Giovannino

Stampa questo copione

GIOVANNINO

di

ALDO LO CASTRO



Libero adattamento teatrale in tre tempi dell’omonimo romanzo
di Ercole Patti



Personaggi: 

GIOVANNINO CALI’
IL NOTAIO CALI’, suo padre
IGNAZIO LEOTTA
NINO BARRESI
CICCINO MOTTA
AGATINA, cameriera di casa Calì
ANTONIETTA GUARNERA
NELLY, un’attricetta romana
MARCELLA TRAVERSARI
PEPPINA, madre di Giovannino
L’ASSESSORE PERROTTA
IL GIUDICE MICCICHE’
1a SIGNORA
2a SIGNORA
3a SIGNORA
L’AVVOCATO GUARNERA
IL BARITONO GRASSI
1a SIGNORINA
2a SIGNORINA
3a SIGNORINA
LA RAGAZZA DEL SOGNO
VINCENZINA CUTULI
SALVATORE, cameriere della Pasticceria Svizzera
UN FOTOGRAFO
DUE CAMERIERI
ALCUNI PASSANTI DI VIA ETNEA
_______________________ 

L’azione si svolge a Catania, tra il 1920 e il 1930.
Il 1° Quadro del 3° Tempo ha luogo a Roma.

* Il linguaggio del testo è stato spesso volutamente “sporcato” dalla “parlata catane-se” allo scopo di colorire i caratteri e/o le situazioni.






PRIMO TEMPO


SCENA 1

Salone di casa Calì. A sinistra, una porta. Sul fondo, balcone con ampia tenda. L’arredamento è alquanto ricercato, tipicamente borghese. Fra gli altri mo-bili, troneggia, a sinistra, una sontuosa libreria. A destra, un tavolo con al-cune sedie. Poltrone, divani... In “prima”, al centro della scena, un divano in stile “Liberty”.
Il sipario si apre sulle note del prologo dei “Pagliacci”. A cantare è il dilettante ba-ritono Grassi. Il suono del pianoforte e la voce di Grassi provengono dallo studio attiguo al quale si accede dalla porta di sinistra che è aperta. Gli ospiti del Notaio Calì osservano il silenzio più scrupoloso. I personaggi sono riuniti in piccoli capannelli, ciascuno dei quali è formato da signori di mezza età, signore, ragazze e giovanotti.
Alla fine dell’esibizione, Grassi, preceduto dalla Signora che l’ha accompagnato al piano, entra da sinistra, fra gli applausi dei presenti.

NOTAIO CALI’ – (a Grassi) Sempre in gamba! Lei è un portento, caro Grassi! I miei complimenti.
PEPPINA – Ma che voce, che voce! 
GIUDICE MICCICHE’ – E’ un vero peccato, amico mio, che lei debba esibirsi sol-tanto fra amici. Con la voce che madrenatura le ha dato, meriterebbe ben altre platee, dico io…
GRASSI – (allarga le braccia sconsolato) Altre platee…? Mancanza di coraggio, e-gregio giudice… e anche di fortuna! (Si allontana, richiesto da altri)
ASSESSORE PERROTTA – (sottovoce al Notaio) Io direi, mancanza di scritture!
(Ride, divertito).
NOTAIO – Sempre con la battuta pronta, eh, assessore?
ASSESSORE – (sorride compiaciuto) E che posso farci? Saltano fuori così, all’improvviso… spontanee, autonome…! Lo so: dovrei controllarmi ma non ci riesco. In un certo senso, anch’io sono vittima delle mie battute. (Ride).
GIUDICE – Sono gli altri le vere vittime! Come ieri sera, al Circolo…

(Più in là, le signore…)
1 SIGNORA – (a Peppina) Signora mia, mi creda, non se ne può più.
2 SIGNORA – Ha ragione. Dove andremo a finire, di questo passo?
PEPPINA – Effettivamente, è una vergogna.
3 SIGNORA – Diciamo pure uno scandalo!
1 SIGNORA – Io mi domando: come si fa a portare la propria figlia in uno stabili-mento balneare dove ai bagnini è permesso fare i maleducati?
2 SIGNORA – Gli incivili!
3 SIGNORA – E gli arroganti!
1 SIGNORA – I proprietari dovrebbero essere più cauti nell’assumere certi individui!
3 SIGNORA – Io dico che finiranno col ritrovarsi senza bagnanti…
2 SIGNORA – Ma è chiaro. Io, per prima…

(Fra il brusio generale, di tanto in tanto esplode qualche risata, ora proveniente da un gruppetto ora dall’altro.
Intanto, nel gruppo dei Signori…)
GIUDICE – Lei è tremendo, assessore, tremendo…!
(Risate.
E fra i giovanotti…)
IGNAZIO – (sigaretta tra le dita, aria annoiata) Ragazzi, qui ci si annoia da morire… Questi ricevimenti mi mettono addosso una tristezza…!
CICCINO – (aria sognante) Ah, Budapest, come sei lontana!
NINO – (sospira) Altro che!
GIOVANNINO – (a Nino) Ma perché, tu, a Budapest, ci sei stato?
NINO – Io? No.
GIOVANNINO – E allora, che ne sai?
NINO – (indica Ciccino) Però, lui c’è stato. E me ne ha raccontate, caro mio…

(Frattanto, nel gruppetto delle ragazze…)
1 SIGNORINA – Mi guardava fisso fisso negli occhi… come se mi volesse divorare! 
2 SIGNORINA – Che sfrontatezza!
3 SIGNORINA – I giovanotti di oggi sono tutti insolenti e maleducati!
1 SIGNORINA – Sì, però… com’era bello…

(Tra le Signore…)
3 SIGNORA – Mamma mia! E lei?
2 SIGNORA – Io? Gli ho dato un ceffone, naturalmente! E ho giurato che non mette-rò più piede in quello stabilimento balneare!
1 SIGNORA – Ah, io nemmeno! Manco morta! 

(Ancora tra i giovani…)
CICCINO – A Budapest è tutta un’altra cosa…
NINO – E’ chiaro.
CICCINO – (rievoca con piacere) Che donne! Che avventure! Roba da leccarsi i baf-fi! 
NINO – Raccontaci di quella ragazza… Quella che hai incontrato al museo…!
CICCINO – (con l’aria falsamente insofferente) Ancora? Te l’avrò raccontata almeno dieci volte!
NINO – A me. Ma loro (indica gli altri due amici) non ne sanno niente. E non dimen-ticare i particolari…
CICCINO – Che volete che vi dica…? Era… semplicemente… divina! Che corpo!
Un seno duro come la pietra lavica! E le cosce…
(E tra i Signori…)
ASSESSORE - … sarà, gli dissi ma a Catania, noi, questi gentiluomini li chiamiamo “cornuti”!
AVVOCATO GUARNERA – Un’altra battuta alla stricnina!
GIUDICE – Acido prussico!

(La giovane Antonietta – che finora è stata con le ragazze – si sposta lentamente dal gruppo. Altrettanto fa Giovannino dal suo gruppo. I due si appartano con di-screzione)
GIOVANNINO – Grazie per essere venuta.
ANTONIETTA – Ti fa piacere vedermi?
GIOVANNINO – Certo. Mi fa molto piacere.
ANTONIETTA – E perché?
GIOVANNINO – Così. Mi fa piacere.
ANTONIETTA – Ma perché ti fa piacere?

(Dal brusio emergono delle battute…)
PEPPINA – Un bagnino che si permette simili libertà?! Cose di Catania!

2 SIGNORINA – Bene, gli dissi. Io ho un padre e una madre. Venga a dichiararsi a casa.

AVVOCATO – (ride di cuore) Insomma: cornuto e contento!

GIOVANNINO – Ieri non ti ho vista.
ANTONIETTA – Ero alla finestra. Tu non sei passato.
GIOVANNINO – Sono passato alle cinque.
ANTONIETTA – Forse, in quel momento, m’aveva chiamato mia madre…

GIUDICE – E no, avvocato Guarnera, almeno per oggi, non parliamo di cause e di tribunali, la prego!

ANTONIETTA – Forse ti annoi a stare con me. Magari vorresti andare a parlare con le altre ragazze… 
GIOVANNINO – Quelle ragazze non mi interessano.
ANTONIETTA –Nessuna?
GIOVANNINO – Nessuna.
ANTONIETTA – Non c’è proprio nessuna ragazza che ti piace?
GIOVANNINO – Sì… una. Ma non è fra quelle.
ANTONIETTA – E dov’è?
GIOVANNINO – In questa casa.
ANTONIETTA – Tu vuoi bene a quella ragazza…?
GIOVANNINO – Molto.
ANTONIETTA – E lei… ti vuol bene?
GIOVANNINO – Non lo so… credo di sì.
ANTONIETTA – Tu glielo hai detto che le vuoi bene?
GIOVANNINO – No. Non ancora.
ANTONIETTA – E quando glielo dirai?
(Pausa).
E diglielo, poverina… ché la fai soffrire tanto…
GIOVANNINO – Glielo dico in questo momento.
ANTONIETTA - (sorride) Come? 
GIOVANNINO – Sei tu.
ANTONIETTA – (raggiante) Non è vero!
(I due ragazzi siedono sul divano centrale).

GIUDICE – In Questura se ne discuteva ancora, ieri… Sette morti…!
1 SIGNORA – Quante famiglie distrutte!
AVVOCATO – E’ stata una vera pazzia! Come si fa a sparare sulle guardie regie? Che, scherziamo? 
2 SIGNORA – Ma perché hanno sparato sulle guardie?
GIUDICE – E chi lo sa, signora cara? Fanatismo, forse… incoscienza… Chi lo sa?
AVVOCATO – Follia, follia!
3 SIGNORA – Sette morti! Santo Dio, una carneficina! Ma com’è successo?
NOTAIO – C’era stato un comizio dei comunisti, al Teatro Sangiorgi… E, all’uscita, qualcuno ha avuto la bella idea di sparare sulle guardie…
GIUDICE – Le guardie, naturalmente, hanno risposto coi moschetti… ed è venuta fuori quel po’ po’ di frittata!
GRASSI – Tutti correvano, urlavano… La gente sembrava impazzita! Ai Quattro Canti pareva che fosse scoppiata la rivoluzione! E in mezzo alla folla, non ti vedo Giovannino…?!
PEPPINA – Quel ragazzo, prima o poi, mi farà morire di crepacuore…
GRASSI – “Che fai, qua, gli ho detto, “corri subito a casa!” Mi sono permesso quest’autorità, caro Notaio, perché ritengo di essere un amico di famiglia…
NOTAIO – Ma certo, Grassi, ci mancherebbe altro. Ha fatto benissimo, ha fatto.
GRASSI – (agli altri presenti) Voi capite: ci vuol niente a coinvolgere un ragazzo di buona famiglia.
(E mentre i commenti continuano, sul divano…)
ANTONIETTA – C’eri anche tu, là?
GIOVANNINO – Sì, passeggiavo con Alfio, in via Etnea. Ad un certo punto, abbia-mo sentito gli spari. Colpi di rivoltella… e subito dopo, alcune scariche di mo-schetto.
ANTONIETTA – E non sei scappato?
GIOVANNINO – Sì, dapprima ci siamo allontanati ma poi, siamo tornati a vedere.
ANTONIETTA – E hai visto quei morti?
GIOVANNINO – (annuisce) Erano a terra, insanguinati… chi sul marciapiedi, chi sulla strada… 
ANTONIETTA – Madonna mia!
GIOVANNINO – C’era anche un ragazzo. Non aveva più di diciott’anni. Biondo. Era lì, steso a terra… la testa appoggiata sull’orlo del marciapiedi… le gambe al-largate… le scarpe inzupate di sangue…
ANTONIETTA – Basta, per favore, Giovannino… mi sento male.

GRASSI – Una scena terribile…!
ASSESSORE – Signor Grassi carissimo, la vuole smettere di affliggerci ancora? Questo è proprio il tipo di cronaca che m’infastidisce! In ogni caso, immagino che nessuno si stia divertendo.
NOTAIO – Sono d’accordo con l’assessore. E poi, sono affari che non ci riguardano.
AVVOCATO – Parole sante! Ciascuno si pigli i guai suoi. Dico bene?
ASSESSORE – (alza la voce) E ora, sono sicuro che l’amico Grassi, per farsi perdo-nare, ci canterà qualche altra cosa. Vero?
GRASSI – Ma no… non vorrei approfittare della loro pazienza…
ASSESSORE – Non può sottrarsi, caro mio. Sarebbe una vera scortesia.
GIUDICE – Via, non si faccia pregare.
2 SIGNORA – Su, Grassi, non dica di no…! 
GRASSI – E va bene. Se lor signori insistono…
AVVOCATO – Mia moglie avrà ancora il privilegio di accompagnarla al piano.
(Fra gli applausi e gli incoraggiamenti, Grassi, preceduto dalla 2 Signora, esce dalla porta di sinistra. Dopo qualche istante, si risentirà il baritono cantare un brano della “Norma” di Bellini. I presenti, lo sguardo verso sinistra, ascoltano sorri-dendo.
Intanto, Giovannino e Antonietta si continuano a guardare negli occhi. Poi, dopo una rapida intesa, si lasciano scivolare giù fino a quando la spalliera del divano non li nasconderà da occhi indiscreti. Furtivamente, si scambiano un timido bacio sulla bocca.
E sulle note di Bellini, lentamente, buio).

SCENA 2

Le luci si riaccendono sullo stesso ambiente. In scena, Agatina, la cameriera che sta mettendo un po’ in ordine il salone, non senza imprecare…)
AGATINA – Ma che bisogno c’è, dico io, di lasciare tutto questo disordine?! Il san-gue freddo mi viene, ogni volta che questi signoroni danno un ricevimento! Lo-ro si divertono e a me “mi” tocca sfacchinare come una negra! Che porcile! Mangiano, bevono… e chissà quali altre porcherie combinano…! Perché io li conosco … li conosco fin troppo bene. Tutta gente che ti guarda - come si di-ce? – con la puzza sotto il naso!
(Raccoglie dei bicchieri ed esce canticchiando nervosamente. Rientra un momento dopo). 
La puzza! Loro puzzano! E come, puzzano! Puzzano di crisantemi, di cimite-ro! Io sono convinta che tutti questi gran signori cominciano a puzzare da mor-to appena nascono. Appena vengono al mondo, già puzzano. E a me, l’odore di cimitero non “mi” è mai piaciuto. (Si fer-
ma e sorride) Però… il figlio del Notaio, Giovannino… lui no, lui non puzza. E’ così bellino!
(Continua a rassettare e a canticchiare.
Da sinistra, con un libro in mano, entra Giovannino. Si ferma sulla soglia).
GIOVANNINO – Agatina.
AGATINA – Mi dica, signorino.
GIOVANNINO – I miei sono usciti?
AGATINA – Da più di un’ora. Non li ha sentiti?
GIOVANNINO – No, stavo studiando.
AGATINA – Lei studia troppo, signor Giovannino. Sempre con gli occhi buttati su quelle parole piccole piccole…! Fa male leggere troppo, mi dia retta. Glielo di-ce una che non ha mai preso un libro in vita sua. E lo sa come finirà?
GIOVANNINO – (sorride divertito) Come finirà?
AGATINA – Finirà che si dovrà mettere gli occhiali. Sa, quelli con tutti quei cer-chi… così finirà. E a lei, gli occhiali non “ci” stanno bene. Come il veterinario di Viagrande, del mio paese… Lui s’è messo a studiare come si curano le ca-pre, i conigli… come si fanno partorire le cavalle… e ora “ci” ha due occhialo-ni grossi così!
(Giovannino ride)
Non mi crede? Lei che vuole finire, come il veterinario di Viagrande? Che pa-re una civetta, “meschino”?! Insomma, “parabula significa” che non bisogna studiare troppo.
GIOVANNINO – A chi lo dici?! Chi ne ha voglia di studiare? Lo so perfettamente che fa male, figurati. E’ mio padre che non vuole capirlo. Pretende che suo fi-glio abbia una laurea…!
AGATINA – E il signor Notaio “ci” ha ragione. Certo che si deve laureare, ci man-cherebbe!
GIOVANNINO – E come faccio a laurearmi senza studiare?
AGATINA – Ma perché, io le ho detto che non deve studiare? Le ho detto che non deve studiare “troppo”. Questo ho detto io. Il fatto è che lei è istruito e mi cam-bia le carte in tavola. Ora, per esempio, che ci fa ancora con quel libro in ma-no? Lo lasci perdere. Avanti, si metta a sedere e si riposi un pochino.
(Giovannino esegue come un automa)
Ogni tanto, uno si deve distrarre, no? Io sono ignorante, si può dire quasi anal-fabeta, però lo so benissimo che a infilarsi in testa tutta quella roba scritta là, si fatica di più che a spaccare pietre. E’ vero o non è vero?
GIOVANNINO – E che ne so…? Non ho mai spaccato pietre…
AGATINA – E’ verissimo. Si metta comodo che le preparo una bella aranciata.
(Esce.
Giovannino sfoglia il libro e tira fuori un foglietto scritto. Legge il contenuto in silen-zio).
VOCE DI ANTONIETTA – “Amore mio, sono veramente disperata. I miei genitori mi hanno scoperto mentre, ieri pomeriggio, aspettavo, dietro i vetri del balcone che tu passassi. Sono crudeli! Mio padre mi ha fatto una scenata e mia madre, ora che sa, controlla ogni mio movimento. Non ne posso più. Non so come fare per poterti vedere. Ti prego, portami via con te, amore mio! Scusami, non pos-so più trattenermi a scrivere: sono sorvegliata. Per sempre tua, Antonietta”.
(Rientra Agatina col bicchiere d’aranciata che porge premurosa a Giovannino).
AGATINA – Ecco qua. E’ bella fresca. Ci ho messo pure mezzo limone e un po’ di zucchero. Beva ché questa le fa bene.
GIOVANNINO – Grazie. (Sorseggia la bevanda)
(Agatina sale su una sedia ed armeggia fra gli scaffali della libreria).
AGATINA – Giovannino, mi regge, per favore? Ho paura di cadere.
(Giovannino si alza e, palesemente imbarazzato, regge per le gambe la ragazza il cui vestito si è notevolmente sollevato, per cui le sue mani finiscono per scivolare sulla pelle nuda di lei).
AGATINA – (ordina i libri sugli scaffali) Il fatto è che io di equilibrio non ne ho mol-to. L’anno scorso, per esempio, quando stavo ancora a servizio dallìavvocato Zappalà, a Mascalucia, sono cascata da una sedia come questa. Come una pera sono cascata! E che ci posso fare? Io sono capace di cadere anche dalle scarpe! Mi scusi, un altro momentino e ho finito…
GIOVANNINO – (il viso in fiamme) Fai pure. Non preoccuparti.
AGATINA – E chi si preoccupa? Se a tenermi ci sono due mani grandi e forti come quelle sue, io quassù, posso starci mezza giornata!
GIOVANNINO – (sempre più imbarazzato) Sì… ma, forse, è meglio che scendi subi-to…
AGATINA – Ecco fatto. Ho finito. (Scende dalla sedia) E’ stato davvero gentile, si-gnorino.
GIOVANNINO - (abbozza un sorriso idiota) Figurati. (Torna a sedere sul divano)
(Agatina, con la massima naturalezza, gli si siede accanto. E con disinvolta familiari-tà, solleva la veste oltre il ginocchio e tira uno degli elastici delle calze).
AGATINA – Sono troppo stretti. Senti come tirano.
GIOVANNINO – (passa la mano sotto l’elastico e poi indugia sulla coscia della ra-gazza. Tenta di ostentare inutilmente disinvoltura) Sono troppo tirati. Dovresti allentarli.
AGATINA – Mi fanno male. Vedi? Mi lasciano il segno.
GIOVANNINO – (c.s.) Fanno male alla circolazione del sangue.
AGATINA – (con dolcezza) Come sei premuroso…
GIOVANNINO – (c.s.) Dovresti stare attenta. La circolazione del sangue è una cosa seria…
AGATINA – E che ne so, io di circolazione…?
GIOVANNINO – Vedi… Quando il sangue non circola bene…
AGATINA – (stringe fra le gambe la mano di Giovannino che stava per ritrarsi) La-sciala. Lasciala lì, la mano… Mi dà un senso di calore… di intimità… Mi pia-ce. E a te?
GIOVANNINO – (balbetta confuso) Sì… anche a me…
(Improvvisamente, Agatina si piega su Giovannino che è rimasto impietrito e gli stro-fina la guancia sulla sua).
AGATINA – E questo? Ti piace, questo? (Lo bacia a lungo, appassionatamente, sulla bocca)
(Alcuni rumori scuotono la ragazza che si scosta rapidamente da Giovannino il quale sembra essere stato colpito da un fulmine).
VOCE DI PEPPINA – Agatina!
AGATINA – (esce di corsa) Sì, signora!
(Giovannino si sforza di assumere un atteggiamento “normale”. Riprende in mano il suo libro.
Entra il Notaio assieme alla moglie Peppina)

SCENA 3 

NOTAIO – (a Giovannino) E tu che ci fai qua? Perché non sei in camera tua, a stu-diare?
PEPPINA – Ma che hai, Giovannino? Ti senti male, gioia mia? Hai il viso tutto con-gestionato…Che hai la febbre? (Gli posa una mano sulla fronte)
NOTAIO – Ma lascia andare! Che febbre! Tuo figlio a me la fa venire la febbre! (A Giovannino) Dimmi una cosa: che intenzioni hai? Ah, mi guardi come un cre-tino! Fingi di non capire!
GIOVANNINO – Papà, io non fingo… non capisco veramente…
PEPPINA – (al Notaio) Lascialo stare. Non lo vedi che si sente poco bene?
NOTAIO – Peppina, fammi il favore, vai di là ché debbo parlare con tuo figlio… da solo!
PEPPINA – Giovannino, noi ti vogliamo bene, lo sai… e se ti diciamo qualcosa, io e tuo padre, è perché pensiamo al tuo avvenire…
NOTAIO – Peppina! Basta! Lasciaci soli!
PEPPINA – Ora Giovannino ti promette che non lo farà più. Vero, Giovannino? Su, prometti.
GIOVANNINO – Che cosa devo promettere?
NOTAIO – E certo! Casca dalle nuvole, il signorino!
PEPPINA – Devi promettere a tuo padre che d’ora in poi, a scuola, ci andrai tutti i giorni. Glielo prometti? Fallo per mamma tua che ti vuole tanto bene…
NOTAIO – E finiamola con tutte queste smancerie! Schiaffoni, ci vorrebbero! Altro che moine!
PEPPINA – (al Notaio) Ricordati che è tuo figlio e che ancora è un ragazzo.
NOTAIO – Un ragazzo! Ai miei tempi…! (Alla moglie) Ora, mi fai il santo piacere di andartene?
PEPPINA – (mentre si avvia) Mi farete morire di crepacuore, tutti e due. Di crepa-cuore! (Via).

SCENA 4

GIOVANNINO – Allora… l’hai saputo. Chi te l’ha detto?
NOTAIO – Ecco, vedete di che cosa si preoccupa? Di sapere che me l’ha detto! Che importanza ha chi me l’ha detto, scimunito? Tutta Catania ti ha visto, va bene? E io non permetto che si dica che il figlio del Notaio Calì se ne va a passeggia-re al porto, invece di fare il suo dovere e andare a scuola! Stai attento, Giovan-nino…! Attento perché io so usare anche la cinghia, se è necessario. E se anco-ra non l’ho usata è solo per non dare un dispiacere a tua madre! Tu finirai per farla morire quella poveretta! Sei senza cuore! Un incosciente! Ma io ti rad-drizzo, sai? O ti mando al cimitero o ti raddrizzo! (Sbuffa un paio di volte) Guardami negli occhi e sentimi bene. Non dovrei perché non te lo meriti… Voglio darti ancora fiducia ma per l’ultima volta, bada! Va bene. Non ti punirò. Però, tu, adesso, fili dritto. Fai il tuo dovere e:.. e basta! In caso contrario, sarò costretto a prendere duri provvedimenti. Insomma, combinami un’altra fesseria e giuro che ti chiudo in camera e ti faccio uscire solo il giorno del giudizio!
Ci siamo capiti?
(Giovannino annuisce)
E ricordati che il figlio del Notaio Calì ha il dovere di tenere alto il buon no-me della famiglia. (Mentre esce) Il prestigio! Il decoro! Innanzitutto!

SCENA 5

(Giovannino, rimasto solo, si alza dal divano. Con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, passeggia su e giù. Si sente Agatina che canticchia “No, cara piccina, no…” e Peppina:”Agatina, smettila di cantare ché disturbi il signori-no”).
GIOVANNINO – Il buon nome… Il decoro… Il prestigio…! Ma dove cavolo sta scritto che io debba distruggere la mia esistenza per il decoro e il prestigio del Notaio Calì?! Io, invece, me ne sbatto, guarda un po’! Anzi, è giunto il momen-to di essere chiari: io quelle aule buie non le sopporto! E non mi abituerò mai all’odore dell’inchiostro e degli strofinacci impolverati di gesso! Mi ucciderà, quel fetore! Il Liceo “Spedalieri” sarà la mia tomba, ne sono sicuro. Vo-gliono la mia morte, tutti! Mio padre, in testa! Il suo desiderio è vedermi sep-pellito in un’aula scura e spettrale! Vuole vedermi stecchito fra i banchi del Li-ceo Spedalieri!
(Torna a sedere sul divano. Luce solo su Giovannino).
Se morissi davvero… Vorrei vedere, vorrei… Chissà chi verrebbe al mio fune-rale? Piangerebbero? Ma certo che piangerebbero e come! Piangerebbero l’improvvisa e immatura scomparsa di Giovannino Calì di anni diciannove…
(Irrompe una grottesta marcia funebre. Il “sogno” si materializza. Adesso, nel salone – presente il “defunto” Giovannino – si sono riuniti, costernati e in lacrime, tut-ti gli amici di famiglia che tentano di consolare i disperati genitori).

PEPPINA – (piange disperatamente) Giovannino! Povero figlio mio! Un fiore, era, il mio Giovannino! Un fiore, reciso al suo sbocciare! Figlio mio adorato! Perché mi hai lasciato? Perché hai abbandonato la tua povera mamma che ti voleva tanto bene? Come farò, ora? Lui era il mio unico bene…! Sicuramente, morirò anch’io… finirò per morire di crepacuore! Aspettami, figlio mio, ti raggiungerò presto…! (Singhiozza convulsamente)
AVVOCATO – (aria compunta e commossa) Era un ragazzo d’oro, bisogna dirlo. Un ragazzo come pochi… Che dico, come pochi? Un ragazzo unico. Era un ragaz-zo unico. (Consola la figlia Antonietta che piange al suo fianco) Su, su, figlia mia… lo so che lo amavi. Il destino crudele ha trafitto il tuo cuore con un pu-gnale avido di sangue… (Si asciuga una lacrima) Che belle parole so dire…!
ANTONIETTA – Perché è successo, papà? Non è giusto!
AVVOCATO – (sospira) Il destino…!
ANTONIETTA – Io prendo i voti. Mi faccio monaca.
AVVOCATO – Ottima decisione. E’ il minimo che tu possa fare.
IGNAZIO – (entra in quel momento. Aria dolente e smarrita) Dunque, ci ha lasciati? (Si avvicina a Peppina. Le bacia la mano. Poi, uno alla volta, bacia tutti i pre-senti) Io ero in campagna… Appena l’ho saputo, sono corso incredulo, qui… Non mi perdonerò mai di non essere stato presente ai suoi funerali…!
(Alla parola “funerali”, il pianto generale aumenta di volume e di intensità).
E’ terribile. (Si avvicina al Notaio) Com’è accaduto?
(Il Notaio scuote la testa, senza rispondere. Ignazio, allora, ritorna da Peppina).
Signora… com’è successo?
(Peppina lo guarda per un istante, poi scoppia in un pianto isterico)
ASSESSORE – Povero giovane! Il liceo l’ha ucciso.
PEPPINA – (urla) No, non il liceo ma suo padre! (Al Notaio) Tu! Tu lo hai ammaz-zato! Assassino!
(Le donne tentano di calmare Peppina)
NOTAIO – (distrutto, con un filo di voce) Ma come potevo sapere… come potevo immaginare…
PEPPINA – E’ tua la colpa!
1 SIGNORA – Basta, cara signora… si calmi. Che c’entra lui, pover’uomo?
2 SIGNORA – Non vede che anche lui sta soffrendo?
3 SIGNORA – Su, non faccia così… non infierisca. Suo marito ha bisogno solo di consolazione, in questo triste momento…
PEPPINA – E’ sua la colpa, vi dico! (Al Notaio) Sei contento, ora? Ora che hai am-mazzato quel gioiello di tuo figlio? Ma se Dio esiste, deve mandarti all’inferno! (Agli altri) L’altra sera, Giovannino stava male. Tutto rosso in vi-so… mi sembrava anche che tremasse, povero figlio mio… e lui (indica il No-taio) a rimproverarlo, a maltrattarlo! Pazzo incosciente!
NOTAIO – (piange) Volevo solo che studiasse… Un padre ha il dovere di pensare all’avvenire del figlio…
ASSESSORE – E’ comprensibile, amico mio… ma francamente, anch’io sono d’accordo con la signora: lei ha esagerato… ha sbagliato. E… non vorrei tro-varmi nei suoi panni. E’ angosciante vivere con un simile rimorso!
AVVOCATO – (al Notaio) Avrebbe dovuto avere più giudizio… 
IGNAZIO – (a Nino) Tu lo sai com’è successo?
NINO – (tra le lacrime) L’altro ieri… Era appena suonata la campanella della ricrea-zione. Tutti i ragazzi della Terza B uscirono nel cortile… tranne lui, Giovanni-no. Rimase in aula. E, quando i compagni rientrarono… videro il suo corpo senza vita, steso a terra… fra la lavagna e la prima fila di banchi…
IGNAZIO – Povero Giovannino…!
NINO – Aveva il maglione sporco d’inchiostro… qui, sul petto. La sua mano destra stringeva ancora un pezzetto di gesso… e dalla sinistra, penzolava uno strofi-naccio impolverato…
IGNAZIO – Ucciso, dunque, dal gesso e dall’inchiostro?! Sapevo che soffrisse di questa brutta allergia ma non credevo fosse così grave…! E’ spaventoso!
AGATINA – (a Peppina) Anch’io “ci” volevo bene, sa, signora? Proprio l’altra sera “ci” dissi:”Signorino, perché non si siede qui, sul divano e la smette di leggere quel libraccio?” E lui mi ascoltò subito, sa? Subito. E si mise buono buono a sedere.
PEPPINA – Buono, era. Buono e generoso. Bastava saperlo pigliare. Quello che non ha mai capito suo padre!
AGATINA – E premuroso. Bih, quant’era premuroso!
TUTTI – (cantilenando) Buono e premuroso era.
AGATINA – Pensate: io ero salita su quella sedia. Per spolverare la libreria, no? E siccome avevo paura di cadere – perché io casco sempre, sapete? Anche dalle scarpe – lo pregai di reggermi. Non se l’è fatto dire due volte…
TUTTI – (c.s.) Premuroso era.
AGATINA – Si è alzato e mi ha tenuta per le gambe, così… (mima) E stringeva, stringeva…! In un modo che… che mi dava tanta sicurezza, signora mia.
PEPPINA – Aveva un cuore d’oro.
AGATINA – Poi, per fargli compagnia, mi sono seduta accanto a lui. E lui, sempre gentile, sempre premuroso… mi ha messo la sua mano fra le cosce… Che bella mano aveva, signora! Era preoccupato per me, pensate, perché l’elastico delle calze tirava troppo e poteva farmi male alla… Come l’ha chiamata? Ah, alla circolazione.
TUTTI – (c.s.) Cuore sensibile era. 
ANTONIETTA – (al padre, fra le lacrime) Non è giusto!
AVVOCATO – Coraggio, piccola mia, coraggio.
AGATINA – Devo dire la verità. Tutta quella delicatezza nei miei riguardi, mi com-mosse. E allora gli buttai le braccia al collo e lo baciai!
ANTONIETTA – Non è giusto!
AVVOCATO – Devi fartene una ragione…!
ANTONIETTA – Non è giusto! Anch’io gli ho dato un bacio però la mano tra le co-sce non me l’ha messa…! 
AVVOCATO – Il destino! Non ci si può ribellare al destino.
(Fra i pianti e i lamenti, buio. Rimane solo “l’occhio di bue” su Giovannino che, commosso per tanta dimostrazione di affetto, si asciuga gli occhi).
VOCE DEL NOTAIO – (f.s.) E allora, questi “cavolicelli” pronti sono? Avanti, mi piglio questo boccone e poi, se vuole Dio, me ne vado a dormire.


S I P A R I O





SECONDO TEMPO

1° QUADRO

SCENA 1

(La scena dovrà riprodurre l’ingresso della “Pasticceria Svizzera” di via Etnea. Sul marciapiedi, sono disposti alcuni tavolini con delle sedie.
Sono trascorsi alcuni anni. E’ primavera inoltrata. Ad un tavolino, Gio-vannino – che ora porta dei baffetti sottili - e Ignazio. Alcuni passan-ti, di quando in quando, attraversano la scena. Effetti sonori tipici: scampanellio di biciclette, clacson, passaggio di tram…)
IGNAZIO – (all’indirizzo del cameriere che indugia fra i tavolini) Salvato-re, arrivano questi caffè?
SALVATORE – La servo subito, marchesino. (Esce un momento)
IGNAZIO – E che ci vuole tanto per fare due caffè…?! (A Giovannino) E con la servetta com’è andata a finire? L’hai più vedutaE ?
GIOVANNINO – Chi, Agatina? Per carità, non me ne parlare. Se ci ripen-so, sto male…!
IGNAZIO – Ma va! Se eri pazzo di lei! E quella poveretta venne persino licenziata per colpa tua!
GIOVANNINO – Per colpa mia?
IGNAZIO – (sorride) Non eri tu quello che tua madre scoprì in mutande davanti alla sua stanza? O ricordo male?
SALVATORE – (serve i caffè) Marchesino… Prego, avvocato… 
GIOVANNINO – Che vergogna, quella notte! Mai stato tanto imbarazza-to. Bah, ragazzate.
IGNAZIO – Ragazzate? E la camera ad ore, in via Maddem, chi la prese? Eri cotto, caro mio, lo devi riconoscere.
GIOVANNINO – Sì, d’accordo però mi stancai quasi subito… Ne avevo fin sopra i capelli di lei e delle sue uova!
IGNAZIO – Che uova?
GIOVANNINO – Non te ne ho mai parlato perché la faccenda mi sembra-va talmente ridicola…
IGNAZIO – Ma ora me la racconti!
GIOVANNINO – Devi sapere che quella lì mi divorava letteralmente!
IGNAZIO – Ah! Ho già capito a chi servivano le uova!
GIOVANNINO – Appena arrivava in quella camera di via Maddem… - se ci penso, impazzisco – scoppiava a ridere convulsamente! Poi si spo-gliava nuda e saltava sul letto come un’invasata! Non era una donna qualunque, quella, credimi ma un’acrobata, una contorsionista… 
IGNAZIO – (ride) Un’artista, insomma.
GIOVANNINO – Se vuoi. Ed era anche insaziabile! Credo che una tigre famelica avrebbe fatto minore scempio…!
(Ignazio continua a ridere, divertito)
Tutte le volte che finivamo, caro mio, io rimanevo esanime…
IGNAZIO – E allora, lei ti metteva su con le uova!
GIOVANNINO – Esatto. Si alzava dal letto – sempre ridendo! – e dalla borsetta tirava fuori quattro uova che mi costringeva a bere, l’uno dopo l’altro!
IGNAZIO – E dai, in fondo, non ti dispiaceva la servetta! In quel periodo, eri la felicità personificata! Sprizzavi entusiasmo da tutti i pori! Ave-vi persino dimenticato Antonietta…! E ora, mi fai il disgustato…!
GIOVANNINO – Sì ma se ripenso a tutti quei gusci d’uova sparsi sul co-modino…
(Sopraggiunge Nino che si unisce ai due).
SCENA 2

NINO – Salve! (A Giovannino) Non ci sei andato dall’avvocato Scardaci? (Grida verso l’interno della Pasticceria) Salvatore, un caffè, grazie!
GIOVANNINO – Non mi parlare dell’avvocato Scardaci! Me ne sono scappato un’ora fa! Non ne potevo più: di fascicoli, di carta bollata, di codici…! In questi ultimi giorni, amici miei, sono arrivato ad una conclusione: lo studio legale non fa per me. Mi provoca la stessa an-goscia che provavo ai tempi del liceo. Solo che al posto dei banchi, ci sono le scrivanie e al posto dei libri, cartacce senz’anima. La stessa repulsione, netta e incontrollabile.
IGNAZIO – Come ti capisco!
NINO – E con tuo padre, come la metti?
GIOVANNINO – Lo convincerò che questa vita non è fatta per me. Si ras-segnerà.
NINO – Rassegnarsi, il Notaio Calì? Mah!
(Il cameriere gli serve il caffè)
Grazie, Salvatore.
(Una ragazza, piuttosto formosa, attraversa la scena calamitando le atten-zioni di Nino) Ma che fate, non guardate? Che cosce, ragazzi! Roba da infarto! A proposito di cosce, ieri sera, in via Zappalà…
(Sferraglia un tram).
E’ la figlia di un calzolaio ma pare una principessa. Nuova nuova. Ha cominciato da quindici giorni appena.
GIOVANNINO – Quanti anni ha?
NINO – Diciotto. Al bacio! E’ semplicemente divina! (Sospira)
GIOVANNINO – E perché non andiamo a fare una visitina alla tua princi-pessa?
NINO – Bisogna avvertire prima la padrona e lei pensa a farcela trovare. La padrona è stata cameriera a casa mia, quand’ero bambino, e mi vuole bene come a un figlio. Dunque, non ci sono problemi…
(Entra Ciccino che si unisce al gruppetto)
SCENA 3

CICCINO – (molto eccitato) – Ciao a tutti! Ragazzi, aprite le orecchie! Ci sono grosse novità! Ve la ricordate la moglie di Calaciura, il com-merciante di pelletteria?
NINO – Sì, la veneta… Quella che l’ha fatto cornuto.
GIOVANNINO – Il quale cornuto l’ha buttata fuori di casa, proprio tre o quattro giorni fa. Ciccino, la conosciamo la storia.
CICCINO – Ma non sapete il resto, non sapete! La signora Calaciura, ri-spettabilissima e stimatissima donna, fino a quattro giorni fa, appun-to… si è, per così dire, “rifugiata” nella Pensione Donati!
NINO – Fa la puttana?
GIOVANNINO – Ma va…!
CICCINO – Ma se ci sono stato io con lei, proprio ieri sera! La cosa più sorprendente, però, sapete qual è? Che la Calaciura “lavora”, per così dire, con grande entusiasmo ma, ad un certo punto, scoppia a piange-re!
NINO – Mentre… “per così dire, lavora”?!
CICCINO – Ora, uno che pensa? Poverina, piange perché è disperata… piange per la sua disgrazia…! E invece no. Quella piange di piacere!
GIOVANNINO – E il marito lo sa?
CICCINO – Che piange?
GIOVANNINO – No, che fa la puttana, dico, lo sa il marito?
CICCINO – Fino a stamattina, fingeva di non sapere nulla… Ma come fa, dico io, a non sapere una cosa che è sulla bocca di tutti?
IGNAZIO – Povero disgraziato!
CICCINO – E ora, devo scappare!
NINO – Dove corri?
CICCINO –Al negozio di Calaciura, no?
NINO – E a far che?
CICCINO – Voglio vedere se il cornuto è in buone condizioni di salute! (Via, rapidamente).


SCENA 4

NINO – (ride) Che tipo, quel Ciccino!
IGNAZIO – (annoiato) Beh, io mi sono stufato. (Si alza)
GIOVANNINO – Dove vai?
IGNAZIO – Non lo so. Salto in macchina e… via! Senza meta. Può darsi che vada a fare una capa-
tina in campagna. La città mi annoia… La gente mi annoia…
NINO . E la campagna non ti annoia?
IGNAZIO – (sospira) La vita è noiosa dovunque. Accadono sempre le stesse co-se…(Verso l’interno
della Pasticceria) Salvatore! I caffè sul mio conto.
SALVATORE – (f.s.) Va bene, marchese. I miei rispetti.
IGNAZIO – (agli amici) Ci vediamo.
GIOVANNINO – Ignazio! E… Nelly, quella tua amica di Roma…?
IGNAZIO – Ti farò sapere quando arriverà a Catania. Non ho ancora capito se sei più curioso di co-
noscere la ragazza o di provare quella roba. Ciao. (Via).

SCENA 5

NINO – Chi sarebbe questa… Nelly? E di che roba parlava Ignazio?
GIOVANNINO – Nelly è un’attricetta che Ignazio ha conosciuto a Roma…
NINO – E la roba? Non dirmi che si tratta…
GIOVANNINO – Sì. Di quella.
NINO – E tu la prenderai?
GIOVANNINO – Può darsi. Non lo so ancora.
NINO – Siete due coglioni! Io, i soldi preferisco spenderli per le automobili e i casini. C’è più gu-
sto. (Scorge qualcuno…) Giovannino, arrivano i guai. E hanno una forma, di-rei, impressio-
nante: quella di un Notaio. Tuo padre. 
(Il Notaio si avvicina al tavolo con aria palesemente nervosa).
NOTAIO – (al figlio) Ci avrei giurato che eri qua.
GIOVANNINO – Senti, papà…
NOTAIO – Papà un corno!
NINO – (in evidente imbarazzo) Signor Notaio, la riverisco. Stavo giusto per andar-mene…
NOTAIO – (taglia corto) Vada pure, Barresi, arrivederla.
NINO – Ciao, Giovannino.
(Nino esce sollecitamente).

SCENA 6

GIOVANNINO – (tenta di “gestire” la situazione) Perché non ti siedi? Ti posso offri-re qualcosa?
NOTAIO – (si siede) Mi vorresti “offrire qualcosa”?! E certo! Coi soldi miei te lo puoi anche per-
mettere! Che bella faccia tosta!
GIOVANNINO – (con apparente calma) Salvatore! Portami un vermouth con una scorza di limone.
(Al padre) Sei sicuro che non vuoi niente?
NOTAIO – Giovannino, bada che da me, soldi non ne avrai più. Non ne ho da buttare e, comunque,
non mi va di sprecarli in questo modo. E ti avverto che cambiali non ne pago. Te la sbrighi
da solo. Ti lascio andare in galera, se è il caso ma non muovo più un dito!
GIOVANNINO – Papà, ti ho già detto mille volte che non firmerò più cambiali. E’ successo due
anni fa. Perché me ne parli ancora? E’ stata una volta sola, lo sai, e da allora, non si è più ri-
petuto…
NOTAIO – Ma si ripeterà. Fatalmente!
SALVATORE – (arriva col vermouth) Signor Notaio, i miei omaggi. Le servo qual-cosa?
NOTAIO – No.
(Pausa. Aspetta che il cameriere vada via)
Sono stato dall’avvocato Scardaci. Bella figura m’hai fatto fare! “Come va mio figlio? C’è
speranza che diventi un buon avvocato?”. “Tuo figlio? Viene in Studio un giorno sì e due no,
resta per un’oretta e poi se ne scappa come se il soffitto gli stesse per cadere in testa da un 
momento all’altro!” Questo mi ha detto! E io, imbecille, a inventare scuse, giustificazioni…!
Ma ti rendi conto delle figuracce che mi tocca fare per colpa tua? E con Scar-daci, poi! Che
ha sempre avuto una devozione per me! Ora, tu mi devi dire come mi devo comportare…
quello che devo fare… perché, parola d’onore, io non ti capisco. Almeno sa-pessi che cos’hai
in quella testa…! Illuminami: che cosa vorresti fare? Dove santo diavolone vuoi andare a pa-
rare…? 
(Le ultime parole si risentono amplificate. Contemporaneamente, buio. Rimane solo una luce su Giovannino. La voce del Notaio si dissolve. Una musica dolcissima precede quest’altro “sogno”.
L’ambiente è lo stesso – quello della Pasticceria. Eppure le luci daranno all’insieme contorni e colori diversi. Sono scomparsi i passanti, il cameriere… Al posto del Notaio, c’è, adesso, una fan-
ciulla molto bella, dai lineamenti delicati, avvolta da una luce rosata). 

SCENA 7

GIOVANNINO – (alla fanciulla, immersa nella lettura di un giornale) Legge qualco-sa d’interessan-
te su quel giornale? 
RAGAZZA – (alza gli occhi. Sorride) Scusi, lei è l’avvocato Giovannino Calì di Ca-tania?
GIOVANNINO – A servirla.
RAGAZZA – Ho sentito parlare tanto di lei dal marchese Ignazio Leotta, a Roma. E’ solo, qui, in 
Val d’Aosta?
GIOVANNINO – Solo. E lei?
RAGAZZA – (sensuale) Completamente sola.
GIOVANNINO – Stupenda coincidenza.
RAGAZZA – Splendida casualità.
GIOVANNINO – Il destino ci ha fatti incontrare qui, in questo albergo…
RAGAZZA - … ed ha unito le nostre due anime…
GIOVANNINO – (le si avvicina con molta platealità) Dammi la tua bocca.
RAGAZZA – (schiude le labbra) E’ tua.
GIOVANNINO – Creatura divina… Il tuo nome è “voluttà”…!
(Si scambiano un lungo, sensuale bacio).
RAGAZZA – Sei tu l’uomo dei miei sogni erotici… Il maschio dei miei desideri not-turni…!
GIOVANNINO – Beviamo insieme nella coppa dell’amore. Ridammi la tua bocca!
(Giovannino afferra impetuosamente la Ragazza, la piega sul tavolino, le si butta ad-dosso con frenesia.
Improvvisamente la scena si affolla di personaggi – gli stessi già apparsi all’inizio del Primo Tempo: il Giudice, l’Assessore… - che urlando applaudono entusiasti Giovannino).
1 – Bravo, Giovannino!
2 – Sei grande, figlio mio!
3 – Che uomo! Che uomo!
4 – E che classe! Che stile!
5 – Catania è fiera di te, ragazzo mio!
6 – Sono orgoglioso di essere tuo padre! Bravo!
7 – Silenzio, silenzio! Domani, in Municipio, in onore dell’avvocato Giovannino Ca-lì, verrà dato
un ricevimento da fare epoca!
8 – Giovannino! Dopo Bellini, sei l’uomo più famoso di Catania!
TUTTI – Evviva! Evviva il nostro Giovannino Calì!
(Poco a poco, i personaggi svaniscono nel buio. Le voci si allontanano. Di contro, la voce del Notaio si fa largo fino a quando diviene prepotentemente forte. Ritor-nano le luci di prima. Al posto della Ragazza, è ricomparso il Notaio).

SCENA 8

NOTAIO – Per esempio, io vorrei capire per quale ragione non ti vuoi sposare.
(Giovannino, ancora sotto l’effetto del “sogno”, sorride compiaciuto)
Che hai da ridere, cretino? O mi stai pigliando in giro?
GIOVANNINO – (improvvisamente serio) No.
NOTAIO – Sono seriamente preoccupato. Ho l’impressione che mi stai diventando scemo. Sempre 
svagato, con la testa chissà dove…! Tu e questi quattro scioperati che fre-quenti non combi-
nerete mai niente di buono. Fannulloni! Questo siete! Tu e la tua bella brigata! Ora, io dico:
non vuoi fare niente? E va bene. Ma sposati, allora. Sposati una donna ricca e bada alle pro-
prietà. Oppure fai l’avvocato, l’impiegato, il beccamorto! Fai quello che cac-chio vuoi ma 
fa’ qualcosa!
GIOVANNINO – Papà…
NOTAIO – Ma che papà! La testa ti dovrei spaccare! (Pausa) La professione, no. Il matrimonio, no.
Ma che caspita vuoi, si può sapere? Mi fai prendere certe boccate di bile…! L’ingegnere 
Laganà ti darebbe sua figlia… Me lo ha fatto capire… Sarebbe un’occasione d’oro per siste-
marti…
GIOVANNINO – Ma se la Laganà sta spasimando per quello lì, quel Nicotra…!
NOTAIO – Ma che spasimare! E per chi, poi? Per quel tisico di Nicotra?! Non farmi ridere!
GIOVANNINO – Papà, ti prego, non alzare la voce… Non mi sembra il caso, qui.
NOTAIO – Ah, ti vergogni. E bravo. Per altre cose, invece, non ti vergogni! E allora, se non vuoi
che io alzi la voce, parla tu, parla. Dimmi quali sono i tuoi progetti, le tue in-tenzioni…
(Silenzio di Giovannino)
Hai visto? Te ne stai zitto. Quanta bile…! L’anno scorso – te lo ricordi? – a-vresti potuto 
sposare la figlia di Elmer… ricchissima! Ti voleva. E tu? Tu l’hai lasciata spo-sare a quel
morto di fame di Bellia!
GIOVANNINO – Ma per carità… la Elmer!
NOTAIO – E va bene. La Elmer non ti piaceva, la Laganà non ti va a genio… Cer-chiamone un’al-
tra. Cerchiamone altre dieci… mille! Siamo qui per questo! Ma tu non ne vuoi sapere di nes-
suna! 
GIOVANNINO – Papà… io voglio andare a vivere a Roma.
NOTAIO – A Roma? E con quali soldi? Coi miei, no di sicuro. Sposati una ricca e, per me, puoi
andare a romperti il collo a Roma o dove ti pare!
GIOVANNINO – Vorrei fare pratica di avvocato, a Roma.
NOTAIO – Dimmi una cosa: che mi hai preso per un deficiente? Ah, dunque, con tanti Studi avviati
che abbiamo a Catania – senza contare quello di Scardaci! – te ne vuoi andare a Roma! E,
poi, io non mi posso permettere il lusso di mantenerti a Roma. Non se ne parla neppure. To-
glitelo dalla testa.
GIOVANNINO – E allora, farò qualche concorso per entrare in un Ministero.
NOTAIO – (avvilito) E fai il concorso, fai qualcosa ma usciamo da questa situazione perché non ne
posso più!
GIOVANNINO – C’è un concorso per il Ministero delle Finanze. Voglio presentarmi a quello.
NOTAIO – Ministero delle Finanze… Mah! Che vuoi che ti dica? Fa’ quello che vuoi. Io, ormai,
mi sono stancato. Speriamo bene. Questo solo posso dire. Mi fai prendere cer-te boccate di
bile, caro mio…! Il fegato me lo sono rovinato per colpa tua. (Si alza) Finisci questo ver-
mouth che ti dovrebbe fare veleno e poi torna a casa. (Esce borbottando).

SCENA 9

(Alcuni passanti si fermano a parlare davanti all’ingresso della Pasticceria. Effetto sonoro di tram che sferraglia. Giovannino, col suo bicchiere in mano, rimane pensieroso.
E mentre dominano gli effetti sonori, la scena viene chiusa da un siparietto bianco, rigido, a telo intero. Il siparietto verrà illuminato, inizialmente, da luci bianche.
Alcuni tamburi rullano sinistramente. Echeggiano sonori squilli di tromba.
Sulla destra – a torso nudo, le mani legate da inesistenti catene – appare Giovannino, visibilmente provato da precedenti torture. La sua apparizione è salutata dalla folla con un’ovazione. Questo “sogno” sarà accompagnato dal rullare cadenza-to dei tamburi.
Una voce – quella del Notaio – ha il sopravvento sulla folla).
VOCE DEL NOTAIO – Giovannino Calì. Questa corte ti ha giudicato colpevole! Per i gravi reati
di cui ti sei orribilmente macchiato, la pena non potrebbe che essere la morte!
(La folla rumoreggia contraria).
Tuttavia, questa corte – considerando la nobile discendenza dei Calì alla quale tu, indegna-
mente appartieni – ha emanato una condanna mite, nella speranza che ti serva da lezione.
Ti saranno inflitti cento colpi di frusta. L’esecuzione è immediata.
(Il siparietto si tinge di rosso.
Invisibili carnefici afferrano Giovannino, lo trascinano al centro e a ridosso del sipa-rietto, lo legano, braccia verso l’alto, ad un inesistente palo.
La folla rumoreggia sempre più. Effetto frustate che scuote il corpo di Giovannino.
Si percepiscono alcune voci).
1 – E’ un’infamia!
2 – Un sopruso!
3 – Giovannino è innocente!
4 – Liberatelo!
5 – Venga sciolto dalle catene!
VOCE DEL NOTAIO – Siete pazzi! Che volete fare? Non ostacolate la giustizia! E-gli meriterebbe
il capestro!
6 – Giovannino non merita alcuna condanna!
7 – Egli lotta per la libertà. Solo lui può difendere il popolo dalle ingiustizie e dai so-prusi dei po-
tenti! 
8 – Che aspettate, dunque? Liberatelo!
(Un’invisibile folla si accalca attorno a Giovannino che viene liberato dalle catene).
TUTTI – Viva Giovannino! Viva la libertà! Viva la giustizia!
(Le trombe sottolineano il trionfo di Giovannino che alza le braccia al cielo per salu-tare la folla che lo continua ad acclamare. Il suo volto è fiero come quello di un eroe che ha appena salvato la patria da chissà quali nemici.
Il siparietto, ora, splende di un bianco accecante.
Poi, gli effetti si smorzano. Buio).


2° QUADRO 

SCENA 1

(Una camera della Pensione Donati, a Catania. A sinistra, una porta. Fine-stra a destra. L’arredamento è alquanto chiassoso e di dubbio gusto. Un lettino, un comodino, qualche sedia, un vecchio divano, un tavo-linetto. Un orologio a pendolo sulla parete. Sul comodino, una lam-pada.In scena, solo Nelly, una ragazza magra, chiaramente disfatta dalla droga, non molto bella. E’ nervosa. Chiaramente, in trepida at-tesa. Di tanto in tanto, s’avvicina alla finestra, scosta le tendine e guarda ansiosa in strada. Effetto di rumori esterni, tipici di un quar-tiere popolare della Catania di quell’epoca: venditori ambulanti, car-retti che passano, bambini che schiamazzano…
Dopo qualche istante, entrano Ignazio, Giovannino e Nino).
NELLY – (butta le braccia al collo di Ignazio) Come mai così in ritardo?
IGNAZIO – Questa non è mica roba che puoi comprare nel negozio dietro l’angolo, lo sai, no?
NELLY – Lo so. Ma… l’avete trovata?
IGNAZIO – Con un po’ di fatica… ma siamo riusciti ad averla.
NINO – Sì, con un po’ di fatica e molto denaro.
(Giovannino gli assesta una gomitata)
E che ho detto? Non è la verità? Che l’abbiamo avuta gratis, forse?
IGNAZIO – (a Nino) Non ricominciare con le stupidaggini. Non guastare tutto. E va’ a sederti.
NINO – (tra sé, mentre siede) Io non ci dovevo venire.
NELLY – (che, nel frattempo, ha continuato a sbaciucchiare Ignazio) Dammene subito un pochino.
IGNAZIO – Calma, Nelly, calma. Senza fretta. La fretta uccide ogni cosa, amore mio.
NELLY – Solo un pochino…!
IGNAZIO – Beviamo qualcosa, prima.
NELLY – Se non ne prendo almeno un pizzico, non provo gusto a bere.
(Nino, un po’ per vezzo, un po’ per imbarazzo, comincia a fischiettare).
IGNAZIO – (a Nino) Smettila di fischiare.
GIOVANNINO – E smettila, Nino!
NINO – Va bene. Smettila di parlare, smettila di fischiare, va’ a sederti là, va’ a cuccia…! Forse il signor marchese e il signor avvocato dimen-ticano che senza di me, adesso, la signorina Nelly “avrebbe voglia” di smaniare!
GIOVANNINO – Ma che vuoi essere ringraziato per averci fatto conosce-re quell’usuraio?
NINO – Senza di me, non sapevate dove sbattere la testa per procurarvi i soldi!
GIOVANNINO – Senza di te?! Se non avessimo firmato le cambiali, be-stia che sei, il tuo strozzino col cavolo che ce li dava i soldi!
NINO – Il fatto è che io, qua, non ci dovevo venire.
GIOVANNINO – (lo scuote affettuosamente) E dai, Nino. Non fare l’offeso, ora.
IGNAZIO – (paternamente, posa una mano sulla spalla di Nino) Devi stare calmo, Nino. Non abbiamo assolutamente ragione di essere nervosi. Dobbiamo stare tranquilli, capito? Solo così potremo assaporare fino in fondo i giorni che passeremo in questa camera.
NINO – I giorni?! (A Giovannino) Ma che intenzione ha quello lì?
GIOVANNINO – Non hai detto ai tuoi che saresti andato in campagna? Di che ti preoccupi?
NINO – Infatti. In campagna, non in America! No, no, no… voi due siete pazzi! Io, quasi quasi, me ne vado…!
GIOVANNINO – Ora, basta! Smettila di fare il rompiballe! Ma guarda che figura stiamo facendo?
NELLY – Ignazio, ti prego, non farmi più aspettare!
IGNAZIO – (le porge una cartina) Tieni, sorella.
(I tre giovani osservano Nelly mentre esegue la delicata operazione. La ra-gazza fa scivolare dolcemente un mucchietto di polvere bianca sul dorso della mano; con una spatolina da toilette, rastrella abilmente intorno per non perdere neppure una scaglietta. Poi, accosta il dorso della mano ad una narice e, con un colpo secco, aspira. Quindi, ese-gue la medesima operazione e aspira con l’altra narice).
NINO – (stupefatto) Però! Si vede che è una professionista!
(I due amici gli lanciano un’occhiata di fuoco)
IGNAZIO – (a voce bassa) Sta’ zitto, Nino. Soprattutto, sta’ zitto.
(Nelly si sdraia sul divano e accende, con calcolata lentezza, una sigaretta. Ignazio – quasi come un sacerdote che compie un sacro rito – riem-pie fino all’orlo, quattro bicchieri di whisky e li depone sul tavolinet-to, accanto al divano).
IGNAZIO – Ecco. E’ assolutamente necessario che ogni gesto venga ese-guito lentamente. Senza nessuna fretta.
(Nino prende il suo bicchiere e siede accanto alla ragazza)
(a Nino) Non bere molto. (Gli afferra il braccio) E, in ogni caso, be-vi lentamente,
NINO – (sbuffa) Lentamente, ho capito, lentamente. Più dici “lentamente” e più m’innervosisco.
IGNAZIO – (a Nino accarezzandogli la testa) Non devi agitarti. E non de-vi alzare la voce. Vedi? Come spiegarti?… Anche le parole devono accarezzare l’aria e avere un suono ovattato…
NINO – (ignora del tutto le raccomandazioni di Ignazio. A voce alta, a Nelly) E allora, come va? (Le accarezza le gambe) Come ci sentia-mo?
GIOVANNINO – (porge una cartina a Nino) Tieni la tua cartina e non rompere.
NINO – Eh? Ah, sì… Dunque… (si rigira la cartina tra le mani e, osser-vando gli amici, tenta goffamente di imitarne i gesti. Per nascondere l’imbarazzo, fischietta).
GIOVANNINO – Ma la vuoi smettere?
NINO – Cosa?
IGNAZIO – (dolcemente accarezzandogli ancora la testa) Stavi fischiando, Nino.
NINO – (col medesimo tono di Ignazio) Non me n’ero neppure accorto.
(Mentre Ignazio e Giovannino eseguono quasi alla perfezione l’aspirazione della “polvere”, Nino, sbuffando sul dorso della mano, ne sparge un bel po’ sulla manica della camicia.
Nelly – che fino a quel momento, sembrava assente – salta su dal divano)
NELLY – Fermo, fratello! Non ti muovere! Non muovere quel braccio, ti prego!
NINO – (immobile, col braccio sollevato) No, sorella, non mi muovo.
(Nelly, con un foglio di carta, recupera le scagliette ancora sulla manica di Nino).
NELLY – Non posso sopportare che vada sprecata. E’ la felicità che si butta via.
GIOVANNINO – (a Nino) Soffi come un toro!
(Ognuno dei ragazzi si trova un proprio spazio per sdraiarsi. Silenzio per qualche istante).
IGNAZIO – (a Nelly) Stai bene?
NELLY – Meravigliosamente. 
IGNAZIO – (appoggia la testa sulle gambe di Nelly e sospira, profonda-mente inebriato) Anch’io sto bene. Tu, Giovannino?
GIOVANNINO – (un po’ a disagio ma si sforza di adeguarsi a Ignazio e parla anch’egli lentamente) Ho l’impressione che la punta della lin-gua sia diventata insensibile…
IGNAZIO – No, amico mio… Prova, invece, a descrivere le sensazioni in-teriori: quelle sono importanti.
GIOVANNINO – (c.s.) Sento un’onda piacevole… lenta e dolce… che mi avvolge del tutto. Sì, provo un senso di appagamento totale. (Con convinzione) In questo momento, non ho voglia di nient’altro. Perché desiderare altre cose se quello che ti circonda è già bello, amabile, perfetto…?
NINO – Veramente, io non provo nulla. Questa roba fa schifo. Amara co-me il veleno.
IGNAZIO – Prendine ancora un po’ e sta’ zitto.
NINO – (prende altra polvere) La lingua non me la sento più. Che dite, ne prendo ancora? (Nessuno gli risponde).
(Esegue con poco entusiasmo) Mah!
NELLY – Sto annegando in un mare di dolcezza…!
GIOVANNINO – Sento la mia anima galleggiare nell’aria…
NINO – Io non sento niente.
IGNAZIO – (a Nino) Non provi un senso di benessere e di felicità?
NINO – No. Fra l’altro, con questo whisky, mi gira la testa.
IGNAZIO – Taci. Prendine ancora.
NINO – Ancora?! (Tra sé) Io non ci dovevo venire. (Prende altra “roba”) 
GIOVANNINO – Mi sento un dio. Vorrei stare così per tutta la vita.
NINO – Io mi sento un coglione, mi viene da vomitare e se sto così per al-tri dieci minuti, mi dovranno raccogliere col cucchiaino!
(Ignazio si alza e copre la lampada accesa del comodino con un foulard azzurro. Poi, si sdraia di nuovo accanto a Nelly.
Si sente in lontananza, il suono di un organetto.
Poi, il tic-tac dell’orologio a pendolo.
I quattro giovani cadono nel sonno. La stanza, in penombra, è rischiarata solo dalla luce azzurra della lampada.
Una luce violacea avvolge Giovannino. Rimbalzano, amplificate, alcune voci).
VOCE DEL NOTAIO – Combinami un’altra fesseria e giuro che ti chiudo in camera e ti faccio uscire solo il giorno del giudizio!
VOCE DI PEPPINA – Ora, Giovannino ti promette che non lo farà più. Vero, Giovannino?
VOCE DI IGNAZIO – La vita è noiosa dovunque. Accadono sempre le stesse cose.
VOCE DEL NOTAIO – L’ingegnere Laganà ti darebbe sua figlia… A Roma? E con quali soldi?…Ti avverto che cambiali non ne pago più! Ti lascio andare in galera! … In galera!
(Poco a poco, le voci e il suono dell’organetto sfumano. Si sente solo il tic-tac dell’orologio.
Giovannino si sveglia. Guarda i compagni che ancora dormono. Si alza e va ad aprire la finestra. E’ giorno. Una luce accecante penetra all’interno).
NELLY – (riparandosi gli occhi con una mano) Chiudi!
(Una calza di Nelly pende dal divano. Giovannino la raccoglie e la ripone su una sedia. Rimette sul tavolino un bicchiere che si era rovesciato sul letto. Scosta, col piede, un pacchetto di sigarette ormai vuoto.
I rumori della città penetrano caparbiamente nella stanza: un tram in lonta-nanza, qualche automobile in marcia, un carretto…
Giovannino osserva ancora gli amici che dormono e lo squallido ambiente in cui si trova).
GIOVANNINO – Ha ragione Nino: viene proprio da vomitare.
NELLY – E chiudi quella finestra! Non voglio vederla, la luce. Chiudi!
VOCE DI UNA DONNA – (giù, per strada) A quanto quelle lattughe?
VOCE DI UN UOMO – (c.s.) Due soldi al mazzo.
VOCE DI UNA DONNA – Troppo care. Vi do tre soldi per due mazzi.
NELLY – (quasi piangendo) Ti prego, chiudi…! Chiudi!
GIOVANNINO – (dalla finestra, guarda la strada sottostante) Ho deciso. Vado a fare quel concorso a Roma.

SIPARIO.



TERZO TEMPO
1° QUADRO

SCENA 1

(Roma. Una camera della Pensione Traversari. Sul fondo, una porta. A sinistra, una larga finestra.
Arredamento sobrio e curato. Un lettino, una poltrona, un armadietto con specchio, uno scrittoio, sedie…
All’apertura del sipario, Giovannino – solo in camera – finisce di vestirsi, davanti allo specchio. Fischietta, visibilmente allegro. Dal grammofono dell’appartamento vicino, giunge il suono di una canzonetta.
Entra, non vista, Marcella che abbraccia Giovannino da tergo).

MARCELLA – Come sta il mio “pupone”, stamattina?
GIOVANNINO – (si gira, l’abbraccia a sua volta e la bacia) Sta proprio bene, il tuo pupone. Benis-
simo! (Finge di rimproverarla) Ma dimmi un po’… nella Pensione Traversari, non usa bussa-
re, prima di entrare nella camera di un cliente? E se mi avessi sorpreso ancora svestito? Ma-
gari, in mutande…?
MARCELLA – (ride) Oh, che vergogna!
GIOVANNINO – Credo bene che avresti provato vergogna!
MARCELLA – Io, no. Ma tu, certamente.
GIOVANNINO – Ah, spudorata!
(Marcella, ridendo, gli sfugge. Giovannino la rincorre, l’afferra e la lascia cadere sul letto. La bacia con passione).
GIOVANNINO – Queste labbra mi fanno impazzire! (L’accarezza a lungo)
MARCELLA – (divertita) Ma… quante mani hai?
GIOVANNINO – Due, sfortunatamente.
MARCELLA – (c.s.) Non si direbbe!
GIOVANNINO – Vorrei averne cento, mille! Per accarezzarti tutta… per possederti completamen-
te! 
MARCELLA – Quante belle cose sa dirmi il mio “pupo d’oro”!
GIOVANNINO – (continua a baciarla) E’ rimasto qualcuno in casa?
MARCELLA – Di domenica? Chi vuoi che sia rimasto? I miei sono andati via di buon mattino e i
clienti sono tutti usciti. Vogliamo andare a fare una passeggiata a Villa Bor-ghese?
GIOVANNINO – (c.s.) Credo d’avere cambiato idea. Preferirei restare a casa… E tu?
MARCELLA – (sorride) Non so. Vorrei pensarci. Se l’avvocato Calì mi assicura che si comporterà
da gentiluomo, allora potrei anche convincermi…
GIOVANNINO – L’avvocato Calì, da gentiluomo, può assicurarti un solo compor-tamento…!
MARCELLA – Aspetta. Tu non hai ancora fatto colazione.
GIOVANNINO – C’è tempo.
MARCELLA – Scusami. Sono una sbadata! Se mio padre sapesse che trascuro i clienti…!
GIOVANNINO – Dai, lascia perdere la colazione… Chi ne ha voglia?
MARCELLA – No, no, no! Ieri sera non hai neppure cenato. Dunque, adesso, devi mangiare. Non
transigo. La Pensione Traversari è una pensione seria, sa? E non permette che i suoi ospiti
muoiano denutriti! (Ride) Vado a prepararti qualcosa. (Lo bacia ed esce rapi-damente)
GIOVANNINO – Fa’ presto!

SCENA 2

GIOVANNINO – (si lascia cadere, felice, sul lettino) Si sta bene qui. Cos’altro potrei desiderare
dalla vita? Vivo a Roma, ho una relazione con una splendida ragazza… 
(Si accende una sigaretta e aspira profondamente)
L’unica nota stonata è il mio impiego al Ministero con uno stipendio ridicolo! E che tristez-
za, quell’ufficio! Tuttavia, al momento, non ho alternative. Ma oggi è domeni-ca! Via non
voglio pensare a niente, oggi! (Pausa. Aspira il fumo della sigaretta) In questo momento
a Catania, saranno tutti per via Etnea… alla Pasticceria Svizzera… Ignazio, con la faccia
annoiata di sempre… Nino con la sua aria infantile e un po’ buffa… Ciccino, a raccontare
avvenimenti “sensazionali”…!
(Rientra Marcella con un vassoio che appoggia sullo scrittoio)
MARCELLA – (con un sorriso) Il signore è servito. Spero che la colazione sia di suo gradimento.
GIOVANNINO – Il servizio è impeccabile. La signorina merita un elogio del tutto particolare.
(La bacia).
MARCELLA – Su, adesso, mangia. (Lo spinge a sedere)
GIOVANNINO – Mi arrendo alla violenza.
(Giovannino, con buon appetito, consuma rapidamente una fetta di pane imburrata. Al primo sorso di caffellatte…)
Ehi, scotta! (Osserva Marcella che mette in ordine la stanza) Marcella.
MARCELLA – Sì?
GIOVANNINO – Sei un angelo. Il mio angelo. Vieni, siediti.
MARCELLA – (esegue) Eccomi qua.
GIOVANNINO – Ti adoro.
MARCELLA – Anch’io. (Pausa) Ti piace stare qui, a Roma?
GIOVANNINO – Mi piace stare con te.
MARCELLA – Nessuna nostalgia della Sicilia?
GIOVANNINO – Perché me lo chiedi?
MARCELLA – (seria) Così.
GIOVANNINO – Hai paura che possa tornarmene a Catania?
MARCELLA – Forse. Non lo so.
GIOVANNINO – E ora, perché quel visetto triste? Non hai ragione d’aver paura, amore mio. Ci
sto così bene qui! E chi si muove più?
MARCELLA – Davvero?
GIOVANNINO – Davvero.
MARCELLA – Mi parli sempre con tanto entusiasmo di Catania, dei tuoi amici, delle tue abitu-
dini… Prima o poi, ti perderò. (L’abbraccia)
GIOVANNINO – Non mi perderai. Te lo giuro.
(Si sente suonare il campanello d’ingresso)
Qualche rompiscatole!
MARCELLA – Vado ad aprire. 
(Marcella esce e rientra un momento dopo)
Se tu non vai a Catania, è Catania che viene da te! Ci sono visite.
GIOVANNINO – (emozionato e frastornato) Visite?! E chi è?
MARCELLA – Prego, si accomodi, marchese.

SCENA 3

(Entra sorridendo, Ignazio. I due si abbracciano calorosamente)
GIOVANNINO – Ma che cavolo ci fai, tu, qui?
IGNAZIO – Lo sai che ti trovo bene? Evidentemente… (guarda con intenzione Mar-cella) l’aria
di Roma non ti nuoce affatto!
GIOVANNINO – Anche tu stai bene. Ma vuoi dirmi perché sei a Roma? Quando sei arrivato?
E Nino? Come sta Nino? E Ciccino…? E gli altri?
MARCELLA . Fagli prendere fiato, prima. Si metta comodo, marchese, io vado a prepararle un
caffè.
IGNAZIO – Ma no, lasci…
GIOVANNINO – Aspetta, Marcella, dove corri? (La prende per mano) Lei è Marcel-la Traversa-
ri, la figliola del proprietario.
(Ignazio accenna un piccolo inchino accompagnato da un sorriso)
E lui, sai chi è lui?
MARCELLA – Ma sì. Il marchese Ignazio Leotta. Ci siamo già presentati all’ingresso. (A Ignazio)
Giovannino mi parla sempre di lei. Credo di sapere quasi tutto sul suo conto. 
IGNAZIO – (ride) Ahi, ahi! Giovannino parla troppo!
MARCELLA – Di lei parla sempre con tanto affetto, stia tranquillo. Le porto subito il caffè.
IGNAZIO – La ringrazio ma preferirei non si disturbasse
MARCELLA – Nessun disturbo. (Esce).

SCENA 4

GIOVANNINO – Sono contento di rivederti, sai? E allora, vuoi dirmelo che ci fai qui?
IGNAZIO – Di passaggio. Proseguo per Firenze.
GIOVANNINO – E perché vai a Firenze?
IGNAZIO – Voglio trasferirmi là… almeno per un po’.
GIOVANNINO – E le proprietà? Adesso che tuo padre è morto, dovresti badarci tu…
IGNAZIO – Io? Non scherzare. Non è roba per me. E, comunque, c’è già un ammini-stratore per
questo lavoro. Io, invece, voglio starmene tranquillo per un bel po’ di tempo, lontano dalle
campagne, lontano da Catania, dalla Pasticceria Svizzera…! Ho proprio biso-gno di disintos-
sicarmi. 
GIOVANNINO – Capisco. E a Catania, che si dice? Raccontami! Che fanno, quegli sfaccendati?
Sempre a parlare di donne e di automobili, immagino!
IGNAZIO – Sempre. Non è cambiato nulla. E’ per questo motivo che me ne sono scappato. Sempre
la stessa vita, le stesse facce, gli stessi discorsi, le stesse volgarità… C’è da morire di inedia,
laggiù. Non accade mai nulla di nuovo… qualcosa per cui valga la pena di vi-vere…!
GIOVANNINO – Non sei cambiato.
IGNAZIO – E tu? Sei cambiato, tu?
(Rientra Marcella col caffè).
MARCELLA – Quante zollette?
IGNAZIO – Una, grazie.
MARCELLA – (gli porge la tazzina) Si ferma molto a Roma?
IGNAZIO – No. Riparto oggi stesso. Lo stavo giusto dicendo a Giovannino.
MARCELLA – Oggi stesso? Ha deciso di dare un dispiacere a Giovannino! Perché non resta, in-
vece? Se vuole, può sistemarsi qui. Abbiamo una camera libera…
GIOVANNINO – Ma sì, Ignazio! Solo per qualche giorno.
IGNAZIO – Non posso. Davvero. Anche Nelly, ieri sera, mi ha invitato a rimanere ma, purtroppo,
ho degli impegni, a Firenze. In altra circostanza, magari…
MARCELLA – Allora, vado. Visto che avete così poco tempo da passare insieme, sa-rà bene che
vi lasci soli.
GIOVANNINO – E perché? Mica abbiamo dei segreti…!
MARCELLA – (sorride) E chi lo sa?
(Esce). 

SCENA 5

GIOVANNINO – Marcella è talmente discreta…! E’ un amore di ragazza!
IGNAZIO – A proposito di Marcella… A parte il piacere di salutarti, c’è un’altra ra-gione per cui
sono qui.
GIOVANNINO – E riguarda Marcella?
IGNAZIO – In un certo senso. Anzi, la riguarda proprio. Tuo padre sa della vostra re-lazione.
GIOVANNINO – E come cavolo fa a saperlo?
IGNAZIO – Non potrei giurarci ma credo sia stato informato da una lettera che ha ri-cevuto nei gior-
ni scorsi. Una bella lettera circostanziata e minuziosa, a giudicare dalle reazio-ni di tuo padre!
GIOVANNINO – Quando lo hai veduto?
IGNAZIO – Poco prima della mia partenza. Per pura combinazione, al bar Tricomi. Parlava con un
tale… a voce talmente alta che non ho perso una sola parola!
GIOVANNINO – Gli avrà scritto certamente quell’imbecille di Spampinato!
IGNAZIO – Chi sarebbe questo Spampinato?
GIOVANNINO – Un rompiballe! Uno di Catania che, da un paio di anni, si è trasfe-rito qui. Uno
che lavorava nello Studio di mio padre. Lo prenderò a calci, parola mia!
IGNAZIO – Lascialo perdere… Ormai quello ch’è fatto è fatto. Preparati, piuttosto, all’incontro col
signor Notaio.
GIOVANNINO – (impaurito) Pensi che verrà a Roma?
IGNAZIO – Io non lo penso. Ne sono sicuro. L’ho sentito da lui stesso, al bar, mentre parlava con 
quel tizio…
GIOVANNINO – (si porta le mani ai capelli) E adesso?
IGNAZIO – Hai un vantaggio: sei a conoscenza della sua imminente visita e, dun-que, puoi prepa-
rarti con calma allo scontro… studiare la tattica migliore…
GIOVANNINO – Con lui non c’è tattica che tenga. Ho sempre perso. Annientato, in tutte le batta-
glie. (Si scuote) Ma stavolta, non la spunterà. Mi dovrà sentire! Lo metterò di fronte al fatto
compiuto!
IGNAZIO – Quale “fatto compiuto”?
GIOVANNINO – (balbetta confuso) Al… al fatto che… che io e Marcella stiamo in-sieme! E lo ri-
spedisco subito a Catania! E no! Adesso basta! Ne ho fin sopra i capelli di lui e delle sue pre-
potenze!
IGNAZIO – Bravo. 
GIOVANNINO – (acceso dal sacro fuoco della ribellione) Qua, c’è in gioco la mia vita, solo la mia
vita! Non la sua! Dovrà capire, una volta per tutte, che sono io il padrone di me stesso! 
IGNAZIO – Bene. Ti auguro di riuscirci.
GIOVANNINO – Ci riuscirò.
IGNAZIO – (guarda l’orologio) Devo lasciarti. Ho appena il tempo per andare alla stazione… E
devo ancora ritirare il mio bagaglio, da Nelly…! (Si alza)
GIOVANNINO – Non so come ringraziarti… Sei stato davvero un amico, Ignazio. Spero di poterti
rivedere presto…
IGNAZIO – Buona fortuna, Giovannino.
GIOVANNINO – Buona fortuna anche a te. T’accompagno.
(Escono insieme. 
Buio.
Effetto sonoro di un treno in corsa).

SCENA 6

(Al riaccendersi delle luci, in scena, Marcella e il Notaio. Questi è seduto, con aria alquanto contra-
riata, vicino allo scrittoio. Marcella, un po’ imbarazzata, va in cerca di qualcosa da rassettare…)

MARCELLA – Ha fatto un buon viaggio, signor Notaio?
NOTAIO – (sbuffa, non ha voglia di dialogare) Pessimo. 
MARCELLA – I viaggi in treno generalmente stancano, lo so. Ancor di più per lei che ha attraver-
sato mezza Italia…! Si ferma molto a Roma?
NOTAIO – No.
MARCELLA – Davvero non vuole un caffè? Glielo preparo in un istante…
NOTAIO – (taglia corto) Il caffè mi rende nervoso.
MARCELLA – (s’avvicina alla finestra e guarda verso la strada) Dovrebbe essere qui a momenti.
Giovannino… (si corregge) cioè, l’avvocato sapeva del suo arrivo?
NOTAIO – Non credo.
MARCELLA – Perché non viene di là, in salotto, ad aspettare suo figlio?
NOTAIO – E’ questa la camera di mio figlio?
MARCELLA – Sì, è questa …
NOTAIO – E allora, preferisco stare qui.
MARCELLA – Come vuole.
NOTAIO – Ma lei non si formalizzi. Non è necessario che mi tenga compagnia. Vada pure.
(Si sente il campanello d’ingresso).
MARCELLA – (stanca di sopportare ancora quella scorbutica presenza) Mi auguro che sia lui!
(Esce.
Un momento dopo, entra Giovannino. Sembra apparentemente tranquillo) 

SCENA 7

GIOVANNINO – Ciao, papà.
NOTAIO – Ciao. Vedo che la mia presenza non ti ha minimamente sorpreso. Mi a-spettavi?
GIOVANNINO – Evidentemente. (Accende una sigaretta. Ha l’aria di chi la sa lun-ga)
NOTAIO – E come mai eri al corrente che sarei venuto a Roma?
GIOVANNINO – Ho i miei informatori. Hai fatto buon viaggio?
NOTAIO – T’informo subito che ho già risposto esaurientemente a tutte le domande relative al mio
viaggio, ai lunghi percorsi in treno e alla durata della mia permanenza a Roma! E se mi chie-
di se voglio un caffè, ti rispondo subito di no!
GIOVANNINO – A quanto pare, sei di cattivo umore.
NOTAIO – Pessimo.
GIOVANNINO – Posso chiederti il motivo della tua presenza…?
NOTAIO – (sarcastico) Se hai i tuoi informatori, dovresti conoscerlo, il motivo…
GIOVANNINO – Si tratta di Marcella, immagino.
NOTAIO – Senti, tagliamo corto e non facciamo tanti preamboli. Che cos’è questa storia del tuo
fidanzamento? Mi hanno detto che questi affittacamere ti vorrebbero affibbiare la figlia…
Se si chiama Marcella, poi, non lo so e non m’interessa!
GIOVANNINO – Ma che fidanzamento! E non vogliono affibbiarmi un bel niente. Sono delle per-
sone a modo, una famiglia distintissima. E mi trattano come un figlio…
NOTAIO – Ho capito. Ti hanno già messo sotto. Hanno visto un ragazzo per bene… un ingenuo,
e cercano di spolparselo come un galletto!
GIOVANNINO – Sei in errore, papà.
NOTAIO – (non lo sta a sentire) E tu ci sei cascato. Ti trattano bene! E grazie! Dove lo trovano un
altro coglione come te? Certo che ti trattano bene! Una ragazza che ha corso la cavallina pas-
sando da una stanza all’altra, in una pensione…! Arriva il fesso da Catania e se la sposa! 
Grazie che ti trattano bene! Vorrei vedere!
GIOVANNINO – (comincia a smarrire la sicurezza iniziale) Non è detto che la sposi. Ad ogni
modo, Marcella è molto fine… ed è una ragazza seria.
NOTAIO – E già. Quanto sei stupido! Lo vengono a dire a te con quanti uomini è an-data?! Da che
mondo è mondo, nelle camere ammobiliate, è sempre stato così. E poi, che fai? Ti metti 
anche tu ad affittare camere? Che bellezza! Avremo un affittacamere in fami-glia. Una pro-
fessione che ci mancava e della quale sentivamo il bisogno…!
GIOVANNINO – Papà, tu giudichi troppo in fretta. Prima di parlare, dovresti cono-scerle, queste
persone.
NOTAIO – Non voglio conoscere nessuno! Ne so abbastanza. So che è la figlia di uno che affitta
camere. 
GIOVANNINO – Il fatto è che i siciliani non possono concepire che una ragazza del continente sia
una persona per bene. Debbono essere, per forza, tutte puttane.
NOTAIO – “I siciliani”! Mi sembri Angelo Musco nell’”Aria del Continente”! Ma non capisci che
ti stanno pigliando per i fondelli? La verità è che appena ti si lascia solo, com-bini subito
qualche fesseria. Abbandonato a te stesso, chissà dove andresti a finire!
GIOVANNINO – Io ho un posto, per fortuna. E ho il mio stipendio al Ministero.
NOTAIO – (nervoso) Che Ministero? Che stipendio? Stipendio di fame, devi aggiun-gere! Se non ti
mandassi io qualche soldo, mangeresti pane e salame e staresti a leccare la sarda! Ad ogni
modo, se vuoi fare la vita del miserabile, accomodati. La mantieni una moglie con quello
stipendio? Perché da me non avresti una lira…!
GIOVANNINO – Va bene. Non darmi niente. Anzi, sono io che non voglio niente.
NOTAIO – (cambia registro) Tu ci vuoi fare morire di vergogna a me e a tua madre! Una notizia
del genere la ucciderebbe! Ancora non le ho detto niente ma, ora, glielo devo dire. E potreb-
be restarci secca, nello stato in cui si trova, povera donna! Sarebbe capace di prendere il tre-
no e venire a morire qui! Ti piacerebbe che tua madre morisse qui, in una ca-mera d’albergo?
Vuoi avere anche questo rimorso?
GIOVANNINO – (chiaramente “in panne”) Ma perché dovrebbe morire qui, in una camera d’alber-
go…? Non c’è ragione…
NOTAIO – E invece, morirà. E tu sarai l’assassino di tua madre. Vuoi essere l’assassino di tua ma-
dre? Rispondi!
GIOVANNINO – (smarrito) Papà, non fare così. Non sposerò nessuno… Sei conten-to?
NOTAIO – E chi mi dice che, rimanendo qui, questi signori non ti imbroglino…? Po-trebbero co-
stringerti a sposarla… Potrebbero ricattarti… Che ne sappiamo?
GIOVANNINO – Non mi ricattano. Ma per tranquillizzarti… cambierò pensione.
NOTAIO – Non mi tranquillizzo affatto. Non mi fido. Ti potrebbero cercare… e sic-come tu non
sai difenderti perché sei un debole…! Se ci fossi io, qui, sarebbe un’altra co-sa… ma io non
posso trasferirmi a Roma. Ho i miei affari…
GIOVANNINO – (ormai sconfitto) E allora… che cosa devo fare?
NOTAIO – Venire a Catania, con me, adesso. Almeno per un paio di mesi… il tempo di fare sbol-
lire la faccenda…
GIOVANNINO – Ma io ho il posto al Ministero. Non posso fare il comodo mio!
NOTAIO – Si chiede un’aspettativa.
GIOVANNINO – Sono entrato appena sei mesi fa. Come faccio a chiedere già l’aspettativa? Non
è serio. E poi non me la concedono.
NOTAIO – Te la concedono. Te l’hanno già concessa. Ho parlato all’onorevole Fa-vitta – quello che
ti raccomandò al concorso. Hai già ottenuto tre mesi d’aspettativa.
GIOVANNINO – (incredulo e spaurito) Ma come…? Così… senza dirmi niente?
NOTAIO – Per accorciare i tempi.
GIOVANNINO – (stizzito) E io non accetto l’aspettativa!
NOTAIO – E allora, verrà qui, tua madre col mal di cuore. Anzi, nemmeno ci arrive-rà, qui. Morirà
sul treno. Assassino! Assassino della tua famiglia! Io per me, ti lascerei perde-re… ma quella
poveretta…! Assassino!
GIOVANNINO – Va bene, va bene. Non fare così. Prenderò l’aspettativa.
NOTAIO – Partiamo domani sera, alle 19.50, in vagone letto. Ho comprato i bigliet-ti…
GIOVANNINO – (esterrefatto) Anche il biglietto… per me?
NOTAIO – Sai bene che programmo tutto, io. Adesso usciamo. Andiamo a fare due passi. C’è trop-
po caldo, qui, con questi caloriferi.
GIOVANNINO – (esausto, avvilito) Dobbiamo… uscire?
NOTAIO – Sì, t’ho detto. Vieni.
(Il Notaio esce. Giovannino lo segue come un automa, testa bassa.
Buio.

SCENA 8

Effetto sonoro di treno. Sul siparietto che, ancora una volta, si chiude, verranno proiettate immagini
di un treno in corsa. E, intanto, si sentiranno le voci del Notaio e di Giovannino che viaggiano verso Catania).
VOCE DEL NOTAIO – L’altra sera, ho avuto un incontro con don Ciccio Cutuli. Lo sai perché sua
figlia non si è mai voluta sposare?
VOCE DI GIOVANNINO – No.
VOCE DEL NOTAIO – Perché vuole un marito intelligente e laureato. Richieste ne ha avuto a de-
cine ma le ha respinte tutte. Una ragazza che sa il fatto suo, Vincenzina!
VOCE DI GIOVANNINO – E chi è Vincenzina?
VOCE DEL NOTAIO – Ma tu, quando parlo, mi stai a sentire? Ti ho detto che è la figlia di don
Ciccio Cutuli.
VOCE DI GIOVANNINO – Ah, ho capito.
VOCE DEL NOTAIO – Certo, non è bellissima… però, in compenso, ha grazia, fi-nezza e cultura.
Doti rare, al giorno d’oggi, non credi?
VOCE DI GIOVANNINO – Sì.
VOCE DEL NOTAIO – Canta e suona che sembra un angelo del Paradiso! Chi la sposa sarà felice
per tutta la vita. Senza contare le ricchezze che avrà in dote: giardini d’arance a non finire…|
Qua, bisogna alzare l’ingegno. Si tratta di diventare padroni di trenta “salme” di giardini, di
più di cinquecento “tumuli” di vigneti, oltre ai castagneti, ai boschi, ai semina-tivi e ai pasco-
li. Tutta questa roba, subito, con la dote, Alla morte di don Ciccio, poi – che non mi pare
molto lontana, dato che è cagionevole di salute – non ne parliamo nemmeno. Un patrimonio
immenso, caro mio. Che ne pensi, Giovannino?
VOCE DI GIOVANNINO – Niente.
VOCE DEL NOTAIO – I soldi te li porterebbero a casa, a carrettate! Altro che sti-pendio al Ministe-
ro! Per te che hai abitudini signorili, sarebbe proprio quello che ci vuole. Cer-to, la ragazza,
ripeto, non è una gran bellezza… E’ piuttosto piccolina. Ma è molto buona e affettuosa. E’
stata per sei anni al Collegio del “Sacro Cuore”. Il padre, don Ciccio, mi chie-de sempre di te.
Insomma, sarebbe favorevole. Io, al posto tuo, bacerei a terra. Anche se Vin-cenzina ha… un
piccolo difetto alla gamba… una sciocchezza.
VOCE DI GIOVANNINO – E’ zoppa?
VOCE DEL NOTAIO – Ma che zoppa! Una cosa da niente. Non si nota nemmeno. E che darei mio
figlio a una zoppa? Avanti, smetti di fumare e dormi, ora. Non pensare a nien-te. Finchè sono
vivo io, non devi pensare a niente. T’ho detto di spegnere quella sigaretta. Dormi. Buona 
notte, Giovannino.
VOCE DI GIOVANNINO – Buona notte, papà.
(L’effetto treno in corsa va sfumando insieme alle proiezioni sul siparietto.
Buio).

2° QUADRO 

SCENA 1

(La villa di don Ciccio Cutuli. Sera d’estate.
Alberi, panchine, tavoli dappertutto. Sul fondo, la scuderia. A destra, una scala con-duce agli appar-
tamenti padronali.
L’ingresso della villa – con un gigantesco cancello, adesso aperto – dovrà essere col-locato “in prima”, a ridosso del sipario. A destra e a sinistra, stradine.
Molte lampade illuminano l’ingresso e il giardino.
Da un grammofono, canzonette e musiche d’epoca.
Si festeggia il matrimonio di Giovannino e Vincenzina, ancora assenti.
Fra gli invitati, i personaggi, presenti – ma un po’ più invecchiati - alll’inizio del Primo Tempo.
Due camerieri si danno da fare, con grandi vassoi: dolci, liquori… )

1 SIGNORA – (a Peppina) S’è fatto davvero un bel ragazzone, Giovannino! Prima era troppo
magro.
PEPPINA – L’aria di Roma me lo stava rovinando. Qui, invece, ci sono bastati tre o quattro mesi
per farlo diventare un altro.
2 SIGNORA – E’ vero. Quando tornò da Roma, era pallido, smagrito… sembrava malato! E’ inu-
tile, cara signora, l’aria di casa è sempre l’aria di casa!
3 SIGNORA – Proprio quello che dissi, ieri sera, a mio figlio che se ne vuole andare a Milano. “A
Milano? E come farai a vivere a Milano? Con quella nebbia, l’umidità… A Milano, gli ho
detto, tu non ci vai a vivere, figlio mio, ma a morire”!
1 SIGNORA – Il guaio è che questi ragazzi non sanno quello che vogliono.
2 SIGNORA – Se non ci fossero i genitori a guidarli… chissà cosa ci combinerebbe-ro…!
PEPPINA – Per carità, non ne parliamo. Quanti pensieri m’ha dato Giovannino! Quante palpitazio-
ni al cuore! Solo Dio lo sa!
1 SIGNORA – Ormai le sue pene sono finite, cara Peppina. Un matrimonio coi fioc-chi ha fatto Gio-
vannino! E poi, Vincenzina mi piace. Mi sembra una gran brava ragazza.
PEPPINA – Sì, sono sicura che sarà una buona nuora per me e una buona moglie per mio figlio. Il
Signore ha ascoltato le mie preghiere.
3 SIGNORA – Certo, povera figlia… ha quel piccolo difetto… ma roba da niente… si nota appena.
1 SIGNORA – Giusto se uno guarda bene.
2 SIGNORA – Una sciocchezza, figuriamoci. Se Vincenzina avrà l’accortezza di in-dossare sempre
abiti lunghi, nessuno ci baderà.
PEPPINA – Infatti. Pensate: se non glielo avessi detto io, Giovannino non l’avrebbe neppure notato.
3 SIGNORA – E ci credo. Comunque, difetto o non difetto, resta pur sempre un gran bel partito.

(Nino e Ciccino si avvicinano a Peppina)
NINO – Signora Calì, dove sono finiti gli sposi?
PEPPINA – Sono andati a cambiarsi d’abito. Adesso scendono.
2 SIGNORA – Chissà come saranno emozionati!
CICCINO – (sottovoce a Nino) Soprattutto, lo sposo! (Ride)
NINO – L’emozione, a Giovannino, gli verrà stanotte, al “San Domenico” di Taor-mina… quando
si troverà solo soletto con la mogliettina! (Ride)
CICCINO – E’ meglio che si abitui subito. Va bene che ha sposato le proprietà di don Ciccio Cutuli
ma, a letto, non è che può portarsi le proprietà…! Con Vincenzina deve stare!
NINO – Noi stiamo a sfotterlo ma dovremmo invidiarlo, invece. Quello si è sistemato per tutta la
vita. Che pensieri ha, ormai? Con tutta la roba che gli è cascata dal cielo, può vivere di rendi-
ta per altri mille anni! Io spero solo che, un giorno o l’altro, mi capiti la sua stessa fortuna…!
(Gli invitanti, improvvisamente, applaudono. In cima alla scala, appaiono i due sposi. Giovannino è leggermente ingrassato e porta dei folti baffi).

SCENA 2

CICCINO – Arrivano! (A Nino) Vieni!
(I due amici si fanno largo per avvicinarsi a Giovannino il quale ostenta un sorriso di circostanza ma è palesemente stordito).
CICCINO – (afferra Giovannino per un braccio) La sposa ci dovrà perdonare. Ab-biamo il diritto
di sequestrarle il marito per qualche minuto! E vieni, Giovannino!
(Viene trascinato a parte)
GIOVANNINO – E fa’ piano ché mi rovini la giacca!
CICCINO – E allora? Chissà quante potrai comprarne, di giacche, ora!
NINO – Il gran passo è fatto, Giovannino. Come ti senti?
GIOVANNINO – (serio) Rincoglionito.
CICCINO – (ride) E’ normale, dicono ma poi, passa. Ci farai l’abitudine.
(Vincenzina che zoppica vistosamente, si avvicina allo sposo)
VINCENZINA – Giovannino! Vieni. Tutti mi chiedono di te! Non possiamo trascu-rarli. (Ai due)
Scusateci.
(Prende per mano Giovannino che, quasi senza volontà, si lascia guidare dalla mo-glie. Il “festino” è
al suo culmine. Qualcuno balla. Giovannino, pur circondato dagli invitati si assenta del tutto. Tra i suoni e il vocio generale, si lascia andare a ricordi e riflessioni).
VOCE DI GIOVANNINO - Com’è lontana Roma, il Ministero, la pensione Traver-sari, Marcella
… Me la ricordo appena, Marcella. Il suo viso… le passeggiate al Pincio… Tutto è vago nel-
la mia mente… Il tram, le ore in ufficio… E’ un passato che quasi non mi ap-partiene. In que-
sti ultimi mesi, ho capito. Le grandi abbuffate con Nino e gli altri, le corse in automobile, la
vita comoda… mi hanno aperto gli occhi. E, con freddezza, ho deciso di anda-re all’assalto
delle proprietà di don Ciccio Cutuli. Sono un uomo ricco. E adesso…?
(La voce dell’Assessore Perrotta porta Giovannino alla realtà)
ASSESSORE – Avvocato Calì, tutte le mie felicitazioni! (Al Notaio) Adesso, lei sarà contento, im-
magino.
NOTAIO – (si stringe nelle spalle) Se i ragazzi sono contenti, sono contento anch’io.
GIUDICE – Una bella coppia davvero! (Bacia gli sposi) Auguri! Scusatemi, vado a fare quattro
salti con la mia signora. (Si allontana)
ASSESSORE – (ride) Speriamo che i quattro salti, sua moglie, non glieli faccia fare da solo e senza
musica, come sempre! (A Giovannino) E lei non balla, avvocato? Gli sposi a-vrebbero dovuto
aprire le danze!
GIOVANNINO – (in imbarazzo, abbassa il capo e, istintivamente, lascia cadere lo sguardo sulla
gamba offesa della moglie) Non credo che Vincenzina…
VINCENZINA – Se vuoi ballare…
GIOVANNINO – Se non ne hai voglia, nessuno ti obbliga. (La conduce a parte) Non devi sentirti
a disagio, capito? Non ne hai motivo.
VINCENZINA – (candidamente) Ma io non mi sento a disagio.
GIOVANNINO – (sorpreso) Ah, non… ti senti a disagio?
VINCENZINA – Neanche un po’.
GIOVANNINO – Brava. Sono contento.
VINCENZINA – Credo, invece, che sia tu in imbarazzo.
GIOVANNINO – Io? E perché?
VINCENZINA – Non lo so.
GIOVANNINO – Che sciocchezze. Perché dovrei…
VINCENZINA – E allora, balliamo.
GIOVANNINO – No.
(Un fotografo, intanto, col suo attrezzo, si piazza – spalle al pubblico – per scattare la foto di gruppo).
TUTTI – La foto! Venite! Gli sposi! Dove sono gli sposi? Gli sposi al centro!
(Il fotografo scatta la foto ricordo. I personaggi sono immobili.
Le luci diventano color seppia. Il pubblico dovrà avere la sensazione di stare a guar-dare una vecchia foto ingiallita dal tempo. Poi, mentre si chiuderà il siparietto, lentamente, buio.
La medesima fotografia verrà proiettata sul siparietto. Musica da organetto.
In rapida successione, si proietteranno altre foto nelle quali Giovannino – molto sbra-cato e assai trascurato - verrà sorpreso in atteggiamenti-simbolo della sua “nuova” vita:
- mangia voracemente una grossa coscia di tacchino,
- dorme saporitamente,
- fuma, con gusto, una sigaretta,
- dorme ancora saporitamente,
- gioca a carte con Nino e Ciccino,
- dorme mentre Nino e Ciccino giocano a carte.
Durante le proiezioni, si sente la voce di Giovannino:
VOCE DI GIOVANNINO – La mia vita scivola lentamente… pigra e tranquilla. E non sogno più.
Ho smesso di sognare.
Il siparietto si apre. E l’ultima foto “si anima”
La scena è la medesima: villa Cutuli. Nino e Ciccino giocano una partita a “scopa” con le carte siciliane. Giovannino, appoggiato allo stesso tavolo, dorme. E’ un pomeriggio d’estate),

SCENA 3

NINO – (mentre gioca a carte, a Nino) Dorme come un porco. Ehi, Giovannino, sve-glia!
GIOVANNINO – (intontito) Che ore sono?
CICCINO – (guarda l’orologio) Quasi le sei.
GIOVANNINO – (sbadiglia) Oggi, a pranzo, mi sono appesantito un po’ troppo. Ci voleva proprio
questa pennichella. 
NINO – E chiamala pennichella! Sono due ore che dormi!
GIOVANNINO – Ho fatto un sogno.
CICCINO – (a Nino) Tocca a te.
NINO – (con la sigaretta in bocca, a Ciccino) Fammi accendere. 
(Ciccino esegue).
GIOVANNINO – Avevo dodici anni. Mio padre mi stava riportando in collegio, dai Gesuiti, ad
Acireale… dopo le vacanze di Pasqua. Ero disperato… non volevo tornarci… Piangevo e mi
ero attaccato alla mano di mio padre… “Voglio andare a casa”, gli gridavo fra le lacrime.
Poi si avvicinò un prete che mi prese per l’altra mano e cominciò a tirarmi fino a quando mi
costrinse a lasciare mio padre. E mi trascinò dentro quei corridoi immensi e si-lenziosi… E
io a piangere… a piangere…! Chi se lo ricordava più quell’episodio?
CICCINO – (si sfrega le mani) Dai le carte, Nino! Dai le carte che stavolta sento di vincere!
NINO – Ma se non sai giocare…! (A Giovannino) Cos’hai deciso con la Privitera? Quella ti mangia
con gli occhi, non l’hai capito?
GIOVANNINO – Uno di questi giorni, me la porto nel castagneto.
CICCINO – Domani, suo marito va a Palermo, per affari. Perché non ne approfitti? (A Nino)
Scopa!
GIOVANNINO – Vedremo, vedremo.
NINO – Non avere scrupoli! Tanto, certa gente nasce predestinata. Non ci puoi fare niente. E il
ragioniere Privitera è un predestinato. La sua signora, o gliele fa con te o gliele fa con un al-
tro le corna. Sempre cornuto resta. (A Ciccino) Scopa!
CICCINO – (contrariato, a Nino) E per forza! Guarda che ho in mano? (Butta le carte sul tavolo)
Non gioco più. Mi sono stufato.
NINO – E’ inutile che te la prendi con le carte. Non sai giocare e basta. (A Giovanni-no) Questo qui
più s’incazza e più perde. (A Ciccino) Allora, devo dare ragione a tua moglie?
CICCINO – Che c’entra mia moglie?
NINO – Dice sempre che t’arrabbi per un nonnulla. 
CICCINO – Lasciala stare mia moglie ché è cretina.
GIOVANNINO – A proposito, come sta?
CICCINO – Sta bene, sta bene. Sono io che sto male.
GIOVANNINO – E perché?
NINO – Non glielo chiedere se no s’incazza un’altra volta.
CICCINO – Se non mi avesse portato quei quattro vigneti, col cavolo me la sposavo! Con quel
caratterino che si ritrova…!
GIOVANNINO – Io, invece, di Vincenzina, non posso lamentarmi. E’ sempre pre-murosa, buona,
dolce… Mi vuole bene. Insomma, non mi manca niente.
NINO – Anch’io ci sto bene con mia moglie. Da quando ci siamo messi d’accordo che tutti i beni –
i suoi e i miei – li amministro io, senza nessuna interferenza, non ho avuto più problemi.
CICCINO – Che ne è di Ignazio? Da quando è tornato da Firenze, non si vede più in giro.
GIOVANNINO – Naviga in cattive acque, il povero Ignazio! Gli hanno ipotecato tut-te le proprie-
tà: non ha un soldo. E lui insiste a fare la vita del milionario… ! Macchine co-stose, abiti
ricercati…! E io aspetto. Qualche mese ancora e anche il suo giardino di Pala-gonia passerà
nelle mie mani.
NINO – (sbadiglia) Che ora abbiamo fatto? (Guarda l’orologio) Le sette.
CICCINO – (sbadiglia) E’ ora di rientrare a casa. Stasera mi aspetta una bella parmi-giana di melan-
zane e coniglio all’agrodolce.
GIOVANNINO – Io, invece, ho timballo di riso e capretto con le patate.
(Nino e Ciccino si alzano)
Vi accompagno.
CICCINO – A domani.
NINO – Ciao, Giovannino.
GIOVANNINO – A domani.
(Nino e Ciccino escono avviandosi per la stradella di sinistra.
Giovannino sta per rientrare. Poi ci ripensa…)
GIOVANNINO – (chiama) Nino!
VOCE DI NINO – (f.s.) Che vuoi?
GIOVANNINO – (grida) Tu che mangi, stasera?
VOCE DI NINO – “Falsomagro” e cassata alla siciliana!
(Lentamente, trascinando le pantofole, rientra. Sbadiglia un paio di volte. Si gratta la schiena. Poi, chiude il cancello che, a questo punto, avrà le funzioni di sipario. Il pubblico, attraverso le sbarre del cancello – molto simili alle sbarre di un carcere - continuerà a osservare Giovannino che si av-via stancamente verso il fondo.
Il sole è al tramonto).
GIOVANNINO – (spalle al pubblico mentre si avvia lento, chiama un dipendente) Turi! Portami il
libretto dei conti!

(Lentamente, buio).