Girolamo Comi, un uomo di ogni giorno

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Girolamo Comi, un uomo di ogni giorni

di Gustavo d’Aversa

SCENA 1

(Sul tavolino dei fogli, delle penne, qualche libro. Squilla il telefono. Enrico sale velocemente le scale per rispondere. Dopo poco entra Carmelo: ha un libro in mano.)

Enrico          Si, Biblioteca Provinciale Comi di Lucugnano. Ah è lei, buongiorno                      professore ! Sono Enrico, si mi dica.

Carmelo        (da giù) E’ il professor Gino?

Enrico          (accenna col capo) Ma si immagini, per carità, era nostro dovere. (pausa) Si, si,            credo          che Carmelo abbia trovato un bel po’ di materiale. Beh, quando                           vuole, professore. No, no, sono tutte poesie: … ma una più bella dell’altra.                    …Si, le confesso che le abbiamo lette… tutte… e ci siamo innamorati                         anche noi di Comi. È per questo che abbiamo fatto quelle interviste su                            nastro.

Carmelo        Chiedigli se le ha ascoltate !

Enrico          Si, …diciamo che è stato il suo piacere per la ricerca così minuziosa e                             severa che ci ha contagiati un po’. Macché, s’impara sempre invece e da                         tutti. No, il nostro intento era più umile. Eravamo solo curiosi di sapere              come la gente di Lucugnano ricordava il suo poeta Girolamo Comi.

Carmelo        Allora, glielo chiedi si o no?

Enrico          È Carmelo che scalpita. Si, ha compreso benissimo… è sempre per quei               nastri… Come? …Ma sono soltanto delle registrazioni… delle semplici                         interviste ai lucugnanesi, fatte così, con mezzi di fortuna e sul filo tenue                della memoria… Pubblicarle? Come sarebbe pubblicarle?

Carmelo        Cosa? Fammici parlare!

Enrico          E’ fin troppo gentile, professore. Guardi, le passo Carmelo che è meno                         esterrefatto di me. (posando la cornetta) Vuole pubblicarle !

Carmelo        Professore, buongiorno! Bene grazie! Si, noi ne siamo veramente lusingati.            E se lei intende farne un libro prenda pure da quei nastri tutto quello che le                  occorre. Ah, no…? Non ho capito bene, scusi… collaborazione?... ma io              non so se anche Enrico… si certo è comunque un contributo alla                     conoscenza di Comi. Noi ci proviamo… per la prossima volta, va bene.           Professore che devo dirle, io sono impietrito. Si, grazie, buongiorno.                             (posa la cornetta)

Enrico          Che ha detto?

Carmelo        Ha detto: buon lavoro.

Enrico          Vuole pubblicare un libro, hai sentito? Da questi nastri?

Carmelo        Hai capito male, Enrico.

Enrico          Male? Che dici, se lo ha detto a me per primo !

Carmelo        Il libro non vuole pubblicarlo lui.

Enrico          Ah no ?

Carmelo         No! Vuole che lo pubblichiamo noi.

Enrico           Noi !?

Carmelo        Proprio così! E ha detto anche che lui ci darà senz’altro tutta la sua                      collaborazione. Capisci?

Enrico          Ci rideranno dietro. Io e te che facciamo letteratura.

Carmelo        E ha aggiunto che la prossima volta che verrà a Lucugnano vorrà vedere già                  pronta la prima stesura. Ma ti rendi conto?

Enrico          La prima stesura? Daccordo che passiamo la vita in mezzo ai libri, ma                           questo non vuol dire che sappiamo scriverli.

Carmelo        Gliel’ho detto che siamo inadeguati!

Enrico           E lui?

Carmelo        Ha risposto che quelle 32 registrazioni non è giusto che restino sepolte in             un cassetto e che la prospettiva nella quale ci siamo mossi gli appare                          interessante e originalissima.

Enrico          Originalissima? T’ha detto davvero così?

Carmelo        Certo e m’è parso sincero. Anche quando ha sostenuto che in fondo il libro                  è già scritto e che i veri autori sono proprio Comi e la sua gente.

Enrico          La nostra gente. La gente buona e semplice di Lucugnano, che ha amato e           che continua ancora oggi ad amare il suo poeta con sentimenti puri e                         incancellabili. Si, il professore Pisanò ha ragione, Carmelo. Tutti quelli che            abbiamo intervistato, dall’artigiano all’operaio, dal contadino al barbiere ci                  hanno restituito la figura di Comi nel senso più profondo della sua carità,                   della sua amabilità nell’intrattenersi volentieri con chiunque.

                   Anche nei momenti più duri della solitudine e della sofferenza, Comi non è                   mai rimasto solo, ha avuto sempre accanto la sua gente, ogni giorno,                             fino all’ultimo.

(entrano Francesca e Roberta)

Francesca      Permesso?

Carmelo        Si? Prego, avanti!

Roberta        Buongiorno!

Enrico          Buongiorno a voi. Allora, in cosa possiamo esservi utili?

Francesca      Le dico subito. Io sono Francesca, lei è Roberta: siamo due studentesse                         universitarie. Frequentiamo il secondo anno di Lettere a Lecce e fra un                          mese dobbiamo sostenere l’esame di Storia della Letteratura Italiana                             moderna e contemporanea.

Carmelo        Col Professor Valli, vero?

Roberta        Si, con lui. Si tratta di un Corso monografico su Girolamo Comi: il poeta di                   Lucugnano.

Carmelo        Ah, ecco vedi? Bisognerà proprio pubblicarlo quel libro.

Enrico          Il Professore Valli ha speso molte delle sue energie, lo sapete, per difendere                   e accreditare la cultura salentina a ogni livello e col poeta Comi ha                        condiviso tantissime esperienze umane  letterarie.

Francesca      Appunto! Ha centrato il segno. È proprio quest’ultimo aspetto che ci                            interessa conoscere più approfonditamente.

Carmelo        Spiegateci meglio.

Roberta        Di Girolamo Comi e della sua opera poetica hanno scritto in tanti. I saggi            di critica letteraria ne hanno scandagliato lo stile, la formazione, il carattere,              la scrittura. Invece quello che noi cerchiamo è un profilo biografico non               ufficiale, come dire, inedito, ecco.

Enrico          Un Comi dietro le quinte, insomma.

Francesca      Esattamente. La sfera del suo privato è quella meno indagata. Sembra quasi                   che viva avvolta nel pudore della riservatezza, del vivere quotidiano.

                   È come se il poeta stesso abbia voluto separare l’immagine dell’intellettuale                   da quella dell’uomo. Noi, invece, vorremmo coglierla quest’immagine,                            aprire il sipario immaginario che dal poeta conduce all’uomo di ogni giorno.

Carmelo        Uomo di ogni giorno, è una bellissima espressione.

Francesca      Davvero?

Roberta        Allora potete aiutarci?

(Enrico e Carmelo si guardano perplessi)

Enrico          Si, per il momento potete consultare tutto il materiale che abbiamo qui.                         Opere di Comi, su Comi. Temo però che ci vorrà un po’ di tempo: i libri              sono davvero tantissimi.

Francesca      Gliel’ho detto, abbiamo un mese. E la voglia non ci manca.

Roberta        Vorrà dire che verremo più spesso a farvi visita, se a voi non dispiace.

Carmelo        Affatto, sarà un piacere. Ci faremo compagnia.

Enrico          Allora tutto quello che a voi interessa è lassù. Accomodatevi pure e buona            fortuna.

Carmelo        Buon lavoro, ragazze.

Francesca      Grazie! Vieni Roberta!

Roberta        Eccomi.

Francesca      Permesso.

Carmelo        Hai sentito? Girolamo Comi: uomo di ogni giorno.

Enrico          Eh! Come titolo non sarebbe male.

Carmelo        Io dico di provarci. Riascoltiamo quei nastri tanto per cominciare e poi                          mettiamoli su carta.

Enrico          Dici?

Carmelo        Io ho già pronta la penna.

Enrico          No Carmelo, per scrivere questo libro non ci occorre la penna.

                   Lo scriveremo con la voce della gente. Si, è un inchiostro invisibile ma,                          vedrai, basterà riascoltare le voci dei lucugnanesi e subito ci sembrerà di                rivederli tutti qui ancora vivi e veri. E in mezzo a loro, vivo come loro,                     vedremo apparire sul filo del ricordo proprio lui, Girolamo Comi.

 MUSICA   (Entrerà Girolamo Comi e salirà sul praticabile centrale.)

SCENA   2

Enrico          (prende una cassetta audio e legge) Augusto Fiore Indino, io comincerei proprio                   da lui.

Carmelo        Maestro figulo per oltre settanta anni. Ricordi quando siamo andati a                            intervistarlo? Era costretto a letto da un malanno di stagione e tuttavia ci             accolse con così tanto affetto.

Enrico          Chi era quella donna?

Carmelo        Quale?

Enrico                    Quella che venne ad aprirci.

Carmelo        Ah, si. Credo che fosse la nuora, ma non ne sono sicuro.

Enrico          Io ricordo la voce del maestro Fiore. Una voce tremante, confusa e tuttavia                   schietta, gradevole. Una voce antica.

(Registrazione maestro Fiore: presentazione)

Fiore            Du sire o du fiu? U sire se chiamava Don Peppinu: me ricordu ca quannu             ieu era piccinnu sciucava sempre allu carcumurriscu cull’otri vagnoni nnanzi                u parite du Palazzu. Sarà ca davane fastidiu a Don Peppinu ? Nna vota scise                 tuttu nfelacatu. L’otri vagnoni se ne fuscirene e rimasi sulu ieu percè me           rregulava ca nun era datu fastidio. Me ssattò nna bella scarufata c ancora me                   la risentu. Dicivane ca era tristu Don Peppinu e ca se rraggiava cu nnenzi.

Enrico          Molti dicono che era una persona generosa.

Fiore            A famia Comi era na famia generosa. A San Giuseppe cucinavane a massa e                  la davene alli ristiani. Vania gente de Tutinu, de Santa Femia, Specchia,                          Tricase, de Alessanu… de ogni vanna. Tannu sparivane puru e cotime cotte                   cu ppotene mantire a massa.

Enrico          Le ‘cotime cotte’? E che cosa sono? (a Carmelo)

Carmelo        All’epoca a Lucugnano c’erano molte botteghe figule. Quando un vaso si             rompeva durante la cottura, i cocci venivano buttati via e allora la gente li             raccoglieva per metterci pasta e ceci.

Fiore            Eh, tannu a fame era fame!

Carmelo        Maestro Fiore, tu hai conosciuto anche le sorelle del signorino?

Fiore            Don Peppinu e Donna Costanza tanivane 4 fili: 3 fimmane e u signurinu.             Quannu ieu era piccinnu, le vidia passare sempre e signorine. A piccinna de                    tutte era a cchiu bbedda: chira l’erane cresciuta cullu latte de ciuccia!                             Quannu passava idda paria na stidda, ma ricordu ncora, nnanzi ll’occhi la           tegnu. Otru ca le vagnone nosce ruscinate, strazzate e squasate. Però a                             signorina a picchi tiempu muriu, sarà pe nna polmonite, ca tannu cci ggé ca              ncerane e medicine de moi!

Carmelo        E del signorino Girolamo, cosa ricordi ?

Fiore            Quannu u Cugnanu era piccinnu, ca quattru catti erane, a ggente scìa tutta            allu palazzu pe llu manciare, cu lli cerchene i sordi. E llu barone                                   ccuntentava tutti. Tantu ca li facia vanire tutti alla fine de ogni mmese cu             facene ‘tuttu nnu cuntu’.

                   U signurinu vanìa sempre a casa mia, adunca ncè a fermicia moi, e me                           ddumannava ci vò a Casamassedda, cu vinnu alla chiazza. A Casamassedda                    tre case nc’erane, e ddai iddu tania nna zzia, donna Carolina, sorella a                        Donna Costanza, a mamma du signurinu. Ieu faticava alla terracotta, ntra            putea mia e lu signurinu abbitava ddavvicinu. Nna vota trasiu ntra putea.

COMI         Maestro Fiore, aggiu bisognu de 50 capasuni.

Fiore            E che ni fai, signurinu?

COMI                  Li vole a zia mia di Casamassella, che ha molti cunii. I capasuni ca tania                          s’hannu scasciati perché li cunii li turene e li rumpene.

Fiore            Va bbene, signurinu. Sarai servitu.

COMI                  Quantu tiempu nci vole, maestru Fiore?

Fiore            Embeh, una ventina di giorni nci volene: la’ de fare, hannu friscere, l’aggiu            cuocere. Quando sono pronti ve lu saccio a ddire.

COMI                  D’accordu. Allora spettu ca me chiami, maestru Fiore. Atte bbonu.

Fiore            Santitime sanu! I capasuni li cucii e nni purtei. Ma, prima cu ppartu a                    Casamassedda, a sira prima, vinne attorna u barone…

COMI                   Maestru Fiore, crai, dopu u mercato u trainu mannulu, percé puru ieu                            sto ddai e cusì, a vespera, ne vanimu ccoti.

Fiore            Va bbene! E cusì, spicciata a chiazza, ne mmannei u trainu, ne misime                           ancavaddu ntra machina e ne vinnime. U signorinu la facia vulare a                      machina, ca no lli facia tuccare mancu e rote a n’terra.

Enrico                    Guidava molto veloce?

Fiore            Veloce? Ca ieu timia. Pe lla miseria. Chiru tantu ca fuscia se mise focu                            alla machina ntru Capu, vicinu a Gaianu.

Carmelo        Che persona era?

Fiore            U signurinu? Emmeenchiaaa! Era il primo poeta d’Italia chiru! A                                   chiacchiere a piamu?

Carmelo        Quindi tu sapevi che il Barone era ed è un Poeta importante?

Fiore            U sacciu, lampu! Ca l’imu dati puru l’auguri. Nna sira ne truvemme 20-30              de nui ntra puteca du mieru de l’Anacletu e quarcunu ‘ncuminciò a dire:

                   “ Sciamu, sciamu allu palazzu cu lli damu l’auguri allu signurinu” e scimme             tutti. Iddu se nfacciò da loggia e nne ringrazziò, tuttu cuntentu.

                   U signurinu nosciu? Pe lla miseria. E ci li tuccava u nasu a chiru ddai.

Enrico                    Ma a te metteva soggezione o era una persona alla mano?

Fiore           Era bravu cu tutti. Facia sempre bbene, a carità a tutti chiri ca scivene. Era          bbonu puru cu lli furastieri. Nci n’era unu, u serpe nivuru de Alessano, ca              vanìa sempre a mpalazzu cu cerca l’elemosina. Na vota u Barone se ne                          sciu a Roma pe quarche mese e quannu turnò u serpe nivuru li disse parole:                “ Comu signurinu? Te ne scivi pe tantu tiempu, nnu ssapivi ca ogni fine mese m’eri                       ddare l’elemosina? Mò tocca mmi dai tutti ccoti! ” A nnu cciallenza de chiri! Cci lla                   piamu a scherzu, de veru?

Enrico          Quando parlava con te scherzava mai?

Fiore            Sss!...

Carmelo        E su che cosa scherzavate?

Fiore            De allegria, de allegria: ca a Lucugnano li vulivene bene. Eh… u signurinu             valia quantu pasava l’oru.

Enrico          E il barone sapeva che voi gli volevate bene?

Fiore           Siii, e comu era cuntentu de sta cosa! Chiru, quannu nu tania ancora                     machine, camanava cu lli birocci, cu lle carrozze e scia sempre cu lli sordi              ntra poscia. Quannu vadia cinque-sei vagnoni, zziccava i sordi e li manava a                   nterra. I vagnoni: uuuhhh - tantu li presci, capitu? E poi… na cciallenza de                   chiri, comu è sciutu spicciare.

                   A zzi Cuncetta v’a rricurdati?

Carmelo        Come no?

Fiore            Bhé, u signurinu, quannu era ca muria de fame, scia a dda idda cu lli cerca             nna puccia, nna cuddura, ca sapia ca facìa u pane. A nna cciallenza de chiri                  nu lli davane u pane. L’hannu spurpatu. Certi fattori ca tania poi, ci lu                       scurciava de nna vanna e ci lu scurciava de l’otra.

                   Mò ve cuntu nnu fattu. Unu de sti fattori se facia pacare l’affittu dai                     contadini ma u barone no llu sapia. N’annu u furese sciu allu signurinu cu lli                   paca l’affittu e lli disse:

Fiore            E’ permesso, signor Barone?

COMI                  Avanti, avanti.

Fiore            T’aggiu nnuttu i sordi pe l’affittu.

COMI                   Quali soldi?! De ci affittu aci cunti?

Fiore            Chiri ca do ogni annu allu fattore pe l’affittu da massaria…

COMI                  Ah si? E ci la visti mai sti sordi?!

Fiore            Iti capitu? Cusì scivene le cose.

Enrico          E’ per questo quindi che il Barone morì così povero: non amministrava                         bene la sua proprietà?

Fiore            Noo, nu sse ne futtia propriu! Stava quasi sempre a Roma e llassava dittu              tuttu alli fattori. Ca pe quistu l’hannu rruvinatu. L’annu costrettu cu va                          all’elemosina. E scia propriu sulu cu lla cerca, nu sse ne scurnava de nenzi.                  Chiru era na          cciallenza. U Pisanelli ca sta su e scale du municipiu e a                            mmenzu a chiazza a Tricase, tuccava cu sse scappella de nanzi allu barone            nosciu. Ha capitu?

Carmelo        Insomma a Lucugnano avevamo veramente un grande uomo.

Fiore            Eh, nnu cciallenza de chiri! Cci lla piati a chiacchiere de veru?!

Enrico          Ricordi quando è morto?

Fiore            Sii, u purtemme a ppurgissione! Giremme tuttu u paese, ma banna nu nci             nn’era. (si accorge del registratore) Ma, stu cquai cci rrobba è? Nunn’è ca cumu           cuntu ieu tira ddai?

Carmelo        No, è l’apparecchio per le fotografie.

Fiore            Camanati, sciati!

Carmelo        E va bene. Abbiamo registrato tutto quello che lei ci ha detto. Non ti fa               piacere sapere che abbiamo registrato i tuoi ricordi su Comi?

Fiore            Si, si, se mmerita u signurinu nosciu. Cose dell’altro mondo. Era bbonu se            moi stia cquai.

Enrico          Pensi che farebbe ancora molto per il paese?

Fiore            Ch’allora! Tuttu facia. Nu nne nascene cchiui comu u signurinu nosciu.                          Chiru dese tuttu: sordi, pane, terre; tuttu dese alli poveri.

Enrico          Grazie, maestro Fiore.

Carmelo        Auguri per la tua salute e cerca di rimetterti al più presto.

Fiore            Stative bboni. U signore cu vve ccumpagna.         

(Registrazione d’uscita)

SCENA  3

Roberta        Francesca.

Francesca      Ehi!

Roberta        Lo sapevi che Comi era appassionato di musica classica?

Francesca      No.

Roberta        Più di tutti amava Bach, Mozart, Debussy e Ravel.

Francesca      Io qui ho trovato una breve storia del baronato Comi.

Roberta        Leggi: può essere interessante.

Francesca      (legge un documento) “Sigismondo Castromediano affidò all’avv. Cortese, un             antenato di Comi, una causa legale di difficile soluzione promettendogli                che, se l’avesse vinta, gli avrebbe ceduto il titolo di Barone di Lucugnano…

Roberta        Naturalmente vinse…

Francesca      …e Castromediano mantenne la sua promessa. I Comi, già baroni di                             Corigliano, fecero costruire qui, a Lucugnano, questo palazzo. Don Nicola            Comi sposò una delle figlie dell’avvocato Cortese e così il Palazzo passò al            nipote, Don Peppino Comi, e a sua moglie, Costanza De Viti De Marco”.

Roberta        Padre e madre di Girolamo Comi, ultimo di quattro figli. Lui e tre sorelle:             Natalia, Etta e Giorgia.

Francesca      Pensa che la madre, Donna Costanza, era sorella di Antonio De Viti De              Marco, il grande economista radicale.

Roberta        Lo stesso che lo aiuterà più tardi quando, sotto le armi, nel 1915, venne                         intercettato un suo carteggio tenuto in corrispondenza con un amico                            francese. Era una specie di diario pacifista, per il quale subì addirittura un              processo per disfattismo a Chieti. L’influenza dello zio lo scampò dal                        carcere e gli fece commutare la pena. Così, invece che in prigione, Comi si                   ritrovò al fronte, in prima linea sull’altopiano di Asiago. Era il 1918.

Francesca      L’esperienza bellica durò poco, mi pare.

Roberta        Prima ricoverato in un ospedale psichiatrico e poi congedato con la                     diagnosi di “nevrastenia cerebrale”. 

Francesca      Hai detto nevrastenia cerebrale?

Roberta        Già. Pare che in prima linea fosse indisciplinato, insofferente e pericoloso             per sé e per gli altri.

Francesca      Era un poeta. Pensa che durante le notti passate all’addiaccio in trincea                         sparava a caso, finché la canna del fucile diventava così calda e arroventata           da scaldargli le mani. 

Roberta        Ma qual era la vera follia di Comi, giovane soldato, tutt’altro che ispirato da                   sentimenti patriottici e da ambizioni eroiche?

Francesca      Forse dobbiamo fare un passo indietro. Si era allontanato da Lucugnano              alla morte del padre Giuseppe. Fu la madre a costringerlo a passare così            repentinamente da un piccolo borgo dell’estremo Capo di Leuca alla                          disciplina rigorosa e austera di un collegio svizzero, persuasa com’era di                    poter instillare nel figlio il giusto senso del dovere.

Roberta        Già, perché pare che da ragazzo all’Istituto Capece di Maglie e al       Palmieri                di Lecce non avesse ottenuto che scarsissimi risultati.

Francesca      La speranza della madre è però presto delusa. Girolamo conduce una vita            sbandata e irregolare.

Roberta        Si sa per certo che rimase coinvolto in una triste storia con una donna                           sposata.

Francesca      Qualcuno ha parlato addirittura di un ménage a trois con una coppia di                         mezza età. E comunque fu proprio questa avventura a indignare donna                         Costanza, inducendola a sospendere l’invio dell’assegno mensile.

Roberta        E tuttavia, proprio in Svizzera e proprio quando conosce l’indigenza e la              povertà, Comi si scopre per la prima volta poeta. Nel 1912 pubblica il suo            primo libro di poesie, Il lampadario.

Francesca      Intanto Parigi è un richiamo troppo forte, è la meta preferita degli                       intellettuali in cerca di novità e di appagamento spirituale e Comi                                   certamente non fa eccezione. Vi si trasferisce e frequenta intensamente i               circoli culturali parigini. Stringe amicizia con Gourmont,Valery, Claudel.

Roberta        I tre anni di soggiorno parigino sono fervidi ed esaltanti. Elegge suoi poeti:                   Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé          e Verlaine.

Francesca      Fermiamoci qui per il momento. Però, che personalità autorevole e che vita                   intensa. Davvero un uomo fuori dal comune. Nella sua vita ha saputo                           accettare tanto i fasti del blasone e dell’ alloro poetico quanto il baratro                          della più nera povertà.

Roberta        Morì poverissimo! Come mai? Eppure aveva un patrimonio notevole su               cui contare.

Francesca      Davvero non lo so. È certo però che proprio nell’amarezza della povertà              andò consolidandosi il rapporto con la sua gente. Un uomo così intelligente                  e benestante s’immiserì al punto da aver quotidianamente bisogno dell’aiuto                   dei suoi compaesani per sopravvivere?

Roberta        Molti sostengono che la causa della sua rovina fu il tracollo degli Oleifici.              Intorno alla metà degli anni ‘40 infatti Comi, insieme ad altri soci fra cui               anche le sorelle, costruì un oleificio sociale. Lo scopo naturalmente era                     benefico. Mirava a sostenere i suoi grandi progetti culturali e soprattutto ad                    alleviare la miseria dei lucugnanesi nei tempi difficili del dopoguerra.

Francesca      Ma era un’utopia. Come poteva pensare di legare la letteratura all’ impresa:           una Platonica Repubblica delle Lettere associata a un Oleificio Sociale?

Roberta        Una bella utopia però. Non c’è che dire.

SCENA  4

Carmelo        Orlando, tu sei stato uno dei più giovani operai dello Stabilimento oleario             del Barone. Che cosa ricordi di quel periodo?

Orlando        Erane l’anni ’48 - ‘49 e ieu faticava pe llu signurinu, insieme a tanti altri                          giovani di Lucugnano. Vanivane allu palazzu percé u fattore n’era dare a               paca, ca era de 250 lire u giurnu. Succedia  ca i cunti non turnavane e u                          fattore cercava tte paca qualche sciurnata de menu. Allora il                                barone si affacciava alla finestra e lli comandava di pagarci quanto                      chiedevamo.

Enrico          Com’era la paga?

Orlando        Era bona, tantu veru che tutti volevano entrare a faticare nell’oleificio.

                   A quei tempi per farti a sciurnata ti toccava andare a zappare la terra.

                   Addà intra ‘nvece, chiuvìa o no, la giornata era sicura e con la bustapaca a            regola.

Carmelo        Che ambiente c’era al sansificio?

Orlando        Se stava boni. Pe chiri tiempi se stava propriu boni. Nenzimenu nc’erane              puru e docce, e ci l’era viste mai !? Ca nui a casa nne lavavane ancora ntra lli                 ummili. Chiui de na vota, quannu a fatica mancava, u barone nne purtava                    a fore pe ccojere e cirase. Per noi era veramente una grande festa stare                        sugli alberi e mangiare a più non posso. Na vota però u fattore se ne                             ncorse e ne fice cantare a ‘nforza dimodocché nu nne putimme chiui                          manciare e cirase:

                   “Cantati, cantati vagnoni, cantati sempre” dicia ddu carogna. U barone ntise e             nci chiese :

COMI                   Ma perché cantate?

Orlando        Signor Barone, il fattore ci fa cantare per farci tenere la bocca occupata.                Ci ncusa che ci mangiamo le ciliegie.

COMI                   E voi mangiatele pure. Dovrà passare un altro anno prima che ne possiate          mangiare di nuovo.

Orlando        Uhh quante cirase, nne nchimme e ciste. E u barone ci faceva riempire                          pure le tasche e la camicia cu lle purtamu a casa. Erano tempi mari chiri,               vui no vve la mmaginati a fame ca nc’era.

Enrico          Il Barone si prendeva cura dell’andamento dell’oleificio? Voglio dire, veniva                   mai a trovarvi per controllare il lavoro?

Orlando        Mai. Qualche fiata veniva a trovarci, quando mancava a luce pe’ dire.

                   Dicìa che il suo lavoro era diverso dal nostro, ma che lo stesso era faticoso.                   Ah, poi ci parlava sempre di un giovane di Tricase ca era bravissimo alla               scuola. Il barone gli voleva molto bene.

Carmelo        E tu sai chi era quel giovane?

Orlando        Come non lo so?! Era il Professore Valli Donato.

Enrico          Ma quando parlava con voi, incuteva mai soggezione?

Orlando        No, cuntavi comu vulivi. A duminaca indirittura ci chiedeva di andare con            lui a Leuca, cu nne santimu missa allu Santuariu.

                  

Carmelo        Ci andava ogni domenica?

Orlando        Pocca, prima scìa a Lucugnano. Se sattava a rretu u Coru. A iddu però                           sta cosa li nnuiava, perché, comu aggiu dire, gli piaceva stare in mezzo alla            gente. Pe’ quistu ogni duminaca nzignò scire a Leuca.

                   Na fiata lo accompagnai pure io, e ci se lu scorda. Dopo la messa                         comprò una cernia, che a lui gli piaceva molto il pesce, allu turnare però a             macchina pijò focu, se brusciò deveramente. Ma iddu, come se niente fosse:

COMI                   Non mi dispiace tanto per la macchina che si è bruciata, Orlando, quanto            per la cernia che è rimasta dentro! Oggi resto a digiuno!

Orlando        Propriu cusì disse. N’ha cumminate trastulle cu dda diaulu de machina.                          Pure negli ultimi tempi ccumpagnava la gente che aveva bisogno cu lla                          macchina. Guidava chianu chianu però, tantu veru ca quelli che stavano di            dietro li cridavane cu fusce. Allora a iddu ci nne zumpò ncapu: mise nu                             cartellu a rretu u parafango cu tanta de scritta: SI RODA.

                   Aho, ciuveddi lu cridò chiui. Iddu a innanzi lentupede, e tutti a rretu a                           purgissione.

Enrico          Perché l’oleificio fallì così presto?

Orlando        Nc’erane mute capu. Però fose nu veru peccatu, perché appena lu chiusera,                    muti de nui lassara tutto, casa mujere e fiji e migrara comu turdi alla                      Svizzera. A mie me vinne bona: me misi u salone de barbiere e cquai su                        rrumastu.

Carmelo        Tu lo sapevi Orlando che il Barone era un poeta?

Orlando        Beh, tannu no llu putìa sapire. Tutti lu chiamavane signurinu o barone.                          Poi quando me dissera che aveva scritto libri e libri, lu truvai e lli dissi:

                   “Eh, voi poeti, chissà quanto guadagnate tutte le volte che scrivete un                           libro”.

                   Me ricordu ca se fice na punta maru…

COMI                   Chi te l’assicura Orlando che noi poeti guadagniamo dieci lire al giorno                          come le guadagni tu? Il Poeta è uno dei più miseri. Il Poeta risorge dopo la          morte. In vita non siamo niente, e niente saremmo nemmeno dopo se non                   ci fosse qualcuno capace di divulgare e far conoscere la nostra poesia. La                  vita del poeta incomincia dopo la morte, con la resurrezione. Il vero poeta              muore povero.

Orlando        E cusì fose. Era nu veru poeta, ma noi non eravamo dell’altezza per capirlo.

Enrico          Te lo ricordi il giorno della sua morte?

Orlando        Si, fu un giorno di lutto per tutto Lucugnano. Ciuveddi sciu alla sciurnata.             Ma ve dicu puru ca senza i sacrifici da Tina era mortu deci anni prima.

                   Nu n’era na serva, era na santa, a Tina. L’urtimi anni sù stati brutti pe lu               barone, ma fenca all’urtimu è statu nu galantommu de modu e de fattu.                         Comi era Comi, no nne nascene chiui.

(Registrazione d’uscita)

SCENA  5

Francesca      Roberta, prendi quest’ appunto per favore. 

Roberta        Aspetta. Finisco di scrivere questa nota che mi sembra importante. Ecco,             sono pronta. Detta pure.

Francesca      Dopo Losanna e Parigi, nel 1918 Comi si trasferisce a Roma con la moglie           Erminia De Marco e dopo solo un anno diventa padre di Myriam.

Roberta        A Roma conosce Onofri e Moscardelli, ma soprattutto Bonaiuti, grande              teologo e storico del cristianesimo.

Francesca      Ernesto Bonaiuti vuoi dire?

Roberta        Si, il sacerdote sospeso a divinis per le sue idee moderniste. Il sodalizio che            nasce tra lui e Comi è all’origine della conversione al cattolicesimo del poeta                   lucugnanese.

Francesca      A Roma trascorre tutto il periodo bellico, fino al ‘45. Pensa che nella sua              casa romana dà rifugio a una coppia di amici ebrei perseguitati.

Roberta        Ma in tutti questi anni Comi non disdegna di tornare frequentemente a                         Lucugnano. È un continuo andirivieni il suo, fino al 1946, quando vi si                          trasferisce per sempre.

Francesca      I rapporti con la moglie sono però ormai definitivamente compromessi.

Roberta        Era proprio questa la nota che avevo appuntato. Il loro matrimonio                     apparve fin dall’inizio un matrimonio infelice. Si andava avanti fra screzi e            incomprensioni sempre più profondi e inconciliabili.

Francesca      Chissà perché !

Roberta        Non lo so, non ho trovato nient’altro su questo punto. È un argomento              molto intimo e delicato. Non t’aspetterai certo di trovarlo chiarito e svelato                   dentro una biografia?

Francesca      Già, le biografie ufficiali sembrano dire tutto e alla fine non ti dicono                             niente. Sembrano tanti gusci vuoti.

Roberta        Cosa credi, piacerebbe anche a me romperla questa scorza di ufficialità per          sorprendere un Comi più vivo e insospettabile, per toglierlo insomma dal             suo stesso piedistallo.

Francesca      Dobbiamo cercare aneddoti, episodi, particolari apparentemente anche                         poco interessanti ma capaci di restituirci un suo ritratto più umano.                      Sapere se era capriccioso per esempio, severo, ironico, che so io…                             imprevedibile.

Roberta        Già, sappiamo di certo che era leale, altruista, raffinato. Un vero e proprio            cavaliere dello spirito, ricco di tante virtù. Ma Girolamo Comi era davvero            immune da tutte quelle piccole debolezze che in fondo poi sono comuni a                    ogni uomo ?

Francesca      Forse no. Ma a chi potremmo chiederlo ?!

Roberta        Già. A chi?

SCENA 6

Santa           Nah fili mei. Ma allora nu nniti capitu nenzi propriu! Allu Barone li prudìa            l’anima. Era scherzibile, comu aggiu ddire. Me ricordu quannu passava a               furmine cu lla machina ntra lle strittale de Tutinu. Appena vidia nna                             caddina se piava gustu cu lla ccide.

Lucia           La segutava propriu, cu lla machina.

Santa           Allora ssia a patruna e cridava: “E ccomu! E mme ccidi a caddina?! Ca me facìa              già l’oviceddu!”. Allora u barone se vutava all’autiste e lli dicia:

COMI                   Mmè, scinni Ninu, vì quantu ne vole e pacala.

Enrico          Pensate che lo facesse apposta a investire le galline?

Lucia           Mah. Ieu pensu ca lu facia percè a chiri tiempi a carne era picca. Se no percè                  u barone prima ccidia a caddina, poi la pacava e de susu la rricalava alla                          patruna? Dicu bonu Santa?

Santa           Si, era bbonu de core lu barone; tanìa l’ira de diu de rrobba e ntra casa sua            ncerane tutte le provvidenze. Tantu veru ca quannu vania Natale u curtìu              de sutta se nchia de vagnoni ca cridavene: “li vivi, li morti, li belli serafini”.                        Iddu se nfacciava da loggia e mmanava bustine chine de pittele e dolcetti.                Quante cchiù bustine manava, cchiui i vagnoni cridavene. E quannu se                          spicciavene e pittele, manava maranci e mandarini.

Lucia           Santiti a mmie, mò ve ne cuntu n’otra. U barone scia mute fiate a Leuca cu                    sse vide missa e allu turnare ccumpagnava tutti chiri ca vidia all’ampede                ammenz’a via. Na vota ccappò puru a Santa. Nà cuntala tie Santa.           

Santa           Fili mei, me ricordu ca aci chiuvia, te la manava a capasuni! U signurinu me           truvò ca aci me ne turnava muddata de capu alli pedi e culla crapa de costi.                    U barone se farmò e mme disse:

COMI                   Santa, sali in macchina.

Santa           Nchianu signurinu? Comu nchianu, tegnu puru a crapa cu mie.

COMI                   E allora? Non vedi come sta piovendo? Salite in macchina tutt’e due, tu e            la capra.

Santa           E mme ccumpagnò a casa, mie cu tutta a crapa.

Lucia           Pocca! Ci la cunti nu tte cridene.

Enrico          Ricordate qualche altro episodio curioso?

Lucia           Ssivoja. Ci mancane i culacchi? Tannu propriu sutta allu Palazzu ncera a                putea du Fioravante…

                  

Carmelo        Ah si, faceva il figulo, mi pare?

Lucia           Quistu no ttu sacciu ddire, fiu meu, sacciu ca facia crita. E cu ffazza ssucare                   a rrobba, la mintia tutta de fore, susu a chiazza. Iddu, mmancabbilmente,             nna vota a samana, passava culla machina e la scasciava tutta.

Santa           Nu vve dicu le cridate du Fioravante. Lu santivene de Tricase.

Enrico          E lui, il barone, come reagiva?

Lucia           Iddu? Nenzi, se facia nna risata e se ne nchianava su u Palazzu. Dopu                            però mannava a Tina, dda santa ristiana, cu ddumanna quantu diammana             era ppacare pe llu dannu ca era fattu. Emmò? Ci bbò faci: se divartia cusì.

Santa           Ne sape quarche cosa u Speditu.

Enrico          Espedito? E chi è?

Santa           U…. comu se dice Lucia? Essime nnanzi…

Lucia           U llattature!

Santa           Eccu. Istu vulia dicu.

Enrico          Ah, l’imbianchino?

Santa           E ssimu ccappati. U Speditu era sciutu cu llatta a coce antru palazzu. Na               vota spustò nna credenza e acchiò nterra 5 lire d’argentu.

Lucia           E tannu erane sordi, ca erane sordi, positivi.

Santa           Iddu ci ggè ca fice? Sciu allu barone e lli disse:

                   “Barone, nun è ca ha persu nenzi?”

COMI                   No, Espedito. Perché me lo chiedi?

Santa           Ca aggiu truvata na 5 lire d’argentu sutta a credenza.

COMI         Hai trovato cinque lire? Buon per te. Tienile pure Espedito, sono tue.

Santa           No no no, ieu voju tte le do. Signuria sai ca nu mm’aggiu mai pprofittatu de                  ciuveddi.

Lucia           Eh, ma all’urtimu se le piò però.

Santa           Sine, ma ci voju ddicu: ieu su sicura ca era iddu ca cucciava i sordi. U facìa            mposta cu ssape se se putia fidare o meno.

Lucia           Era furbu, era. Ma era furberia de bontà.

Santa           Noo, nu nci pansava propriu alli sordi!

Enrico          A proposito di Espedito, quando lo abbiamo intervistato ci ha raccontato            un episodio davvero curioso. Lo volete ascoltare ?

Lucia           Si, si ieu su crusitusa.

Santa           Dduma, dduma, ttacca voiu propriu ssacciu ci v’ha dittu u Speditu.

Enrico          Ecco, ci ha detto questo.

(Registrazione Espedito)

                  

Santa           U Barone tanìa u diavulu ncorpu.

Lucia           Ca percè, cull’Anecletu nu fice lu stessu? L’Anacletu, Santa, chiru ca tania a          puteca de mieru.

Santa           Sine, aggiu capitu, addu moi face gnummareddhi a Jolanda.

Lucia           Ca aci me vardi babbata.

Santa           Cuntala, ci l’hai cuntare.

Lucia           Bhè, l’Anecletu lu truvò ca turnava de Roma caricu de quadri.

Santa           Mmh, u barone pe          lli quadri ssia pacciu. Se ne vanìa sempre a ddebbitu de            Roma.

Lucia           E nu rriggetti nu picchi. Me dici cunta e sempre a tie ttocca. Sempre                    predachi? Mò, ci aci dicìa? Sorta mia, che sventura mara bippi. Ah, queta,              unu de sti quadri era chinu de carotti e l’Anecletu li disse:                                            “Signurinu, quantu è bruttu! De cci te n’annamuratu? ”

COMI                  Tu non devi guardare la bellezza della figura o la cornice; è la firma quella             che vale e che lo rende prezioso. Questo quadro l’ho comprato a Roma per                   sette milioni.

Lucia           L’Anecletu ca nu sse tanìa nu ciciuru mucca, li rispuse: “Sette milioni. Ci                era pe mmie nu llu vulia mancu francu. Sta schifezza mantìa a casa mia!”

Carmelo        Ma il Barone si arrabbiava mai?

Santa           Pocca! Quannu se rraggiava diventava verde a nfacce e se zzavene i capiddi                   de capu.

Insieme                   Na vota…

Santa           Pozzu cuntare ieu moi?

Lucia           Ahi! Cunta cunta ci te tene!

Santa           Eh! Na vota ne cacciò a Maria ciciara pe na cosa de nenzi.

Lucia           A Ciciara…

Santa           A Ciciara, saietta, faticava allu palazzu e nu giurnu fice nu dorce de scusu.

                   U barone spaleggiò. Ne truvò n’otra casa, ne la pacò e ne la mannò du                          palazzu fuscennu fuscennu. Nu nci fose nenzi de fare.

Enrico          Un altro ricordo.

Santa           Na, focu meu, a sciurnata s’hannu misi.

Lucia           Ieu nu nci cuntu cchiui. Cunta tie cunta, ca a favella no tte manca!

Santa           E mena, ca li ristiani tenene de fare.

Lucia           L’urtimu. Dicene ca na vota u barone, vanennu de Caprarica cu llu ciucciu,            truvò ammenz’a via a mujere e a fia ca aci se facivene na camanata. Alla fia                    li vinne vula cu nchiana susu e cu pporta u ciucciareddu. U ciucciu pare ca                 la capiu e no vulia se move chiui. A piccinna cridava, ah ah ah, ma nu nci                 fose nenzi de fare. Era rucciatu nterra. All’urtimu a piccinna perse a                       pacenzia e mullò e redini. No bboi ca lu ciucciu se mise a tirare carcagnate a                 piunonposso, rajannu cu tutte e forze. Nu ve dicu le risate du barone, d’a            mujere e d’a fija.

Santa           E sarà puru du ciucciu. Mò però lassati cu nne sciamu ca se ista tacca cu lli          culacchi scurisce moi.

Lucia           Quant’è beddha: ca sempre tie ha cuntatu. Nu mm’hai fattu dire mancu na          palora.

Santa           Queta, queta, camina, ca si na trozzala. Me n’hai purtate le cirvelle.

Lucia           Stative boni ah, ca quista l’arturu sta se la rusaca. Camina.

Santa           Ci futti Lucia!

Lucia           Camina lentamarenne.

(escono)

SCENA  7

Roberta        E’il 1948 quando Comi dà vita all’Accademia Salentina chiamando a                             parteciparvi eminenti personalità della cultura nazionale.

Valli            Esattamente il 3 Gennaio 1948. E il primo incontro avvenne proprio qui, in                  Casa Comi.

Francesca      Professore Valli, chi erano i soci illustri dell’Accademia?

Valli            Il meglio dell’intelligenza salentina. I primi furono Oreste Macrì, Michele              Pierri e Mario Marti. Dopo appena un anno si aggiunsero: Vincenzo                    Ciardo, Maria Corti, Luigi Corvaglia e Ferruccio Ferrazzi.

Roberta        Cosa spinse veramente Girolamo Comi a istituire una fondazione di                     carattere culturale proprio qui a Lucugnano?

                  

Valli            Il suo chiaro intendimento era quello di elevare il Salento a rango di pedina                    importante nello scacchiere della cultura nazionale, sollecitando nei suoi               rappresentanti più autorevoli, sparsi per l’Italia, l’amore per la piccola patria.                   Gli studi, i costumi e perfino la religione, così come erano praticati nel                        Salento, gli sembravano contaminati di approssimazione e ammalati di                         corto respiro, di miope sguardo. Il suo Salento era fatto non di storia, non                   di occasioni perdute, ma di essenze, di immortalità, quasi di metafisiche                       virtù che gli uomini puntualmente tradivano e che la natura conservava                          intatte nell’alternarsi delle stagioni, in una distesa di tempo fermo e                          assoluto. E poi c’era qualcosa di più. Comi si sentiva discriminato, isolato,                    condannato alla solitudine. E l’Accademia Salentina, in fondo, fu                         l’antidoto, la sua personale contromisura a questa esasperante solitudine.

Francesca      Da questo sodalizio culturale nascerà poi la rivista “L’Albero”?

Valli            Si, ne fu la naturale espressione. L’Albero nacque nel Natale del 1949 come                    bollettino dell’Accademia. Filosofi, poeti, scrittori, critici, pittori, artisti si              incontravano tutti qui, proprio in questo palazzo. Quasi sempre d’estate.               Venivano da Parma, da Roma, da Napoli, da Taranto, da Milano, da tutta                  Italia e tutti ospiti di Girolamo Comi.

Roberta        Chissà che giornate straordinarie furono quelle, piene di entusiasmi                      immagino, e di progetti.

Valli            E’ vero. Pur nella vivacità delle discussioni, nell’asprezza dei contrasti c’era          comunque qualcosa di solidale, di forte, di fraterno, ed era la comune                             convinzione          di operare per qualcosa di buono e di duraturo. Erano i giorni            quelli in cui si credeva ancora nella funzione civilizzatrice della letteratura.

Francesca      Anche lei, Professore Valli è stato in questa casa e anche lei ha respirato ciò                   che restò dell’atmosfera di quei giorni.

Valli            Avevo appena diciotto anni quando bussai per la prima volta con                        trepidazione alla vetrata interna del palazzo. Si presentò una signora, era               Tina, che con la sua tipica inflessione emiliana mi chiese cosa desiderassi.

                   “Ho un appuntamento col Barone”, risposi. E del resto, con quale altro               titolo chiamarlo? Professore? No di certo, perché non lo era. A chiamarlo            poeta temevo di offenderlo.

                   Ma tant’è. Passate due stanze, fui ammesso in un salone molto ampio e da           lì, attraversato uno studio stracarico di scaffali e di libri, giunsi ai piedi di un              letto sul quale giaceva, sofferente, Girolamo Comi. Davanti a lui mi                         appigliai a quella che mi sembrava la soluzione più indolore e dissi:

                   “Buongiorno, signor Barone.”

Comi            Non chiamarmi mai più così.

Valli            Buongiorno, professore. Sono Donato Valli.

Comi            Se non sai come chiamarmi, fa’ alla maniera dei Russi. Chiamami                                   semplicemente Girolamo Comi. E se poi anche questo ti riesce difficile, e             non puoi proprio fare a meno di darmi un nome, chiamami maestro.

Valli            Da quel momento evitai sempre di chiamarlo. Se proprio ero costretto ad            attirare la sua attenzione mi inventavo un colpo di tosse.

Roberta        Era l’Agosto del 1949.

Francesca      E cominciava così una delle più belle amicizie.

Valli            Già, di quelle che valgono una vita.

SCENA  8

Tina             Ho raccolto gelsomini e fiori di campo. Non devono mancare mai in casa.

Comi            Ne ho sentito il profumo prima che tu entrassi. La primavera è nell’aria                         Tina, mi chiama non senti? Io devo uscire, non ce la faccio più a                                   starmene chiuso in casa.

Tina             Per andare dove, Barone? E con chi?

Comi            Prenderò la macchina e andrò a Castro, a Leuca, a respirare un po’                       d’armonia. E poi andrò a vedere il mare col mio amico Donato. Lui sa che           non posso camminare per via della gamba che mi duole. Passeggeremo in                    macchina come sempre.

                   Sai Tina, lui sa ascoltarmi come pochi: io gli declamo i versi che mi nascono                  là per là e lui mi sta a sentire.

Tina             Non fate tardi, mi raccomando. Vado a mettere questi fiori nello studio.               (Esce)

Comi            Donato, amico mio, cosa ne pensi di una delle nostre passeggiate spirituali?

Valli            Come posso dirti di no. Lo so bene che la tua poesia si nutre di terra. Delle                   stesse linfe segrete che alimentano i fiori e gli ulivi secolari. E dimmi, dove            andremo stavolta?              

Comi          Ti porterò a vedere il verde delle foglie di fico appena dischiuse. È un verde                   indescrivibile, credimi, sconosciuto persino alla tavolozza dei pittori. È la              luce che lo fa così magico. Vedrai, ha una dolcezza che sa d’infanzia e di             paradiso terrestre.

Valli            E dopo quale altro stupore ci aspetta?        

Comi            E dopo c’è il mare, l’odore della terra, ci sono i semi, l’incanto del                        paesaggio, l’azzurro del cielo, la bellezza degli ulivi. C’è tutta la meraviglia              della Natura. Vieni, Donato, accompagnami nel Tempio di Dio.

          

Valli            Sei davvero un poeta contadino. Questo tuo legame con la natura e i suoi             frutti è così intenso e assoluto. Tu non sei il cantore della mera bellezza del                   nostro paesaggio, sei piuttosto il poeta delle forze spirituali, invisibili e                           segrete che nutrono e alimentano questa bellezza. Comunione fra natura e                 spirito: questa è per te l’armonia che regge l’universo.

Comi            Io sono affascinato. Affascinato è dir poco, innamorato della figura biblica                   del contadino.

Valli            Ti ricordi quella domenica che venisti da me? Eri così turbato e al tempo             stesso esaltato. Eri stato a Leuca per la messa e nei pressi di Gagliano una            contadina ti aveva chiesto un passaggio.

Comi            Le parole che mi ha detto quella donna sono state così profonde che                            nessun saggio, nessun sapiente avrebbe potuto mai pronunciare.

                   La sapienza, caro Donato, io credo stia proprio in questa capacità di                    penetrare i più profondi misteri della vita, che gli uomini colti, con tutti i               loro pregiudizi culturali e con tutta la loro intelligenza, non riusciranno mai                  a indagare.

Valli            Non puoi credere fino a qual punto io t’ammiri. Quando sei con la gente             comune, con le donne e gli uomini semplici, dimentichi persino di essere un                  poeta. Di fronte a una persona del popolo sei capace di spogliarti di tutto il                   tuo blasone.

Comi            Ah, sapienza e intelligenza: c’è un abisso, sai. Intelligenti sono tutti, i                    sapienti sono solo pochi. Sapienza non è intelligenza e intelligenza non è              sapienza. E’ così, non credi? Sapiente è il contadino, perché vive in armonia                   con l’Universo e perché ha dentro di sé equilibrio, pace, serenità.

Valli            Ma cosa ti ha detto poi quella donnetta?

Comi            Nulla che già non sapessi. È stata la sua umiltà a colpirmi, a stordirmi.

Valli            Ne ero sicuro.

Comi            Il Signore Iddio dà a tutti la possibilità di avvicinarsi umilmente a Lui, che è                   il Sommo della sapienza. Che, anzi, uno dei peccati più grandi è l’orgoglio.            L’uomo di scienza, l’uomo di lettere, sono in pericolo. Noi siamo in                             pericolo, Donato. L’orgoglio della conoscenza rischia di allontanarci da                         Dio, che invece ci chiede solo e sempre umiltà.

Valli            Se questa non fosse una conversazione ideale, ti direi che la tua poesia                           coincide ormai con la tua stessa anima.

Comi            Vuoi dire che sono poeta in quanto uomo?

Valli            E uomo in quanto poeta. E  tutt’e due grandi.

Comi            Ti prego, tu sei mio amico. Se mi dici che sono un grande poeta o uno dei            più grandi, non mi lusinghi, anzi ne provo fastidio. Compreso come sono                  nella luce dell’armonia, non trovo più il tempo e non ho più la forza o la                    debolezza di curare il mio caso personale, di occuparmi dei miei meriti o dei              miei beni. Credo ormai troppo alla divinità dello Spirito per non accettare                  con entusiasmo di essere ignorato e di essere eletto invece tra i poveri di                 spirito. Costoro sono quelli più disgraziati e che tuttavia sanno riconoscere           e testimoniare con letizia e umiltà la vertiginosa ricchezza dello Spirito di              Dio.

Valli            E’ questo assoluto senso del sacro che ti fa accettare la disgustosa povertà            in cui vivi?

Comi            Io non trovo doloroso né ingiusto che le poesie non diano pane. Non c’è            moneta che possa pagare un verso. Di che cosa dunque potrei lamentarmi            se sono poeta? La poesia è impagabile, Donato. Bisogna darne a piene                             mani, sempre, anche a chi non vuol saperne. Mi dici povertà? Io ti rispondo            che i poeti poveri saranno ripagati nell’invisibile infinito del loro sacrificio                apparente. Sarà questa la loro ricchezza.

Valli            A che punto è il tuo Diario di casa?

Comi            Credo che non arriverò a scrivere più di quattro quaderni. E comunque                          chiederò a Tina di bruciarlo.

Valli            Bruciarlo? In quelle pagine c’è tutto il tuo mondo segreto.

Comi            C’è tanta amarezza, sai Donato.

Valli            Ma ci sono anche i lucugnanesi, la tua gratitudine per loro, l’amore della tua                   gente. Brucerai anche questo?

Comi            Non lo so. Dimmelo tu. (gli porge il Diario)

Valli            (legge)“Oggi, 4 Dicembre: non ho una lira, come farò per mangiare? Non ho                  scarpe, non ho guanti, non compro una camicia da dieci anni. Meno male            che c’è la Tina che rattoppa, rammenda questo mio unico vestito, che mi fa               andare avanti”.

Comi            Vivo solo di elemosine, ormai. Continua, continua…

Valli            “Oggi la signora Tale è venuta a portarmi dieci mila lire. Oggi il signor                           Tizio è venuto a portarmi un litro d’olio. Oggi, domenica, mi hanno                      regalato un pollo”.

Comi            Se sono ancora vivo lo devo solo a Tina e alla mia gente.

Valli            (gli restituisce il Diario) Non lo bruciare.

Comi            Se non lo darò alle fiamme, lo darò a te.

Valli            Cos’è questo profumo?

Comi            Sono i fiori che mi porta Tina, il mio angelo custode. Li raccoglie ogni                           giorno ai margini delle stradine.                  

Valli            Hai davvero sposato un angelo.

Comi            Ho scelto di sposarla per riconoscenza. Tina è una donna di una moralità e                    di una squisitezza non comuni. Sopporta i miei esaurimenti, le mie ansie, le           mie astenie, assiste la mia         salute malferma. Cerca di starmi vicino nelle mie             smanie notturne, ma di notte la mia sola compagna è l’insonnia.

                   È un’amica perfida, ed è implacabile.

Valli            E’ per dirmi questo che mi hai voluto qui?

Comi            Non lo ricordo più. Perché t’ho chiamato?

Valli            Ma perché è primavera, Girolamo.

Comi           Ah si. E’ primavera. E’ vero, è ancora primavera.

(Escono)

(FINE PRIMO ATTO)

SCENA 9

Enrico          Ragazze, lo prendete un caffè?

Francesca      Si, grazie.

Roberta        Siete davvero gentili.

Francesca      Ci voleva proprio.

Carmelo        Come procede il vostro lavoro?

Roberta        Mah, stiamo spulciando un po’ qua e un po’ là.

Francesca      Roberta è una vera grafomane: ha riempito un taccuino intero di appunti.

Roberta        Che vuoi?Mi sembra tutto così interessante !

Enrico          Beh, meglio così allora !

Roberta        A proposito, possiamo avere una copia di Spirito d’Armonia?

Carmelo        Certamente, è la terza antologia poetica di Comi.

Francesca      Spirito d’Armonia è del ’58, mi pare.

Enrico          No, del ‘58 è Canto per Eva. Spirito d’Armonia invece è del ‘54, lo stesso                           anno in cui ottiene il Premio Chianciano di Poesia.

Carmelo        Eccolo qui Spirito d’Armonia.

Roberta        Grazie. (legge) Edizioni dell’Albero. Lire 800?

Enrico          Con la poesia non si diventa certo ricchi ! Infatti è proprio in questi anni              che la crisi economica di Girolamo Comi rasenta i vertici della miseria                            assoluta.

Carmelo        Angustiata per giunta dall’invadenza di creditori sempre più insistenti e                          numerosi.

Enrico          Si trattava per lo più di esattori che esigevano il pagamento di tasse inevase                   oppure di petulanti procuratori di banche, che lo assediavano per prestiti              non onorati.

Carmelo        Poi nel 1960 avvenne un fatto importante. Ce lo ha raccontato l’avvocato            Coppola.

Francesca      Nel 1960?

Enrico          Si, era Settembre.

SCENA  10

(30 Settembre 1960, ore 11:sala da barba)

Fiore            Ci giurnu è osci, mesciu Orlando?

Orlando        N’imu 30 de Settembre, Fiore. No ssi bonu lleggi?

Fiore            Arù?

Orlando        Su u giurnale ca teni a mmanu, a data stane susu. Nu lla vidi. Ela: 30                     Settembre 1960.

Fiore            De veru?

Orlando        Ca pocca!

Fiore            E tie no llu sai ca no sacciu laggire.

Orlando        Nenzidemenu! Mancu i numeri ?!

Fiore            Ieu e ficure vardu e capiscu lu stessu.

Coppola        Buongiorno, signori!

Fiore            Buongiorno a signuria!

Orlando        Ah, carissimo Avvocato Coppola.

Coppola        Al solito, per favore.

Orlando        Pronti.

Fiore            Comu vannu le cose Avvocatu?

Coppola        Eh, non c’è male. Vengo adesso da Palazzo Comi.

Fiore            E comu stane u barone nosciu?

Coppola        Sollevato e amareggiato insieme.

Fiore            Aggiu ntisu dire ca aci vannia u Palazzu alli pompieri. È veru?

Coppola        No, quella dei Vigili del Fuoco è storia vecchia, maestro Fiore. Proprio ieri,          invece, la Provincia di Lecce ha definito gli ultimi accordi e ha stabilito le              clausole conclusive del contratto d’acquisto di tutto il Palazzo.

Orlando        Ci sta mme dici, avvocatu? Il Palazzo non è più del Barone?

Coppola        Non lo è più da quasi un anno.

Fiore            No bboiu me mpizzu alli fatti de l’otri, ma se po’ sapire quantu diammana            l’hannu pacatu?

Coppola        Palazzo e Biblioteca solo 11 milioni.

Orlando        Furmine! L’hane ricalata!

Fiore            Paccatu! Tutta chira robba !

Coppola        E’ stata una risoluzione estrema e tuttavia necessaria. I debiti accumulati               erano          davvero tanti e l’aiuto della gente non bastava più.

Fiore            Mannaggia li guai! E sia: ammenu pozza pacare i debbiti chiru santu                     ristianu.

Orlando        E dopo ? Continuerà a vivere di elemosine ? 

Coppola        Come, non lo sapete?

Orlando        Che cosa avvocato?

Fiore            Se ne sentene tante ngiru de sti tiempi.

Coppola        Il Barone Comi ha posto una condizione alla vendita del Palazzo e cioé                         destinarlo a Pubblica Biblioteca. Per questo è nato il Centro Cultura di                           Lucugnano e Girolamo Comi proprio ieri, come vi dicevo, ne è divenuto il          bibliotecario, con tanto di nomina ufficiale e di stipendio mensile.

Fiore            Na, ci bella nova n’hai nnutta avvocatu.

Coppola        Per la verità lo stipendio non è molto, ma almeno negli anni a venire lo                         aiuterà a uscire dall’indigenza.

Fiore            E quantu li dannu?

Coppola        Di stipendio? 55 mila lire al mese.

Fiore            Ehi, s’hannu ccisi, s’hannu.

Coppola        La Provincia di Lecce non poteva fare di più. Io mi figuro l’amarezza del              Barone nel vedersi ridotto a custode di una proprietà che una volta fu lo              specchio di un mondo dove lui era re e del quale oggi non possiede                     neanche più una pietra. Anche mia moglie Elisa non sa darsi pace.

Fiore            Culli sordi nu ha mai saputu fare u barone nosciu.

Orlando        N’ha tentate tante…

Fiore            E nu n’ha mistuta nudda, pareddu.

Coppola        Il Barone sa fare solo il poeta e nient’altro. Vi ricordate quando fece                     impiantare quell’allevamento di polli nel giardino del Palazzo?

Orlando        E percè, nu sse fice rrivare nenzi menu tutte chire vacche de l’Olanda?

Fiore            Dicìa ca vulia face casu!

Coppola        E’ stato sempre così, anche prima di stabilirsi a Lucugnano. Per aiutare un            suo amico romano che era in brutte acque acquistò a occhi chiusi un’intera                 partita di quadri per più di 40 milioni. Erano croste: erano tutti quadri falsi.

Orlando        E’ la generosità fatta persona!

Fiore            E fa ca dici none. Me ricordu ca quannu erene vagnuni ,a mmane mprimu,           a ci cchiui de nui fuscia sutta a loggia du palazzu cu ccoia i muzzuni de                        sigarette. Iddu li manava mposta cu pputimu fumare puru nui, de scusu                      però. Se cchiavane certi muzzuni belli de veru!

Orlando        Tannu fumava e Macedonia.

Fiore            Sine, chire ddai… cazzate.

Orlando        Una volta facendogli la barba gli domandai:

                   Signor Barone, perché non ti metti in lista per il Comune ?

                   Me rispuse che prima di chiedere il voto a una persona, bisognava sapere a           chi dare il proprio.

Fiore            Ma ci bulia dica poi u barone?

Coppola        Voleva dire, Maestro Fiore, che finché la gente si limita a guardare e a non            fare niente per cambiare, le cose andranno sempre di male in peggio.

Fiore            E dalli tortu!

Orlando        Servito, signor avvocato.

Coppola        Per fortuna le cose oggi stanno cambiando e lentamente cominciano a                          muoversi. Grazie Orlando. Buongiorno, Maestro Fiore.

Fiore            Bona sorta, avvocatu!

Orlando        Tie ci dici? Ca moi è diversu?

Fiore            Ma ci diversu e diversu: ci nasce sarda, more salata. Assa vò manciu, ah, ca           è sunata menzadia!

Orlando        Lu munnu gira, Fiore.

Fiore            Ca pocca. Spetta ciucciu meu, ca mò rria a paia nova. A sunata è sempre               chira: ci fatica na sarda, e ci nu fatica na sarda e mmenza. A politica, puh.

SCENA 11

Francesca      Custode della sua stessa casa!

Roberta        Che destino bizzarro.

Carmelo        Dopo la morte di Comi, l’incarico di custode passò alla moglie Tina. 

Roberta        Tina? Chi era Tina?

Enrico          Tina Lambrini, di Parma. Era arrivata a Lucugnano per accudire alla casa              del poeta agli inizi del 1948 e vi rimase fino alla fine con assoluta dedizione                e una dignità ammirevole.

Francesca      Mi piacerebbe saperne di più di Tina. Ti ricordi? Il Professor Valli ne ha               parlato anche in una sua lezione.

Roberta        E’ vero, ce l’ha descritta come una specie di piccolo angelo.

Carmelo        Tutti i lucugnanesi la ricordano così. Tina cuciva, ricuciva, rammendava.

Enrico          Fu davvero la presenza tangibile della Provvidenza. È per questo che tutta          Lucugnano l’ha amata quanto il poeta.

Francesca      Tina Lambrini e Girolamo Comi: l’angelo e il poeta.

SCENA  12

Tina             Lucia! Lucia!

Lucia          Ehi, Tina. C’è statu?

Tina            Scusami Lucia, lo so che è mattina presto, ma ho proprio bisogno del tuo             aiuto.

Lucia           E’ successu nenzi allu barone? Dimme !

Tina             Eh, non si sente tanto bene e non ha voglia di parlare. Mi ha chiesto che              cosa si mangia oggi e io non ho saputo cosa rispondere. In casa non c’è più                 niente, Lucia. La dispensa è vuota e anche la stufa si è spenta, non abbiamo                più legna. Io non so davvero come fare.

Lucia           Me tocchi lu core, fia mia. Povuru barone, comu s’a ridottu.

Tina            Che devo dirti Lucia? È così disperato che vuole vendere anche il Palazzo.          Stamattina, quando sono entrata nella sua stanza, l’ho visto che piangeva.             Sono uscita in fretta, non volevo che mi vedesse. Ma quando stavo per                         chiudere la porta ho sentito che parlava da solo.

Lucia           Eh fia mia, no tte dannare, ci cunta sulu campa vecchiu.

Comi           Il Signore non mi vuole più bene. Forse sono stato troppo cattivo, ho                           sbagliato tutto. Io non so… eppure ho cercato di essere sempre generoso            con tutti. Ho sempre voluto bene alle persone, ho fatto tanto per loro . Il                  Signore non mi vuole più bene. Sono alla fine, non ho più forze, sono                       davvero alla fine.

Lucia           E comu te pozzu iutare, fia mia. Tegnu sta punta de verdura frisca: pe’                          osci falli manescia allu barone. Poi cchiù tardu te nnucu puru na pezza de             casu.

Tina (commossa) Non so proprio come ringraziarti, Lucia.

Lucia           No te ne ncaricare. U barone se mmerita otru e tantu pe chiru ca ha fattu             pe nui. E puru tie, Tina mia, u signore cu tte banadica. T’hai sempre                          dedicata a iddu, de quannu sì rrivata a Lucugnano.

Tina            Io sono sua moglie, Lucia. Ed è giusto che patisca anch’io insieme a lui.

Lucia           Ha’ cchiù de vint’anni ca li voi bene, meiu de na mamma. Comu era fattu             se non c’eri stata tie. L’hai ssistutu a tuttu, ca no lla sapimu, puru la                           pensione tua l’hai datu. U barone ha fattu na cosa ranne cu tte sposa.

Tina             Lo sai che lo chiamo ancora signor Barone? Lui si arrabbia, ma non riesco          proprio a chiamarlo per nome.

Comi            Tina è la quotidiana spettatrice delle mie pene. Sono diventato migliore                         grazie a lei, alla sua assistenza costante e disinteressata. È una donna                    impareggiabile sotto ogni aspetto: direttrice di casa, infermiera, onesta,                          capace in tutti i lavori, comprensiva, sobria, meticolosa, scrupolosa. È la               mia benefattrice di ogni giorno. Specie quando mi dibatto tra rovesci,                         avversità e miseria. Per questo la sposo, per la riconoscenza che le devo. La                  sua virtù mi commuove e mi soggioga. Non saprei concepire una qualsiasi           altra proposta di matrimonio economicamente vantaggiosa o stupidamente                nobiliare. Non credo e non mi interessa la nobiltà d’ordine araldico; credo                   nella bontà, nel disinteresse, nello spirito di carità dei cristiani. Credo nelle                 persone buone. Si, sposo Tina.

Tina             Lucia, ti ricordi di quel paio di calzini?

Lucia           Ah, chiri de maritama?!

Tina             Si, quelli che mi hai regalato la settimana scorsa. Avessi visto come era                           contento quando glieli ho messi. Sembrava un bambino. Quelli che aveva ai                   piedi erano ormai tutti laceri.

Lucia           A propositu, t’aggiu misu de parte na camisa quasi nova, è bona però. Solu           tocca lli dai qualche ponta allu coddu. Ieu timu ca li vane larga.

Tina             Non fa niente, Lucia. Saprò arrangiarmi, ormai non faccio altro lo sai. E               comunque il Barone non esce quasi più dalla sua stanza, ogni tanto si                            affaccia alla finestra, ma solo per poco. Ormai vive in completa solitudine.            E poi…

Lucia           E poi? Ci cosa?

Tina             Si vergogna un po’ del suo stato. Non lo dice, ma io lo capisco.

Lucia           Se ne scorna? E de ci cosa? Stamu tutti sulla faccia de la terra, fia mia. Se              sape comu le nnate su fiacche. E poi è meju vvidi nnu riccu mpovarire ca            nnu povuru rricchire!

Tina             Ieri è venuto l’ufficiale giudiziario. Non è la prima volta. Ha fatto portare in                   piazza alcuni mobili, una radio e Dio sa cos’altro.

Lucia           A mmenzu a chiazza? De veru?

Tina             Si, per venderli all’asta. Lui era molto dispiaciuto, ma come sempre ha                           detto:

Comi            Non ti preoccupare Tina, lascia che portino via tutto.

Lucia           E chiru l’ha ditta cu no tte faci sangu maru.

Tina             Non hanno venduto niente, però. I lucugnanesi non hanno voluto                      approfittare           della disgrazia che ci è toccata. Per pudore forse o per                       compassione. Che bella gente siete Lucia.

Lucia           Simu gente ca no tene grandità, propriu comu u barone.

Tina             Credo proprio d’averla conosciuta l’aristocrazia dei contadini. Lui ne ha                parlato sempre, ma io non comprendevo. Adesso finalmente so cos’è.                           Capisci Lucia? Nessuno di voi ha osato comprare anche solo uno spillo di            Casa Comi, proprio per non dissacrare l’estrema povertà, per non offendere                  la miseria più amara. In questo silenzioso rifiuto c’è l’affermazione della               vostra nobiltà d’animo. Amare in silenzio è più che amare.      

Lucia           Parimu gente chiusa, ma tanimu core. Tina mia, no sapimu fare cu lle                            palore, ma comu se dice: ogni livana tene u fumu sou.

                   Nu stare mara, nu sai ca quantu cchiù forte chiove cchiù mprima scampa.             Va banne moi, vanne ca cchiù tardu passu e te nnucu u formaggiu e puru                  na buttia de mieru. Sacciu ca allu barone li piace.

Tina             Grazie Lucia, grazie di tutto. Quando vieni però non bussare, ti prego.                           Chiamami piano, dabbasso. Ti sentirò lo stesso. Sai, spero tanto che si sia            addormentato e non vorrei si svegliasse. Questa notte non ha chiuso                             occhio, come ogni notte del resto.

Lucia           Povuru ristiano, e percé?

Tina             E’ l’insonnia che lo tormenta. L’insonnia non lo fa dormire, Lucia. Non lo            fa dormire da anni.

SCENA 13

Comi            Sei venuto a trovarmi anche stanotte?

Insonnia        Come ogni notte.

Comi            Già, puntuale e feroce.   

Insonnia         Mi hai chiamato tu.

Comi            Solo per odiosa necessità. Il sonno mi è nemico.

Insonnia        Dormire è un fatto geometrico elementare. Ha bisogno di lente movenze             euclidee, fra rette definite e spigoli compiuti. È negli angoli composti                             dell’anima che si incontra il riposo, dovresti saperlo. Tu invece ti dimeni nel                   groviglio caotico della smania, dove giace assente ogni possibile geometria.           Il pensiero cerca gli angoli e trova ferite aperte dove il buio diventa luce              accecante, il riposo tormento e l’alba una vana liberazione. Rassegnati                            Momo, che non ti è dato chiudere gli occhi.

Comi            Non chiamarmi Momo. Non siamo parenti.

Insonnia        Siamo molto di più, mio caro. Siamo i prigionieri della stessa tenebra. E               siamo la stessa tenebra che ci imprigiona. Tu sei la mia veglia e io la tua                         insonnia. Non avviliamoci dunque nell’esercizio ottuso di indagare chi                            fra noi due sia lo schiavo in catene. A che vale sapere chi sia il carnefice e                  chi la vittima?

Comi            Non vendermi fandonie, ciarlatano. Èil travaglio della mia carne malata la            più spietata catena. Cosa credi buffone? Sono gli spasmi del mio corpo                      dolente a negarmi la pace del sonno. Perciò risparmiami le tue effimere                          amenità intellettuali. Nel teatro della mia malattia sei poco più di una                             squallida comparsa. E il misero brogliaccio che reciti è solo il dramma                           notturno della mia irrimediabile insufficienza.

Insonnia        La malattia ti è data per ambire alla salvezza e il dolore per elevarti alla                           fatale dignità dello Spirito. La vera luce ha sede nelle tenebre. Lo hai detto            tu, poeta.

Comi            L’avrò detto quando non avevo freddo e c’era ancora legna in abbondanza.                 Adesso la mia stufa è spenta, spenta come la ansia lirica.

Insonnia        E’ te stesso che inganni se inganni me.

Comi            Non credere di pungermi con gli aculei del dialogo, Insonnia. Il nostro è un                   triste soliloquio, o dovrei dire ‘il mio’. Tu sei nient’altro che un’ombra, io                uno squarcio aperto e sanguinante.

Insonnia        E’ da lì che fluiscono versi. Fastidiosa necessità dello stato poetico.

Comi          Già, noi poeti siamo tutti malati. Siamo malati di essere. Il nostro dolore              capitale è la vita. E tuttavia per il più piccolo bagliore di luce il poeta è                           disposto a macerare, a smaltire le tenebre più ingrate. Il poeta subisce,                           patisce e attende.

Insonnia        Attende? Che cosa?

Comi            Un nulla, un’inezia, un dettaglio. Pensa alla luce che ubriaca la linfa di                            qualche pianta, di un albero, di un fiore. Sembra niente. Eppure io sento               quella luce addensarsi nel sangue, fino a diventare io stesso le cose che                        penso, la luce antica che vedo. Per questo amo la mia terra così assediata di                   luce. Cammino come vagabondo innocente, come viandante leggero.                      Cammino come un semidio delicato in questo ammasso di vegetali in                       delirio. Nessuna verginità mi è inaccessibile, la vita straripa da ogni parte.

                   La assorbo tutta, senza violarla. La mia terra ha confini lirici e radiosi ad               onta di tutte le carneficine dell’umanità. Vivere, infine, è questo per me.

Insonnia        È la parola cantata…

Comi            …bisbigliata, urlata o strozzata dalla troppa troppa anima. In attesa della             suprema carezza.

Insonnia        Morire ?

Comi            Verrà anche il tempo della grazia. Morire non sarà una condanna ma una             promozione. Si passerà dalla terra al sole in piena serenità, senza infliggere            piagnistei al prossimo. Tutt’al più, per omaggio romantico, si vedrà qualche                   discreto sventolare di fazzoletti, come quando si lascia Londra per Il Cairo.

Insonnia        Hai paura della morte?

Comi            Te lo dirò quando sarà tempo.

Insonnia        Non ho fretta.

Comi            Com’è la Luna stanotte?

Insonnia        E’ quella che è, come Dio. Non tollera aggiunte o correzioni.

Comi            E’ Luna perfetta allora.

Insonnia        Inespugnabile, come tutto. Niente si conquista. Si può solo farne parte.

                  

Comi            Vuoi conoscerla la mia ultima eroica umanissima conquista?

Insonnia        Sono pronto a stupirmi.

Comi            Ebbene stupisci: ho imparato a mangiare fagioli. C’è voluta una vita, ma ho                   scoperto che sono più saporiti del digiuno.

Insonnia        Vedi, anche la miseria ha i suoi prodigi.

Comi            La povertà mi sfianca, ma più forte è la coscienza del divino che è in me. A                   questa coscienza io do il nome di Poesia. Ho fame, ma poeto. E poeto                          perché ho fame: fame vorace di Dio. Eccolo il vero prodigio. Anche in                          queste notti di intensa sofferenza, io sento tutta la ricchezza della mia anima                  e mi nutro d’amore, del più puro amore per Dio.

Insonnia        Il tuo estro non puoi dirlo certo singolare: in tutti la Fede genera Poesia.

Comi            Non per me, improvvido amico. In me è la Poesia che genera la Fede.

                   Dio è il mio canto glorioso, Dio è voce sinfonica, è poesia inesauribile, è il            mio pianto di ringraziamento. Davanti a Dio sono in ginocchio, fra lacrime                 e preghiere.

Insonnia        Ti lascio in compagnia dei tuoi silenzi ronzanti di parole, allora.

Comi            Te ne sarei grato.

Insonnia        Mi devi una risposta, ricordati.

Comi            Me lo ricorderò.

Insonnia        Bene. Insonne notte, poeta.

Comi            Anche a te. (pausa) Ehi.

Insonnia        Si?

Comi            Puoi chiamarmi Momo, se vuoi.

Insonnia        A domani, Momo. (esce)

Comi            Non mi è facile credere che credo con tanta pienezza, con tanta sicurezza.            Una grazia maggiore non mi pareva possibile. Una felicità più intensa non                   mi poteva colmare. Resto senza parole, con tante che avrei, che  vorrei, che                potrei dirne. Più cresce la mia povertà e più si consolida la ricchezza                            d’assoluto alla quale segretamente aspiro. Una ricchezza spoglia finalmente               d’ogni triste orgoglio umano. Una ricchezza dello spirito e del cuore, oltre            la quale non c’è più che il silenzio.     

SCENA 14

Valli            Su Girolamo Comi, ancora vivo, cadde il silenzio; come il sipario sulla                            scena. Avviene non di rado nelle cose di questo mondo che la vita e le                           opere di un uomo siano più note altrove che nella terra in cui egli è nato e            ha trascorso la sua esistenza.

Francesca      Lo stesso destino è toccato a tanti altri poeti meridionali.

Valli            Si, è vero, ma Comi è un caso a sé. Il suo oblio è durato troppo a lungo. Il          Salento lo ha dimenticato, forse non lo ha mai conosciuto veramente. E lui                    è rimasto il solitario poeta di Lucugnano.

                  

Roberta        La sua vita è andata avanti per strappi violenti e inversioni       feroci, per                      accidiosi cedimenti e forsennati recuperi, in una alternanza drammatica che                    egli ha scrupolosamente lasciato fuori la soglia della sua poesia.

Valli            E ci è voluto davvero il travaglio di tutta un’esistenza perché Comi                      riuscisse nel miracolo di una poesia tutta risolta in preghiera. Cessò ogni               suo atto di volontà e nacque finalmente quello stato di grazia che da sempre                si era sforzato di definire, di indagare, di cercare. Fu l’abdicazione della                        poesia alla preghiera a compiere questo prodigio.

                   Morì il 3 Aprile del 1968, povero ma senza debiti. E morì a Lucugnano.                Sulla sua tomba è inciso questo verso di Dante: “La tua volontà è nostra             pace.”

Francesca      Che ne fu di Tina?

Valli            Morì anche lei nello stesso Palazzo che aveva gelosamente e                                amorevolmente custodito fino al 1982.

                   Girolamo Comi e Tina Lambrini sono sepolti insieme a Lucugnano.

Roberta        Sa, professore, i giorni trascorsi nel silenzio di queste stanze, tra pile di libri           e frammenti di ricordi, ci hanno fatto capire quanto sia facile amare la                     poesia e quanto facilmente la poesia si lasci amare se solo ci si accosta con                 semplicità e candore.

Valli            La poesia è come il pane, diceva Comi. Tutti ne mangiano almeno una volta                  al giorno, ma nessuno ci pensa.

Roberta        E’ davvero così.

Valli            E riguardo al silenzio di questa casa, quello che tu hai detto sia pure con le          parole giovani della tua età lo avvertì anche un altro grande poeta, amico di                   Comi: Alfonso Gatto, il quale, congedandosi da qui nel Maggio del 1962,              scrisse:

                   “Nel silenzio e nella calma della tua casa anche le parole non fanno rumore,                vengono da lontano, fermano l’anima, a deciderla, a specchiarsi. Così, sul                    paesaggio di questa terra, la luce, per troppa luce, non è più luce, ma la                       reliquia di un evento, la rovina di un ordine. Forse lasciammo il nostro gesto,             un giorno: forse vediamo quello che “abbiamo creduto di vedere”. Questa è la                casa della tua poesia, caro Girolamo Comi: e io so di che timbro, di che                             squillo, è lo specchio della tua parola. Ho mangiato assieme a te e ho trovato,                dopo notti d’insonnia, un’ora di pace nel tuo letto. Perché nella tua casa non                 c’è paura, anche le ombre sono amiche.”

Francesca      Sono parole d’oro. Ci mancherà questa casa.

Roberta        E ci mancherà questo silenzio.

Valli            Conservatene un poco dentro di voi allora e soprattutto sforzatevi di                            conservare l’amore che dite di aver imparato. È solo così che un poeta non                   muore mai.

Francesca      Ci rivedremo all’esame. Grazie professore.

Valli            Studiate, mi raccomando. E quando vi sembrerà d’aver finito, sedetevi e                        studiate daccapo.

SCENA 15

(Entra trafelato Carmelo, ha in mano una risma di fogli.)

Carmelo        Enrico! Enrico!

Enrico          Sono qui, che c’è?

Carmelo        Dove sono le ragazze?

Enrico          Sono appena andate via col Professore Valli. Non so, avevano mille                     domande da fargli.

Carmelo        Non credevo di fare così tardi.

Enrico          Le ho salutate io per te.

Carmelo        Vengo dalla tipografia. Le bozze del nostro libro sono pronte. Ne ho qui              una copia. Ci aspettano per stampare. Presto, telefona al Professore Pisanò                 per la prefazione.

Enrico          Che fretta hai? Fammici dare un’occhiata, prima!

Carmelo        Guarda quanti fogli, Enrico. Non credevo fossero così tanti! Fa attenzione:                   non sono ancora numerati.

Enrico          E da’ qua. (i fogli cadono e si sparpagliano per terra) Accidenti.

Carmelo        Che smania t’ha preso? Guarda che disastro, adesso ci toccherà riordinarli            tutti daccapo.

Enrico          Parli tu di smania? Se sei entrato qua dentro in preda alla frenesia. Sembravi                   un bambino che scarta il suo primo giocattolo!

Carmelo        Un po’ lo è. E per tutti e due, dì la verità?

Enrico          Dai, spicciati a darmi una mano. Questo libro ci ha proprio dato alla testa. 

(Crescono lentamente le voci confuse dei Lucugnanesi. Carmelo ed Enrico parlano a fatica nella ridda delle frasi registrate.)

Carmelo        Non riesco davvero a crederci, sai. Guarda qui: le abbiamo trascritte, le                          abbiamo trascritte proprio tutte, una per una.

Enrico          A me pare ancora di sentirle quelle voci. Sono voci vive, voci che vogliono          vivere. Quella di Tommaso, di Evaristo, quella di Anna, di Romolo.

Carmelo        E’ una specie di coro palpitante ed è tutto qui. C’è Natalia, Vincenzo,                            Laura. Un affresco di sonorità amiche che si consegna puro alla scrittura.

Enrico          E’ sinfonia di gente semplice, Carmelo. Ecco Adelino, questo è Vito, poi              c’è Rocco, Cosimo, Renato…

Carmelo        Voci familiari, voci quotidiane. È gente che abbiamo conosciuto per le                          strade di Lucugnano come i tanti Giuseppe, i tanti Angelo, gli Antonio.

Enrico          Donne e uomini che ci vivono o che ci sono vissuti accanto: gli operai del            sansificio Battista e Salvatore, Pietro il contadino, la cuoca Maria e tanti e             tanti ancora.

(Raccolgono tutti i fogli tranne uno che sfugge alla loro attenzione)

Carmelo        Questo libro appartiene soltanto a loro. Allora ci andiamo in tipografia?

Enrico          Lo chiedi a me? (alludendo ai fogli) Domandalo a loro.

Carmelo        Andiamo in tipografia. (Escono)

( Appare Insonnia. Raccoglie il foglio dimenticato. Registrazione ultima.)

SCENA 16

(3 Aprile 1968: l’ultima ora di vita di Girolamo Comi. Fiore, Orlando, Maria, Santa e

 l’avv. Coppola sono in scena sotto la finestra della stanza di Comi)

Coppola        Lo sentite anche voi questo profumo?

Orlando        Ha’ de sta mmane ca sta ndora tutta a chiazza.

Coppola        E’ come se dal cielo assolato fossero piovuti gelsomini.

Fiore            E comu se sente susu! Ndorane puru i pariti.

Santa           Ma cumu stane?

Orlando        Fiaccu, comu ha stare? Ha’ chiù de nu mese, sarà.

Santa           Ma i dottori ci dicene?             

Fiore            E ci hannu dire, Santa? Quannu unu lu cacciane de l’Ospedale, cci voi ne              ccoji cchiui?!

Coppola        No, ha chiesto lui di essere dimesso. Troppo forte era il desiderio di tornare                  a casa. L’ho accompagnato io stesso qui con un’autolettiga. Quando a fatica                  stavamo salendo le scale del Palazzo, lui mi ha stretto la mano, mi ha                            guardato negli occhi e mi ha sussurrato: “Ce l’ho fatta Tonio, ce l’ho fatta”.                   Era felice di poter finire i suoi giorni fra le mura di casa sua.  

Fiore            Signore, fenca all’urtimu!

Lucia (entrando)      Santa! Lu sapìa ca stavi cquai!

Santa           Lucia mia, sì rrivata? Simu passati ieu e lu Fiore de casa tua cu vvanimu                          ccoti, imu chiamatu, imu chiamatu ma nu nne rispunnia ciuveddi.

Lucia           Su rrivata moi moi de Tricase. Stammane aggiu ccchiatu l’Adelinu e m’ha              dittu ca u barone stia all’Ospedale a punto de morte.

Fiore            Cabba, a cquai susu stane.

Lucia           Mò moi l’aggiu saputu, a Tricase! Faticime rafiatu. Su nchianata all’ampede           fenca allu quintu pianu. Addai, e suore, u Signore lle banadica, m’hannu                dittu ca giurni retu l’erane nuttu fuscennu fuscennu a Lucugnano.

                   Cci ggé stu ndoru? Iti vistu a chiazza? Aci se inche de gente.

Santa           Nc’è tuttu u Cugnano.

Lucia           Mè dicìtime, e nove su bone?

Tina (entrando)       No, non sono buone.

Lucia           Tina!

Tina             Il Barone sta morendo.

Coppola        Vieni, andiamo di sopra, Orlando.

Orlando        Sciamu sciamu Avvocatu. (escono)

Tina             Non ce la fa. Ormai respira a fatica, non ce la fa.

Lucia           Nu fare cusì, fia mia.               

Fiore            Maladettu lu destinu nfame!

Santa           Riggetta, Fiore!

Tina             Lascialo dire. Siamo tutti sconvolti.

Lucia           E nu tte stai cittu!

Fiore            Nu vvoiu me sto cittu, sciamu. Sempre citti imu stare? E ci simu petre?! A            na vita ca ne stamu citti. A Storia ne camina de susu e nui sempre citti cu                  l’occhi nterra comu e pecure.

Lucia           De nanzi alla morte no sse cunta, Fiore.

Fiore            E ieu nvece voiu cuntu. Vulia vardu la morte ntra l’occhi, vulia cu lla                     strolacu e ci rrivava puru cu lli sputu nfacce.

Lucia           No castamare, scomunacatu!

Fiore            Nu cciallenza de chiri cu face sta fine ngrata! De veru nc’è castimi!

Lucia           La faci cchiudi dda vucca, senza Diu!

Fiore            Diu s’ha scerratu de nui, ave seculi ca nu nne carcula.

Tina             No, non è vero Fiore. Se sali a vedere il volto del Barone ti convincerai che                   Dio non si è mai scordato di lui, non si è mai scordato di noi. C’è una pace                    su quel volto, una pace immensa che lo fa più sereno, più luminoso, più           bello.

Fiore            Tocca me parduni, Tina, ma pe’ mie è comu se sta more sirma.

Santa           U sire de tutti.

Lucia           Osci ciuveddi è sciutu fatica. S’hannu farmati tutti.

Santa           Stamu tutti cullu core ncanna.

Lucia  (a Tina)        E tie chiù de tutti, fia mia.

Tina             Vi ho visti dalle finestre del Salone grande e sono scesa subito. Siete tutti              così cari a stargli vicino. Con lui ci sono gli amici di sempre. Marcella e                         Vittorio Pagano sono arrivati stamattina presto, poi ci sono Jole e                     Tommaso Santoro, c’è anche Rinuccio Sarno.

Coppola  (entra)      Tina, devi andare da lui.

Tina             Perché ? Che è successo avvocato?

Coppola        Devi far presto, Tina. Non c’è più molto tempo.

Tina             Oh Signore misericordioso! (agli altri) Salite con me, ve ne prego e statemi            vicino.

(vanno per uscire tutti, tranne Fiore)

Santa           Camina, Fiore. Nchiana puru tie.

Fiore            No, ieu nu nci nchianu. Quannu morse sirma, nu mme bastò lu core cu llu          visciu. E osci, u trei de Bbrile mille novecentu sessanta e ottu, sirma sta                          more n’otra fiata. Ieu vò ccasa.

Santa           A casa? E ci ha’ fare a casa?

Fiore            Tocca me mintu a nivuru.

SCENA 17

Comi            Ti stavo aspettando.

Insonnia        Lo so. Ai poeti piacciono gli addii.

Comi            Sbagli per l’ultima volta.Non è per questo che t’ho atteso ad occhi aperti.            Abbiamo un conto in sospeso io e te, ricordi? O l’hai dimenticato?   

Insonnia        E come potrei? Io sono i tuoi ricordi, ma so attendere. E poi tu sei uomo           d’onore.

Comi            Ti devo una risposta, Insonnia e non voglio lasciar debiti.

Insonnia        Vedi? La parola è parola.

Comi            Di tutti i miei creditori sei stato l’unico a prendertela comoda.

Insonnia        Un interrogativo non matura interessi.

Comi            Sono pronto a pagarlo comunque. Fa’ pure la tua domanda, ora conosco la                   risposta.

Insonnia        Eccola, dunque. Semplice e terribile. Hai paura di morire, Momo?

Comi            No. Io ho cercato la morte, l’ho voluta per tutta la vita. Ho costruito un               regno dentro di me per morirvi e per rinascere nella coscienza stessa della             morte. Io vivrò nell’eternità della mia morte.

Insonnia        E allora dormi, Momo. Riposa pure nella luce poetica della tua immortalità.

                   E sogna gli ulivi, inondati di sole. Adesso puoi chiudere gli occhi.

( Rientrano tutti i personaggi, che lentamente si disporranno lungo il proscenio mentre la voce di Girolamo Comi ripeterà:)

Comi           Il poeta è uno dei più miseri. Il poeta risorge dopo la morte. In vita non               siamo niente, e niente saremmo nemmeno dopo se non ci fosse qualcuno            capace di divulgare e far conoscere la nostra poesia. La vita del poeta                         incomincia dopo la morte, con la resurrezione. Il vero poeta muore povero.

(Buio)