Gli altri ci uccidono

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Commedia in tre atti

diCarlo Maria Pensa

da IL DRAMMA n. 205 del 15 maggio 1954

LE PERSONE

IL CRONISTA

IL MARESCIALLO DI P. S.

L'AGENTE LO SCONOSCIUTO

IL MEDICO

L'INFERMIERA

ALESSIO RUBERTI

ANNA, la sorella

ENRICO, il fratello

LA MATRIONA

MARIA

IL VECCHIO CAMERIERE

L'AMICO I TRE GIOCATORI

IL PADRONE

IL FRATE

Questa commedia di Carlo Maria Pensa è inedita. Ad essa abbiamo dedicato una nota nel fascicolo del 15 marzo scorso, dal titolo « Il copione deprimente ». La nota si riferiva al fatto che la commedia è stata proibita dalla censura per la teletrasmissione, con la definizione di « depressiva ». La commedia era stata giu­dicata meritevole al « Premio Rlccione » dell'anno scorso, e pre­miata. Di quel premio fanno parte, in qualità di commissari, one­sti ed intelligenti letterati e giornalisti, con a capo Lorenzo Ruggi.

Copyright, by Carlo Maria Pensa.

ATTO PRIMO

Il sipario si apre sulla scena buia. Un fascio di luce dall'alto, in un angolo. Due spezzati bianchi sull'uno dei quali si intravedono le parole « Reparto chirurgia », ed una freccia indicativa sotto; sull'altro, un apparecchio telefonico. Il cronista sta formando un numero.

Il Cronista       (quasi un ragazzo; masticando gomma, al microfono)  Sei tu, Tom? Ti telefono dal Po­liclinico... No, niente di grosso... Sono settimane che non succede niente. Il Capo finirà col licen­ziarmi, di questo passo... Già... già... Beh, comunque senti: qualcosa ti dò ugualmente... No, non occorre stenografo. È roba da niente, ti ripeto... Prendi qualche appunto tu... Dunque...

(Frugandosi nelle tasche e togliendone alla fine un foglietto che scor­rerà rapidamente)

Il tranviere dell'incidente di ieri... sì... Roncalli... quello dello scontro... Beh, è fuori pericolo... Poi c'è un ferito... un muratore caduto da un'impalcatura... lo vuoi? Dieci giorni salvo com­plicazioni... Sì, appunto... Lascia perdere... No, nient'altro... Cioè, aspetta... Ancora una notiziola: il so­lito tentato suicidio... Vuoi le generalità?... Ecco.

Il cono di luce scompare in dissolvenza. Sul lato destro del palcoscenico si illumina l'ufficio di po­lizia del Policlinico. Al tavolo siede il maresciallo; gli è accanto, in piedi, un agente. Un poco discosto, seduto, lo sconosciuto. Il maresciallo sta osservando una carta d'identità.

Il Maresciallo        Ruberti Alessio fu Gottardo e fu Armesini Elvira. Nato a... residente... Beh, una carta d'identità non basta. (All'agente) Avete potuto interrogarlo?

L'Agente           Il dottore non l'ha permesso. Condi­zioni gravi, dice. Non aveva che la carta d'identità indosso.

Il Maresciallo        Arterie dei polsi, vero? (L'agente annuisce. Indicando lo sconosciuto) È quello l'uomo che l'ha soccorso?

Lo Sconosciuto      (alzandosi e facendosi avanti pre­muroso)  Io. Stavo andando verso lo stabilimento...

Il Maresciallo        Non vi ho interrogato. (Più dolce) Abbiate pazienza. Sono casi delicati. L'ordine, prima. L'ordine. Com'era, quando l'avete rinvenuto?

Lo Sconosciuto     Sul marciapiede. Disteso. Una spalla contro il muro.

Il Maresciallo        Teneva una lametta, fra le mani? Un temperino?

Lo Sconosciuto     Niente. Non ho visto niente.

Il Maresciallo        E per terra, attorno al corpo?

Lo Sconosciuto     Proprio in quel punto c'è una lampada stradale. Ma non ho visto niente.

Il Maresciallo        Non avete chiamato? Gridato per far accorrere qualcuno?

Lo Sconosciuto     A quell'ora? In quella strada?

Il Maresciallo        Via?

L'Agente           Via Tirreno. Abita lì. Una camera ammobiliata al numero dodici.

Il Maresciallo         (dà un'occhiata alla carta di iden­tità)  Già.

Lo Sconosciuto      Ecco. Proprio a pochi passi dalla porta numero dodici, era. Disteso sul mar­ciapiede.

Il Maresciallo        L'avete già detto. Dunque, non c'era nessuno attorno.

Lo Sconosciuto     Me lo sono caricato sulle braccia.  Così com'era. Guardate. Guardate la mia giacca. Macchiata di sangue.

Il Maresciallo        Una pazzia. Via Tirreno disterà quasi un chilometro da qui. E in un chilo­metro, non avete incontrato nessuno?

Lo Sconosciuto      Oh sì. Tre persone. Prima un . uomo. Gli ho chiesto che mi aiutasse, « È ferito » gli ho detto. « Non voglio seccature » ha risposto. Poi una coppia. Che so? Innamorati. Cerne li ho pregati di  prestarmi aiuto, sono scomparsi.  Senza una parola.

Il Maresciallo        Avreste potuto correre fin qua. Chiamare un'autolettiga.

Lo Sconosciuto     E lasciare quel poveraccio di­steso su un marciapiede, con i polsi tagliati?

Il Maresciallo        Ma in nome di Dio, perché avete fatto tutto questo?

(Un silenzio).

Lo Sconosciuto      (stupito; con semplicità)  Maresciallo... Era un uomo che stava morendo...

Il Maresciallo        Non vi siete chiesto, dico...

Lo Sconosciuto     Che cosa avrei dovuto?... Un uomo moriva... Chiunque avrebbe fatto...

Il Maresciallo        Non credo.  (All'agente)  Via Tirreno dodici, eh?

L'Agente           C'è il brigadiere sul posto.

Il Maresciallo        È strano. Un uomo si taglia le arterie sulla porta di casa. Perché non nella sua stanza? Perché non dall'altra parte della città?  E questo che lo trasporta a braccia fino al Policlinico. Strano. Strano.

Lo Sconosciuto     Strano o umano?

Il Maresciallo        Eh, giovanotto:  da vent'anni sono sottufficiale di polizia. Li conosco troppo bene gli uomini.

L'Agente           La padrona della camera l'abbiamo fatta venir qua subito. È nella saletta. Vuole parlarle?

Il Maresciallo        Più tardi. (Allo sconosciuto) Vorreste andarvene voi?

Lo Sconosciuto     Preferisco rimanere.

Il Maresciallo        Siete un suo amico?

Lo Sconosciuto      Mai veduto prima di questa notte.

Il Maresciallo        Allora non vi capisco, giovanotto. Il vostro bel gesto l'avete compiuto. Se avremo an­cora bisogno di farvi delle domande, vi manderò a chiamare. Ora basta. Davvero non vi capisco. Io casco dal sonno. Se potessi andarmene... Ma il dovere... Voi che potreste andarvene a dormire, invece rimanete. (Come a se stesso) Una pazzia. Beh, fate come vi pare.

Lo Sconosciuto     Posso restare nella saletta?

Il Maresciallo        Come vi pare, ho detto. Andate pure.

(Lo sconosciuto esce. Il maresciallo, sbadigliando, all'agente) 

Mettetevi  alla macchina  per scrivere. Cominciamo con la solita noia del verbale.

(L'Agente siede alla macchina, introduce due fogli e comincia a battere)

È una faccenda come ne capitano spesso. Ma bisogna aprire gli occhi. Potrebbe essere un tentato omicidio.

L'Agente           Maresciallo, mai sentito che si possa compiereun omicidio tagliando le vene dei polsi.

Il Maresciallo         Può darsi. Ma il nostro mestiere ci impone di considerare anche questa ipotesi. Ruberti Alessio... Bisognerebbe dare un'occhiata al suo passato. 

L'Agente         Vuole cominciare con l'interrogare la padrona della camera?

Il Maresciallo        Dopo, dopo. Che avete scritto?

L'Agente           La solita formula. E le generalità.

Il Maresciallo         (svogliatamente)  Avanti, allora.

(Dettando) Il Ruberti è stato rinvenuto nei pressi del portone numero dodici di via Tirreno, da un passante,  il  quale ha provveduto al trasporto del ferito...

Luce in dissolvenza. Buio. Sul lato sinistro del palcoscenico si illumina lo stu­dio del medico di guardia del Policlinico. Il medico è sdraiato su una poltrona; sonnecchiando, fuma una sigaretta. Entra l'infermiera; molto graziosa.

L'Infermiera    Scusi, dottore. Quello continua a lamentarsi.

Il Medico         Chi? il suicida? Lascia che si la­menti. Non abbiamo altro da fare, per ora. Vedremo poi. Chissà perché per togliersi la vita, scelgono ore tanto indiscrete.

L'Infermiera    Non possiamo sapere che cosa...

Il Medico         Non vogliamo, piuttosto. Non spetta a noi. L'unica domanda che siamo autorizzati a farci è: come starà domani? (Pausa) Non badare, Gara. Parlo per non lasciarmi prendere dal sonno. Ma già: un disgraziato si taglia le arterie dei polsi. In quello stesso momento in cui egli cerca la morte, entrano nella sua vita un commissario di questura e un medico. Uno per far luce sul suo passato; l'altro per dar luce al suo avvenire. Vedi? Un uomo che sta fra la vita e la morte, non ha presente. Perché il presente non riguarda né il medico né il commissario. E non riguarda nemmeno lui che se ha fatto quel che ha fatto, vorrebbe già essere al di là. O vorrebbe essere ancora di qua.

L'Infermiera    Ma avrà pure delle persone care che si staranno preoccupando per lui. Sono loro il suo presente.

Il Medico         Mi sembra assolutamente impossibile. Svenato in mezzo a una strada e trasportato fin qui, a braccia da un passante. Nessuno ha chiesto di lui. Del resto, che cosa importa? Da quanto tempo fai l'infermiera, Clara?

L'Infermiera      Otto mesi.

Il Medico         Te ne basteranno altrettanti per im­parare che tutto, qua dentro, ci è indifferente. Ad eccezione dei motivi per i quali abbiamo scelto questa professione. La nostra partecipazione alle disgrazie altrui non può andar oltre questo limite. Quella che con molta generosità e non poca retorica chiamano la missione del medico, non ci impone, infine, obblighi maggiori. Per un suicida, poi. Un caso. Semplicemente un caso clinico che cerchiamo di risolvere, in omaggio alla formula, secondo scienza e coscienza. (Pausa) Va' a coricarti, Clara.

L'Infermiera    Il mio servizio termina alle sei. Ancora quattro ore.

Il Medico         Anche per me. Ma tutto è tranquillo. Voglio andare al lago a pescare, nel pomeriggio. Mi serve un po' di sonno.

L'Infermiera    E per quel ricoverato?

Il Medico         Vedremo più tardi. Per ora, non ab­biamo nulla, proprio nulla da fare.

L'Infermiera     (avviandosi)  Buona notte, dottore.

Il Medico          (alzandosi e facendole cenno di avvicinarglisi)  Clara: mi chiamo Alberto. (Le dà un bacio sulla guancia).

L'Infermiera    Buona notte... Alberto.

Buio. L'ufficio di polizia.

Il Maresciallo         (all'agente che  ha terminato di scrivere a macchina)  Finito?

L'Agente            (toglie i fogli dalla macchina e li porge al maresciallo)  Finito, maresciallo.

Il Maresciallo         (depone i fogli sul tavolo)  Beh, rileggerò domattina. Non c'è premura.

L'Agente           Quella signora che attende fuori?

Il Maresciallo        Fatela tornar domani. Avremo la mente più riposata. In fin dei conti non c'è nessun assassino in fuga.  Un suicidio non è delitto che riguardi la società. (Si allunga sulla poltrona e chiude gli occhi)  Buona notte.

Buio. Sotto un cono di luce irreale, al centro della scena, appare lo sconosciuto, un quaderno fra le mani.

Lo Sconosciuto     Un suicidio può, sì, essere un delitto che riguarda la società. Alessio Ruberti ha voluto finirla con la vita. Alessio Ruberti è un uomo e molti, moltissimi uomini. Ha voluto finirla. E allora: un verbale di polizia da una parte. Un re­ferto medico dall'altra. Il nostro destino finisce sem­pre con l'essere circoscritto nei limiti delle forma­lità. Fin qua la legge. Fin qua la scienza. E poi ilsonno. Sulla legge e sulla scienza. Il maresciallo di polizia ha il dovere, almeno per un poco, di so­spettare il delitto. L'arresto di un assassino se un assassino ci fosse, potrebbe valere una promozione. Il medico si affida all'efficacia di una fasciatura a regola d'arte e di una iniezione antitetanica. Scrivere su una cartella clinica « deceduto » è semplice quanto scriverci « dimesso per guarigione ». Ma chi si dà la pena di salvare Alessio Ruberti, rutti gli Alessio Ruberti che si svenano o si sparano una revolve­rata? Salvare con il cuore. Comprendere. (Pausa) Un uomo che muore: niente. Meno che niente, un uomo che vuole morire. Ma perché ha voluto mo­rire? Suicidato o ucciso dagli altri? Oh, lui, lui con le sue proprie mani si è reciso i polsi. Non v'è dub­bio. Ma quello è soltanto un gesto. Dietro, c'è il cumulo delle responsabilità altrui. Forse la giusti­ficazione di quel gesto. Il perdono. E perciò la sal­vezza. (Pausa) Il dramma dell'uomo è tutto qui. (Mostra il quaderno) Il dramma di dentro, dico. In un quaderno. Che egli ha consegnato a me pre­gandomi di conservarlo. Con una voce già non più sua che pareva gli uscisse insieme col sangue. A me che non sono stato, non sono, non sarò mai nulla per lui. Nell'ufficio di polizia o nel gabinetto del medico, questo racconto verrebbe classificato nella frase: « si allega agli atri ». Poi: « anamnesi del paziente ». Non capirebbero di più. Non capirebbero che Alessio Ruberti non si è ucciso, ma è stato uc­ciso. Nessun uomo, assolutamente indifferente al dramma d'ogni altro uomo, lo capirebbe. (Apre il quaderno. Legge) « Ho cercato a lungo l'amore dei miei simili. E ho trovato la solitudine. Lo scono-sciuto che leggerà queste parole, proprio perché sco­nosciuto, mi darà almeno un poco di pietà. Comin­ciai a cercare l'amore nella mia casa; il giorno in cui credetti d'accorgermi che l'amore non ci viene incontro, ma bisogna cercarlo. Era il giorno in cui mio padre morì...».

Buio. La scena si illumina al centro. La stanza di una casa di gente modesta. Alessio e la sorella Anna sono se­duti attorno a un tavolo. Dietro, nella penombra, il fratello Enrico e la matrigna, parlano fra di loro.

Alessio             Sai, Anna? Pensavo ad una sera che ero qui solo col babbo. Non s'era ancora risposato (un cenno verso la matrigna) con lei. Tu ed Enrico eravate scesi in città. Vi stavamo aspettando. È così raro che un figlio si trovi seduto a un tavolo, di fronte al proprio padre, e possa parlargli e sentirlo parlare. Mi diceva che da quando la mamma ci aveva lasciati, gli pareva, anziché sentirsi vinto dal senso di vuoto in cui tutti eravamo caduti, gli pareva d'esser più legato alla vita. Di comprenderla meglio.

Anna                 Parole. Si dicono tante parole. E poi si finisce tutti con il vestito nero e le mani incrociate sul ventre. Come nostro padre, di là.

Alessio             Sono le parole a tener vivi i nostri pensieri. Anche di quelle abbiamo bisogno.

Anna                 Già. E poi?

Alessio             E poi, che cosa?

Anna                 Parole. Pensieri. Sogni. I sogni non ci servono. Sai quali sono le parole che io ricordo di nostro padre? Avevo diciott'anni e credevo d'essere innamorata. Mi aspettava sull'uscio, un giorno che rincasai tardi. « Maledetta sgualdrina » mi disse. E mi picchiò come una cagna. Perché il mio inna­morato era il figlio della vedova sulla quale lui aveva già messo gli occhi. Il figlio di lei, sì, della nostra matrigna. Queste due sole parole, ora, ricordo di lui.

Alessio              (dolorosamente)  Anna! Non è giusto. Perché? Credevo che tu...

Anna                  (secca)  Che cosa?

Alessio             Sei la persona alla quale ho sempre voluto più bene.

Anna                 No, Alessio. Lascia perdere la poesia. Anche tu come Enrico, eh? Siamo in quattro a di­viderci i pochi stracci di nostro padre. Ma non è con questi sistemi che riuscirete a farmi rinunciare ai miei diritti.

Alessio              (sorpreso)  Che cosa vuoi dire?

Anna                  (alzandosi con vigore, e richiamando quindi l'attenzione anche della matrigna e di Enrico) Voglio dire che sono stanca. Stanca e piena di schifo. Sono stata una serva, in questa casa. Sempre. Non ne posso più. La maledetta sgualdrina. Ecco che cos'ero io per mio padre! Mi tirava la morale, lui! Lui che mentre nostra madre moriva, con il petto schiantato dal cancro, si strofinava sul petto liscio della bella vedova!

(La matrigna che con Enrico le si è avvicinata, le dà uno schiaffo).

Alessio              (con un urlo)  Anna!

(Le si avvicina conte per scuoterla, ma essa lo respinge. Un lungo silenzio: Anna ha chinato il volto e si passa una mano sulla guancia. La matrigna volge le spalle. Solo i due fratelli si guardano negli occhi: Alessio con doloroso stupore; Enrico con ira. Poi, sempre in silenzio, lentamente, Anna se ne va. Come essa ha richiuso l'uscio alle sue spalle, Alessio si lancia per rincorrerla, ma Enrico gli sbarra la strada).

Enrico               (fermo, con cattiveria)  Tu non la seguirai.

Alessio              (alla matrigna)  Ma che cosa le avete fatto?

Enrico               (alla matrigna, rapido)  Tu non rispon­dere. (Ad Alessio) Nessuno di noi, tienilo presente, è disposto a farsi sottoporre a un'inchiesta. Intesi? Anna, qua, non dovrà più tornare. La partita è chiusa.

Alessio             Tu impazzisci!

Enrico               (deciso)  So benissimo quello che dico. Vostro padre non c'è più e tocca a me tenere in piedi questa casa. Con lei, qui, sarebbe impossibile. Lei, pazza. Pazza! Una stupida gelosia senza ra­gione. Tutti, ricordalo: tutti, a cominciare da Anna, dobbiamo riconoscenza a Rachele. (Indica la ma­trigna).

Alessio              (spento)  Solo questo mi preme sapere. È vero?

(La matrigna si volge di scatto fissandolo).

Enrico               (con durezza)  Che cosa? Che cosa vero?

Alessio             Non siate così, vi scongiuro. Non vi sono nemico. Non sono nemico di nessuno. Vi chiedo soltanto di non lasciarmi solo. Non mi guardate così.

Enrico              Hai fatto una domanda. « È vero? » hai chiesto. A che cosa ti riferivi?

Alessio             A ciò che ha detto Anna. Del babbo. E di lei.

La Matrigna     (a Enrico)  Ti prego: fallo smettere.

Enrico               (freddamente, con cattiveria. Ad Alessio)  Hai dunque creduto possibile...

Alessio             Non so... non so...

Enrico              Sei un miserabile anche tu!

Alessio             Enrico!

Enrico              Uno sporco miserabile! Ma di che puoi lamentarti? Che cosa ti è mancato mai in questa casa?

Alessio              (con fermezza)  Non me n'ero accorto prima. L'amore mi è mancato. Com’è mancato a te. A tutti noi. Sarebbe stato tanto bello se ora, al­meno ora, ci fossimo capiti.

Enrico               (senza forzature)  Una cosa voglio dirti. Anna ha parlato senza sapere quel che si diceva. Anna è un'esaltata... lasciami dire... Una pazza. Ma in questo non ha sbagliato: nostro padre era un disgraziato. (Battendosi la mano sulla nuca) Qua, capisci, qua! Rammollito. Un uomo perduto! Oh tu, tu non potevi accorgertene. Tagliato fuori dalla realtà, tu. Sempre. (Pausa) Ora è finita.

Alessio              (sbigottito. Alla matrigna)  Rachele, dav­vero è così? Ditemelo voi che è una menzogna. Voi che dovete averlo amato. Perché voi l'amavate, no?

(Rachele abbassa il capo senza rispondere. Lungo silenzio. Alessio con infinita amarezza)

Hai detto bene, Enrico. Ora è finita. Finita... (Si avvia verso la camera del padre).

Enrico              Che cosa vuoi fare?

Alessio              (vinto)  Vederlo... Vederlo l'ultima volta. Malgrado tutto... è stato mio padre. (Scompare).

(Non appena Alessio è uscito, la matrigna si getta fra le braccia di Enrico, scoppiando in lacrime).

Enrico               (accarezzandole i capelli e baciandola ripetutamente sul viso)  Non piangere, amore mio... non piangere. Ora siamo soli. Soli per sempre. Non dovremo più nasconderci... Liberi, Rachele; liberi. Tu ed io. Che cosa importa? Non piangere... Tutto è passato... passato. (Stringendola più forte a sé, la bacia sulla bocca).

Alessio              (rientra, e, non visto, scorge i due stretti nell'incredibile abbraccio. È per lui il crollo defi­nitivo. In un soffio, come schiantato dall'evidenza della realtà)  

È vero... è vero...

(Si copre il volto con le mani. E scompare).

Buio. Una lacerante frase musicale. Ricompare nel cono di luce, lo Sconosciuto.

Lo Sconosciuto      (continuando a leggere il quader­no)  « Malgrado l'orrore di questa realtà, non mi dichiarai vinto. Pensavo che tutto non poteva essere finito così, che avevo diritto a una vita fra gli uo­mini, come io la concepivo. Una vita fatta d'amore e di fiducia. La lotta, la vera lotta cominciava allora. (Pausa) Questa mia speranza, si chiamò per qualche tempo Maria. Ma una sera d'estate, in un piccolo caffè della periferia... Un vecchio caffè con le pol­troncine di velluto rosso e i tavolini di marmo. Sulla strada un organetto di Barberia sembrava velare d'in­nocenza le cose del mondo... ».

Sulle ultime parole dello Sconosciuto, si ode in crescendo la musica di un organetto. Luce in dissolvenza. Appare l'interno di un piccolo bar. A un tavolino, dinanzi a un bicchiere semivuoto è seduta, la testa fra le mani, Maria.

Il Vecchio Cameriere(si avvicina a Maria e le batte leggermente una mano sulla spalla)  Ehi, ra­gazza: non si vede stasera l'amico, eh?

Maria                Ah, lasciami perdere. Ora me ne vado. (Vuota d'un sorso il bicchiere).

Il Vecchio Cameriere Hai troppa premura. E poi non devi essere sgarbata a questo modo con me. Non sta bene rinfacciare alle persone quello che si fa per loro. Ma devo pur ricordarti che se non ci fossi io...

Maria                Se non ci fossi tu, mi farei meno schifo. Anzi, ascolta: voglio smetterla con tutta questa su­dicia faccenda. Per quel che mi riguarda, mettiti il cuore in pace: da oggi per me, il ruffiano non lo farai più. E io non farò più la vita.

Il Vecchio Cameriere Senti, senti. La piccina si vuol far monaca.

Maria                Non ho nessuna voglia di ridere. Ho detto basta e dev'esser basta.

Il Vecchio Cameriere È per lui, eh? Ti sei presa pietà per quell'infelice che da sei mesi ti sta dappresso sognandoti come una ragazza per bene. Ma che cosa credi? Che ti sposerà? Un morto di fame, ecco che cos'è. Se si ha qualche cosa, appena qualcosa nella testa e un po' di forza nelle braccia, non si può restar disoccupati tanto tempo come lo è lui. (Ride) Sì, sposatelo, sposatelo il tuo bel giovane. Ma da' l'addio a tutto quello che hai avuto fino ad ora.

Maria                Non è che gli voglia bene. O forse sì. Non so. Ma mi fa pena... Pena non come si intende di solito... non riesco a spiegarmi. È diverso da tutti gli altri. Diverso da quelli che vengono da te e ti mettono in mano dei soldi per avermi. Lui no, non mi chiede quel che mi chiedono gli altri. Mi guarda in silenzio. E io capisco che con i suoi occhi mi do­manda di volergli bene. Bene sul serio, capisci?

Il Vecchio Cameriere Fantasie. (Cattivo) Tu non andrai con lui. Non puoi lasciarmi ora. Io ti ho levata dai pasticci. O te ne sei dimenticata? C'è un patto fra di noi.

Maria                Dunque ritieni ch'io non ti abbia pagato abbastanza?

Il Vecchio Cameriere Fin che il tuo corpo piacerà, ragazza.

Maria                Saresti capace di dir tutto a lui, vero? Ti conosco troppo bene.

Il Vecchio Cameriere Hai indovinato. Signor Alessio Ruberti, gli dirò, mentre lei gira a piatire in cerca di lavoro, questa innocente se la fa, nella stanza qua sopra, col primo venuto. Clienti che le procuro io. È dovere di un vecchio cameriere come me trattar bene i clienti, no? E a chi mi cerca birra gli dò birra. E a chi mi cerca Maria, gli dò anche Maria.

Maria                 (con un gesto rapido passa la mano sul tavolino facendo cadere il bicchiere)  Sei un vi­gliacco!

Il Vecchio Cameriere Osservo i patti. Semplicemente. (Chinandosi a raccogliere i cocci del bicchiere) Sei troppo impulsiva, ragazza mia. Trop­po eccitata. (Cambiando tono) Vuole qualcos'altro da bere la signorina? Hanno portato oggi un gin che... (Baciandosi la punta delle dita) Offro io, si­gnorina. E poi (si caccia una mano in tasca e ne trae dei soldi) ci sono questi. Cinque bigliettoni, gallinella. Guarda: tre a questo povero vecchio, e due per te. (E le infila due biglietti di banca in una tasca.

I nervi di Maria non resistono più; china il capo sul tavolo e scoppia in singhiozzi)

Coraggio, su. Perché prendersela tanto? La vita è ancora bella. (Battendole la mano su una spalla) Animo, via. Un bicchierino di gin sistemerà ogni cosa.

Alessio              (è entrato. È rimasto un attimo immobile, sorpreso. Poi si precipita verso Maria)  Che cosa hai? (Al vecchio cameriere) Che cos'è accaduto?

Il Vecchio Cameriere(con naturalezza)  Un malore, credo. Stavo di là e ho udito...

Maria                 (rialzando il capo e afferrando una mano di Alessio)  Non è niente, Alessio. Niente. È passato.

Alessio              (al vecchio cameriere)  Qualcosa di forte, la prego. Porti qualcosa di forte.

Il Vecchio Cameriere  Era  appunto quello che stavo dicendo. Vengo subito. (Esce).

Alessio              (accarezzando Maria)  Meglio?

Maria                Meglio, sì.

Alessio             Che cos'è stato?

Maria                Non so... la testa... all'improvviso. Sciocchezze, Alessio. Ora sto bene. Veramente. (Pausa) E tu?

Alessio             Io che? Ah niente, Maria. Niente an­cora. Ma c'è una speranza. Ho trovato un tale. Com­pagno di servizio militare. Dice che vada da lui. Forse potrebbe... ma non so...

Maria                Ci andrai. Non si può più continuare così. Questa volta la spunterai. Di che si tratta?

Alessio             Non me l'ha detto. Ma certo ci andrò. Domattina.

(Con un vassoio e un bicchierino il vecchio cameriere si è fermato sull'uscio, non visto, ad ascoltare).

Maria                E poi via. Via assieme, tu ed io... Co­minciare a vivere.

Alessio              (con una luce nuova negli occhi)  Sì. Cominciare a vivere.

Maria                Questa sera resteremo assieme. Guarda. (Si toglie di tasca i due biglietti di banca) Ho con­segnato quel lavoro di cucito che ti dicevo.

Alessio             No. Non voglio. Ho anch'io del de­naro stasera. Me l'ha dato quell'amico. Dice che se si combina, me lo tratterrà sulla paga.

Il Vecchio Cameriere(facendosi avanti)  Ecco il toccasana. Beva, signorina. Uno anche per lei, signore.

Alessio             Uno anche per me. Sono astemio, ma questa volta faccio eccezione.

Il Vecchio Cameriere   Glielo porto subito. (Esce).

Alessio              (mentre Maria beve)  Oh che stordito! Quasi me ne stavo dimenticando. Sai che giorno è oggi? Sei mesi fa ti ho conosciuta. Volevo portarti... E me ne sono scordato...

Maria                Non fare nulla, Alessio, non voglio.

Alessio             Ma voglio io. Sai quella bambola che abbiamo veduto nella vetrina del negozio qui all'angolo? Hai detto che ti sarebbe piaciuta.

(Si alza. Il vecchio cameriere è entrato e, come prima, è ri­masto un poco ad ascoltare).

Maria                È una sciocchezza, Alessio. Non devi...

Alessio             Non m'hai detto che ti sarebbe pia­ciuta? Te la vado a prendere... (Si avvia. Si imbatte nel vecchio cameriere. Afferra il bicchierino e lo vuota d'un fiato. Scompare).

Il Vecchio Cameriere Siamo in festa, oggi, eh? Col soprappiù di una bambola, per questa pic­cola innocente.

(L'organetto di Barberia lontano, riprende il suo motivo)

Ma non te ne andrai con lui, ho detto. Giurami che non te ne  andrai o appena torna gli dico tutto.

Maria                 (gli si erge decisa di fronte)  Me ne andrò, invece. E tu non gli dirai niente. Cercatene un'altra. Con me basta.

Il Vecchio Cameriere(con un lieve, perfido sor­riso)  Ma non capisci che non puoi far nulla? Nulla, ormai, senza di me. Ti tengo così, come se t'avessi in un pugno. Sono io, che grido basta. Ba­sta, perché non voglio più che il denaro che ti faccio guadagnare finisca nelle sue mani.

Maria                Mai un soldo gli ho dato. Mai. Perché l'ha sempre rifiutato. Ma già: tu non puoi crederle, queste cose. Perché Alessio ha le mani pulite. E tu no; tu sei una carogna. E tu m'hai ridotta in que­sto stato.

Il Vecchio Cameriere Lo vedi, dunque.Sia­mo della stessa razza. Se non c'è nulla che tiri fuori me dalla melma, non potrà quel poveraccio trame fuori te. Legati così, tu ed io. Fino a che il tuo corpo piacerà, ho detto. Ma che cosa vuoi, per Cri­sto? Che cosa ti manca? Ti dò del denaro perché tu sia gentile con qualcuno. Tutto lì. È ben guada­gnato, mi pare. O preferisci la bamboletta per giocarci prima di metterti sul letto?

Maria                 (portandosi le mani alle tempie)  Smet­tila, smettila! Non voglio ascoltare. Lasciami andar via... lasciami andar via. (Singhiozza).

Il Vecchio Cameriere Non fare scenate. (Cer­cando di essere dolce) Non ti domando niente di speciale. Non è che ti imponga di non vederlo più... Ogni cosa resterà com'è ora. Più di così...

Maria                Sono decisa a tutto. Ricordalo:  a tutto.

Il Vecchio Cameriere Ti stancherai presto. Non si può cambiar vita così, da un'ora all'altra. Del resto non lo ami, lo hai detto tu. Ti illude il pensiero di crearti un ambiente diverso. Ma non puoi cambiare te stessa. Un colpo di spugna a quel­lo che è stato, eh? Un calcio a chi ti ha sfamata per anni. Che cosa credi di trovare fuori di qua? Fuori da  questa  vita che è  tua?  Tua  perché  il marcio ce l'hai dentro tu come ce l'ho io? (Conci­liante)  Sii  ragionevole, ragazza. Lascialo perdere quello là. (Minaccioso)  Lascialo perdere... Se no...

Maria                 (ha scorto Alessio che è entrato con una bamboletta fra le mani.  Al vecchio, con  tono di sfida)  Se no?... (Con un sorriso)  Eccomi, Alessio. Vengo con te. (Fa l'atto di avvicinarsi ad Alessio, ma il vecchio che gli voltava le spalle, si gira sbar­rando ad un tempo la strada a Maria).

Il Vecchio Cameriere La ragazza vuol venir via con lei, signore. Vuole farsi sposare, questa brava e onesta figliola.

Alessio             Ma che cosa dice?

Maria                Taci, maledetto! Taci.

Il Vecchio Cameriere(continuando imperterrito)  E io gliela dò, sa, gliela dò così com'è. Pura come una bambina... Una prostituta ecco... una prostituta con l'anima vergine.  

(Maria accecata  dall'ira,  ha estratto dalla borsetta  una rivoltella;  esplode  un colpo nella schiena al vecchio che si accascia).

Alessio             Maria! Maria!

(Le corre incontro, men­tre la musica dell'organetto di Barberia si fa più forte e la scena cade nel buio).

L'ufficio di polizia al Policlinico. L'agente, sonnac­chioso, sta fumando una sigaretta. Il maresciallo è addormentato sulla poltrona; d'un tratto ha un sob­balzo.

Il Maresciallo         (battendo un pugno sulla scriva­nia)  Adesso ci sono! Sapevo d'aver già sentito quel nome. Alessio Ruberti.

L'agente           Che c'è, maresciallo?

Il Maresciallo         (urlando)  C'è qualcosa sotto questo suicidio.  L'avevo detto.  Il Ruberti  fu già imputato di concorso in omicidio,  ma assolto per insufficienza di prove. Eh, se ne parlò molto, al­lora. Bisogna andare in fondo a questa faccenda!

L'Agente           Ma se è stato assolto... Chiuso, no?

Il Maresciallo        Chiuso. Ma certe cose è sem­pre meglio riferirle ai superiori. Non è mai inutile dimostrare che   il   proprio  mestiere  lo  si   conosce bene. Foglio in macchina, coraggio.

L'Agente            (ubbidisce)  Che cosa ci scrivo?

Il Maresciallo         (detta)  Promemoria per il si­gnor Procuratore della Repubblica...


ATTO  SECONDO

Una stanza nella casa dell'amico. Attorno a un tavolo stanno giocando a carte l'amico e tre altri.

L'Amico            Quattro. Sono al sicuro.

Primo Giocatore     Non lo direi troppo forte se fossi in te. Ti servo subito. (E butta una carta sol­levando borbottii di protesta da parte degli altri. Il giuoco prosegue per un poco).

L'Amico             (raccogliendo le carte sparse sul  tavolo)   Bene, ora basta. Non c'è gusto a giocare così. Avete una fortuna schifosa. (Si alza, si stiracchia. Toglie di tasca una sigaretta; la mette fra le labbra. Si tasta cercando i fiammiferi).

Secondo Giocatore   (porgendogli  un  accendino)   Cerchi fuoco? (L'amico allontana il braccio del compagno e getta la sigaretta con un gesto di rab­bia). Ehi, che ti prende?

L'Amico             (con un grugnito si versa del liquore in un bicchierino e poi trangugia in un fiato)  Niente mi prende. Ma è che quando c'è fuori quello là con della merce, non mi sento tranquillo, ecco.

Primo Giocatore     E perché? Almeno si è certi di non correre il rischio che parli. Non sa nulla. D'altra parte proprio tu dovresti esser l'ultimo ad avere di questi timori. Sei stato tu a tirarlo nel nostro giro.

L'Amico            Bestia! Non capisci che nessuno di noi quattro poteva esporsi, ormai, dopo quel maledetto affare della villa? Ne siamo usciti puliti per un mi­racolo. Ma da quel momento puoi star certo che la polizia non ci lascia con le mani libere.

Secondo Giocatore D'accordo.   Un  idiota ci occorreva. L'unico guaio è che quello che ti sei preso lo è fin troppo.

L'Amico            Beh; non si può aver tutto.

Secondo Giocatore A meno che non sia tanto furbo da metterci tutti e quattro nel sacco... Se ci penso, mi pare impossibile che non abbia capito il giochetto.

Primo Giocatore     Forse hai ragione. Non si può finire in un guaio come quel processo che gli han fatto, se si è davvero idioti. Per conto mio, il giorno che gli darai una pedata e lo farai filare, sarà un bel giorno.

L'Amico            Già. Così se sa qualcosa, canta. E se non sa niente, perdiamo l'idiota che ci occorre. No, no... e poi io so com'è. Siamo stati compagni sotto le armi. È proprio fatto così. Vede le cose e gli uomini in un certo modo... Anche ora, qualche volta, mi apre il libro delle sue malinconie. Dice che in fondo tutti siamo buoni. (Scoppia in una risata) Ne faremo il nostro padre spirituale.

(La battuta deve essere molto spiritosa, dato che i tre sghignazzano. Qualcuno si versa da bere. L'amico facendosi improvvisamente serio; con un gesto)

Zitti. Mi è parso di sentire lo scatto della porta giù. Che sia lui?

Primo Giocatore    È difficile capire se ti dai tanta pena per la merce o per lui.

L'Amico             (volgendosi di scatto)  Sei una bestia! Ecco cosa sei. Lui o la merce... Lui e la merce sono la stessa cosa, no? dato che la merce ce la deve portare lui.

Primo Giocatore     Quando sei inquieto non si riesce a farti ragionare. Siediti, via. Facciamo un'al­tra partita.

Terzo Giocatore     (lentamente)  Voi sapete che a me non piace parlare. Ma questa volta proprio me le strappate di bocca.  (All'amico) Ehi, dico a te. Che diavolo ti prende? È la prima volta che quello là ci fa di questi scherzi? Ah, per Dio, è da due mesi con noi; l'abbiamo preso per questo, no? Ogni giorno, si può dire, ha portato in giro, per conto nostro, tanta cocaina che gli sarebbe bastato il più lontano  sospetto per  mandarci   tutti  dentro.  Non fare il ragazzo. Rimettiti a giocare.

                           (L'Amico si risiede e comincia a mescolare le carte; fa tagliare il mazzo e poi distribuisce. La porta si apre e appare Alessio. L'espressione del suo volto denota una profondissima agitazione. L'amico e gli altri tre si levano di scatto; non è stato difficile per loro capire che qualche cosa è successo. E qualcosa di grave. Ma nessuno osa dire una parola).

Alessio              (richiudendo violentemente la porta dietro di sé)  Voglio parlarti, Toni.  (La sua voce ha un tono cupo; quasi minaccioso).

L'Amico            Per Dio, che ti è successo? E la roba che dovevi portarci?

Alessio             Non ce l'ho.

L'Amico            Non te l'hanno consegnata?

Alessio             Me l'hanno consegnata.

Secondo Giocatore(facendosi contro; aggressivo)  E allora sputala, ragazzo.

Alessio              (senza badargli.  Di nuovo all'amico) Ho detto che voglio parlarti.

Primo Giocatore     Avanti, dunque!

Alessio             A te solo.

L'Amico            Non ci sono segreti per questi miei amici.

Alessio             Ti ripeto: è una faccenda che riguarda solo noi due.

Primo Giocatore    Allora prima tira fuori quel che devi consegnarci e poi resterai solo con lui, se proprio ci tieni.

Alessio             Per l'ultima volta, Toni. Manda via questi tre.

Secondo Giocatore(all'amico)  Tu non ti la­scerai mettere sotto da questo pezzente.

Alessio             Questo pezzente sa ora. E avrebbe po­tuto mettervi sotto tutti e quattro, prima di tornar qui, se avesse voluto.

Primo Giocatore     (all'amico)  Ha detto che sa. Capito? Te lo sei tirato in casa tu, l'idiota che sa.

L'Amico             (sempre fissando Alessio; con gesto, agli altri tre)  Andatevene. Voglio sentire quello che ha da dirmi.

(I tre si guardano fra di loro, in si­lenzio. Poi il primo di essi fa un cenno col capo. Si ritirano).

Primo Giocatore     (sull'uscio)  Restiamo di qua, Chiamaci, se hai bisogno.

(Ed esce con gli altri).

Alessio             Non avrai bisogno di loro. Perché non mi getterò contro di te, sebbene ne abbia la voglia.

L'Amico            Lascia perdere. Che cosa c'è? Hai detto che sai. Ebbene? Vuoi chiedermi il permesso di po­terci denunciare? Te lo accordo senz'altro...

Alessio             Se avessi voluto l'avrei già fatto. I vo­stri luridi affari non mi interessano.

L'Amico            E allora chiuso. Sei stanco di restare con noi? Te ne vuoi andare? Riapri la porta e vattene. Corro il rischio di farci mettere le manette per colpa tua. Ma non importa. Purché non ti veda più davanti a me così, con quegli occhi.

Alessio             Non mi capisci, Toni.

L'Amico            Ma spiegati. Spiegati, in nome di Cri­sto! Non ti basta il denaro che ti diamo... Ecco, è questo:  avrei dovuto capirlo subito. Ti daremo di più. Va bene?

Alessio             Continui a non capirmi. Denaro... te ne ho mai chiesto? Nemmeno quando uscii di galera e, ricordando ciò che m'avevi detto quel giorno, mi presentai a te. Nemmeno allora. E Dio solo sa se ne avevo bisogno. Ma sai perché venni da te? Non tanto perché dovevo lavorare e forse tu potevi non lasciarmi morir di fame. Venni da te perché tu rappresentavi, nel mio pensiero, la salvezza. La sal­vezza della vita che tengo qua dentro. (Si preme le mani sul petto). Undici mesi di carcere. Per una colpa che non avevo commesso. Un uomo, per Dio, ha bisogno di credere in qualcuno. In chi potevo io?

L'Amico            Dove intendi arrivare? Sono problemi che non mi riguardano.

Alessio             Riguardano me. Avevo creduto, e li ave­vo amati, in mio padre, in mia sorella, in mio fra­tello. Avevo creduto in loro, perché erano la mia famiglia. E tutto s'è sfasciato sotto l'evidenza di una brutta meschina realtà. Mi gettai disperata­mente nella vita. Avevo bisogno di un po' di bene. Io ne avevo il cuore gonfio. Fu allora che trovai Maria. E questa storia già la conosci.

L'Amico            Ebbene?

Alessio             Ebbene: niente dalla famiglia, niente dall'amore. Mi attaccai con tutto me stesso al pen­siero dell'amicizia. Ho sempre avuto il terrore del­la solitudine. Ricordi? Ti incontrai proprio quel gior­no che... Poco dopo dovevo scoprire, e in quell'or­ribile modo, la verità attorno a Maria. Poi undici mesi di carcere. Ad aspettare un processo nel quale io non meritavo d'aver parte. Sai? Uno quando è costretto a rimanere fra quattro mura, giorno su giorno, ora su ora, senza sapere quel che avverrà di lui, uno va fuori col pensiero. Fuori, oltre quelle mura, in cerca di qualcuno. Di un ricordo.

L'Amico            Filosofia. Comunque, ogni uomo ha dei ricordi.

Alessio             Ah, ma non puoi in un carcere fermarti su certi ricordi. Il buono e il cattivo... Sono tutti ri­cordi. Ma là dentro, cerchi solo i buoni. E se non ne hai... è finita.

L'Amico            Beh, tu ne avevi di ricordi buoni, no?

Alessio             L'unico mio ricordo rimasto buono eri tu. Quando uscirò di qui, pensavo, so che potrò andare da lui. Me lo avevi detto. Era come se stando in mezzo a un oceano, scorgessi là, ferma, sicura, un po' di terra.

L'Amico            Infatti sei uscito di prigione, E io ho mantenuto. Ti ho fatto guadagnare quel tanto che ti bastava per vivere. Non so chi altro avrebbe fat­to quel che io ho tatto per te, con uno prosciolto per insufficienza di prove da un'accusa di omicidio. Ti faccio notare, inoltre, che io ti avevo detto di po­terti aiutare, forse, prima... Prima capisci?... che tu ti mettessi in quel pasticcio. Eppure anche con un assassinio di mezzo, e un processo, quando sei tor­nato da me, ho mantenuto ugualmente.

Alessio             E te ne ringrazio. Ti ringrazio per tutto quello che m'hai dato. Ma non è questo che importa. Un'occupazione, qualche po' di denaro, un letto... Grazie Toni. Te lo dico col cuore. Ma un senti­mento, ecco. Un sentimento di bontà, prima di tutto. Era questo che non avevo da nessuno. E che speravo di avere da te. È stato un tradimento, il tuo.

L'Amico            Un tradimento? Ma tu sei pazzo!

Alessio             Oh, cerca di capirmi. Non per quello che hai fatto a me. Ti sei servito di me per com­piere i tuoi sporchi affari, ma non è compito mio giudicarti. Mi consideravi un idiota... Non negare... So anche questo... Il servo stupido che si può ap­pendere a un palo perché tutti ci sputino sopra e lui non se ne accorge. Mi hai trasformato in uno strumento di questa miseria... La merce, come la chiamate voi... Eppure niente! Niente, Toni. Non per me. Hai tradito te stesso, voglio dire. Hai tra­dito quello che io m'ero immaginato che tu fossi. Macché amico... Non c'è stato il minimo di un sen­timento, non c'è stato una briciola di bontà in tutto quello che hai fatto per me. Anzi, ti faceva comodo che io fossi stato in galera...

L'Amico            La vita è così per tutti... Ogni uomo può trovarsi come te...

Alessio             Lo so. E infatti io sono un uomo. Come tutti gli altri. Come te. Il guaio è che si dimentica. Non diamo niente agli altri, non vogliamo nulla per noi.

L'Amico            E con questo? Concludi.

Alessio             Ho già concluso. Un'altra pagina chiusa.

L'Amico            Che cosa vuoi fare?

Alessio             Non lo so. Vedi? È vero questo: c'è chi sa vivere e chi no. Io non ce la faccio. Una goccia, poi un'altra goccia, e un'altra ancora. Sono gli altri che ci uccidono. Un poco per giorno. E se qualcuno la vuol fare finita con le sue proprie mani, non è che l'esecutore un po' più sbrigativo della volontà degli altri.

L'Amico            Adesso dici delle sciocchezze.

Alessio             Eh, lo so: sono discorsi che dispiacciono a uomini come te. Ti fanno ricordare che si può anche morire, vero? Che si deve morire. Ma non darti pena. Quelli come te, come mio fratello, come Maria... quelli sono sempre gli ultimi ad andarsene. Non come me che già ora, mentre ti  parlo,  non esisto più. Addio, Toni.

L'Amico            Dove vai?

Alessio             T'ho detto che non so. Ah, ma che stupido! Quasi stavo per cascarci. Ho creduto per un attimo che ti preoccupassi di me. (Ridendo ama­ramente) Rassicurati: non vado in questura a de­nunciarvi. Che cosa ne ricaverei?

L'Amico            Commetteresti un gravissimo errore!

Alessio             Non agitarti. Non farò nulla di quello che temi. Ma non hai capito, non hai ancora capito che sono diverso, molto diverso da te? (Avviandosi) Sii felice, Toni. (Apre l'uscio e si ferma un attimo).

L'Amico            Aspetta! Vuoi del denaro?

Alessio             Così no. Grazie. (Si avvia).

L'Amico            Un momento! Dove hai lasciato...

Alessio             Oh, finalmente! Dove ho lasciato la... merce? Aspettavo questa domanda. E ti risponderò senza bisogno che tu mi offra del denaro. L'ho lasciata là, che diamine! Hai pensato che avrei potuto appropriarmene? Là dove avrei dovuto riti­rarla. Mandaci uno dei tuoi soci. E non crucciarti. Per un idiota perduto, ne troverai altri mille. (Chiude la porta. Buio. Appare lo Sconosciuto).

Lo Sconosciuto      Se il maresciallo sapesse di questa storia degli stupefacenti, sarebbe certo d'aver fatto un passo di più verso la promozione. L'ho udito poco fa, nel suo ufficio. Gridava tanto che sembrava volesse farsi intendere da tutto il Poli­clinico. L'essersi ricordato d'un tratto, che l'Alessio Ruberti suicida è lo stesso che, pur senza averne colpa, era stato implicato in quel processo, gli ha fatto credere d'essere davvero quello che si dice un funzionario in gamba. Se di questa storia ne sa­pesse qualcosa il medico, il caso si farebbe, per lui, assai più interessante. Il suicidio diventerebbe lo inevitabile esito di una depressione psichica dovuta all'abuso degli stupefacenti. Potrebbe essere il tema per una dotta relazione scientifica. Ne terrebbero conto, agli esami  per la  libera docenza.  Si  può essere certi che né il poliziotto né il medico si limi­terebbero a credere così, semplicemente, alle parole scritte inquesto quaderno da Alessio Ruberti. La bontà, la schiettezza... generi di contrabbando. Se qualcuno vi tende la mano per stringere la vostra, voi pensate che nella manica sia nascosto il pugnale.

(Apre il quaderno. Legge) « A chi invoca la pace, il minimo che gli possa accadere è d'essere sospet­tato di volere la guerra. Ho cercato i cieli chiari, sereni, con quale risultato? Ma guai, guai rinun­ciare alla legge che cu siamo creati. Bisogna andare fino in fondo. Bussare a tutti gli usci. Fin che le mani sanguinino. Dopo, soltanto dopo, sparire. Io avevo ancora qualche strada da tentare. Una, del resto, era quella che avevo cercato con tutto il mio essere. Lavorare. Un lavoro duro. Che mi aiutasse a ricostruire. Che fosse come una battaglia. Per me e per gli altri ».

Buio, Il fragore di una frana. L'urlo d'una sirena. Appare l'ufficio del padrone.

Il Padrone        (volge le spalle al pubblico, guardando da una finestra. Muove qualche fosso; poi torna alla finestra. È nervosissimo)  Imbecilli! Male­detti imbecilli! (Si precipita al telefono) Pronto! Pronto, perdio! Ehi, siete voi della galleria numero sei? Sì, io, il padrone. Dite a quegli incoscienti che non spingano così sotto i carrelli! Finiranno con lo sfasciarli tutti... Sono pazzi? Niente esplosivo. Sono troppo vicini all'incastellatura. La fareb­bero crollare... Insomma! Che ci si mettano con i picconi! Con i picconi, ho detto! Muscoli, perdio! Non ammetto che si discuta. Sono il padrone, io. (Depone il cornetto. Torna alla finestra)

(Alessio entra all'improvviso, arrestandosi nel vano della porta. Indossa un paio di calzoni strappati; una maglietta lacera e macchiata del suo stesso sangue che gli esce da una ferita sulla spalla sommariamente fa­sciata. Il padrone volgendosi di scatto, furibondo) Che cosa fai? Chi ti ha permesso?

Alessio              (deciso)  Me lo sono permesso da me. Anche quello che hanno estratto adesso è morto. Non è un motivo sufficiente per presentarsi al padrone senza essere annunciati?                                 

Il Padrone       Per dirmi che un altro è morto? Non ho bisogno di messaggeri.

(Squilla il telefono)

Pronto? Io, sì. Ma certo! Quante volte ve lo devo dire? (Riattacca. Ad Alessio) Sono informato mi­nuto per minuto, come vedi. Seguo benissimo la situazione. Che cosa vuoi?

Alessio             Lo chieda a lei stesso, che cosa vor­rebbero i suoi operai. Ci sono ancora dodici uomini sotto quei massi.

Il Padrone       Me ne rendo conto perfettamente. E tu te ne stai qui a perdere tempo anziché lavorare con gli altri laggiù.                                             

Alessio             Sono stati proprio anche loro a mandarmi qua, da lei.

Il Padrone       Anche? E chi oltre loro?

Alessio             Ci sarei venuto da me solo, ugual­mente.

Il Padrone       Infine, che cosa volete?

Alessio             Sapere se in quest'ufficio con la pol­trona imbottita e il vaso di fiori sulla scrivania, ci sta un uomo... un uomo fatto come quelli che sono laggiù sepolti da tonnellate di sassi... oppure...

Il Padrone       Oppure?

Alessio             Non me lo faccia dire.

Il Padrone       Allora sentiamo... che cosa dovrei fare? Strapparmi l'abito di dosso e cacciarmi sotto la galleria a menar colpi di piccone?

Alessio             Non sarebbe affatto necessario.

Il Padrone       Dunque?

Alessio             Niente. Venir giù, almeno. Dirci una parola da uomo a uomini, anziché dare ordini dalla finestra o per telefono. Farci sentire che anche lei è con noi.

Il Padrone       Non è colpa mia se non posso sop­portare la vista del sangue.

Alessio             Ma è colpa sua dimenticare che cosa significhi una vita, anche una sola vita umana, per preoccuparsi soltanto del materiale. Se non impie­ghiamo dell'esplosivo alla galleria sei, sarà impossi­bile far qualcosa di utile.

Il Padrone       L'esplosivo! Sarebbe una follia. L'incastellatura è troppo vicina. Ne verrebbe un disastro irreparabile.

Alessio             Non soltanto l'incastellatura. La tor­retta anche, e forse la palazzina degli uffici con dentro lei, nella sua poltrona di pelle. In un soffio! Tutto per aria. Ebbene? Qui c'è gente che s'è macerata la vita intera per garantirle la fortuna. Per anni a marcirsi i polmoni in quell'inferno. E la perforatrice mentre squarciava il petto dei suoi operai, «per lei era come se le aprisse un nuovo conto in banca.

Il Padrone       Oh, insomma! Non so perché sia rimasto ad ascoltarti fino ad ora. Torna immedia­tamente giù al tuo posto!

Alessio             Non ci tornerò senza di lei.

Il Padrone       La responsabilità dell'opera di sal­vataggio del materiale e degli uomini è affidata ai miei ingegneri e ai miei tecnici.

Alessio             I « miei » ingegneri e i « miei » tecnici. Tutto le appartiene, qui. Anche la vita di quelli che stanno là sotto, vero? Ma non sopporta la vista del sangue. E non è suo anche quel sangue? Che cosa c'è di suo che le fa schifo e non le fa schifo? I... suoi ingegneri gliel'avevano detto che l'impalca­tura alla galleria sei avrebbe potuto cedere. Sarebbe stato necessario spendere il doppio di quello che ha speso. E lei non ha voluto spendere un soldo di più.

Il Padrone       Chi ha messo in giro queste voci?

Alessio             Si meraviglia che noi, gli ultimi e più umili suoi servi, sappiamo queste cose? Ecco il suo primo delitto! L'averci sempre considerato delle cose, non degli uomini. Meno dei « suoi» carrelli. Meno sì, perché di quelli almeno si preoccupa che non siano spinti troppo sotto perché si sfasciano.

Il Padrone       Adesso basta. Vattene immediata­mente. (Avviandosi al telefono e afferrando il mi­crofono) Chiamerò degli uomini perché ti riportino giù con la forza, se è necessario. (Fa per portare all'orecchio il microfono).

Alessio              (si avventa contro il tavolo e strappa il filo dell'apparecchio)  Non vi ubbidiranno. Non vi ubbidiranno più.

(Un fragore assordante)

Ecco, non vi hanno ubbidito! (Al colmo della sua resistenza, scoppia in una risata).

Il Padrone        (si precipita alla finestra)  Pazzi! Criminali! L'incastellatura! E il capannone! Me la pagheranno, vigliacchi, me la pagheranno!

Alessio              (continuando nella sua tremenda risata, si strappa la fasciatura dalla spalla, battendosi rab­biosamente il pugno sulla ferita)  Te l'abbiamo già pagata, padrone... Te l'abbiamo già pagata col nostro sangue... (Vieppiù cedendo)  Se non ti fa schifo...  (Crolla, esanime, a terra. Buio.) 

(Riappare lo  Sconosciuto).

Lo Sconosciuto      (legge il quaderno)  « A questo punto, quando ormai tutto sembra inutile, quando ci si accorge che la vita s'è stemperata nel nostro cuore scorrendo verso il nulla, come un pugno di sabbia tra le dita, ci si ricorda di Dio. Quel Dio di cui s'era cercato un segno nella famiglia, nell'amore per una donna, nell'amicizia, nel lavoro. L'ultima tappa. La fede. Ma si tenta di raggiun­gerla troppo tardi, col carico del bene perduto, dei disinganni, di quelle stesse angosce che ci spingono a cercarla. Non si ha più il cuore limpido. E si guarda a Dio ancor prima di conoscerlo, come si guarderebbe agli uomini che abbiamo conosciuto ».

Buio. Un suono d'organo. Quando torna la luce, appare l'interno d'una chiesa. Un confessionale, accanto al quale, inginocchiato, sta pregando un frate domenicano. Dopo un poco entra Alessio; incerto, guardandosi attorno. Si sofferma dinanzi a un grande crocifisso : lo fissa a lungo. Poi riprende a camminare come dianzi, lentamente. Ora è vicino al frate, il quale rialza il capo.

Il Frate            Cercate qualcuno?

Alessio              (accennando di sì con il capo)  Mmm, mmm... (E, sempre col capo, accennando al Croci­fisso) Quello.

Il Frate            Che cosa intendete? Volete confessarvi?

Alessio             Non so... Vorrei potergli parlare... ma come si parla da uomo a uomo.

Il Frate            Molto meglio, anzi. Perché lui è Dio.

Alessio             È che nessuno mi ha mai insegnato a conoscerlo.

Il Frate            E lo vorreste conoscere, finalmente.

Alessio             Temo di non riuscire a spiegarmi.

Il Frate            Non temete. Lui capisce tutto.

Alessio             Non riesco a spiegarmi a lei, padre.

Il Frate            Non ce n'è bisogno.

Alessio             Bisogna, invece; bisogna. Dio... È fa­cile dire: Dio. Ma poi? Sa com'è stato,  per me, Dio quand'ero un ragazzo? Un vecchio con le mani di donna. Un naso sottile e  severo. Coi capelli lunghissimi e la barba fin sul petto.  E gli occhi enormi. Così lo vedevo dipinto in  una di quelle cappellette di campagna affrescate dall'imbianchino del paese. E in una di quelle mani di donna, un calice d'argento. Ogni volta che passavo di là, e mi sentivo attratto ad alzare lo sguardo, qualcosa mi faceva paura. Quegli occhi enormi che, in qualunque punto mi  trovassi, mi  si  infiggevano  nei miei come due spilli. Questo è il Dio che ho co­nosciuto.

Il Frate            Quello non era Dio. E dopo? Dive­nuto uomo?

Alessio             Proprio questo volevo dirle, padre. Fin che si è ragazzi, si resta fermi lì... a un affresco mostruoso o alle cinque definizioni schiacciateci in testa dal catechismo... Dopo... eh, dopo più niente. Non se ne ha il tempo. Bisognerebbe ricominciare daccapo; ma come si fa? Sotto le armi, il cappellano ci raccomandava di lasciare stare le ragazze: badate alle malattie veneree, ci diceva. È ridicolo, vero? Non doveva essere la paura del peccato a tenerci lontani dai postriboli, ma il rispetto della profilassi. Dio non esisteva più in quelle prediche. « È stato rubato un portafogli », tuonò un giorno il cappel­lano; « chi l'ha preso, lo restituisca. Se no tutta la compagnia resterà consegnata in caserma ». Ecco il timore di Dio. E naturalmente si andava lo stesso con leragazze: al peggio, poi, c'era chi se la cavava con qualche giorno d'infermeria. E quel portafogli non fu mai restituito: la compagnia rimase conse­gnata in caserma, e non ci fu altro per cui il ladro dovesse pentirsi.

Il Frate            Quel cappellano non era un buon sacerdote.

Alessio             Colpa nostra? E lei, padre, lei è un buon sacerdote?

Il Frate            Ogni ministro di Dio è impegnato ad esserlo il miglior possibile. Solo lui può giudicarci.

Alessio             Ma anche noi, noi che lo cerchiamo per mezzo vostro, saremo giudicati da lui. E se non saremo riusciti a trovarlo, noi ne dovremo rispon­dere o ne dovrete rispondere voi?

Il Frate            La fede è un dono. Un dono che si deve conquistare.

Alessio             Padre: nella vita, fuori dalle chiese, dove non c'è musica d'organo né profumo d'incenso ma fragore di macchine e odore di sangue, fuori, dico, ciò che si conquista non è mai un dono. Se si conquista, è nostro, se no, altri lo prenderanno.

Il Frate            In questo, appunto, sta l'infinita gran­dezza di Dio. La pace in lui.

Alessio              (abbassa il capo desolatamente)  Sapevo che non sarei riuscito a spiegarmi.

Il Frate            Io vi ho compreso benissimo. Non una delle vostre parole mi è sfuggita.

Alessio              (cadendo in ginocchio sul confessionale)  Mi dia dunque questa fede. Questa pace di Dio.

Il Frate             (indossa la stola e gli si siede accanto) Dovrete trovarla da voi stesso. Dentro di voi. Dio è dappertutto. Dio è sempre con noi.

Alessio             Sono belle, queste cose. E lei le sa dir bene. Ma non bastano. Non bastano a chi per tutta la vita  ha cercato l'amore...  Disperatamente assetato di bontà, padre... E che cosa ho trovato? Tutto marcio... Una patina sottile nel cuore degli uomini. E sotto, appena sotto, la putredine. Padroni o servi? Che cosa avranno da Dio?

Il Frate            Né padroni né servi, dinanzi a lui: tutti uguali.

Alessio             No, no padre! Non deve essere così. Per i padroni no. Non è questa la giustizia!

Il Frate             (colpito si alza con uno scatto, si toglie la stola)  Ora basta! Era come dicevi: non ti ho capito. Alzati. Non si può cercare Dio bestem­miandolo.

Alessio              (è ritto dinanzi al frate, lo sguardo fisso negli occhi di lui. Poi si porta le mani alle tempie, e lentamente si allontana. Quando è davanti al Crocefisso, si arresta, allarga le braccia. La sua voce è devastata dall'angoscia)  

Signore, io non ti conosco. Ma tu perdona quello che sto per fare.

(È ricomin­ciata la musica dell'organo, ma fin dalle prime note si confonde con un fragore di macchine che finisce col superarla fino a divenire assordante. Buio).

Il gabinetto del medico al Policlinico. Il medico sta col capo reclinato sullo scrittoio, addormentato. Entra l'infermiera.

L'Infermiera     (sottovoce)  Dottore... Dottore... Alberto. (Gli si avvicina, lo scuote lievemente) Alberto.

Il Medico          (svegliandosi)  Eh? Che c'è? Ah, sei tu, Clara. Sono già le sei?

L'Infermiera    Mancano pochi minuti.

Il Medico         Beh? Qualcosa di grave? Hanno rico­verato qualcuno?

L'Infermiera    No, dottore. Ma quello... il sette...

Il Medico         Il suicida. Di nuovo lui?

L'Infermiera    Il cuore... temo che il cuore...

Il Medico         Ma naturale. L'avevo previsto. Il san­gue perso è stato molto, ma ho sentito subito che sa­rebbe stato il cuore a cedere. Respira?

L'Infermiera    Appena.

Il Medico          Non rimane che fargli un'iniezione. Se la sopporterà. Vuoi che venga io?

L'Infermiera    Come crede.

Il Medico         Ma non è il caso. Fa' tu. Cinque centimetri cubici di Excardio. Se ce la fa a tirar fino a domattina, sentiremo il professore.

L'Infermiera    Bene, dottore.

Il Medico         Eh, eh... che t'ho detto?

L'Infermiera    Bene... Alberto. Vado.

(Si avvia per uscire, qualcuno bussa; ed entra subito il maresciallo).

Il Maresciallo        Le chiedo scusa, dottore. Ho un buon colpo per le mani. Ma devo interrogare quel Ruberti. Mi vuole accompagnare?

Il Medico         Impossibile, caro maresciallo. Le sue condizioni si sono aggravate. Proprio ora la signorina (indica l'infermiera che è rimasta presso l'uscio) era venuta a dirmi che il cuore sta cedendo.

Il Maresciallo        Ma è importantissimo, anzi asso­lutamente necessario che io lo interroghi.

Il Medico         Non è mia competenza, ma che cosa crede di cavarci? È un suicidio, sa, proprio un sui­cidio, cioè, almeno fino a questo punto, un tentato suicidio. Niente assassini da far cadere nella sua rete, maresciallo.

Il Maresciallo        Eh, purtroppo lo so. Ma non per questo, voglio interrogarlo. Ho scoperto qualcosa nel suo passato che potrebbe riservar delle sorprese.

Il Medico         Senti, Clara? Che ti dicevo? La polizia ha il dovere di frugare nel passato degli uomini. Me ne duole, maresciallo: qualunque cosa vi ab­biate scoperto, io sono responsabile dello stato di quest'uomo.  E quest'uomo sta morendo.  (Fa un cenno all'infermiera che esce).

Il Maresciallo        È proprio questa la circostanza favorevole. Quando uno sta per andarsene, è più probabile che dica la verità. Mi stia a sentire: c'è una donna, in carcere, condannata a ventiquattro anni. Quella donna è stata l'amante del Ruberti. Non ricorda il processo della mondana, quella ra­gazza che uccise il vecchio cameriere sfruttatore?

Il Medico         Ho la buona abitudine di non seguire mai le cronache giudiziarie.

Il Maresciallo        Beh, fa lo stesso. Nel processo, a questo Ruberti non si riuscì a cavargli di bocca altro che due parole: « Sono innocente». E fu assolto per insufficienza di prove. Ora mi domando: se la ragazza, e non lui, fosse innocente?

Il Medico         Che cosa ne verrebbe?

Il Maresciallo        Dottore, è il mio dovere. Mi pagano per questo:  per servire la Giustizia.

Il Medico         E a me, mi pagano per far morire il minor numero di persone possibile.

Il Maresciallo        Mi permetto di insistere.

Il Medico         E la stessa cosa faccio io, maresciallo.

(Entra l'infermiera, piuttosto allarmata).

L'Infermiera    Dottore!  L'iniezione...  inutile... Non ne ho nemmeno avuto il tempo.

Il Medico         Deceduto. Vede, maresciallo? Questa volta sia lei che me ci hanno pagato proprio per niente. Lei non l'ha potuto interrogare. Io non l'ho potuto tenere in vita. (Consultando l'orologio) D'altra parte, guardi : sono le sei e cinque. Non smonta anche lei? Il nostro dovere, per questa notte, lo abbiamo compiuto.


ATTO  TERZO

L'aula di un inverosimile tribunale. Le cose che vi compaiono, le luci che lo illuminano, tutto è deformato come nell'inconsistenza d'un sogno. Un fascio di luce illumina il volto del presidente, che è lo sconosciuto, ritto dietro l'alto banco. Al cen­tro un cerchio di luce. Tutto il resto è nel buio.

Lo Sconosciuto       II dramma di Alessio Ruberti è finito. Deceduto in seguito a suicidio, è stato scritto. L'hanno messo in una cassa di legno bianco. E a spese del Comune l'hanno calato nella fossa dei poveri. Alcune badilate di terra e, sopra, un numero. Non gli hanno dato nemmeno il pre­te. Non si può, per i suicidi. Ora, tutte le figure che popolarono il piccolo e grande mondo di Ales­sio Ruberti non sono che ombre. Quasi tutte figure vive, ancora, per se stesse, per gli altri. Ma nel dramma di Alessio Ruberti, soltanto ombre. In ogni minuto noi diventiamo ombre. In questo attimo vivi, siamo già ombre per l'attimo dopo. Il passato di ognuno è fatto di ombre.

Il Cronista       (appare nel cerchio di luce)  Sen­tite: non si può tardare. Il giornale va in macchina fra mezz'ora. Se il dramma, come dite voi di Ales­sio Ruberti è finito, che cos'altro ci resta da cono­scere? Gli abbiamo passato la notizia in neretto. Per quel che mi riguarda, si sarebbe potuto o dovuto far di più? Se ci perdessimo ogni volta dietro un suicidio,  che cosa  ne ricaveremo?  Un  uomo s'è ammazzato. Amen. Pace all'anima sua. (Via).

Lo Sconosciuto       Si è ucciso? O l'avete ucciso?

(L'interrogativo dello Sconosciuto solleva un coro di proteste. Le luci si accendono e si vede allora tutta la folla dei personaggi che sono entrati nella vita e nella morte di Alessio Ruberti)

La domanda vi agita, a quanto sento. Ma siete proprio voi, tutti assieme e ad uno ad uno, che dovete rispondere.

Il Medico          (facendo un passo)  Per ciò che di­pende da me, ho fatto tutto quanto era umana­mente possibile... Secondo...

Lo Sconosciuto      ... scienza e coscienza. La vo­stra frase, dottore, è un passe-par-tout.

Il Medico         Non s'è mai sentito che si debba sot­toporre a processo un medico se un malato muore.

Lo Sconosciuto       Ma questo non è un proces­so, dottore. È il richiamo della coscienza d'ognuno di voi. Perché ognuno di voi, ho detto, potrebbe aver ucciso.

(I personaggi si agitano)

Rimanete calmi. Nessuno uscirà di qui con la fedina penale sporca. Non si comminano anni di carcere alle coscienze. Ombre come voi né si condannano né si assolvono. Siete tutti qui, e perciò siete già con­dannati. Non ci sono avvocati difensori. Non c'è l'accusatore pubblico. C'è solo la legge delle no­stre coscienze. E il peso delle vostre responsabilità.

Anna                  (facendo un passo avanti)  Io non ho nien­te da dire. Non ho parte in questa faccenda. Che cosa posso fare? Mio fratello è morto. Me ne di­spiace. Sebbene da tanti anni non lo vedessi più.

Lo Sconosciuto      Voi, Anna, siete come tutti gli altri. Peggio anzi, perché cominciò da voi. Tor­nate indietro.

(Le indica la folla dei personaggi che stanno dietro di lei, ed ella ubbidisce)

C'è, con una sola eccezione ed è una eccezione definitivamente negativa, c'è nella vita di ognuno di voi, in quella piccola parte della vostra vita che avete condiviso con Alessio una frattura. L'attimo della cattiveria. Forse una sola parola che avreste dovuto non dire, o dire in un modo diverso.

(Pausa. Con vigore) Mentire, piuttosto. Mentire, a un certo punto, piut­tosto che uccidere. Alessio (indicando ad uno ad uno i personaggi cui si riferisce) non è stato il vo­stro fratello, o il tuo innamorato, o il tuo amico, o il tuo dipendente, o il tuo figliolo spirituale. Ales­sio è tutti gli uomini, come voi pure lo siete. E la vostra colpa, il vostro delitto è quello di non aver avuto un respiro di bontà. Questa vita che macina. E tira via. Ciò che vi preme è bene. Il resto, za­vorra. La piccola tragedia dell'uomo che si recide le arterie su un marciapiede di periferia, è la stessa immane tragedia dell'umanità che si contorce in questa infinitesima parte dell'Universo.

(Pausa) Schiavi della cattiveria. Vi è mancato l'attimo di bontà che lo avrebbe salvato.

Il Frate             (facendosi avanti)  Avete detto poco fa: «mentire, piuttosto».

Lo Sconosciuto      Vi fa paura questa parola? Ma che cosa ci sarebbe di male? C'è un comandamento di Dio che lo vieta, vero? E gli altri comandamenti? Del resto, quante volte, reverendo, voi avete men­tito a voi stesso? In quel caso, forse, poté essere un bene, come potè essere un male. Non so... (Pausa)  Ma qualcosa sta al di sopra di ciò. Un impegno che non costerebbe fatica mantenere. Tendere la mano al prossimo, quando esso ci tende la sua e anche quando la ritrae. È l'impegno che voi tutti avete di­menticato. In quell'attimo in cui una parola o un ge­sto sarebbe bastato.

(Il frate s'è ritirato)

Vieni avanti, Anna.

(Anna si fa avanti e il gruppo dei perso­naggi scompare nel buio. Ora si vedono solo, come all'inizio, lo sconosciuto e Anna)

Ricordi quel giorno?

(Prende il quaderno di Alessio e legge)  « Cominciai a cercare l'amore nella mia casa; il giorno in cui credetti... ».

(Anche il volto dello Sconosciuto scompare. Si vede soltanto il cerchio di luce che av­volge Anna. Dietro di lei nella penombra è Alessio. Ma quasi non lo si potrà scorgere; ne udremo, in­vece, nitidissima la voce).

Alessio             È così raro che un figlio si trovi seduto a un tavolo, di fronte al proprio padre, e possa par­largli, e sentirlo parlare. Mi diceva che da quando la mamma ci aveva lasciati, gli pareva, anziché sen­tirsi vinto dal senso di vuoto in cui tutti eravamo caduti, gli pareva d'esser più legato alla vita. Di comprenderla meglio.

Anna                 È ciò che provo io ora. Ora che anche lui non c'è più. Mi fa bene che tu mi dica queste pa­role del babbo.

Alessio             Sono le parole a tener vivi i nostri pen­sieri. Anche di quelle abbiamo bisogno.

Anna                 Sì, Alessio. Ne abbiamo tanto bisogno. (Riappare lo Sconosciuto. Alessio non si scorge più).

Lo Sconosciuto     Non è stato difficile, vero Anna?

(Anna scompare. Appaiono Enrico e la matrigna)

E voi? Voi ormai avevate un carico di miseria ad­dosso. Già perduti, l'uno dell'altra. Ma per lui? Per­ché anche per lui?

(Lo Sconosciuto scompare. Tutto come nella scena precedente, con il fratello e la ma­trigna al centro del cerchio di luce).

Alessio             Non siate così, vi scongiuro. Non vi sono nemico. Non sono nemico a nessuno. Vi chiedo sol­tanto di non lasciarmi solo. Non mi guardate così.

Enrico              Perdonaci. Alessio. È stata un'ombra. So­no il tuo fratello maggiore. Affidati a noi.

La Matrigna    Abbi fiducia, Alessio. Voglio essere per te quella che è stata la tua mamma.

(Enrico e la matrigna scompaiono. La scena si illumina tutta).

Lo Sconosciuto     Fra tutti voi, forse, tu sola, Maria, potevi avere il cuore più puro. Ma la tua co­scienza, ormai, non ti apparteneva più. Lo amavi Alessio? Non lo amavi? Tu stessa avevi confessato di non saperlo. E non potevi saperlo. Perché già non esistevi più. La tua coscienza era la sua (indica il vecchio cameriere); gli apparteneva come una cosa. La tua anima era in suo possesso, come un oggetto. Un foglio di carta strappato. In una tasca sua, fra i denari e il notes degli appuntamenti. Questo può accadere: che i personaggi secondari della nostra vita divengano, proprio loro, i protagonisti indiret­ti del nostro destino. È il tuo caso, vecchio. Tu che ora, da qui, sei il più lontano. L'ombra più grigia d'ogni altra, perché anche fisicamente sei finito: con una pallottola nella schiena. E perché col cuore con un poco soltanto di cuore, avresti potuto salvare non una, ma due vite. Ti sarebbe bastato credere, per un attimo, quell'attimo, che l'amore può essere una verità. E che questa ragazza poteva averne bisogno, senza doversi illudere, ogni volta, di trovarlo tra le pieghe di un lenzuolo, accanto a uno sconosciuto.

(Buio. Nel cerchio di luce, Maria e il vecchio).

Il vecchio Cameriere Vattene, allora. Hai di­ritto di cambiar vita. Lo amerai e sarà tutto diverso. Un colpo di spugna e via. No, non dir niente. Non merito niente. Sono un vecchio inutile e faccio ri­brezzo a me stesso. Fuori, fuori di qui. Ti ho tra­scinato troppo in basso, io. Ma tu sei ancora in tempo per ricostruirti un'esistenza. Via... via! Lascia perdere questo buono a nulla...

(Alessio è lì, come nelle scene precedenti, nella penombra. Si scorge bene, in una sua mano, la bamboletta).

Maria                Grazie. Eccomi, Alessio. Vengo con te.

(Fa l'atto di avvicinarsi ad Alessio, ma il vecchio, che gli volta le spalle, si gira sbarrando la strada a Maria).

Il vecchio Cameriere(con voce commossa)  Gli voglia bene, signore. Io la conosco da quando era così... Sa, un po' come una figliola... (Si sposta la­sciando passare Maria).

Alessio              (affettuosamente stupito)  Che cosa dice?

Maria                Niente, Alessio. Andiamo. (Prende la bamboletta e volgendosi, l'agita appena, per salutare il vecchio)  Addio.

(Scompare. Il vecchio cameriere muove lentamente la mano, per rispondere al saluto. Poi, senza accorgersene, si asciuga una lagrima stilla guancia. La scena si illumina tutta).

L'Amico             (facendosi avanti)  Toccherebbe a me, ora, vero? Ma è chiaro che io non devo rispondere di niente in questa storia. Quando Alessio è venuto da me, usciva da una galera. Il dramma, come dite voi, era già scoppiato. Lui ne era già travolto. Io non potevo cancellare quello che era stato. E non po­tevo esserne responsabile. Che ne sappiamo noi, di quello che sarebbe accaduto ad Alessio, se gli altri, prima di me, non ne avessero fatto quello che ne ave­vano fatto?

Lo Sconosciuto      Dunque, egli non avrebbe po­tuto trovare in voi la salvezza? È questo che dite?

L'Amico            Che ne so io? Tradito! Mi accusò di averlo tradito. La mia vita era così. Avrei dovuto cambiarla prima... prima di conoscerlo, per non de­luderlo? Basta, via! Ci avete fatto diventare i perso­naggi di una farsa. La mia coscienza non mi può rim­proverare.

Lo Sconosciuto     Non ne dubito. La vostra co­scienza siete voi.

L'Amico            Io vi domando che cosa avrei potuto fare.

Lo Sconosciuto      Sono cose che non si possono insegnare. Tu, uomo, ascolta più attentamente i bat­titi del tuo cuore. Questo vorreste che vi si inse­gnasse.

L'Amico            In guerra, quando si va alla carica, non ci si ferma a raccogliere i feriti.

Lo Sconosciuto     Appunto: quando si è in guer­ra... E che cos'è la guerra se non quell'attimo di cat­tiveria prolungato per mesi e per anni?

L'Amico            La vita è una guerra.

Lo Sconosciuto       Siete arrivato al centro della questione. Sono gli uomini che confondono la vita con la guerra. L'abitudine, capite? E la comodità di una giustificazione costante, a portata di mano. La vita è una guerra. E non c'è esclusione di colpi.

L'Amico            Proprio così. Se non spari tu, sono gli altri che ti sparano addosso.

Lo Sconosciuto      E se non sparassero né quelli di qua, né quelli di là?

L'Amico            Già. Sarebbe troppo bello.

Lo Sconosciuto       No. Sarebbe semplicemente umano come sarebbe stato semplicemente umano se voi, quel giorno, di fronte ad Alessio, aveste guardato dentro di voi.

(Buio. Il cerchio di luce, nel mezzo, illumina l'Amico).

Alessio             Ti ringrazio per tutto quello che m'hai dato. Ma non è questo che importa. Un'occupazione, qualche po' di denaro, un letto... Grazie, Toni. Te lo dico col cuore. Ma un sentimento, ecco. Un sen­timento di bontà, prima di tutto. Era questo che non avevo da nessuno. E che speravo di avere da te. È stato un tradimento, il tuo.

L'Amico            So che cosa intendi dire. Ho tradito me stesso. Mi si spalanca davanti agli occhi solo in que­sto momento, la verità che non ho mai conosciuto. Si vive come bestie, senza mai chiederci perché viviamo. Occorrerebbe - vedi? - che tutti fossero come te. Con gli occhi limpidi da poterci guardare dentro e accorgersi di quello che si è. Dammi la mano, Alessio. Tu che sei forte. Non lasciarmi perdere. Forse c'è ancora questa possibilità.

(Luce).

Lo Sconosciuto       (al Padrone)  Il vostro problema è ancor più profondo: è un problema di secoli. Per risolverlo, generazioni intere vi hanno speso la vita. Voi esprimete addirittura un aspetto della società.

Il Padrone        (facendosi avanti, ironico)  Vi ringra­zio per l'importanza che annettete alla mia persona...

Lo Sconosciuto      Non vi sopravvalutate. Voi non siete nulla. Mi riferivo a ciò che rappresentate. Siete caduto anche ora nell'errore proprio della vostra clas­se. È il denaro che vi fa travedere. Il possedere più denaro di tutti assieme coloro che si dissanguano per procurarvelo. Non avete mai pensato, neppure per un istante, che quella vostra miniera, la vostra ric­chezza, i vostri materiali, erano, nella tragedia di cui partecipavano, qualcosa di ridicolo?

Il Padrone       Andiamo lontano dall'argomento!

Lo Sconosciuto     Tutt'altro. Lo stiamo conside­rando nella sua essenza centrale. Vi ho detto: il vo­stro problema è ancor più profondo. L'attimo di cat­tiveria non l'avete avuto quel giorno con Alessio Ruberti. L'avete avuto da sempre. E con tutti.

Il Padrone       È un'accusa che vale una giustifica­zione. Come se dichiaraste che non avrei né potuto, né voluto salvare Alessio Ruberti.

Lo Sconosciuto In un certo senso, sì. Cioè, in un certo senso, voi avreste dovuto essere salvato.

Il Padrone       Salvato da che? Secondo la logica che seguite in questo assurdo dibattito, io resto comple­tamente estraneo alle responsabilità di chi avrebbe costretto Alessio Ruberti al suicidio.

Lo Sconosciuto      Estraneo? Ne siete l'elemento più determinante. Più completo. La vostra fortuna s'identifica con la vostra miseria. Per cui la prima vittima della vostra bassezza siete stato e siete voi. Quegli uomini che morivano sotto la frana, erano sì altrettanti e tutti uguali Alessio Ruberti. Ma voi pure eravate tutti loro. Vi ripugnava la vista del san­gue. Ed era sangue vostro. Non perché, come crede­vate nella vostra illusoria ed inutile potenza, tutto ciò che era là, quindi anche le vite altrui, vi appar­tenesse. Ma perché la vostra sordità, la vostra intol­leranza, il vostro disgusto, la vostra inumana parte­cipazione alla sciagura, avevano già sepolto la vostra coscienza più irreparabilmente di quanto i macigni precipitati non avessero fatto con quei poveri corpi. Ed erano la sordità, l'intolleranza, il disgusto, l'inu­manità di tutti i miserabili sacerdoti della vostra re­ligione antisociale. 

(Buio.  Rimane visibile solo il volto dello Sconosciuto. Nel cerchio di luce al centro della scena appare il padrone).

Il Padrone        (rabbiosamente)  Sono il padrone, io! Alessio Ruberti, mi intendi? Sono il padrone!

Lo Sconosciuto      Toglietevi di là. Nessuno può rispondervi. Non c'è possibilità di soluzione. Toglie­tevi di là. Voi ormai, per Alessio Ruberti, non pote­vate far più nulla. Nemmeno mentire. L'avevate già ucciso.

(Buio. Le luci si riaccendono subito).

Il Frate             (facendosi avanti)  Tocca a me.

Lo Sconosciuto      Tocca a voi, padre. Ma che cosa avreste da dire? Il vostro attimo di cattiveria è già scontato. È Dio stesso che paga i vostri debiti.

(Buio. Nel cerchio di luce appare il frate e nella penombra, appena visibile, come nei quadri precedenti, Alessio).

Alessio             Sono belle queste cose. E 'lei le sa dir bene. Ma non bastano. Non bastano a chi per tutta la vita ha cercato l'amore... Disperatamente assetato di bontà, padre... E che cosa ho trovato? Tutto mar­cio... Una patina sottile sul cuore degli uomini. E sotto, la putredine. (Pausa) Padroni o servi? Che cosa avranno da Dio?

Il Frate            Figliolo, sta scritto: « Gesù vide alcuni ricchi mentre gettavano pingui offerte nel tesoro; vide anche una vedova povera che vi gettava due piccole monete. E disse: "Veramente io vi dico che questa vedova povera ha offerto più di tutti gli altri, per­ché tutti costoro hanno gettato parte del superfluo, nel tesoro di Dio, ma essa ha dato, nella sua povertà, tutto quello che aveva per vivere "». (Pausa) E... poi ricorda: nel male che hai avuto dagli altri è già il segno della vera pace di Dio. Non dovrai fare nulla per conoscerlo. Egli si è già manifestato in te.

(Buio. Si riaccendono tutte le luci).

Lo Sconosciuto      (con dolorosa ironia)  Marescial­lo, è molto spiacevole, bisogna riconoscerlo. Un sui­cidio non fa far carriera. Come per voi, dottore, non costituisce un'esperienza professionale di grande inte­resse. D'altra parte, il vostro servizio al Policlinico termina alle sei. Dalle ore ventidue alle sei. Tutto ciò che accade prima delle ore ventidue e dopo le ore sei, non vi riguarda.

Il Maresciallo         (facendosi avanti)  Noi non ab­biamo mancato nel compimento del nostro dovere.

Lo Sconosciuto     Maresciallo, e voi, dottore, ave­te le carte in regola. Si distribuiscono persino delle medaglie a chi compie il proprio dovere. Gli uomini non potrebbero fare a meno di credere nel mito del dovere e delle medaglie. Eppure... il dovere si com­pie col cervello e le medaglie si appuntano sul petto all'altezza del cuore. Peccato: a voi non daranno me­daglie per questa volta. Ma al termine di un onorato servizio, quando molti e molti Alessio Ruberti avran­no costretto voi, maresciallo, a stendere scrupolosi verbali, e voi, dottore, a firmare diligentemente di­chiarazioni di morte, chissà... (Grave) Purché... pur­ché ci sia sempre qualcuno disposto a caricarsi sulle braccia lo sconosciuto trovato svenato in una strada. Ma potete starne certi : quel qualcuno, malgrado tut­to, ci sarà sempre. (Con solennità) Per questo Ales­sio Ruberti è morto riconciliato con l'umanità. Per lo sconosciuto che s'è macchiato del sangue di lui ed è rimasto a vegliarlo. Senza averne il dovere. E quindi senza la speranza di ottenere la medaglia. (Si alza) Non c'è altro.

Il Maresciallo         (sostenuto dai mormorio degli altri personaggi)  No! No! Così non basta! La verità, vogliamo. Qual è la verità? Ci avete condotti fino all'estremo limite di quello che avete chiamato il dramma di Alessio Ruberti. E allora, tutti costoro (in­dicando la folla dei personaggi) quando, quando sono stati veri? Prima, nella loro cattiveria? Dopo, nella re­denzione delle loro coscienze? Alessio Ruberti li ha incontrati in quell'attimo o in quest'altro?

Lo Sconosciuto     La verità? Tanto, sarebbe inu­tile. Scelga ognuno di voi quella che preferisce.

F I N E