Gran concerto delle varietà

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Gran

Gran

Concerto

delle

Varietà

Due tempi di Roberto Lerici

        

Questo testo è la sintesi immaginaria del Varietà e del suo mondo, vista come memoria, come frammento di un’idea teatrale più vasta e completa nelle sue concatenazioni e discendenze. Nessun salto storico, dunque, ma un legame che rimanda da invenzione a invenzione, da fantasia a fantasia, dal mondo dei giullari, agli attori del Teatro dell’Arte, fino a questi “artisti” di tipo individuale, a questi “comici” assolutamente personali del teatro delle Varietà, come si diceva una volta.

         Tenuto conto che questo spettacolo non ha intenti documentari, ma che anzi tutte le scenette, le canzoni, i duetti, i monologhi e tutti i testi in generale, seppur ispirati ai modi del Varietà, sono rigorosamente originali e inediti, scritti apposta per questo spettacolo e funzionali al suo disegno drammaturgico, diciamo che i personaggi sono situati in un ideale limite tra il Caffè Concerto e il Varietà vero e proprio, in un’epoca imprecisata che va dalla fine ‘800 all’ultimo dopoguerra, cioè in quel luogo e tempo dell’immaginario collettivo che ciascuno spettatore consuma e conserva dentro di sé e sente come festa del Varietà.

E’ per questo che le musiche, le scene, i costumi, saranno dilatazioni o riduzioni, tracce appena suggerite, o grottesche deformazioni sul tema Varietà, al di là di un’ipotesi documentaria. Questo vale anche per le coreografie che dovranno alludere a perfezioni e costruzioni non certo necessarie al Varietà come documento.

Anche la recitazione, sia dei personaggi come tali che delle ambigue personificazioni dell’Attrice e dell’Attore, che vivono fuori e dentro lo spettacolo, dovrà tener conto della ambigua natura della rappresentazione e cioè della visione diretta come della preparazione dello spettacolo in forma di “prove”.

Questo spettacolo è dunque un’idea trasposta, quasi una metafora di quella particolare metafora che già di per sé è il tempo spezzato del Varietà.

E’ in questo genere di spettacolo infatti che “si trova la scomposizione ironica di tutti i prototipi sciupati del Bello, del Grande, del Solenne, del Religioso, del Feroce, del Seducente e dello Spaventevole, ed anche l’elaborazione astratta dei nuovi prototipi che a questi succederanno. Il teatro di Varietà è dunque la sintesi di tutto ciò che l’Umanità ha raffinato finora nei propri nervi per distrarsi ridendo del dolore materiale e morale…”

Troppo impegnative le parole degli anni ’20 nel Manifesto Futurista? Forse, ma il Varietà come spazio aperto della libertà inventiva, dell’improvvisazione, rimane un tipo di spettacolo che ha avuto una continuità e una vitalità grandissima attraverso i suoi grandi interpreti e i suoi umili comprimari. E’ inutile nominare Viviani, Petrolini, Fregoli, Totò, ecc. perché è evidente che la tradizione dell’attore italiano in generale ha la sua costante individualista e libertaria proprio in quella matrice di solista che risale indietro nel tempo, all’origine del Teatro Italiano.

NOTA ALLO SPETTACOLO

Gli attori ideali per questo spettacolo non devono essere scelti fra gli ex attori del Varietà, ma fra gli attori di Teatro che del Varietà sappiano dare un’idea critica. Questo vale anche per le musiche, che devono essere dei puri “sostegni” dell’idea, poiché nessuno dovrà realmente cantare o suonare musiche tipiche del Varietà.

Lo stesso vale per le scene e i costumi che dovranno essere un’idea dilatata o volutamente riduttiva dell’idea tipica dei siparietti, dei fondalini, degli oggetti di scena in uso nel Varietà, così come i costumi da Vedette o da Soubrette o da macchietta, o da ballerina, ecc., potrebbero essere ispirati a quelli della fine ‘800, o degli anni ’20 fino a quelli ante seconda guerra mondiale, con un gusto senza tempo definito che li unifichi stilisticamente.

In altre parole, non serve l’idea realistica dei poveri guitti, ma serve la sontuosa visione fantastica sia della povertà reale, come della ricchezza immaginaria che il mondo del Varietà rievoca. Così come la bellezza delle ballerine sarà una vera “bellezza”, nonostante la verità dell’indigenza fisica o delle calze rammendate.

Questi sono solo dei suggerimenti, ma non è detto che sia vero tutto il contrario.

PERSONAGGI

L’ATTORE ovvero IL COMICO

L’ATTRICE ovvero LA VEDETTE

LA SOUBRETTE

IL FANTASISTA, SPALLA, TRASFORMISTA

IL FINE DICITORE, ROMANZIERE

IL BRILLANTE, ECCENTRICO, MAMO, ACROBATA, GINNASTA,

BALLERINO

LA BALLERINA 1

LA BALLERINA 2

LA BALLERINA 3

LA BALLERINA 4

LA BALLERINA 5

IL BALLERINO SOLISTA

I SEI ELEMENTI DELL’ORCHESTRINA

PRIMO TEMPO

(A sipario chiuso si accendono le luci della ribalta. Dai due lati opposti del boccascena entrano l’Attore, che reciterà la parte del comico e l’Attrice, che interpreterà la parte della Vedette. Lei non è più giovanissima, ma ancora in ottima forma. Lui ha evidentemente più anni di lei, ma è un uomo solido. Sul braccio lui ha un impermeabile e lei sul suo un cappotto col collo di pelliccia. Tagliati secondo la moda di oggi.

Fissano il pubblico per qualche istante con un sorriso fermo, distaccato, poi parlano nelle vesti di ambigui personaggi guida, di presentatori della memoria, di evocatori e

creatori di meraviglie reali e inesistenti, di Attori di Varietà, insomma).

ATTORE             Siamo saliti su questo palcoscenico per fingere uno spettacolo, per mimare una rappresentazione mai andata in scena, per cercare nello spazio della memoria un frammento di libertà teatrale che si chiama varietà.

ATTRICE            Siamo qui per sgombrare il campo dalla retorica dei poveri eroi, dei guitti sfortunati, delle disperazioni di provincia. Il Varietà è un mondo felice, dove la risata è una necessità programmatica, l’erotismo è una elementare gioia distribuita da giovani donne dalle lunghe gambe…

ATTORE             …E il desiderio è raggiungibile, le contraddizioni sono conciliabili, il pubblico è una realtà da aggredire allegramente.

ATTRICE            Ma sento che il sipario freme… sta per aprirsi su quelli che si fanno chiamare “artisti” per un antico diritto strappato alle tavole mobili dei palcoscenici di piazza.

ATTORI              Questi “artisti” hanno sempre rigorosamente adottato nomi d’arte fantasiosi, per meglio sopravvivere alla leggenda che li accompagna…

ATTRICE            … La leggenda degli “scavalcamontagne” dei “ saltimbanchi”, degli eterni affamati, degli affaticati viaggiatori, delle vittime designate di un “impresario” provvidenziale come il loro destino, di un impresario esoso, spietato, ricattatore, assente.

ATTORE             Ma non riusciamo più a trattenere il sipario… ecco a voi i componenti della compagnia…

ATTRICE            …Grandiosamente chiamata del “Gran concerto delle varietà”.

(Il sipario, dopo aver accentuato i suoi fremiti scoccando a piccoli strappi grandi onde che si propagano nervose lungo la superficie, si comincia ad aprire, accompagnato dall’Attore e dall’Attrice nei due sensi opposti lungo il boccascena. Si sente un suono su una nota sola, sintesi amplificata di milizia di corde passate su carrucole cigolanti di sipari celebri o senza nome. Si scopre il palcoscenico completamente vuoto. Nella luce violacea e smorta di un’alba invernale o, se si preferisce, delle luci flebili di servizio, si distinguono appena i componenti della compagnia. Sono lì, immobili, come se fossero stati sorpresi troppo presto dall’apertura del sipario, o come fossero lì ad aspettare qualcosa, pietrificati dalla noia. Sono seduti sulle valige, sui fagotti, o in piedi, o abbracciati a coppie. Quattro grandi valigie e una cappelliera sono raggruppati al centro e non c’è nessuno vicino.)

(L’Attore e L’Attrice rimangono ai due lati del proscenio. Si volgono verso il gran vuoto aperto sul boccascena, sul cui fondo campeggia la scritta “Vietato fumare”.)

(Le ballerine hanno perso il loro fascino, se ne stanno accucciate nei loro cappottini sui bagagli, sbadigliano con gli occhi persi non si sa dove. Una in piedi sembra provare un passo di danza. E’ da un po’ che ripete il movimento su se stessa. In verità cerca di scaldarsi. Un’altra in piedi sta attaccata al suonatore di sax. Giocano a baciarsi. C’è sempre qualcuno che non rispetta la noia degli altri. Nessuno sa come si chiamano quelle ragazze. Sono il corpo di ballo, ma non trattandosi del Bolscioi, sono dei corpi che ballano.)

(I due ballerini, mimi, boys tutto fare, si tengono la testa e i pensieri vendicativi tra le mani sui gomiti puntati alle ginocchia.)

(Il Fine Dicitore, Romanziere, ovvero dicitore di versi e cantante di romanze, fuma con delicatezza la sua sigaretta seduto in punta di valigia. Con il cappello nero a larghe tese, ha una segnata nobiltà anche in questa attesa umiliante. Dal modo come scruta il cielo sembra essersi assunto il ruolo di capo coro, interprete e poeta della condizione di tutti i compagni d’arte e di viaggio.)

(Accanto a lui, isolato, ma dipendente per segreti affetti, è il Fantasista, e anche Spalla del Comico, e Trasformista e altro ancora. Siede febbrile e attento come una faina, punta nel buio il suo muso, appollaiato sul suo valigione pieno di trucchi, parrucche, travestimenti.)

(Un po’ in disparte, ma le lunghe attese creano solitudini naturali, c’è la Soubrette, così definita per estensione, ché la Soubrette è più della Rivista che del Varietà, diciamo Cantante, Duettista, ecc.

E’ una ragazza di meno di vent’anni, con l’aria di bambina antica, dalle labbra dipinte troppo forte. Siede sul suo valigino con l’aria rattrappita. Si vede subito che è venuta via dal paese alla morte della madre, dopo aver perso il padre a dodici anni. Tutte le ragazze del Varietà hanno storie patetiche, prima di diventare dure come rocce per essere Vedette a pieno merito. Lei è arrivata in città per una piccola speranza subito raccolta dal Capocomico che le ha offerto un avvenire, se con pazienza vorrà imparare.)

(I sei orchestrali si riconoscono dalle custodie nere dei loro strumenti. Non stanno vicini. Fuori dalla buca d’orchestra preferiscono non aver nulla a che fare l’uno con l’altro.)

(Il cosiddetto Brillante, appare molto poco brillante, tutto teso com’è a fissare senza speranza la Soubrette, che a sua volta guarda altrove sentendo con dolore lo sguardo di lui piantato sul suo cuore. Lui è un giovane esile, usato come Ginnasta, Ballerino, Mamo, Acrobata, e altro ancora.)

(L’Attore, che ha controllato la scena e i personaggi con un lungo sguardo d’insieme, indossa l’impermeabile e và a mettersi accanto ai suoi bagagli, prendendo posto anche lui nella grande distribuzione dei ruoli.)

(Il Capocomico, ovvero il Comico della compagnia, ha uno sguardo impassibile, duro, a tratti ferocemente malinconico, come se fosse perennemente in guerra con la vita. Adesso è il viso d’orfana infelice della Soubrette che balena a tratti nel suo presentesi uomo non più giovanissimo. E’ l’unico che stando in piedi, accanto ai suoi bagagli, non si rassegna all’attesa e guarda una ciurma disfatta in rappresentanza dell’umanità tradita, per dire al cielo le ragioni di tutti.)

(Il Suonatore di Sax, impaziente, forse estrae il suo strumento e alza qualche nota nostalgica nel silenzio annoiato.)

(L’Attrice, che ha controllato la scena e i personaggi con un lungo sguardo d’insieme, indossa il cappotto con pelliccia e va a sedersi su una delle valigie, accanto al Capocomico in piedi, prendendo posto anche lei nella grande distribuzione dello spettacolo nel ruolo della Vedette.)

(La Vedette è ancora molto bella di fisico, un po’ sciupata nel viso, ma per la lunga attesa. Il trucco di scena le renderà giustizia. Il collo di pelliccia le copre un po’ di bocca e le incornicia la nuca nobilmente. Dal modo come siede sulla valigia più grande, accanto al Capocomico, si vede che i due, per antica consuetudine, stanno insieme in arte e nella vita. )

(Nella luce di quest’alba, che nelle storie tristi si definisce livida, un fischio improvviso e terribile di treno si conficca fra la ribalta e il cielo, al di là della soffitta del teatro. La Compagnia si anima, le valigie si sollevano, ci si muove finalmente. Gli orchestrali vanno a disporsi in buca, se il teatro lo permette, oppure da una parte del palcoscenico, a seconda dello spazio teatrale. Si alzano le luci.

Fra sbuffi di vapore e stridii laceranti la locomotiva rallenta ed entra lentamente in scena, dipinta su un siparietto che scorre da destra a sinistra, nascondendo tutta la compagnia. Il siparietto continua a scorrere facendo uscire dalla parte opposta la locomotiva e facendo apparire il disegno di un vagone, con i finestrini tagliati.

Il Comico, la Vedette, la Soubrette, il Fantasista, il Fine Dicitore, si affacciano ai finestrini salutando con le mani e cantano in coro la canzone: “C’è sempre un treno”.)

CORO                 C’è sempre un treno

che ti porta via

sull’ali tristi

della fantasia

E’un treno di frivola bellezza

che freme tutto come una carezza

che vi trasporta nel mondo che sognate

serbate ogni speranza o voi che andate

C’è sempre un treno

che ti porta via

sull’ali tristi

della fantasia

(Il siparietto del treno scorre via portando con se i personaggi della Compagnia, scoprendo le ballerine sorridenti, libere dai cappotti, dalle valigie, dai fagotti, con le calze a rete, i corpetti scintillanti.

In scena piante esotiche ritagliate  nel compensato hanno fatto fiorire un paesaggio vagamente tropicale, mentre le luci salgono al massimo.)

(Sul fondo è calato a coprire la scritta “Vietato fumare”, un fondalino con sopra dipinto il mare, che due attrezzisti invisibili scuotono ai lati delle quinte, facendolo ondeggiare. Dal centro , dietro il gruppo di ballerine sbuca fuori la Soubrette con una specie di gonnellino di paglia.

Viene avanti esitante intonando una canzone vagamente esotica, un ritmo tropicale sotto una vocina inerpicata su note acute e squillanti.)

(La Soubrette canta accompagnando le parole con una serie di gesti  comicamente dissociati delle braccia che alza e abbassa fuori tempo, come disarticolata, ostentando una specie di disinvoltura svogliata, sottolineata dalle mani flosce, pendule sui poli.)

SOUBRETTE: (Canta)

                            Vengo dal mare

                            al mare tornerò

                            dolce calore

                            del cuore che non ho.

                            Le palme che nel vento

                            si piegano gemendo

                            sono mani che si giungono

                            per chiedere pietà.

                            Vengo dal mare

                            al mare tornerò

                            dolce calore che non ho.

                            Sotto il bel sole

                            dei tropici darò

                            al primo che lo vuole

                            l’amore che non ho.

(I due ballerini si uniscono alle quattro ballerine e mimano il languore tropicale.)

(Il Numero sembra quasi interrotto dall’intervento dell’Attore come Comico che irrompe in scena nell’ambigua veste dell’Attore e del Comico.)

ATTORE (Comico):      (Ai ballerini e alla Soubrette)

Sappiate che il viaggio è incominciato nel bene e soprattutto nel male. La felicità esotica è un pretesto, la storia corre altrove. La nostra Soubrette ha evidentemente deciso di minare lo spettacolo alla base. C’è chi crede ciecamente in te, ma tu te ne approfitti per far ridere quando non ti spetta.

(Si rivolge ad una ballerina alta)

                            Tu di dove sei?

BALLERINA 1:            (Sorpresa)

                            Io?! Di Campobasso.

ATTORE (Comico): Ma no, scema! Devi darmi la battuta! Te lo richiedo. Di dove                                sei?

BALLERINA 1:   Del Monte Bianco…

ATTORE (Comico): Brava! Il tetto d’Italia!

(A un’altra ballerina dal petto vistoso)

ATTORE (Comico): E tu di dove sei?

BALLERINA 2:   Di Bologna.

ATTORE (Comico): Brava! La tetta d’Italia! Dovete stare attente, ragazze! Nessuno

vuole sapere da voi nulla di personale. (Alla Soubrette) Voglio

fare una domanda a te e, se non sai rispondere, ti protesto. Sai di

cucina, tu?

SOUBRETTE:     Sì, qualcosa… Anzi molto.

ATTORE (Comico): Sai qualche ricetta particolare? E’ importante che la Soubrette

della Compagnia sia una buongustaia! (Ride)

SOUBRETTE:     So fare l’ovo sodo.

ATTORE (Comico): Lo preferisci sodo, brava! Ma il batacchio al forno lo sai fare?

SOUBRETTE:     Come..?

ATTORE (Comico): “Il batacchio al forno”.

SOUBRETTE:     No… Mi dispiace… Non so…

ATTORE (Comico): Una vera buongustaia deve saper fare il “Batacchio al forno”.                    Te la dico io la ricetta, ignorante; e impara!

(Con enorme carica di volgarità intenzionale)

Prendere un batacchio maturo, non importa se secco, magro e non di buona apparenza, che anzi certe volte son quelli di migliore riuscita. Impastatelo con energia, passatelo sulla tavola per la sfoglia, lisciate bene la superficie, allungatelo bene, dateci dentro con forza, fatelo allungare il più possibile, ma badate che la lunghezza non vada a scapito della grossezza. Lasciate che lieviti bene e poi infilatelo nel vostro forno ben caldo. Tenetecelo quanto basta, ma state attente a levarlo prima che venga a sciogliersi il condimento.

(Tutti i ballerini ridono esageratamente per compiacenza, ma anche per la violenza esagerata con cui ha parlato).

ATTORE (Comico): Silenzio! Lei (Indica la Soubrette)… Invece deve sorridere                                     muta, un po’ imbarazzata, incerta tra i tacchi alti e il ricordo delle                   amiche lasciate al paese… Così… Brava… (Alle ballerine)                               Rompete le righe… Senza rompere le balle!

(Le ballerine si rilassano ridendo).

ATTORE (Comico): (Guarda la Soubrette che non ride) Sapete chi è “L’innamorato                            pazzo”? No? E’ una macchietta, una caricatura, faccia oscena                                  della realtà. E’ un essere grottesco, ridicolo, schifoso che si stringe                           la giacchetta alla vita… Così… Inarca il sedere all’indietro per                                     mostrare la sua eleganza da pagliaccio… (Con tensione crescente)                    Estrae un fazzoletto a righe enorme dal taschino… Si asciuga il                    sudore perché è perennemente emozionato… Così… Si piega in                            avanti con aria ansimante da cane infelice, alita i suoi scostanti                                 sospiri senza voce… Così… E alla donna oggetto del suo amore                            che lo guarda scettica e crudele, attacca i suoi ridicoli refrain…                        Così… Maestro, un solo accordo, ripetuto…

(Declama quasi cantando a voce tesa, acuta, come strozzata in gola, mentre tutto il corpo è atteggiato grottescamente secondo la immaginaria descrizione. Si rivolge con intenzione alla Soubrette che non lo guarda).

ATTORE (Comico):

“Fin dal primo momento che t’ho vista

non m’ero manco accorto ch’esistevi

m’era rimasta una luce nella testa

ma non sapevo che tu me l’accendevi”.

SOUBRETTE:     (Quasi mormorato)

                            “Quale momento? Io non so chi siete.”

ATTORE (Comico): (Urlando) Non così tremante… La voce più fredda… Ma                                     caricaturale… Tu sei una bambola imbecille… Questo è l’oggetto                    del desiderio di un buffone, una bambola imbecille!

SUOBRETTE:     (Risentita)

                            “Quale momento? Io non so chi siete.”

ATTORE (Comico): (Riatteggiandosi a macchietta)

                            “Dal secondo momento mi sei scesa

                            un po’ più giù, nel fondo del pensiero

                            hai preso alloggio comoda e distesa

                            dentro all’anima mia mentre non c’ero.”

SOUBRETTE:     (Con intenzione sarcastica)

                            “Dentro all’anima sua non sono entrata…”

(Accentuando “all’anima sua!” provoca l’ilarità della ballerine)

ATTORE (Comico):      Tu non devi far ridere quando non ti spetta! Te l’ho già                                   detto! (Urlando e modulando la voce)

                            “Ma dal terzo momento t’ho confusa

                            con tutte le bellezze del creato

                            dentro la vita mia io t’ho rinchiusa

                            come dentro a un abbraccio disperato”.

(Le ballerine ridono sgangheratamente)

SOUBRETTE:     (Impaurita) E’ la battuta del copione… Non volevo far ridere, lo giuro.

ATTORE (Comico): Era giusto così, cretina! Possibile che non sai dove sei? Voi, andate via dalle balle, ballerine! Ah! Ah! Ah!

(Le ballerine escono. Con voce acuta e modulata prosegue la macchietta)

ATTORE (Comico): “Or che il quarto momento è già scoccato

                            dolcezza mia rispondi a quell’amore

                            che tutto solo intanto ha lavorato

                            scavandomi una fossa dentro al cuore!”

SOUBRETTE:     “L’amore tuo adesso fa il becchino?”

ATTORE (Comico): (Con esagerata tensione, parlandole vicino, in ginocchio, col mazzetto di fiori finti tesi in avanti)

                            “In quella fossa se non vuoi che resto

                            dimmi di sì e amami al più presto!”

SOUBRETTE:     (Glaciale)

                            “In quella fossa tu non devi stare

                            se mi ricatti ti dovrò salvare…”

ATTORE (Comico): (Getta il mazzetto di fiori finti e afferra la mano di lei e comincia a baciarla rapidamente salendo su per il braccio, il collo, il viso, in modo frenetico e grottesco)

(Escono di scena abbracciati teneramente, con le note del finalino)

(Si apre il siparietto e appare lei, la Vedette, avvolta in un ricco accappatoio lungo, il viso duro, infuriato, circondata da ballerini vestite da piumini da cipria, scandisce le parole della canzoncina con acida secchezza, balena occhiate terribili in quinta. E’ uscita da una vasca da bagno sagomata nel compensato con, sul fondo, una lussuosa e improbabile stanza da bagno disegnata sul fondalino. Mima l’asciugarsi voluttuoso, poi con un piumino in mano si asperge alzando fumate di cipria e di gelosia. Il suo sorriso è inchiodato sui denti come una minaccia.)

L’ATTRICE (Vedette): (Quasi parlato. Aspergendosi di cipria.)

                            “Piumino di Coty

                            solletico d’amore

                            carezzami, chèri

                            dove mi batte il cuore.

                            Piumino di beautè

                            o frivola carezza

                            avvolgimi così

                            nella tua molle ebbrezza.

                            (A un signore della prima fila)

                            “Avrai da Chèz Maxime

                            sollecito calore

                            ma la chaleur intime

                            ve la do io, signore.”

BALLERINE (Coretto):

                            “Piuma gentile

                            di Marabù

                            tocco maligno

                            di Belzebù.

                            Favola bianca

                            sospiri già

                            nuvola stanca

di voluttà.”

(Si china verso i signori della prima fila, si rivolge a qualcuno singolarmente, cerca di carezzarli col piumino, si sdraia quasi. Parla con dolcezza suadente, come per convincere se stessa di essere ancora desiderabile a dispetto delle giovinette.)

ATTRICE (Vedette):     (Quasi parlato)

                            “Qui c’è tutto il sapore

                            di quando mi carezza

                            sentite un po’, signore

                            che folle tenerezza.

                            E’ appena ritornato

                            da queste collinette

                            e qui s’è riposato

                            sbuffando nuvolette.

                            Le valli mie rosate

                            ha carezzato un poco

                            monsieur, queste fumate

                            son tracciate dal mio fuoco.”

BALLERINE (Coretto):

                            “Piumino di Coty

                            solletico d’amore

                            carezzami, chèri

                            dove mi batte il cuore.”

(Fra le fumate di talco e lo scivolare soffice delle ballerine-piumini il numero si chiude con un siparietto colorato. L’Attrice-Vedette rimane fuori, sul palcoscenico.)

ATTRICE (Vedette): Oh, la dolcezza dei preparativi della bellezza, quelle toilette stracariche di boccette e cosmetici! L’attesa è così fremente e tesa, ma tanto gentile è il tempo che alimenta il desiderio…, e così triste invece è non aver nessuno per cui farsi bella, spengere nelle lacrime il disegno degli occhi, sfigurare in uno sbadiglio la linea delle labbra. E’ terribile la fine, quando si tratta della fine di un amore. (Lancia occhiate allusive in quinta)

                                                                                 

(L’orchestra attacca un sottofondo gentile)

ATTRICE (Vedette):     “Fine di un amore”

                            Sua moglie gli lavava le scodelle

                            gli teneva la casa ben pulita

                            domenica friggeva le frittelle

                            da vent’anni brucava la sua vita.

        

                            La sera ritornava senza gloria

                            chiudeva un altro giorno nel cassetto

                            e perdendo del tutto la memoria

                            metteva la carcassa dentro il letto.

                  

                            E la moglie con gli occhi sul soffitto

                            aspettava paziente le sue mosse

                            poi si lasciava prendere in affitto

                            per mezzo amplesso calmo e senza scosse.

                            Un giorno lui s’è alzato di buon’ora

                            ha indossato la maschera per bene

                            ha mandato la moglie alla malora

                            e se n’è andato come si conviene.

                            La moglie che ha sentito il suo nemico

                            lasciare il suo bel nido di cuculo

                            emerge appena dal suo sonno antico

                            per dirgli sbadigliando: “Vaffa ‘n culo”.

(Si inchina regale ed esce di scena, lasciando occhiate trionfali)

(L’Attore esce in proscenio)

ATTORE:   Dicono che per fortuna si guarisce dall’amore così come ci si consola di tutto, anche della morte; non abbiamo un cuore fatto per piangere e amare per sempre, ma per lui, il Fine Dicitore, romanziere, ovvero colui che declama versi e canta romanze, anima candida dalle mille malizie, non esiste un limite, più perde il suo amore, più ama l’amore, si è conficcato nella vita a testa in giù, e gode di soffrire, gode di vivere soffrendo.

(Si apre il siparietto e appare il Fine Dicitore, in frac, si inchina.)

FINE DICITORE:         (All’Attore) Posso fare una raccomandazione?

ATTORE:            Sì, se necessario.

FINE DICITORE:         Si prega il gentile pubblico di non distrarsi, fare rumori osceni, insultare, perché tutto si ritorcerà contro di loro.

ATTORE:            Adesso il Numero, prego…

FINE DICITORE: (Guarda l’Attore con profondo distacco. Poi comincia a parlare con grande e crescente tensione, rivolto al pubblico. La sua forza interiore diventa sempre di più commozione e pietà)

                   Dirò una prosa poetica dal titolo “Pericoli del più felice”.

                            (Pausa)

                   Avere sensi delicati e delicato gusto: essere abituati alle raffinatezze dello spirito, come al nutrimento più conveniente…; godere di un’anima forte, ardita, coraggiosa; passare attraverso la vita con occhio pacato e passo sicuro, sempre pronti alle cose estreme come fossero feste, e pieni del desiderio di mondi sconosciuti e mari e uomini e dei; tendere l’orecchio ad ogni musica serena, come se ascoltandola uomini, soldati, navigatori ben potessero prendersi un breve riposo, uno svago; e nel più profondo godimento dell’attimo essere sopraffatti dalle lacrime e da tutta la purpurea malinconia di chi assapora la felicità… E con questa felicità nell’anima, si è anche gli esseri più capaci di soffrire che siano mai stati sotto il sole.

(Si inchina)

Ho detto: “Pericoli del più felice” di Friedrich Nietzsche. Grazie.

(Esce lentamente di scena. Dalla parte opposta entra l’Attrice e si ferma in proscenio, dalla parte destra.)

ATTRICE:  Il Comico è un uomo un po’ indurito dalla corsa al successo. Il tempo sta passando e lui non è ancora riuscito ad oltrepassare quel traguardo dopo il quale la corsa continua sulla spinta. La sua anima si è lentamente ammalata dopo anni di fiducia legittima nel proprio talento, di certezza nel futuro. La noia è diventata una linea lunga e il ripetere le sue macchiette ogni sera è possibile grazie a un’energia accumulata nel passato, ma nessuna corrente nuova alimenta il suo spirito. Da quando però la giovane Soubrette è arrivata dal sogno tropicale, lui s’è accorto di quel torpore malato e vuole improvvisamente guarire. Ma la Vedette, sua partner in scena a e nella vita, ha il grave torto di essere saldamente ancorata alla sua esistenza per meriti acquisiti, e lo costringerà a rubare per essere felice.

(Si apre il siparietto e si vede il fondalino con sopra dipinta una strada di città. Entra in scena l’Attore come Comico. E’ vestito da ladro per la macchietta. “Ladro in crisi”, con maglione nero a collo alto, calzoni neri, scarpe da ginnastica, berretto a visiera, fazzoletto al collo, mazzo di chiavi enormi dentro un grande cerchio. Cammina a passi felpati, o con finta disinvoltura, o falsa distrazione avanti e indietro per la strada di città sul ritmo continuo di un accordo musicante tipico delle filastrocche. Incrocia ballerine e ballerini vestiti da passanti. Li sfiora, li urta, li carezza per derubarli. Ogni volta mostra il bottino: orologi, portafogli, scarpe, calze, mutande, ecc... Mette tutto dentro il sacco. Poi viene in proscenio e canta la macchietta: “Ladro in crisi”.)

ATTORE (Comico): Signori miei, con la mia arte sopraffina vivacchio alla giornata, la concorrenza senz’arte ne parte mi sta tarpando il piede di porco…

                   (Canta)

                            “Sono un ladro assai dotato

                            e lavoro da isolato.

                            Io sto lì che non ci penso

e di colpo son propenso

a trovare un portafoglio

pure se nemmeno voglio.

Metto mano nella tasca

al distratto che ci casca.

O mi trovo lì per caso

a rubare sotto il naso

a un signore sul più bello

sia la borsa che l’ombrello”.

(Fa un giretto e deruba con facilità altri passanti levando camicie, collane, canottiere, borsette, ecc.)

                            “Già l’ho detto molto spesso

                            non son ladro di successo

                            le occasioni sono tante

                            ma mi sento un dilettante

                            perché in “alto” le occasioni

                            fan di troppi dei ladroni.

                            Sono un ladro pure io

                            ma al mestiere do’ l’addio

                            c’è ogni giorno un’eccellenza

che mi fa la concorrenza.

Fanno i ladri sotto sotto

alla Camera o in salotto

ma non sono artigianali

fanno i ladri da industriali!

E’ per loro manifesto

il costume dell’onesto

negli ambienti più ufficiali

han le meglio credenziali.

Io con quelli ci rimetto

ero un ladro di rispetto

il berretto con visiera

calzamaglia tutta nera

sulla bocca il fazzoletto

chiavi false e il martinetto

un diamante per i vetri

una corda di sei metri

con un sacco da riempire

mi potevo divertire.

Ho le dita di un artista

apro tutto a prima vista

se il mio braccio un po’ distorco

mi diventa un pie’ di porco

la mia mano sul più bello

mi diventa un grimaldello

ma non sfido i più signori

che fra incarichi ed onori

senza mai rischiare troppo

si procurano il malloppo”.

(Si mette a cantare la serenata sotto una finestra praticabile del fondalino.)

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “Il primo furto è come il primo amore

                            te lo porti nel cuore come un sogno:

                            la mano mia che spinta dal bisogno

                            si muove piano come una carezza

al primo furto fatto con destrezza.

Da quella volta non ci ’ho messo tanto

a rubare di tutto e me ne vanto!

Quanto ho dovuto rubare in vita mia

anche le ore al tempo che va via”.

ATTRICE (Vedette):     (Affacciandosi alla finestra praticabile. Canta)

                            “Tu rubi tutto quello che ti piace

                            rubi la gioia e pure la mia pace

                            rubi anche i baci e scippi un po’ d’amore

infatti a me tu m’hai rubato il cuore.

Come m’hai vista t’è parso bello

d’entrare col tuo fido grimaldello

per mettermi l’anima a soqquadro

con quella voglia che t’ha fatto ladro!

Ma io non voglio ladri nel mio letto

perciò che ho chiuso il cuore col paletto”.

(Chiude la finestra con decisione)

ATTORE (Comico): “Se lei non m’apre io sto qui d’abbasso

                            a meditare un furto con lo scasso!

                            Quanto ho dovuto rubare in vita mia

                            Pure le ore al tempo che va via!

                            Ma se con gli anni non aprirò più porte

                            prima che arrivi ruberò la morte.

(Si chiude il siparietto)

(Entrano due ballerini carabinieri. Lo afferrano per le braccia e lo sollevano.)

ATTORE (Comico): “Della legge sono i bracci

                            per beccare i poveracci!”

(Esce di scena sollevato dai due, sgambettando)

(Si chiude il siparietto)

(Si apre il siparietto. Fondalino con viale alberato. In scena sagome di qualche lampione. Una panchina. Le ragazze del balletto vestite da prostitute sembrano pronte a interpretare il quadro convenzionale. Pantomima con le solite borsette roteate, sigarette da accendere, ecc. Le ragazze però sono bianche in viso, segnate cupamente negli occhi, sinistramente aggressive, giarrettiere esibite con ridicoli scatti. Poi la musica vagamente bachiana si trasforma nel vero Concerto grosso di Bach. Un ballerino nelle vesti del Cliente entra in scena e danza con ognuna l’approccio, la trattativa, l’accordo. Malinconici pas des deux illuminati da una grazia amorosa, la pantomima dei gesti consueti, una piccola solenne trasfigurazione dell’amore furtivo, trasposizione poetica della memoria.

Alla fine dell’azione coreografica le ragazze si rimettono a roteare borsette secondo l’uso tradizionale e rassicurante a piena luce del giorno.

Entra la Soubrette in veste di nuova arrivata con fare ingenuamente provocante, addobbata come una ridicola reclame della perdizione, con gonna cortissima, giarrettiere enormi con fiocchi e merletti, trucco grottesco. Si pone al centro e subito viene circondata minacciosamente dalle rotanti borsette delle colleghe. Arriva il Brillante, ballerino e mimo in questo caso, e con l’aria spavalda del protettore rimette ordine nella strada, prende la Soubrette per la mano con eccessiva, delicata premura e la ripone al centro della scena dove con le ballerine tranquillizzate canta: “C’è chi dice siam facili”.)

SOUBRETTE E BALLERINE:       (Soli e coro)

                            “C’è chi dice che siam facili

                            c’è chi dice che siam libere

                            altri dicono che siamo

                            donne allegre di città.

                            Ed invece siam difficili

                            francamente poco libere

                            non sappiamo quale sia

                            il motivo di allegria.

Noi prendiamo l’uomo all’amo

                            l’uomo all’amo, all’amo l’uomo

                            l’uomo all’amo, amo l’uomo

                            l’amo tanto perché da

                            soldi e soldi in quantità,

                            per l’amore che si da!

                            Per la gente siam “perdute”

                            ma per l’uomo che lo sa,

                            siam “trovate” in verità!”.

(Alla fine dell’azione coreografica cantata, le ballerine, sempre in veste di prostitute, riprendono i loro posti sul fondo, accanto ai lampioni, sulla panchina. La Soubrette è con loro.)

(Entra in scena il Fantasista, in questo caso nelle vesti della Spalla per il Comico.)

(E’ vestito da viveur notturno, con eleganza esagerata, aria disinvolta, occhi segnati in modo marcatissimo per simulare le occhiaie del nottambulo esperto della vita. In realtà sembra la morte, o un panda.)

(L’Attrice esce da sinistra, in proscenio. L’azione di tutti si ferma. Lei guarda verso l’interno della scena, come se controllasse l’effetto.)

ATTRICE: (Alludendo al Fantasista)

                   Un personaggio multiforme chiamato il Fantasista, in questo caso la Spalla del Comico, e per di più Trasformista, non ha una vera storia personale, se non riferita ad altri. Anticipa i desideri altrui. Serve senza essere mai servito, siano esse battute o emozioni … Più a sinistra, grazie.

FANTASISTA:   (Esegue)

ATTRICE:  Si… così il Comico si troverà al centro, venendo da destra… Non rinuncia alla posizione che gli compete.. Ma la lotta è al centimetro, il tempo di entrata, il minuto in più o in meno.. Ne va della carriera: lui, il Fantasista, spera di conquistare spazi in più nello spettacolo perché ha sentito incrinare il rapporto dei capo comici e allora… allora… signori miei… si può corteggiare la Vedette… aprire i varchi, completare le crepe… lottare insomma…

FANTASISTA:   (Alla Soubrette, alle spalle)

                   Quando parlo io non ti devi muovere.

ATTRICE:  La sua violenza è la somma di strati di odio coltivati nell’intimo, prodotto di infinite provocazioni ricevute nella vita che esploderanno nel tempo esatto dell’effetto comico. Il suo scopo è di fare in modo che gli altri facciano ridere. Una Spalla, insomma.

(L’Attrice esce di scena e il Fantasista comincia lo sketch: “ La educazione sentimentale”.)

FANTASISTA (Spalla): Sono uscito dal locale notturno dove ho passato naturalmente la notte in compagnia di donnine allegrissime. Che volete, la mia vita è fatta così, io mi disfaccio con gran classe, sono in stato di avanzata decomposizione eppure profumo di Chanel pour Homme! Io potrei dare lezioni di vita anche a un deficiente. Ah! A proposito! Guarda chi si vede!

(Guarda in quinta)

Vieni avanti, cretino!

(L’Attore come Comico entra in scena vestito da deficiente e, con passo strascicato, un cappello sfasciato, calcato fino alla fronte.)

ATTORE (Comico):      (Vedendogli le spaventose occhiaie nere)

                   Ah! Condoglianze, non sapevo che eri morto.

FANTASISTA (Spalla):             (Facendo le corna)

                   Sono vivissimo, tu piuttosto, dove t’eri cacciato, di bello?

ATTORE (Comico):      Ero a ballare.

FANTASISTA (Spalla):             Perché, avevi il ballo di San Vito?

ATTORE (Comico):      No… proprio a ballare…

FANTASISTA (Spalla):              Bravo! Ti sei deciso a seguire le mie orme! E dimmi, hai raccattato qualche femmina?

ATTORE (Comico):      Le ho invitate tutte a ballare, per poi…

(fa una serie di segni allusivi caotici.)

                              

FANTASISTA (Spalla):               Bravo! E com’è andata?

ATTORE (Comico): Non lo so, m’hanno detto che erano impegnate o gli girava la testa, o avevano il colera, o erano moribonde, o erano sposate, o erano assenti, una aveva il ginocchio della lavandaia, una m’ha detto che si faceva monaca, una che aveva la gamba di legno…..

FANTASISTA (Spalla):         Ah! Ah! Non ci sai proprio fare! A me non sarebbe successo!

ATTORE (Comico):      Ma tu come fai? Mi insegni?

FANTASISTA (Spalla):         Ma è facilissimo. Guarda, vedi quella lì?

(Indica la Soubrette)

Vai a chiedergli se vuole accompagnarsi con te. Ti dira di si. E’ lì per quello.

                              

ATTORE (Comico):      Sei sicuro?

FANTASISTA (Spalla):         Ma certo! Ho esperienza, io!

ATTORE (Comico):      Allora tu dici che io vado, le dico: Vieni, e quella zac… viene!

FANTASISTA (Spalla):         Zac! E viene!

ATTORE (Comico):      Senza fiatare!

FANTASISTA (Spalla):         Non dirà niente! Accetterà e basta, vedrai! Vai sicuro. Non fiaterà! Ti accoglierà senza batter ciglio!

(L’Attore Comico va verso la Soubrette che sorride invitante.)

ATTORE (Comico):      Signorina, permette che…

SOUBRETTE:     (Improvvisamente seria, dura, con la voce strillata, acuta, urla le battute velocissima in crescendo di volume.)  Ma come ti permetti, chi credi di essere, io non mi lascio comprare, decido io quello che devo fare di me, non sono una qualunque, a me non si deve parlare così! Io ho cominciato dal nulla e non voglio finire nel nulla, e tantomeno permetterò che tu mi demolisca prima ch’io mi sia costruita come voglio! Una come me non si trova a tutti gli angoli, capito? Non mi si può prendere senza prima bussare. E se uno bussa io gli chiedo: chi è? Lui mi dice chi è. Io gli chiedo che vuole. Lui mi dice che vuole e io gli dico di no, di no, di no, di no, di no!!!

(Torna perfettamente normale e sorridendo esce di scena.)

ATTORE (Comico):      (Si è protetto con le braccia dalla gragnuola di colpi saltando indietro incalzato dalla Soubrette scatenata.)

FANTASISTA (Spalla):         Incredibile! Appena t’ha visto ha deciso di cambiar vita!

(Si sentono fischietti della polizia. Le ragazze strillano: “Piove!” “La madama!” e corono via, liberando la strada dipinta.)

(entra in scena l’Attrice come Vedette, vestita in abito lungo, fuma da un bocchino lunghissimo.)

ATTORE (Comico):      Ma come fai tu?

FANTASISTA (Spalla):         Ora ti faccio vedere. (Alla Vedette) Signorina mi scusi, devo dimostrare a questo cretino incapace come si fa a conquistare una donna anche difficile come lei.

ATTRICE (Vedette):     Ah, si? Gli faccia vedere come si fa a quel deficiente!

ATTORE (Comico):      (Come se la riconoscesse) Ma quella… quella è…

FANTASISTA (Spalla):         Zitto idiota, ignorante, balordo guarda come si fa: tu appena ti avvicini le sussurri una scarica di complimenti…

ATTORE (Comico):      Si, chi? Io… Ma quella è…

FANTASISTA (Spalla):         Zitto! Tu, anche se hai quella faccia da deficiente cronico, devi darci dentro con i complimenti più enormi che ti vengono in quella testa balorda che ti ritrovi…

ATTORE (Comico):      Si, d’accordo, ma io volevo dire che lei è…

FANTASISTA (Spalla):         Devi sapere che le donne sono sensibilissime ai complimenti per la legge del Gobbo di Notre Dame. Se il Gobbo di Notre Dame, il mostro deforme, dice ad una donna bellissima:

(Si rivolge a lei con trasporto autentico)

                   “Come siete bella, che stupendo viso, che corpo giovanile, che tesori nascosti dovete avere sotto i vostri abiti meravigliosi, vostro marito vi trascura di certo, non capisce che la vostra anima è grande, generosa, affascinante…”

ATTRICE (Vedette):     (Lo guarda con crescente interesse, quasi in deliquio.)

ATTORE (Comico): (Sempre a bocca aperta, fa controscena, mentre il Fantasista parla e la Vedette sospira.)

FANTASISTA (Spalla):         Vedrai che a questo punto la signora penserà che in fondo il Gobbo di Notre Dame non è poi quel mostro che si dice, che la gobba tutto sommato appena si vede, che è alto sotto il metro, ma almeno non paga in tram… e poi che è tanto buono e quell’orbita vuota basta coprirla con una buona protesi…

Dopo di che stai sicuro che ci finisce a letto!

ATTRICE (Vedette): (Al Fantasista)         Com’è vero! Vuol venire a casa mia a vedere la mia collezione di stampe pechinesi?

(Bacia il Fantasista per evidente provocazione.)

ATTORE (Comico): (Urlando) Basta signore, quella è mia madre!

ATTRICE (Vedette): (Dandogli uno schiaffo violento) Dovevi dire: mia moglie! Cretino! Sei geloso, vuoi fare il gallo del pollaio, ma io non sono una delle tue galline!

ATTORE (Comico): (Le restituisce il ceffone) E tu perché ti lasci adescare dal Gobbo di Notre Dame? Non lo vedi che vuole crescere di statura grazie alle tue grazie?

ATTRICE (Vedette): (Mollando un ceffone al Fantasista) 

Io questo qui non l’ho autorizzato!

FANTASISTA (Spalla):         (Cercando qualcuno a cui rendere lo schiaffo individua il Pianista che funge da direttore d’orchestra e gli allenta uno schiaffo.)

(Il Pianista, allenta un ceffone al violinista urlandogli “Attacca!” e il violinista al sax, il sax al batterista, il batterista al contrabbasso ecc. sempre gridando: “Attacca!”.)

ATTORE (Comico):      Basta! E’ così che cominciano le guerre!

(I tre si inchinano ed escono di scena a braccetto a ritmo musicale.)

(Su una musica violentemente ritmata irrompono in scena le ballerine all’apertura del siparietto. Sono in calze nere e mezza coscia con giarrettiere fiorite, bustino nero, guanti lunghi fino alle spalle. Si tengono allacciate in un corpo unico, battendo un ritmo marcato, quasi funereo, alzano le braccia nere spalancando le dita, spingono insieme le gambe in avanti con un provocante biancheggiare di carni sopra le giarrettiere. Formano un drago a cinque teste fascinoso e violento immobilizzandosi in una specie di blocco unico di corpi alla fine di questo breve stacco danzato.)

(Entrano da sinistra e da destra L’Attore e l’Attrice. Si fermano ai lati. Colpo di batteria.)

ATTRICE:  Questo è il momento della verità. Si dovrebbe capire il coraggio gratuito che occorre in questo numero. C’è una capacità di soffrire e una di fingere la sofferenza. Ora si dovrebbe parlare di lui, il cosiddetto Mamo, il Brillante, in questo caso acrobata, in altri ballerino, mimo, solista, un fragile, innamorato con stupida incoscienza della Soubrette. Per lei ha complicato i pericoli del suo Numero acrobatico: “Tarzan alla riscossa”.

(Si apre il siparietto al rullo del tamburo. Si scopre un fondalino con giungla dipinta. Seminudo, con pelle di leopardo a bandoliera, il Brillante in veste di acrobata, traversa come un pendolo la scena appeso ad una liana, lanciando il celebre urlo di Tartan. All’arrivo in quinta, dove scompare, si sente un terribile colpo d’impatto e l’urlo minaccioso diventa di dolore.)

(Si chiude il siparietto.)

ATTRICE:  Non tutti gli esercizi possono riuscire, anzi gli incidenti testimoniano del pericolo… Comunque non era un Numero eseguito per far ridere. Ma le risate è meglio prenderle dove si trovano.

(Si ferma sulla destra ad osservare la scena che si vede all’apertura del siparietto.)

(Sulla scena entra la Soubrette vestita da fanciulla fine ottocento. Ha una parrucca enorme con una pioggia di boccoli corvini spaventosi. Sul fondalino è disegnato un salottino d’epoca. Una sagoma di pianoforte da una parte. La Soubrette va a sedersi e finge di suonare la “Preghiera di una vergine”. Dall’altra parte della scena un divanetto.)

(L’Attrice che ha osservato da destra si volge al pubblico rimanendo sul proscenio.)

ATTRICE:  C’è una strana eccitazione in scena. Il Comico ha puntato la colomba ed è disposto a dimenticare tutto. Non sa nemmeno chi sia lei, e non lo vuole sapere,ha poca comprensione per le orfanelle, gli basta sentirsi minacciato da quella tremenda giovinezza. Su quel piccolo petto adolescente sembra possibile tutto, e questa sera lo spettacolo del Comico è tutto per lei. Anche questo tragico duetto del “Dragone e la fanciulla.

(Entra in scena l’Attore come Comico, vestito da Ussaro con uno spropositato colbacco in testa. Si inchina rigido alla fanciulla che si è alzata dal piano. Al colpo di tacchi e al pericolo per l’urto col colbacco la fanciulla fa un salto indietro tenendosi la parrucca. Lui si trattiene in equilibrio il colbacco. L’orchestrina attacca un’arietta vagamente operistica: “ Il Dragone e la fanciulla”.)

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Non mi toccate

                            sono fanciulla

                            se non m’amate

                            non vi do nulla!”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Sono offiziale

                            del reggimento

                            non faccio male

                            ho sentimento.”

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “Un’altra volta

                            giro la testa

                   (Si volta e si tappa le orecchie)

                            a chi v’ascolta

                            fate la festa!”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Non sono vile

                            ne screanzato

                            sono gentile

                            e delicato”.

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Non voglio perdere

                            il bene mio

                            non posso credere

                            quel che so io…”

(Traballano i copricapi. Lei si ritira. Lui avanza. E viceversa.)

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Io non capisco

                            cosa sapete

                            ma non insisto

                            se non volete”.

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Sono spiacente

                            forse v’ho offeso

                            siete insistente

                            m’avete acceso…”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Sono il cerino

                            del Monopolio

                            voi lo stoppino

                            del lume a petrolio!”

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Non che l’audacia

                            del paragone

                            poco mi piaccia

                            o bel dragone…”

(Lei avanza verso di lui. Lui si mette con un ginocchio a terra. Lei appoggia il mento sul colbacco.)

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Se v’ho colpito

                            la fantasia

                            or siate mia

                            or siate mia!”

(Balza in piedi e le sbatte il colbacco contro il mento mettendola quasi KO. Reggendosi la parrucca storta, barcollando, replica.)

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Quel che fa bene

forse conviene…”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Chi mi dà niente

                            poi se ne pente!”

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Forse io posso

                            saltare il fosso?”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Le braccia tendimi!”

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “ Un bacio rendimi!”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Due o tre se brami!”

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “Dimmi che m’ami!”

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Dimmi che m’ami!”

(Si lanciano l’uno nella braccia dell’altro scontrandosi parrucca e colbacco che volano via lasciando sia lui che lei completamente calvi. Si guardano con sorpresa.)

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “ Se chiudi gli occhi

                            l’amore è bello

                            anche il capello

                            ricrescerà!”

(Entra in scena l’Attrice da destra, mentre si chiude il siparietto.)

ATTRICE:           La Vedette è una donna fragile, nonostante la sua aria di dominatrice. Abituata ad affascinare gli uomini delle platee e dei loggioni ha finito per non saper riconoscere le proprie debolezze.

(Esce di scena l’Attrice mentre entra l’Attore.)

ATTORE:   Si direbbe che ha conquistato il Comico per la sua bellezza aggressiva, per i suoi modi da regina della scena, e invece lui l’ha amata per il suo istinto materno, per il modo con cui s’è presa cura di lui, apprensiva, emotiva, preoccupata per il cibo velenoso delle trattorie, infelice per le sue raucedini, premurosa, col suo grande corpo sempre pronto a consolare più che a soddisfare.

(Si apre il Siparietto e si scopre una scaletta al centro su cui è la Vedette con un abito lungo, un grande copricapo luccicante; ai lati le ballerine vestite in frac con le calze a rete che fanno ala con i bastoni. Sul fondalino è un cielo di stelle traforate.)

ATTORE:  (Si inoltra nel palcoscenico. Si avvicina alla scaletta, guarda da sotto in su lei, la Vedette, che si atteggia provando diverse posizioni, stando sul posto.)

                   Insieme nella vita, insieme sulla scena. E di questo duplice stare insieme è lei che porta le tracce più evidenti nell’anima e nel corpo.

(Indica con uno dei bastoni preso a un ballerino.)

Questo è un corpo mai scoperto in scena, ma solo lasciato indovinare… se non per questi solenni decolleté celebrati davanti… (indica)… e ancora più di dietro… per questa immagine di “domina” domestica vestita da regina…Ecco qui sotto non c’è solo un corpo bello e generoso… ma questo corpo è la anima segreta, usa a dispiegare pigramente le sue forme… così… così… Stupendo!…

(Lei esegue)

                   … su gesti ripetuti e rinnovati, per quelle piccole pieghe e rughe nate nel tempo, scavate tutte da lui, il suo partner in scena e nella vita, a forza di carezze…

ATTRICE (Vedette):     Direi che c’è il trucco… da rifare…

ATTORE:  D’accordo… Come dicono le parole della canzone?

(Sui movimenti rallentati delle ballerine, lei recita.)

ATTRICE (Vedette): “ Lasciate che gli uomini

                            vengano a me

                            che sulle labbra mie

                            mietano un sorriso…

ATTORE:   Quell’aria da signora in déshabille, sorpresa in cucina… e il modo di parlare cantando e di cantare parlando… sono le armi vincenti… è questo che il pubblico ama… Ma da quanto tempo non mostra il corpo più di tanto…

ATTRICE (Vedette): “Ora il suo cuore è diventato pietra, lo batte e si ferisce la mano”. (Shakespeare. Otello. Atto IV°). Non parliamo di giovinezza perduta…

ATTORE:   Ah! La gelosia per la Soubrette… D’accordo… Lei che non sapeva in verità fare niente di preciso, ora in scena ha preso autorità. Insomma pare sia vero che il dolore è un gran maestro di recitazione. Non in teatro, non in teatro…

(La Vedette scende le scale accennando al motivo musicale con un filo di voce quasi ripassando la canzone dentro di sé. Le ballerine si muovono glaciali con lentezza infinitesimale.)

ATTICE (Vedette):      

(Scende regale, quasi parlando, come se avesse la mente altrove, quasi piangendo).

                            “Per un bel viso

                            darei il mio regno

                            vorrei un abbraccio

                            che lasci il segno.

                            Lasciate che gli uomini

                            vengano a me…”

(Mentre dice l’ultimo refrain le ballerine come per uno strano rituale, raccolgono le parti dei vestiti che la Vedette lentamente si toglie eseguendo una sinistra parvenza di spogliarello. Con un misto di ineluttabilità e di vergogna, scopre lentamente un’anima indifesa, senza la musica che solitamente veste il Numero. La trasognata serie di gesti meccanici continua fino agli ultimi indumenti che tiene stretti contro il corpo, semicoperta dalle ballerine che la circondano come vestali).

ATTRICE (Vedette):     (Quasi un singhiozzo le rompe la voce)

“… che sul mio cuore

che sul mio cuore… non mi ricordo più…

si puntino i cannoni…

……………………………………

che sul mio petto

ruggiscano i leoni…

(Piange sommessamente mentre si chiude il siparietto)

(Entra in scena il Fantasista in una scena rigorosamente vuota. Si aprono alle sue spalle diversi siparietti per allargare lo spazio scenico. Si volta a misurare con gli occhi lo spazio. Si va a porre al centro.)

FANTASISTA:   Eseguirò “L’addio”, ovvero Analisi vocale. (Raccoglimento)

(Appena nomina il punto A corre sulla sinistra e la indica.Quando nomina il punto B corre a destra e la indica. Per le battute usa i toni di voce da lui stesso definiti.)

Da A ovvero lei… a B ovvero lui, tese occhiate incrociate e rimandate, come afflizione e pena… Da B, lui, un suono sfrangiato, come uno starnuto o altro, che esce e rientra. Più volte. Tensione delle braccia, come a prolungare il contatto, da A verso B. B risponde, vicinissimo ad A. Distanza cm. 7,50. Tenue sussurro, segretissimo: “Mmm… Se… Osch… Sissi… Fu… St… Soggetto incomprensibile… Aumentando il distacco da B ad A, a cm. 25 ancora molto vicino. Sussurro intelligibile, molto confidenziale: “Tenere la mano qui… Lasciami tenere la mano qui per l’ultima volta…” Ancora più lontano con sforzo di B da A, punto neutro, ovvero di lui da lei, almeno cm. 90, voce lieve volume basso: “Non ti credevo così… Non così…” B, lui, più deciso a metri 1,50. Voce piena informazioni su questioni non personali: “Il mondo va in malora, cerchiamo di reagire!” Quasi perduto ormai B, lui, a 2 metri e 40. Distanza pubblica. Voce piena rumorosa, informazione pubblica: “Facciamo pena, tutti!”… E poi attraverso la stanza, fino a 5 metri, a voce alta, come parlando a un gruppo di persone, risentito: “ Una nazione civile dovrebbe tenere presente…” E ancora B, estendendo ancora la distanza da 8 metri a 100 e più, distanza da saluto, addio: “Devo andare, lasciami andare!” E poi che B pianga senza che nessuno se ne accorga. Non pianga dunque.

(Si inchina ed esce rapidamente di scena mentre si richiude il siparietto di proscenio. Musica da finalino.)

(Si apre il siparietto e appare un fondalino con dipinto un interno di cucina. Sul fondo una cucina con pentole in ebollizione. L’Attrice-Vedette si affaccenda attorno alle pentole vestita da massaia. Poi si ferma di colpo, come folgorata. Entra l’Attore come Comico e comincia a curiosare tra le pentole.)

ATTRICE (Vedette):     Che fai tocchi?

ATTORE (Comico):      Quando è pronta la pasta?

ATTRICE ( Vedette):    Mai.

ATTORE (Comico):      Perché?

ATTRICE (Vedette):     Perché m’è venuta in mente una cosa.

ATTORE (Comico):      In vent’anni di matrimonio non era mai successo.

ATTRICE (Vedette):     Ora è successo e la cosa è seria.

ATTORE (Comico):      Allora sentiamo, sono proprio curioso.

ATTRICE (Vedette):     Te la levo subito la curiosità… Sappi che ho fatto un calcolo che mi ha rivelato che sei un mostro capace di fare una schifezza che soltanto a pensarci mi si rivolta lo stomaco.

ATTORE (Comico):      Ma cosa ho fatto?

ATTRICE (Vedette):     Tu, proprio tu, mio marito, sei stato capace nei vent’anni passati insieme di fare una cosa così orribile, indegna di uomo civile.


ATTORE (Comico):      (Alza la voce) In nome di Dio, parla! Cosa ho fatto?

ATTRICE (Vedette):     (Alza la voce) Hai fatto una cosa da circo equestre, da fiera, da baraccone dei fenomeni viventi! Almeno tu ci avessi ricavato i soldi esibendoti nelle piazze, e invece no! Hai dovuto pagare per poter fare quella schifezza!

ATTORE (Comico):      (Quasi urlando) Ora devi parlare, maledizione!

ATTRICE (Vedette):     (Urlando) Tu, sei stato capace di tanto! Tu che hai dormito nel mio letto, che hai scambiato carezze intime con me! Oh Dio! Vomito…

ATTORE (Comico):      (Fuori di sé) Se non parli, t’ammazzo!

ATTRICE (Vedette):     (Si tira indietro spaventata, poi fuori di sé avanza di nuovo contro di lui, urlando) Un mostro disgustoso con cui ho diviso ogni giorno della mia vita, mettendo lo spazzolino nello stesso bicchiere, usando lo stesso asciugamani, con sui, in certi casi, ho bevuto nello steso bicchiere!

ATTORE (Comico):      (Urlando come un pazzo) Per la miseria, parla o ti strozzo!

(La insegue esasperato)

ATTRICE (Vedette):     (Urlando sempre più disperata) Segui il mio calcolo, carogna! Una porzione di spaghetti è fatta di 150 spaghetti, ogni spaghetto è lungo 25 centimetri il che significa che tra mattina e sera ogni giorno ti sei strafogato un spaghetto lungo 37 metri e 50 centimetri. Calcolando dodici piatti la settimana, perché te a parte due volte la settimana di voltastomaco per indigestione, li hai sempre voluti mattina e sera, ti sei ingoiato uno spaghetto di 4.500 metri, il che è già abbastanza disgustoso, ma questo vuol dire che in un anno ti sei fatto fuori uno spaghetto lungo 23.400 metri, il che è francamente schifoso! (Piangendo) Ma tutto questo significa che in venti anni io ti ho cucinato e tu hai ingurgitato uno spaghetto lungo 468.000 metri, cioè uno spaghetto di 468 chilometri, che è come dire da Roma a Modena o giù di lì! Se non è schifoso un essere capace di tanto, dimmi chi lo è!

(Sull’ultima parola si piantano gli occhi l’uno sull’altra, con grande tensione. Lunga pausa silenziosa. Non si sa chi staccherà lo sguardo prima. Fra i due scoccano pensieri come frecce invisibili. Si feriscono a vicenda, ma la pausa risulterà comica per gli altri.)

ATTORE (Comico): (Rompendo il silenzio, sibila) Preparami un piatto di maccheroni!

(Stacco musicale di chiusura)

(Si chiude il siparietto)

(Entra in scena il Fine Dicitore e Romanziere. Avanza al centro a siparietto chiuso, con la sua solita aria di sostenuta tensione. Ma questa volta è senza fiocco, è spettinato, come preoccupato.)

FINE DICITORE:         Rinnovo la raccomandazione di non disturbare la mia esibizione. Faccio quello che posso, mentre voi non sapete quello che potete fare. Voi credete che ci siano buone ragione di disperare? Di dire: basta. No. La vita non mi ha deluso. Di anno in anno la trovo invece più ricca, più invitante, più misteriosa. E’ stato da quel giorno in cui m’è venuto in mente quel pensiero liberatore e cioè che la vita potrebbe essere un esperimento per chi vuole conoscere, e non un dovere, non una fatalità, non una truffa. Per qualcuno la conoscenza può essere un divertimento, un ozio; ma per me essa è un mondo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno le loro arene per la danza e per la lotta. D’altra parte chi saprebbe ridere e vivere bene, senza intendersi prima di guerra e di vittoria? (Si inchina) Ho detto: “In medi vita” di Friedrich Nietzsche. Grazie.

(Esce di scena con estrema lentezza)

(Entra da sinistra l’Attrice. Si ferma sulla sinistra).

ATTRICE:           Il Numero degli Acrobati è una proposta mentale, una memoria teorica, un avvallo richiesto ai tempi tecnologici per una dimensione meno cattiva della realtà. Gli Acrobati ovvero l’inutile perfezione! Ultimo Numero del primo tempo.

(Si apre il siparietto e appare una scintillante macchina in movimento, fatta di ruote di biciclette, sellini, pedali, tutto saldato insieme, vestiti da ginnasti, pedalano su una articolata, luccicante macchina inutile. L’unica abilità che mostrano è quella di sorridere all’idiozia dell’insieme.)

(Entra da destra l’Attore e si ferma sulla destra.)

ATTORE:            E’ la festa livida dei tubi cromati, dei raggi d’acciaio inossidabile scintillanti sotto i riflettori. Acciaio speciale al nickel – cromo 18-8, resistente alla ruggine e alle sollecitazioni degli atleti. Qui la macchina tecnologica sembra avere la sua sintesi larvale.

ATTRICE:           Macchina inutile per una fatica invisibile. La leggerezza apparente della pedalata è un omaggio al lavoro a catena, una sublimazione del macchinario produttivo, la lucida asetticità di un ospedale per anime perdute.

(Dopo 20-30 secondi l’Attore invita l’applauso. Poi, al rullo del tamburo il Numero si complica: gli acrobati pedalano a mani alzate, con un sorriso più teso sulle labbra.)

ATTORE & ATTRICE:                   (Si inchinano)    E voilà!

(Cala rapidamente il sipario)

FINE DEL PRIMO TEMPO

SECONDO TEMPO

(Si apre il sipario al ritmo di un motivetto allegramente serrato. In scena un fondalino con disegnata una gradinata di stadio. Le ballerine vestite da calciatori eseguono un balletto allusivo. Un ballerino vestito da arbitro si affanna a bloccare le violente azioni mimate dalle ballerine – calciatori, fischiando. Colonna sonora di urla di folla sportiva. Dopo la breve azione coreografica entra da destra il Fantasista e da sinistra l’Attrice come Vedette. Sono conciati da supertifosi che stanno andando allo stadio, avvolti in bandierone, vestiti dai colori sociali, copricapi, ecc.)

FANTASISTA:             La partita è già cominciata e tu non vuoi fare la pace! Come posso andare allo stadio da solo, senza la mia compagna di passione?

ATTRICE (Vedette):     Come? Rinunci alla partita?

FANTASISTA: Eravamo un cuore solo per la nostra squadra, come mi puoi lasciare?

ATTRICE (Vedette):     Quando è che abbiamo sbagliato?

FANTASISTA:             Forse alla III^ giornata dello scorso campionato, dopo che abbiamo perso 4 a 0. Eri intrattabile.

ATTRICE (Vedette):     Io invece dico che è stato dopo quella volta, alla XII^ giornata, quando abbiamo perso per quel rigore ingiusto, tu non sei più stato lo stesso.

FANTASISTA:             Ma anche tu mi dicesti: Menagramo! E’ tremendo rinunciare ad andare insieme alla partita per colpa del nostro amore finito!

ATTRICE (Vedette):     (Canta)

                            “Amore mio, come quei cretini

                            che perdono l’ultima partita

                            con una rete in zona Cesarini

                            ho perso te e pure la mia vita”.

FANTASISTA:             (Canta)

                            “ Tu m’hai dribblato filando a tutto gas

                            come un fesso lasciandomi in surplace

                            e la tua rete me la sono presa

                            perché son tanto debole in difesa”.

ATTRICE (Vedette):     (Canta)

                            “ Io m’ero accorta che non c’era scampo

                            il tuo amore stagnava a metà campo

                            se cercavo un rilancio, tu per poco

                            mi mettevi ogni volta in fuorigioco”.                           

FANTASISTA:             (Canta)

                            “Quell’arbitro venduto del tuo cuore

                            non m’ha voluto concedere il rigore

                            ma il fallo c’era, e pure intenzionale

                            per questo che ho sentito tale male!”.

ATTRICE (Vedette):     (Canta)

                            “ Amore mio, lo sai che il risultato

                            secondo ma nemmeno ha rispettato

                            l’andamento di tutta la partita

                            che come sai sarebbe la mia vita”.

FANTASISTA:             (Canta)

                            “ Credevo rimanessi quella stessa

                            che giocava tranquilla di rimessa

                            ma se avessi previsto la tua finta

                            avrei giocato certo con più grinta”.

                            “ E’ di sicuro t’avrei messo in cuore…”

(Insieme)              “… Il tiro fulminante del mio amore!”

(Si abbracciano con reciproco trasporto.)

ATTRICE (Vedette):     Allo stadio, insieme!

(Le ballerine chiudono il Numero con un breve stacco  coreografico.)

(Entra in scena l’Attore come Comico, vestito da Arbitro cornuto, con le brache nere sotto il ginocchio, la giacchetta nera e le corna in testa, enormi da bue. Estrae il fischietto e fischia come un pazzo all’indirizzo dei due.)

ATTORE (Comico):      (Dividendoli con una certa violenza) Fallo di mano! Ora capisco perché tutti mi gridano “Arbitro cornuto!” Te ne approfitti perché sto fuori la domenica! Ma io ho sospeso la partita per impraticabilità della testa. Infatti non posso più mettermi il cappello!

ATTRICE (Vedette):     Ma in compenso puoi fare la corrida! Hai visto mai che ti matano e non se ne parla più!

(Esce di scena furiosa, seguita dall’Attore (comico) e dal Fantasista.)

(Sul siparietto chiuso alle spalle entra il Brillante come Ginnasta.)

IL BRILLANTE GINNASTA:                  (Parla stando immobile. Muove appena la bocca. Cresce a mano a mano il tremito di tutto il corpo come per uno sforzo. Tiene i pugni stretti, è concentrato e teso come una corda. Il suo fisico esile fa pendere il costume a righe sulle ossa.)

Come Ginnasta ho all’interno della mia forza dilatata un modo di concentrare lo sforzo in un attimo facile… sorridente… senza alcuna asprezza apparente. Lo scaricatore di porto esegue, nella bruttura faticosa della vita questo gesto di “sollevare”, decine e decine di volte al giorno, mentre io, il ginnasta, ho ripulito il gesto, lo ho concentrato, lucidato, infiocchettato e messo in scena astratto, artificiale, inesistente in natura, per sublimare l’umana condizione del lavoro pesante.

(Smette il tremito.)

ATTORE:   Ma questa sera l’esercizio, normalmente purificato da ogni spiritualità, perché sottratto al tempo, è stato caricato di una drammatica e nuova dimensione spirituale. Per mostrarsi meritevole d’amore offre segretamente alla Soubrette, un aumento di peso dell’attrezzo di 10 chili e 500. Non si sa se il suo fisico deficitario riuscirà a sopportare questo omaggio.

(Rullo del tamburo. Il Ginnasta è immobile, non trema più. E’ spuntato sul suo viso un mezzo sorriso. Per tutto il tempo del lungo rullo di tamburo non cambia espressione ne posizione. Il rullo finisce con un gran colpo di piatti. Il Ginnasta si inchina. Il peso non è stato toccato.)

ATTORE:            Il suo fisico deficitario non è riuscito a sopportare questo omaggio.

(Si chiude il siparietto. L’Attore esce di scena.)

(Entra in scena il Fine Dicitore nella duplice veste di dicitore e di cantante di romanze. Entra sudato, con il frac completamente in disordine come se fosse stato sorpreso in ritardo dalla sua andata in scena. Si affretta, leggermente scomposto rispetto alle prime uscite.)

FINE DICITORE:         (Come se qualcosa lo avesse personalmente colpito e turbato. Guarda in quinta. Poi davanti. Recita con un certo risentimento allarmato.)

                   Sono gentile e violento, capace di grandi sentimenti e di enormi infelicità, nonostante le corde limitate del mio cuore. Solenne e impudico, docile, cattivo, sono dotato di un’anima immensa per le mie piccole emozioni. Vi dirò un frammento di prosa.

(Si concentra. Si rasserena.)

                   “Che il mio unico amore abbia messo le basi per confidenze e tradimenti intenzionali è una gran pena che io lascio svolazzare e fluttuare, voglio che si distenda libera e leggera sul mio grande orizzonte, che vada cogliendo fiori, che si slanci fra le malvarose, fra i getti d’acqua delle fontane e le colonne delle piazze, che segua galoppando i dragoni che lasciano la caserma d’Orsay, che vada alla deriva lungo la Senna e plani con le rondini nel cielo pallido. E’ il quinto giorno o la quinta ora, non lo so più, che quei modi gentili m’hanno gettato nella disperazione”.

(S’inchina) Parafrasi da Marcel Proust.

(Entra in scena l’Attore mentre sta per chiudersi il siparietto. Il Fine Dicitore non si allontana.)

ATTORE:            (Guardando sorpreso)   E’ il momento…

FINE DICITORE:         No, aspetta… Vista la situazione personale… vorrei avere la possibilità di…

ATTORE:            D’accordo (Si ritira).

FINE DICITORE:                  Vi canterò la mia romanza tragica “La fine”.

                            (Canta)

                            “Non vale nemmeno fingere la fine

                            per dare un fondamento alle rovine.

                            Il tempo rallenta

                            la sua corsa distratta

                            quando un’anima matta

                            si sta per convertire.

                            Ogni forma esatta

                            Non so cosa vuol dire”.

(Si inchina rapidamente ed esce con passo un po’ incerto.)

(L’Attore come Comico e l’Attrice come Vedette entrano dalla parti opposte del proscenio, a siparietto chiuso.)

ATTORE (Comico):      Ah, giusto te! Cara, ti devo raccontare una cosa inconcepibile, incredibile, assolutamente cretina! Stanotte ho sognato che t’ammazzavo con un colpo di ferro da stiro in fronte! Ah! Ah! Ah! Pensa che idea peregrina! Il sogno era così pieno di particolari precisi, addirittura di risvolti psicologici che mi sembrava d’essere al cinema a vedere una di quelle fregnacce dell’orrore che buttano fuori d’estate nei cinema di terza visione! Una schifezza di situazioni! Tu ti sei beccata il colpo, Ah! Ah! Ah! E poi m’hai guardato barcollando Ah! Ah! Ah! Con quel buco in fronte, che dico buco… la fronte sfondata Ah! Ah! Mi guardavi senza parlare, ma con gli occhi sbarrati e mi dicevi: “Aho! Che t’è preso? Col ferro mio!” (Ride sgangheratamente) Hai capito?! “ Col ferro mio”, così hai detto! Pensa che cretinata sublime. Quest’istinto di proprietà! Rivendicare l’oggetto Ah! Ah! Ah!… Volevi dire che se c’era qualcuno che doveva adoperare il ferro da stiro casalingo eri tu, Ah! Ah! Ah! Sulla mia fronte! Ah! Ah! Ah! Ohioi… muoio … Perché non ci hai pensato prima tu… t’ho detto io! Ah! Ah! Ah! Prima che ti sognassi! Ah! Ah! Ah!

ATTRICE (Vedette):     (Che l’ha ascoltato senza batter ciglio)

Era un sogno premonitore, imbecille! (Estrae da dietro la schiena dove la nascondeva, un ferro da stiro e glielo sbatte sulla fronte. Con un gran colpo in contemporanea della batteria l’Attore (Comico) esce di scena barcollando. Rimane al centro della scena da sola.)

ATTRICE (Vedette):     Gli uomini li preferisco parzialmente scremati, non amo l’esuberanza, vagheggio la sottomissione, da parte loro s’intende, io voglio dominare comunque e in ogni circostanza. E’ compito della donna prevaricare e rendere dipendente il proprio uomo. Per farlo felice. Anche in paradiso, nel giardino dell’Eden si poteva essere infelici. Adamo lo era, certamente. Sennò il Padreterno non sarebbe stato costretto a correggere l’errore creandogli Eva. Così, da allora, gli infelici sono diventati due.

(Esce di scena mentre si apre il siparietto e l’orchestrina attacca la musica astrattizzata e deforme sul tema paradisiaco de “ Le foglie di fico”.)

(Si apre il siparietto e appare il paradiso terrestre, ovvero un fondalino dipinto con alberi e fiori. Altri alberelli in sagome di cartone sono in scena. Un ballerino vestito da serpente è dietro un carrettino con cassette di mele. Le ballerine entrano in scena vestite da foglie di fico. Breve azione coreografica col serpente che imbonisce le mele e le foglie di fico che danzano offrendosi come vestiti. Cantano “Le foglie di fico”.)

BALLERINE:      (Coro)

                            “Noi siamo le foglie di fico

                            l’abito più antico

                            di gran praticità”.

BALLERINA1:    (Canta)

                            “Se mi vedete nera

                            io son foglia da sera

                            di gran classicità”.

BALLERINA2:    (Canta)

                            “Se bianco ci ho l’orletto

                            io son foglia da letto

                            di grande voluttà”.

BALLERINE:      (Coro)

                            “Perché nessun s’offenda

                            siam foglie da pudenda

                            l’origine nefanda

                            della vostra mutanda!”.

BALLERINA3:    (Canta)

                            “Se la foglia è giallina

son moda settembrina

di grande qualità”.

BALLERINE:      (Coro)

                            “Noi siamo un abito conciso

                            in stile paradiso

è il fico che ci fa

modelli di beltà!”.

(Entra in scena l’Attore come Comico, nelle vesti di Adamo, in calzamaglia rosa, con foglie di fico, spettinato, seccato. Le ballerine si mettono in posa come vestiti in vetrina.)

(Alle spalle, dopo poche battute, appare Eva cioè l’Attrice come Vedette, in calzamaglia rosa, foglia di fico, e capelli fino ai piedi.)

(L’orchestrina attacca un basso continuo.)

ATTORE (Comico):      (Appoggia la voce sul fondo musicale)

                            “Io stavo in Paradiso

beato e in santa pace

quando che all’improvviso

m’han preso dal torace

un osso per rifare

la copia malvenuta

dell’uomo regolare

la femmina perduta

dal corpo singolare

che senza porre indugi

s’è messa a trafficare

con mille sotterfugi

per farmi fornicare”.

ATTRICE (Eva):           (Con aria di sfida, intenzionale)

                            “Io manco ci ho creduto

che quella costoletta

serviva per l’aiuto

all’uomo senza tetta.

E’ meglio il corpo mio

più pieno di promesse

il dietro che ci ho io

le tette che m’ha messe,

e quello che ci ho sotto

la foglia mia di fico.

Del corpo mio sei cotto

pur senza l’ombelico!”.

ATTRICE(Vedette):      (Guardando le foglie di fico)

Ah! Che meraviglia, fammi scegliere una foglia da sera che ne ho bisogno!

(Passa in mezzo alle ballerine-foglie, le tocca, le muove, le scarta. Poi vede le mele sul carretto e il ballerino serpente che mima la qualità e invita all’acquisto.)

ATTRICE (Vedette):     Ah! Che belle mele!

ATTORE (Comico):      Lasciale stare, costano un’ira di Dio!

ATTRICE (Vedette):     Ma no, me le dà gratis! (Se ne lascia regalare una. Da un morso e la lancia a lui che la prende.) E’ un po’ acerba!

ATTORE (Comico):      (La morde e la butta via sputacchiandola)  Pure!

BALLERINE- VEDETTE- COMICO:      (Coro)

                            “Essere tanto soli

                            nel mondo abbandonati

speriamo ci consoli

perché ci siamo amati!”

(Le ballerine Foglie – di – fico escono di scena.)

ATTRICE VEDETTE-ATTORE COMICO:      (Urlando a squarciagola)

                            “Un bene condiviso

val bene un paradiso!”

(Con crescente sguaiata ferocia, i due si urlano in faccia.)

“Un bene condiviso

val bene un paradiso!”

ATTORE (Comico):      (Cercando di urlare più forte)

                            “Un bene condiviso

val bene un paradiso!”

ATTRICE (Vedette):     (Scuotendo l’immensa capigliatura, prende forza, poi le mani sui fianchi, urla con quanto fiato ha in gola.)

                            “Un bene condiviso

val bene un paradiso!”

ATTORE (Comico):      (Semidistrutto, cerca di urlare ancora più forte, ma gli esce un rantolo.)

                            “Un bene…. (Sviene)

ATTRICE (Vedette):     (Trionfante, con voce suadente e dolce.)

                            “Un bene condiviso

val bene un paradiso!”

(Le ballerine –foglie di fico si sdraiano come foglie morte. Lei si inchina. Si chiude il siparietto.)

(Si apre il siparietto su un fondalino con sopra dipinto un alveare con le cellette esagonali gialle. Luce dorata. Le ballerine vestite da api, fanno corona all’ape regina che amoreggia con il ballerino-fuco. Dopo di che, a turno, tutti lo prendono a calci e alla fine lo ammazzano. Musichetta ronzante fatta con rasoi elettrici accesi e branditi dagli orchestrali davanti ai loro microfoni. Il Maestro di pianoforte li dirige in piedi facendo accendere e spegnere i più bassi o i più alti a seconda dello spartito. Sul finale di questo balletto intitolato “La luna di miele” il siparietto si richiude.)

(Entra in scena il Fantasista come Trasformista. Si pone al centro mentre si apre il siparietto su una serie di pavimenti.)

FANTASISTA(Trasformista):         Io sono il Trasformista, ho 70 facce in repertorio, mi cambio in 6 secondi e anche meno da marittimo cinese in bandito calabrese, passo da un tipo all’altro con grande precisione, non mi stanco di crearmi facce nuove ogni giorno, mi dovete credere sulla parola perché più di così si muore.

(Si volta, gira dietro un pavimento, esce dall’altra parte, disinvolto, sorridente, abile, ma sempre vestito uguale.)

Io vado dallo Zuavo del ‘914 alla geisha giapponese, dal fantino da gran premio al barile di birra. Io non mi fermo davanti a nulla sono Garibaldi o Vittorio Emanuele II per me fa lo stesso, io entro nero e me n’esco bianco, basta che la situazione comica lo richieda, anche se più che far ridere io desto meraviglia. Si penserà che ho la vocazione al trasformismo, all’arte di essere o non essere, e invece niente, lo faccio per stare a galla, per campare insomma, e non me ne vergogno, anzi me ne vanto. Ho un vestito per ogni occasione, nessuno può cogliermi nudo, io non mi scopro, io in questo paese ho fatto la mia fortuna artistica, mi hanno imitato tutti, ma nessuno può essere paragonato a me. Sono il modello, ma è il tempo e la storia che mi hanno forgiato, sono prodotto e riproduttore, grande esempio per epigoni di massa. A questo punto di solito mi si applaude. Cosa devo fare e dire di più? Ho capito vado dentro con la mia confessione e pensate al mio problema… Vale la pena andare oltre all’enunciato?

(Declama)

                   “Avere un nome che magari è il mio

ma non sapere a cosa corrisponda

avere un corpo e non avere un viso

nascondere la faccia più profonda

per essere nessuno di preciso

e non sapere chi recita la parte

quando davvero scopro le mie carte”.

(Entra ed esce da dietro i paraventi con sorrisi e inchini, senza cambiare vestito. Poi si ferma e declama.)

                   “Mi cerco nello specchio e non mi trovo

mi guardo e non conosco chi mi guarda

non ritrovo nemmeno le mie tracce

e certe volte davvero mi domando

se c’è una faccia sotto le mie facce”.

(Fa un inchino ed arretra fino alla chiusura del siparietto.)

(Si apre il siparietto e si vedono al centro un letto apparecchiato come una tavola, con le due sedie ai lati. E’ la scena per il duetto comico “L’ingordo e il tortellino”.)

(Entrano dalle parti opposte l’Attore come Comico e la Soubrette. Lui è in giacca a quadrettoni, pancia finta, bombetta verde, o altro, con un enorme tovagliolo al collo, e una gran forchetta e un coltello stretti nelle mani. Si lecca le labbra, mugola di piacere goloso. Lei è in gonna cortissima, calze a rete, scollo pronunciato, insomma è, nell’insieme, un tortellino con capellino e veletta, quello che si dice un “bocconcino”.)

(Mimano il grande appuntamento, il corteggiamento definitivo e irreversibile dell’Ingordo che ha catturato una preda.)

(Una musichetta violenta, con le parole dette velocemente, in un crescendo allarmante e sempre più partecipato. Lui parte con l’aria atticciata e controllata della Macchietta comica.)

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “Un’ora insieme

tutta per noi

nessuno conta

contiamo noi”.

SOUBRETTE:              (Canta)

                            “Lasciamo stare

il prima o poi

l’amore canta

cantiamo noi”.

ATTORE (Comico):      (Canta)

                            “Cambiamo tutto

                            forza! Proviamo

                            a stare insieme

                            ci guadagniamo”.

(Lui si avvicina sempre di più a lei, brandisce le posate, si lecca le labbra con spaventose linguate.)

ATTORE (Comico):      Io ti vedo!

SOUBRETTE.     Tu mi vedi!

ATTORE (Comico):      Io ti chiedo!

SOUBRETTE:     Tu mi chiedi!

(Crescendo delirante)

ATTORE (Comico):      Io ti chiamo!

SOUBRETTE:     Tu mi chiami!

ATTORE (Comico):      Io ti amo!

SOUBRETTE:     Tu mi ami!

(Lui incalza con le posate puntate.)

 

ATTORE (Comico):      Io ti cerco!

SOUBRETTE:     Io ti trovo!

ATTORE (Comico):      Io ti prendo!

SOUBRETTE:     Non mi muovo!

(Lui la spinge verso la tavola digrignando i denti, schioccando la lingua rumorosamente.)

ATTORE (Comico):      “Un ora insieme

                                      cotti alla diavola

                                      lasciati fare

                                      ti servo in tavola!”.

(La rovescia quasi sul letto-tavola)

SOUBRETTE:     Tu mi vuoi.

ATTORE (Comico):      Io ti voglio.

SOUBRETTE:     Tu mi tocchi.

ATTORE (Comico):      Io ti spoglio.

SOUBRETTE:     Tu mi stringi.

ATTORE (Comico):      Io ti bacio.

SOUBRETTE:     Io ti piaccio.

ATTORE (Comico):      Tu mi piaci.

(I due personaggi di scena perdono i connotati, si sfaldano come personaggi, lui perde i lineamenti della macchietta, la sua diventa una foga disperata, lei mostra di essere travolta e spaventata, lusingata, ma incerta, riconoscente e infelice.)

SOUBRETTE:     “La gola secca

                            gli occhi socchiusi

                            i nostri cuori

                            si sono fusi”.

SOUBRETTE e ATTORE (Comico):       

                            “Fondono insieme

                            i due motori

                            surriscaldati

                            dei nostri cuori!”.

(Lui la solleva e la posa in mezzo alla tavola-letto. Brandisce le posate e le punta sul petto di lei.)

ATTORE (Comico): “La voglia infuria

                            il tempo manca

                            sul cuore sventola

                            bandiera bianca!”.

(Affonda il coltello e la forchetta nel petto di lei e urlando come per un mortale orgasmo, mentre si chiude rapidamente il siparietto.)

(L’Attrice entra in scena a siparietto chiuso.)

ATTRICE:           E’ così che questa sera i grandi Numeri del Comico diventano ridicoli messaggi vitali…frutto della vecchia teoria che l’amore non è altro che una cieca, irresponsabile violenza a chi non è della partita. Quel modo di guardarsi… di possedersi per la strada… di biascicare preghiere insulse… di stralunare gli occhi, alzandoli al cielo per cercare l’inferno… (Esce di scena.)

(Si apre il siparietto e appaiono le ballerine disposte in modo strano, astratto come per un Numero di fantasiosa complessità. In mezzo a loro la Soubrette, il Fantasista, il Brillante, l’altro ballerino. Un rialzo praticabile con una sedia impagliata vuota. Sono vestiti da scena con i soliti lustrini, le calze a rete, ecc.)

(Entra l’Attore e s’inoltra nella scena.)

ATTORE:            Ma per lei, la Soubrette, lui s’impegna alla morte o per meglio dire alla vita… (atteggia un braccio alla Soubrette) così…così… Un miele amoroso si scioglie alle luci spietate della ribalta… così… questo braccio più indietro, sta a significare: “Comprensione”… lo sguardo più intenso… sperare di più… nella possibilità che le cose siano e non appaiono… mentre…

(Entra l’Attrice ambiguamente come Vedette e va a sedersi sulla sedia come su un trono.)

ATTORE:            … Mentre si incrociano i ferri della gelosia… (indica la Vedette) … della paura… (indica la Soubrette)… della disperazione (guarda il quadro generale) così… Adesso la Vedette si alzerà… verrà avanti. Attraccherà la sua canzone minacciosa?… Guardalo… guardalo fisso… affonda dentro di lui… è lì per far ridere… fagli vedere con che tempi gli porgi le battute… è importante…

(L’Attrice (Vedette) si alza dalla sedia e lascia il posto all’Attore come Comico che va a sedersi.)

ATTRICE:           (Va’ verso la Soubrette) E tu… vieni qui… in mezzo… prendi la luce… dividi questi due mondi ingrati, mostra come un’anima semplice può implicare catastrofi e sogni infiniti… Ecco, tieni la testa indietro, guarda verso il pubblico, ma come se non ci fosse… così… leggi lontano… su una linea immaginaria chiamata orizzonte… non farti schiacciare… sei tu l’avvenire, loro una vecchia vita incallita, cuori ridotti a cimiteri, chiusi bella trappola a cantare per farsi compagnia…

(Prende l’atteggiamento della Vedette, va verso l’Attore Comico e gli sussurra sul motivo che il pianoforte accenna appena.)

ATTRICE (Vedette):     (Quasi parlato)

                            “Andante, ma non troppo

è la mia vita

me la guardo andare fra le dita.

Ma non accetti, amore, il gran confronto

com’è lontano da te

il mio tramonto…”

ATTORE:   (Alla Soubrette) Basta! Tocca a te! Il Numero, più avanti, verso il proscenio, vai sicura… Parti.

SOUBRETTE:              Vado? Non sento l’orchestra… il tempo…

ATTORE:            Maestro, più forte per favore i bassi…

(Musica soffocata, come attutita da una sordina imprevedibile.)

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “Era fatto di carta il nostro amore

un fondale dipinto dentro il cuore

parole suggerite da un copione

scelte fra quelle nemmeno tanto buone

promesse nate fra luci artificiali

travestimenti da eterni carnevali…”

(Quasi parlato)

…“Travestimenti da eterni carnevali”…

Io non ho una terza persona singolare dietro cui difendermi e allontanarmi da me… Io non sono disinteressata, non sono l’amica del cuore di nessuno, io non mi perdo per un “Lascia andare, tesoro” o per un “Ne parliamo lunedì” piantati fra il letto e il comodino di un albergo di paese. Io non voglio crescere, ne salutare nessuno… Datemi la forza per farlo, non mi togliete le scarpe di sotto, non l’ho mai detto a nessuno, ma io sono una tigre, io posso attaccarmi alla gola con i denti e stringere, stringere, stringere senza mollare mai! (Grida quasi con tensione disperata. In crescendo) Le mie guance hanno solchi ai lati della bocca per far scorrere il sangue altrui fuori della mia gola, perché il nemico non mi soffochi morendo!

ATTORE:            Un po’ meno d’enfasi, l’effetto è migliore… Chiudi la canzone…

                           

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “Io ti rinnego…”

Scusate… (Si ferma) Vorrei che tutti uscissero di scena.

(Il maestro riprende mentre tutti escono di scena.)

SOUBRETTE:     (Canta)

                            “Io ti rinnego amore da ospedale

canzone morta sulle labbra vive

devo imparare un nuovo abbecedario

uscire dal mio sonno millenario”.

(Si chiude il Siparietto)

(Escono da sinistra e da destra l’Attore come Comico e il Fantasista come Spalla. Si fermano al centro a siparietto chiuso per lo sketch: “Nel bene e nel male”.)

FANTASISTA (Spalla):                  Ciao, come stai?

ATTORE (Comico):      Bene.

FANTASISTA (Spalla):                  Io sono preoccupato.

ATTORE (Comico):      Male.

FANTASISTA (Spalla):                  Devo vendere la mia macchina.

ATTORE (Comico):      Bene.

FANTASISTA (Spalla):                  Ma ci prenderò poco. E’ un vero cesso.

ATTORE (Comico):      Male.

FANTASISTA (Spalla):                  Tirerò indietro il contachilometri.

ATTORE (Comico):      Bene.

FANTASISTA (Spalla):                  Un fesso a cui mollarla ce l’ho già in mente.

ATTORE (Comico):      (Si sente osservato, si volta per guardare se c’è qualcuno alle spalle.)         Bene.

FANTASISTA (Spalla):                  (Accorgendosi che non dice altro che bene o male.)

                   Io credo che tu sia scemo.

ATTORE (Comico):      Male.

FANTASISTA (Spalla):                  E come ti senti?

ATTORE (Comico):      Bene.

FANTASISTA (Spalla):                  (Gli allenta un ceffone) E ora?

ATTORE (Comico):      Male.

FANTASISTA (Spalla):                  Bene!

(La scena aumenta di toni e di violenza sproporzionata.)

FANTASISTA (Spalla):                  Ogni mattina in questa città su ogni 100.000 imbecilli si alza un furbo. Io sono uno di questi.

ATTORE (Comico):      (Urlando) Me la sentivo stamattina di non alzarmi!

FANTASISTA (Spalla):                  Tu non c’entri sei un amico! Scemo, ma un amico! Ma ecco che arriva l’imbecille che aspettavo.

(Entra in scena il Brillante.)

FANTASISTA (Spalla):                  Carissimo, ho una macchina stupenda.

BRILLANTE:      Bene!

FANTASISTA (Spalla):                  A soldi come stai?

BRILLANTE:      Male!

FANTASISTA (Spalla):                  Volevo vendertela è un affare pazzesco!

BRILLANTE:      Bene!

ATTORE (Comico):      (Allenta un ceffone al Fantasista Spalla.)

FANTASISTA (Spalla):                  Ahi!

BRILLANTE:      E come sta di carrozzeria?

FANTASISTA (Spalla):                  Bene!

ATTORE (Comico):      (Altro schiaffone al Fantasista Spalla)

FANTASISTA (Spalla):                  (Gli rende lo schiaffo) Bene!

BRILLANTE:      E di motore?

FANTASISTA (Spalla):                  (Urlando esasperato) Bene!

ATTORE (Comico):      (Urlando e schiaffeggiandolo) Male!

FANTASISTA (Spalla):                  (Urlando in modo inumano) Gli ho rifatto il motore sei volte!

BRILLANTE:      (Urla) Bene!

ATTORE (Comico)       (Urla) Male!

BRILLANTE:      (Urla) Ma di che anno è?

FANTASISTA (Spalla):                  (Urla) E’ del ’75, come nuova!

BRILLANTE:      (Urla) Bene! Ti do 20.000 lire!

ATTORE (Comico):      Male! (Dà uno schiaffo al Brillante)

FANTASISTA (Spalla):                  Bene! (Schiaffo al Comico)

BRILLANTE:      (Urla) Male! (Schiaffo al Fantasista)

ATTORE (Comico):      (Dà uno schiaffo al Brillante) Bene! Cos’hai sentito?

BRILLANTE:      Male! (Urla) La compro!

FANTASISTA (Spalla):                  (Urlando come un pazzo) Bene!

ATTORE (Comico):      (Schiaffeggiando tutti e due) Male! Male! Male!

(Musica del finalino. Si chiude il siparietto.)

(Entra in scena il Fine Dicitore, affannato, con la cravattina in disordine, lo sparato messo fuori dalla giacca del frac, spettinato, con l’aria sconvolta. Inciampa due volte prima di raggiungere il centro del proscenio.)

FINE DICITORE:         (Cerca di concentrarsi) Vi canterò la romanza: “Anche il topo”. (Si concentra. Canta)

                   “Anche il topo scoperto  in biblioteca

                   piange la rovina del suo nido

                   e cerca fra i rifiuti della storia

                   se ancora c’è una pagina

                   da rodere in memoria.

                   In questa trappola sciocca

                   che chiamano la vita

                   una scintilla scocca

                   e subito è svanita.”

                   (Si inchina)     Grazie.

(Esce di scena in modo scomposto, da uomo disperato.)

(Entra in scena da sinistra l’Attrice mentre si apre il siparietto e appare la scena del primo quadro, atmosfera vagamente esotica, il balletto disposto per il Quadro “Addio care terre tropicali”. Al centro, col gonnellino di paglia è la Soubrette immobile. Alle sue spalle, vicino, il Brillante in veste di ballerino)

ATTRICE:  (Alla Soubrette) Ecco… Così… Aria perduta… Una lacrima enorme esce da un occhio tracciando la classica riga nera col trucco che si scioglie…

SOUBRETTE:     (Col dito striscia di nero la guancia)

(Entra da destra l’Attore)

ATTORE:  (All’Attrice) No, aspetta, cos’hai in mente…

ATTRICE:  (Alla Soubrette) Non dimenticare le occhiate disperate, che cercano aiuto…Verso di lui… (Indica il Brillante) E’ giovane, ti piace… Potreste avere una storia insieme…

ATTORE:  Così è peggio…

ATTRICE:  Anche tu, (Al Brillante) guardala con aria protettiva… La ragazza è spaventata per l’eccesso di violenza imbecille…

ATTORE:  Ho capito cosa vuoi che faccia…

ATTRICE: Farà quello che ragionevolmente si sentirà di fare…

ATTORE:  Non è in condizione di essere ragionevole…

ATTRICE:  Cosa c’è di ragionevole? Niente di niente. Eppure tutto è assolutamente accettabile.

ATTORE:  Guarda che non sono d’accordo…

ATTRICE:  La vita è piena di cose bellissime, ma nonostante questo è povera, poverissima di momenti illuminati che lasciano vedere quelle cose. Questa è la magia della vita. C’è su di lei un velo di grandi possibilità, pieno di promesse, pudori, ritrosie, irrisioni, pietà, seduzione. La vita è come una donna. La vita è donna! (Colpo di grancassa) Guarda… Siamo sotto finale!…

(A ritmo vagamente tropicale filtrato da una funerea allegria il Balletto si mette improvvisamente in movimento. Scattano le lunghe gambe, si strizzano gli occhi, si aprono i sorrisi, un ancheggiare aggressivo porta i bacini provocanti fino al proscenio. In mezzo a loro si muove appena dondolando la Soubrette che con la sua lacrima nera attacca la canzone “Addio, care terre tropicali”.)

SOUBRETTE:     (Canta quasi parlando)

                            “Addio, care terre tropicali

         CORO        dove regnano dolcissimi animali

                            nella sera immobile e malata

                            vista su una pagina stampata.

         SOLO         Addio spiagge lisciate eternamente

                            da una lingua docile di mare

         CORO        al ritmo che si sente

                            vien voglia di cantare”.

(Azione coreografica di malinconica volgarità. L’Attrice è ancora al lato del proscenio che guarda.)

(L’Attore esce di scena.)

SOUBRETTE:     (Canta mormorando)

                            “Nel bungalow nascosto

                            c’era un “I love you”

                            io ci verrò in agosto

                            quando ci sei anche tu”.

(Coretto della Ballerine. Sguardi fra la Soubrette e il Brillante che come ballerino danza attorno a lei.)

SOUBRETTE:     “Fra un cocco e un ananasso

                            io sto perdendo il passo

                            si schiacciano le noci

                            con quei rumori atroci”.

(La Soubrette si guarda da una parte e dall’altra rapidamente. Poi decisa, esce di corsa dalla scena.)

(Le ballerine si muovono appena su un ritmo quasi impercettibile, un suono soffocato dei piatti. Improvviso rullo della batteria, come per un numero pericoloso. Entra in scena il Fine Dicitore. E’ sconvolto, con la camicia del frac mezza fuori dai calzoni, senza fiocchetto, senza sparato, spettinato, esagitato all’ultimo stadio della perdita di ogni nobiltà formale.)

FINE DICITORE:         Signori, è come se ci fosse una condanna terribile nel dover ripetere, replicare sera per sera la stessa piccola tragedia invisibile… (Ai personaggi di scena che si sono fermati) Se un demone furtivo, in un momento di solitudine vi dicesse: “Vuoi ripetere la vita così come è stata con gioia e dolori, risate e pianti, con ogni pensiero e ogni sospiro vuoi che ritornino per te tutte le infinitamente piccole e grandi cose della tua vita, e tutte nella stessa sequenza e successione, con queste stesse scene e sipari e musiche, e così pure questo attimo, e io e te, come se l’eterna clessidra del tempo venisse ogni volta capovolta e tu con essa”… (A una ballerina)

Cosa gli diresti?

BALLERINA 1:   Maledirei il demonio che mi dicesse questo. Le repliche sono un condanna!

FINE DICITORE:         E tu?

BALLERINA 2:   Sarei inorridita, chiederei pietà…

FINE DICITORE:         E tu?

BALLERINA 3:   Non lo so… Ma ne avrei paura… No… Non lo vorrei mai!

FINE DICITORE:         (Al Brillante, ballerino) E tu, tu cosa dici?

BRILLANTE (Ballerino):       (Come trasognato, angelico con una luce verde sul viso, parla con una felicità interiore di grande e poetica intensità.)

                   Vorrei un attimo di luce immensa per capire e dire: “No, non è un demone che ha parlato, perché mai cosa più divina mi fu proposta!”

FINE DICITORE:         (Inchinandosi) Era una mia ardita parafrasi da Friedrich Nietzsche. Grazie.

(Esce improvviso dalle quinte l’Attore Comico, mezzo svestito, con solo la camicia del costume che stava cambiando, in mutande con i capelli scompigliati e il trucco sbavato e grottesco. La fila della ballerine si scompone, si apre, lo lascia arrivare in proscenio.)

ATTORE (Comico):      (Urla con gli occhi fuori dalle orbite sconvolto, eccessivo e volutamente melodrammatico fino al ridicolo)

                   C’è un medico in sala?!

(Il Brillante in veste di Ballerino esce di corsa dalla scena imboccando la quinta da dove è apparso il Comico.)

(Le Ballerine, il Ballerino rimasto in scena, il Fine Dicitore, scoppiano a ridere alla vista del Comico in mutande e per la sua presunta battuta.)

ATTRICE:  Ecco, quelli ridono perché non è facile uscire dal proprio ruolo. Che sia un espediente comico per tirar su lo spettacolo?

ATTORE (Comico):      In nome di Dio, c’è un medico in sala? (Scoppia a piangere terrorizzato.)

(Risata ancora più forte di tutti i presenti in palcoscenico.)

ATTRICE:  Ecco, il fatto di aver chiamato Dio a testimoniare di una presunta battuta di spirito, ha fatto aumentare l’ilarità.

(L’Attore-Comico si ritira con le mani nei capelli.)

(Il rullo del tamburo, che è continuato in crescendo scoppia al massimo sotto la voce distorta e stonata del Brillante-Ballerino che è uscito dalla quinta.)

BRILLANTE (Ballerino): (Urla su tutti quasi trionfale) Non serve più, la Soubrette si è suicidata con l’acido muriatico che ha trovato nei cessi.

(Il rullo di tamburo cessa di colpo).

ATTRICE:  E’ naturale. E’ l’unico veleno che conosca una ragazza di paese. L’anello più debole della catena ha ceduto, si dice così, no? Ma noi dobbiamo tener fede alla vecchia legge del Teatro: lo spettacolo continua con il gran finale del Gran Concerto delle Varietà! (Esce di scena)

(Riprende la musica di “Addio, care terre tropicali”. Le luci salgono al massimo, le Ballerine, i Ballerini, il Fantasista, il Fine Dicitore, sfilano in proscenio cantando in coro. L’atmosfera è di allegria glaciale, visi bianchi, sorrisi inchiodati, funerei movimenti di braccia e mani. Caricatura tragica della felicità di scena.)

CORO DI TUTTI:                  “Fra un cocco e un ananasso

                                      stiamo perdendo il passo

                                      si schiacciano le noci

                                      con quei rumori atroci!”

(Entra dal fondo, scendendo da una scaletta d’argento, l’Attrice come “Vedette”, con abito lungo scollato e aperto su un fianco, con un sorriso mortale schiacciato sulla bocca avanza fra un’ala  e l’altra del Corpo di Ballo. Ad ogni passo esplode trionfale lo spacco della gonna fino alla coscia.)

ATTRICE VEDETTE:  (Canta)

                                      “Nel bungalow nascosto

                                      c’era un “I love you”

                                      io ci verrò in agosto

                                      ci sarai anche tu!”

(Entra in scena salutando a mani alzate l’Attore-Comico, con giacca d’argento. Sorride meccanico, sfila con gli altri.)

ATTRICE VEDETTE E TUTTI: (Coro)

                                      “Addio, care terre tropicali

                                      dove regnano dolcissimi animali     

                                      nella sera immobile e malata

                                      vista su una pagina stampata.”

(Il coro si alza con più forza, con un solenne corale chiesastico. Sul fondo gran suono di organo.)

CORO:                “Addio spiagge lisciate eternamente

                            da una lingua docile di mare

                            al ritmo che si sente

                            vien voglia di cantare”.

(Tutti i personaggi sfilano cantando, per l’ultima volta, in proscenio. Scompaiono in quinta mentre si chiude il siparietto lentamente. Per qualche secondo continua la musica deformata. Lentamente la musica si spenge in nulla. Si riapre il siparietto e mostra il palcoscenico completamente vuoto con la scritta sul fondo “Vietato fumare” in vista. Tutti i personaggi sono nelle posizioni iniziali, accanto o seduti sui loro bagagli, in attesa della luce smorta dell’alba o delle lampade di servizio. Un raggio di sole più intenso indica il piccolo bagaglio della Soubrette. Che sia seduta lì come all’inizio, o sia assente è una scelta non del cuore, ma della mente, un modo di giustificare o negare il Teatro come conoscenza. Si chiude lentamente il sipario con la nota lunga dello stridio di tanti sipari famosi  o sconosciuti.)

FINE