Herculaneum

Stampa questo copione

Herculaneum

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

                                                                                                                        (detto Ezio)

22/09/2009

Personaggi:   11

Aurelio generale romano

Flaminia moglie Aurelio

Claudio luogotenente Aurelio

Il console Demostene Licinio amico-nemico Aurelio

Valeria amante Claudio

Sabina schiava

Marco Tullio venditore di schiavi   

Cornelio messo di Aurelio

Orbiana assassina pagata per uccidere Aurelio

Ulpio portavoce di Tito Flavio Vespasiano

Quintilius sensitivo

Herculaneum, anno 78 D.C. Herculaneum è una ridente cittadina ai piedi del Vesuvio. In quell’anno l’impertaore è Tito Vespasiano Flavio. I consoli e i ricchi generali romani sono soliti costruire le loro ville in luoghi lontani da Roma, per distrarsi dallo stress delle loro attività, ma anche talvolta per costruire adulteri vari. Il generale Aurelio è sposato con Flaminia, anche se quest’ultima non è per nulla innamorata di lui. Sogna un uomo potente che le stia più vicino, al contrario di suo marito che è sempre in viaggio per le guerre. Così si invaghisce del console Demostene Licinio. Aurelio parte per la guerra nel vecchio Galles, mentre la donna attende l’arrivo del suo amato console. Prima di partire, Aurelio ordisce una serie di situazoni che metterà a frutto al suo rientro dalal guerra.

Nella seconda parte, giungiamo al 79 D.C. Tito Vespasiano Flavio ha lasciato l’impreo a suo figlio Vespasiano. Ormai è da tanto che Aurelio non fornisce più sue notizie. C’è chi pensa perfino sia morto. Ma quest’ultimo rientra a casa, ferito ed accompagnato dal suo fido luogotenente Claudio. C’è un piccolo particolare: Aurelio ha perso la memoria. Non ricorda nulla di nessuno e perfino nulla di tutte le tresche che aveva ordito prima di partire. Per combinazioni fortuite, nessuno si rende conto che in realtà lui sia smemorato. Tra equioci ed acadimenti vari, Aurelio riesce a ritrovare la memoria… ma intanto il Vesuvio…

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            Herculaneum. Salone di una villa a cui si accede da una comune centrale, con colonnine ai lati sormontate da piante. A destra, due porte conducono a cucina e a stanza da bagno. A sinistra, due porte conducono a camera da letto e ad altre stanze. In stanza, verso, c’è un divanetto triclinio. Alla sua destra c’è un tavolo tripode.  

ATTO PRIMO

VOCE NARRANTE: 78 dopo Cristo, luglio o agosto. Il romano impero è sotto Vespasiano. I generali danarosi compran ville per i loro intrecci amorosi. Un di loro, Aurelio Lepido, ha scelto Herculaneum come regno dell’”otium”. Forti sono le avvisaglie, con Flaminia sua donna, di matrimoniali battaglie. Ma non dirò tutto all’inizio, se no poi vi tolgo lo sfizio!

1. [Aurelio e Claudio. Poi Cornelio. Infine Quintilius]

                  A centro stanza c’è Claudio. Aurelio gli gira intorno e gli spiega qualcosa.

Aurelio:   Carissimo Claudio, io mi confido con te che sei il mio luogotenente da tanti anni.

Claudio:  Grazie, Aurelio.

Aurelio:   Da quando Nerone ha bruciato Roma, 15 anni fa, ho deciso di trasferirmi qui ad

                 Herculaneum. E’ un luogo così tranquillo!

                 Da fuori casa si sentono delle voci.

VOCI:      Al ladro, al ladro…!

Claudio:  Ehm… immenso Aurelio, hai sentito lì fuori?

Aurelio:   Non badarci. Ogni occasione è buona per screditare Neapolis e le sue terre

                 circostanti. Un giorno inventeranno un oggetto di forma quadrata. Dentro ci

                 metteranno una persona che dirà testualmente: “Notizie dall’estero, Egitto: Roma

                 conquista Alessandria e sottomette gli egizi. Più tardi ne sapremo di più”!

Claudio:  Ma è una notizia vecchia di cent’anni!

Aurelio:   Ehm… non importa. Tanto, questa invenzione non la faranno mai.

Claudio:  Inventala tu.

Aurelio:   No, non ne sono capace. Io so solo combattere. Per Roma e per Vespasiano

                 imperatore. A proposito, ma che fine ha fatto il mio messo Cornelio? Doveva   

                 solo portare un messaggio al console Demostene Licinio, a Neapolis.  

Claudio:  Ti ricordo che Neapolis non è proprio dietro l’angolo. Arrivarci a piedi, è dura.

Aurelio:   Già. Se almeno Cornelio volasse. Ma perché non inventano un oggetto che renda

                 l’uomo in grado di volare? Forse un giorno lo inventeranno.

Claudio:  Inventalo tu.

Aurelio:   No, io non ne sono capace. Io so solo combattere. E sto diventando impaziente!

                 Dalla comune al centro ecco Cornelio, affannato. Ha una pergamena.

Cornelio: Ave… Aurelio… eccomi… qua! (E si siede sul triclinio)

Claudio:  Ah, finalmente sei tornato!

Aurelio:   Non ho detto che puoi sederti.

Cornelio: (Si alza subito in piedi) No, no, non mi siedo.

Aurelio:   Perché ci hai messo tanto? Dovrebbero inventare un posto dove raccolgono le

                 lettere della gente per poi condurle al destinatario. Ma non lo inventeranno mai.

Claudio:  Inventalo tu.

Aurelio:     Ancora? Ti ho detto che non sono capace di inventare le cose. Io combatto e

                   basta! E a te, Cornelio, dammi quella pergamena.

Cornelio:   Subito. (Esegue)

Claudio:    Che messaggio hai mandato al console Demostene Licinio?

Aurelio:     Ho scritto: “Sei pronto per la vendetta”?

Claudio:    E lui che cosa ha risposto?

Aurelio:     (Apre la pergamena ed esibisce la risposta: scritto in grande “Sì”) Ha detto sì!

Cornelio:   Cosa? E io ho fatto tutto quel tragitto solo per un “sì”?

Aurelio:     E non è finita qua. Tu adesso torni a Neapolis. Ho un altro messaggio per lui.

Cornelio:   Oh, no!

Aurelio:     (Si siede al tavolo e scrive su pergamena con una piuma d’oca e liquido che

                    pare inchiostro. Nel mente, parla a Claudio) E’ evidente che solo così  

                    possiamo uccidere il senatore Ulpio, ruffiano dell’imperatore Vespasiano.

Cornelio:   Già. Solo Demostene Licinio può aiutarci. Poi uccideremo anche l’imperatore.

Aurelio:     Non me ne parlare. Con quella faccia lì, solo Vespasiano si poteva chiamare!

                   (Arrotola la pergamena) Ecco fatto, ho finito. (Si alza in piedi)

Claudio:    Che cosa gli hai risposto?

Aurelio:     Niente, gli ho scritto: “Va bene”! Tieni, Cornelio! (Gli dà la pergamena)

Cornelio:   E io dovrei tornare a Neapolis per un messaggio del genere?

Aurelio:     Cornelio, tu ti lamenti troppo. Prendi una biga, così sarai più veloce. Un giorno

                   inventeranno un mezzo coi cavalli all’interno e non all’esterno. Un mezzo più   

                   comodo da guidare. Ma purtroppo non lo inventeranno mai.

Claudio:    Tanto, tu sai solo combattere!

Aurelio:     E invece mi sa che mi ci metterò io ad inventarlo! Va bene, Cornelio, vai, vai!

Cornelio:   Agli ordini. Ave!

                   Fa il saluto romano e poi esce. 

Aurelio:     Claudio, sai che ho intenzione di ripudiare Flaminia? Voglio sposare Valeria.

Claudio:    Chi è costei?

Aurelio:     La donna più fascinosa che gli dei dell’Olimpo abbiano mai creato.                                

Claudio:    E tu la sposerai?

Aurelio:     Certo. Appena tornato dalla guerra, lo farò. Vedo già il mio futuro roseo.

                   Dalla comune entra il sensitivo Quintilius, con mani protese e occhi sgranati.

Quintilius: E invece io vedo il tuo futuro più nero di una notte piena di nubi oscure!

Claudio:     E chi è costui?

Quintilius: (Gli si avvicina) Io sono il sensitivo Quintilius.

Aurelio:     E’ uno che dice di vedere il futuro della gente, ma in realtà porta solo sfortuna!

Claudio:    (Estrae la spada) Lo uccido?

Aurelio:     No, no, riponi la spada. Fa’ che io senta cos’ha da dirmi. Coraggio, Quintilius,

                    parla pure. Senza timore. Perché mai il mio futuro sarebbe nero?

Quintilius: Perché la guerra che tu andrai a combattere ti lascerà un segno importante. Ma

                    non sul tuo potente corpo. Bensì, dentro di te.

Claudio:     Dentro di lui? Nella pancia?

Quintilius: Aurelio, chi è costui? Perché interviene sempre nel discorso?

Aurelio:     E’ il mio luogotenente. Ma concludi pure. Insomma, cosa mi accadrà?

Quintilius: Uno scompenso. Tu non sarai più te stesso. Nel tuo corpo ci sarà un altro.

Aurelio:     Hai finito?

Quintilius: Sì. (Poi tende la mano) Una moneta?

Aurelio:     Ma sì. (La prende e gliela porge) In fondo mi piace sentirti parlare. Dovrebbero

                   inventare pagine di papiro dove poter leggere le previsioni per il futuro. Io sarei

                   il primo a comprarle. Ma non le inventeranno mai.

Claudio:    Grande Aurelio, perché questa cosa non la inventa lui?

Quintilius: Io non sono capace di inventare le cose. So solo leggere il futuro.

Claudio:    E fregarti i sesterzi!

Quintilius: (Lo guarda interessato) Io vedo un futuro molto denso di nubi anche per te.

Claudio:    Guarda, non farmi fare gestacci!

Quintilius: Peggio per te! (Si avvia verso l’uscita fiero, poi torna da Aurelio) Divino

                   Aurelio, io leggo nel tuo cuore che tu sei in cerca d’amore. Ho letto bene?

Aurelio:     Benissimo.

Quintilius: Quando tornerai dalla guerra, dichiarerai il tuo amore per una persona. (Poi

                   guarda Claudio) Hai capito, tu?

Claudio:    E che c’entro io? Mica si è innamorato di me?!

Quintilius: No, nel senso che tu lo aiuterai a conquistare la donna che ama. Ave!

                   Fa il saluto romano, poi va via.

Claudio:    Aurelio, ma perché non me l’hai fatto uccidere?

Aurelio:     Dai, lascia stare. Vieni con me, mettiamo a punto il piano di guerra.

Claudio:    Sì, ma quel tizio mi ha un po’ sconvolto.

Aurelio:     E lascialo perdere.

                   I due escono a sinistra, confabulando tra loro.

2. [Flaminia e Sabina. Poi Marco Tullio]

                   Da destra, entrano Flaminia (che si siede sul triclinio) e la schiava Sabina.

Flaminia:  Sabina, voglio che più tardi mi prepari un bel bagno di latte. Ti raccomando.  

Sabina:      Devi farti bella per Aurelio?

Flaminia:  No, per l’arrivo del console Demostene Licinio. Aurelio pensa che il nostro

                   ospite venga qui per lui. E invece… viene per me!

Sabina:      Ma… Flaminia… con tutto il rispetto, cosa dici? Aurelio è il tuo sposo.

Flaminia:  Ma lui mi lascia sempre sola. Va spesso in guerra. Almeno perisse in battaglia!  

                   E invece no, vince sempre. Oggi partirà nuovamente. Basta, sono stufa di lui.

Sabina:      Insomma, tu non lo ami più?

Flaminia:  Penso di no. Demostene ha rapito il mio cuore.

Sabina:      E Aurelio?

Flaminia:  Tu mi aiuterai a sbarazzarmene.

Sabina:      Io? E perché proprio io?

Flaminia:  Perché nessuno sospetterebbe di te. Tu agirai nell’ombra e lo ucciderai.

Sabina:      No, ti prego.

Flaminia:  E allora finirai nel pranzo dei miei leoni. Cosa decidi? Sì o no? Rispondi subito.

Sabina:      Va bene, sì.

Flaminia:  Brava. Io mi fido solo di te. Sei l’unica cosa buona che mio marito mi ha

                   regalato in cinque anni di matrimonio. Ora vai e prepara ogni cosa.

Sabina:     Ma devo prepararti il bagno di latte oppure l’arrivo del console?

Flaminia:  Tutti e due. E alla svelta!

Sabina:      Sì, sì, vado subito!

                   Sabina corre via a destra. Flaminia se la ride.

Flaminia: Hai visto come sono tremenda? Sarei capace di vincere una guerra senza

                  combatterla! Peccato che non entrerò mai nella storia per la mia cattiveria!

                  Dalla comune entra Marco Tullio, venditore di schiavi, vestito male. Ha le pulci!

Marco T: Ave, Flaminia! (E si gratta su un fianco)

Flaminia: Marco Tullio. E smettila di grattarti!

Marco T: (Smette) Scusami.

Flaminia: Allora, cosa mi proponi oggi? Qualche schiavo cartaginese? Sumero? Cilicio?

Marco T: No, sono venuto per la schiava che ti ho venduto l’anno scorso. (Si gratta

                  addosso) Si chiama Sabina.

Flaminia: Marco Tullio, per favore, non grattarti.

Marco T: E le pulci!

Flaminia: Non mi interessa. Su, che cosa devi dirmi sulla mia schiava?

Marco T: Io devo dirti la verità: ti ho venduto una schiava malata. 

Flaminia: Malata? E di che?

Marco T: Non lo so. Io non ne capisco di malattie. Però mi hanno detto che si mischia.

Flaminia: Oddio mio! (Si alza frettolosamente in piedi) E ora che si fa? Te la restituisco?

Marco T: Per carità! Qui ci vogliono soldi per curarla.

Flaminia: Ma è una schiava.

Marco T: Sì, però se la curi, dopo starà subito bene.   

Flaminia: E quanti soldi occorrono?

Marco T: Poco: un milione di sesterzi.

Flaminia: Che? Un milione di sesterzi?

Marco T: Anche cinquecentomila vanno bene. Vengo a prenderli domani?

Flaminia: Ma io non ti ho detto di sì. Per carità. Quando Aurelio tornerà dalla Britannia, se

                  vorrà darteli, avrai i cinquecentomila sesterzi.

Marco T: Non era un milione?

Flaminia: No, cinquecentomila. Se basteranno, allora Sabina resterà viva, se no pazienza!

Marco T: E devo aspettare quando Aurelio torna dalla guerra? Quella poveretta può morire.

Flaminia: E pace all’anima sua. E un’altra volta, prima di vendermi schiavi, controlla che

                  stiano bene.

Marco T: Sicuro. (Si gratta addosso) Tornerò presto, allora. (Fa il saluto romano) Ave!

                  Esce via frettolosamente, grattandosi addosso. Flaminia escogita qualcosa.

Flaminia: E secondo te, io spendo cinquecentomila sesterzi per curare una schiava? Caso

                  mai, ne spendo 200 per prenderne un’altra. Ricatterò Sabina per convincerla ad

                  uccidere Aurelio. Poi morirà della sua malattia, così sarà tutto preciso e perfetto!

                  Se la ride. Intanto da destra torna Sabina.

Sabina:     Divina Flaminia, il bagno di latte è pronto.

Flaminia: Non ti avvicinare troppo a me. Resta a debita distanza!

Sabina:     E perché?

Flaminia: No, nulla. Su, precedimi. Io ti seguo.

Sabina:     Va bene.

                  Sabina esce a destra, seguita da Flaminia che sghignazza ancora. 

3. [Cornelio, Claudio ed Aurelio. Poi Quintilius]

                 Dalla comune entra Cornelio, affannato e stanco, piegato sulle ginocchia.

Cornelio: Aure… Aure… Aure… lio!

                   Da sinistra tornano Claudio ed Aurelio.

Aurelio:     Hai capito tutto, Claudio?

Claudio:    Sì, ma… (Nota Cornelio) Guarda, ecco Cornelio.

Aurelio:     Già di ritorno? E come hai fatto, così presto?

Cornelio:   (Affannato) No, ma io… ma io… ma io…

Aurelio:     E muoviti!

Cornelio:   Ma io non ci sono arrivato a Neapolis.

Claudio:    E perché?

Aurelio:     Lo chiedo io: e perché?

Cornelio:   Perché durante il tragitto, mi sono fermato un momento. Ho lasciato la biga in

                   strada e sono andato a fare un po’ di pipì. Ma appena sono tornato, non ho

                   trovato più la biga: me l’hanno rubata!

Aurelio:     Rubata?

Cornelio:   Sì, ma non sono stati ladri. Sono stati i pretoriani.

Aurelio:     Cretino, ma allora non te l’hanno rubata, te l’hanno sequestrata!

Claudio:    E si capisce, come si fa a lasciare una biga in mezzo alla strada?

Aurelio:     Un giorno inventeranno delle persone che sono in strada a dirigere il traffico

                   delle bighe. Chi andrà contro la legge, riceverà una sanzione pecuniaria.

Claudio:    Ma no, non le inventeranno mai.

Aurelio:     E invece mi sa di sì! Insomma, Cornelio, non sei riuscito a giungere a Neapolis.

Cornelio:   Io no. Però ho scoperto una cosa: i pretoriani che mi hanno sequestrato la biga,

                   non sono qui ad Herculaneum per caso. Ho chiesto ad uno di loro: stanno

                   scortando il console Demostene Licinio qui a casa tua.

Aurelio:     (Con leggerezza) Capisco. Sta venendo qui.

Claudio:    (Lo ridesta) Oh, Aurelio, sta venendo qui!

Aurelio:     (Allarmato) Sta venendo qui? Oddio mio! Presto, presto!

Claudio:    (Allarmato) Sì, presto, presto!

                   Aurelio e Claudio vanno avanti e indietro in stanza, poi il primo fa a Cornelio:

Aurelio:     E tu che ci fai ancora qui?

Cornelio:   E che devo fare?

Aurelio:     Vai laddove si trova la carovana di Demostene Licinio. Cerca di ostacolarla,  

                   insomma dacci il tempo di organizzarci!

Cornelio:   E come la ostacolo?

Claudio:    Ho trovato: mettiti davanti ai cavalli!

Cornelio:   Io? Ma no, Claudio. Io direi che è meglio se ci vai tu, Aurelio.

Aurelio:     E perché?

Cornelio:   Perché la tua esimia figura fa fermare anche i cavalli!

I due:         E muoviti!

                   I due lo prendono sottobraccio, lo portano fuori a forza. Poi tornano al centro.

Aurelio:     Hai capito quell’infame di Demostene Licinio? Non ha avvisato del suo arrivo.

Claudio:    Io dico che l’ha fatto apposta.

Aurelio:     Tu dici? E sì, l’ha fatto apposta. Ma con la mia potenza, sarò all’altezza di lui!

                   Dalla comune entra Quintilius, sempre con le mani protese.

Quintilius: Io vedo il tuo futuro triste e nebuloso!

I due:         (I due lo mandano a quel paese a gesti) Uff!

Aurelio:     Quintilius, Quintilius, adesso non è proprio il caso. Ho da fare. Per cui, vattene.

Quintilius: Va bene, me ne vado subito. (Allunga la mano)

Aurelio:     (Guardandogli la mano) Che c’è?

Quintilius: No, niente, dico che me ne vado subito!

Aurelio:     Ho capito, va’. (Prende un sacchetto. Ne estrae tre monete) Eccoti tre sesterzi.

                   (Glieli dà) Però, per favore, lasciami in pace per un po’.

Quintilius: Non ti preoccupare. Io vedo il tuo futuro triste e nebuloso.  

Claudio:    Sì, sì, va bene, questo già l’hai detto. Ora però lascia in pace Aurelio.

Quintilius: Ma tu non te li fai mai, i fatti tuoi?

Claudio:    Se non vuoi che i fatti di Aurelio diventino pure miei, varca quella soglia!

Quintilius: E che caratteraccio! (Si avvia ad uscire e blatera) Manco se io cercassi soldi

                   alla gente! Che mondo infame!

                   Ed esce via. Aurelio va nel panico.

Aurelio:     Claudio, ti prego, aiutami ad organizzarmi. Dovrebbero inventare una persona

                   che si occupi di accogliere gli ospiti che arrivano. Ma non la inventeranno mai.

Claudio:    E allora è meglio che ci muoviamo!

                   I due escono di casa.

VOCE NARRANTE: Nel romano impero, le tresche familiari e politiche sono all’ordine del giorno. Lo stesso vale per Aurelio e chi gli sta intorno. Da questo momento, gli eventi vanno senza controllo. Ogni cosa va fatta perbene, altrimenti si rischia il tracollo!

4. [Sabina e Marco Tullio. Poi Aurelio e Claudio. Infine Valeria]

                   Da destra torna Sabina, delusa e sorpresa.

Sabina:     Non riesco a capire: la mia padrona non ha voluto che la aiutassi a fare il bagno.

                  E’ la prima volta che accade. Mi ha allontanata in malo modo dalla sua vasca.  

                  (Si siede sul triclinio) Neanche se io avessi qualche malattia!

                  Dalla comun entra Marco Tullio, come al solito grattandosi addosso.

Marco T:  Noto che la tua padrona ti ha allontanata da lei!

Sabina:     Tu? Cosa vuoi ancora? Non t’è bastato vendermi come schiava ad Aurelio?

Marco T:  (Le si avvicina) Ti ho venduta ad un generale facoltoso. Dovresti esserne fiera.

                   Tu sei una volgare sannita.  

Sabina:     Lasciami in pace.

Marco T:  E va bene. (Va per uscire, poi torna indietro) Non vuoi guadagnarti tanti soldi?

Sabina:     (Si alza in piedi) In che senso?

Marco T:  Vedi, Sabina, tu hai una brutta malattia che va curata bene. E occorre denaro.

Sabina:     Io non sono malata.

Marco T:  Lo so. Ma la tua padrona Flaminia mi ha creduto. Ha detto che il denaro per  

                  curarti te lo darà il suo caro marito Aurelio. Lei te l’avrebbe negata, ma lui no.

Sabina:     E qual è questa cifra?

Marco T:  500.000 sesterzi: 450.000 a me, 50.000 a te. Dopodiché ti aiuterò a fuggire e

                  farai la vita che hai sempre sognato.

Sabina:     Sì, la cosa mi interessa, ma io sono molto legata ad Aurelio. Soprattutto, sapendo

                  che avrebbe speso del danaro per curarmi.

Marco T:  E allora scegli: vuoi rimanere schiava a vita… oppure…?

Sabina:     Voglio tornare dalla mia famiglia.

Marco T:  E ci tornerai, ma stavolta porterai in dote un bel po’ di danaro. A presto!

                  Esce via senza consentirle repliche, grattandosi. Lei allora resta a pensarci.

Sabina:   50.000 sesterzi. Sono tanti soldi. E io dovrei uccidere Aurelio? (Si siede,

                sognante) Quasi, quasi, uccido quella arpia di Flaminia!

                Dalla comune tornano Aurelio e Claudio, indaffarati. 

Aurelio:  Allora hai capito tutto, Claudio?

Claudio: Non proprio tutto, però un po’ di tutto!

Aurelio:  Bravo, è già tanto! E… (Nota Sabina seduta) Aspetta un momento. (Va da lei e le

                grida dietro) Sabina!

Sabina:   (Si alza di scatto in piedi) Uh! Scusami, Aurelio, mi ero seduta un attimo.

Aurelio:  Ma non dovresti essere con Flaminia?

Sabina:   Sta facendo il bagno nel latte. Grande Aurelio, posso parlarti per un momento?

Aurelio:  No, adesso non posso. Ho troppo da fare. Più tardi torna da me e ricordamelo.

Sabina:   Ma io…

Aurelio:  E basta!

                La prende per un braccio e la conduce a destra (escono). Claudio commenta.

Claudio: Aurelio, tu perdi tempo con quella schiava, mentre il console sta arrivand…

                Si blocca perché dalla comune entra una donna tutta sculettante: Valeria. Va a

                sedersi silenziosamente sul triclinio ed attende. Claudio la osserva incantato.

                Torna Aurelio  che va direttamente da Claudio, senza notare Valeria.

Aurelio:  Dunque Claudio, io direi che… (Lo nota assorto) Claudio, ma mi stai ascoltando?

                Claudio fa di “no” con la testa. Aurelio allora si arrabbia.

                Ma come, io ti parlo e tu osservi… (Si volta e nota Valeria) Osservi quella?

Claudio: Aurelio, chi è lei? La conosci?

Aurelio:  Perché?

Claudio: Vorrei tanto corteggiarla.

Aurelio:  E’ Valeria, la mia futura sposa!

Claudio: Non posso corteggiarla più.

Aurelio:  Sveglia, sveglia, Claudio! Vai alla porta destra e guarda che non torni Flaminia se

                no, qua succede di nuovo la guerra civile! Vai e muoviti!

Claudio: Agli ordini!

                Fa il saluto romano e poi esce a destra. Aurelio intanto va da Valeria.

Aurelio:  Valeria, tesoro! (Le siede accanto e le bacia la mano) Sono così contento di

                vederti. Ma perché sei venuta?

Valeria:  Non hai detto forse che sei contento di vedermi?

Aurelio:  Sì, ma oggi è una giornataccia. Ho un po’ di ospiti e devo partire per la Britannia.

Valeria:  Ecco, tu stai per partire. E prima che tu parta, mi sposi adesso?

Aurelio:  Adesso? Ma è impossibile. Ancora devo ripudiare… cioè, lasciare mia moglie. E

                poi ci vuole una cerimonia.

Valeria:  E se tu muori in guerra?

Aurelio:  Io muoio in guerra? Io muoio in guerra? (Se la ride) Ma chi ti dice queste cose?

Valeria:  Un uomo, un sensitivo, un tale Quintilius. L’ho pagato e lui mi ha detto che vede

                la tua vita fosca e nebulosa.

Aurelio:  Ancora? Ma non dargli retta.

Valeria:  Allora non mi muovo di qua, fin quando non firmiamo il contratto di matrimonio.

Aurelio:  Che cosa? Ma tu vuoi rovinarmi.

Valeria:  (Dura) Io ti amo e voglio la giusta ricompensa. Dai, chiama i tuoi legali di fiducia.

Aurelio:  Allora facciamo così: vieni con me. (Si alza e la fa alzare in piedi) Mi aspetti in

                un’altra stanza, mentre spedisco Cornelio a chiamare i miei avvocati. Va bene?

Valeria:    Ti credo?

Aurelio:    Eh, sì!

Valeria:    Va bene, ti credo. Andiamo!

                  I due escono a sinistra. Aurelio tira un sospiro di sollievo.

5. [Flaminia, Sabina e Claudio. Poi Cornelio. Infine Aurelio]

                  Da destra entrano Sabina e Flaminia (in vestaglia bianca). Rimprovera Claudio.          

Flaminia: Come ti permetti di entrare nel mio bagno, rozzo soldato?!

Claudio:   No, chi io? Ma io non sono entrato nel bagno. Ero sulla soglia della porta.

Flaminia: E come ti permetti di guardarmi mentre indosso la vestaglia?

Claudio:   Ma no, tu l’avevi già indossata. E poi io non guardavo, osservavo!

Flaminia: Io dovrei mandarti al patibolo! Ringrazia se non dico niente ad Aurelio.

Claudio:   (Guarda nella stanza) A proposito, Aurelio! Ah, meno male, non c’è.

Flaminia: E perché dici “meno male”?

Claudio:   Ehm… perché lui deve muoversi ad accogliere il console Demostene Licinio.

Flaminia: Ma… è già qui?

Claudio:   Sì, a momenti. (Poi dubbioso) Scusa, ma tu come sai che lui doveva arrivare?

Flaminia: Ehm… intuito femminile!

Claudio:   Ma allora tu lo conosci?

Flaminia: Sì, ma per sentito dire! E quando arriva?

Claudio:   Eh, dipende da Cornelio!

Flaminia: Eh?

                  E confabula con Sabina. Dalla comune entra Cornelio, sfatto e ferito al volto.

Cornelio: Ah, mamma mia, che vita è la mia!

Claudio:   Tu? (Corre subito da lui) Ma non dovevi rallentare l’arrivo del console?

Cornelio: Mi sono posto davanti ai cavalli del suo carro. Ma essi mi hanno messo sotto!

Claudio:   E ora dove si trova il console?

Cornelio: E’ qua fuori. Sta dando le ultime disposizioni ai soldati.

Claudio:   Oh, no, chi lo sente ad Aurelio?!

                  Da sinistra torna proprio Aurelio.

Aurelio:   Mamma mia, non vedo l’ora di andare in guerra!

Claudio:   Aurelio, il console è arrivato. E pure Cornelio.

Aurelio:   (A Cornelio) Disgraziato, ti avevo detto di farlo tardare un po’.

Cornelio: E ho fatto del mio meglio. Mi sono posto davanti ai cavalli del suo carro, però…

Claudio:   Sì, sì, va bene, adesso non raccontargli tutto da capo. Cosa si fa, ora, Aurelio?

Aurelio:   Claudio, vai subito fuori a riceverlo.

Claudio:   Eh? Io? Ma quello ha un alito pesantissimo! Il peggior alito dell’impero romano!

Aurelio:   Non me ne frega niente. Vai subito fuori.

Claudio:   E va bene. Ma quando si va in guerra?!

                  Ed esce via.

Aurelio:   A te, Cornelio, corri a chiamare lo stalliere e poi il cuoco. Fai preparare il vino.

Cornelio: Non posso riposarmi prima un poco?

Aurelio:   Ma che riposarsi? Vai subito, muoviti!

                 Cornelio fa il saluto romano e corre a sinistra. Aurelio nota Flaminia e Sabina.

                 Mogliettina cara! Come stai? Oggi ti vedo più… più… più del solito!

Flaminia: I tuoi complimenti sono sempre molto originali. Tuttavia li gradisco sempre. E

                  sono addoloratissima per la tua partenza in battaglia.

Sabina:     Che falsa!

Flaminia: Eh?

Sabina:     No, niente.

Flaminia: Insomma, Aurelio, tu vai a combattere. Spero che tu torni presto, sano e salvo!

Sabina:     Che bugiarda!

Flaminia: Cosa?

Sabina:     Nulla!

Flaminia: Aurelio, appena torni dalla tua impresa, ci chiudiamo in camera da letto e…

Aurelio:    E…?

Flaminia: (Sexy) Perché vuoi saperlo?

Aurelio:    No, perché il dopo mi preoccupa.

Flaminia: Faremo ciò che fanno due persone che si amano.

Sabina:     E digli la verità!

Flaminia: Scusa, dicevi?

Sabina:     Ma nulla.

Flaminia: Senti, Sabina, perché non vai a riposarti? Tu hai bisogno di riposo. Sai com’è,

                  Aurelio, lei è molto malata. Le occorre del danaro, pare circa 500.000 sesterzi.

                  Che dici? E’ il caso di curarla?

Aurelio:    E si capisce. Perché non dovremmo? Più tardi le darò la cifra che le occorre.

Flaminia: (Fredda) Sabina, ringrazia Aurelio.

Sabina:     (Accenna un inchino) Grazie.

Flaminia: Se fosse stato per me, non avresti avuto nemmeno un centesimo. Gli schiavi,

                  quando muoiono, vanno sostituiti. Ed ora, caro, puoi lasciarci un attimo sole?

Aurelio:    Ma certo. Con permesso.

                  Aurelio va alla comune e guarda di fuori.

Flaminia: Sabina, ecco il momento. Prima che arrivi Demostene Licinio, ammazza Aurelio.

Sabina:     Ma io…

Flaminia: Non discutere! Altrimenti, così come lui ti offrirà il danaro per curarti, io te lo

                  negherò. Capito?

Sabina:     Bene.

Flaminia: Brava. (Poi va da Aurelio) Aurelio, io vado a vestirmi. (Indica a sinistra)

Aurelio:    Va bene, cara.

                  Flaminia si avvia a sinistra, ma Aurelio subito ricorda qualcosa.

                  Oh, no, Valeria! (Corre a fermare Flaminia) No, Flaminia! (Le bacia la mano)

                  Tesoro mio, non vestirti!

Flaminia: E rimango in vestaglia?

Aurelio:    No, però facciamo un nuovo gioco erotico: il vestito… te lo scelgo io!

Flaminia: (Sexy) E me lo porti di là? (Indica a destra)

Aurelio:    (Finge eccitazione) Sì.

Flaminia: E allora sarò ad attenderti. Ma non tardare. Uhaooo!

                  Esce via a destra.

Aurelio:    Ecco fatto!

Sabina:     (Si inginocchia e gli prende la mano) Aurelio, grazie, grazie!

Aurelio:    Che c’è?

Sabina:     Hai fatto un gesto molto nobile: curarmi. Ma io non lo merito.

Aurelio:    Ma cosa dici? Lascia fare.

Sabina:     (Si alza in piedi) Mi dispiace solo devo ucciderti.

Aurelio:    E come, io ti pago per curarti e tu mi uccidi?

Sabina:     Sì. Me l’ha imposto Flaminia. Se tu muori, lei ottiene tutti i tuoi beni e poi si

                  risposa con un altro uomo: il console Demostene Licinio.

Aurelio:    Che? Ma è assurdo. Lei non lo conosce nemmeno. Oppure sì?

Sabina:     Sì.

Aurelio:    Allora sai cosa ti dico? Tu mi ucciderai. Ma in realtà ucciderai lei.

Sabina:     Cosa? Ma io…

Aurelio:    Silenzio! Io ti sto salvando la vita e tu ora mi devi qualcosa. Capito?

Sabina:     Va bene.

Aurelio:    Ed ora vado a prendere il vestito per Flaminia. Glielo porti tu. Attendimi qua.

                  Aurelio corre subito via a sinistra. Sabina pare perplessa.

Sabina:     In quale guaio sto per mettermi? Forse Marco Tullio ha ragione: meglio prendere

                  i 50.000 sesterzi e scappare per sempre. E sì, farò proprio così.  

                  Da sinistra torna frettolosamente Aurelio con una uniforme da centurione.

Aurelio:    Sabina, Sabina, ecco il vestito per Flaminia. Tieni!

Sabina:     (Lo prende e lo osserva, sorpresa) Ma questa è un’uniforme da centurione.

Aurelio:    Per Giove, non ci avevo fatto caso. Senti, portaglielo ugualmente. Dille che così

                  vestita è più eccitante! Va bene?

Sabina:     E va bene. Corro!

                  Sabina esce a destra. Aurelio va a sedersi sul triclinio, molto provato.

Aurelio:    Dei dell’Olimpo… aiutatemi voi!  

6. [Aurelio, Claudio e il console Demostene Licinio. Infine Cornelio]

                   Aurelio è seduto sul triclinio. Parte uno squillo di tromba. Aurelio si alza in

                   piedi. Dalla comune entra Claudio, facendosi aria con le mani, e annuncia:

Claudio:    Il console Demostene Licinio! (E va a mettersi alla sinistra di Aurelio)

Aurelio:     E dove sta?

Claudio:    Io l’ho distanziato un po’, per non sentire il suo alito pesantissimo!

Aurelio:     Ma dimmi, il suo alito è migliorato almeno un po’?

Claudio:    No, peggio, peggio! E’ l’età che avanza.

Aurelio:     (Perplesso) Aeh! Povero me!

                   Dalla comune entra Demostene Licinio, tunica color verde. Parla a chi è fuori. 

D.Licinio: Voi, aspettatemi fuori che io ho da parlare col generale Aurelio Lepido.

Claudio:    Beati loro che aspettano fuori!

D.Licinio: (Entra in casa e nota Aurelio) Oh, eccolo! (Va da lui e fa il saluto romano) Ave!

                   Ma Aurelio e Claudio tengono una mano davanti al naso e non rispondono.

                   Demostene allora insiste.

                   Ave!

                   Ma Aurelio e Claudio come sopra. Demostene allora si stufa.

                   Insomma, non si saluta come si deve?

I due:        (Salutano con una mano e tengono l’altra accanto al naso) Ave!

D.Licinio: Bene. E come sta tua moglie Flaminia?

Aurelio:    Mia moglie Flaminia? E come la conosci? Se io non te l’ho mai presentata.

D.Licinio: Ah, ehm… forse me ne hai parlato e credevo di conoscerla. E sì.

                  Demostene gironzola in stanza, mentre Aurelio scambia posizione con Claudio.

Claudio:   Ma perché devo mettermi io di qua?

Aurelio:    Stai zitto, altrimenti ti mando al patibolo!

Claudio:   Pure tu? Vogliono mandarmi tutti quanti al patibolo!

D.Licinio: (Torna da lor) Bene, Aurel… (Nota Claudio al posto di Aurelio) Ma… Aurelio.

Aurelio:    Che c’è?

D.Licinio: Perché sei passato di là?

Aurelio:    No, vedi, il fatto è che io di qua ci sento meglio. Io sono un po’ sordo. Ma

                  vedrai, un giorno inventeranno un oggetto che farà tornare l’udito ai sordi.

Claudio:   Io invece vorrei un naso nuovo!

Aurelio:    Stai zitto! Bene, Demostene Licinio, accomodiamoci. 

                  Claudio va davanti alla comune, facendosi aria con le mani e profondi respiri.  

                  Aurelio si prepara una sedia distante da Demostene che si siede sul triclinio.

D.Licinio: Dunque, caro Aurel…! (Lo nota distante) Ma… Aurelio, che ci fai laggiù?

Aurelio:    Niente, ti ascolto.

D.Licinio: E come mi ascolti? Tu non eri un po’ sordo?

Aurelio:    Sì, ma è una sordità al contrario. Per cui, ci sento solo da lontano! Orsù, parla.

D.Licinio: Bene. Io voglio dirti che qui serve un’aria nuova!

Claudio:   A chi lo dici!

D.Licinio: Qui serve qualcosa per pulire l’aria.

Aurelio:    Infatti, un giorno inventeranno una cosa che renderà l’aria più profumata. Ma

                  anche qualcosa per i denti!

D.Licinio: Per i denti?

Aurelio:    No, intendevo in senso metaforico.

D.Licinio: Anch’io parlavo in senso metaforico. Qui ci vuole gente nuova e idee nuove.

                  L’ho capito quando sono stato console in Galilea. E perciò, tu ucciderai il

                  senatore Ulpio, uno tra i più convinti assertori dell’imperatore Tito Vespasiano.

Aurelio:    E perché proprio io?

D.Licinio: Perché poi ucciderai anche l’imperatore stesso. La dinastia Flavia deve cessare

                  di esistere. Più tardi Ulpio ti condurrà dall’imperatore. Quello sarà il momento.

Aurelio:    Ma io dovrò aiutare Gneo Giulio Agricola a completare la conquista delle terre

                  britanniche. Perché non uccide lui il senatore e l’imperatore?

D.Licinio: Vuoi saperlo? (Con un gesto lo invita ad avvicinarsi) Aurelio, vieni qua.

Aurelio:    (Scambia uno sguardo di terrore con Claudio. Poi chiede) Devo venire là?

D.Licinio: Vieni qua.

Aurelio:    (Indeciso, si alza e si avvicina lentamente a lui) Sì, sto venendo.

D.Licinio: Siedi accanto a me.

Aurelio:    Eh?

D.Licinio: Ti ho detto: siedi accanto a me.

Aurelio:    (Guarda per un momento con imbarazzo Claudio) E va bene. (Rassegnato, così

                   fa, però resta col viso rivolto nel senso opposto) Su, parla pure.

D.Licinio: Dunque… Aurelio, ma se non mi guardi, come faccio a parlarti?

Aurelio:    Ma io ti devo solo ascoltare. E per ascoltare, devo tendere orecchio. Su, parla.

D.Licinio: No, voglio che tu mi guardi negli occhi.

Aurelio:    Devo proprio?

D.Licinio: Sì.

Aurelio:    E va bene. Dai, parla.

D.Licinio: (Sempre con maggior enfasi) Aurelio, questo è il mio programma per il futuro:

                  io senatore a vita e tu comandante in capo dell’esercito romano d’occidente!

Aurelio:    (Non ne può più del suo alito e salta in piedi, fingendo esultanza) E’ bellissimo!

D.Licinio: Aspetta, non ho finito. Siediti di nuovo.

Aurelio:    Ancora? E va bene. (Si siede di nuovo) Dai, parla.

D.Licinio: (Sempre con maggior enfasi) Aurelio, tu sei l’uomo più grande che io abbia mai

                  conosciuto. La mia e la tua ambizione insieme, ci faranno diventare grandissimi! 

Aurelio:    (Non ne può più del suo alito e si alza in piedi, a centro stanza, fingendo di

                  esultare) Mamma mia! E’ troppo bello!

D.Licinio: Aspetta…

Aurelio:    No, basta, non voglio sentire più niente. Non ne posso più!

D.Licinio: Non ne posso più?

Aurelio:    No, nel senso che non ne posso più di emozionarmi. Sì, lo faccio, ho deciso:

                  ucciderò il senatore Ulpio, uno degli uomini più fidati di Vespasiano!

                  Dalla comune entra Cornelio.

Cornelio:  Signore, ho una notizia importante.

Aurelio:    Devo uscire? Se mi dici di sì, mi stai per dare una grande notizia!

Cornelio:  No. E’ giunto al cancello il carro che conduce il senatore Ulpio.

Claudio:   (Preoccupato) Ah, alla faccia della notizia!

D.Licinio: (Si alza in piedi, basito) Accidenti, ma è in anticipo.

Aurelio:    Non dirlo a me. Però è meglio che già sia arrivato, così cambiamo un po’ aria!

D.Licinio: Senti, lui non deve vedermi. Il mio carro con i cavalli si trova nelle tue stalle. In

                  quanto a me, mi nasconderò in un’altra sala della casa.

Aurelio:    Va bene, Demostene. Ti ci accompagna Cornelio.

Cornelio:  Io? Ma lui tiene l’alito… cioè… io… ecco… devo annunciare il senatore Ulpio.

Aurelio:    Giusto. E allora ti accompagnerà Claudio.

Claudio:   No, no, un momento. Io preferisco il patibolo!

Aurelio:    Ti ordino di accompagnarlo.

Claudio:   Bene. (Guarda male Cornelio) Agli ordini! (Va da Cornelio e gli da un calcio)

D.Licinio: (Si accosta ad Aurelio) Aurelio, stai attento ad Ulpio. Quell’uomo mi puzza!

Aurelio:    (Nauseato dal suo alito) Lui?!

D.Licinio: Io vado. Con permesso. Andiamo, luogotenente Claudio.

Claudio:   Certo. Però facciamo così: io vado avanti di una trentina di passi e tu mi segui!

Aurelio:   (Lo richiama) Claudio!

Claudio:   No, no, va bene, va bene. Camminiamo vicini.

D.Licinio: (Va da Claudio, gli parla a poca distanza) Allora, Claudio, io direi di far così…

                  I due escono a sinistra, con Claudio sofferente per l’alito di Demostene.

Aurelio:    Cornelio, io e te ora andiamo a ricevere il senatore Ulpio. Ti raccomando: non                  

                  far capitare il suo carro e i suoi cavalli insieme a quelli del console Licinio. E fai

                  in modo che i soldati di scorta dei due non si incontrino mai. Capito?

Cornelio:  E come faccio?

Aurelio:    E chi lo sa? Un giorno inventeranno le stazioni di servizio! Va bene, andiamo!

                  I due escono via.

VOCE NARRANTE: Aurelio, Aurelio, tu guardi sempre ciò che verrà un giorno nella storia, ma non scorgi quel che si muove davanti al tuo naso. La voglia di potere e la gloria ormai ti han pervaso. Eppur c’è chi ti sta usando, ma tu non capisci perché, come e quando.

7. [Valeria ed Orbiana. Poi Sabina. Poi Flaminia]

                 Da sinistra torna Valeria, piuttosto contrariata.

Valeria:   Ah, se n’è andato. Ha pensato bene di lasciarmi in una stanza ad attenderlo e poi

                 si è dileguato. E’ così che vuole sposarmi? Ma se non ha lui il coraggio di parlare

                 con sua moglie, lo farò io. (Si siede sul triclinio) E da qui non mi muovo più.

                 Dalla comune entra Orbiana, donna con un fare molto sinistro, di nero vestita.

Orbiana: Te l’avevo detto che avresti commesso un errore ad amare quell’uomo.

Valeria:   Adesso non ti ci mettere anche tu, Orbiana.

Orbiana: (Le si avvicina e le siede accanto) Valeria, tu non dovevi innamorarti di lui. Sai

                 benissimo qual è la nostra missione: fargli perdere la testa e poi ucciderlo.

Valeria:   Demostene Licinio ha pagato te, non me.

Orbiana: Sì, ma tu dovevi farlo solo innamorare di te. Lui avrebbe ripudiato sua moglie e

                 poi al resto ci avrei pensato io. Ed invece mi stai rendendo più difficili le cose.

Valeria:   Io? Ma è lui che è un codardo. Ho usato ogni arte femminile, pur di conquistarlo.

Orbiana: (Perfida) Tutte? Sei sicura?

Valeria:   Capisco cosa vuoi dire. Va bene, ora vattene. Ho da parlare con sua moglie.

Orbiana: Per ottenere cosa? Tu devi metterli l’uno contro l’altro. Con astuzia. Se ci fossi

                 stata io, al tuo posto. (Si alza in piedi) Or ora, tutto sarebbe già compiuto. (Si

                 avvia verso l’uscita, poi si volta verso di lei) Ma è tutto ancora in gioco.

                 Ed esce via.

Valeria:   E sia. Devo fargli perdere completamente il senno. (Si alza in piedi) E’ il sesso

                 che vuole? Bastava che me lo chiedesse! Ma adesso ci penso io.

                 Da destra entra Sabina, frettolosa.

Sabina:    Mamma mia, sta arrivando il senatore Ulpio, e…

                 Le due si notano. Poi si osservano un po’. Sabina le si avvicina.

Valeria:   Beh? Cos’hai da guardare?

Sabina:    Scusa, tu fai parte del contingente del senatore Ulpio? 

Valeria:   Magari! Tu sei la schiava di Flaminia?

Sabina:    Ma certo. Almeno, fino a quando non otterrò il danaro.

Valeria:   Quale danaro?

Sabina:    No… ehm… niente, niente.

Valeria:   Ho capito. (Prende un sacchetto ed estrae due monete) Ti interessano i soldi. E’

                 così? (Le consegna le due monete) Eccoti due sesterzi.

Sabina:    No, non posso accettare. Ma li accetto lo stesso. Grazie! (Fa per andare a destra)

Valeria:   Aspetta!

Sabina:    (Si ferma) Sì?

Valeria:   Quel danaro ha un prezzo. Dove si trova la camera da letto di Aurelio Lepido?

Sabina:    Di là, alla nostra sinistra.

Valeria:   Molto bene. (Estrae altre due monete dal sacchetto) Eccoti altri due sesterzi.

Sabina:    (Glieli tira di mano) Per cosa?

Valeria:   Il tuo silenzio. Se rivelerai a qualcuno la mia presenza e ciò che ti ho chiesto,

                 Zeus ti scaglierà un fulmine che ti polverizzerà!

Sabina:    (Suggestionata) Oh, mamma mia! No, no, non dirò niente.

Valeria:   Ed ora lasciami andare. Ho una missione da compiere.

                 Si volta e se ne va via a sinistra. Sabina la osserva con ammirazione.

Sabina:    Però che donna curata! Magari, un giorno, diventassi come lei.

                  Da destra entra Flaminia: ha indossato l’uniforme da soldato. Non ne è felice.

Flaminia: Sabina!

Sabina:     Sì, mia signora!

Flaminia: Ma che razza di vestito mi hai portato? Un’uniforme da soldato?

Sabina:     Beh, mia padrona, è quello che ha scelto per te Aurelio. Ha detto che è una

                  forma di abbigliamento eccitante.

Flaminia: Forse ha ragione. Questa divisa, indossata da una donna, può diventare un’arma

                  di seduzione. Ma in che modo?

Sabina:     Così come l’hai indossata, basta che ti denuderai e il gioco è fatto.

Flaminia: Ma certo. Mi denudo e mi faccio trovare svelata nel nostro letto. Bellissima idea!

                  Poi verrai tu e lo ucciderai con un coltello, al buio!       

Sabina:     Ma io…

Flaminia: Zitta! Io mi avvio in camera da letto. Mandalo subito da me.

Sabina:     Oddio, in camera da letto no!

Flaminia: Sabina, taci!

                  Esce beatamente a sinistra. Sabina è sconvolta.

Sabina:     Ma adesso che entra in camera da letto, incontra quella donna che mi ha dato i

                  sesterzi. E come faccio? Sai che ti dico? Io mi dileguo. Non ho visto nulla.

                  Esce via a destra. 

8. [Ulpio ed Aurelio. Poi Quintilius. Infine Claudio e Demostene Licinio]

                  Dalla comune entrano sottobraccio Aurelio ed Ulpio (ha una pessima vista e

                  perciò socchiude gli occhi per cercare di vederci meglio).  

Ulpio:       Esimio Aurelio, io e te rientreremo a Roma insieme. Ti condurrò al Senato dove

                  tutti i senatori ti formalizzeranno i loro auguri. E poi andremo dall’imperatore

                  che farà altrettanto. Torna vincitore dalla Britannia.

Aurelio:    Grazie. E cosa dice l’imperatore?

Ulpio:       Tito Vespasiano è impegnato a concludere i lavori per l’Anfiteatro Flavio. Del

                  resto, l’imperatore ha una adorazione per i combattimenti tra i gladiatori.

Aurelio:    E invece, dovrebbero inventare una cosa più tranquilla. Ecco, per esempio,

                  undici uomini contro undici che corrano dietro un oggetto di forma sferica. E  

                  questo oggetto va lanciato in una rete con un calcio. Chi lancia più volte la sfera  

                  nella rete nemica, vince! Ma forse, una cosa così, non l’inventeranno mai!

Ulpio:        Tu hai molta fantasia. Ma accomodiamoci, così parliamo più tranquillamente.

Aurelio:    Certo.

                  Si siedono sul triclinio, ma Ulpio si siede al contrario e così, credendo di

                  parlare ad Aurelio, parla ad una pianta posta su una colonnetta. 

Ulpio:       Aurelio, ma come ti sei dimagrito! E poi perché hai fatto crescere i capelli?

Aurelio:    Ma no… (Si alza in piedi e lo picchietta sulla spalla) Senatore Ulpio…

Ulpio:       Aspetta, non vedi che sto parlando con il grande Aurelio Lepido?

Aurelio:    E io sono qui.

Ulpio:       Ah, sei passato da quest’altra parte?

Aurelio:    No, sono sempre stato da quest’altra parte. (L’aiuta a sedere in direzione giusta)

Ulpio:       Ma allora io con chi stavo parlando? Con un soldato? Uno schiavo?

Aurelio:    Una pianta! (E gli siede accanto)

Ulpio:        Caspita! Ma allora la mia vista è proprio peggiorata.

Aurelio:    Stai tranquillo, senatore Ulpio, un giorno inventeranno un oggetto per far vedere

                   la gente. Dovrai aspettare solo un migliaio di anni!

Ulpio:        Va bene, ma ora parliamo di affari. Credi che io sia venuto qui solo per farti gli

                   auguri? No, c’è dell’altro. Ho idee importanti per me e per te. Vuoi sentirle?

Aurelio:     Sono vicino a te. Ti ascolto.

Ulpio:        Vedi, Aurelio, io, senatore già lo sono. Ma sarei ben fiero di lasciare la mia

                   posizione. E sai chi voglio al posto mio? Te!

Aurelio:     Io senatore? E tu?

Ulpio:        Io… imperatore!  

Aurelio:     Ah, è una bella idea. Soprattutto è tranquilla e non deve morire nessuno!

Ulpio:        Aurelio, Aurelio, ogni grande vittoria presuppone spargimento di sangue.

Aurelio:     E ti pareva! Ma in questo caso, chi deve morire? Io?

Ulpio:        No.Demostene Licinio.

Aurelio:     E che c’entra Demostene Licinio?

Ulpio:        Vuole la morte dell’imperatore. Le mie spie l’hanno scoperto. Ma non posso

                   smascherarlo, perché non ho prove.

Aurelio:     Ecco, bravo, io direi che fai benissimo ad uccidere Demostene Licinio, così io

                   non devo fare… insomma, mi capisco io!

Ulpio:        Ma non lo ucciderò io. Ci penserai tu.

Aurelio:     Io? No, no, non se ne parla proprio.

Ulpio:        E’ tutta qui la tua ambizione? Come vuoi diventare senatore se lui resta vivo?

Aurelio:     Ma qua si è preso un vizio che non mi piace: tutti vogliono che io uccida

                   qualcuno. E che mestiere faccio? Il sicario?

Ulpio:        Non ti capisco.

Aurelio:     No, niente, mi capisco sempre io. Insomma, senatore Ulpio, io mi rifiuto.

Ulpio:        Benissimo. Allora dirò in Senato che sei un traditore. Così, addio carriera!

Aurelio:     No, no, aspetta. Ci posso pensare qualche mese?

Ulpio:        No, devi rispondermi adesso… e la tua risposta deve essere “sì”!

Aurelio:     (Si alza e gironzola, poi risponde) E va bene. Sì!

                   Dalla comune entra Quintilius, al solito, con le mani protese.   

Quintilius: Te l’avevo detto, Aurelio: io vedo il tuo futuro triste e nebuloso!

Aurelio:     Adesso ci mancava solo questo qui!

Ulpio:        E chi è che parla?

Quintilius: Io sono colui che vede il male prima che succeda.

Ulpio:        Uno che vede? Beato te!

Aurelio:     Ma no, è solo un sensitivo. Senti, Quintilius, ora non è il momento. Vattene!

Quintilius: Non posso. Quell’uomo seduto sul triclinio sta cercando di offuscarti gli occhi.

                    Tu non vedrai più nulla dinnanzi a te.

Aurelio:     Che cosa? Avrò una vista pessima come lui?

Ulpio:        (Si alza in piedi) Che state blaterando, tutti e due? Aurelio, andiamocene in un

                   posto più tranquillo!

                   Ma prende sottobraccio Quintilius e lo tira a sé verso sinistra.

Aurelio:     (Li ferma) No, no, aspetta. Dove vai?

Ulpio:        Lasciami in pace. Sto andando con Aurelio in un’altra stanza.

Aurelio:     Ma Aurelio sono io.

Ulpio:        E questo chi è?

Quintilius: Sono Quintilius!

Ulpio:        (Gli lascia subito il braccio) E come osi metterti sotto il mio braccio? Aurelio,

                   quando sarà finita la tua missione, tu dovrai tornare a vivere a Roma.

Aurelio:     E perché?

Ulpio:         Non più lontano da me.   

Quintilius: (Comincia a parlare con movenze effeminate) Che? Vuoi portarmi via Aurelio?

Ulpio:        (Comincia a parlare con movenze effeminate) Io lo conosco da prima di te!

Aurelio:     (Li guarda sconvolto) Eh?

Quintilius: (Effeminato) Aurelio, ascoltami: non seguire lui. Ti porterà alla rovina!

                   Gli fa una carezza e poi esce via di casa, camminando in modo effeminato.

Ulpio:        (Non effeminato) Dunque, Aurelio, vogliamo appartarci?

Aurelio:     Ehm… è proprio il caso?

Ulpio:        Stai tranquillo.  (Gli si mette sottobraccio)

Aurelio:     Senatore Ulpio, io non immaginavo che tu fossi… che tu fossi… che tu fossi!

                   Ed escono via a destra. Da sinistra torna Claudio che si fa vento con le mani.

Claudio:    Aria, aria! Basta, non ne posso più.

                   Sempre da sinistra, lo raggiunge Demostene. Gli alita in faccia.

D.Licinio:  Claudio!

Claudio:    Mamma mia! (E si distanzia)  

D.Licinio:  (Gli si avvicina di nuovo e gli parla in faccia) Claudio!

Claudio:    Oddio mio!

D.Licinio:  Ma vuoi ascoltarmi?

Claudio:    Sì, sì, ti ascolto. Però ti prego, non parlare.

D.Licinio:  E se non parlo, come mi ascolti?

Claudio:    D’accordo, prego, prego, parla. 

D.Licinio:  (Si guarda intorno e gli parla) Io ho il sospetto che il senatore Ulpio lo

                   convinca a tradirci. Non mi fido più di Aurelio.

Claudio:    Ma come?

D.Licinio:  Già da tempo lo sospettavo. Allora ho un compito per te: uccidere Ulpio.

Claudio:    Credi che Aurelio non lo farà?

D.Licinio:  (Gli parla in faccia) No!

Claudio:    (Barcolla un po’) Aiuto!

D.Licinio:  Che hai?

Claudio:    (Si allontana un po’ da lui e gli risponde) D’accordo, farò come vuoi.

D.Licinio:  Vorrà dire che quanto ho promesso ad Aurelio, sarà invece tuo.

Claudio:    (Sognante) Mio!

D.Licinio:  (Gli torna vicino e gli parla in faccia) Sì, tuo!

Claudio:    Ho capito. Ma adesso stai per andare via? Sì? E allora ti accompagno fuori.

D.Licinio:  Va bene. Dirai ad Aurelio che non ho potuto attendere il suo ritorno. Ti

                   raccomando, Claudio. Il futuro dell’Impero Romano dipende da te. Vieni!

                   I due si avviano ad uscire, con Demostene che parla in faccia a Claudio.

                   Claudio, non fallire!

Claudio:    Bastaaa!

                   Ed escono via.

9. [Tutti i personaggi, tranne Orbiana]

                  Da sinistra entra Sabina.

Sabina:     Devo prendere i soldi che mi offre Aurelio per curarmi e scappare via. Speriamo

                  solo che faccia presto a darmeli.

                  Dalla comune entra Cornelio. Pare contrariato. 

Cornelio:  Voglio scappare via da questa casa. Mi daranno per morto, ma in realtà fuggirò

                   nella mia terra natale: Capua!

Sabina:     Cornelio, ma che è successo?

Cornelio:  Niente, Sabina, lascia stare. Mi sento trattato come uno schiavo. Devo fingermi

                  malato, così dico che andrò a morire altrove. Perché non fai anche tu così?

Sabina:     Ehm… io? No, ma io mi trovo bene. Non me ne andrò mai da qui.

                  Dalla comune entra Marco Tullio e si avvicina ai due.

Marco T.: Sabina, perché non gli dici la verità? (E comincia a grattarsi addosso)

Cornelio:  (A Sabina) Ma chi è lui? (E si gratta pure lui addosso) E perché appena è

                  entrato, io ho cominciato a grattarmi addosso?

Sabina:     (Grattandosi addosso) E’ Marco Tullio, colui che mi ha venduta ad Aurelio.

Marco T.: Se non erro, tu ti chiami Cornelio.

Cornelio:  Sì.

Marco T.: (Smette di grattarsi) Ho una proposta da farti: io pago 1000 sesterzi ad Aurelio e

                   ti compro, così ti rivendo ad altri padroni per il doppio della cifra.

Cornelio:  E questa sarebbe una proposta interessante?

Marco T.: Ma no, è tutta una finta. E’ una bugia che mi serve per liberarti da Aurelio. In

                  realtà tu dovrai ricompensarmi in altro modo: voglio la spada di Aurelio.

Cornelio:  La spada di Aurelio?

Marco T.: Certo. La rivenderò a compratori possidenti, in modo da ricavarci una fortuna.

Cornelio:  E se io ti consegno la spada di Aurelio, tu mi ridonerai la libertà?

Marco T.: Parola di imbroglione! (E si gratta in testa)

Cornelio:  Accetto! (E si gratta in testa pure lui)

Marco T.: E allora ruba la spada. Poi saprà Sabina come trovarmi. Ti porterà lei da me.

Cornelio:  Io non so chi tu sia, ma ti ringrazio.

Marco T.: Non ringraziarmi. Allora, ti aspetto. Ave!

                   Esce di casa in fretta, grattandosi dappertutto. Cornelio smette di grattarsi.

Cornelio:  Incredibile: quel tizio è uscito ed io non mi gratto più. Hai sentito, Sabina? Se

                   rubo la spada di Aurelio, sono libero.

Sabina:     Allora ti conviene rubarla subito, altrimenti il mio padrone se la porta in guerra.

Cornelio:  Ah, già. Ma dove la tiene?

Sabina:     Sotto il suo talamo c’è un nascondiglio. Vieni, ti ci accompagno io.

Cornelio:  Grazie!

                  La tira per mano, vanno a sinistra. Dalla comune riecco Claudio e Demostene.

D.Licinio: Maledizione, ci sono i soldati del senatore Ulpio, in giro. Non devono vedermi.

Claudio:   Cosa pensi di fare, adesso?

D.Licinio: Ascolta. (Gli si avvicina per parlargli) Io dico che…

Claudio:   (Si scansa) Bravo, ottima idea: nasconditi fino a quando il sole non sarà calato.

D.Licinio: Ma io non volevo dire questo. La mia idea è un’altra. Vuoi sentirla?

Claudio:   Sì, però mentre me la dici, io controllo la casa. (Finge di guardarsi intorno)

D.Licinio: Va bene. Allora io direi che sia il caso di uscire per una via segreta.

Claudio:   Ma certo: Aurelio ha un passaggio segreto che conduce direttamente alla strada.

D.Licinio: E dov’è?

Claudio:   Nella sua camera da letto, sotto il suo talamo.

D.Licinio: E tu sai come ci si arriva?

Claudio:     Certo che lo so. Io sono il suo braccio destro.

D.Licinio:   E allora conducimi là. (Gli si avvicina e gli parla) Io ti farò fare carriera! Sìììì!

Claudio:     (Stufo) E andiamo! Prima che entri qualcuno.

                    I due escono a sinistra. Da destra tornano sottobraccio Aurelio ed Ulpio.

Ulpio:         Aurelio, ma la tua dimora deve essere enorme. Solo che non capisco una cosa: a

                   che ti serve una stanza per le torture?

Aurelio:     Una stanza per le torture?

Ulpio:         Sì. C’erano dei tridenti, degli oggetti in legno e dei grossi contenitori in metallo.

Aurelio:     Ma quella era la cucina!

Ulpio:        Capisco. E poi un’altra cosa: lì dentro c’erano delle persone. Io le ho salutate ma

                   loro non mi hanno risposto. Pretendo rispetto. Tu devi punirle come si conviene.

Aurelio:     Ma non posso.

Ulpio:        E invece tu le devi frustare a sangue!

Aurelio:     Ma quelle sono delle statue di gesso. Come faccio a frustarle?

Ulpio:        Ah, ehm… senti, Aurelio, prima di andar via, io avrei una richiesta: vorrei

                   vedere la tua spada. Si dice che sia stata fatta con la lava di un vulcano.

Aurelio:     Sono soltanto leggende. Comunque vieni con me, la tengo in un nascondiglio

                   nella mia camera da letto. Te la faccio vedere. Anzi, te la faccio toccare!

                   Si mettono sottobraccio ed escono a sinistra. Ma poco dopo, si sentono delle

                   grida. Di scatto, entrano Valeria e Flaminia che indossano lenzuola bianche.

Le due:      Aiuto! Aiuto!

Flaminia:  E tu che ci facevi nel mio letto?

Valeria:     Piuttosto, tu che sei venuta a fare?

Flaminia:  Adesso capisco tutto. Quell’infame di Aurelio!

                   Da sinistra entrano Sabina e Claudio, di corsa.

Sabina:      Claudio, ti prego, portami in salvo dalla furia di Aurelio!

Claudio:    E a me chi mi difende dalla sua furia?

                   Da sinistra entrano sottobraccio Demostene ed Ulpio.

Ulpio:        Aurelio, Aurelio, che succede?

D.Licinio:  Ma che Aurelio? Tu che ci fai qua dentro?

Ulpio:        Questo alito non mi è nuovo. Sembra quello di…!

                   Ed esce pure Aurelio, arrabbiato.

Aurelio:     Insomma, che succede qua? Perché tanta gente nella mia camera da letto? E

                   perché Flaminia e Valeria stavano nel mio talamo? Non saranno mica…?

                   Dalla comune, entra Quintilius, al solito, con le mani protese verso l’alto.

Quintilius: Sventura, sventura nella casa di Aurelio Lepido: adultéri e trame alle sue spalle!

Aurelio:     Che? Ah, questo stava succedendo? Se soltanto avessi la mia spada, io…

                   Ad un tratto tutti notano Cornelio uscire da sinistra con la spada di Aurelio.

                   Quatto, quatto, si dirige verso l’uscita. Aurelio lo rincorre e lo ferma.

                   La mia spada!

Cornelio:   (Spaventato) Aaah! Ehm… la stavo portando fuori casa a prendere aria!

Aurelio:     Rendimela! (Gliela sfila di mano e la brandisce) Giustizia, tremenda giustizia

                   contro tutti!

                   Comincia a rincorrere tutti che fuggono spaventati da Aurelio, furibondo.

FINE ATTO PRIMO

Herculaneum, villa del generale romano Aurelio Lepido, un anno dopo.

ATTO SECONDO

VOCE NARRANTE: 79 dopo Cristo, 24 agosto. Un anno è già volato. Il successor di Vespasiano è Tito Flavio Vespasiano, detto Tito. “Amor e delizia dell’umanità”, fu definito. Ma torniamo ad Aurelio: è vivo o morto? Ecco il mistero. Ragione o torto, non si sa il falso, ma neanche il vero.

1. [Demostene e Flaminia. Poi Sabina e Marco Tullio ]

                   A centro stanza, Demostene e Flaminia si tengono per mano, teneramente.

D.Licinio: Finalmente soli. Come direbbe Aurelio: un giorno inventeranno la musica per un

                  ballo lento tra due innamorati.

Flaminia: Demostene, perché hai nominato Aurelio?

D.Licinio: Scusami, hai ragione. E allora sposami, così non te lo ricorderò più!

Flaminia: Impossibile. Sono ancora sposata con quello lì.

D.Licinio: Ma io, Flaminia, non vedo l’ora. Sei l’unica donna che non mi ha mai rifiutato.

Flaminia: E perché le altre non ti vogliono?

D.Licinio: Perché dicono che ho l’alito di un cammello in fin di vita!

Flaminia: Ma che sciocchezze!

D.Licinio: Ti ringrazio, cara!

                  Si volta e passeggia soddisfatto, mentre Flaminia fa lunghi respiri e si fa vento

                  con le mani. Lui poi torna da lei (che fa finta di niente).

                  Eppure io credo che Aurelio sia morto.

Flaminia: Perché lo pensi?

D.Licinio: In genere non è mai stato fuori tanto tempo. E’ partito un anno fa. E poi ormai la

                  conquista dei britanni è già avvenuta. Ma lui non ha dato più sue notizie.

Flaminia: E quindi io, come vedova, ho diritto a qualcosa?

D.Licinio: Sai, Flaminia, tu quasi mi spaventi. Non è che un giorno farai così pure con me?

Flaminia: Io Aurelio non lo amo. Con te invece è diverso.

D.Licinio: (Le alita in faccia) Ah, grazie!

Flaminia: Mamma mia!

D.Licinio: Allora io direi di raggiungere il nostro talamo.

Flaminia: Non vedo l’ora.

                  I due si avviano a sinistra, poi Flaminia si ferma e Demostene fa altrettanto.

                  Aurelio era proprio un idiota. Pensava lo tradissi con quella Valeria: una donna!  

D.Licinio: Perché parli al passato?

Flaminia: L’hai detto tu: è morto!

                  I due vanno a sinistra, sghignazzanti. Dalla comune ecco Sabina e Marco Tullio.  

Marco T.: Sabina, scusami un attimo. (E comincia a grattarsi addosso)

Sabina:     Cosa c’è?

Marco T.: No, niente, qualche pulce ribelle! (Smette di grattarsi) Dunque, dicevamo? Ecco:

                  ma sei certa di quel che hai udito? Cioè, Aurelio potrebbe essere davvero morto?

Sabina:     Sì, in Britannia, sul fiume Tay. Queste sono le voci che corrono, poi non so altro. 

Marco T.: E questo ora è un guaio. (Si gratta in testa)

Sabina:     Ti gratti in testa perché hai avuto un’idea?

Marco T.: No, per colpa dei pidocchi!

Sabina:     Insomma, il tuo piano è fallito prima di cominciare.

Marco T.: Già. Non riceveremo più il danaro per curarti. (Si gratta in testa)

Sabina:     Vuoi smetterla di grattarti in testa per i pidocchi?

Marco T.: No, stavolta ho avuto un’idea: come si chiama il corteggiatore di Flaminia?

Sabina:     E’ il console Demostene Licinio.

Marco T.: E’ ricco assai?

Sabina:     E’ stato ambasciatore in Egitto, nei Balcani ed in Galilea. Ed è pure attraente!

Marco T.: Attraente? Con quell’alito?!

Sabina:     Che c’entra? Io intendo fisicamente. Ma… perché? Quali idee hai?

Marco T.: Ormai non otterremo nemmeno un denario per curare la tua malattia. E Cornelio              

                   non è nemmeno riuscito a rubare la spada di Aurelio. A questo punto, ci faremo

                   pagare bene dal grande nemico del console: il senatore Ulpio. E ciò grazie a te.

Sabina:     E che ruolo ho io?

Marco T.: Niente, lo ammazzerai!

Sabina:     Cosa? No, no, no! Non se ne parla nemmeno.

Marco T.: Silenzio! Tu lo farai e basta. Andiamo! Vieni con me, così ti spiego il piano.

Sabina:     No, Marco Tullio, no, no.

                  Se la porta via a destra.  

2. [Aurelio e Claudio. Ulpio ed Orbiana. Poi Quintilius e Cornelio]

                  Dalla comune entra Aurelio portato a braccia da Claudio. Il primo ha ferite sul

                  viso e una mano sulla testa dolorante. Il secondo ha ferite su volto e braccia.

Claudio:   Vieni, vieni, siamo arrivati.

                  Lo aiuta a sedersi sul triclinio. Poi gli parla.

                  Dopo tanto viaggiare, finalmente siam tornati a casa. Ti senti bene?

Aurelio:    (Confuso) Sì, sì, sì.

Claudio:    Non vuoi curare le ferite che hai sul volto?

Aurelio:    (Confuso) No, no, no.

Claudio:    Allora fai vedere al dottore la botta che hai ricevuto alla testa.

Aurelio:    (Confuso) Sì, no, sì.

Claudio:    Non ho capito: sì o no?

Aurelio:    (Confuso) No, sì, no.

Claudio:    Va bene, allora vado a farmi curare le mie ferite. Posso?

Aurelio:    (Confuso) Sì, no, sì.

Claudio:    (Perplesso) E… quindi… col tuo permesso… Ave!

                   Fa il saluto romano e esce. Aurelio, confuso, si guarda intorno, poi si interroga.  

Aurelio:     Ma… chi sono io? Perché esisto? Cosa ci faccio al mondo? (Si alza e gironzola)

                   E perché mi trovo in questa casa? Sarà mia? Adesso sai cosa faccio? Vado al

                   cancello qua fuori e interrogo la gente in strada.

                   Esce di casa e lo si sente fermare la gente per domandare.    

                   Ehm… chiedo scusa, signore, sai per caso chi sono io?

Signore:     Ma chi ti conosce?  

Aurelio:     (Ironico) Grazie, molto gentile! Adesso domando a qualcun altro. Ehm… scusa,

                   signora, ma io abito in questa casa?

Signora:    E vuoi saperlo da me?

                   Aurelio torna in casa, deluso e dubbioso.

Aurelio:    Ammazza, che educazione c’è in giro! E ora cosa faccio? (Si siede sul triclinio

                   e…) Un momento, ora ricordo chi sono: io mi chiamoCaio Sempronio. Sono

                   uno schiavo dell’imperatore Nerone. Ho bisogno di unospecchio. (Si alza, trova

                   una lastra di argento alle sue spalle e si guarda) Ma costui sono io? (Fa delle

                   smorfie) Come sono cambiato. Ero uno schiavo ed ora sono un ricco signore.

                   Ma se allora sono ricco, questa casa è mia. E avrò anche molti soldi. Sai cosa

                   faccio? Prima di tutto, cerco una cucina. E poi dopo cerco i soldi. Che bello!

                   (Poi si guarda intorno) Già, ma dov’è la cucina? Alla mia destra o a sinistra? Io

                   credo a sinistra. Solo un imbecille potrebbe far mettere una cucina a destra! E sì!

                   Ed esce via a sinistra. Dalla comune entra Orbiana. Si guarda intorno, poi va  

                   fuori e torna recando per mano Ulpio (sempre con la sua pessima vista, col viso

                   parzialmente coperto dal mantello).

Orbiana:   Non c’è nessuno. Puoi liberare il tuo viso dal mantello.

Ulpio:        (Così fa) Vengo or ora da Roma. Mi han portato notizie incoraggianti: un nostro

                   contingente è stato attaccato da ribelli britanni. Sai chi lo guidava? 

Orbiana:   Dalla tua felicità, devo supporre si tratti di Aurelio.

Ulpio:        Già, proprio lui. Finora non è rientrato alcun legionario da quei luoghi. Eppure si

                   trattava della missione più facile della storia dell’Impero.

Orbiana:   E dunque?

Ulpio:        Sono qui come ambasciatore per esprimere cordoglio alla vedova Flaminia.

Orbiana:   Ed io cosa c’entro, in questa storia?

Ulpio:        Avrei potuto chiedere quanto segue a Valeria, ma visto che lei si fa coinvolgere

                   troppo emotivamente, sarai tu ad uccidere Demostene Licinio.

Orbiana:   Sempre ai tuoi ordini, senatore Ulpio. Ma, come ben sai, ogni cosa ha un prezzo.

Ulpio:        Cinquantamila sesterzi.

Orbiana:   Centomila!

Ulpio:        (Gironzolando) Orbiana, se non ricordo male, tu hai ucciso mia moglie.

Orbiana:   Tu mi hai pagata per questo.

Ulpio:        Già, ma non ci sono prove. Però ci sono testimoni che ti hanno vista.

Orbiana:   Va bene, 50.000 sesterzi.

Ulpio:        Ed ora inoltrami dalla vedova di Aurelio Lepido, Flaminia.  

Orbiana:   Ai tuoi ordini. 

                   Lei lo conduce a destra. Dalla comune ecco Cornelio (disperato) e Quintilius.

Cornelio:   Che cosa triste! Che cosa triste!

Quintilius: Piangi per Aurelio?

Cornelio:   Sì, Quintilius. Lui era brutto, antipatico, velenoso, scorretto, presuntuoso, avido,

                   incosciente, intollerante alle altre razze, infame, stupido, arrogante, violento,

                   disonesto, barbaro, ingiusto, scostumato, nauseante, farabutto, sciagurato,

                   perverso e pervertito… ma per il resto, era una brava persona!

Quintlius: Eppure io gliel’avevo detto che prevedevo il suo futuro triste e nebuloso. Ma ho

                   letto tra le stelle che lui non sarebbe morto.

Cornelio:  E si vede che c’era un errore di grammatica! Da quando Vespasiano ha concesso

                  privilegi ai retori e ai grammatici, non si capisce più niente.

Quintlius: Ma cosa dici? Chi può salire in cielo a correggere ciò che è scritto nelle stelle?

Cornelio:  E intanto il mio padrone mi manca. Ora chi mi frusterà quando sbaglierò a recare

                  i suoi messaggi? E chi mi prenderà a calci nel sedere ogni volta che è arrabbiato? 

Quintlius: Il tuo futuro sarà triste e nebuloso.

Cornelio:  Pure il mio?

Quintlius: Certo. 

Cornelio:  Hai ragione. Ora in questa casa, al posto di Aurelio, ci sarà Demostene Licinio.

Quintlius: Eppure vedi, io ho una sensazione strana. Si tratta di Aurelio.

Cornelio:  No, per favore, non ripetere più il suo nome. Preferisco andare nella stalla a

                  contemplare il posto dove c’era il suo cavallo.

Quintlius: Vengo con te.

                  I due si avviano verso la comune e Quintilius dice ancora qualcosa a Cornelio.

                  Eppure, Cornelio, io vedo il tuo futuro triste e nebuloso.

Cornelio:  Ancora? E basta!

                  Escono via.

3. [Aurelio, Sabina e Marco Tullio. Poi Demostene. Infine Ulpio]

                   Da sinistra torna Aurelio. Pare perplesso.

Aurelio:    Ma in questa casa non c’è la cucina? O forse è dall’altra parte? Il guaio è che non  

                   ho trovato neanche il danaro. (Siede sul triclinio, mano sulla fronte) Che mal di

                   testa! E soprattutto, che confusione. Ricordo solo che stavo bruciando Roma per

                   ordine di Nerone, quando un albero mi è caduto sulla testa. Poi, dopo, il buio!  

                   Chiude gli occhi. Intanto, da destra, entra Sabina. Parla con qualcuno dietro sé.

Sabina:     Marco Tullio, non muoverti da lì dentro. Capito? (Poi si dirige verso sinistra.

                   Nota Aurelio e lo saluta) Ah, qui c’è pure Aurelio!

                   Esce via a sinistra. Ma poco dopo torna, piena di felicità e va da lui.

                   Ma tu sei vivo!

Aurelio:    (Salta in piedi, spaventato) Chi è? (E la osserva interdetto)               

Sabina:     Io, Sabina! (Gli si inginocchia davanti) Bentornato! (Si rialza in piedi e gli parla

                   frenetica) Sì, tu sei tornato! Déi dell’Olimpo, grazie. Non sai quante preghiere  

                   ho fatto. La mia vita sarebbe stata vuota senza te. Ma dici qualcosa! Parla pure.

Aurelio:    No, io…

Sabina:     Bravo, sono felice per te. A proposito, com’è andata la battaglia? Hai vinto?

Aurelio:    No, io…

Sabina:     Bravo, lo sapevo che non avresti deluso tutti quanti noi. Adesso vado subito ad

                  avvisare Flaminia. Quella donna è schiava del tuo amore. La faccio venire?

Aurelio:    No, ma io…

Sabina:     Bravo, sapevo che avresti detto sì. Ma riposati pure. (Lo spinge sul triclinio) Io

                   torno subito. Sicuramente Flaminia sarà felice di sapere che sei qui!

                   Dopo un inchino, corre subito via a sinistra.

Aurelio:    Questa deve essere la mia donna. Dice di chiamarsi Sabina. Però com’era vestita

                   male. Ma sì, dev’essere un tipo semplice. Il guaio è che io non me la ricordo

                   proprio! Ha detto che andava a chiamare una certa Flaminia, schiava del mio

                   amore. Hai capito? Allora ho pure la schiava! Ho deciso: passerò una notte di

                   passione con Sabina. E la mia schiava Flaminia dovrà preparare tutto per bene!

                   Da destra intanto entra Marco Tullio che nota Aurelio seduto e gli si avvicina,

                   felice, da dietro, silenzioso. Intanto Aurelio si lamenta, dolorante alla testa.

                  E invece, mi sa che stanotte dormirò. Mi duole la testa. Sto proprio male assai.

                  Marco Tullio comincia a grattarsi addosso, Aurelio fa altrettanto e piagnucola.

                  Adesso mi prude pure addosso! Non posso fare a meno di grattarmi!

                  Marco Tullio comincia a grattarsi in testa ed Aurelio fa altrettanto. 

                  Oddio, ora mi prude in testa! Ma cos’è questo prurito? Devo stare male assai!

Marco T.: (Gli si mostra e fa il saluto romano) Ave!

Aurelio:    Mamma mia, e chi è questo? Com’è entrato in casa mia?

Marco T.: Esimio, sono indegno di nominare il tuo nome. Posso avere l’onore di parlarti?

Aurelio:    Ehm… sì, va bene. Siedi vicino a me.

Marco T.: No, ma non oserei mai.

Aurelio:    Ma te lo dico io.

Marco T.: Non me lo avevi mai permesso, prima.

Aurelio:    Perché, io e te ci conosciamo?

Marco T.: Hai ragione, non ti ricordi di me. Le mie apparizioni sono talmente fugaci!

Aurelio:    E allora siedi e ricordami il tuo nome.

Marco T.: Grazie. (Si accomoda vicino a lui) E dunque, io sono Marco Tullio, il tuo

                  venditore di schiavi di fiducia. L’ultima volta ti ho venduto una schiava.

Aurelio:    Una schiava? Ah, ecco, ora capisco. (Dev’essere quella Flaminia di cui parlava

                  Sabina!)… E dimmi un po’, Marco Tullio, cosa ti conduce a me?

Marco T.: Ma come, non ricordi? La malattia avanza. (Si gratta addosso) Bisogna curarla.

Aurelio:    (Si gratta anche lui, preoccupato) Oddio mio, la malattia avanza? Ed è grave?

Marco T.: (Si gratta in testa) Gravissima!

Aurelio:    (Si gratta anche lui in testa, preoccupato) E come si fa?

Marco T.: Prima che tu partissi, ho parlato con la tua donna.

Aurelio:    La mia donna?

Marco T.: Sono indegno di nominarla. Le ho detto la verità sulla malattia. E lei mi ha

                  risposto che al tuo ritorno, non sarebbero mancati i soldi per curarla. 

Aurelio:    E quanto occorre?

Marco T.: (Grattandosi addosso) 500.000 sesterzi.

Aurelio:    (Grattandosi addosso) Déi dell’Olimpo! Eh, beh… se proprio ci vuole tanto

                   danaro, va bene così.

Marco T.: (Felice) Sì? E non facciamo passare troppo tempo.

Aurelio:    Per me va benissimo.

Marco T.: Poi al medico penso io. E allora posso dirlo anche a quell’idiota di Sabina! (Si

                  alza in piedi) A tra poco, a tra poco. 

Aurelio:    (Si alza pure lui) Sicuro.

Marco T.: (Gli stringe la mano) Vedrai, tutto si sistemerà. (Poi si gratta in testa) Vedrai!

                   Anche Aurelio si gratta in testa, Marco Tullio esce a destra grattandosi in testa.

Aurelio:    Allora è vero, sono malato. Un momento, ma quel Marco Tullio come lo sa? E

                  poi cosa gli importa? E come osa chiamare idiota la mia donna, Sabina? (Si siede

                  triste) E intanto, la mia Sabina mi salverà la vita investendo 500.000 sesterzi. E’

                  pure ricca! Però! (Si tocca la testa) Mamma mia, ho la testa che mi scoppia!

                  Da sinistra entra Demostene. Va verso destra, ma si blocca perché ode Aurelio.

                  Sto proprio male. Ma male assai!

                  Demostene fa una espressione felice. Gli si avvicina da dietro sorridente. E’

                  all’altezza dell’orecchio di Aurelio che però non lo nota e, anzi, si lamenta.

                  Sto talmente male che sento una strana puzza vicino a me. Quasi una puzza di

                   cadavere! (Si dispera) Ma non è che sono io? (Si odora addosso)

D.Licinio: Bentornato!

Aurelio:    (Spaventato) Aiuto, sento delle voci! (Si alza in piedi)

D.Licinio: Mio carissimo amico, come son contento di vederti. Lascia che ti abbracci.

Aurelio:    No, no, per favore!

D.Licinio: Ma io voglio abbracciarti. Vieni qua.

                  Lo abbraccia, poi gli parla in faccia (Aurelio fa una pessima faccia). 

                  Girava voce che tu fossi morto, ma invece noto che stai benissimo. Bravo!

Aurelio:    (Si divincola) Basta! 

D.Licinio: Ma… ma come? Eviti il tuo migliore amico, il console Demostene Licinio?

                  Insomma, ho voglia di festeggiarti e di ascoltare come sono andate le cose là.

Aurelio:    Là dove?

D.Licinio: Ho capito, non hai voglia di parlarne. Bene, ora che sei tornato, possiamo

                   mettere a frutto il nostro piano ordito prima della tua partenza. (Da una borsa

                   che ha con sé tira fuori un pugnale) Tieni!

Aurelio:    (Prende il pugnale) E cosa ci devo fare con questo?

D.Licinio: Serve per il console Ulpio. Devi ucciderlo. E poi dopo tocca all’imperatore.

Aurelio:    L’imperatore? Nerone?

D.Licinio: Ma che Nerone? Adesso Nerone non c’è.

Aurelio:    E dov’è andato?

D.Licinio: Vespasiano.

Aurelio:    E’ andato nel vespasiano?

D.Licinio: No, adesso c’è Tito Flavio Vespasiano, detto Tito. E tu ucciderai pure lui.  

Aurelio:    Ma io…

D.Licinio: No, basta, non aggiungere altro. Parleremo al termine della tua missione. Ave!

                  Esce via di casa. Aurelio si guarda il pugnale in mano. Da destra entra Ulpio

                  che nota Aurelio e va da lui (che lo guarda sorpreso).

Ulpio:       Scusa, lasciati guardare un momento. (Per la sua pessima vista, lo osserva molto

                  da vicino) Ma allora sei vivo! Lascia che io ti abbracci.

Aurelio:    No, aspetta. Prima fammi sentire l’alito!

Ulpio:       L’alito? E va bene. (Così fa)

Aurelio:    Beh, non c’è male. E dimmi un’altra cosa: di solito, ti gratti addosso e in testa?

Ulpio:       No.

Aurelio:    E allora puoi abbracciarmi.

Ulpio:       Ma io vorrei fare molto di più che abbracciarti. (Poi effeminato) Hai capito?

Aurelio:   (Perplesso) Ma in che schifo di posto sono capitato?

Ulpio:       (Estrae un pugnale) Senti, visto che sei qui, è giunta l’ora di compiere la nostra

                  missione. (Gli lascia il pugnale) Tieni!

Aurelio:    Un altro? E chi devo uccidere? Ah, capisco: il senatore Ulpio e poi l’imperatore.

Ulpio:       Dai, non scherzare. Perché mai dovresti uccidermi?

Aurelio:    Ma perché, tu sei l’imperatore?

Ulpio:       Ti ho detto di non scherzare.

Aurelio:    Allora sei il senatore Ulpio.

Ulpio:       Ecco, bravo. Ti raccomando, il nostro obiettivo è il console Demostene Licinio.

Aurelio:    Che? Quello con l’alito da cammello? E tu credi che lui possa morire?

Ulpio:       Perché?

Aurelio:    Con quell’alito che si ritrova, il pugnale si rifiuta proprio di colpirlo!

Ulpio:        Dai, ora basta. Lui tra poco sarà qui. Io torno più tardi. Capito? Ave! 

                   Ulpio esce di casa. Aurelio si guarda i due pugnali in mano. 

Aurelio:     Fammi nascondere questi cosi! (Li posa nella sua armatura) Ora è meglio che

                   io sparisca, se no viene qualcuno con qualche altro pugnale!

                   Aurelio esce via a destra.

VOCE NARRANTE: La nostra storia è sempre più intricata. Io ve lo dissi qualche tempo prima. Mi esprimo chiaramente, anche se parlo in rima. Aurelio s’è addormentato servo e s’è risvegliato padrone. Ma attenzione all’inganno: un cervo non può diventar leone.

4. [Cornelio e Quintilius. Poi Claudio]

                   Dalla comune, entrano Cornelio e Quintilius. Sono sorpresi.

Cornelio:   Hai visto, Quintilius? Nella stalla c’è il cavallo di Aurelio.

Quintilius: E già, l’ho visto.

Cornelio:   Ma allora, lui è tornato. Tu avevi previsto che lui non sarebbe morto. La tua

                   profezia s’è avverata.

Quintilius: Io non sono un profeta, ma un sensitivo. Hai visto? Che ti avevo detto? Aurelio

                   non doveva morire. E comunque, la sua presenza qui, non dice nulla di buono.

Cornelio:   Per me, sicuramente! Appena mi vedrà, un paio di calci non me li leva nessuno!

Quintilius: Ma io non pensavo a te. Pensavo all’impero. Vedo un uomo che si avvicina a

                   noi con fare deciso. Sta per entrare dall’ingresso.

                   Dalla comune entra Claudio con fasciature sulle braccia e medicazioni sul viso.

Claudio:    Ora mi sento meglio!

Cornelio:   Tu?

Claudio:    Ah, qui c’è Cornelio. E c’è pure quel sensitivo menagramo.

Quintilius: Sicché, tu e lui siete appena rientrati dalla campagna di Britannia.

Claudio:    Esattamente.

Cornelio:   E dov’è Aurelio? E’ rimasto in campagna?

Claudio:    Ma che campagna? Lui, apparentemente sta bene, ma in realtà non è così.

Cornelio:   Ossia?

Claudio:    Abbiamo combattuto contro gli Ordovici. Sapete cosa vuol dire “ordovico”?

                   Colui che combatte con il martello. Ebbene, Aurelio è stato colpito con violenza

                   al capo con un martello. Non è morto ma… ha perso la memoria.

Cornelio:   Cosa?

Quintilius: La memoria?

Claudio:    Egli non ricorda più nulla. Me ne sono accorto durante il viaggio di ritorno.

Cornelio:   (Gioisce) Ma allora non ricorderà nemmeno di mandarmi in giro a Neapolis per

                   le solite commissioni! E perciò, non ricorderà nemmeno di picchiarmi!

Quintilius: (Triste) E non ricorderà nemmeno di ascoltare le mie previsioni sulla sua vita

                   triste e nebulosa! E perciò, non ricorderà nemmeno di pagarmi!

Claudio:    E non ricorderà nemmeno quali sono i piani studiati coi suoi generali per le

                   future battaglie. E a parte lui ed altre due persone, nessun altri li conosce.

Cornelio:   Ma chi se ne frega delle battaglie?

Claudio:    Incosciente! Ora lui è solo un danno per l’impero. E se qualcuno se ne accorge,

                   può rivoltarci contro anni ed anni di strategie militari.

Quintilius: Cosa ci converrebbe fare, allora?

Claudio:    (Si guarda intorno, poi dall’armatura tira fuori due pugnali e ne consegna uno

                   a testa ai due) Bisogna eliminarlo!

Cornelio:   E perché proprio io?

Quintilius: No, caso mai, perché proprio io?

Claudio:    Perché direte che lui ha tradito l’impero a vantaggio dei nemici. Nessuno di voi

                   due sarà processato, perché avrete salvato tutti noi da un tragico futuro.

Cornelio:   E io che ci guadagno?

Claudio:    La libertà.

Quintilius: E io?

Claudio:    Diventerai sensitivo imperiale. Proporrò al senatore Ulpio la tua candidatura.

Cornelio:   Io vado subito a cercare Aurelio!

Quintilius: E pure io!

                   I due si sparpagliano (Cornelio a destra, l’altro a sinistra), frettolosamente.

Claudio:    Quanto è facile imbrogliare la gente ambiziosa! Appena avranno ucciso Aurelio,

                   li farò impiccare entrambi.

                   Si guarda intorno e poi esce di casa.

5. [Aurelio, Sabina e Flaminia. Poi Orbiana e Valeria]

                   Da destra torna Aurelio.

Aurelio:    Ho trovato la cucina, solo che c’era troppa gente. Appena mi hanno visto, mi

                   hanno salutato: “Ave”! Ma non mi hanno lasciato toccare cibo. A questo punto,

                   io cerco il mio danaro. Poi esco e spendo un po’. Tanto, sono il padrone!

                   Si avvia a sinistra, quando si ritrova Sabina che lo ferma e lo porta al centro.

Sabina:      Dove vai? Aspetta!

Aurelio:     Che succede?

Sabina:      Non andare di là. Sta venendo lei di qua.

Aurelio:     Lei chi?

Sabina:      (Dalla manica estrae un pugnale e glielo consegna) Tieni, usalo contro di lei.

Aurelio:     (Lo prende) Un altro? E qui sto facendo collezione! Ma contro chi devo usarlo?

Sabina:      Flaminia!

Aurelio:     E perché?

Sabina:      Appena le ho detto che c’eri tu, si è armata anche lei. Avrà in mente idee losche!

                   Aspetta qui. (Va alla porta di sinistra e vi guarda dentro)

Aurelio:     (Tra sé e sé) Ma… ma… ma… queste sono cose da pazzi! Una schiava che

                   vuole uccidere il suo padrone a pugnalate! Insomma, in che mondo viviamo?

Sabina:      (Torna da lui) Eccola, sta arrivando. Ti raccomando, io non ti ho detto niente.

Aurelio:     Calmati. Questo pugnale glielo faccio mangiare! Prima però sentiamo cosa dice.

Sabina:      Va bene.

Aurelio:     Sabina, si vede che tieni tanto a me. Quei 500.000 sesterzi saranno spesi bene!

Sabina:      Marco Tullio ti ha detto tutto. (Raggiante) Perfetto!

                   Da sinistra entra Flaminia, ben vestita.

Flaminia:   E allora, dove si è cacciato?

Sabina:      (Si distanzia da lui) Ehm… Flaminia, lui è qui. Non lo saluti come si conviene?

Flaminia:   Stai zitta, cretina! So io come si saluta la gente.

Aurelio:     Ehi, ma che modo di parlare è questo?

Flaminia: Cosa? (Va da lui e gli dà uno schiaffo) Ecco fatto!

Aurelio:   A me?

Flaminia: Sì, a te. Così impari a non avvisarmi quando torni!

Aurelio:   (Si arrabbia) Come osi trattarmi così? In questa casa comando io. Capito?

Flaminia: E da quando in qua?

Aurelio:   Da sempre, ma se non te l’ho detto prima, da ora in avanti cambieranno le cose.

Flaminia: (Intimorita) Va bene, certo, non c’è bisogno che ti arrabbi. (Si siede sul triclinio)

Aurelio:    (Va vicino a Sabina) Cosa fa, ora? Ci dà le spalle?

Sabina:     Eh, beh!

Aurelio:    Ma è proprio maleducata. Come si è comportata in mia assenza?

Sabina:     Forse faccio male a dirtelo: prima del tuo arrivo, era a letto col console Licinio.

Aurelio:    Quello con l’alito da cammello? E con ciò?

Sabina:     Ma come? Un altro uomo.

Aurelio:    E come osa usurpare il mio letto per fare le sue cose con un uomo? 

Sabina:     Eh?

Aurelio:    Sai che ti dico? Falle subito una bella ramanzina.

Sabina:     Io?

Aurelio:    E certamente. In fondo è la tua schiava personale, non la mia.    

Sabina:     Cosa?

Aurelio:    Certo.

                  Da sinistra si scorge Valeria spiare i due. Aurelio conclude con Sabina.

                  E ricordati che io ti porto nel mio cuore. E ti ci porterò sempre. Capito?

                  Le dà un bacio sulla fronte, poi esce a destra. Sabina non si capacita.

Sabina:     Ma allora… il mio padrone… mi ama! E pensare che io sto per estorcergli

                  500.000 sesterzi con l’inganno. E lui invece preferisce me… a quella strega!

Flaminia: (Chiama) Sabina!

Sabina:     (Le si avvicina, guardandola male) Sì, mia padrona!

Flaminia: Anche stavolta è tornato dalla guerra.

Sabina:     Sono tanto felice.

Flaminia: Io no. Hai visto com’è stato freddo con me? Sembrava un altro!

Sabina:     In verità, anche tu non sei stata molto calorosa con lui.

Flaminia: Tu pensi che ci sia un’altra?

Sabina:     Se ci fosse, lui non avrebbe tutti i torti.

Flaminia: E allora, se non è morto in battaglia, morrà comunque. Però devo dire che non mi

                  aveva mai trattata così duramente. (Si alza in piedi) Mi credi? Mi è piaciuto!

                  Esce via a destra.

Sabina:     Donna infame! Ma come ha fatto Aurelio a sopportarti per tanto tempo? Lui ama

                  solo me ed io farò di tutto affinché loro si lascino. (Sognante) Aurelio, ti amo!

                  Esce via a destra. Da sinistra entra Valeria.  

Valeria:    Hai capito perché mi ha rifiutata? Si è invaghito di quella schiava. Ha ragione

                  Demostene Licinio, lui merita solo la morte. Ed io lo ucciderò.

                  Va per avviarsi verso l’uscita, ma da destra entra Orbiana che fa lo stesso

                   percorso e le due si notano.

Orbiana:   E tu cosa ci fai ancora qui?

Valeria:     Piuttosto, tu che ci fai ancora qui?

Orbiana:   Non sono cose che ti riguardano più, ormai! Hai fallito e questo basta.

Valeria:     Non ho fallito nulla.

Orbiana:  Sì? Vuoi sapere perché Aurelio ti ha rifiutata? Lui ama quella schiava di nome

                  Sabina. Capisci? Ha preferito una schiava da due soldi a te. Non servi a nulla!

Valeria:   (Imbarazzata) Cosa stai dicendo? Ti sbagli grossolanamente!

Orbiana:  E invece ti sbagli tu.

Valeria:   Meglio che tu vada in pace, prima che io… (Estrae un pugnale)

Orbiana:  Prima che io? (Estrae anche lei un pugnale)

Valeria:   Non vale la pena di sporcare il mio pugnale col tuo sangue. Almeno per ora.

                  Ripone il suo pugnale ed esce a sinistra. Orbiana invece fa riflessioni tra sé e sé.

Orbiana:  Se Valeria è ancora qui, vuol dire che ha un motivo diverso dal mio. Lo scoprirò.

                 Esce via pure lei a sinistra.

6. [Ulpio, Demostene e Claudio. Poi Cornelio, Quintilius e Flaminia]

                  Dalla comune entrano Ulpio e Demostene sottobraccio. Ascoltano Claudio.

Claudio:   E così stanno le cose veramente.

Ulpio:       Che cosa? Ora capisco perché mentre gli parlavo, sembrava non sapesse cosa gli

                  stavo dicendo. Allora non ha capito che doveva uccidere Demostene Licinio!

D.Licinio: E non ha capito nemmeno che doveva uccidere Ulpio.

Claudio:   E crede ancora che l’imperatore sia Nerone. La sua mente è rimasta a 15 anni fa.

Ulpio:       Cioè, presumibilmente, a quando aveva un’altra identità. Poi la perdita di

                  memoria l’ha trasformato in Aurelio Lepido.

D.Licinio: Ecco perché non esistono documenti sulla sua nascita.

Ulpio:       E allora è meglio lasciarlo in pace.

Claudio:   Con tutti i segreti che gli avete svelato sulle tresche in seno all’impero?

D.Licinio: Perché, tu pensi che lui possa rivelarle in giro?

Claudio:   (Gironzola) Sulla strada del rientro dalla Britannia, mi ha confidato alcuni

                  segreti sull’imperatore Nerone sconvolgenti.

I due:        (Interessati) E cioè?

Claudio:   Mi ha ricattato affinché io non rivelassi nulla a nessuno. Dunque, io non parlo.

D.Licinio: Hai capito niente, Ulpio? Ora ci toccherà zittire Aurelio.

Ulpio:       E in che modo? Lo manderemo in esilio?

D.Licinio: Vorresti esiliare un eroe di guerra? Ci attireremmo contro tutta Roma. Egli è

                  amato e conosciuto. Per cui, bisogna cambiare strategia.

Claudio:   Io ho già ordinato a due miei sicari di ucciderlo.

D.Licinio: Che cosa? Sei un traditore. Tu vuoi uccidere Aurelio.

Claudio:   Aurelio? Quale Aurelio? Egli non ha fatto più rientro dalla Britannia.

Ulpio:        A parte te, quante altre persone l’hanno visto tornare qui.

Claudio:   Altre duemila. Ma essi hanno constatato che Aurelio era ferito gravemente.

Ulpio:        E dunque, si dirà che le sue condizioni si sono aggravate e non è rimasto in vita.

D.Licinio: Sì, ma io non mi fido dei sicari di Claudio. Devo veder morire io stesso Aurelio.

Ulpio:        E se è per questo, anch’io devo vederlo morire. Insomma, si fa per dire!

D.Licinio: Dopodiché, ognuno per conto suo e nemici come prima! Diamoci la mano.

                   I due si stringono la mano (è Demostene che gliela afferra).

Claudio:   Se è per me, io non ho visto niente. E non ho nemmeno sentito!

Ulpio:       Ma dov’è ora Aurelio?

Claudio:   Non so. Con tutto il rispetto, cercatevelo! (Fa il saluto romano) Ave!

                  Ed esce a sinistra. Demostene ed Ulpio estraggono un pugnale a testa.

D.Licinio: A morte!

Ulpio:        Molto bene. Ehm… Demostene, mi accompagni? Non riesco a vedere l’uscita.

                  Escono di casa sottobraccio. Da destra ecco Cornelio e Flaminia (sconvolta).

Flaminia:  Cosa stai dicendo, Cornelio?

Cornelio:  Quello che ho saputo da Claudio.

Flaminia:  Quindi, Aurelio non ricorda minimamente che io sono sua moglie.

Cornelio:  E non ricorda niente di nessun altro. E’ rimasto con la mente indietro di 15 anni.

Flaminia:  Ma come ha fatto a sposarmi?

Cornelio:  Me lo domando anch’io!

Flaminia:  Un momento, ma se non ricorda niente, allora non ricorda nemmeno che siamo

                   sposati! Dunque, il nostro matrimonio non è valido.

Cornelio:   E c’è dell’altro: io e Quintilius lo uccideremo, così saremo gli eroi dell’impero.

                   Da sinistra entra proprio Quintilius col pugnale in mano.

Quintilius: Cornelio, l’hai trovat…? (Nota Flaminia e fa finta di nulla) Ah, ehm… Ave!

Cornelio:   Stai tranquillo, Quintilius, Flaminia sa tutto.

Quintilius: Meglio così, allora possiamo ucciderlo tranquillamente.

Flaminia:   No, questo non posso permetterlo.

Cornelio:   Amore di moglie?

Flaminia:   No, voglio ucciderlo io. (Prende il pugnale dalla mano di Quintilius) Metti qua!

Quintilius: E io come faccio?

Flaminia:   Cercati un’altra arma.

Cornelio:   Io, intanto, quando non ci sarà più Aurelio, gli prenderò la spada e la venderò.

Flaminia:   Ed io sposerò Demostene Licinio.

Quintilius: Ed io sarò il sensitivo di fiducia dell’imperatore. Il mio futuro si prospetta roseo

                    e senza nubi! Coraggio, in cerca di Aurelio!

                    Quintilius esce di casa, Cornelio e Flaminia escono a sinistra.

VOCE NARRANTE: Uccidere Aurelio è l’unica proposta? Questa è la domanda. Eppur nessuno cerca diversa risposta, ma ognuno altrui lo comanda. Attenzione: il colpo di scena sta per arrivare. Il quando e il dove non so, bisogna solo aspettare.

7. [Aurelio e Marco Tullio. Poi Sabina. Infine Demostene, Ulpio, Valeria ed Orbiana]

                   Da destra torna Aurelio. Pare rinfrancato.

Aurelio:     Ah, finalmente ho trovato qualcosa per rinfrancarmi: una vasca piena di latte. Io

                   l’ho bevuto tutto quanto, fino all’ultima goccia! Solo, non capisco perché questi

                   tengono il latte in bagno! Stravaganze da ricchi.

                   Estrae la propria spada e la lascia sul tavolo, poi si siede al tavolo stesso.

                   Ecco qua. Adesso va molto bene. E quando troverò i soldi, andrà pure meglio!

                   Già, i soldi. Mia moglie Sabina pagherà 500.000 sesterzi per curarmi. Che cara!

                   Dalla comune entra Marco Tullio. Lo nota e gli va vicino.

Marco T.:  Ave!

Aurelio:     Ah, sei tu, Marco Tullio. Accomodati pure.

Marco T.:  Grazie. (Così fa. Poi comincia a grattarsi)

Aurelio:     (Si gratta pure lui) Amico, io non ti ho fatto sedere per trasmettermi le pulci!

Marco T.:  Hai ragione, scusami. (Smette) E dunque, siamo pronti per i 500.000 sesterzi?

Aurelio:     Io? Ehm… la verità… è che ho bisogno di Sabina.

Marco T.: Capisco, vuoi tirare in ballo questo discorso alla sua presenza. Bene. Ma dov’è?

Aurelio:    E lo chiedi a me? Io dovrei saperlo, ma non lo so.

                  Da destra entra proprio Sabina.

Sabina:     Parlavate di me? Eccomi!

Aurelio:    Ah, Sabina, vieni. Accomodati con noi.

Sabina:     Ma… io? Accomodarmi allo stesso tavolo con te? Non oserei mai.

Aurelio:    Dai, cosa dici? (Si alza e la fa accomodare al tavolo, poi si riaccomoda) Certe

                  volte parli proprio come una schiava!

Marco T.: Allora direi di parlare del nostro argomento.

Aurelio:    Sì, giusto, i 500.000 sesterzi. Bene.

                  I tre si guardano imbarazzati, ma nessuno mette in mezzo l’argomento.

Marco T.: Forse è meglio non parlarne. Allora direi di posare il danaro sul tavolo. Bene.

                  I tre si guardano perplessi, ma nessuno mette il danaro. Aurelio si stufa un po’.

Aurelio:    Facciamo così: se volete, io esco. (Si alza in piedi) Questi sono argomenti

                  delicati. Se state soli, certe azioni riescono meglio! Col vostro permesso.

                  Esce di casa. 

Marco T.: Bene, Sabina. (Si alza in piedi) Forse è meglio che io esca. Questi sono

                  argomenti delicati. Se stai da sola, certe azioni riescono meglio! Con permesso.

                  Esce anche lui di casa.

Sabina:     E perché mi lasciano da sola? Se se vanno via, chi ce li mette i 500.000 sesterzi?

                  Si alza ed esce anche lei di casa. Poco dopo, Aurelio rientra portando

                  sottobraccio i due. Poi li lascia e gli parla.

Aurelio:    No, no, signori, così non va proprio bene. Non dobbiamo uscire tutti e tre.

                  Marco Tullio si gratta addosso e Aurelio fa altrettanto, così lo richiama.

                  Aoh, e basta! (Lo ferma) Fatti una lavata, ogni tanto!

Marco T.: Ma la mia presenza è inutile. Non devo essere io a mettere i 500.000 sesterzi.

Aurelio:    E nemmeno io.

Sabina:     E nemmeno io!

Marco T.: Un momento, ma allora chi ce li mette?

Sabina:     Io non di certo.

Marco T.: Ma io nemmeno.

Aurelio:    E che ce li metto, io?

Ma&Sa:   Eh, beh…!

Aurelio:    Ma no. Il medico che cura la mia malattia, va pagato da mia moglie.

Marco T.: Flaminia?

Aurelio:    No, Flaminia è la mia schiava.

Sabina:     Ma la schiava sono io.

Aurelio:    E Flaminia chi è?

Sabina:     E’ tua moglie.

Aurelio:    Ma che? Io non voglio lei. Voglio te. Non ricordo quando, ma io ti ho sposata!

Sabina:     Io lo vorrei tanto, ma non è andata così.

Marco T.: Insomma, ora basta. Se c’è qualcuno che è malato qui, si tratta di Sabina. E tu

                   devi pagare 500.000 sesterzi per curarla. Hai capito, Aurelio?

Aurelio:    Dove sta?

Marco T.: Chi?

Aurelio:    Aurelio!

Marco T.: Sta qua.

Aurelio:    Volete che gli parli?

Marco T.: Ma Aurelio sei tu.

Aurelio:    Io sono Aurelio? (Gironzola in stanza) Ma voi siete pazzi. Io non mi sono mai

                  chiamato Aurelio. Il mio nome è Caio Sempronio. Sono nato a Nocera.

Ma&Sa:    Eh?

Aurelio:    Insomma, io non ci capisco più niente: mi trovo in una casa che non conosco,

                  con un nome che non è il mio, con una donna che prima dice di essermi moglie e

                  poi invece è la mia schiava.

Marco T.: E i soldi?

Aurelio:    Ma quali soldi? Chi se li ricorda? Quindi, mi spiace Sabina, devi morire. E già.

                  Esce via a sinistra, allargando le braccia e non sapendo cos’altro dire.

Marco T.: (Perplesso) Meno male che non sei malata per davvero.

Sabina:     Appunto! Hai visto? Aurelio è tornato dalla guerra cambiato. Nemmeno mi

                  riconosce più. E non riconosce neppure sé stesso.

Marco T.: Bene, ma non drammatizziamo. C’è pur sempre il console Demostene Licinio.

Sabina:     No, per me basta così. Voglio rimanere schiava a vita! E’ questo il mio destino.

                  E torna via a destra, imbronciata.

Marco T.: Tu rinunci, ma io no. E poi vedrai!

                  Esce via, grattandosi addosso e in testa. Da sinistra entrano Orbiana e Valeria.

Orbiana:  Dimmi una cosa: quanto ti hanno pagata?

Valeria:    Non ti riguarda. E a te?

Orbiana:  Perché dovrei dirtelo?

Valeria:    E allora, va’ a quel paese.

                  Le due si mettono distanziate, a braccia conserte: Orbiana verso destra, Valeria

                  verso sinistra. Dalla comune entra Ulpio (sempre col manto a coprire il viso).

Ulpio:       Non c’è dubbio, Aurelio va fermato. (Nota Valeria e va da lei) Scusami, amico,

                  tu sei lo schiavo di Aurelio?

Valeria:    Ma io sono donna. Sono Valeria. Ho capito, ti serve Orbiana. E’ lì alla tua destra.

Ulpio:       Oh, grazie. (Va da Orbiana, camminando con mani avanti) Orbiana, sei tu?

Orbiana:  Sempre ai tuoi ordini.

Ulpio:       Brava. Lo hai ucciso?

Orbiana:  No. Purtroppo non ho ancora trovato il console Demostene Licinio.

Ulpio:       Ma io mi riferivo ad Aurelio.

Orbiana:  E cosa c’entra Aurelio?

Ulpio:       Ha perduto la memoria. Io non lo sapevo e gli ho riferito cose compromettenti.

Orbiana:  Cosa? Ma allora potrebbe essere pericoloso. E dunque, va eliminato.

Ulpio:       Ecco, hai capito tutto. Vieni, usciamo, così ti spiego il mio piano.

Orbiana:  (Nell’avviarsi ad uscire, dice qualcosa a Valeria) Non sei nessuno!

                  I due escono di casa, sottobraccio. Valeria è interdetta.

Valeria:    Non ho capito quella idiota e il suo protettore di cosa stavano parlando. E di chi.

                  Dalla comune entra Demostene che nota Valeria e le si avvicina.  

D.Licinio: Sei ancora qui?

Valeria:    (Infastidita dal suo alito, porta un braccio davanti al naso) Sì, esimio console.

D.Licinio: L’hai ucciso?

Valeria:    Non ancora. Ma stai attento, Ulpio ha pagato Orbiana per uccidere te.

D.Licinio: Lascia perdere Ulpio. Io mi riferivo ad Aurelio. 

Valeria:    E perché devo ucciderlo?

D.Licinio: Perché ha perduto la memoria. Io non lo sapevo e gli ho riferito troppe cose che

                  potrebbero essere pericolose per noi. E allora devi ucciderlo.

Valeria:    (Tentenna) Cosa? (Poi si decide) Sempre ai tuoi ordini, Demostene.

D.Licinio: Vieni, usciamo, così ti spiego il mio piano.

                  I due escono di casa.

8. [Flaminia e Claudio. Poi Cornelio e Aurelio]

                  Da sinistra entrano Flaminia e Claudio. Lei sta offrendo a lui un sacchetto.

Flaminia: Questi sono 5.000 sesterzi. Uccidi Aurelio.

Claudio:   Cosa?

Flaminia: In verità, volevo farlo io di persona, ma è troppo alto il rischio che mi scoprano. Claudio:   Ma io…

Flaminia: Lo so, sei troppo legato a lui. Ma Aurelio ormai non ti ricorda più. Per lui sei

                  una persona come un’altra. E purtroppo, anch’io.

Claudio:   Capisco. E come vorresti che io lo uccidessi?

Flaminia: Avvelenalo. Io farò in modo che nessuno ti accusi. Capito?

Claudio:   (Rassegnato) Va bene. Mi procuro del veleno.

Flaminia: E non essere così triste, Claudio. La vita continua. Lavorerai per altri generali.

Claudio:   (Con un groppo in gola) Sicuramente. Posso andare, ora?

Flaminia: Vai pure e compi la tua missione. Ma se fallirai, la porterò a termine io.

Claudio:   E io?

Flaminia: Ho molta influenza in senato e non solo. Non ti converrebbe fallire. Ora vai.

                  Claudio fa il saluto romano e poi esce di casa. Flaminia allora trama qualcosa.

                  Ecco, Claudio mi serviva proprio. Ora non resta altro che organizzarmi per la

                  mia vita dopo Aurelio. E sarà certamente migliore! Demostene, dove sei?  

                  Esce via beatamente a destra. Da sinistra entra Cornelio.

Cornelio: Aurelio è sparito. E con lui la sua spada! (Si siede al tavolo e nota la spada di

                  Aurelio) Se solo la spada di Aurelio fosse questa. Ma… ma… lo è! Vado subito

                  a venderla, così fuggo via e non devo neppure uccidere Aurelio! (Sente passi da

                  sinistra) Arriva qualcuno. (Lascia la spada sul tavolo) Devo nascondermi.

                  E si nasconde dietro la comune, osservando chi entra. Da sinistra entra Aurelio.   

Aurelio:   (Felice) Ho trovato il danaro di Aurelio! Cioè, di Caio Sempronio! Insomma, il

                  mio! E’ nascosto sotto il talamo. Un momento, ma perché l’avrò nascosto là?

                  Si siede sul triclinio, mentre pian piano da dietro gli si avvicina Cornelio col

                  pugnale in mano. Aurelio parla da solo.

                  Cosa faccio, prendo i soldi e fuggo via oppure aiuto Sabina con parte di essi?

                  Si alza in piedi, così Cornelio va a vuoto e lo manca, cadendo sul triclinio.

                  Aurelio non se ne accorge e continua a parlare da solo.

                  Ma no, meglio fuggire. E… (Si volta e nota Cornelio caduto sul triclinio) E tu

                  che ci fai là? Chi diavolo sei?

Cornelio: (Si rialza e si ricompone) Ehm… io sono il tuo messo, Cornelio.

Aurelio:   Mi hai chiamato Cornelio?

Cornelio: No, Cornelio sono io. Tu sei Aurelio. Ma come, non ricordi proprio niente?

Aurelio:   In confidenza? No. (Gli si avvicina) Tu sai mantenere un segreto?

Cornelio: No. Cioè, sì!

Aurelio:   Bene. Seguimi.

                 Gironzola nella stanza, mentre Cornelio lo segue e punta il pugnale per colpirlo.  

                 Vedi, Cornelio, in questa casa c’è gente che mi chiama Aurelio. Ma io non

                 ricordo di chiamarmi così. Hai capito?

                 Si volta e nota Cornelio col pugnale alto, pronto ad usarlo, ma quest’ultimo

                 vistosi scoperto, fa finta di niente. 

Cornelio: Ehm… hai visto com’è bello questo pugnale?

Aurelio:   Cornelio, ma tu pensi al pugnale? Io ti sto parlando. Dunque, ascolta…

                 Aurelio riprende a gironzolare. Cornelio lo segue col pugnale per colpirlo.  

                 Come ti dicevo, io ricordo di chiamarmi Caio Sempronio e d’esser nato a Nocera.

                 Ero schiavo e ora mi ritrovo generale romano. Ma io non voglio combattere.

                 Anzi, vuoi la mia spada? Te la regalo.                                               

                 Si volta verso Cornelio e lo ritrova ancora col pugnale alto.  

                 Stai giocando ancora con questo pugnale?

Cornelio: Ehm… no! (Abbassa il pugnale, stupito) Hai detto che mi regali la tua spada?

Aurelio:   Certo. (La prende dal tavolo e gliela porge) Tienila.

Cornelio: (Felice) Grazie! Però ti raccomando, non ripensarci, ora la tua spada è mia!

Aurelio:   Portala via con te, tanto a me non serve. Io ho trovato i soldi.

Cornelio: I soldi?

Aurelio:   Sì. Ora posso andare da chi so io per farmi dare quella cosa che so io.

Cornelio: Di che stai parlando?

Aurelio:   Lo so io!

Cornelio: Allora, Aurelio o chiunque tu sia. Io esco. Posso?

Aurelio:   E devi chiedere il permesso a me? Vai pure.

Cornelio: Come si vede che hai perso la memoria! Ave!

                 Ed esce via di casa velocemente. Aurelio si siede sul triclinio. Parla da solo.

Aurelio:   Aurelio o Caio Sempronio? Questo è il problema!

                 Nel frattempo, dalla comune entra Claudio, con un pugnale pronto per colpirlo.

                 Va da lui pian piano. Aurelio parla per conto suo, da solo.

                 Dovrebbero inventare un oggetto che raccolga l’immagine di una persona e

                 riportarla su papiro o pergamena. Una sorta di carta d’identità. Ma forse non la

                 inventeranno mai! E intanto… e intanto… etciù!

                 Claudio si spaventa e gli cade il pugnale sul piede, facendosi male.

Claudio:  Ahia!

Aurelio:   Chi è? (Si volta e lo nota) E tu chi sei? (Si alza e va da lui) Già, sei Claudio, colui

                 che mi ha condotto dalla Britannia fin qui. Ma cosa volevi fare con quel pugnale?

Claudio:  Ehm… no, niente. (Lo spinge via con un piede) Allora, come ti senti, Aurelio?

Aurelio:   Aurelio non lo so come si sente, ma io, Caio Sempronio, mi sento meglio! E tu?

Claudio:  Io? Sto bene. Non me l’avevi mai chiesto. Ma insomma, tu davvero non ricordi

                 cosa abbiamo fatto in Britannia?

Aurelio:   Ehm… Siamo andati a donne?

Claudio:  Ma no. Abbiamo combattuto. In tutti questi anni, sono sempre stato al tuo fianco.

Aurelio:   Capisco. Allora ciò vuol dire che io e te siamo molto amici. E’ così?

Claudio:  Amici? Beh… sì.

Aurelio:   Mi fa tanto piacere averti come amico. (Va a sedersi al tavolo)

Claudio:  Questo nuovo Aurelio mi piace tanto. Come faccio ad eliminarlo? Come si fa?

Aurelio:   Come si fa ad eliminare chi?

Claudio:  No nessuno.

Aurelio:    Sai che ti dico? Voglio offrirti una coppa di vino. Se solo ricordassi dove sta.

Claudio:   Io lo so: te ne rubavo sempre un po’, a tua insaputa!

Aurelio:    A me? Caso mai, ad Aurelio!

                  I due escono a sinistra, ridendo. 

Scena Ultima. [Flaminia, Sabina, Marco Tullio, Cornelio, gli altri tranne Orbiana e Valeria]

 

                  Da destra entrano Flaminia e Sabina.

Flaminia: Cosa? Aurelio non ti ha dato i 500.000 sesterzi per curarti?

Sabina:     No. Ma non l’ha fatto per cattiveria. Soltanto, non ricorda dove tiene il danaro.

Flaminia: Se lui ha perso la memoria, non è colpa mia. (Va sedersi sul triclinio) Mi spiace.

Sabina:     (Trama qualcosa) Tu però sai dov’è.

Flaminia: Un momento, a cosa stai pensando? Non sarò io a darti il denaro per curarti.

Sabina:     Non è danaro tuo. Se tu sposerai il console Licinio, avrai i suoi soldi. 

Flaminia: Già, forse hai ragione. (Si alza in piedi) In fondo, Aurelio sarà già bello e morto.

Sabina:     Morto?

Flaminia: Tranquilla, non è più affare tuo. Sai cosa ti dico? Voglio premiare la tua fedeltà

                  nei miei confronti. Ti aiuterò a curarti. Coi soldi di Aurelio!

Sabina:     Sono commossa!

Flaminia: Trattieni le tue lacrime. Faccio tutto questo in memoria di mio marito Aurelio.

Sabina:     Capisco.

Flaminia: Ora però muoviamoci. Devo aspettare che quello lì faccia quel che gli ho chiesto.

Sabina:     Quello lì chi?

Flaminia: Mi capisco io. Ora vado a prenderti i soldi, dopo di che, sparisci. 

Sabina:     Subito. E grazie ancora!

                  Flaminia esce via a sinistra. Sabina allora gioisce.

                  Ce l’ho fatta: ho trovato proprio un bel piano. Ricevo i soldi di Aurelio, poi

                  prendo lui e fuggiamo via insieme. Che brava che sono!

                  Esce via a destra, soddisfatta. Dalla comune entrano Marco Tullio e Cornelio.

Marco T.: (Ha la spada di Aurelio in mano. La osserva. Si gratta in testa, poi sentenzia)

                  No,Cornelio: 150.000 sesterzi per questa spada non te li danno.

Cornelio:  Ma che storia è questa? Avevi detto che un ricco possidente l’avrebbe comprata.

Marco T.: E sono cambiate le cose.

Cornelio:  Ma questa è la spada di Aurelio.

Marco T.: Una volta era Aurelio. Ma appena si saprà in giro cos’è accaduto ad Aurelio, lui

                  perderà la sua credibilità. Pertanto, tra poco questa spada varrà pochi soldi.

Cornelio:  E cioè, quanto?

Marco T.: Una decina di sesterzi.

Cornelio:  Cosa? Ma è troppo poco.

Marco T.: Se ti stanno bene, accettali, altrimenti tieniti la spada. (Gliela lascia) Ave!

                  Marco Tullio esce via frettolosamente, grattandosi addosso.

Cornelio:  (Si guarda la spada, perplesso) E io adesso che ci faccio, con questa? Mah!

                  Esce via di casa, deluso. Da sinistra entrano Aurelio e Flaminia, litigando e

                  contendendosi un fagotto.

Aurelio:    Lascia i miei soldi.

Flaminia:  No, sono i miei.

Aurelio:    Togli queste manacce!

Flaminia: No!

Aurelio:   (Riesce a prevalere) E lascia! Questi soldi appartengono ad Aurelio.

Flaminia: Ah, finalmente ricordi chi sei?

Aurelio:   Io sono Caio Sempronio.

Flaminia: E allora non puoi appropriarti di quel danaro.

Aurelio:   E invece sì, perché anche se sono Caio Sempronio, nella mia carne e nelle mie

                 vene c’è pure Aurelio!

Flaminia: Ora cosa intendi fare?

Aurelio:   Voglio contare il mio danaro. (Si siede sul triclinio e cerca d’aprire il fagotto)

Flaminia: E conta, conta. Impostore!

                 Dalla comune entra Demostene Licinio puntando il suo pugnale. Flaminia lo

                 nota e gli indica Aurelio. Demostene allora va da lui quatto, quatto.   

Aurelio:   Flaminia, non fare smorfie alle mie spalle! Ma come si apre questo fagotto?

                 Demostene gli si avvicina per pugnalarlo, intanto dalla comune entra Ulpio che

                  punta il suo pugnale, ma con la sua pessima vista lo brandisce ondeggiando, in

                  direzione di Demostene, il quale mentre sta per pugnalare Aurelio alle spalle…                   

Ulpio:       Muori!

                  Ma Ulpio (pensando fosse Aurelio) pugnala al sedere Demostene che grida, così

                  da spaventare Aurelio che salta in piedi, e la stessa Flaminia.

D.Licinio: Aaaaaaah!

Aurelio:    Tu?

                  Demostene corre via fuori casa, con una mano sul sedere e gridando dal dolore.

                  Così Aurelio si avvicina ad Ulpio.   

                  Grazie, amico. Mi hai salvato da Demostene Licinio che voleva pugnalarmi alle

                  spalle! (Poi chiama) Demostene, fermati!

                  Ed esce fuori casa. Ulpio non ci capisce più niente.

Ulpio:       Ma che ho fatto? Non ho ucciso più Aurelio?

Flaminia: No, gli hai salvato la vita!

Ulpio:       (Effeminato) Mannaggia!

                  Da fuori si sente un cavallo che nitrisce e Demostene ed Aurelio gridare.

I due:        Aaaaah!

                  Dopodiché i due rientrano: Demostene si siede a terra su un lato ed Aurelio gli

                  siede a fianco, toccandosi il capo dolorante.

Aurelio:    Mamma mia, che botta!

                   Accorrono Claudio, Cornelio e Sabina.

Claudio:   Che è successo?

Aurelio:    Il cavallo di Demostene mi ha colpito alla testa.

Ulpio:       Chi è rimasto colpito alla testa? Non lo vedo bene.

Flaminia: Niente, Caio Sempronio.

Aurelio:    Ma che Caio Sempronio? Io sono Aurelio.

Gli altri:   (Sorpresi) Aurelio?

Aurelio:    E perché fate quella faccia? Dovrei ammazzarvi tutti, visto che state cercando di

                   uccidermi. E soprattutto tu, Demostene. Ti prenderei a calci nel sedere!

D.Licinio: (Sofferente) No, basta col mio sedere!

Aurelio:    (Si alza e gironzola) Ma come puoi aver tradito la mia amicizia? Ci conosciamo

                   da una vita. Quando combattemmo contro i Briganti, c’eri anche tu in qualità di

                   console. Ricordo il loro capo… come si chiamava? Ah, già: Venuzio. Egli si

                   oppose al nostro esercito coi suoi 5000 soldati. E tu volesti parlargli.

Cornelio:   E come andò a finire?

Aurelio:     A causa dell’alito di Demostene, fuggirono tutti e 4000!

Cornelio:   Ma non erano 5000!

Aurelio:     1000 di loro si suicidarono! E ricordi, Demostene, quando col mio esercito ti ho

                    scortato in Galilea? Volesti incontrare il capo dei ribelli. Lui era a cavallo. Tu

                    gli dicesti: “Ave!”… cosicché il cavallo svenne e lui morì! E vincemmo noi.

                    Insomma, gran parte dei successi dell’impero romano, sono figli del tuo alito

                    pesante! E ora tu vorresti tradirmi? Ma a me nessuno può prendermi alle spalle!

                    Intanto, dalla comune entra Quintilius con un bastone in mano. Da dietro, zitto,

                    zitto, va verso Aurelio che intanto prosegue senza accorgersene.

                    Lo giuro a tutti quanti: nessuno mi prenderà mai alle spalle!

Gli altri:     (Notando Quintilius, cercano di farlo desistere, gridandogli…) Noooo! 

                   Ma Quintilius lo colpisce al capo ed Aurelio si accascia.

Quintilius: Avete visto, amici? Adesso finalmente tornerà ad essere Aurelio!

Aurelio:     (Si rialza) Ma chi mi ha colpito? Ah, sei stato tu, Quintilius?

Claudio:    (Va da lui) Tutto bene, Aurelio?

Aurelio:     Ma che Aurelio? Io sono Caio Sempronio!

Gli altri:    Oh, no!

Aurelio:     Quintilius, ma sei matto?

Claudio:    Ma come, tu conosci Quintilius anche come Caio Sempronio?

Aurelio:     E certo. Diglielo, Quintilius.

Quintilius: Ebbene sì, ecco perché conosco il suo passato triste e nebuloso. Lo conobbi anni

                    fa a Nocera, dov’è nato lui. E non sono io a portargli sfortuna, ma è lui che è

                    sfortunato assai! Nel 62 vi fu il terremoto di Nocera, così lui fuggì in Sicilia.

Aurelio:     Mi ricordo. E allora?

Quintilius: In Sicilia c’erano due montagne che cominciarono ed eruttare. Così lui fuggì in

                    Grecia, e lì, il vulcano Santorini eruttò. Così fuggì ai Colli Albani, e lì vi fu una  

                    forte scossa di terremoto. Così fuggì a Roma, dove divenne schiavo di Nerone.

Aurelio:     (Soddisfatto) Ma a Roma non eruttò nessuna montagna.

Quintilius: Però fu incendiata la città! E non mi far dire chi è stato! E dopo l’incendio di

                    Roma, lui perse la memoria e venne qui. 

Aurelio:      E con ciò? Qui non è successo ancora niente. E mai succederà!

                    Ad un tratto si sente una esplosione all’esterno. Aurelio minimizza.

                    Tranquilli, non è nulla.

                    Va alla comune e guarda di fuori. Si spaventa.

                    Mamma mia, la montagna sta sputando la lava! Fuggite, fuggite tutti quantiiii!

                    Tutti fuggono fuori casa.

VOCE NARRANTE: 79 dopo Cristo, 24 agosto, un giorno tristo. Il Vesuvio celò dei nostri amici ogni notizia, lo ammetto con mestizia. Ora, se permettete, mi traggo in salvo. Me lo dovete! Meglio ch’io taccia, tanto nei libri di storia, del mio racconto non v’è traccia. Ave!

FINE DELLA COMMEDIA