Gli Eudemoni
di Giambattista Giraldi Cinzio
PERSONAGGI
Lamprino
servo
Ragazzo
Messer Nastagio
vecchio
Madonna Macaria
Chelidonia
ruffiana
Fratello del Podestà
Eutiche
Messer Lino
Eugenio
detto Linda
Cavaliere del Podestà
Castaldo
Capitano della Pregione
Carino
Messer Cosmo
Ragazzo
Famiglio
ARGOMENTO
Un gentilhuomo Napoletano, temendo l'ira del suo Re, con la moglie et due figliuoli, uno maschio et l'altro femina, nati ambi ad un parto e simili fra se, montato su una nave, se ne fugge. È assalito da una crudel tempesta: cadono il marito et la moglie nel mare, l'uno è spinto a Durazzo, l'altro a Corfù, vivi. Il marito si muta nome e va a servire in Patrasso un gentile huomo di quel luogo, il quale lo lascia erede di tutto il suo. I figliuoli sono spinti con la nave a Ragusa. Un Raguseo piglia la femina, un Vallonese il maschio: quegli chiama la femina Eutiche, nome proprio di Grecia, questi chiama il maschio Eugenio. Il Vallonese va alla Vallona, ove si era ricoverata la madre dei due figliuoli, et mutatasi il nome, si era data a servire. Il Vallonese la piglia ai suoi servigi e la tiene in casa. Eutiche è rapita da ...........et condotta a Patrasso et venduta al padre senza che egli la conosca. Eugenio s'innamora di una giovane da Patrasso, che alla Vallona era ita. La quale ritornata nella sua patria, Eugenio fugge dal Vallonese, e vestito da donna se ne va a Patrasso et si acconcia col padre della giovane. Il quale credendolo una femmina, il dà per donzella alla figliuola et egli la ingravida. Ingravidatala, si innamora di Eutiche, non la conoscendo sorella. Et il padre, credendo Eugenio una fanciulla, si innamora di lui. Eutiche si innamora del figlio del fratello del Podestà. Et mentre cercano tutti condurre al fine i loro amori, sovraviene il Vallonese et la madre dei due figliouli, et il padre conosce i figliuoli et la moglie, et essi altresì lui. Et Eugenio si piglia la ingravidata giovane per sua moglie, et Eutiche ha il suo amante per marito et tutti si rimangono contenti.
IL PROLOGO
La scena è a Patrasso, nobil città di Grecia. Spettatori, qui dove per molti anni Reali avvenimenti havete visti, Hoggi rappresentare una comedia Vedrete, dall'istesso autor composta, Che le cose reali addusse in scena: Ove, se ben vedrete alcuni amori Et mezzani, che al fin cerchi condusse, Non odrete però mai dir parola, Che esser non possa honestamente udita, Et non sia a esempio della vita humana. Che coloro il poeta nostro biasima, I quali s'han pensato che la loda Della Commedia sia con atti vili, Con parole lontane da ogni modo, Che alle honeste attioni si convenga, Indur gli spettatori a riso sciocco. Cose non pur della Commedia indegne, ma da far vergognar la plebe istessa. Ver è che quando per le vie ed i trebbi Senz'ordine, senz'arte e senza scena, Da genti rozze appresso i Greci foro Recitate comedie vili e inette, Favole udite for simili a queste, Che hoggi venute son favola al vulgo. Ma poi che fu compreso il meglio, e visto Che del vivere humano la Comedia Esser dovea maestra, fu quell'uso Senza honor, senza gratia e senza pregio Bandito dalle scene e dai teatri. Et degni di comedia solo i motti, I gesti, i giuochi, le parole, i risi for giudicati, che porgean diletto Degno alle civili attioni honeste. Quindi Terentio, che da Lelio apprese Et dal gran Scipio quello che dovea Farsi nel tempo, che la maestade Di Roma si volea prender piacere, Di comedie che fosser di lor degne, Nelle favole sue solo introdusse Cose da muover riso honestamente, Sprezzando tutto quel che non per altro Rider facea che per la sua bruttezza. Quantunque havesse havuto Plauto innanzi, Che havea cercato per qualunque via Far rider la vil plebe e il vulgo inetto. Perciò diè biasmo a Plauto Horatio, e diede Loda a Terentio il dotto Afranio antico, Malgrado di volcatio e di tant'altri Che vollero oscurar tanta virtute. Laciando adunque hora il poeta nostro, E il color biasimevole costume, Nella commedia, di cui voi dovete Esser (vostra mercè) spettatori hoggi, Seguit'ha quanto gli è di possibil suto L'honorate vestigia di coloro, Che alla strada d'honor han volto i passi. Adunque hoggi udirete un gentil huomo, Che fuggendo da Napoli, per l'ira Del suo re contra se, perdette in mare Per la tempesta la mogliera e i figli. Et poscia lui del suo figliuolo acceso Credendolo una giovane. E il figliuolo, Poi ch'hebbe ingravidata la sua amante, La sua sorella ardentemente amare, Che comperata havea per serva il padre, Non sapendo che figlia ella gli fosse, Né il fratello che a lui fosse sorella. Et vedrete costei amare un altro Giovane, che figliuolo è del fratello Del podestà di questa terra. Or mentre Ciascun condurre al fin vorria il suo amore, Per la nova improvvisa e lieta giunta, D'un nobil Vallonese, che la madre Dei due figliuoli, e del lor padre moglie, Condurrà qui in Patrasso (hor nobil terra Di Grecia, quanto già Corinto e Atene) Conoscerà il marito la mogliera Et ambi i lor figliuoli, i quali havranno Del loro honesto amor dicevol fine. Tal fia di questa favola il successo, Che per nome gli Eudemoni fia detta Dal felice soccesso che si avviene. La qual se fia da voi benignamente Udita, oltre il piacere e l'util, ch'Ella Vi porgerà, ve ne haverà il poeta, Tutto intento a piacervi, immortal gloria.
ATTO I
SCENA I
Lamprino servo, solo.
Lampr.
Quando i padron son vecchi e innamorati,
È guadagno dei servi, che altrimenti
Non han mai un danajo. Ma se amore
Gli sprona, essi divengon così larghi
Ne lo spender per fare il loro desio,
Cotanto, che non curan cosa alcuna.
Perché per esser vecchi ardir non hanno
L'appassionato far sopra i cantoni,
Et per questo la trama tutta tutta
Si conduce per noi. Et non siam quelli,
Che col far creder lor mille menzogne,
Lor votiamo la borsa. E col mostrare
Che altro in cor non habbiam che pienamente
Godan dei loro amori, ci godiamo
Alle spese noi dei nostri. Et s'unqua
Avvenne a servo alcun questa ventura,
Hoggi è avvenuta a me col mio padrone.
La fante egli ama di questo vicino,
Et non osando di scoprirsi egli, heri
Comunicò con me l'amore suo.
Et io subito corsi con l'ingegno
A l'util mio, e gli promisi fare
Ch'harebbe tutto quel ch'egli voleva.
Et hor mandato m'ha qui a questa nostra
Vicina, perché io veggia di disporla
Ad essergli mezzana in questo amore.
Et io l'ho fatto, et ho con lei trattato
Il modo di pelar questo uccellaccio.
Hora il vado a trovar. Ma il veggio uscire
Fuori di casa, io gli vo gire incontro.
SCENA II
Messer Nastagio, Lamprino
Nast.
Egli è pur ver che le sue forze adopra
Amor, più in là ch'altri non istima, e tale
Arse il suo ardor, ch'essa dovria di ghiaccio.
Chi crederia che in questa mia vecchiezza
Potessi arder d'amor.
Lamp.
Io il crederei
E molti altri, padron,
Nast.
Chi gli è che parla?
Lamp.
Gli è Lamprino.Et che pare a voi novo
Se d'amor sete acceso? Novo fora
Se non amaste, essendo di natura
Buona et standovi sempre nei diletti
Come voi fate. Io ben conosco cento
Giovani, che non son come voi siete.
Nast.
E non è dubbio, sassi. E' son gagliardi
E nel fior de l'etade, ov'io son vecchio
Et debole.
Lamp.
Io non vo, padron, dir questo.
Vo dire io pur che sete, a quel che stimo,
Più gagliardo di loro et più possente.
Nast.
Vorrei che fosse il ver, ma ch'hai tu fatto
Con donna Chelidonia?
Lamp.
È donna schifa
Et mal credente. Vuol parlar coi suoi
Prima che si risolva. E tanto face
Questa donna la santa, che fia duro
A ciò disporla. Ma se si dispone,
Non si può ritrovar meglio di lei.
Nast.
Ma che bisogna far per ottenere
Questo da lei? Se con denar piegarla
Sì che mi serva, non son per far sparmio
Di cinquanta fiorin.
Lamp.
Questa è una posta
Da ottenere lo intento. Molte cose
Padron, fanno i denar; ma appena io credo
Che per denar si pieghi questa donna.
Et se pur s'ha a piegar, ne vorrà molti.
Nast.
Vadavi ciò che vuol, io desio avere
Meco costei, che è fin d'ogni mia voglia;
Ma cinquanta fiorini sono un bel dono.
Lamp.
Gnaffe s'è bello. Non è mal tentare,
Padron, questa fortuna, perché l'oro
L'impossibil possibil spesso face.
Però ben fia che se n'andiamo a lei.
Nast.
Anzi vi voglio andar; tu meco vieni,
Né mi mancare, ove mi fia bisogno.
Lamp.
Non dubitare, che io son per fare
Ogni cosa per voi a questa volta.
Vedetela, padrone, ch'ella esce fuori.
Nast.
Ve come bene siam venuti a tempo.
Lamp.
Siate accorto a pigliarla con bel mondo.
SCENA III
Messer Nastagio, Chelidonia, Lamprino.
Nast.
Madonna!
Chel.
Chi mi chiama?
Nast.
Udite
Due parole.
Lamp.
Madonna, egli è il padrone,
Di ch'hoggi vi parlai.
Chel.
Se parlar vuole
Di quel che tu m'hai detto, può restarsi.
Perché non voglio entrare in queste tresche.
Che, a dirti il vero, ben mi posso andare
Per tutta questa terra a volto aperto.
Non voglio or io che il compiacere a lui
Mi faccia vergognar di me medesma.
Nast.
Madonna, cosa alcuna io non vi cheggio
Se non honesta, et credo che Lamprino
Il tutto v'habbia detto.
Chel.
Egli m'ha detto
Pur troppo; ma di vendere menzogne
Non si pagò mai il dazio, e non m'è novo,
Vi so dir, messer mio, l'ardor di chi ama.
Fingono tutti, e giurano, e spergiurano
Per havere l'intento; e poiché l'hanno,
Si solvon tutti i giuramenti in vento.
Lamp.
Credetemi, che va messer Nastagio
A buon fin, certo.
Chel.
Io non nacqui hjer sera,
Lamprino.
Lamp.
E che volete dir per questo?
La prenderà per moglie. Non so s'ella
S'havrà poi da doler di voi. Se voi
V'havrete a vergognar di tale ufficio.
In che volete trapporvi, s'in queste
Opre, piene d'honor, di caritade
Voi non vi trapponete?
Nast.
È molto destro
Lamprino in questa trama. Un huom val cento,
Et non vagliono uno cento.
Lamp.
Opre son queste
Da gir cercando, non che d'accettarle
Quando s'offron da se. Mostrate alquanto
Di piegarvi.
Chel.
Quando essere pur tale
Dovesse il fin di ciò, m'adoprerei.
Lamp.
Vel dirà il mio padron.
Nast.
Il ver v'ha detto
Lamprin, Madonna; voi datemi aiuto
Che buon per voi.
Chel.
Non cerco io questo. Solo,
Quando a tale opra pure io mi disponga,
Per amore di Dio mi movo a farlo.
Lamp.
Deh! benedetta siate. Hora, padrone,
Fatele cortesia, che è poverella
Et è donna da ben.
Nast.
Questi fiorini
Voi vi terrete fino a che maggiore
Dimostration farovvi.
Chel.
Io vi ringratio,
Dio ve lo merti.
Nast.
Quando sarà tempo
Di ritornare a voi per la risposta?
Chel.
Che ne poss'io saper? Se n'havrò l'agio
C'andrò fino ad un'hora.
Nast.
Fino ad un'hora
Io venirò da voi.
Chel.
Se voi verrete,
Io vi farò saper quel che havrò fatto.
Ma sassi Dio, s'io le potrò parlare.
Nast.
So che non mancherete, andate in pace.
Tu non ti pentirai, Lamprino mio,
D'havermi dato aita.
Lamp.
In fino ad hora
I' non mi pento. Che dovrei pentirmi
Al primo incontro di guadagnar forse
Venti fiorini? Io vi ho, padron, servito
Con tutto il cuor.
Nast.
Lamprino, io t'ho venduto,
Io mi lodo di te. Vo girmi a casa.
Tu te n'andrai in villa et il castaldo
Teco farai venir con quei pollastri
Che gli ordinai. Che questa sera io voglio
Che la parte ne porti a questa vecchia,
Che haver la voglio amica.
Lamp.
Andrò, padrone.
SCENA IV
Lamprino solo.
Lampr.
Per Dio, per Dio, che ben bisogna aprire
Gli occhi oggidì. Chi non havria creduto,
Quando a parlare incominciò con questa
Sor Cocchina il padron, che Ella non fosse
Un'anima di Dio! Io che sapea
Che la peggior di lei non copre il cielo,
Quasi stava a l'inganno, lei veggendo
Mostrarsi sì dabben. Io così schifa
Et sì vaga d'honor non vidi mai,
Né più malvagia, né che me'sapesse
Celare il reo sotto il mantel del buono.
Guardinsi pur da questi picchiapetti
Et sputa avemarie chi ha donne in casa.
Ma che ho a far io coi fatti d'altri? Allegri
So ch'habbia cominciato da buon capo
Il mio guadagno. Io mi vuo'andare in villa,
Per potermene subito tornare,
Per haver la mia parte, o Chelidonia.
ATTO II
SCENA I
Chelidonia sola.
Chel.
Dappoi che cominciai pormi a quest'arte,
Non ebbi mai occasion si grande
Di guadagno com'hora. In un drappello
Scopertisi mi son due amori. Questa
Di questo vecchio è accesa tanto
D'uno del Podestà nepote, et egli
Così ama lei che non ha mai riposo,
Et spera pel mio mezzo haver quel fine,
Ch'egli ed ella disian dell'amor loro.
E dall'uno e dall'altra ho qualche cosa.
Ama messer Nastagio sovra modo
La serva di messer Lino. E si pensa
Non poter per via alcuna al fin condurre
(Mancandogli il mio aiuto) il suo desire.
Ed è questo un uccel da pelar secco,
Se da giovane trar non ho saputo.
E questo uopo m'era a quest'etade,
Giuro a Dio che or non sarò melensa.
Ma veggio uscire Eutiche. Io vo espedirla,
Che venendo la Linda, io vo haver agio
Di disporla ad andare a questo vecchio.
Benché per quello ch'ho compreso, mentre
In casa io le ho parlato, gran fatica
Non v'havrò a porre, e sono come certa
Che havrà l'intento suo messer Nastagio.
Ma vo che la gli costi. Anch'io godere
Vo, poi che non poss'altro, in qualche modo.
SCENA II
Chelidonia, Eutiche.
Eut.
Che vi è, dimmi, che vi è, che se' sì trista?
Io non credo che al mondo si ritrovi
La più trista di me. Fin da le fasce
Misera cominciai essere et tale
Sarò fino alla morte. Et, se non fosse
L'aiuto che mi date col portarmi
Del mio dolce Carin talora nuova,
Morta sarei. Voi mi tenete in vita,
Madricina mia cara, et per voi spero
Vedere anco per me chiaro un dì il sole.
Che mi sapete dir, madre mia dolce?
Chelid.
M'hai tu forse portato quel presciutto,
Ch'heri mi promettesti?
Eut.
.Oh, che risposta!
Chelid.
Tu cerchi il fatto tuo, io cerco il mio.
Eut.
Il porterò dimani.
Chelid.
Anch'io dimani
Havrò che dirti.
Eut.
Deh non mi sfuggite,
Non vi son già mancata in fino ad hora,
Che dobbiate temer.
Chel.
Dammi la fede
Di portarlo diman.
Eut.
Tosto che io torni
Che novella mi date?
Chel.
Io non l'ho visto.
Eut.
Ahi! Guajo, oimè! son io trista e infelice
Più d'ogni donna! Ov'io ho posto spene?
Quanto più giustamente potrei dirmi
Infelice, che Eutiche!
Chel.
Vuoi morire?
Io l'ho veduto.
Eut.
Che v'ha egli detto?
Chel.
Eutiche, se havrai cor tu di far quello
Ch'egli m'ha detto, sempre il goderai
A voglia tua, sempre sarai felice.
Eut.
Per lo fuoco anderei, pur ch'io sapessi
Di far cosa che fosse a lui a grado,
Con salvezza però dell'honor mio.
Perché non mi trovando io d'haver altro
Di dote del mio padre, che la sola
Honestà, vo salvarla.
Chel.
Come a grado
T'è, fa di te medesma. Dio volesse
Che fosse in te la voglia mia, o che fosse
Questa gioventù in me. Odrai il modo
Che ti convien tenere ad esser lieta,
Fa poi tu il parer tuo. Se farai male,
Il danno sarà tuo. Benché so dirti
Che mi ha giurato di non ti toccare,
Se prima non ti prende per sua moglie.
Eut.
O Dio volesse che ciò fosse il vero.
Chel.
Vero fia certo.
Eut.
Che bisogna fare
Perché ciò segua?
Chel.
Torre in collo un monte
Ovver passare il mar. Far ti bisogna
Una cosa da nulla ad ottenere
Tanta allegrezza.
Eut.
Et che?
Chel.
Tu l'udirai,
Felice sarai se il buon scerre tu voglia.
Al tuo caro Carin fuggì il ragazzo
Con certi Cretensi heri, ond'egli venne
A ritrovarmi e dissemi ciò. Et poi
Mi soggiunse piangendo, Chelidonia,
Questa è la mia ventura et de l' Eutiche,
Se prender la saprà. Non posso stare
Senza ragazzo. Voglio che si vesta
Da ragazzo ella. E a me ne venga, et io
La prenderò. Non fia chi a questo pensi:
Et io così potrò securamente
Esser con lei, et ella meco, et prima
Io non le voglio por le mani addosso,
Che io non la sposi et per mia moglie l'habbia.
Chel.
A me piacque il partito et giudicai
Che ben saresti sciocca s'anco adesso
Ti stessi a bada.
Eut.
Parvi che sia nulla
Questo da far per me?
Chel.
Ben sai che è nulla.
Eut.
Anzi è gran cosa.
Chel.
Perché è cosa grande?
Eut.
Perché io son donna.
Chel.
Et perché credi ch'egli
Ti voglia? Et l'esser donna ti fa havere
Questa ventura, pazzerella.
Eut.
Questo
Femminil viso mi faria palese.
Chel.
Non dubitar del viso, che tal l'hai,
Che al maschio simil sei, come alla donna.
Et proprio ne parrai schietto un ragazzo.
Eut.
Questo pur passerebbe, ma se poi
Mi cercasse il padron?
Chel.
Tu sei pur sciocca;
Pensa, pensa di te.
Eut.
Io di me penso
Pensando a questo; s'ei mi ritrovasse,
Che saria poi di me?
Chel.
Se il ciel cadesse
Che saria degli augelli? Cerchi pure,
Non ti trovarà mai. Ché vuoi che ei venga
A trovarti colà? Non penserebbe
Questo in mille anni.
Eut.
Et se egli vi venisse
Et mi trovasse.
Chel.
Se sarai mogliera
Di Carino, fia d'uopo ch'ei si taccia,
Voglia o no. Non si può, la mia Eutiche,
Senza pericol far guadagno grande.
Aita Amor chi ha ardir. Per Dio, che questo
È un partito sicuro. Et se io te fossi,
Mo non vi farei su tanti pensieri.
Eut.
Ma come si farà dei panni?
Chel.
I panni
Sono qui in casa, che egli stesso hersera
Portògli qui. Veder puoi s'egli t'ama,
Se brama esser con teco, se convienti
Nome d'Eutiche. Vuoi hora venire,
Che gli daremo fin?
Eut.
No, veder voglio
Che fa il padron?
Chel.
Va dunque: torna tosto
Fa buon pensiero, et fa che il van timore
Non ti faccia lasciar questa ventura.
SCENA III
Chelidonia sola.
Chel.
Io non dubito punto che l'Eutiche
Non venga, che so quanto volentieri
Agli huomini ne vadano le donne,
Quando ardono d'amor. Et che io ho a fare,
Se si romperà il collo? Assai più stimo
L'utile di un soldo, che l'honore
Di mille donne. A me basta che io m'abbia
Procacciato quest'utile, che mancia
Carino mi darà da gentilhuomo.
Ma chi apre quella porta? Ella è la Linda
Che n'esce. Or parti ch'abbia il fuoco attorno
Quest'altra maledetta? Io vo aspettarla
Dentro la porta; forse anco da questa
Potrò trarre per me qualche guadagno.
SCENA IV
Linda, Chelidonia.
Linda
Mi tengo più obbligato a questa gonna
Che io non so dire a che. Posciaché d'essa
Io mi vestii, avventurato sempre
Son stato sovramodo infino ad hora.
Et ella in guisa cela il mio esser maschio,
Che se venisse ben dalla Vallona
Quà messer Cosmo (dal quale io fuggiva
Vinto dal grand'amor, che a questa figlia
Di messer Lin portava) et ne cercasse
Patrasso, a casa a casa dimandando
D'Eugenio, (che così son nomato io,
Quantunque nominar mi faccia Linda,
Perché a l'abito sia conforme il nome)
Non potria ritrovarmi. Che per donna
Ognun mi tien, eccetto la Marcella
Figlia del mio padron, per lo cui amore
Mi posi indosso questa gonna, ch'ella
In ciò non s'è ingannata. Et perché io veggia
Che è gravida in sei mesi, è di bisogno
(Se io non voglio mutar la gioja in pianto)
Che senza molto indugio mi diparta.
E in questo mio partir m'ha porta un'altra
Ventura Amor (mercè di questa veste);
Ché amando io questa serva, che è qui in casa
Di Messere Nastagio, e credendo egli,
Come credono gli altri, che io sia donna,
Si è di me acceso e dimandar m'ha fatto,
Che per fante io voglia ir a star con lui.
Io gli ho promesso, perché poi che in casa
Sarò, io disporrò non men quest'altra
Al mio voler, che fatto habbia Marcella.
Che gli huomini e le donne sono insieme
Come paglia ben secca e foco ardente.
Io vo saper che fatto ha Chelidonia
Con Messere Nastagio.
Chel.
Che v'è Linda?
Linda
Altro che bene.
Chel.
Credo che venuta
Tu sii per girti con messer Nastagio.
Ma non gli ancor parlato; sei venuta
Troppo tosto.
Linda
Vi prego per l'amore
Di Dio che voi facciate tosto, ché io
Chiesta ho licenza a messer Lino, et loco
Non ho dove ridurmi.
Chel.
Innanzi sera
Tu v'andrai, tienlo certo.
Linda
Io ve ne prego,
Ché messer Lin venuto è in tanta rabbia,
Poi che ho detto partirmi che ei m'habbia in odio
Come nemica.
Chel.
Non passerà molto
Ne verrà a me messer Nastagio, et io
Vi porrò fin. Tu vieni insino a un'hora.
Et, figlia mia, raccordati che io sono
Povera et ho bisogno del tuo ajuto.
Ad ogni modo a partir t'hai da questo
Tuo padron. Tranne ciò, che trar ne puoi,
Ché l'ultima ricolta sarà questa.
SCENA V
Chelidonia, Messer Nastagio.
Chel.
Havrà una gran ventura questo vecchio.
Haver giovane tale in sua balia,
Morbida, bella, frasca, ardita et viva,
Come una passarella. È un bocconcino
Proprio da Dio. Veggiolo, egli esce.
Nast.
Certamete gli è ver che non è indugio
Sì grave, che agguagliar si possa a quello,
Che intrattiene una cosa amata. Mai,
Da che da questa vecchia io mi partii,
Non ho avuto riposo. Et forza è stato
Che un poco più per tempo a Lei mi venga,
Per intender che ha fatto a punto. A punto
La vecchia è fuor di casa, sulla strada,
Madonna.
Chel.
Chi mi chiama?
Nast.
Vi chiamo io.
Chel.
Siatevi il ben venuto.
Nast.
Che novella
Mi date della Linda?
Chel.
O gran fatica
Disporre una fanciulla, che si dia
Ne le mani ad altrui! Pur spero bene.
Bisogna, messer mio, come sapete,
In queste cose andare a passo a passo.
Anch'io vo che vi sia il mio honor.
Nast.
Saravvi,
Non dubitate.
Chel.
Se animo vi havete
Di far cosa, che indegna de l'onore
Sia di questa fanciulla, me lasciate
Fuori di questa trama.
Nast.
Habbiate certo
Che del debito mio non verrò meno,
Chel.
Vi darò nelle man, con questa fede,
L'honor mio et la fanciulla.
Nast.
Quando fia
Ch'ottenga quel che io bramo?
Chel.
Quanto presto
Più potrò.
Nast.
Ve ne prego. Et vi prometto
Che, se posso per voi io cosa alcuna,
Senza rispetto la chiediate.
Chel.
Questo
Mio mantelluccio et questa cotta sono
Logori, quando grave non vi fosse,
Et lo potreste far, fareste cosa
Che a Dio grata sarebbe a rivestirmi.
Nast.
Il farò volentieri.
Chel.
Et io farovvi
Partecipe di quante perdonanze
Piglio ogni giorno et di quelle orationi
Che io porgo a Dio.
Nast.
Io me n'andrò a casa,
Et farò quanto v'ho di far promesso.
SCENA VI
Chelidonia, Lamprino, Castaldo.
Chel.
Per mezzo mio del loro amor godranno
Carin, messer Nastagio, Eutiche e Linda,
Et l'util ne godrem Lamprino et io.
Veggio Lamprino, che ha un villano dietro
Carco di robbe. Non mi vo partire,
Ché io gli vo dir ciò che s'è fatto.
Lamp.
Guarda
Di non dire al padron di quelle robbe,
Che io t'ho fatto portare a quella donna,
Ché tristo te. Tu sai ben chi son io,
Che faccio tutto, fuori.
Cast.
Non temete
Che io dica cosa alcuna. Ma che ho io a fare
Ad haver la mia parte?
Lamp.
Gocciolone?
Non la sai tu torre? E di che temi?
To tu, che torrò anch'io, tutti tacemo.
Chi vuoi che il dica? Forse che debbiamo
Noi heredi restar di questi beni?
Tanto n'havrem, quanto sapremo torre,
Et nulla più.
Chel.
Veduto t'ho venire,
Aspettar t'ho voluto.
Lamp.
Et che novella,
C'è del novello amor del mio padrone?
Dite di gratia.
Chel.
Par che tu non sappia
Che io mi sia in cose tali. Infino a un'hora
Egli avrà dalla Linda ciò che ci brama.
Lamp.
È vero?
Chel.
Vero.
Lamp.
Et gliel'havete detto?
Chel.
Partiva or or da me con questa nuova,
E m'ha promesso di vestirmi tutta.
Lamp.
Che volete voi far di vestimenta?
Poche son bone; certo è molto meglio
Che pigliate i denari.
Chel.
Tu procacci
Tutto per te, Lamprin, ma non temere;
Io mi ragguaglierò per altra via.
Ma chi è costui che è teco?
Lamp.
Egli è il castaldo,
Al padron porta questa roba e a noi,
Perché so che n'havrem la nostra parte.
E ben vo che ceniamo questa sera
Da signore, per Dio. Ma chi è costui,
Che di quà vien sì pien d'affanni?
Chel.
È uno
Cogli traffichi miei; vattene in casa,
Che io non vo che mi vegga a parlar teco.
Lamp.
Anchor io voglio entrar.
Chel.
Darai di volta,
Ché partirem tra noi tutto il guadagno.
Lamp.
Donna non face male in questa terra,
Che non ne sia cagion questa ribalda.
SCENA VII
Carino solo.
Car.
Io son come colui che a un lato ha i lupi,
E a l'altro ha il precipizio, temo et amo;
Ché altro non è ch'esser tra doppia morte.
Io amo Eutiche et solo esser desio
Con lei perpetuemente e col suo honore:
Et per costei son tutto fuoco e fiamma.
Ma il timor del mio padre sì mi preme,
Che nel fuoco medesmo io son di ghiaccio.
Il mio acceso desir mi sprona, et questa
Tema raccoglie il freno, et non volere
Quello mi fa che io volea prima, in modo
Che, ove mi chiama l'un, l'altro mi svia.
Er pur senza alcun pro io mi consumo.
Ma che voglio, infelice, che mi meni
A morte altrui rispetto? Non è alcuno,
Che io debba più curar di me medesmo.
Ogni pena minor sarà di questa,
Che per amor de la mia donna io sento.
Se raccordar non si vuole il mio padre
D'esser mai stato giovane, non voglio
Che ei ne la gioventù mi faccia triste.
Et così stabilito ho da più giorni.
Andar voglio a saper da Chelidonia
Che fatto ella ha con la mia cara Eutiche.
SCENA VIII.
Chelidonia, Carino.
Chel.
Chi è che picchia.
Car.
Son io, madonna,
Chel.
Vengo,
Aspettate.
Car.
Io aspetto. Se non fosse
Questa vecchietta, già morto sarei.
Chel.
Che c'è, messer Carino?
Car.
Ecci che io sono
Il più miser che io viva.
Chel.
Io gli vo dare
Un po' di stretta. Molto ben sapete
Finger, per Dio, l'afflitto.
Car.
Io non fingo,
Ché fingere non puote chi ben ama.
Chel.
A questo modo dite tutti, e al fine
Misere son quelle che vi dan fede.
Car.
Havete torto in ciò, perché s'uno inganna,
Mille et mille ve n'ha che serban fede.
Chel.
Tutto il contrario; se un la fè mantiene
Fra mille et mille è maraviglia expressa.
Car.
Tal essere non vogl'io con la mia Eutiche,
Per lo Dio che mi tien vivo nel mondo.
Chel.
Giura et spergiura ogni amante, sapendo
Che i falsi giuramenti degli amanti
Non son puniti. Et se le lor promesse
Riuscissero in fatti, haverian tutte
Le pratiche d'amor dicevol fine.
Ma tiransi con modo tale a l'hamo
Le povere fanciulle, et veggo poi
Che, sazi che ne sete, di promesse
Stati sete larghissimi, e di fatti
Sete scarsi et avari.
Car.
Oimè, Madonna,
Non m'affliggete più, che io son pur troppo
Da me medesmo afflitto. Homai pietade
Habbiate del mio mal.
Chel.
State pur male,
Datemi il polso.
Car.
Così stessi io bene,
Così havessi io meco la mia vita.
Chel.
Et che voi non vivete? io mai non viddi
Morti parlar.
Car.
Voi pur, Madonna, sete
Nei giuochi, et io mi struggo.
Chel.
Poverello,
Molto m'incresce.
Car.
Eh non mi consumate.
Viver non posso, se non mi mantiene
In vita la mia Eutiche.
Chel.
State bene,
Che vi conviene haver da lei la vita.
Car.
Qualche mal m'indovino.
Chel.
Il male è fatto;
Ella è per tor marito.
Car.
Oimè che dite?
M'havete morto. Et questo è vero?
Che.
Vero.
Car.
Ah! Malvagia fortuna. Voi m'havete
Trafitto infino alle radici il cuore.
Chel.
E vi spiace che Eutiche intanto sia
Per maritarsi? Questo è il vostro bene,
Ma voi nol conoscete.
Car.
Il mio ben questo?
Maledetto che il crede.
Chel.
Ella vuol voi,
Non egli è il vostro ben?
Car.
Voi m'havete
Risuscitato, ché più che morto era,
S'ella prender volea marito un altro.
Chel.
Dite per vostra fe, se io faccio ch'ella
Ne venga a voi, pria che s'asconda il sole,
Che mercede n'havrò.
Car.
Ciò che vi piace.
Chel.
Ciò che mi piace? Io vorrei sapere
Certo il guadagno mio.
Car.
Non vi dissi heri
Che godendo di Eutiche, io vi darei
Venti fiorini?
Chel.
Si, ma dove sono?
Car.
Son qui, tenete.
Chel.
Hor veggio ben che amate
Così fassi a voler vederne il fine.
Car.
Questo fia poco. Pur ch'habbia l'Eutiche
Vo che siate del mio, di me signora.
Chel.
Io vi rengratio, andatevene a casa,
Ché l'Eutiche verrà pria che sia sera.
Car.
Mi vo con questa speme.
Chel.
Io nol direi
Se io non havessi in man la cosa fatta.
Car.
Se è vero pur che la mia Eutiche venga,
Quantunque congiurate nei miei danni
Fosser le stelle et gli elementi a prova,
Io non posso esser più se non felice.
O benedetta vecchia, Dio ti faccia
Non pur ringiovanir, ma viver gli anni
Della Sibilla. Se vi fosser molte
Simili a te, non s'udirian la strida
Che s'odon tutto dì, dei tristi amanti.
Io ne ringratio amor, che già gli affanni
Di questo cuor m'ha dato, e anco m'ha mostro
La via al far contenti i miei desiri.
ATTO III
SCENA I
Linda, Chelidonia.
Linda
M'hanno così accorata le parole
Della Marcella, così m'han commosso
I pianti suoi, che a gran pena ho potuto
Dispormi alla partenza. O sommo Iddio,
Perché, come concessa m'hai d'havere
Per amante costei, non mi concedi
Di poterla haver sempre in compagnia?
Ma bramar l'impossibile è sciocchezza.
Dunque, poiché io non posso altro, lasciando
Ella in custodia alla madre, per cui
Prudentia io so che della figlia salvo
L'honor sarà (che troppo accorte sono
Le madri, che son donne, ad occultare
I falli delle figlie lor, se forse
Trascorrono talor), pria che si scuopra
Che ella gravida sia, me ne vuo gire,
E cercar voglio di salvarmi anch'io.
Ma poi che questa mia gonna et Amore
Offerto m'hanno occasion d'havere
Quel, che io vo da quest'altra io vo goderne,
Pria che mi parta. Che poscia ch'ero tanto
Tardato, io posso ancor tardare un mese
Per godermi costei. Non che io non ami
Quanto più amor si puote la Marcella,
Ma per non perder sì bella ventura.
Io veggio sulla porta Chelidonia,
La qual forse m'attende.
Chel.
Io t'attendea
Già son due hore, ché a messer Nastagio
Data t'havrei. Tu mostri ben di fare
Poca stima del ben, dell'util tuo.
Linda
Anzi io l'estimo e sovra ogni altro. Questo
Partito m'è piaciuto.
Chel.
Può piacerti,
Ché sarai la padrona in questa casa;
Che cosa è questa ch'hai nel grembo?
Linda
Sono
Due casci che io vi porto.
Chel.
Cara figlia,
Ti benedica Dio; vedi che viene
Quivi messer Nastagio; dammi i casci
Che io me li porrò nella saccoccia:
E sta qui sulla porta fin che torno.
Io vo gir verso lui.
Linda
Andate.
Chel.
Prima
Non vo che questo vecchio la Linda habbia,
Ch'io in man non habbia quel che m'ha promisso.
SCENA II
Messer Nastagio, Lamprino, Chelidonia, Linda.
Nast.
Lamprino, è ver che uno attempato che ami
È come un vecchio legno al foco ardente,
Che tanto più si infiamma, quanto meno
È possente a scaldarci. Io non trovo
Né dì né notte pace. Né mai requie
Havrò, finché non ho la Linda meco.
Lamp.
Ardete almen d'obbietto di voi degno,
Né ve ne so incolpar se voi l'amate.
Nast.
Anzi ti dico che s'io la ritrovo
Tal qual esser potrebbe.....
Lamp.
Chi è ingannato
Suo danno.
Nast.
Certamente per mogliera
La mi può prender.
Lamp.
Io ve ne conforto.
Chi sa che io non ne possa anch'io godere.
Nast.
Ma ve' la Chelidonia, andianci a lei.
Chel.
Linda mia, vengono a noi, statti pur cheta,
Né parlar mai se io non ti faccio motto.
Mostrati pur schifetta, che migliore
Credito havrai con questo tuo padrone;
Che altrimenti facendo.
Nast.
Dio vi salvi,
Madonna.
Chel.
Et voi ancora.
Nast.
A che siam noi?
Chel.
Certo, messer Nastagio, che io son quasi
Fuori di me, tenendo pur che qualche
Vergogna non m'avvenga al fin.
Lamp.
Madonna,
Honor solo n'haverete e non vergogna:
Ché sono da lodar quelle persone
Che l'altrui ben procacciano. (Che puote
Meglio haver mai per tutta la sua vita
Del mio padron costei?) Fate ad un tratto
Alla fanciulla bene e al mio padrone.
Et a voi ancho, perché egli vuol dare,
Acciò che vi possiate vestir tutta,
Mancia da gentilhuomo, onde contenuta
Ne rimarrete
Lamp.
Lamprin mi contento
De la gratia di Dio.
Nast.
Contenta ancora
Vo' che siate di questo.
Lamp.
È giusto carca
La barca non c'è dubbio.
Chel.
Dio volga
Per meglio la sua vela. Ecco la Linda,
È quella che è sull'uscio. Vieni fuora,
Questi è il padrone tuo. Se dal tuo canto
Tu farai quel che dei, ti fo sicura
Che non ti pentirai d'esservi gita.
Linda
Io non farò altrimenti, et se non deve
Appo voi esser l'honestà mia salva,
Lasciatemi. Che pria che la mia vita,
Curo il mio honor.
Nast.
Et ciò che io ho detto, dico
A voi, madonna.
Chel.
Già non l'havereste,
S'io credessi altrimenti.
Lamp.
Il mio padrone
È tale che non può patir disnore
Alcuno che lo serva.
Nast.
Ne puoi fare
Tu fe', Lamprino.
Chel.
Sia al nome di Dio.
Va dunque.
Linda
Io vado.
Lamp.
Et io mi terrò appresso
Per la mia parte.
Chel.
Fa come ti piace.
Lamp.
Questa è una bella caccia ch'harete hoggi
Guadagnata, padron; ella mi pare
Un angelo del ciel.
Nast.
È ver per Dio.
Me ne vuo' gire a casa. Tu va al porto,
E intendi del compar mio s'egli ha nova
Alcuna oggi da Napoli.
Lamp.
I'vo. Questi
Sì mi vuol tor di piedi, per potere
Esser da solo a sol con la sua Linda.
Ma facciano tra lor, io al porto andrònne
E ritornerò per la ricolta a casa.
SCENA III
Chelidonia, Eutiche.
Chel.
Questi son dei miracoli, che face
Amore a beneficio di noi vecchie,
Che le trame amorose al fin menammo,
Perché facendo ei divenir fanciulli
I vecchi, avviene che da loro havemo
Quel, che haver non possiam dai figli loro.
Perché non altrimenti essendo di vecchi
Arsi più che sia il fistolo, non ponno
Havere a pena i figli quelle cose,
Che sono necessarie alla lor vita.
Onde è che quel, che a noi possono dare,
È sempre men delle fatiche nostre.
A dire il vero io non mi spero mai
Guadagno far, se non quando si viene
A servirsi di me chi è carco d'anni.
Sono ben per le giovani migliori
I giovani, ma son miglior per nui
Gli huomini quanto più attempati sono:
Parlo quanto a lo spender. Che per altro
La gioventù non è punto discara.
Carino dati mi ha dieci fiorini
In tutto il tempo, ch'ho posto l'assedio
Intorno a Eutiche. Et questo rimbambito
Vecchio in un dì dati me n'ha cinquanta.
Era fatica questa da tenere
Gran tempo in piedi, et se non havess'io
Conosciuta la Linda forestiera,
L'havrei menata a lungo a voglia mia.
Ma temendo che perder non mi fesse
Il voler troppo quel che certo havea,
Ho dato fine a questo amor. Et forse
Restando qui la Linda, si potrebbe
Accendere di lei un altro, et io
In levarla di casa di costui,
Come posta glie l'ho, potrei havere
Nuovo guadagno. Ma sia che si voglia,
Son passate in sin qui le cose bene.
Io vo girmene in casa. Ma aprir sento
La porta di messer Nastagio. N'esce
L'Eutiche, voglio anch'io ispedir quest'altra,
Prima che io entri. Sei venuta a tempo.
Eut.
Tenete, madre mia, questo è il presciutto.
Chel.
Goderol per tuo amor. Ma dimmi, figlia
Hai tu disposto di volerti andare
Dal tuo Carino.
Eut.
Hollo disposto et vengo
Solo per questo. Et vo dirvi in che modo
Mi son deliberata. Io stava in forse
Se io doveva girvi o no, mentre io volea
Risolvermi sul no, venne la Linda
Qui in casa, et il mio padron le venne dietro.
Et chiamatala a se, si chiusero ambi
In una stanza, et me lasciaro fuora.
Et io il padron sentii che disse a Linda:
Se sarai chi puoi esser, tu sarai
Di questa casa donna et di me stesso.
Mi passò infino al cuor questa parola.
Et dissi meco: dunque esser debb'io
Serva di sera? Ahi maledetta sorte!
Ahi malvagio destino! Adunque ognuno
Troverà qualche modo di godere
In questa vita, et sol io starò sempre
In continuo dolor? Et se la Linda,
Vergognata non s'è venire a questo
Vecchio, hora debb'io haver forse vergogna
Di darmi a questo giovane, che m'ama
Più che la vita sua? Se m'ha mostrato
Il mio amore la via d'esser con lui
Con intiera salvezza del mio honore,
Non la prenderò? Sarei ben pazza.
Et fatto alfine alfin fermo ho proposto,
Non essendo altri che io della mia casa,
Salvo il castaldo che era giunto dianzi,
Lasciando col padron la Linda chiusa.
Venuta sono ad ispedirmi.
Chel.
Hor saggia
Ben tu mi fai conoscere, a saperti
Prendere l'occasion, quando ti s'offre.
Andiamo adunque in casa a darle fine.
SCENA IV
Messer Cosmo, Ragazzo, Macaria, Eutiche, Capitano della Piazza.
Cosmo
Andrai qui a man sinistra nella strada
Prima che troverai, e in quella casa,
Ove è dipinto Hercol ch'uccide Cacco,
Dimanderai di messer Fano. E a lui
Dirai che sei mio servo, et questa donna
È mia donna di casa, et riporrai
Le robbe ov'egli mostreratti.
Rag.
Il tutto
Farò come mi dite appunto.
Cosmo
Et voi
Terrete appresso voi questa bolgetta.
Et non uscite dalla stanza, insino
Che io non sarò venuto, et state in quiete.
Che so che non dovete esser men fiacca
Dalla tempesta, onde ne semo suti
Crudelmente agitati, ch'io mi sia.
Mac.
Tutto quello farò che mi imponete.
Cosmo
Ora andate. Non fui unqua più in mare
Con tanto mia pericolo, con quanto hoggi
Stato mi sono. Se Dio mi dà gratia
Di tornar salvo alla Vallona, i' voglio
Che questa sia l'ultima volta che io
Tenti più il mar. Io vo render le gratie
A Dio che m'ha salvato, et dargli i voti
Promessigli. Io mi vo ridurre al tempio.
Che di dopo il pericolo si scorda
Di rendere i promessi voti a Dio,
Indegno è mai d'haver da lui più gratia.
Eut.
Hammisi pure amor fatta soggetta,
Poiché stimando poco il mio esser donna,
Ogni pericol disprezzando, sono
Uscita fuori in quest'habito. Ahi lassa!
Che non può fare amor d'un cuor ch'egli arda?
Quale temente egli è che ei non securi?
E qual rispetto è mai ch'egli non tolga?
Poi che m'addusse a tale, or faccia almeno
Che buon fin habbia l'ardir mio e Carino
Quindi conosca quanto io l'ami, e quanto
Apprezzi me poco per lui; di modo
Che sia l'ultimo dì questo al mio male,
Et al mio bene il primo. Acciò che dopo
Tante angoscie sofferte, io viva in parte
Di questa breve vita almen felice.
Ma affrettar voglio i passi. Che io non voglio
Che mi conosca alcuno in via. Chi è questi
Che esce di questo tempio? Dammi, Amore,
Soccorso tale che ei non mi conosca.
Cosmo
Ho soddisfatto ai voti. Io voglio andare
A messer Fano. Oh Dio che veggio? è pure
Questi il mio Eugenio.
Eut.
Oimè lassa mai dove
M'hai portato, mio Amor? In questi panni
È dunque mia rovina?
Cosmo
O ladrone,
Non hai potuto andar così da lungi,
Che colto io non t'habbia. Et qual cagione
Ti fe da me fuggire?
Eut.
Voi m'havete
Tolto in iscambio. Non so chi vi siate,
Né fui giammai con voi.
Cosmo
Con che viso
Mi di' tu hor questo? Tu non sei Eugenio,
Il qual nudrii alla Vallona insino
Da tenero fanciullo? Io non son cieco.
Eut.
Né voi, signor, né quest'Eugenio mai
Conobbi, né mai fui alla Vallona,
Come voi dite.
Cosmo
Ah forca, ah ladroncello!
Parti; ché per haver habito nuovo,
Et per finger hor meco altra favella
Conoscer non ti debbia? Dio ringrazio
Che io veggio il capitano della piazza,
Che si vien verso noi con la famiglia.
Già non potrai fuggir ch'io non ti faccia
Por ne le man della ragione. Allhora
Vedremo se sarai Eugenio.
Cap.
Bisognava
Che di qui non vi foste dipartiti
Ov'io posti v'havea. Nel gir di sopra
Egli fuggito s'è, né più il corremo,
Poi che egli è fatto accorto. È una gran cosa
Che non vogliate far quel che v'è imposto,
Mascalzoni che siete. Ma chi è questi?
Non è egli messer Cosmo? È desso certo.
Cosmo
Non fuggirai per Dio.
Eut.
Non sono Eugenio.
Cap.
Che bona nuova hora vi ha qui condotto,
Caro il mio messer Cosmo? Et che vuol dire
Questa tenzon che con costui havete?
Cosmo
Son qui per mie faccende, et questo tristo
È un mio ragazzo, che da me fuggissi
Son forse sei mesi. Il qual m'havea
Nodrito alla Vallona da fanciullo
Con grandissima spesa. Hor che trovato
L'ho, dappoi che ingrato mi s'è mostro,
Volgio che mi ristori quanto mai
Spesi per lui, che fare ad un ingrato
Piacere è proprio fare ingiuria a Dio.
Pigliatel, Capitan, di gratia, poi
Hor qui vi ritrovate così a tempo.
E al podestà menatel.
Eut.
Non mi fate
Per le parole di costui ingiuria;
Che tanto so io quel di che egli dice,
Quanto egli è voi.
Cap.
Figliuol mio, conosco
Ha più di dodici anni messer Cosmo.
Et so che non diria se non il vero.
Però, sendo tu suo, non star sul niego,
Che alfin forza sarà che il ver si scuopra.
Eut.
Io nol conosco, capitano, et Dio
Non mi lasci haver ben se il viddi mai.
Cosmo
È un ghiotto, capitano. Io farò bene
Fede, che io dico il ver. Menatel pure
Al podestà.
Eut.
Che fia di me dolente?
Cap.
Pigliate voi costui, che lo meniamo
Ove vuol messer Cosmo.
Eut.
Ingiusto Amore,
Sia maledetto il dì che ti conobbi!
SCENA V
Fratello del Podestà, Capitano, Messer Cosmo, Eutiche.
Frat. del pod.
Che cosa è questa, capitano.
Capit.
Noi
Il podestà chiedemmo.
Frat. del pod.
È andato fuori
Stamane assai per tempo, né tornare
Puote infin a dimani; se vi è cosa
Che importi, noi in suo loco qui semo.
Et quanto fia mestier faremo.
Capit.
Questo
Gentilhuomo m'ha fatto prender questo
Ragazzo, che egli dice che fuggito
Gli è insin dalla Vallona. Et perché ei nega
Al podestà qui il fa condurre.
Frat. del pod.
È vero
Che tu sii suo ragazzo?
Eut.
Io nol conosco.
Frat. del p.
Che dite Gentilhuomo?
Cosmo
Io dico ch'egli
È il mio ragazzo.
Frat. del pod.
Poi che ei nega et voi
L'affermate esser vostro, è di bisogno,
Se volete convincerlo, far prova
Che egli sia vostro.
Cosmo
Io lo farò, massime
Che io vo per testimoni. Fate porre
In prigion che non fugga.
Frat. del pod.
Il serreremo
In prigion fin allora.
Eut.
Hora tu godi
Del tuo amore infelice
Capit.
Va in prigione.
SCENA VI
Carino solo.
Car.
Tosto che divisato m'ha Bardino,
I panni di colui che è stato preso,
Conosciuto ho che ell'è l'Eutiche mia.
Misero me! Deh quando avvenne mai
Ad huomo nato al mondo un simil caso.
Tolta m'è pure omai ogni speranza
Di potermi di te godere, o Eutiche.
Ad un tempo medesmo ho me perduto
Et te, perché per ogni modo è forza
Che tu ti scuopra donna, il che è il palese
Mal d'ambedue. O se non vuoi scoprirti,
Oupo è con lui ti vada, che so certo
(Ancor che io so che sei donna) che dei
Essere così simile al ragazzo
Di cui cerca costui, che testimoni
Havrà pur troppo da provar lo intento.
E s'altri, come ei, si potrà ingannare,
Che debba io far? Debbo far palese
Forse a mio padre chi ella sia. Ma, ahi lasso!
Che altro questo non fia che mostrar chiaro
Mala donna costei. Che è proprio tormi
La speme d'haver lei appo il mio padre.
Oh misero che io son. Io stesso, io
Sperando di goder, a ciò son giunto!
Io mi ho tolto ogni speme; et mi ho condotto
In questi affanni. Io non so, non so come
Non m'uccida io stesso, e ucciderommi,
Se rimedio non ha questo infortunio.
ATTO IV
SCENA I
Messer Nastagio, Castaldo.
Nast.
Io mi sono avveduto che la Linda,
Come accorta che ella è, seco s'istima
Che il mostrarsi duretta, la mi debbia
Far essere più cara. Et perciò in questa
Prima battaglia si sia mostra dura,
Temperato io mi sono che differire
Una cosa non fa che Ella si perda:
Finge ella di voler combatter meco
Per esser vinta: ma la sorte ria
Non ha voluto che sia intiera questa
Nova allegrezza. Poiché, mentre che io
In camera son stato con la Linda,
Eutiche via da me se n'è fuggita:
Va poi tu, va, riponi la sua spene
In giovane che buona esser si mostri:
Poiché costei, che mostrava esser dessa
Bontà, m'ha usato un tal termine. Et questo
Asino battezzato, se la vede
Fuggire, et nulla me ne dice insino
Che fuggita non s'è.
Cast.
Che volevate
Che io dicessi, se eravate in gioja
Con quell'altra. Se io fossi ancho venuto
A dirvi qualche cosa, io sarei stato
Né più né meno un asino. Gran cosa
È indovinarla vosco.
Nast.
Vatti in casa,
Buffalo che tu sei.
Cast.
Un buffal sono,
Perché gita non è la cosa come
Volevate.
Nast.
Va in casa, maledetto
Villano, che fiaccar ti possi il collo.
Et vuol che la sorte mia che tutti i servi
Sieno fuor de la terra: et che Lamprino,
Che meco havea, tenuto è fuor di casa:
Et però son costretto a cercarla io:
Vo veder di trovarla. Et se io la trovo,
Meglio sarìa che in letto con la febbre
Si fosse stata, che sì audacemente
Da me senza licentia essersi gita.
SCENA II
Castaldo, Linda.
Cast.
Tu non m'odi, figliuola, vuoi andarti
Ancor tu via? Che poi dica il padrone
Che io sono un buffal. Entra in casa.
Linda
Data
M'ha licentia il padron d'andare a casa.
Di questo vicin nostro.
Cast.
Guarda bene
Che non me ne dichi una per un'altra.
Linda
Ella è come io ti dico.
Cast.
Giura.
Linda
Che?
Cast.
Che il diavolo ti porti chi ti ha data
Licentia.
Linda
Che il diavolo ti porti ch'egli
Data la mi ha. Hor guarda mo.
Cast.
Va via.
Linda
Ve che bestia tra i piè m'era venuta!
Ho avuto gran piacer di questo vecchio:
Io mi ho creduto che strugger si debba
Credendomi una donna. Et io facendo
Più alfin che prima il vergognoso, mai
Non gli ho voluto pur toccar la mano;
Egli pur mi facea carezze e al fine
Stringendomi la mano, m'ha lasciato
Dicendomi ridendo: Io son per farti
Del ben, se sarai saggia et saprai torti
Questa ventura. Allora nel partire
Gli diedi qualche spene, ei la si tolse;
Ma che io ho fatto al fine? Per l'Eutiche
Da Messer Lino havea presa licentia,
Et de la contentezza mia son privo:
Poiché fuggito s'è colei, per cui
Era io venuto a stare in questa casa.
Hor poi che riuscito non m'è questo
Partito, più che far non ho in Patrasso,
Più non guadagnar non posso a far quì indugio.
Io gir mi vo con tosto passo in piazza
A comperarmi alcuna robba, e, innanzi
Che altro mi sopraggiunga, ir voglio al porto,
Entrarmi in una barca, che mi porti
Più tosto che si può verso Corinto.
Così a un tempo medesmo havrà perduto
Messer Nastagio Eutiche et la sua amante.
SCENA III
Lamprino, Castaldo.
Cast.
Io debbo ad ogni modo esser felice
In questo giorno. Oh che bramata nuova
Porto hora al mio padron! Oh che mercede
Di questo mi aspett'io? Non veggio l'hora
Di raccontargli quel, che il suo compadre
Mi ha detto che gli dica a nome suo.
Chi è là?
Lamp.
Non mi conosci? Io son Lamprino:
Ci è il padron?
Cast.
Non ci è, gito è a cercare
L'Eutiche che è fuggita.
Lamp.
Si è fuggita
Questa bestiuola?
Cast.
Si.
Lamp.
Perché?
Cast.
Non so.
Lamp.
Et il padron la cerca?
Cast.
È più d'un'hora.
Lamp.
Vattene a casa. Io non l'ho vista in piazza,
Né al porto, né per strada. Una ventura
Sarebbe a ritrovarlo. Et però è meglio
Che io vada a Chelidonia; in questo mezzo
Egli verrà a casa. Et la novella
Gli darò più contento, havendo havuta
Da quest'anima santa anch'io la mancia.
SCENA IV
Messer Lino, Messer Nastagio, Castaldo, Linda, Cavaliere.
Lino
Avvenne ad huomo mai caso più strano,
O sparse in un con così larga mano
Fortuna ogni veneno? Ove piegare
Debbo la mente più? Va tu, va, Lino;
Non voler che persona mai favelle
Con tua figliuola. Habbila chiusa in casa
Sempre accanto alla madre, temi insino
Dei topi et habbi in fronte gli occhi d'Argo,
Non ti fidar d'alcun, poiché hora in quello,
Di che tanto temevi, per te stesso
Sei incappato. Una sol figlia haveva;
Misero et tristo me! né l'ho saputa
Guardar; ché mentre io temea gli altrui
Inganni, io a me stesso ho fatto inganno,
Con lei togliendo questa Linda; Linda
Che mai? so che egli ha mostro a la figliuola
Se Linda o Lindo è stato. Et fortemente
Non gliel volli io dar per donzella, et volsi
Che con lei si dormisse? Il serpe in seno
Io stesso m'ho nudrito. Se alla moglie
Creduto havessi, non saria avvenuto
Questo scandol. Mentr'io teneva sciocca
La moglie mia, mi son scoperto io sciocco.
Non si dovria sprezzar sempre i consigli
De le donne, né noi dovremmo haverle,
Come l'habbiam, per pazze. Et da me hor pigli
Esempio ognuno. È gravida mia figlia,
Che non saria s'io non havessi havuto
In dispregio il parer de la mia moglie.
Se hor dunque mi tormenta et mi consuma,
Ha ragione da vender, mi dovrebbe
Cacciar con le sue man gli occhi nel capo.
Ma sia che può. Non vo che questo tristo
Si vanti mai d'havermi fatta questa
Iniuria senza pena. Andar vo a casa
Di messere Nastagio. Ecco che ei viene.
Nast.
Non voglio più cercar di questa bestia;
Io son già tutto fioco, io vo che cerchi,
Subito che tornato sia Lamprino,
Patrasso a casa a casa et la ritrovi.
Ma perché si turbato in viso viene
Messer Lino per me? Sarebbe forse
Egli per la sua fante in ira meco?
Lino
Messer Nastagio, io vi ritrovo a tempo,
Che vo sfogar con voi l'angoscia mia.
Et vi prego, messer Nastagio mio,
Per tutti i Dei et per quella amicitia
Che è tra noi cominciata già molti anni,
Et per la vicinanza, che ancho in parte
Si può por d'amicitia, che vi piaccia
Esser meco, perch'io vendetta pigli
Di questa scellerata della Linda.
Nast.
Che vi è? Havrebbe ella nel partire
Qualche cosa involato ella del vostro?
Lino
Mi ha lasciato pur troppo ella del suo!
Nast.
Che cosa è questa che io odo?
Lino
Ingravidata
M'ha la figliuola.
Nast.
Dunque non è donna
La Linda?
Lino
Donna? so che m'ha mostrato
Ciò che importi a fidarsi.
Nast.
Voi mi fate
Empir di meraviglia, e duolmi tanto
Di questo caso ch'io non potria dirlo.
Creduto havrei per la mia fè piuttosto
Che fosse stato il sol freddo ed oscuro,
Che non fusse la Linda donna stata.
Pareva in casa mia una verginella
De le più vergognose, che io giammai
Mi conoscessi. Havria ingannato ognuno.
Ma poscia ché costui è si malvagio,
Andiamo insino a casa a ritrovarlo,
Andiam di gratia, che non veggio l'hora
D'haverlo nelle mani. Ov'è la Linda?
Dille che venga giuso.
Cast.
È andata fuori.
Nast.
Com'è che è andata fuori? Ov'ella è gita?
Cast.
Io non le ho posto mente.
Nast.
Ancho fuggire
Hai lasciata quest'altra, manigoldo?
Cast.
Non ci saremo. Il diavol m'ha menato
Stamane quì. Se voi le havete data
Licentia, voi; io poi la terrò? Io?
O diavol, questa è bella.
Nast.
Quando ho data
L'ho io questa licentia?
Cast.
Quando sete
Ito fuori di casa.
Nast.
Manigoldo,
Chi tel'ha detto?
Cast.
Linda.
Nast.
Dunque credi
A Linda.
Cast.
Mel giurò.
Nast.
Bestia insensata,
Va, guarda i porci.
Cast.
Vedrete che questi
Mai non mi fuggiranno. Voi volete
Darmi donne a guardar, le quali sono
Più trappole, che non potrian guardarle
Quant'occhi son nel mondo.
Nast.
M'ha lasciata
Fuggir costui la serva mia et quest'altra
In meno di due hore. Ma non veggio
A che fin possa meco esser venuto
Per fuggirsi costui.
Lino
La cosa è chiara:
Messer Nastagio, egli si è qua venuto
Per condur via con lui la vostra fante.
Non vel vedete voi; codesto è un nuovo
Uccellare alle donne.
Nast.
Dite il vero:
Con quant'arte si vive oggi nel mondo!
Lino
Con più che non si crede et è gran cosa
Trovar fede sincera.
Nst.
È più che vero.
Lino
Or poniamci a cercar di questo reo.
Nast.
Ritiriamci ambi su questo cantone,
Onde il porto si scopre et quasi tutta
La piazza. Non puote esser che non passi
Per un di questi luoghi et nol veggiamo:
Et se non passerà di qua, per tutto
Patrasso il cercheremo ambidue insieme:
Ma dobbiam ben haver quì prima il reo.
Lino
Ogni cosa sta ben, purché il troviamo.
Nast.
Come avvisto vi siete che ne sia
Gravida vostra figlia?
Lino
Poi che questo
Malvagio si partì, da me si stava
La Marcella, che detto havreste che ella
La madre e il padre havesse morti innanti.
Onde dicendole io che stesse lieta,
Che non le mancherian donzelle et molto
Più che a sua proposto che non era Linda;
Et alfin, non potendo giovar nulla
Conforto alcun, con viso un po' turbato
Le dissi che era sciocca, se si stava
Dietro a queste sciocchezze. Io la farei
Pianger da senno. Appena ebbi ciò detto,
Ella ne svenne et come in tutto morta
Se ne cadde. La madre et l'altre donne
Le foro intorno et scioltala dinanzi.
Per lo gran muover che la creatura
Le faceva nel corpo, a chiari segni
Viddero ch'era gravida.
Nast.
Per Dio!
Che io v'ho compassion.
Lino
Io comincio
A riprender la moglie, a dirle male.
Ella mi rispondeva che non potea
Immaginarsi, non che saper certo
Onde esser ciò potesse. Intanto rihebbe
Lo spirito Marcella, et poi che alquanto
Riavuta si fu, volli sapere
Onde ciò fosse. Et dopo molte et molte
Minaccie, ella mi disse che venuto
Era ciò da la Linda. Et ricercando
Più oltre, io ritrovai che questo rio
Era huomo. Non so come io alhora
Non morissi di doglia, conoscendo
Che stato era io cagion di tutto il male.
Nast.
Come essendo stato costui dalla Vallona,
Come mostra al parlare et ho inteso
Ben dai nostri vicini, egli ha havuta
La gratia di Marcella?
Lino
Ahi lasso! quando
Io fui l'anno passato con la mia
Famiglia alla Vallona, questo rio
Di lei si accese.
Nast.
Messer Lino, salvi
Siamo.
Lino
Perché?
Nast.
Vedete quel reo?
Lino
Il veggio, i' gli vo' trar dal petto
Con le mia mani il cor
Nast.
Non vi bisogna
A questo modo far.
Linda
Hor che ispedito
Io son di quanto io volea far, io voglio
Girmene senza indugio dritto al porto.
Oimè misero et tristo, oimè dolonte!
Veggio messer Nastagio et messer Lino
Che vengono ver me. Io son distrutto:
Qual fia la mia vita? Almen potess'io
Fuggire in qualche loco.
Nast.
Hai così buona
Custodia alla mia casa?
Lino
Manigoldo,
Sei pur nelle mie man, tu sei pur giunto
Al loco, ove haverai il guidardone
De l'opre tue. Con queste vie, ribaldo,
S'assassina così gli huomini?
Linda
Messere,
Ho fatto poco errore, questo solo
Messer Lin mi perdoni. Se pur mai
Mi trova in fallo, taglimi la testa.
Lino
Parti haver fatto poco error havendo
In una città nobil come questa
Una giovane nobile violata?
Et quale è grande, s'è picciolo questo.
Linda
Non desiderio già di farvi oltraggio,
Ma Amor cagion n'è stato.
Nast.
Ove hai tu fatto
Fuggire Eutiche? Così male a male
Aggiungere hai voluto, o scellerato.
Linda
Non l'ho, signor, fatta fuggir, né meno
So dove sia fuggita.
Lino
Non più ciancie:
Che io non potrei tenermi che non fessi
Nel mezzo della strada la vendetta.
Menianlo al podestà.
Linda
Deh non mi fate
Questa vergogna.
Lino
Scellerato, temi
Tu di vergogna? Io vo ch'habbi l'honore
In mezzo piazza che tu merti, et io
Esser vo il manigoldo.
Nast.
Che direte?
Non son degne di voi queste parole.
Lino
Non mi debbo satiar del costui sangue?
Nast.
Chiamar vo il cavalier con la famiglia
Del podestà.
Cav.
Chi picchia?
Nast.
Cavaliere,
Pigliate questo tristo, che vogliamo
Al podestà menarlo.
Cav.
Egli è ito fuori;
Evvi ben suo fratello.
Nast.
Et ci bisogna
Finché il podestà torni.
Cav.
Anzi vi dico
Gli potrete parlare insino a un'hora.
Lino
ponetelo in prigion insino a tanto
Che egli può darci orecchio. Ché il maggiore
Tristo gli ho a far conoscere, che mai
Gli venisse alle mani.
Linda
Messer Lino
Non mi ci fate por, vi sarò sempre
Fedele.
Lino
Più non vo tua fede: vanne
Pur dove merti.
Cav.
Conducete, o fanti,
In prigione costui.
Cav.
Messer Nastagio,
Aiutatemi almen voi per l'amore
Che dianzi mostravate di portarmi.
Nast.
Gran cagion me n'hai dato a havermi fatto
La mia serva fuggir.
Linda
Non l'ho per Dio
Fatta fuggir.
Lino
Non più: servatel, pure,
Finché ritornerem, nella prigione.
Io me n'andrò, messer Nastagio, a casa:
Mi troverò quando mi parrà tempo
Quì innanzi al podestà.
Nast.
Vi sarò anch'io.
Io haveva per mia fè ben posto il cuore
In un bel luoco. Huom non è già al mondo,
Che non havesse tenuto costui
La più vaga donzella et la più schifa
Et la più semplicetta che mai fosse,
Come si ingannan gli huomini! Dov'io
Credeva coglier lui, egli ha me colto.
ATTO V
SCENA I
Capitano della pregione, Fratello del podestà.
Cap.
Io vo che il Messer sappia il tutto prima
Che giunga il Vallonese. Habbiam d'havere
Il maggior spasso che mai huomo havesse:
Appunto il veggio qui sotto la loggia.
Signor, io v'ho da far rider un pezzo.
Frat. del pod.
Perché.
Cap.
L'intenderete. Quel prigione,
Ch'oggi fummi condotto come volpe
A nome di quell'huom della Vallona,
È una fanciulla.
Frat. del pod.
Come un fanciulla?
Et che ne sai?
Cap.
Ella medesma detto
L'ha alla mia donna, mentre ella parlava
Con esso lei et si dolea con lei
Della disgrazia sua.
Frat. del pod.
Che cosa è questa?
Cap.
Egli è com'io vi dico, et vi vo dire
Che un altro, poco dopo è stato tratto
In prigione vestito da fanciulla,
Il quale è un maschio in quell'habito involto,
Che del viso e del corpo è simil tanto
A questa putta, che non si può quasi
Conoscer l'un dell'altro. Et se il vestire
Non vi facesse differenza, io credo
Che non si scerneriano l'un dall'altro.
Frat. del pod.
Questi, che da donna è vestito, certo
Il ragazzo sarà del Vallonese.
Va, li mi mena qui. Che io vo sapere
Come va questa cosa: et a che fine
Si sian travestiti hoggi in tal modo.
Gioco pigliar mi vo del Vallonese
Come ei viene. Rimaner vuol stordito
Et fuor di se, quando udirà la cosa.
SCENA II
Madonna Macaria, Cosmo, Fratello del podestà.
Mad.
Non dubitate ch'io non sia per dire
Tutto quel che saprò.
Cosmo
Io son sicuro
Che vel conoscerete.
Mad.
Come? S'io
Lo mi conoscerò? Volete ch'egli
Mi sia uscito di mente sì in sei mesi,
Che io nol conosca? Io l'ho nella memoria
Vivo scolpito.
Frat. del pod.
So ch'egli s'affanna
Ad informar quella donna.
Cosmo
Avvertire
Vi bisogna che stiate in un proposto.
Et non lasciar girarvi, perché spesso
Questi giudici fanno i testimoni
Contraddire a se stessi, lor chiedendo
Impertinenti cose o per servire
La parte avversa o per mostrare acume.
Et con giri di ciance et con intrichi
Gli avviluppano sì, che poi non sanno
I testimoni quel che debbian dire.
Mad.
Che il ver dir vuole, esser non può che franco.
Cosmo
Andiamo adunque, or eccovi, messere,
Che il ver vi farà veder palese
Intorno al mio ragazzo.
Frat. del pod.
Più bisogno
Non v'è di testimoni: che io son chiaro
Che non è questi quel che voi cercate.
Cosmo
Pigliate le mie prove, et poscia, s'io
Chiaro non vi farò che io dico il vero,
Riputatemi un sciocco.
Frat. del Pod.
I testimoni
Si pigliano a provar le cose dubbie,
Non le chiare et palesi come è questa.
Cosmo
Piacciavi d'accettar le prove mie.
Frat. del pod.
Se manifesto m'è che voi errate,
Che volete che io faccia più di prove?
Cosmo
Non so, messer, chi meglio saper possa
Questa cosa di me, che l'ho nudrito
Da picciolo fanciullo. Et stata è meco
Questa donna quattr'anni et lo conosce.
Frat. del pod.
Io voglio pur che la sententia diate
Voi contra voi medesmo. Egli è huomo o donna
Questo vostro ragazzo?
Cosmo
Se di maschio
Non è mutato in donna, era ben huomo.
Frat. del pod.
Prendere havete fatta una donzella
Sta mane.
Cosmo
Nol vo credere.
Frat. del pod.
La cosa.
Chiaro ve ne farà. Ecco che viene
Ben quell'altro pregion quì innanzi a noi.
SCENA III
Fratello del podestà, Macaria, Linda, Eutiche, Cosmo.
Frat. del pod.
Che piagni tu?
Eut.
Piango che son donna,
Che cagione è che io sia trista e infelice?
Frat. del pod.
Che vi par gentilhuomo? parvi forse
Questi il vostro ragazzo?
Eut.
Ei mi par desso.
Frat. del pod.
Et voi, Madonna, che ne dite?
Mad.
Io sono
In dubbio, egli mi par nel viso quegli.
Dalle parole sue tolgo la fede
Parmi ch'egli sia desso.
Frat. del pod.
Questo è un fermo
Testimonio che havete a favor vostro.
Comincierò a pensar che io non sia io,
Poiché mutar veggio huomini in donne.
Hor intendiamo un po quel che ne avanza:
Tu perché piagni.
Eut.
Perché, come io ho detto,
Son più d'ogni altra misera e infelice.
Frat. del pod.
Se tu misera sei, tuo il danno. Io voglio
Saper chi sei, et qual cagion ti ha fatto
Por questi panni indosso.
Eut.
Io son la serva
Di messer Nastagio.
Frat. del pod.
Tu eri serva
Di quel nobil da Napoli?
Eut.
Di quello,
Frat. del pod.
Hor vedi, vedi se il figliuolo mio
Haveva posto in honorato loco
L'animo, et chi egli amava.
Eut.
Egli amava una
Che degna è di pietade, et che se bene
Povera, è honesta.
Frat. del pod.
Per Dio, questi panni
Mostrano aperta a ognun la sua honestade.
Gagliofetta, va tu a messer Nastagio
Et di' che venga, ché ho la sua gentile
Serva quì appresso a me. Segui: perch'hai
Indosso questi panni?
Eut.
Per venirmi
Sotto la fede datami al figliuolo
Vostro, il qual amo più che la mia vita.
Frat. del pod.
Il mio figliuolo in così poca stima
Ha dunque di me, che gli dà il cor di fare
Eccesso tale? Mai non habbia bene,
Se io nol gastigo. Ritornate questa
Tristerella in pregion. Ma tu perch'hai,
Essendo maschio, questo habito indosso?
Cosmo
Che cos'è questa ch'odo? Questi adunque,
Che da donna è vestito, è huomo?
Frat. del pod.
Voi
Vedete come van le cose al mondo.
Cosmo
Se non fosse che io temo anch'io d'errare,
Io direi che costui si fosse quegli
Che si è da me fuggito.
Mac.
Anch'io mel credo.
Linda
Poiché quì sono et sono mio mal grado
Costretto a palesarmi, io son colui
Di che cercate.
Frat. del pod.
Ad ogni modo Dio
Volea che ritrovassi hoggi costui.
Cosmo
Ma perché ti fuggistu et perché sei
Hor quì pregione in tal habito?
Linda
Il grande
Amore, che io portava alla figliuola
Di questo messer Lin per cui son presa,
Quì mi fece venir, così vestire.
Cosmo
Dio voglia che non habbia qualche ingiuria
Fatta a quest'huom dabbene.
Frat. del pod.
Messer Lino
È nobil quanto altr'huomo che sia in Patrasso:
Pensate, se gli havesse fatta ingiuria
Costui, a che n'uscirìa.
Linda
Soccorso
Datemi, messer Cosmo.
Cosmo
Et che soccorso
Vuoi che io ti porga? saria stato meglio
Che non ti fossi mai da me fuggito.
Linda
Non ha Amor legge.
Frat. del pod.
Vien messer Nastagio
Lascia di dir di ciò, che parlar voglio
Con esso lui de la sua gentil serva.
SCENA IV
Messer Nastagio, Ragazzo.
Nast.
Et e ver che vestita da ragazzo
È in corte al Podestà l'Eutiche mia?
Rag.
È ver.
Nast.
Che dice?
Rag.
Io non l'ho udita
Dir cosa alcuna.
Nast.
Per certo è gran cosa
Haver giovani serve in casa. Al fine
Al fine te la cingono.
Rag.
Egli è vero:
Ma andiamo, ché il messer m'attende.
Nast.
Andiamo.
SCENA V
Nastagio, Fratello del Podestà, Cosmo.
Nast.
Io son venuto pien di maraviglia,
Havendo inteso quel che m'ha costui
Per parte vostra esposto. Ov'è la mia
Serva gentile?
Frat. del pod.
I' l'ho fatta tornare
Ne la prigione. Io non so se vi pare
Che meriti costei esser amata
Da un mio figliuol.
Nast.
Amor fa tali e tanti
Miracoli, che a ciò non so che dire.
Questo so ben che meritava io
Che mi usasse tal termine costei.
Ma come v'è venuta nelle mani?
Frat. del pod.
Credendo questo gentilhuomo che ella
Fosse un ragazzo suo perché vestita
Ell'era da ragazzo, prender fella,
Et poi (udite che mirabil cosa)
Mentr'ei volea provar ch'era nel vero,
Ella il ragazzo trovato ha che è questi
Che da donna è vestito.
Nast.
Questo reo,
Che ha fatto a messer Lin scorno sì grande!
Frat. del pod.
Che scorno gli ha egli fatto?
Nast.
Ingravidata
Gli ha la figliuola.
Frat. del pod.
La figliuola? Io dissi bene
Che questa veste nascondea
Qualche gran scelleraggine.
Nast.
Malvagio
Misero te!
Frat. del pod.
Ben dite il vero.
Nast.
Adunque,
Gentilhuomo, questi è vostro ragazzo?
Cosmo
Messer sì, è mio ragazzo; ma mi ha egli
Renduto strano guidardon del bene
Che fatto gli ho.
Nast.
Perché?
Cosmo
Perché il trovai
Tredici anni fa, era Novembre,
Mentr'io stavo in Ragusa, in una nave,
Che da Napol parea, sdruscita al lido:
Fanciul che potea haver quattro o cinque anni
Con un'altra fanciulla del medesmo
Tempo, che al Raguseo restò in Ragusa.
Et perché era colei simile a lui,
Non meno ch'hor gli sia la fante vostra,
Quasi osa dir che sia cotesta quella.
Et l'ho sempre nudrito insino a questa
Età di diciott'anni, et egli ingrato,
Quando dar mi dovea qualche soccorso,
Fuggito si è da me, sol per venire
A fare un gentilhuomo scorno sì grande.
Ma suo sia il danno, tristerello.
Nast.
O Dio!
Che è questo che io odo? Fate un po', di gratia,
Caro Messer, condur quindi in disparte
Questo pregion.
Frat. del pod.
Perché, messer Nastagio?
Che cosa è sopraggiunta?
Nast.
Perché io voglio
Parlar, senza costui, un po' con questo
Gentilhuomo da ben, se non gli è grave.
Cosmo
Perché esser mi dee grave? Io farei cosa
Per piacervi di questa assai maggiore.
Frat. del pod.
Conducete costui quindi in disparte.
SCENA VI
Nastagio, Cosmo, Madonna Macaria, Fratello del Podestà, Famiglio.
Nast.
Ditemi, se vi è a grado, gentilhuomo,
Vi è cosa alcuna che di costui fosse
Quando il trovaste?
Cosmo
Evvi una gemma, ch'io
Gli ritrovai al collo.
Nast.
Et ov'è ella?
Cosmo
Non è molto lontana.
Nast.
Siavi a grado
Mostrarlami.
Cosmo
Farollo volentieri.
Frat. del pod.
Messer Nastagio, molto sottilmente
Cercate questa cosa.
Nast.
Vo' vedere
Se tra le maraviglie d'hoggi forse
Una maravigliosa ne trovassi.
Cosmo
Eccolavi, pigliatela, Madonna
Et levatela fuor di questa seta.
Mad.
Oimè.
Frat. del pod.
Che vuol dir questo?
Mad.
Questa gemma
M'ha di piacere et di gran doglia piena.
Frat. del pod.
Perché Madonna?
Mad.
Perché ella mi face
Certo tener, che quegli, al collo a cui
L'ha ritrovata messer Cosmo, sia
Uno dei figli miei che in mar perdetti:
Perché già me la diede il padre mio,
Et io a questo figliuolo la donai.
Ma doglia data mi ha, ché ricordato
Mi ha che in quel tempo istesso perdei ancho
Il marito e una figlia, i quali io credo
Che morti siano.
Nast.
Ahi, cara Elisabetta,
Ah, moglie cara!
Mad.
Che volete fare?
Nast.
Io sono, moglie mia, Cesare vostro.
Mad.
Ah, caro il mio marito, io vi conosco!
Pareami pur che m'avvampasse il cuore,
Mentr'io vi udia cercar del nostro figlio.
Frat. del pod.
Questa mi par la più mirabil cosa,
Che mai ai giorni miei vedessi. Questi
In Patrasso Nastagio è sempre stato,
Et hora è Cesar.
Cosmo
Io quest'altra ho havuta
Per Macaria, hor la trovo Elisabetta.
Nast.
Moglie mia cara quanto son contento!
Mac.
Né men contenta io son, marito mio,
Poiché voi trovato ho, trovato ho il figlio:
Ché Eugenio è senza dubbio il nostro Gajo,
Egli è quel desso senza dubbio alcuno.
Così trovata havessimo la figlia,
Che col nostro figliuol perdemmo allhora!
Fra. del pod.
Messer Nastagio, s'è figliuol vostro
Eugenio, è vostra figlia ancho colei
Che dianzi ho fatta prender. Perché quella
Somiglianza, che io veggo esser tra loro,
Me ne dà quasi testimonio chiaro.
Come si domand'ella?
Nast.
Ha nome Eutiche.
Cosmo
Simile nome pose il Raguseo
Alla fanciulla, ch'ei ritrovò meco,
Non sapend'egli il nome suo, com'io
Quel de l'altro fanciul non mi sapea.
Ma mi fa dubbio come ella esser possa
Hora nelle man vostre. Fu rapita
Da corsali et condotta qui in Patrasso,
Dai quai la comperai cento fiorini.
Cosmo
V'ha ella detto mai u'fosse tolta?
Nast.
Da Ragusa.
Cosmo
Vi ha detto forse il nome
Del Raguseo?
Nast.
La mia ha detto, et credo
Ch'egli Demetrio havesse nome.
Cosmo
È desso;
Senza alcun dubbio questa è vostra figlia.
Mad.
Ciò voglia Dio! Su la sinistra mamma
Havea una rosa la figliuola nostra.
Frat. del p.
Va ad Eufrosina, et di che ella la guati
Et tornaloci a dir. Questa sarebbe
Una delle venture, che di rado
Venir sogliono al mondo.
Cosmo
Così è certo
La figlia lor colei, come io sono io.
Nast.
Dio ce ne presti gratia.
Frat. del pod.
Viene il messo,
Che ciò chiarirà il dubbio.
Fam.
La Eufrosina
Dice che la ve l'ha.
Nast.
Figliuola mia,
Come t'ho havuta già quattro anni in casa,
E non t'ho conosciuta?
Mad.
Et come anch'io
Stata son col mio figlio poco meno,
Et non l'ho conosciuto? Ben amare
Io mel sentiva assai di miglior core,
Che non doveva amarsi huom straniero.
Frat. del pod.
Molto mi godo che così felici
Vi veggia, et prego Dio che mai non turbi
Sorte sinistra il vostro lieto stato.
Et perché sia compiuta l'allegrezza,
Messer Nastagio, amando il mio figliuolo
La vostra figlia et ella amando lui,
Tanto che ella è venuta per lui solo
Da maschio quì vestita per haverlo,
Per legittimo sposo et per marito
Voglio, se è a voi, messer Nastagio, a grado
E a voi Madonna, ch'egli la si prenda
Per sua moglie.
Mad.
Oh allegrezza immensa!
È ben stata una venuta questa
Felice hoggi per me.
Cosmo
Per ambi noi,
Madonna; ché io non ne ho gioja minore,
Ch'habbiate voi di questo vostro bene.
Frat. del pod.
Credo per la mia fè, messer Nastagio,
Che mai non desse a un huom in un sol giorno
Tanta ventura il Cielo. Ma, dappoi
Che ogni cosa è sì lieta, dir vi piaccia
Come in Patrasso voi veniste, essendo
Come ho inteso da Napoli.
Nast.
Dirollo
Tanto più volentier, quanto son quasi
Certo che il Re sappia la mia innocentia.
Da Napoli partiimi per sospetto,
Che haveva il Re per imputatione
Falsa, preso di me. Con questi figli
Et con la moglie, e con quel più ch'havere
Potei del mio. Et me ne entrai di notte
Con una nave in mare. Et sopraggiunto
Da tempesta crudel, gittato tutto
Dopo lungo travaglio il mio nell'onde,
Cercando me salvar, la moglie e i figli,
Scesi nel palischermo, et la mogliera
Volendomi seguir cadde nel mare.
Et poco poi nel palischermo scese
Tutta la gente, et mentre cercavamo
Salvarci tutti, insieme immantinenti
Andassimo pel mar turbato a noto.
Restaro i figli miei in mare, a un remo
Appoggiato, a Corfù fui spinto in salvo,
Poco meno che morto, ove per opra
Di certi pescatori io ricovrai
Le mie smarrite forze et mi rihebbi.
Et poscia non volendo viver ivi,
Nastagio mi chiamai, et a servir venni
Messer Cimone quì in Patrasso, il quale
Herede mi lasciò di tutto il suo.
Questo è il soccesso dei miei casi, ch'hora
Ben son giocondi, poscia che io ritrovo
Fuor d'ogni mio pensier, tutti i miei vivi.
Frat. del pod.
Volea Dio che voi foste felice.
Et come vi salveste voi, Madonna,
Fra così gran fortuna.
Mad.
Appresa a un asse
A Durazzo fui spinta et ivi fui
Da una vecchietta poverella accolta:
Per la cui opra mi rihebbi et venni
Alla Vallona et fattami nomare
Macaria (per non dare infamia al sangue
Nobile onde discesi, bisognando
Che mi dessi a servir) dopo alcun tempo
M'acconciai con messer Cosmo, il quale
Hoggi condotta m'ha a tanta gioja.
Frat. del pod.
Egli ver è certo quel che dir si suole:
Chi Dio vuole aiutar, non può perire.
Nast.
Messer Lin vien di qua, voglio che, prima
Che andiamo a Eugenio, a Eutiche, il racchetiamo
Dando ad Eugenio la sua figlia in moglie.
Et credo che egli anchora sia contento
Ch'habbia sì lieto fin la sua gran doglia.
Frat. del pod.
Deve essere contento. Non poteva
Haver miglior partito in questa terra.
Nast.
Gir gli vo incontro. Siete voi contenti
D'aspettarmi qui insiem insin che io torni.
SCENA VII
Lino, Fratello del podestà, Nastagio, Macaria, Cosmo.
Lino
Mi ha messo questo scellerato in tanto
Furore e in tanta rabbia, che a fatica
Rattener mi ho potuto di non dare
A Marcella la morte. Io non veggio
L'hora che egli habbia guiderdon de l'opre.
Frat. del pod.
Come egli è in ira! Se ei sapesse quello
Che noi sappiam, come sarebbe lieto!
Nast.
Sete molto adirato, messer Lino.
Lino
Et forse che non ho giusta ragione?
Dio vi guardi da ciò, messer Nastagio.
Nast.
Rimedio ha il vostro mal pur che vogliate
Che vi si dia.
Lino
Che volete ch'io faccia?
Pensate che veder voglio ogni strazio
Di questo traditor.
Nast.
So che perdono
Gli darete.
Lino
Non mai.
Frat. del pod.
È messer Lino
Fuor di se.
Mad.
Pur che quetar si possa
A qualche modo.
Cosmo
Non v'è dubbio.
Lino
Io voglio
Prima morir, se gli perdono mai.
Nast.
Quando vi fosse l'honor vostro?
Lino
Come
Esser vi può il mio honore.
Nast.
Andiamo insieme
Là dove egli è, che lo vi troveremo.
Lino
Vi voglio ben venir per lo suo stratio,
Ma non per ciò.
Nast.
Venite un poco meco,
Che pensier muterete, udendo cosa
Che potrà raddolcire il vostro amaro.
Frat. del pod.
Vi veggio molto acceso d'ira.
Lino
Parvi
Che il mio sia caso da non adirarsi?
È troppo aspra, crudele et troppo fiera
La piaga che ho nel cor.
Frat. del pod.
Somar lo voglio
Prima che quindi vi partiate.
Lino
È piaga
Questa d'haver rimedio in un momento?
Semplice ben serei se mel credessi.
Frat. del p.
A me pare altrimenti et meglio parmi
Che a voi non pare. Se messer Nastagio
A vostra figlia desse un suo figliuolo
Per marito, sareste voi contento?
Lino
Come puote questo, non havendo
Messer Nastagio figli?
Frat. del pod.
Se ne havesse?
Lino
A che disegno far su conditione
Che esser non puote?
Frat. del pod.
Rispondete un poco
A quel che vi dimando: se n'havesse,
Et ne volesse dare a vostra figlia
Un per marito?
Lino
Io ne sarei tanto
Lieto, quanto hor son mesto.
Frat. del pod.
Quegli adunque,
Per cui sì vi volete, si è scoperto
Fuor d'ogni openione esser suo figlio.
Lino
È gran cosa, messer, che chi è infelice
Sia giuoco dei felici.
Frat. del pod.
Havete torto.
Nast.
Egli è mio, messer Lino.
Lino
Et come puote
Esser questo avvenuto?
Frat. del pod.
Havrete tempo
D'intendere il soccesso, rispondete
Se ne siete contento?
Lino
Se la cosa
È come voi mi dite et sia contento
Messer Nastagio, io non vi vo far niego,
Et questo più che ogni altra cosa bramo.
Nast.
Io vi ringrazio molto e assai mi piace
Che se ne sia passata in parentado
La molto antica et lunga amistà nostra.
Così Dio ci conservi. Questa è madre
Del gener vostro, et madre ancho d'Eutiche,
Che serva ho avuta già quattro anni in casa,
La quale è divenuta oggi mogliera
Del figliuol del messere.
Lino
Mi par gran cosa
Questa per certo, et son molto contento
Che anch'io parte habbia in così gran letitia.
Questi chi egli è?
Nast.
È quegli che nudrito
Ha il mio figliuolo et salvata la moglie:
A la cui somma cortesia io debbo
La maggior parte de la gioia mia.
Lino
Né meno anch'io vi debbo. Sarò sempre
Pronto ai piacer vostri.
Cosmo
Io vi ringratio:
Ma temp'è che caviam fuori d'angoscia
I due sposi pregioni.
Nast.
Che è costui
Che di qua viene? Egli è Lamprino: io voglio
Saper che nuova egli m'apporta; voi
In casa ve n'andrete ai novi sposi.
Cosmo
Come vi piace.
Nast.
Io gli vo gire incontro.
SCENA VII
Lamprino, Nastagio.
Lamp.
Poiché da Chelidonia io mi partii,
Per l'uscio quì di dietro era ito a casa
Per trovare il padron. Et non vi essendo
Et dicendo il castaldo ch'havea detto
Di tornar tosto, et che egli non sapea
Ove gito si fosse, l'ho aspettato
Insino ad hora. Ma poi che non viene,
Io vo veder se forse andato fosse
Al podestà per dargli qualche inditio
De la sua fante. Et vo la nova dargli
Che gli può raddolcire ogni suo amaro.
Si mostra molto allegro in viso: forse
Egli il bene inteso ha che ci è avvenuto.
Padron, caro padron?
Nast.
Che ci è, Lamprino?
Lam.
Che ci è, io vi vo dare una novella,
Che vi terrete esser beato al mondo.
Nast.
Che cosa, è mio Lamprino?
Lamp.
Messer Cosmo,
Vostro compar, vi fa saper che, essendo
Chiaro già il Re di Napoli che fuori
Voi siete della colpa, per la quale
Siete in esilio, et vi fa piena gratia
E vi rintegra appien di tutto il vostro.
Nast.
Questo t'ha detto il mio compar.
Lamp.
Questo
M'ha detto con letitia tal che appena
Credo che sia la vostra tal.
Nast.
O Dio,
Quanto ti son tenuto! Quando mai
Fosti sì largo a un huom de le tue gratie?
Lamp.
Eccovi la patente, che ei m'ha data
Riceputa dal Re. L'havria portata
Egli, ma per lo spatio che ha in dogana,
Dal porto a voi non ha potuto.
Nast.
Questo sol ci mancava a far che pieni
Fossimo alfin d'ogni piacere humano.
Lamp.
Et detto m'ha che il Re ha promessi premi
Grandi a ognun, che di voi, o della moglie,
O dei figliuoli a lui novella
Porterà. Però io prego che vi piaccia,
Poiché non s'ha se non di voi notitia,
Che al Re vi manifesti.
Nast.
Anzi di tutti
Vo che nova gli porti: che trovati
Hoggi ho la moglie et ambi i figli miei.
Lamp.
Et come ciò è avvenuto.
Nast.
Entriamo in casa,
Ove saprai il tutto et te n'andrai
Subito al Re per gli promessi doni.
Il Greggie.
Un giorno sovra tutti gli altri fece
Mesti costoro, hor gli fa lieti un giorno.
Così le cose humane il tempo varia.
E avvien sovente quel ch'altri non crede.
Or più non aspettate, spettatori,
Che escano fuor Carino e la sua Eutiche.
Quì in casa sposeran, poi questa sera
Tutti insieme n'andranno all'altra sposa.
Voi intanto fate segno, onde veggiamo
Che stata v'è questa commedia grata.
FINE