giove!

CREONTE     Forse a questo punto conviene che io mi allontani e che vi lasci soli. Chissà che con l’aiuto di Giocasta non ti si rischiari un po’ la mente, Edipo. Forse ognuno di noi vuole celare qualche ricordo che non gli è gradito. Forse anche Giocasta, con un po’ di buona volontà e senza sforzarsi troppo a riesumare ogni particolare, potrà convincerti che il mio Tiresia non è del tutto folle o in mala fede. Forse…

EDIPO           Basta con questi ‘forse’! Voglio sapere! Ditemi come stanno le cose veramente. Parlate chiaro, una buona volta! Sono pronto ad accettare qualunque verità.

CREONTE     Forse…Oh, scusa: Sicuramente Giocasta, non ha perduto la memoria. Parla con lei. Ricordiamo entrambi come si svolsero le vicende allora. Perciò ella sa che se dovesse nasconderti qualcosa, rischierebbe il fatto che potrei rivelartela io; come d’altronde anch’io so che correrei lo stesso rischio. Quindi, mio buon re, lasciami andare e ascolta la tua devota sposa che ti potrà illuminare, con dovizia di particolari, né più né meno di quanto potrei fare io.

EDIPO           Ma sì, vattene. Lasciami con lei. E se questo fioco barlume di verità che comincia a trapelare attraverso il fitto velo di ignoranza nel quale mi avete finora artatamente avvolto, diventerà come luce dell’astro di fuoco a mezzogiorno, allora potrai finalmente gioire perché oggi stesso lascerò Tebe ai tebani e a te lo scettro. Obbedirò al volere di Apollo: me ne andrò esule per le vie del mondo liberando così la città dal nero morbo.

CREONTE     Non io sarò felice, ma i figli di Cadmo. Le decisioni che prenderai non saranno condizionate da me, ma da Lossia che tutto vede e sa.

EDIPO           Vattene, ho detto. Lasciami con lei. (Creonte esce) Eccoci soli, infine; davanti a quel baratro che avevi paventato. Tendimi una mano e aiutami ad allontanarmene; oppure dammi l’ultima spinta e fa che vi sprofondi dentro. Non posso vivere nel dubbio che a uccidere Laio sia stato io. Voglio la verità. Tu la conosci, l’hai sempre saputa. Parla, ti prego, in nome dell’amore che dici di volermi.

GIOCASTA   Sì, Edipo mio, sì, sei stato tu ad uccidere Laio; e noi lo sapevamo. Hai creduto di imbatterti in un manipolo di predoni e invece era un re arrogante che pretendeva che gli cedessi il passo. Tu ti rifiutasti, come mi hai narrato, e il tuo coraggio e il vigore giovanile hanno avuto la meglio. Uccidesti Laio e gli uomini della sua scorta, tranne uno che venne a riferire l’accaduto. E quando tu giungesti in Tebe, quello ti riconobbe e, in mia presenza ti segnalò a Creonte che ti avrebbe immediatamente fatto catturare se non mi fossi opposta io. Infatti quel tuo volto giovanile, splendido e sorridente, la tua figura energica e rassicurante hanno come d’incanto, a prima vista, suscitato un sentimento d’amore in me che a trentacinque anni, quanti ne avevo allora, mi sentivo, sì, inadeguata rispetto ai tuoi vent’anni, ma bella, piacente ancora e traboccante desiderio di vivere finalmente emozioni che con lo sposo che tu mi avevi ucciso non avevo mai provato. Chiesi a mio fratello di risparmiarti la vita; gli dissi che avrei voluto sposarti. Ovviamente si oppose perché sposando te avrei conservato il diritto al trono rendendo vane tutte le sue smanie di potere. Allora spedii immediatamente un mio sicuro confidente a Delfi perché comprasse un responso di Apollo secondo il quale chi avesse risolto l’enigma della Sfinge avrebbe avuto in cambio la mia mano. Davanti alla parola del dio, mio fratello dovette fare buon viso a cattivo gioco. Poi convinsi la sacerdotessa che si nascondeva dentro quel ridicolo mostro meccanico a renderti il più facilmente comprensibile l’indovinello. Tu indovinasti e ci sposammo.

EDIPO           (a Teseo) Ricordo, infatti, che l’enigma della Sfinge mi sembrò di una semplicità estrema ma, nella mia ingenuità di ragazzo, o forse in me congenita, non diedi eccessivo peso a quel fatto. Mi sentii felice di avere conquistato la donna che mi aveva conquistato. E da allora non pensai più a nulla se non a vivere per amare lei, il popolo tebano che mi aveva accolto, e poi i miei quattro figli quando ad uno ad uno vennero alla luce. Ma quel racconto che mi aveva fatto, se pure poteva essere veridico e convincente, non aveva fugato in me la spiacevole sensazione, direi il timore, che in fondo lei non fosse diversa da suo fratello e che anche per lei lo stimolo ad agire in quel modo fosse stata unicamente la smania del potere. Le espressi queste mie perplessità. Le domandai inoltre che cosa avesse voluto significare definendo la Sfinge ‘ridicolo mostro meccanico’. A quel punto vidi le sue gote irrigarsi di silenziose lacrime; il volto si irrigidì in un’espressione di sofferenza che non le conoscevo; e con una voce flebile e insicura, stringendomi le mani tra le sue, mi chiese di ascoltarla in silenzio perché avrebbe finalmente  espulso quel grumo amaro di orrendi ricordi e di rimorsi che aveva tenuto chiuso in sé per pudore di donna e per l’orrore che provava al solo riesumarli. Feci un cenno col capo come a dire che ero pronto ad ascoltare e a perdonarla, se questo mi avesse chiesto. Ancora non sapevo che avrebbe omesso i fatti più orrorosi della sua, della nostra storia. Prese a raccontarmi incredibili vicende fatte di losche trame, di intrighi e tradimenti; facendo però attenzione a nascondermi il nodo vero che teneva legato il suo racconto e che quando in seguito il caso volle sciogliere portò lei alla morte e me alla dissoluzione.

GIOCASTA   Fammi dir tutto, Edipo, fammi dir tutto. Avevo quindici anni quando mio padre Meneceo mi cedette in sposa a Laio, il re di Tebe. Fu il solito baratto in uso nella nostra ottusa e iniqua società dove la donna vale meno di uno schiavo: lo schiavo è trattato bene perché deve lavorare come tutte le bestie da soma; noi siamo considerate meno di una bestia, siamo soltanto  merce di scambio. Nel mio caso, per Laio ero un prelibato bocconcino da mordicchiare quando la foia gliene avesse dato l’estro. Per mio padre ero la chiave che gli permetteva di accedere al palazzo con il ruolo di consigliere regio. Io ero poco più che una bambina quando ci sposammo; Laio aveva quarant’anni. Era un uomo violento, lubrico, spietato, capace delle più turpi nefandezze. Si disse che avesse tentato di violentare Crisippo, il mio coetaneo figlio di Pelope, re di Argo, nei giorni in cui molti ospiti si trovavano qui per festeggiare il nostro matrimonio. E’ da allora che Argo e Tebe sono sempre sull’orlo del conflitto. Ma una intestina guerra di potere prese ben presto a formicolare anche tra le mura di questo palazzo. Alla morte di mio padre, Creonte, che era pronto a tutto pur di soddisfare la sua smisurata ambizione, ne prese il posto e iniziò a tessere sotterranei rapporti con il re miceneo cui bruciava ancora la ferita per l’oltraggio fatto al figlio e che non chiedeva altro che Laio venisse eliminato. E tra un intrigo e l’altro si giunse al periodo in cui arrivasti tu. Poco tempo prima che Laio venisse ucciso, ad Argo si diede il via alla costruzione di una gigantesca macchina ossidionale, una torre mobile buona per l’assedio, in grado di fungere da catapulta, ariete e tollenone. Una squadra di falegnami, fabbri e carpentieri la rivestì con un’intelaiatura cui diedero la forma di un mostro enorme che chiamarono Sfinge e che venne lentamente trasportato da Argo verso Tebe seminando terrore tra i contadini e gli abitanti dei villaggi che lo vedevano transitare.

EDIPO           Ma come? La Sfinge che ho sconfitto e condannato a morire non era un’entità divina ma un semplice carro da guerra inanimato?

GIOCASTA   Inanimato fino a un certo punto, perché al suo interno si nascondevano non so quanti uomini armati pronti a sfondare le porte di Tebe e a conquistare la città. A quel punto Laio, nel tentativo di sventare il pericolo, si mosse verso Delfi al fine di comprare un responso dell’oracolo che intimasse agli alleati e ai sudditi di Tebe di affrontare e fermare la Sfinge prima che arrivasse presso le nostre mura. Ma non giunse mai a Delfi perché al trivio che tu conosci fu intercettato e ucciso dagli uomini al soldo di Creonte.

EDIPO           Non è possibile! Dunque non sono stato io ad ucciderlo?! Ma allora chi ho ucciso proprio nello stesso punto?

GIOCASTA   Taci, ti prego; e ascolta in silenzio questa mia confessione fino in fondo. Allora potrai farmi le domande che vorrai e sarai libero di credermi oppure di punirmi anche con la morte, se scoprirai che non ti ho detto il vero. Ti ripeto, non fosti tu ad uccidere Laio; tu fosti aggredito da cinque uomini armati che Creonte ti aveva mandato contro perché ti uccidessero. Ma la sorte e il tuo coraggio diedero a te la meglio.

EDIPO           Ma per quale motivo Creonte avrebbe voluto uccidere me, uno straniero che nemmeno conosceva?

GIOCASTA   Proprio perché eri un viandante sconosciuto avrebbe potuto facilmente scaricare la colpa su di te esibendo al popolo tebano il tuo corpo insieme a quello di Laio che egli aveva già fatto uccidere. Ma quando l’unico superstite portò la notizia che tu avevi sbaragliato i suoi uomini e che stavi giungendo incolume a Tebe, ricordo che stavamo tornando in città dalla campagna dove ci eravamo recati per controllare il raccolto. Ti vedemmo e, come sai, il mio cuore alla sola tua vista cominciò a battere per un improvviso palpito d’amore. Ciò che avvenne in seguito in parte già lo conosci: Mi rivolsi a Crisippo, con il quale ero rimasta sempre in contatto, e che ormai aveva sostituito il vecchio padre alla guida di Micene. Gli chiesi di far distruggere la macchina da guerra, cioè la Sfinge, non prima però di avermi dato il tempo di comprare un responso a Delfi che prescrivesse che il regno di Tebe sarebbe passato a me e a colui che avesse sciolto l’enigma che io ti feci risolvere facilmente. A quel punto Creonte senza più l’appoggio degli argivi e di fronte all’oracolo di Apollo si dovette arrendere e tu divenisti re di Tebe e mio sposo. Da allora sono trascorsi  quindici anni di prospera pace per la città e di felice matrimonio tra noi due. Ma Creonte continuò a covare il suo rancore in attesa soltanto di una buona occasione per sedere su quel trono che con servile, paziente perfidia ha sempre avuto nei suoi pensieri. Purtroppo l’occasione è giunta ed è stata appunto la tragedia che ha colpito la nostra città. E’ corso subito a Delfi ed è tornato con il responso che per salvare Tebe dal morbo che ci sta distruggendo si sarebbe dovuto espellere l’uccisore di Laio. Ecco perché ha fatto in modo che ora si scoprisse che il colpevole fosti tu.

EDIPO           (a Teseo) Le parole della mia amata Giocasta mi convinsero. Ritrovai la fiducia in lei che aveva vacillato in seguito a tutti gli eventi e a tutte le rivelazioni che mi piovvero addosso durante quella giornata. Ovviamente le dissi che, non potendo più contravvenire al volere di Febo, me ne sarei andato esule verso lidi sconosciuti liberando la città dalla mia ominosa presenza.

GIOCASTA   Ma cosa dici, amore mio?! Vorresti fare il gioco di quel furfante traditore? Tu rimarrai alla guida del paese e se si azzarderà ad aizzarti il popolo contro, sono pronta a svelare a tutti che ad uccidere Laio è stato lui. Ma vedrai che non avrà il coraggio, anche perché questa volta sarò io a chiedere l’intervento dell’esercito di Argo che Crisippo non mi negherà.

EDIPO           (a Teseo) Fu quella la seconda versione ch’ella mi diede degli eventi che avevano segnato trentacinque anni di storia, sua, mia e di tutta Tebe. Mi convinse anche questa volta e, come sempre, le promisi che avrei fatto ciò che lei voleva. Ma il tragico epilogo di quella nefanda giornata incombeva ancora impalpabile sulle nostre teste e si concretizzò con l’arrivo di un vecchio messaggero che veniva da Corinto che senza nemmeno immaginare quali terribili conseguenze avrebbero provocato le notizie che stava per annunziare, si presentò affannato alla porta del palazzo.

                                                            

                                                            

                                                             Parte seconda

MESSO          Cittadini di Tebe, chi sa dirmi dove si trova la reggia del re Edipo? O meglio ancora, dove posso trovare Edipo stesso? Grande è il desiderio di comunicare al re i messaggi, buoni e cattivi a un tempo, che sono stato incaricato di portargli.

EDIPO           (appare con Giocasta) Chi sei, vecchio? Da dove vieni? E che cosa devi dirmi? Io sono quell’Edipo che vai cercando.

MESSO          Vengo da Corinto e reco a nome degli abitanti della città dell’istmo due notizie, che ti procureranno gioia e dolore a un tempo.

EDIPO           Parla. Sarò io a stabilire se ciò che mi avrai detto sia tale da procurarmi contrastanti sentimenti.

MESSO          Prima la notizia buona: i Corinzi reclamano il tuo ritorno per eleggerti loro re.

EDIPO           Ma come, non regna più su quel paese il saggio Polibo, sempre amato e rispettato dai suoi sudditi?

MESSO          Ecco appunto la seconda notizia che presumo ti farà soffrire: Polibo è morto. E, se posso osare dirlo, forse anche il  costante rimpianto di aver perduto un figlio ha accorciato il numero dei suoi giorni.

EDIPO           O padre mio, ti procurai tanto dolore abbandonando te e la mia adorata madre Merope, quando lasciai Corinto! (al messo) Buon vecchio, riposati e rifocillati fin che ne avrai necessità e desiderio; e poi riprendi la via del ritorno; e quando sarai giunto al tuo bel paese che fu anche mio, comunica ai Corinzi che li ringrazio per la profferta che mi hanno rivolto; ma non potrò mai tornare a Corinto finché mia madre sarà ancora in vita; anche se presto dovrò lasciare questa città, perché così ha ordinato Lossia.

MESSO          Non capisco, dici di amare Merope e di struggerti per la lontananza che ti divide da lei, e ora che potresti tornare ad abbracciarla, essendo tra l’altro costretto a deporre questo scettro, ti rifiuti di tornare alla tua primiera patria e di accettare la corona che ti viene offerta?

EDIPO           E’ l’oracolo di Delfi a impedirmi di tornare a Corinto perché, seppure potrebbe essere interpretata in altro modo, la parola della Pizia fu chiara: ‘ucciderai tuo padre e ti giacerai con tua madre’. Il timore che la ritorsione del dio per la mia disobbedienza ricada sulla mia sposa e sui miei figli mi trattiene dal fare ciò che vorrei. Quindi, ripeto, torna a casa e comunica ai Corinzi che li ringrazio ma rinunzio al trono.   

MESSO          Superni Dei, se la paura che impedisce a Edipo di far ritorno nella sua città deriva unicamente dall’oracolo della Pizia, perché indugio ancora e non gli svelo ciò che, una volta udito, sicuramente gli farebbe cambiare idea?!

EDIPO           Che cosa dovresti svelarmi che non so e che potrebbe indurmi a riabbracciare la  mia adorata madre?

MESSO          Sappi, mio buon sovrano, che il terrore che ti assilla e ti sconvolge tanto è privo di qualunque fondamento.

EDIPO           Che dici, vecchio? Chi ti autorizza a mettere in dubbio la parola del dio Liceo?

MESSO          Anzi; proprio perché rispetto la sentenza che dal dio promana ti dico che non hai nulla da temere.

EDIPO           Quest’oggi tutti si esprimono per enigmi. Spiegati meglio se non vuoi sperimentare sulla tua pelle l’effetto della mia collera.

MESSO          E’ presto detto: né Polibo era tuo padre né si chiama Merope tua madre.

EDIPO           Cosa vai farneticando? Non sarei figlio dei miei genitori?

MESSO          Sono i tuoi genitori, allo stesso modo che potremmo esserlo io e la mia sposa.

EDIPO           Tu non sei nessuno. A loro debbo la vita.

MESSO          Credimi, Edipo, nessuno meglio di me sa che non sono loro ad averti generato.

EDIPO           E allora perché mi hanno sempre chiamato figlio, e come tale mi trattavano?

MESSO          Perché in effetti ti hanno sempre amato come un figlio fin da quando ti ricevettero, ancora in fasce, dalle mie mani.

EDIPO           Quindi, stando a quanto affermi, sarei tuo figlio?

MESSO          No, no, non mio; non ho detto questo. Ma nemmeno loro, so quel che dico.

GIOCASTA   Edipo, ti prego, licenzia questo vecchio. Non capisci che sta inventando una storia assurda? Forse, anche in buona fede, per farti tornare a Corinto, vuole convincerti che non essendo figlio di Polibo e di Merope, non corri il rischio di trasgredire all’oracolo di Delfi.

EDIPO           Da che esisto non ho mai ricevuto tante rivelazioni sconvolgenti come in questa sola giornata. Quanto manca al calare del sole? perché forse sono ancora in tempo a riceverne altre e magari ancora più nefaste.

GIOCASTA   Rientra con me nel palazzo. Abbiamo da risolvere problemi assai più urgenti di questo. Ricorda che incombe sul tuo destino un verdetto divino che ti impone di lasciare me e i tuoi figli in balìa di chi sai tu.

EDIPO           No, non licenzierò questo vecchio se prima non mi avrà chiarito il dubbio che egli stesso ha inculcato nella mia mente. Tu dici che mi ebbero in dono dalle tue mani.

MESSO          Sì, te l’ho detto e te lo confermo.

EDIPO           E per quale motivo lo avrebbero fatto?

MESSO          Per il gran desiderio di avere un figlio che Merope non poteva avere.

EDIPO           E se non sono figlio tuo, da chi mi ricevesti tu?

MESSO          Da un pastore che come me pascolava il suo gregge non lontano da questi luoghi, alle pendici dell’erboso Citerone. Quando ti consegnò a me, pregandomi di portarti in salvo al mio paese, avevi le giunture dei piedi incatenate e le caviglie traforate da un chiodo di duro ferro. Sciolsi i tuoi piedini da quei vincoli orrendi e ti curai come meglio seppi fare. Ma il gonfiore rimase per molto tempo ancora, tanto che poi ti fu dato il nome Edipo.

GIOCASTA   Basta, basta! Sono tutte fandonie prive di fondamento! La nostra pazienza ha un limite. Questo straniero sta esagerando con le sue assurde ciance; tanto è sicuro che non potranno mai essere verificate.

EDIPO           Giocasta perché ti alteri in questo modo? Lascia che finisca il suo racconto. Poi sarò io a decidere se credergli o meno.

GIOCASTA   Ti dico che in questo momento così difficile, sapere se sei figlio di Merope o di un’altra donna è un problema del tutto marginale. Dobbiamo pensare ad altro che a risolvere questioni genealogiche.

EDIPO           Sembra che tu non voglia conoscere i miei natali; forse per il timore di scoprire che hai sposato un figlio di umili genitori e non il rampollo di un potente sovrano.   

GIOCASTA   Ma che dici? Quando mi sono innamorata di te e ti ho sposato non sapevo ancora che eri il figlio di Polibo. Ora voglio proteggere questo amore da tutte le insidie che aleggiano minacciose sul tuo capo.

EDIPO           Controlla i tuoi nervi, cara sposa. Non ti ho mai visto così alterata da quando ti conosco. Tranquillizzati, ti libererò presto della mia presenza. Lascerò oggi stesso Tebe e il tuo palazzo. Non dovrai più vergognarti di avere al fianco un uomo che forse è nato dai lombi di una umile serva. 

GIOCASTA   Ti supplico, Edipo, rinuncia a far ricerche sulle tue origini.

EDIPO           Non posso! E’ necessario che vada fino in fondo a questa faccenda.

GIOCASTA   Dammi retta. Parlo per il tuo bene, per l’amore che ti porto.

EDIPO           Il pastore! Voglio che mi si conduca qui immediatamente il pastore da cui questo vecchio dice di avermi ricevuto.

GIOCASTA   Ma come puoi pensare che sia ancora in vita? Sono trascorsi trentacinque anni; e già allora era un uomo di una certa età.

EDIPO           Come fai a sapere quanti anni aveva? L’hai forse conosciuto?

GIOCASTA   Ma no, che dici? Ma considerata l’età di questo vecchio, presumo che anche quel pastore, se non più anziano, fosse per lo meno suo coetaneo.

MESSO          La regina ha ragione: ricordo che era un omone alto e robusto e che all’aspetto doveva avere circa la mia età.

EDIPO           Vecchio, ti chiedo di dimenticare la stanchezza e di seguirmi. Verrai con me nei villaggi intorno al monte Citerone; faremo accurate indagini e se il pastore è ancora in vita, qualcuno sicuramente saprà indicarcelo. Voglio trovarlo entro stasera.

GIOCASTA   Fermati, Edipo. Per il tuo bene, dammi ascolto.

EDIPO           No! No! Perché dovrei darti ancora ascolto? Per quindici anni ti ho ascoltato non solo con gli orecchi ma con il cuore e con la mente; e ora mi accorgo di aver ricevuto da te soltanto menzogne ed omissioni. Adesso basta! Rientra nella tua bella reggia e non ti curare più del mio destino. Non sono più re di Tebe; non sono più tuo sposo; sono un miserando esule privato dagli dèi di patria e di famiglia. Consolati al pensiero che presto potrai trovarti un altro uomo che sia degno di vivere al tuo fianco. (esce di scena con il messo)

GIOCASTA   Oh, sciagurato! E’ questo il nome che ora ti si addice. E non ne avrai più un altro! (rientra sconvolta nel palazzo)

EDIPO           (a Teseo) Presi a setacciare, casa per casa, ogni demo di Tebe. Passai in rassegna tutti gli anziani di corporatura robusta che all’epoca che mi interessava avessero guidato i loro armenti sul Citerone o in qualche luogo limitrofo. Quando finalmente lo straniero corinzio si disse certo di aver riconosciuto l’uomo che trentacinque anni prima gli aveva consegnato il neonato con i piedi incatenati, costui, un vecchio che a mala pena si reggeva in piedi, da principio tentò di schermirsi adducendo a pretesto la perdita della memoria per l’avanzata età. Ma quando, senza alcuna misericordia, sconvolto com’ero dall’impetuoso vorticare degli eventi, gli feci legare i fragili polsi dietro la schiena e lo minacciai di farlo fustigare, il povero spaventatissimo vegliardo ammise di aver diviso il pascolo sul Citerone per tre semestri, dalla primavera al sorgere di Arturo, con un pastore venuto da Corinto; ma che il pastore  a cui si riferiva fosse il vecchio che gli stava di fronte, giurò di non poterlo dire a causa della quasi totale perdita della vista e dell’effetto del tempo che trasforma ogni fisionomia. Infine, di fronte all’incalzare delle domande precise che il messaggero corinzio gli poneva, ammise di aver consegnato a questo un pargoletto in fasce pregandolo di portarlo in salvo al suo paese. Gli intimai di dirmi se il bimbo fosse suo figlio. Rispose tremante che gli era stato consegnato dal servo di una famiglia assai potente in Tebe. A quella notizia fui preso da una irrefrenabile euforia: essendo di nobili natali avrei potuto riguadagnare l’amore di Giocasta che, a quanto mi era sembrato di capire, temeva di doversi vergognare di avere al fianco uno sposo di  infime origini. Non attesi nemmeno che il vecchio mi dicesse a quale prestigiosa famiglia appartenevo. Volli precipitarmi alla reggia insieme a lui perché rivelasse il nome dei miei genitori alla presenza della donna amata che credevo di aver perduto per sempre e che speravo, dopo quella notizia, di riconquistare.

GIOCASTA   (uscendo dal palazzo) Perché mi hai fatto chiamare? Quale altra tortura vuoi infliggermi, mio fragile sventurato consorte?

EDIPO           (giungendo dalla sinistra col pastore) Nessuna tortura, amore mio; al contrario, ti porto una notizia che dovrebbe  rallegrarti e potrà almeno in parte alleviare le pene che il fato avverso ci sta infliggendo. Parla, vecchio; dille ciò che sai.

PASTORE     Che cosa devo dire? Io non so nulla. Se l’udito e la flebile vista che mi resta  non mi ingannano mi trovo al cospetto della mia regina. Giocasta, sono stato condotto alla tua presenza per rivelarti il nome di colui che mi affidò il neonato. Io insisto a dire che non me lo ricordo; ma Edipo non vuol credermi e come vedi, a forza mi ha trascinato fino a qui. Aiutami, mia buona regina, Intercedi presso il tuo sposo perché lasci tornare alla sua casa questo povero vecchio supplicante.

GIOCASTA   Ascolta le sue preghiere, Edipo; lascia che vada. Dov’è finita la tua clemenza con la quale ti sei guadagnato l’affetto e la stima dei tebani in tutti questi anni?

EDIPO           Me l’hai fatta perdere tu, nel giro di poche ore! Questo vecchio reticente dice di ricordare di avermi avuto dal servo di una famiglia nobile, ma si rifiuta di rivelare il nome della famiglia. Prova tu a fargli tornare alla memoria quel nome; forse a te risponderà.

GIOCASTA   Perché non vuoi credere che veramente non lo ricordi più? E se anche lo ricordasse, avrà le sue buone ragioni per non dirlo.   

EDIPO           Saranno buone per lui ma non per me! Ora che so di essere nato da una donna illustre voglio sapere, e voglio che tu sappia, chi è e per quale motivo ha voluto sbarazzarsi di me. Vecchio, ti avverto, non rivedrai più i tuoi cari se non mi avrai confessato la verità che ti ostini a nascondere.

PASTORE     Dei dell’Olimpo, soccorretemi voi. Allora mi fu ingiunto di giurare che non avrei mai rivelato quel nome. Mantenni la parola fino ad oggi; ma ora sento che la mia volontà sta vacillando. Voglio andare a morire nel mio giaciglio attorniato da figli e nipoti. Regina, ti scongiuro, tu sola puoi aiutarmi. Non lasciare che cada su di me la collera del tuo sposo se non parlo, o peggio ancora, quella degli dei, se infrango quel remoto giuramento. Parla tu per me e dì quello che sai. Tu sei sicuramente più informata su come si svolsero le vicende.

GIOCASTA   Vecchio, vaneggi. Cosa vuoi che sappia? Come posso conoscere chi ti consegnò il neonato?

PASTORE     Ebbene, se neanche tu vuoi venire in mio soccorso, preferisco sfidare l’ira divina, ma tornare a casa sano e salvo. Sappi, mio sovrano, che il bimbo che consegnai al pastore di Corinto, era, a quanto mi disse il servo che me lo aveva dato, figlio di Laio, il re di Tebe.

EDIPO           Figlio di Laio?!

GIOCASTA   E che vuol dire? Può darsi che abbia voluto sbarazzarsi di un bastardo avuto da chissà quale donnaccia!

EDIPO           E tu non lo hai mai saputo? Non ci credo! Sei falsa, sfuggente come una serpe!

GIOCASTA   Certo che l’ho saputo. Come ho saputo di tutti gli altri figli spuri che ha sparso per il mondo o peggio ancora, che ha mandato a morte.

PASTORE     Non è così, regina. Perché quella volta che toccò a me ricevere il neonato, il servo che me lo consegnò mi disse che l’ordine non era di sopprimerlo ma anzi di metterlo in salvo consegnandolo al pastore di Corinto che a quell’epoca  divideva i pascoli con me sul Citerone. Il pastore mi disse che a sua volta aveva avuto l’ordine di portarlo al suo paese e consegnarlo a persone di là molto importanti. Tutti e tre, sia il servo che mi aveva portato il bimbo, sia il pastore a cui lo avevo consegnato, sia io, pensammo che l’ordine di salvarlo dovesse venire dalla madre. Ma nessuna donna avrebbe avuto l’ardire di mettersi contro la volontà del re e nemmeno la possibilità di corrompere il servo incaricato da Laio di sopprimere il neonato. Quindi pensammo e tuttora penso, perdonami regina se lo confesso, che soltanto tu avresti potuto avere quel potere.

GIOCASTA   Pensasti male! E se lo pensi ancora, togliti questo pensiero dalla testa. Io non ne so nulla. Non esiste alcuna prova che possa avvalorare la tua assurda ipotesi.

PASTORE     Io sono un povero servo ignorante; non posso permettermi di contraddire la mia saggia regina; ma in verità la mia convinzione non era del tutto campata per aria dal momento che pochissimi giorni dopo quell’evento si sparse in città la notizia che Laio aveva fatto uccidere un vostro figlio perché secondo l’oracolo di Delfi quel figlio, una volta cresciuto, avrebbe ucciso lui. Ammetterai che questa voce corse; non puoi negarlo.

EDIPO           Dimmi che non è vero, Giocasta. Dimmi che questo pazzo sta farneticando!

GIOCASTA   E’ vero, è vero, è vero!!! Ho avuto un figlio che Laio mi uccise. Ma che vuol dire? Non c’è nessun rapporto tra il tuo salvataggio e la morte di quella creatura. Posso spiegarti tutto.

EDIPO           Oh, dei immortali! Che vuoi spiegare ancora?! Mi hai seppellito sotto una valanga di menzogne! Ma ti rendi conto che più ti affanni a illuminarmi con le tue spiegazioni più mi immergi nelle tenebre dell’incertezza? Hai avuto un figlio da Laio e non me lo hai mai detto. Perché? Perché? Avanti, parla! dimmi la verità. Sii sincera almeno questa volta. Perché se fosse vero ciò che non oso neanche pensare, capisci che il mondo intero sprofonderebbe agli inferi per l’orrore e la vergogna.

GIOCASTA   Quell’essere spregevole si divertì a riempirmi il ventre del suo seme con la stessa bestiale libidine con la quale riempiva i calici di vino durante i suoi laidi banchetti. Rimasi presto incinta. Ma quello si convinse che il figlio che mi nacque fosse il frutto di un mio rapporto con Crisippo di Pelope, il fanciullo, mio coetaneo, di cui ti ho parlato che conobbi in occasione delle mie nozze e che divise allora con me i giuochi più innocenti mentre gli adulti lurchi si abbandonavano a ben più depravati giuochi. Preso da furiosa  gelosia, quel miserabile usò violenza su Crisippo e lo rispedì ad Argo. Da allora, come ti ho detto, Pelope ha giurato vendetta a Tebe. Mio figlio invece fu condannato a morte da suo padre che però, per nascondere l’onta di un infamante tradimento, comprò a Delfi un oracolo che giustificasse l’infanticidio col pretesto che sarebbe stato ucciso dal figlio se questi fosse cresciuto. Ecco, ora sai tutto. Mio figlio è morto. Sono stata costretta ad assistere alla sua esecuzione da una finestra del palazzo. Avrei tanto voluto che un servo, un pastore, uno straniero lo traesse in salvo; ma purtroppo ciò non avvenne. Quindi il tuo corpicino neonato che costui ha sottratto alla morte non poteva in alcun modo essere quello di mio figlio. E adesso vattene, vecchio. Torna dai tuoi cari e prega gli dei che ti perdonino di aver insinuato nella mente del tuo re  tormentosi dubbi e subdoli pensieri.

EDIPO           No, non agli dei  lontani e assenti deve rivolgere le sue preghiere, ma a me, perché gli infliggerò immediati e tangibili castighi se non si deciderà a rivelarmi il nome della donna che mi partorì.

GIOCASTA   Edipo, ti prego, cessa questa tua vana ricerca. Allontana i fantasmi di un passato sepolto da sempre e vivi, fin che puoi, nella certezza del mio amore.

EDIPO           Ma cosa me ne faccio del tuo amore se ad offrirmelo da questa mattina sono state almeno quattro donne diverse con la tua stessa voce e il tuo sembiante?! Voglio sapere di chi sono figlio. Ma non più perché tu non debba vergognarti di me; ma perché io non debba vergognarmi di te, lo capisci?!  Deciditi a parlare, vecchio. Dimmi tutto ciò che sai, se non vuoi che ti uccida con le mie stesse mani!

PASTORE     In nome del tonante Giove e di tutti gli dei dell’Olimpo, non saprei che altro dirti, mio signore. Io non conosco il nome di colei che fu tua madre; nessuno ha mai osato pronunziarlo. Una cosa soltanto posso aggiungere. Mi perdoni la regina se parlo.

EDIPO           Non pensare alla regina. Continua.

PASTORE     Quando il figlio di Laio e di Giocasta fu condannato a morte, un’altra diceria corse per Tebe: si bisbigliava che il neonato fosse stato sottratto alla furia omicida del padre da Giocasta che, a rischio della propria vita, comprò le guardie incaricate dell’esecuzione riuscendo così a trafugare il bimbo e ad avvolgere al suo posto nel bianco telo funebre la carcassa di un cane. Ma una cosa la pietosa madre non ebbe il tempo di evitare; cioè che venissero martoriati i piedini di suo figlio. E qui ritorno a ciò che vidi io e non alle parole che intesi per le strade: il tuo corpicino che mettemmo in salvo aveva i piedi dilaniati da chiodi e da catene. (Giocasta fugge in silenzio) Ora non chiedermi altro, te ne supplico, Tira tu le conclusioni che vuoi. Ma lasciami andare lontano da questa reggia.  

EDIPO           (a Teseo) Quella infausta giornata stava volgendo rapidamente al tramonto. Pareva che il dio Elio volesse spingere il suo carro infuocato dietro la linea dell’orizzonte con insolita celerità, quasi a fuggire inorridito di fronte a quelle rivelazioni. Le tenebre che presto avrebbero avvolto la città, calarono, irremeabili, sul resto della mia vita. Giocasta era andata a rinchiudersi, fuggendo, nelle sue stanze. La raggiunsi in preda a uno stato d’animo che non so definire. Quando la vidi abbandonata sul letto, con il volto affossato nel cuscino, sono stato sul punto di scagliarmi sul suo corpo inerme e soffocarla senza dover guardarla in faccia. Ma non so quale mano divina mi trattenne. La sua evidente vulnerabilità mi paralizzava e il ribollire di sensazioni e sentimenti contrastanti mi impediva addirittura di parlare. Lei, avvertendo la mia incombente presenza alle sue spalle, sollevò il capo e lo volse verso me con una lentezza esasperante. E quando i suoi begli occhi arrossati e lucidi di pianto raggiunsero il mio sguardo vacuo e inespressivo, restammo così per una frazione di tempo forse minima ma che a me parve infinita. Con un filo di voce lamentoso e profondo, che ricordava il suono cupo e straziante di un flauto frigio, cominciò a parlare.

GIOCASTA   Non posso chiederti perdono, perché so che non me lo concederai. Ti prego soltanto di ascoltami per l’ultima volta. Poi sarà quel che dovrà essere. Tu sei mio figlio, Edipo. Ero una bambina quando ti ho concepito; sono diventata donna per salvarti dalle zanne di quella belva immonda. Sono stata io a farti giungere a Corinto. Sapevo che non avrei più potuto rivederti finché l’infame fosse stato in vita; ma  per sentirti in qualche modo ancora legato a me mandavo ogni tanto un informatore che mi riferisse come stavi, come crescevi. Quando l’infame morì ucciso da mio fratello decisi che era giunto il momento di richiamarti a Tebe; ma dovevo studiare un modo per eludere le resistenze di Creonte. Ti feci avvicinare da quel tale a Corinto che ti insinuò il dubbio che Polibo non fosse tuo padre e ti consigliò di andare a Delfi. A Delfi pagai la sacerdotessa perché ti suggerisse di venire a Tebe dove avresti ritrovato la tua vera famiglia. Attendevo il tuo arrivo con l’esultanza e la trepidazione di una madre che sta per riabbracciare un figlio che non ha mai conosciuto. Ma Creonte, informato dalle sue spie, cercò di eliminarti facendoti tendere l’agguato a quel trivio che sai. Il tuo coraggio e il repentino intervento di due uomini a me fedeli ben appostati ti salvarono. Chiesi aiuto al mio amico Crisippo che ad Argo aveva ormai sostituito il vecchio Pelope. Il timore che l’esercito argivo potesse invadere Tebe raffreddò i bollenti spiriti di  Creonte. Giungemmo a un compromesso: lui avrebbe rinunciato definitivamente ad attentare alla tua vita e io in cambio non avrei mai dovuto rivelarti la tua vera origine in modo che mio successore sarebbe stato uno dei suoi figli.

EDIPO           (a Teseo) Aveva parlato fino a quel momento senza mai interrompersi con un ritmo lento ma affannoso e incalzante; quasi volesse, come un puledro che prende lo slancio per superare d’impeto l’ostacolo, saltare il muro della reticenza e confessare finalmente l’inconfessabile. Ma evidentemente davanti a quel muro una forza superiore alla sua volontà la paralizzò e le impedì di proseguire. Le intimai di andare avanti e le chiesi per quale vergognoso motivo avesse deciso di sposarmi.

GIOCASTA   Dovevo in qualche modo giustificare dinnanzi al popolo e anche a te il mio desiderio che uno sconosciuto straniero, quale tu dovevi apparire, venisse a vivere con me. D’accordo con Creonte ideammo lo stratagemma del mio matrimonio con il vincitore dell’enigma della Sfinge. Nottetempo i soldati argivi che si nascondevano all’interno del ridicolo carro militare furono evacuati e al loro posto feci entrare una mia ancella che ti pose l’indovinello. la rassicurazione da parte mia che non avrei mai avuto l’ardire di generare figli da mio figlio e la promessa di Crisippo che la macchina da guerra sarebbe stata distrutta e gettata in mare dopo l’uso che ne avrei fatto, convinsero Creonte ad accettare la mia idea. (una pausa)

EDIPO           Vai avanti. Le gesta eroiche di una madre non mi interessano. Voglio vederti immersa completamente nel fimo entro cui hai sguazzato per quindici anni in compagnia del figlio che hai concupito.

GIOCASTA   Edipo mio…

EDIPO           (urlando) Non tuo! Non tuo! Mi fa ribrezzo l’idea di essere tuo!

GIOCASTA   (con un urlo straziante) Edipo mio, invece! (pausa e poi quasi gemendo) Edipo mio…non pretendo di essere compresa, anche se so di avere l’animo pulito. Insultami; picchiami; uccidimi, se vuoi. Ma prima lascia che arrivi alla fine del racconto della mia, della nostra vita. Ero felice perché stavo per ritrovare il figlio che non avevo mai visto, quando ho conosciuto l’uomo. E in quel momento accadde la cosa orrenda e meravigliosa, infame e sublime. Eri bello, eri radioso, mi hai conquistato con le tue sincere profferte d’amore.

EDIPO           (fa un verso di nausea) Non dovevi accettarle: eri mia madre.

GIOCASTA   Ero una donna! E non ti conoscevo!

EDIPO           Ma sapevi che ero tuo figlio! Donnaccia maledetta, lo sapevi!

GIOCASTA   Sì, è vero, lo sapevo; quindi sono una maledetta ignobile donnaccia. Tu invece eri innocente perché non lo sapevi. Per te ero soltanto una donna bella, anche se matura; e per di più ero la regina.

EDIPO           Appunto. Io ero libero di innamorarmi di te. Se mai, tu avresti dovuto impedirmelo.

GIOCASTA   Questa infatti era la mia intenzione. Mi ero accordata con Creonte che ti avrei concesso di divenire mio sposo e re di Tebe a patto che tu rispettassi un mio voto fatto alla dea Artemide per cui non avrei mai potuto avere rapporti carnali con nessuno. Ma quando mi sentii investita dal fuoco del tuo giovanile ardore, non so come, non so perché, anche l’animo mio iniziò a ribollire di un sentimento che non era più materno ma che mi nasceva dal profondo dei visceri. Lottai con me stessa per vincere questa passione che sapevo insana. Ma l’amore è come la corrente impetuosa di un fiume in piena: non c’è argine che possa contenerla. Mi lasciai trascinare dai sensi e dal cuore. E quando cedetti alla passione per l’uomo, dimenticai il figlio.

EDIPO           Che orrore! Oggi Eteocle e Polinice sono ancora acerbi. Godi al pensiero che tra qualche anno potrai finalmente dimenticare anche quei figli e sollazzarti con gli uomini che saranno diventati.

GIOCASTA   Perché mi insulti? Perché mi umili così? Perché non cerchi di capire? Eteocle e Polinice sono le mie creature che allevo e vedo crescere di giorno in giorno. Tu eri diverso: non sei mai stato un figlio nel senso che si intende normalmente; sei cresciuto nel mio pensiero come idea di figlio, senza contorni, senza connotati. Quando ti ho incontrato, inizialmente, nel lago del mio cuore le due figure, quella concreta dell’uomo vivo e presente e quella intangibile dell’ideale frutto del mio grembo, hanno lottato per ottenere la primazia. Ma più l’attrazione verso la persona che venivo man mano conoscendo si faceva intensa, più l’idea del figlio naturale affondava nelle acque profonde dell’oblio.

EDIPO           Parla, parla, svergognata. Più parli più aumenta il mio disgusto. Il tuo cuore non è un lago, come dici tu, è un pantano pieno di lussuria e smania di potere.

GIOCASTA   (quasi un sibilo straziante) Ti prego ti prego ti prego, non dirmi queste cose! Non merito di essere umiliata così. Tutto quello che ho fatto per te e con te l’ho fatto per amore.

EDIPO           (urlando) Non parlare d’amore! Non sei degna di pronunziare quella parola sacra! Detta da te diventa una bestemmia. Ma io?! Io, come ho potuto amarti?! Che orrore, se ci penso! Io sì, mi sono immerso nel pantano del tuo cuore credendo che fosse l’acqua limpida di un lago. Ho diviso con te l’educazione dei nostri figli senza sapere che erano miei fratelli. E tu me lo hai permesso! Dovrei ucciderti per questo! Non lo faccio perché non voglio che i miei adorati fratellini rimangano senza genitori. Io dovrò lasciare Tebe questa sera stessa. Cerca di nasconder loro le tue vergogne e falli crescere nella convinzione di avere una madre onesta che li protegge e un padre sfortunato che se pure da lontano, non cesserà mai di amarli. 

GIOCASTA   (con un filo di voce) Io non ti lascio. Verrò con te in esilio.

EDIPO           Che dici?! Mi disgusta solo l’idea di averti al fianco. Tu sparirai dalla mia vita come è sparito dalla tua quel figlio che hai tradito. Cancellerò dalla memoria il nome di Giocasta; tu cancella, se puoi, quello di Edipo.

GIOCASTA   Non posso. Per favore lasciami sussurrare una volta ancora la parola ‘amore’. Io ti amo; non posso fare a meno di te. Io non sono cambiata, continuo ad essere la stessa Giocasta. Perché non devi essere anche tu lo stesso Edipo? Se Creonte non avesse ordito le sue trame per cacciarti, non avresti mai saputo di avere sposato tua madre e avresti continuato a vedere in me la tua fedele compagna che per quindici anni ti ha dato prova di virtù e di amore.

EDIPO           Ma che vuol dire? Se sono stato cieco fino ad oggi, ora che la sorte mi ha fatto aprire gli occhi dovrei fingere di non vedere la melma che mi imbratta?

GIOCASTA   Non è melma! Non chiamare melma l’amore che ti ho dato! Ho sempre fatto in modo che ti sentissi avvolto da benefica argilla.

EDIPO           Peggio ancora! Mi hai ingannato; mi hai preso in giro per soddisfare i tuoi sporchi interessi. Per quindici anni mi hai fatto vivere una realtà fasulla!

GIOCASTA   Non fasulla! Perché fasulla? Vera! Vera! Non conta la realtà fuori di noi! Conta solo quella che percepiamo con i nostri sensi, con i nostri sentimenti. Per te, per me, l’amore che ci siamo scambiati era vero, quindi reale.

EDIPO           Dunque ammetti che mentre io credevo in buona fede di cullarmi nell’argilla tu eri consapevole di sguazzare nella melma.

GIOCASTA   Non è così. Perché quella che tu consideri melma, per me è sempre stata argilla.

EDIPO           Hai soddisfatto le tue basse voglie quando eri in calore sapendo di coire con tuo figlio; hai partorito quattro cuccioli, frutto del suo seme; hai usato le astuzie più volgari pur di non cedere il trono a tuo fratello. E tutto questo tu lo chiami argilla? Che vergogna! Dovresti vergognarti, e invece sei così spudorata da vantartene. Continua a grufolare nel tuo fango. Tu non sei una donna, sei peggio di un bestia!

GIOCASTA   Non peggio, Edipo, non peggio; sono una bestia. Gli esseri umani sono bestie e come tutte le altre specie animali sono mossi dalle leggi di natura. Che male ho fatto assecondando il più naturale degli istinti: quello di amare e di desiderare un uomo?

EDIPO           Ma ero tuo figlio!

GIOCASTA   Io ho conosciuto un uomo! Non ho mai visto il figlio! Perché non vuoi capirmi? Il figlio che avevo perso appena nato ha continuato a vivere nei miei pensieri, ma soltanto come un’ombra che talvolta si frapponeva tra noi due offuscando così la luce che tu, uomo,  mi infondevi.

EDIPO           Sei tu che hai offuscato, anzi hai spento per sempre, quella luce. Hai dimenticato il figlio quando hai conosciuto l’uomo? Bene, io ho conosciuto la madre, scorderò la donna. Ma sappi che ti disprezzo in tutte e due le vesti perché non meriti rispetto né come madre, né come donna. Fai bene a sentirti simile alle bestie che seguono le leggi di natura. Noi umani ci differenziamo da voi esseri bestiali proprio perché ci siamo dati delle leggi da rispettare e ne abbiamo ricevute altre dagli dei.

GIOCASTA   Ma chi sono questi dei?! Io non li ho mai visti, non li ho mai sentiti.  Ho sempre sentito o visto sacerdoti, sacerdotesse e vati parlare in loro nome; o meglio: in nome di pochi uomini potenti che dominano ed opprimono il popolo ignorante. Le leggi naturali invece sono innate in ognuno di noi; non sono imposte da nessuno. Quando mi hai conosciuto, tu sei stato attratto da me…

EDIPO           Ah, che orrore! Non voglio nemmeno pensarci!

GIOCASTA   Puoi anche chiudere gli occhi, ma è successo! Sei stato attratto da me, e io da te, non perché una legge umana o divina ce lo avesse ordinato, ma perché spinti da una forza naturale. Chi abbiamo danneggiato con il nostro amore? Nessuno. E quanto bene abbiamo ricavato? Tanto. Tanto! Negalo, se vuoi, ma mentiresti. Ora devi spiegarmi per quale motivo la nostra unione, nata spontaneamente e consolidatasi negli anni, debba dissolversi come un fragile castello di sabbia soltanto per il fatto che hai scoperto che questa ignobile bestia che ti sta parlando ti ha nascosto una realtà sociale contravvenendo alle leggi umane e divine?

EDIPO           Non c’è proprio limite alla tua impudenza! Non solo rinneghi le leggi della società civile, ma insulti gli dei e i loro ministri. Zeus farà cadere presto la sua maledizione sulla tua testa. Spero soltanto che la giusta Nemesi non colpisca anche i miei figli ignari ed innocenti. Io me ne vado; lascio il regno e la famiglia. Prego gli dei dell’Olimpo che cancellino al più presto dalla mia mente la tua turpe immagine, perché ti giuro che se il pensiero di te dovesse tornarmi alla memoria, ti sentiresti raggiunta e invasa da tutto il mio odio e il mio disprezzo. (esce)

                       (a Teseo) Me ne andai infuriato lasciandola lì, distesa sul suo letto, come l’avevo trovata entrando. Quel ribollire di sentimenti ostili non mi impedì, però, di cogliere, con un senso di pena, la disperazione che traspariva dal suo bel volto che avrebbe dovuto farmi presagire il gesto estremo che stava maturando. Corsi alla ricerca dei miei figli per abbracciarli un’ultima volta. Da una finestra li vidi nel cortile del palazzo intenti tutti e quattro ai loro giuochi. La tenera, introversa Ismene coccolava una bambola che io le avevo regalato. Antigone, più vispa e vitale dell’altra, si ondulava su di un’altalena. I due ragazzi, Eteocle e Polinice, si rincorrevano chiassosi simulando una guerra fratricida. Osservando le loro espressioni liete e serene pensai che se li avessi raggiunti, non avrei potuto nascondere le ansie e i rancori che trasparivano evidenti dal mio volto e probabilmente avrei trascinato anche loro in quella voragine che mi stava risucchiando verso un ignoto di disperata follia. Perché sottrarre quelle candide creature ad una innocua rassicurante ignoranza? Perché usare violenza sui loro consolidati affetti? Ritenni ingiusto insinuare il mio repentino disprezzo per Giocasta nell’animo dei miei figli. Decisi di partire rinunziando all’ultimo straziante abbraccio con quei quattro esserini a me tanto cari. (in controluce Giocasta dà inizio al macabro rituale che si concluderà con l’impiccagione) Ero già sulla soglia del palazzo quando un pensiero mi balenò alla mente: mi stavo comportando con i miei figli, per il loro bene, come Giocasta si era comportata con me, per il mio. Il suo tragico sforzo di nascondermi una verità devastatrice mi apparve d’improvviso come un gesto eroico che non meritava odio e disprezzo ma anzi riconoscenza e amore smisurati. Ripercorsi in un lampo i quindici splendidi anni che trascorremmo insieme; riemersero dalla mia memoria intorpidita, come luminose meteore da un firmamento immerso nelle tenebre, mille suoi gesti amorosi, mille suoi limpidi sorrisi, mille frasi sussurrate nell’intimità. Aveva ragione lei: è reale soltanto ciò che si conosce; ciò che non conosciamo, per noi è inesistente. Io ho goduto realmente dell’amore per la sposa che mi era vissuta accanto; eppure dietro quella sposa si nascondeva la madre; e che male mi ha fatto quella madre che io non vedevo? Nessuno! Quell’improvvisa intuizione spense come d’incanto la mia ira, i miei risentimenti e  ridestò in me l’amore, reale, per la casta Giocasta che non poteva essere offuscato da ipocrite vessatorie leggi disumane. Volsi i miei passi e mi affrettai verso le sue stanze con l’impeto e la velocità di un atleta nello stadio. Non vedevo l’ora di sommergerla in un mare di scuse e di parole affettuose. Immaginavo già la sua felicità per quel mio ripensamento. Le avrei proposto di venire in esilio con me. Avremmo chiesto asilo in qualche città dell’Attica o del Peloponneso e i nostri figli sarebbero cresciuti sereni e felici protetti dall’affetto con cui li avremmo avvolti. Giunsi davanti alla sua porta e la spalancai senza nemmeno bussare. (durante la battuta Edipo, in controluce, si accecherà) Ah, no! No!! Non voglio rivedere quella scena! Mi fa troppo male! Mi vergogno di me. L’ho uccisa io con il mio comportamento ottuso e violento! Si è impiccata, quella meravigliosa creatura, perché quest’essere meschino che sono non ha voluto comprendere le sue ragioni sublimi. Mi accecai con le fibbie della sua veste per sottrarre ai miei occhi quella vista. Ecco, ho finito. Qualcuno, forse, un giorno racconterà la storia di Edipo e di Giocasta. Ma tu soltanto conserverai la verità sul nostro grande tragico amore. Ora posso lasciare questo mondo. Spero soltanto di ritrovare in qualche luogo dell’Ade la mia amata Gio-casta per chiederle quelle scuse che non mi aveva lasciato il tempo di rivolgerle in questa vita. (sparisce all’interno dell’antro)

NUNZIO        (sul fondo) Nessun mortale fuor che il re Teseo

potrà mai dir come sia morto Edipo.

Non fu colpito dalla infiammata

folgore di Zeus, né risucchiato

dai vortici del mare tempestoso.

Forse la terra, aprendosi benigna,

gli schiuse la via che mena all’Ade

e la dimora degli inferi l’accolse

ove hanno termine i mortali affanni.

Senza gemiti, senza sofferenze

si dileguò da questo mondo Edipo.

Questo dovevo dire e questo ho detto.

Chi non mi crede, è libero di farlo.

                                             Fine