Ho sognato il paradiso

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HO SOGNATO IL PARADISO

Commedia in tre atti e quattro quadri di Guido Cantini

PERSONAGGI

Vanda

Yvonne

La Bitonta

Marga

La Nutrice

Alessandro

Oreste

Il Vecchio Pensionato

Grossa città di provincia. Dove vi pare. Ieri, oggi e domani.

(il terzo quadro succede immediatamente al secondo).


ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

La camera di Vanda. Pareti color di rosa, ma un rosa carico, piuttosto volgare, su cui spic­cano quei famosi mobili stile liberty che nel tooo la Bitonta madre ordinò niente di meno che a Parigi. Ne sussurravano allora tutti gli scapoli del « Caffè Centrale », tra un carambolo e l'altro, mentre gli ammogliali fremendo li sospiravano tra un « volo » e uno « striscio » nell'esagerato tepore dei salotti familiari. Ora son cose vecchie, alquanto ridicole anche, con le loro curve sfuggenti, i loro ovali, i loro pro­lissi e attorcigliati giaggioli. Il letto dalla coperta verde. Il cassettone dallo specchio ornato torno torno dt cartoline illustrate (forse dive dello schermo). Le poltroncine parate di stoffa a fiorami un po' stinti. La grande poltrona verde gocciante di nappine in parte sfilacciate, il paravento in un angolo, anch'esso a fiorami stinti, che nasconde il la­vabo. La riproduzione, a capo del letto, de « L'Amor sacro e l'Amor profano ». Ma sul comodino, presso alla lampada, un mucchio di libri, e li­bri sul cassettone, sul piccolo scrittoio, alquanto appartato e come affacciato alla grande finestra del proscenio.Qua e là qualche vasetto, con dei fiori un po' appassiti.

Vanda                  -(è in piedi davanti allo specchio del cas­settone con le braccia alzate, nell'atto di pet­tinarsi. Su la sottoveste che svela la lumino­sità di una carne bianca ma calda, indossa urna gonna grigia. Apre quindi il cassetto di cima, ne trae uno spruzzatore, s'inonda d'ac­qua di colonia. Fa per mettersi la camicetta. Bussano) Chi è?

Voce di Yvonne  - C'est moi: Yvonne.

Vanda                  - Ah!

Voce di Yvonne  - Peut-on entrer?

Vanda                  - Entra.

Voce di Yvonne  - C'est ferme.

Vanda                  - (va ad aprire la porta).

Yvonne                - (entrando) Bonjour, chérie. Je te dérange?

Vanda                  - No... no.

Yvonne                - (è una bionda un po' grassa. Porta un pigiama di raso nero e delle pantofole azzur­re che stando seduta sul letto farà saltare in aria riprendendole a vaio coi piedi nudi) Qu'est-ce que tu fais? Tu t'habilles pour sortir?

Vanda                  - Tu le vois bien, non?

Yvonne                - Ah, c'est vrai, c'est ton jour. Je l'avais oublié. Tu as de la chance, il fait beau.

Vanda                  - Sì, è una bellissima giornata.

Yvonne                - Cependant, c'cst dommage.

Vanda                  - Che sia una bella giornata?

Yvonne                - No: che tu sorta.

Vanda                  - Perché?

Yvonne                - Avevo un piacere a domandarti.

Vanda                  - (sorridendo) Avevo da domandarti un piacere.

Yvonne                - Ah, pardon!

Vanda                  - Mi hai detto tu di correggerti, ogni volta che sbagli.

Yvonne                - Mais naturellement. E ti avevo anche pregato di non rispondermi affatto quando ti parlo in francese... Mais tu sais, elle vcut absolument que nous parlions chacune notre langue, pour épater les clients. Mentre io vorrei tanto tanto imparare l'italiano. Il ne comprend pas le francais et alors comment nous expliquer, comment lui écrire?

Vanda                  - Dov'è ora?

Yvonne                - En Sicile. In Sicilia. Ecoute (Si to­glie di seno un foglietto spiegazzato) Oh... ma tu hai a sortire!... Tu es pressée.

Vanda                  - Piuttosto.

Yvonne                - Tu n'as pas de gigolò, et alors qu'est-ce que tu vas faire?

Vanda                  - Quello che faccio fuori non ti riguar­da. È la mia giornata di libertà, se non sbaglio.

Yvonne                - Ah, perdonami, chérie... Non volevo offenderti... D'ailleurs, è presto, sai? Sono le nove appena. Tutte le altre dormono ancora. Ti prego, chérie, pochi minuti seulcment...

Vanda                  - Scusami: correggerò la tua lettera do­mani.

Yvonne                - Mais il faut que ccttc lettre parte tout de suite...

Vanda                  - Non t'ha ancora risposto?

Yvonne                - No. Pas encorc... Et moi, je souf-fre! Je t'en prie, chérie...

Vanda                  - Ti ripeto che...

Yvonne                - Bien bien. Je ne peu pas te forcer na-turellement, mais il me semble que quelquea minutes... (Fa per uscire).

Vanda                  - Yvonne!

Yvonne                - (Si volge, nasconde la faccia nelle ma­ni) Ah tu ne sais pas ce que cela veut dire; ètre amoureuse!... (Muove qualche passo ver­so la compagna) Alors tu non puoi compren-dre. Tutta la notte sono stata en cherchant d'exprimere quello che provavo... È così lon­tano. E non scrive. Mi ha dimenticata. Et je l'aime, Vanda. Je ne sais pas ce que je ferais, je m'enfuirais, je romprais mon contrat... Je suis folle. Folle. (Si getta bocconi sul letto. Piange).

Vanda                  - Pauvre petite! (Sedendosi vicino a lei).

Yvonne                - (alzando la testa) Ecoute: ti donerò la mia catena d'oro. Anzi, no: l'accendisi­garo... Tu sais, l'accendisigaro che ti piace tanto... Volevo donarlo a lui, a son arrivée... Lo donerò a te, invece... Fammi questo pia­cere.

Vanda                  - No, cara.

Yvonne                - (con occhi duri) Ah!

Vanda                  - Non voglio nulla.

Yvonne                - (balzando in piedi) Correggerai la mia lettera? Potrò spedirla subito? Oh, mercimerci... Prendi. (Le dà il foglietto spiegaz­zato)... E non vuoi l'accendisigaro?

Vanda                  - Ma no. (Siede alla scrivania).

Yvonne                - Allora potrò donarlo a lui, quando torna. Car il reviendra. N'est-ce pas qu'il reviendra?

Vanda                  - Sì, si; ne sono certa.

Yvonne                - E se ne sei certa tu!... Tu non sbagli mai. Tu sei così istruita... Sei cosi superiore a tutte noi... tu! Madame aussi a pour toi une sorte de respect, tu sais?

Vanda                  - Oh!

Yvonne                - Le respect qu'elle peut avoir pour nous, naturellement. Mais elle te demande conseil, quelquefois, sans en avoir l'air... Elle est maline, tu sais.

Vanda                  - (leggendo) « Amore mio » Beh, questo l'hai scritto bene.

Yvonne                - Oh, è così facile: s'impara subito: amore mio!

Vanda                  - (legge e corregge rapidamente, seguita dagli occhi di Yvonne che le si è seduta ac­canto. Sembra ecco una maestra con una pic­cola scolara, ansiosa. Bussano).

Yvonne                - (irritata) Chi è?

La voce di Marga        - Posso, Vanda?

Yvonne                - No, non si può.

(La porta si schiude. Marga mette dentro la testa).

Yvonne                - Ti ho detto che non si può. Va via.

Marga                  - Me l'hai detto tu, non lei. (È entrata. È una ragazza bruna nervosa. Porta una ve­staglia rossa. Muovendo le braccia, fa sona­re dei braccialetti e camminando ciabatta, ciabatta coti gusto, con gioia, come se quel rumore le piacesse infinitamente).

Vanda                  - Avanti, Marga, sbrigati... Cosa vuoi?

Marga                  - (sbadigliando) Che sonno! Yvonne. Et e'est pour nous dire ca que tu es venue?

Marga                  - Ma sì, me ne vado. (A Vanda) Giacché esci oggi, comprami una scatola di cipria. Gelsomino ambrato. Ti ricordi?

Vanda                  - Va bene.

Marga                  - Costa sei lire. Eccole.

Vanda                  - Posa lì.

Marga                  - Scura, molto scura.

Vanda                  - Bene.

Marga                  - Ti dispiace?

Vanda                  - Ma no. Figurati!

Marga                  - Grazie. Allora... buon divertimento. Come t'invidio: con questa mattinata!... (Si avvia mollemente ciabattando) Dì, hai una sigaretta?

Vanda                  - Non so. Credo. Guarda nel cassetto del comodino.

Yvonne                - (con un guizzo va al comodino, apre il cassetto, getta due sigarette) Gliene dò due. Così andrai via più presto.

Marga                  - Oh oh, come sei generosa con la roba degli altri! Me ne basta una. (A Yvonne) Grazie, principessa.

Yvonne                - Vat'en.

Marga                  - Ma sì. (A Vanda) Hai da rivederle il compito alla piccina?

Yvonne                - Tu m'exaspères à la fin. Va-t'en.

Marga                  - Oh ma non sono mica in camera tua!

Yvonne                - Tu es ici pour espionner, pour...

Marga                  - Per curiosare? Ah, ah! Come se non lo sapessi che t'ha piantata, e tu gli corri dietro come una gatta.

Yvonne                - Moi?... Toi, plutòt sale chiennel Sale bète!

Marga                  - (ridendo a piena gola) Ah! Ah!... Io ce l'ho il mio.

 Yvonne               - (fuori di sé) Il tuo!... Il donne ton argent à des filles dans la rue.

Marga                  - Provati a ripeterlo.

Yvonne                - Si tu l'approches, je te flanque une calotte !

Vanda                  - Basta, Marga! E toi Yvonne, fiche-moi la paix! Volete che io non stia più nemmeno con voi?... Ditelo, io posso star benissimo anche sola, sapete?... E tu, Yvonne, dopo che io...

Yvonne                - Pardonne-moi!... Ha cominciato lei.

Marga                  - Io!

Vanda                  - Vattene, Marga . Va bene, stasera ti porterò la cipria.

Marga                  - Sì... (Fa per uscire) Ah, volevo chie­derti un altro piacere.

Vanda                  - Avanti sentiamo. Fa presto, però.

Marga                  - Non avresti un libro?

Vanda                  - Cerca. Ce ne sono tanti.

Marga                  - Un romanzo.

Vanda                  - Sono tutti romanzi.

Vanda                  - Lo so... Ma non uno come quello che m'hai dato l'altro giorno. Qualcosa di emo­zionante...

Yvonne                - Allons, allons... Tu le chercheras une autre fois.

Marga                  - (senza curarsene, continuando)... con dei banditi, delle fughe in automobile. Come al cinema.

Vanda                  - Cerca. Se ne trovi...

Marga                  - Un romanzo giallo.

Yvonne                - Moi aussi je n'aime que ceux-là.

Vanda                  - (porgendo a Yvonne la lettera corret­ta) Tieni.

Yvonne                - Fini? Déjà? Merci. (Bacia il fo­glietto).

Vanda                  - Ed ora, ragazze, prendete il largo.

Marga                  - T'aspetta...fuori?

Yvonne                - Qu'est-ce que tu dis? Elle est sage.

Marga                  - E allora, dove vai?... Per quindici giorni vivi aspettando queste poche ore... La mattina finalmente ti alzi presto, ti vesti su­bito... Torni la sera, tardi.

Yvonne                - Et tu as des yeux, en rentrant, des yeux...

Vanda                  - (ridendo) Che occhi?

Yvonne                - Les yeux de quelqu'un qui a aimé de toutes ses forces.

Vanda                  - Strano!

Marga                  - Davvero, non ci hai nessuno, fuori?

Vanda                  - (seria) No.

Marga                  - E dove vai?

Vanda                  - Per la città., così, come una qualun­que. .. Ogni tanto, per un giorno, posso essere una qualunque, una che parla con chi vuole, che va dove vuole, che non deve subire la volontà di nessuno...

Marga                  - Ti metti il tuo vestito più semplice...

Vanda                  - Perché nessuno indovini da dove esco.

Marga                  - Tutte ti stiamo a guardare a traverso le persiane. Sembri una signorina per bene.

Yvonne                - Très chic, mais très modeste.

Marga                  - Sai cos'ha pensato la russa?

Vanda                  - No.

Yvonne                - Que tu affiches cet air modeste pour avoir des aventures... extraordinaixes.

Vanda                  - Avventure straordinarie?

Marga                  - Non si è ben capito cosa volesse dire.

Yvonne                - C'est pas vrai, peut-étre? Et alors pourquoi rentres-tu avee des yeux tellement brillants?

Vanda                  - È l'aria. L'aria libera, mie care. Non c'è nulla che riesca ad esaltarmi di più. Rien­tro come ubriaca.

 Yvonne               - Ah, comme tu as raisoo!

Vanda                  - Indovinate un po' dove mene vadoora?

Marga                  - Avanti, di.

Vanda                  - Al giardino pubblico.

Yvonne                - Tu aimes les soldats?

Vanda                  - Ma no, soldati non ce n’è a quest'ora. E poi non mi piacciono.

Marga                  - Per me non hanno che un difetto: pochi quattrini.

Yvonne                - Tu n'aimes personne?... Quelle fille étrange que tu es!... (Ella si è gettata a tra­verso il letto, appoggiando le guance ai pu­gni chiusi, i gomiti appuntellati, gli occhi fissi al fuoco della ribalta) Tu n'aimes per­sonne?... Et alors?

Vanda                  - Alors, che?

Marga                  - È strano.

Vanda                  - Che cosa?

Marga                  - Tutto quello che fai. Come parli, co­me vivi.

Vanda                  - Vivo come voi, no?

Marga                  - Apparentemente... Ma nessuno ti ca­pisce.

Vanda                  - Anche Yvonne mi diceva qualcosa di simile pochi minuti fa.

Marga                  - (come Yvonne s'è gettata a traverso il letto, anch'ella tiene i gomiti appuntellati, le mascelle appoggiate ai pugni chiusi: gli occhi attratti dal fuoco della ribalta) Vanda, perché anche tu sei qui dentro, con noi?

Vanda                  - Ma via, lasciatemi finir di vestire in pace.

Marga                  - (inseguendo il suo pensiero) Noi, si ca­pisce. Io poi, non ho pensato che agli uomi­ni, dal giorno che ho avuto l'uso della ra­gione, si può dire... Ma tu... Non avevi qual­cosa di meglio da fare, tu?

Vanda                  - Forse.

Marga                  - E allora?

 (Anche Vanda, come colta da un'improvvisa stanchezza, si è seduta sul letto, tra le due compagne).

Yvonne                - Tu ne peux pas f... le camp?

Vanda                  - Per andar dove? Per fare che cosa ormai? (A Yvonne) Je suis une vieille fille, deshormais. On ne peut pas recommencer sa vie à mon age.

Yvonne                - Nous avons vu tant de choses, n'est-ce pas?

Marga                  - Chi era tuo padre?

Vanda                  - Un operaio.

Marga                  - Ma ti ha fatto studiare.

Vanda                  - I capotecnici guadagnano bene. Dice­vano che ero intelligente... Mi fece fare il ginnasio...

Yvonne                - H ginnasio? Vraiment?... Ah, je le disais que tu es une fille singulière! Tu as aussi appris le latin?

Vanda                  - Naturellement. Il latino era nel pro­gramma.

Marga                  - Dunque, quando leggevi le preghiere, capivi quello che significavano?

Vanda                  - Certo.

Marga                  - Io le dicevo senza capirle.

Vanda                  - Perché le dicevi allora?

Marga                  - Per abitudine... E poi fa bene lo stes­so, in certi momenti, anche se non si capisce quello che si dice.

Yvonne                - E allora... ton pére? Il est mort?

Vanda                  - Non so. Forse. Ma che importanza ha, se lui, da tanto tempo, crede che io sia morta?

Yvonne                - On lui a dit que tu es morte?

Vanda                  - Probablement.

Marga                  - Era lontano?

 Vanda                 - Molto.

(Anche lei si è distesa sul letto come le altre).

Marga                  - E poi?...

Vanda                  - E poi, che?

Marga                  - Racconta.

Vanda                  - Ah, no. Basta.

Marga                  - Una che ha fatto il ginnasio!

Vanda                  - Del resto non ho fatto che quello. A un certo momento ho piantato là tutto.

Marga                  - Sei fuggita?

Vanda                  - Si. Con un mio compagno. Più grande.

Ytonne                - Et naturellement il t'a plaqué, le cochon!

Vanda                  - No... È morto.

Marga                  - Morto?

Vanda                  - Di freddo, di stenti, per volermi man­tenere. Eravamo andati avanti degli anni...

Yvonne                - Des années... (Sognando) Il est en Si­ale et il ne m'écrit pas.

Vanda                  - Ma un giorno è dovuto entrare in un sanatorio... Gli scrivevo d'essermi impiega­ta. Non era vero. Erano anni di crisi nera. Non avevo trovato nulla. Ma in questo modo potevo pagargli una bella camera. E di quan­do in quando, una volta ogni quindici giorni, mi mettevo un vestito modesto, e andavo a trovarlo. E lui credeva a tutto quello che gli raccontavo. E baciava le mie mani... Le mie mani! (Se le guarda. Un silenzio).

Marga                  - Non hai una fotografìa sua?

Vanda                  - Oh sì, tante.

Marga                  - E non ne tieni neanche una sul co­modino?

Vanda                  - (alza gli occhi, la fissa un momento).

Marga                  - Già: hai ragione.

Yvonne                - Fais-moi voir sa photo.

Vanda                  - ...No.

Yvonne                - Etait-il beau?

Vanda                  - No.

Yvonne                - E tu lui as donne toute ta vie?

Vanda                  - Il etait plus que beau.

Marga                  - Più che bello?... Oh sì: ti capisco. Neanche il mio era bello. Ma per me era il più bello di tutti... (Dopo un momento) Era­no delle serate calde. Il fieno odorava.

Yvonne                - Moi je n'ai pas fui mon pére. Nous etions trois soeurs. Et comme je suis la der-nière, il avàit eu le temps de s'y faire. D'ailleurs nous sommes de Marseille, vous savez, et alors, le port, les marins... De temps en temps nous allons le trouver. Il nous écrit quelquefois: pour Noèl et pour Pàques. Voi-la comme nous sommes dans notre famille.

Marga                  - A considerarla bene, com'è stupida la nostra storia.

Vanda                  - Bastano tre parole.

Marga                  - E poi, per anni e anni...

Yvonne                - Les hommes!... Il y en a trois ou qoatre types qui se rcpetent avec une mono­tonie asphixiante.

Marga                  - È vero.

Yvonne                - Quelques-uns ont les gifìes plus lour-àes: c'est tout.

Marga                  - Gli schiaffi? No, non mi piacciono.

Yvonne                - Mon petit, les baisers sont notre ma­nière à nous d'aimer, Ics gifles sont l'amour des hommes.

Vanda                  - Non è vero! Non è vero! Si vede che non ne sapete nulla voi, dell'amore!

Marga                  - Nulla! Ah! Ah!

Vanda                  - Nulla. L'amore qui!...

Marga                  - Perché non te ne vai?

Vanda                  - E come? (Con disperata rassegnazio­ni) Qui... una non vede. Non pensa. La vita passa. Un giorno finisce.

 Marga                 - Dunque, non c'è stalo mai nessuno dopo che...

Vanda                  - No. E vi assicuro che certe volte l'ho sperato. Gli uomini, li odio. La serva, allora, piuttosto la sguattera, direte voi. Eh già. Ma... potere! Bisognerebbe avere la forza. E poi, per chi?... Mette proprio il conto?... I sacrifici bisogna avere da dedicarli a qualcu­no. Io non ho nessuno, e anche, chi sa?...

Marga                  - Non te ne andresti?

Vanda                  - Ormai!

Marga                  - Detesti gli uomini e appena hai un po' di libertà li vai a cercare.

Vanda                  - Non gli uomini: la gente. E neanche la gente. Gli alberi. Lo spazio. Le cose... che non sono queste. Faccio la mia provvista di aria e di luce, la mia provvista di vita, per una quindicina. Me la porto qui dentro. In questa semioscurità. Davvero, rientrando la sera, mi sembra d'essere ubriaca. Se sape­ste!... Ma no, non potete capirmi. È vero che non mi capite?

Yvonne                - No.

Marga                  - No.

Yvonne                - Sai che dovresti farti visitare?

Vanda                  - Perché?

Yvonne                - Une de mes sceurs è morta pazza, tusais?

Vanda                  - (a Marga) Anche tu credi che io siaun po' tocca?

Marga                  - (senza convinzione) No... no.

Vanda                  - Ebbene, ragazze mie, rallegratevi: non sono pazza, ho voluto semplicemente... (Ma in questo momento la porta si spalanca. Nel rettangolo scuro si presenta la figura della Bitonta. Le tre ragazze balzano in piedi).La Bitonta (è una donna ancora giovane, ver­so la quarantina. Nonostante l'ora mattutina è già vestita di tutto punto, coi suoi gioielli, le sue scarpette d'oro) Cosa fate qui, voialtre due? Subito nelle vostre camere. Non vo­glio pettegolezzi in casa mia, non voglio cric­che...

Yvonne                - Moi j'etais...

La Bitonta           - Silenzio. Vattene.

Yvonne                - Merci, Vanda E bonne promenade.

La Bitonta           - ( a Marga, china per terra) Cosa fai tu? Cosa cerchi?

Marga                  - Una ciabatta. Non riesco a trovarla.

La Bitonta           - La troverai dopo. Presto. Ho da parlare a Vanda .

Vanda                  - A me? Ma io...

La Bitonta           - ( con altro tono) Si, cara, ho da parlarti.

Vanda                  - Cos'è successo?

La Bitonta           - Nulla, nulla.. Ma insomma, vo­lete andarvene voi due?

(Yvonne e Margan scompaiono. La Bitonta ha trovato la ciabatta di Marga. Glie la scaraventa dietro e chiude la porta. Un silenzio).

Vanda                  - Cos'accade?

La Bitonta           - (venendo avanti lentamente) Og­gi ho da fare delle spese fuori, e bisognerebbe che tu mi guardassi...

Vanda                  - Ma io debbo uscire.

La Bitonta           - Uscire?

Vanda                  - Mi tocca.

La Bitonta           - Davvero?

Vanda                  - Dovreste pure saperlo.

La Bitonta           - Oh già, non me ne ricordavo pro­prio.

Vanda                  - Possibile? Se anche ieri sera ne ab­biamo parlato!

La Bitonta           - Ma sì, ma sì... Soltanto m'era andato via di mente. Peccato! Però, per questa volta potresti...

 Vanda                 - Ma via! Lo so bene che se si fa tanto di perdere il turno qui...

La Bitonta           - Domani o dopo, per te...

Vanda                  - Già due volte, con una scusa o con l'altra, mi avete fatto saltare il turno, e non sono stata più capace di rifarmi.

La Bitonta           - Ma ti ho ricompensata, no?

Vanda                  - Oggi non c'è nulla che possa ripa­garmi.

La Bitonta           - Ah!

Vanda                  - Sicuro. È così.

La Bitonta           - E pensare che mi parevi una ra­gazza assennata!

Vanda                  - Vi prego di non insistere.

La Bitonta           - Va bene. Va bene. (Fa per usci­re. Soffermandosi sulla soglia. Volgendosi) Ah, mi dimenticavo. Sai chi si è fatto vivo?

Vanda                  - Ma... non saprei

La Bitonta           - Il barone, figurati.

Vanda                  - Ah!

La Bitonta           - E più innamorato che mai. Me lo son visto capitare all'improvviso. Quasi non volevo credere ai miei occhi.

Vanda                  - (con un sorriso) Ora capisco.

La Bitonta           - Ma...

Vanda                  - Naturalmente. Mi adora... E vuol ve­dermi subito... Soltanto... c'è un ma. Che io stamani a nessun costo intendo rinunciare a questo che è un mio diritto.

La Bitonta           - E vuoi che non glie l'abbia fatto capire?

Vanda                  - E lui?

La Bitonta           - Il barone è un signore, lo sai.

Vanda                  - È ancora giù?

La Bitonta           - Sicuro. E ti aspetta.

Vanda                  - Ebbene, andategli a dire che sto ma­le...

La Bitonta           - Come?

Vanda                  - ...che m'ha preso un accidente. Inven­tate quello che volete, ma lasciatemi in pace.

La Bitonta           - Sicché dovrei mandarlo via?

Vanda                  - Non ci sono soltanto io al mondo.

La Bitonta           - ( cercando di prendere la cosa in ischerzo) Oh che stupida! Ma come debbo dirti che è venuto soltanto per te? Unicamen­te per te?

Vanda                  - Me ne dispiace tanto per lui.

La Bitonta           - Oh beh beh: adesso esageri. Lo scherzo...

Vanda                  - Non è uno scherzo. Ho parlato sul se­rio. E cornei

La Bitonta           - E allora vuol dire che sei pazza. Completamente pazza.

Vanda                  - Potrà darsi benissimo. In ogni modo quello che ho detto ho detto.

La Bitonta           - Ma come! Ti capita questa po' po' di fortuna, e tu la getti dalla finestra così?

Vanda                  - Che volete, ciascuno è fatto a suo modo.

La Bitonta           - Solamente, mia cara, qui non ci vai di mezzo tu sola!

Vanda                  - Ma scusate, a quest'ora non sarei for­se già fuori, se Yvonne con le sue stupide lettere non mi avesse trattenuta? E allora? Come rimediereste? Non mi correreste mica dietro per la città?

La Bitonta           - (pazientemente) Andiamo, an­diamo... Ma ragiona un po'. Cosa sono poche ore di libertà, quando... Cosa c'è, non ti pre­me più levarti quel debito che trascini da tanti anni?

Vanda                  - Se non fosse per quello, a quest'ora...

La Bitonta           - E dunque?

Vanda                  - (dopo un momento) No no: è impos­sibile.

La Bitonta           -  Impossibile!

Vanda                  - Quell'uomo mi ripugna, non capite?

La Bitonta           - Hai torto. Il barone non è nien­te male. Niente male. (Come calca su quell'orrido « niente male »!) Lì per lì, figurati, non lo avevo nemmeno riconosciuto. Parola d'onore. Tutto vestito di grigio, elegantis­simo, profumato...

Vanda                  - Basta, vi prego... (Ella si è seduta stanca, col suo piccolo feltro fra le mani).

La Bitonta           - Ma sì, ma sì, lo sapevo che la mia piccola Vanda avrebbe fatto i capricci, ma poi... (Fa per carezzarla).

Vanda                  - (scattando) Lasciatemi stare. Andate via.

La Bitonta           - ( stupita) Cosa?

Vanda                  - Andate via, vi ho detto. Debbo finire di vestirmi. Voglio uscire.

La Bitonta           - Cosa? Cosa?

Vanda                  - Voglio uscire.

La Bitonta           - E ti permetti d'adoprare quel tono con me? Non mi conosci ancora dun­que?

Vanda                  - Ma sì che vi conosco.

La Bitonta           - ( sempre più minacciosa) Perché con te sono stata sempre buona, vero?

Vanda                  - Non vi ho mai dato motivo d'essere diversa.

La Bitonta           - Mi hai vista con le altre, qualche volta però. E sai che qui comando io, sol­tanto io.

Vanda                  - Non ho paura lo stesso.

 La Bitonta          - No?... E io ti ordino di smettere tutte quelle arie di superiorità... Sì, le tue solite arie di regina offesa, perché qui regine non ce n'è...

Vanda                  - Va bene. Scendo. Ma lo tratterò male. L'obbligherò ad andarsene.

La Bitonta           - Provati.

Vanda                  - State a vedere. (Fa per slanciarsi fuori).

La Bitonta           - ( trattenendola per un braccio) -Ohe, bada a quello che fai. Perché ho nelle mani tanto da rovinarti. Bada a quello che fai. (L'ha presa per i polsi, la scuote. Ella si lascia scuotere senza reagire. Cade a sedere di nuovo, ansando. La Bitonta la lascia. In­crociando le braccia, la fissa. Lungo silenzio) .

Vanda                  - Ma non vedete?... Non mi sono mai ribellata. Se lo faccio oggi una ragione ci deve essere.

La Bitonta           - Che ragione?

Vanda                  - Voi non conoscete bene quell'uomo. Se sapeste... Ah! (Si copre la faccia) E poi... non so, non riesco a capire nemmeno io; ma da qualche tempo sento un vuoto, uno sco­ramento... Mi sembra che l'aria debba man­carmi da un momento all'altro... Non m'era mai successo, credete. Provo un malessere continuo... Anche voi siete donna...

La Bitonta           - Anch'io sono donna. Ebbene?

Vanda                  - Dovreste capirmi. (Un silenzio) E al­lora... sarebbe così semplice trovare un pre­testo... Dite che mi sento male... Potrebbe anche essere... Perché non potrebbe essere?... E non è? Non è infatti?... Credete, stamani sto male... Sarà questa primavera, forse... Succede a tutti, anche alle bestie, anche allepiante... Perché non dovrebbe succedere an­che a noi?... Ditegli che mi sento male... Vi prego, vi prego. (Di nuovo ella nasconde la faccia).

La Bitonta           - (alza la testa e dopo averla fissata un momento, cercando d'essere burbera) Ma... non va bene così...

Vanda                  - Lo so. Scusatemi. (Dopo un attimo) Posso uscire, dunque?

La Bitonta           - ( con voluto malgarbo) E non è forse il tuo giorno? Io non ho mai fatto for­za a nessuno. Le consuetudini le rispetto, io. Anche con quelle che non se le meritano. Anche con quelle che si dimostrano poco ri­guardose, poco grate, sì, poco... Insomma le consuetudini, io, le rispetto. (Esce sbatacchiando la porta).

Vanda                  - (felice) Grazie. Grazie.

Yvonne e Marga  (mettono dentro la testa).

Yvonne                - Et bien?

Marga                  - Ti lascia andare?

Vanda                  - (mettendosi il cappello, prende la giacca, i guanti, la borsetta, un libro) Sì, sì...

Yvonne                - (consegnandole una busta) Imposta la mia lettera.

Marga                  - Ricordati la mia cipria.

Vanda                  - Sì, sì.

Marga                  - Sembri pazza.

Vanda                  - Lo sono.

Yvonne                - Pourquoi?

Vanda                  - Non so. Addio! Addio! (Scappa fuori). (Le due ragazze corrono alla finestra, guar­dano a traverso le gretole).

Yvonne                - C'est le printemps, peut-étre.

Marga                  - Già, dev'essere la primavera.

CALA LA TELA

 

ATTO SECONDO

QUADRO SECONDO

Un angolo del giardino pubblico. È un angolo appartato, ricercato dagli amanti della solitudine. S'odono di quando in quando grida di ra­gazzi, voci lontane. Altrimenti un silenzio vivo e grande, rotto solo dal brusio degli insetti tra le rose in fiore.

Tre panchine: una volta verso la ribatta, le altre due verso i lati. Seduto su quella di destra un vecchio signore, il Pensionato; su quella di sinistra, la Nutrice, con la carrozzina di un bambino in fasce dinanzi, il Pensionato legge il giornale, la Nutricefa un lavoro a maglia.

La Nutrice           - (rivolta al bambino) Via via quel dito dalla bocca... Ah, cattivo!... Sì, va be­ne, ho capito: hai fame. Del resto non hai tutti i torti: dev'essere la tua ora, o quasi... Santo cielo, mi s'è fermato l'orologio. (Si guarda intorno smarrita. S'alza. S'avvicina al vecchio pensionato) Per piacere, che ore sono?

Il Pensionato       - (posa il giornale, cava dal ta­schino del corpetto l'orologio racchiuso in una bustina di pelle; dopo averlo tirato fuori con mille cautele) Sono... sono... le dieci e mezzo.

La Nutrice           - Le dieci e mezzo? È proprio la sua ora. Grazie tante. (Torna alla sua panchina, prende nella borsa il biberon e comin­cia a dare il latte al bambino).

Il Pensionato       - (si è rimesso a leggere il gior­nale).

Vanda                  - (entra. Così, col suo vestito grigio, la camicetta bianca, quel libro sotto il braccio, ha veramente - come dicono le sue compa­gne - un'aria di signorina per bene che il­luderebbe chiunque. Difilato, va a sedersi su la panchina centrale, accavalciando le gam­be, guardando dinanzi a sé un momento. Poi, d'un tratto, apre il libro).

La Nutrice           - (dopo un poco) Buongiorno, si­gnorina.

Vanda                  - Oh, buongiorno.

La Nutrice           - Era parecchio tempo.

Vanda                  - Già.

La Nutrice           - (indicando il bambino) È stato ammalato.

Vanda                  - Sì? Povero piccolo!

La Nutrice           - L'hanno salvato per miracolo. Com'è dimagrito, eh?

Vanda                  - (s'alza. Fissa un momento il bambino) -Cos'ha avuto?

La Nutrice           - Difterite. Ma i dottori dicono che farà presto a rimettersi. I bambini, si sa... Presto lo portiamo via.

Vanda                  - Ah sì?

La Nutrice           - In campagna. Dalle mie parti... (Al bambino) Ah! Ah! Hai finito tutto, eh?... Si è fatto un mangione!...

Vanda                  - Si capisce.

Il Pensionato       - (sbuffando, tra sé) Se ora quella donna attacca a chiacchierare!

La Nutrice           - E... voi?... Siete stata via tutto questo tempo?

Vanda                  - Sì. Via.

La Nutrice           - Vi tratterrete adesso?

Vanda                  - Oh, no!... Capito di tanto in tanto, per pochi giorni.

(Ma per troncare posa gli occhi sul libro. La Nutrice non osa più disturbarla. Riprende il suo lavoro. Dopo un momento entrano Ales­sandro e Oreste. Sono due giovanotti. Com­messi viaggiatori all'aspetto. Ma simpatici.rumorosi, allegri. Ciascuno porta una busta di cuoio gonfia di carte).

Alessandro          - Vieni, vieni Oreste. Qui c'è una panchina libera.

Oreste                  - Libera? Dove? Ce ne son tre, e tutte e tre occupate.

Alessandro          - Ma no, vieni. Possiamo sederci qui, al fresco. La signorina ci fa un po' di posto. Non è vero, signorina?

Vanda                  - (senza rispondere, senza neanche alzare la testa, si ritira verso l'estremità della pan­china).

Alessandro          - Che ti dicevo? Grazie tante, si­gnorina. Avanti, ringrazia anche tu, Oreste. Non ci badale. La sua educazione m'è costa­ta un occhio, e mi fa fare sempre di queste ligure. Come si dice, Oreste, alla signorina, che gentilmente ci ha fatto posto?

Oreste                  - Ma via, finiscila...

Alessandro          - Ha sentito? Ha sentito come ri­sponde? Ah, queste nuove generazioni!... (Silenzio) Però, se disturbiamo possiamo anche andarcene... Ah, va bene. Quand'è cosi, gra­zie tante... (A Oreste) Ha detto che possia­mo restare.

Oreste                  - Veramente io non ho sentito nulla.

Alessandro          - Perché tu sci sordo.

Oreste                  - Sordo io?

Alessandro          - O se non sei sordo, sei scemo. Fa lo stesso.

Oreste                  - Ohi!

Alessandro          - Non sai dunque che chi tace ac­consente? (Si mette a fischiettare una canzone « Seduzione » che infilerà ogni momen­to tra le parole, nei silenzi, zufolandola, can­tandola, mormorandola incessantemente) Pe­rò, non c'è che dire: si sta bene qui.

Il Pensionato       - (che sbuffa sempre di più) -Bene!

Oreste                  - Ma dimmi un po', non avremo mica fatto trecento chilometri su quel tuo maci­nino, per passare la giornata al giardino pub­blico? Siamo venuti in questa città per la­vorare, o per che cosa?

Alessandro          - Lascia fare: per pagare, per mo­rire e... per lavorare c'è sempre tempo.

Oreste                  - Se lo sapevo, non mi facevo rompere le ossa. Sono stanco morto.

Alessandro          - E dunque riposati. Oreste - Ahi ahi ahi ahi!

Alessandro          - Pensare che io invece, mi sento fresco come una rosa.

Oreste                  - Carina la rosa! Direi piuttosto come un tulipano.

Alessandro          - Ma sentitelo, signorina. Dopo che gli ho fatto risparmiare tante ore di treno, mi dà del tulipano. E notate che lui alla Casa glie lo mette in conto lo stesso il viag­gio.

Oreste                  - Prego, ho l'abbonamento.

Alessandro          - Ha detto che ha l'abbonamento. Io no. Perché posseggo un'automobile.

Oreste                  - Scalcinata.

Alessandro          - Ma sempre automobile. A voi, signorina, piace l'automobile?

Oreste                  - Tu credi che tutte le donne, appena ti vedono... plaff! È un vanesio, se sapeste, un tal vanesio!

Alessandro          - Dice che io sono un vanesio perché piaccio. D'altronde non è mica colpa mia.

Oreste                  - No, di mamma che l'ha fatto così bello.

 Alessandro         - E non è colpa mia se tu, invece, non piaci.

Oreste                  - Oh, per cotesto, io, quanto a pia­cere...

Alessandro          - Avanti. Sentiamo un parere di­sinteressato. Ma siate giusta, veh, qual'è il migliore di noi due? La risposta naturalmen­te non vi obbliga a nulla... Gettate il pomo, là, siate buona.

Oreste                  - Non essere sconcio. Che pomo?

Alessandro          - Il pomo di Paride. O di Venere? Oh Dio, non mi ricordo bene.

Oreste                  - Di Adamo!

Il Pensionato       - (alzandosi, fuori di sé) Di Pa­ride! Di Paride! Non si può venire più neanche in quest'angolo remoto. (E se ne va fu­ribondo).

Alessandro          -  (seguendolo con lo sguardo) Con chi l'aveva quel vecchio signore?

La Nutrice           - Con voi.

Alessandro          - Con noi? E perché? Che cosa gli abbiamo fatto?

La Nutrice           - Vorrebbe che nessuno parlasse mai.

Alessandro          - Oh, poteva dirlo... Per quanto... Io, vedete signorina, quando c'è tutta questa luce, non so cosa mi prenda. Sento un biso­gno di muovermi, d'andare, di parlare,., di... dare quattro sberle a qualcuno, magari, ma insomma... di far sentire che esisto. Lui no, sapete (indica Oreste) Lui, sempre questa pappa fredda.

Oreste                  - Pappa fredda poi no.

Alessandro          - Non ne ha colpa, nemmeno di questo. È nato così.

Oreste                  - Non gli credete, non gli credete. Par­la in questo modo perché negli affari son più bravo io di lui.

Alessandro          - Ah, quanto a questo, sì... Lui, quando ha azzannato un cliente, non lo mol­la nemmeno... E finiscono col dargli la com­missione per disperati, tanto per levarselo di torno... Io no. Il mio sistema, signorina, quattro chiacchiere, un vermouth, una bar­zelletta; una partita a biliardo... E là, la commissione casca da sé, quasi senza sapere com'è successo.

Oreste                  - Quando casca. Quando non te ne tor­ni a mani vuote, anche tu.

Alessandro          - Oh Dio, qualche volta capita, si sa. Non tutte le ciambelle riescono col buco; ma credete, il sistema della barzelletta lanciata al momento opportuno è il migliore. Il cliente bisogna tenerlo allegro, come le donne. E quando è di buon umore è difficile che vi neghi una commissioncina da nulla, tanto per farvi piacere.

Oreste                  - È inutile, sai? La signorina non ti dà ascolto. Non tutte le ciambelle riescono col buco.

Alessandro          - Ecco, vedete? Lui non sa fare altro che ripetere quello che sente dire dagli altri.

Oreste                  - Ma va. Non vedi che è fiato sprecato? La signorina è immersa nella sua lettera ed è come se neanche tu parlassi.

Alessandro          - Pazienza! (Cava di tasca un car-toccetto di semi di zucca salati e si mette a sbucciarli coi denti).

Oreste                  - Ohi, a me nulla?

Alessandro          - Tieni. Così starai zitto.

Oreste                  - Cinque di numero.

Alessandro          - Oh che smemorato. Scusate. Pos­so, signorina? Non sono che dei volgarissimi semi salati...

Oreste                  - Già, lui è splendido con le donne.

Alessandro          - In compenso però, sono offerti col cuore.

Vanda                  - (non risponde. I due si rimettono a sgranocchiare i semi).

Oreste                  - Dì, Alessandro.

Alessandro          - Cosa?

Oreste                  - Non ci hai pensato tu?

Alessandro          - A che?

Oreste                  - Se fosse sorda?

Alessandro          - Oh poveretta!... Sarebbe un vero peccato. Così graziosa e già così sorda. (Vol-tosi alla Nutrice le domanda con dei gesti se la ragazza è sorda. La Nutrice risponde di no. Che ci sente benissimo) A volte, chi lo direbbe, eh? Uno vede una bella ragazza. Dice fra sé: Magnifica! Quella figliola mi piace un mondo, sarebbe proprio il mio tipo. Son certo che stasera appena chiuderò gli oc­chi me la sognerò, e ad un tratto scopri... scopri... che è sorda. (Fa per asciugarsi gli occhi, non trova il fazzoletto, prende quello di Oreste).

Oreste                  - Che fai?

Alessandro          - Lo sai, no, che sono di cuor te­nero? Certe cose mi commuovono, è inutile.

Oreste                  - E lui duro. Vede che non attacca. Niente. Seguita imperterrito.

Alessandro          - È un po' lo stesso sistema che tu hai coi clienti. Tranne che coi clienti è molto meno divertente. È incredibile, signo­rina, l'ingenuità di questo ragazzo. A veder­lo non si direbbe. Oh Dio, non che si prenda subito per quello che ha inventato la polve­re, ma insomma, si dice: del tutto cretino non deve essere. Invece, signorina, è d'una in­genuità, d'una ingenuità... Ora le racconto quella delle fragole.

Oreste                  - No, no, te lo proibisco.

Alessandro          - Mi dispiace, ma alla signorina bi­sogna proprio che la racconti. Visto che mo­stra tanto interesse per quello che si dice. Sarebbe come defraudarla di uno dei più bril­lanti episodi della tua carriera amorosa.

Oreste                  - Ed io ti proibisco... Notate che le fragole le aveva comprate lui.

Alessandro          - È vero. Ma a mangiarle sei stato tu, e allora... Ah, mi dimenticavo, mi dimen­ticavo una cosa importantissima: che lui si chiama Oreste.

Oreste                  - Come se tu non ti chiamassi Ales­sandro!

Alessandro          - C'è una bella differenza!

La Nutrice           - (scoppiando in una risata) Ah ah ah!

Alessandro          - Cos'avete da ridere, buona donna?

Oreste                  - Tutto effetto del tuo nome!

La Nutrice           - Ah ah ah! Oreste!

Oreste                  - Ah beh!

La Nutrice           - Signor Oreste...

Oreste                  - Ma insomma...

La Nutrice           - Che ore sono per favore? Debbo tornare a casa, e la strada è lunga

Alessandro          - (pronto) Quasi il mezzogiorno.

Oreste                  - Ma...

Alessandro          - Sbrigatevi, sbrigatevi, buona donna. Altrimenti la vostra padrona vi sgri­derà. E poi può stare in pensiero per il bambino.

La Nutrice           - Andiamo, tesoro. (Si avvia tra­scinando la carrozzina. Passando davanti a Vanda) Arrivederci, signorina.

Vanda                  - Arrivederci.

La Nutrice           - E non state tanto a tornare. (Quando sta per scomparire) Mi dispiace per la storiella delle fragole.

Alessandro          - Pazienza. Ve la racconterò un'altra volta.

La Nutrice           - (scompare).

Alessandro          - (a Vanda) Scusate, ma non è mica il modo quello di spaventare la gente. Non ho più una goccia di sangue nelle vene.

Oreste                  - Che ti succede?

Alessandro          - Che mi succede? Perbacco! Non hai sentito? Ha parlato.

Oreste                  - Ho sentito.

Alessandro          - Ebbene, per un momento ave­vo creduto che fosse sordomuta. A quel­l'età. Così carina. Invece ha parlato. Non hai sentito?

Oreste                  - Ti ho detto di sì.

Alessandro          - Che voce!

Oreste                  - Oh sì!

Alessandro          - Oh sì. Uno ti dice - che voce! E tu rispondi « Oh sì ». E non sai dire altro. Ma di qualcosa significativo!

Oreste                  - Ma come vuoi che faccia, se parli sempre tu?

Alessandro          - Dio, non l'ascoltare! Si può be­stemmiare più di così? Parlo sempre io. Io che... Figuratevi che a casa debbono tirar­mi fuori le parole con le tanaglie. Parlo sempre io. Ditelo voi, signorina. Da che ci siamo seduti qui, ho parlato forse? Ho par­lato? Oh, beh, se anche voi ora vi rendete solidale con questo mammalucco non so più cosa fare. Vuol dire che al mondo la giu­stizia... Va bene. Diventerò muto anch'io... Ah, no, sai? Tu speravi che dicessi: come un pesce. No. Io frasi fatte, no! Non sono te, io!... Dammi un giornale, leggerò.

Oreste                  - Non ne ho.

Alessandro          - Non hai un giornale?

Oreste                  - No.

Alessandro          - Dici sul serio?

Oreste                  - No.

Alessandro          - Ma che uomo sei, allora, se non compri nemmeno un giornale la mattina?

Oreste                  - Perché non l'hai comprato tu?

Alessandro          - Perché quando c'è questo sole, leggere mi affatica la vista. Quando c'è que­sto sole io me ne vado a fiume.

Oreste                  - Potevi andarci.

Alessandro          - No, non potevo.

Oreste                  - Perché?

Alessandro          - Perché in questa città non c'è un fiume. Ora io domando e dico come fa una città che appena appena si rispetti e che non abbia il mare, a non avere nem­meno un fiume. Va bene che in questa città ci sono tante altre belle cose: una soprat­tutto...

Oreste                  - Quale?

Alessandro          - Ma sii perspicace una volta al­meno nella tua vita, Oreste. Le donne, no? (Indica Vanda).

Oreste                  - Ah, è vero.

Alessandro          - C'è arrivato. Ma questa man­canza di un fiume, via... Io, se fossi il po­destà, a quest'ora ne avrei fatto fare uno.

Oreste                  - Come se fosse semplice.

Alessandro          - Semplicissimo. Si fa scavare un bel fosso. Ci si buttano tanti secchi d'acqua e là, il fiume è fatto. (Sta a guardare l'effetto delle parole sul viso di Vanda). Co­m'era questa?

Oreste                  - Quale?

Alessandro          - Questa dei secchi d'acqua.

Oreste                  - Abbastanza stupida.

Alessandro          - Ah, ora mi spiego perché non ride. Strano, prima di dirle sembrano ca­rine; poi quando si sono dette... Peccato che non si possano ringoiare.

Oreste                  - Meglio.

Alessandro          - Meglio?

 Oreste                 - Faresti indigestione.

Alessandro          - Nella mia città invece, un fiu­me c'è... Un gran fiume... Noi ragazzi, appena veniva la stagione, si marinava la scuola e... Figuratevi che i proprietari degli stabili di fronte affittavano le finestre...

Oreste                  - Perché? Come c'entrano le finestre?

Alessandro          - Sicuro. Tanta era la richiestaper vedermi in mutandine da bagno.

Oreste                  - Oh beh! Oh beh!

Alessandro          - Basta. E’ stabilito che in questa città non c'è un fimme.

Oreste                  - Buttati nella vasca dei Giardini.

Alessandro          - Mi arresterebbero. Non impor­ta. Dammi un libro qualunque, qualcosa daleggere.

Oreste                  - Non ne ho.

Alessandro          - Dammi il registro delle com­missioni, l'orario delle ferrovie, qualcosa insomma. Ho bisogno d'occupare la mia men­te. (Alzandosi, mettendosi a passeggiare). Ma cos'è tutta questa giovinezza che batte qua dentro?... Ma guarda, guarda là. Quei ragazzi che giocano a palla. E quegli altri là che corrono... Auf! Oreste, levati la giacca.

Oreste                  - Cosa?

Alessandro          - (scamiciandoti) Levati la giac­ca, ti dico.

Oreste                  - Impazzisci, dì?

Alessandro          - Ho bisogno di sgranchire le ossa.

Oreste                  - Ma... (Si è tolta la giacca).

Alessandro          - Chinati.

Oreste                  - Cosa?

Alessandro          - Chinati, ti ho detto. Faremo alla bella insalatina, anche noi come quei ragazzi là.

Oreste                  - A che cosa vuoi fare?

Alessandro          - Alla bella insalatina. Non hai mai fatto alla bella insalatina tu, da ragazzo?

Oreste                  - Insalatina? Che insalatina? A que­sto gli ha dato di volta il cervello.

Alessandro          - Chinati, io ti scavalco.

Oreste                  - Ma...

Alessandro          - Ti rifiuti? Va bene. Prendo no­ta. Racconto quella delle fragole. E poi quella delle bottiglie.

Oreste                  - Ricattatore. (Si china). Ahi, ahi, la mia schiena.

Alessandro          - (fa per scavalcarlo, ma la schiena di Oreste si piega. I due vanno a finire per terra).

Oreste                  - Te l'ho detto che non ce la facevo? Oh, oh, mi hai spezzato il fil delle reni.

Alessandro          - Pezzo d'imbecille. Non sei pro­prio buono a nulla. (Si rialza).

Vanda                  - (Si è messa a ridere. È stato più forte di lei).

Oreste                  - Oh oh, meno male che, se non al­tro, ho messo di buon umore la signorina.

Alessandro          - D merito, tu!

Vanda                  - No, l'avete avuto voi.

Alessandro          - Miracolo! Ha parlato! Il merito è mio, allora?

Vanda                  - Sicuro. Fra i due il più buffo era­vate voi.

Oreste                  - O piglia.

Alessandro          - Qoand'è così, sarebbe stato me­glio che foste rimasta muta ancora un po'.

Vanda                  - Va bene. Sia per non detto.

Alessandro          - No, no. Ho scherzato. Conti­nuate a parlare. La vostra voce mi piace infinitamente.

Oreste                  - Anche a me.

Alessandro          - Sta zitto. Tu non c'entri.

 Oreste                 - Come, io non c'entro?

Alessandro          - Dite la verità, vi ho annoiata con tutte queste chiacchiere?

Oreste                  - E lo domandi? Naturalmente.

Vanda                  - (sorride senza rispondere).

Alessandro          - Si o no?

Oreste                  - Per forza! Quando cominci non la smetti più.

Vanda                  - Veramente ero venuta qui per pas­sare qualche ora in pace, in silenzio, da sola...

Alessandro          - Da sola? Con una mattinata come questa?

Vanda                  - Appunto perché è una mattinata così.

Alessandro          - Oh, che idee malinconiche!

Vanda                  - Non tutti si può essere allegri... come voi.

Alessandro          - Allegro! Allegro! Io non so se sono allegro. Non so quello che ho dentro.

Oreste                  - Il terremoto. Ecco quello che ci hai. Anche quando corre in automobile. Mi fa prendere di quegli spaventi.

Vanda                  - Il vostro amico deve volervi molto bene.

Alessandro          - Sara! Certo è che l'ho sempre fra i piedi.

Oreste                  - Sfacciato. Se sto un giorno senza farmi vivo...

Vanda                  - Dev'essere bella un'amicizia cosi.

Alessandro          - Per chi ne gode tutti i benefici: per lui, sì.

Vanda                  - No no. Son certa del contrario. Ed è forse per questo che io mi sento attratta di più verso il signor Oreste.

Oreste                  - Come? Come avete detto? Davvero?

Alessandro          - Un bel caso. Non era mai suc­cesso.

Oreste                  - Lo vedi, eh, tu che dicevi?...

Vanda                  - Ma naturalmente! (Ad Alessandro) Voi vi approfittate troppo di lui!

Oreste                  - Finalmente. C'è un po' di giustizia al mondol

Alessandro          - Sicché io sarei un ragazzo ca­priccioso e crudele?

Vanda                  - Un po'.

Oreste                  - Altro che un po'. Voi non le sapete tutte.

Alessandro          - Anche con le donne?

Vanda                  - No. Con le donne non credo. Però...

Alessandro          - Dicono tutte che so amare in un modo meraviglioso.

Oreste                  - Esagera. Esagera. Sempre così. Fa persin venire nausea.

Alessandro          - E voi, che ne pensate?

Vanda                  - Non so. Come posso sapere?

Alessandro          - È vero. Mi avete appena cono­sciuto. Ma quando mi conoscerete meglio...

Vanda                  - Meglio? Sarà difficile.

Alessandro          - Perché?

Vanda                  - Perché voi partite e anch'io... parto.

Alessandro          - Dove andate?

Oreste                  - Come sei indiscreto, Alessandro! Ap­pena conosciuta una persona vuoi subito sa­pere da dove viene, dove va... (a Vanda) Dove andate? lontano?

Vanda                  - Si, molto.

Alessandro          - Ma io viaggio! Corro di qua e di là con la mia automobile. Potrei raggiungervi... spesso.

Vanda                  - Oh no.

Oreste                  - Quando partite?

Vanda                  - Oggi... stasera.

Alessandro          - Noi, domattina. Si doveva vi­sitare un cliente, ma è malato. Ritorneremo.

 Oreste                 - Se non muore. Stamani era in agonia.

Alessandro          - Avanti, siate buona, ditemi dove andate.

Vanda                  - Curioso.

Alessandro          - Sapete che siete strana?

Vanda                  - Strana?

Oreste                  - Conosce appena una persona e già le dice che è strana. Bel modo!

Alessandro          - Sì. L'ho notato subito. In voi c'è qualcosa di strano.

Oreste                  - Non lo ascoltate. Io vi trovo norma­lissima. Deliziosa. Ma normalissima.

Alessandro          - Dovete avere un segreto.

Vanda                  - Tutti ne abbiamo.

Oreste                  - Se l'ha, non verrà mica a raccon­tarlo a te.

Alessandro          - Sì, è vero: tutti ne abbiamo. Ma intanto voi non siete contenta.

Vanda                  - Pochi lo sono.

Alessandro          - Perché?

Vanda                  - Perché la vita... vuole così.

Alessandro          - No: perché non siete contenta voi?

Oreste                  - Ti assicuro, Alessandro, che ora passi tutti i limiti. Che indiscrezione!

Alessandro          - Se io contassi qualcosa, gente scontenta intorno a me non vorrei vederne.

Vanda                  - Oh, ne vedreste sempre.

Alessandro          - Già già, lo capisco bene. A vol­te, sapete, mi metto a fantasticare... È incredibile come vada lontano a volte con la mia mente. Quasi mi perdo.

Oreste                  - Ma guarda che strano modo di par­lare alle ragazze. Io dico subito quel che provo. O sì o no. Non ho mezzi termini... Dite voi, non è meglio, signorina?...

Vanda                  - Ma!... Secondo.

Alessandro          - Perché non vai a vedere se c'è benzina nella macchina, Oreste?

Oreste                  - E perché, scusa, debbo andare a ve­dere se c'è benzina?

Alessandro          - Perché senza benzina le auto­mobili non vanno. Va a vedere se c'è benzina. Sii intelligente, una volta, in vita tua.

Oreste                  - Ma...

Alessandro          - Tra poco sarà l'ora della cola­zione... Si potrebbe andare in campagna, ti pare? Va' va'.

Oreste                  - Una volta che me lo dici con le buone...

Vanda                  - Ma perché? Tra poco potete andare insieme...

Oreste                  - Hai sentito? Ha detto che tra poco possiamo andare insieme.

Alessandro          - Oreste, come devo ripetertelo? Avanti, non far l'idiota.

Oreste                  - Va bene. Vado. È soltanto perché vedo che non me lo dici per mandarmi via.

Alessandro          - Ma no!

Oreste                  - Altrimenti, sai... A tra poco, si­gnorina. (Scompare).

Vanda                  - Lo scopo?

Alessandro          - Che scopo?

Vanda                  - Quello di mandar via così il vostro amico.

Alessandro          - Un buon ragazzo, ma sapeste, non mi lascia un momento.

Vanda                  - Avanti: cosa volete dirmi?

Alessandro          - No, non così: così mi smon­tate.

Vanda                  - Ebbene, io non ho nessuna intenzione di darvi ascolto.

Alessandro          - Ma...

Vanda                  - So già tutto quello che volete dirmi. No... andate a far colazione col vostro amico. Cercate di divertirvi meglio che potete. Non potranno mancarvi le occasioni. Me... lasciatemi stare.

Alessandro          - Perché?

Vanda                  - Perché è meglio così. Per tutti e due. Andate, andate.

Alessandro          - Toh, ed io che volevo proporvi una colazione in campagna. Non vi seduce una colazione in campagna, sotto un bel pergolato? Non vi seduce proprio?

Vanda                  - (esita dinanzi alla risposta).

Alessandro          - Sì. Avete detto di sì.

Vanda                  - Ma neanche per sogno.

Alessandro          - Però siete tentata. Dite la ve­rità. Siete tentata. Scommetto che da molto tempo non fate colazione in campagna, sot­to un bel pergolato...

Vanda                  - Questo l'avete indovinato... Anni.

Alessandro          - Venite, allora. Torneremo in se­rata. A tempo perché possiate prendere il treno. Mi darete il vostro indirizzo, se vor­rete; altrimenti, nulla! Vi prometto che non cercherò di violare il vostro segreto... Sono un po' rumoroso, chiacchierone, ma, in fondo, buon ragazzo, sapete?

Vanda                  - Oh questo lo so.

Alessandro          - Lo sapete? Come?

Vanda                  - Si capisce... subito. E poi la vita deve insegnar bene qualcosa, no?

Alessandro          - Ma non è il caso di dirlo con questo tono, però.

Vanda                  - Con che tono?

Alessandro          - Non so. Oggi bisogna essere contenti...

Vanda                  - È vero... Ed io, dite, come vi sembro?

Alessandro          - Oh voi... Voi avete parlato troppo poco... E poi io non cerco di sca­var mai troppo a fondo nelle persone.

Vanda                  - Perché?

Alessandro          - Per non aver sorprese. Mi con­tento di quello che vedo. Ed io vorrei che nella mia vita tutto fosse sempre facile, scorrevole, senza scosse...

Vanda                  - Sarebbe bello.

Alessandro          - Per me, fino ad ora, è stato sempre così... Quel che penso di voi? È detto in due parole. Una ragazza che mi piace infinitamente... Non chiedo altro, non cerco altro...

Vanda                  - Che bel carattere!

Alessandro          - Ne volete un poco? Ve lo cedo volentieri. Senza complimenti. Servitevi.

Vanda                  - Dunque non volete sapere cosa fac­cio, come vivo?

Alessandro          - Sarebbe una cosa forzata. Me lo direte voi, se credete, dopo. È più bello così. Non vi pare?

Vanda                  - Sì... forse.

Alessandro          - Non forse. Ci sono delle cose che finiscono e delle cose che continuano. La nostra volontà non ci può nulla. Tutto avviene al difuori di noi. E allora... lascia­mo fare al caso. È un padrone dispotico, sapete.

Vanda                  - Siete filosofo a modo vostro, an­che voi.

Alessandro          - Non so. Dico quel che penso. Sono filosofo? Potrà darsi benissimo. Tante dicono che sono un caro ragazzo. In questo caso è lo stesso.

Vanda                  - Meno male che Oreste non ci sente. Sarebbe capace di fare il geloso.

Alessandro          - Oh oh! È tardi, sapete? Non avete appetito? No? Io ho una fame da lupi. Andiamo, via, andiamo.

Vanda                  - Ma come? Davvero?

Alessandro          - Certo.

Vanda                  - Non abbiamo scherzato?

Alessandro          - Ah no. Andiamo. Ah, a pro­posito. Non mi avete detto ancora come vi chiamate. Il nome, mi basta il nome. O è troppa indiscrezione?

Vanda                  - (dopo una breve esitazione) Mi chia­mo Assunta.

Alessandro          - (un po' deluso) Assunta? Vanda   - Non vi piace?

Alessandro          - Oh Dio, può anche essere bello. Tutto sta farci l'abitudine. Andiamo.

Oreste                  - (comparendo trafelato, ansante) Ma se il serbatoio è pieno! Abbiamo fatto rifor­nimento poco prima di fermarci qui... Oh che sudata! Dove andiamo a colazione?

Alessandro          - Alle « Due Tortore ».

Oreste                  - Benissimo. Ci si mangiano delle ta­gliatelle meravigliose. Peccato che sia lontanuccio. Partiamo. Arrivederci, signorina.

Alessandro          - Ma no. Anche la signorina viene a colazione.

Oreste                  - Davvero? Oh come sono contento! Andiamo.

Alessandro          - Ma capirai, se la macchina ha due posti soli, non posso...

Oreste                  - È vero: dietro però...

Alessandro          - Dietro ci sono i campionari.

Oreste                  - Accidenti. Ma io, si può sapere co­me vengo io?

Alessandro          - Non so... Per oggi potresti an­dare a mangiare da solo.

Vanda                  - Da solo? No.

Oreste                  - Grazie. Eppoi mi viene la malinco­nia...

Alessandro          - Puoi prendere una bicicletta a nolo, qua davanti.

Oreste                  - Una bicicletta? Tutti quei chilome­tri? Oh Dio! Dio! Non importa. Vi rag­giungerò in bicicletta. Ordina intanto le ta­gliatelle.

Alessandro          - (fra i denti) Canaglia! Lo sa­pevo che non ci avresti mollati. (Va via con Vanda).

Oreste                  - (li segue provando il funzionamento delle giunture) Ahi! Ahi! Ahi!

CALA LA TELA

QUADRO TERZO

Paesaggio campestre limitato da immensi pa­gliai, a traverso i quali si vede il cielo incendiato dal tramonto. Ai due lati s'indovinano l'osteria delle « Due Tortore », la stalla, la concimaia.Una risata squillante rompe all'improvviso la profonda pace intorno. Vanda appare correndo, i capelli scompigliati, accaldata, la camicetta aperta sul collo. Dopo un momento appare an­che Alessandro senza giacca, senza cravatta, i capelli anche lui arruffati. I due corrono un po' nel breve spazio. Ma Alessandro ha pre­sto ragione della compagna. Le è sopra. La tiene.

Alessandro          - Vi ho presa.

Vanda                  - Oh Dio che corsa! Non'ne posso più.

Alessandro          - Chiedete merce'!

Vanda                  - Merce', merce', cigno gentil. E quel povero Oreste! Dove sarà restato?

Alessandro          - Non dubitate che ci raggiun­gerà!

Vanda                  - Zoppicava. Bisognerebbe andare a rimorchiarlo.

Alessandro          - Son quindici anni che lo ri­morchio.

Vanda                  - Come sono sudata! Il vostro fazzo­letto per piacere.

 Alessandro         - Pronti!

Vanda                  - Ooh! (si getta sulla paglia).

Alessandro          - Che ne dite di questa giornata? Non vi siete annoiata troppo?

Vanda                  - Annoiata? Ma che dite?... Che bel tramonto!

Alessandro          - Ordinato su misura. Non le so far bene le cose io?

Vanda                  - Siete un mago.

Alessandro          - Guardate quella nuvoletta lag­giù; quella nuvola viola.

Vanda                  - Ah che incanto!

Alessandro          - Anche quella, fatta fare ap­posta.

Vanda                  - Che matto!

Alessandro          - Dite che non sono un regista, via.

Vanda                  - Perfetto. Però avete avuto un eccel­lente collaboratore.

Alessandro          - Ah si? Chi?

Vanda                  - Il buon Dio.

Alessandro          - Vedrete che adesso i critici di­ranno che tutto il merito è suo.

Vanda                  - Non siate invidioso. Al buon Dio oggi dobbiamo tante cose!

Alessandro          - Che cosa?

Vanda                  - Ma... tutta questa giornata. La co­lazione sotto il pergolato...

Alessandro          - Badate che anche lui ha avuto una collaboratrice di prim'ordine.

Vanda                  - Chi?

Alessandro          - La signora Fausta, padrona delle « Due Tortore ».

Vanda                  - Forse. Ma io avrei trovato buona qualunque cosa.

Alessandro          - Grazie tante. Perché c'ero io.

Vanda                  - Perché c'era quel bel sole che ora, pur­troppo, se ne va.

Alessandro          - Manderà suo figlio domani.

Vanda                  - (con un sospiro) Oh domani...

Alessandro          - E stasera manderà la sua sorel­lina: la luna. A proposito, guardate: fa già capolino.

Vanda                  - Davvero? Non la vedo.

Alessandro          - Dietro quel monticello, là.

Vanda                  - Ah sì!

Alessandro          - Com'è timida! Sembra che ab­bia paura di mostrarsi.

Vanda                  - Avrà soggezione del suo fratello mag­giore.

Alessandro          - Una luna quasi rosa, traspa­rente. ..

Vanda                  - Siete un po' poeta?

Oreste                  - (compare zoppicando) No, è un po' scemo.

Vanda                  - Oh Oreste...

Oreste                  - Sapete che siete due bei tipi?

Vanda                  - Perché?

Oreste                  - Avevo voglia di sgolarmi. Niente! Come parlare al vento.

Vanda                  - Ma perché?

Oreste                  - Come perché?... Non mi avete visto ruzzolare?

Alessandro          - No.

Oreste                  - Sta zitto tu, che sei indegno di rivol­germi la parola. Non mi avete visto ruzzo­lare giù nel torrente?

Vanda                  - Oh Dio, sarete tutto bagnato.

Oreste                  - No, ma solo perché non c'era acqua. Però se ci fosse stata, avrei potuto bagnar­mi, e forse forse... affogare! Non posso pensarei.

Alessandro          - Non sei nemmeno bagnato. E allora, cosa vuoi? 

 Oreste                 - Mi sono slogato un piede, però. E domandi cosa voglio?

Alessandro          - Fa vedere.

Oreste                  - Slogato slogato no, ma insomma.Io non son fatto per queste cose, signorina Assunta, io di natura sono un uomo paci­fico... Che bisogno c'era di mettersi a fare quella gara su per la collina?

Vanda                  - Oh, è stato cosi divertente!

Alessandro          - Potevi stare a vedere tu!

Oreste                  - Per darvi un'idea di ciò che è que­st'uomo, signorina Assunta, sappiate che queste cose, queste gare, lui le organizza apposta, per farmi fare delle cattive figure.

Alessandro          - Ma va.

Oreste                  - Io vi prendo parte, operando di riu­scire qualche volta, sperando nell'aiuto di­vino, che un piede se lo sloghi lui, per esem­pio, che a finire in un torrente, ma di quelli veri, dove si arroga, ci vada hu... Macché! Gli vanno tutte bene. Pare impossibile. Non ho mai visto una fortuna così sfacciata. Se una disgrazia deve succedere, a chi succede? A me, naturalmente. (muovendosi a cammi­nare) Ahi!

Vanda                  - Perché voi. Oreste, vedete tutto nero. Cercate anche voi di prendere le cose alla leggera.

Oreste                  - Credete che non abbia provato? Lo stesso.

Alessandro          - Vedete? Questo è il ringraziamento.

Oreste                  - Che ringramento?  Che ringraziamento?

Alessandro          - D'averti fatto divertire.

Oreste                  - Divertire? Divertir come? Mi hai fatto perfino pagare la mia parte della colazione…..

Alessandro          - Non ci badate: ha la sbornia malinconica. Per due giorni non la smetterà con questi discorsi.

Oreste                  - Sbornia! Sbornia! Ho bevuto. E a me anche il poco fa male. Me lo sento subito nelle gambe. Poi non so com’è…. Sale sale dale alla testa. In ogni modo è  giusto che lo sappiate, voi non siete stata soltanto sua ospite ma anche ospite mia: sicuro, perché anche io ho pagato la mia parte, e per di più ho fatto quattro chilometri in bicicletta. Ora, dopo aver fatto quattro chilometri in bicicletta per non lasciarvi soli come cani, che cosa avrebbe dovuto fare lui? Accogliermi a braccia aperte, no? E invece, avete visto? Neanche un estraneo. E se non ci foste stata voi… sebbene a dire al verità voi pure…..

Alessandro          - Adesso rimprovera anche la signorina, avanti!

Oreste                  - Io non rimprovero nessuno. Dio me ne guardi però, scusate, beh, signorina Assunta ma quando si va con due giovanotti il meno che si possa fare è di mostrarsi gentili con tutti e due…..

Vanda                  - Oh!

Oreste                  - Si. Si. Capisco che non è tutta colpa vostra. Lui vi ha accaparrata… io non potevo dire una parola., non potevo fare il minimo tentativo, che hai………..

Alessandro          - Mi pare che tu stia rifacendoti, No?

Oreste                  - Perché a tutti viene il momento della ribellione. A un certo punto uno dice: basta.

Alessandro          - (mutando tono) Basta!

Oreste                  - Cosa?

Alessandro          - Basta!

Oreste                  - Ma. Alessandro!

Alessandro          - Mi hai seccato, basta!

Oreste                  - Ah beh! Se ti bai male di tutto,allora... Scusa, non volevo mica... dicevo per dire... Tu sai che ti voglio bene... Certoè seccante rimaner soli come cani tutta la giornata, quando due... Eh sì, perché infi­ne non siamo fatti di pasta frolla... Anche io ci ho qualcosa nelle vene, ma... No, no non irritarti... No, non volevo menoma­mente... Figurati, fra noi... Io vado di là a far merenda. Mi sfogherò in quel modo... Berrò un altro po' di quel vinetto... A pro­posito, avete fame Assunta? Volete far me­renda anche voi? Vi porto un panino ripie­no. E anche a te, eh, Alessandro... Dopo tutte queste corse... (a Vanda) Che volete, bisogna trattarlo come un bambino. Non ha mica giudizio, sapete? E se a volte non ci fossi io... (zoppicando) Ahi, ahi! ahi! (Scompare).

Alessandro          - (scoppia in una gran risata) Ah! Ah! Ah! Ah!

Vanda                  - No, povero figliolo!

Alessandro          - Ho il vago sospetto che Oreste non vi dispiace punto.

Vanda                  - Difatti...

Alessandro          - (s'alza di scatto, s'incammina ver­so la casa).

Vanda                  - Dove andate?

Alessandro          - Ad ucciderlo.

Vanda                  - Aspettate un momento. Avete tempo.

Alessandro          - Non è urgentissimo?

Vanda                  - No. Rimettetevi a sedere.

Alessandro          - Va bene. (Son tutti e due sdraia­ti su la paglia, le mani dietro la testa).

Vanda                  - (dopo un momento) Non mi avete detto dove abitate, Alessandro.

Alessandro          - Non ve l'ho detto ancora? Dav­vero?

Vanda                  - No no!

Alessandro          - Abito... (Rotolandosi un poco verso di lei) Siete curiosa. Io debbo dir tutto, voi nulla?

Vanda                  - I patti erano... Ma non importa, scu­sate.

Alessandro          - Sarò generoso, al solito. Io abi­to a Milano. La mia famiglia in provincia. Nella nostra vecchia casa.

Vanda                  - La vostra famiglia?

Alessandro          - Già. Naturalmente... Oh no! Non sono mica ammogliato... Se no, non mi vedreste far questa vita... Mi ammoglic-rò il giorno che dovrò muovermi meno. Una donna, sapete, non si deve lasciarla troppo sola,

Vanda                  - (esitando) E... e...

Alessandro          - Se sono fidanzato? No.

Vanda                  - Neanche una mezza idea?

Alessandro          - No, no, ve l'assicuro... È inu­tile che mi guardiate così. Sono sincero. Dia­volo. Lo direi... Che male ci sarebbe inline? E poi dovreste averlo capito, io non sono di quelli che raccontano delle fandonie alle ragazze, tanto per ottenere quello che vo­gliono... Io, quello che ho sul cuore ho sulle labbra... Sarà un difetto, a volte...

Vanda                  - No.

Alessandro          - Vi piace di più così?

Vanda                  - Sì... E appunto per questo trovo stra­no che ancora non siate... non abbiate...

Alessandro          - Mah! Si vede che ancora non ho trovato l'anima gemella (Ride).

Vanda                  - Come ridete di gusto.

Alessandro          - Diavolo! Rido come mi viene. Non sto mica a far le prove avanti allo spec­chio, sapete? In ogni modo non sono come voi...

Vanda                  - Come me?

Alessandro          - ...non so se debbo dirlo.

Vanda                  - Anzi; dite.

Alessandro          - È difficile. Ebbene, quando ave­te accettato di far colazione qua...

 Vanda                 - Avanti, continuate. Non abbiate ti­more d'offendermi.

Alessandro          - Sapete, una colazione in campa­gna... Si sa come queste cose vanno a finire...

Vanda                  - Si sa.

Alessandro          - Avete visto invece? Man mano che si stava insieme, io diventavo... Come potrei dire? più riservato, più... Insomma, come mi sono comportato con voi, Assunta?

Vanda                  - Deliziosamente.

Alessandro          - A volte basta nulla. Il modo di gestire, di guardare le cose, le persone... per farci intuire...

Vanda                  - Che cosa avete intuito?

Alessandro          - Non ve ne avrete a male?

Vanda                  - Di che posso avermi a male io? Eppoi oggi! Sono stata così felice!

Alessandro          - Ecco. Lo avete detto troppe vol­te. Chi è abituato alla felicità non lo dice.

Vanda                  - È vero.

Alessandro          - La vostra era una felicità così strana!

Vanda                  - Forse.

Alessandro          - Era come se usciste per la prima volta dopo una lunga convalescenza. Forse non dovevo dirlo... Non dovevo dirlo?...

Vanda                  - Perché? Può essere anche vero in un .eerto senso...

Alessandro          - E allora... capite? Mi sarebbe parso d'offendervi, d'approfittarmi... Stavo attento alle parole che dicevo... per timore di... di... Insomma, sentivo che, in un certo senso, la vostra felicità dipendeva da me, e che sarebbe bastato poco, forse, per distrug­gerla e... che non bisognava. Sentivo che do­vete aver sofferto. Assunta... (Timidamente piano) È vero?

Vanda                  - (abbassa la testa).

Alessandro          - Oh, non penserete mica che io cerchi in questo modo... Del resto vi ho già detto che non voglio saper nulla per forza.

Vanda                  - Come siete buono.

Alessandro          - Ma no, ma no!... Anch'io ho avuto delle atroci malinconie... Non mi guar­date cosi. Non scherzo. Vi pare impossibi­le?... E invece c'è stato un periodo... Al tem­po dell'adolescenza. Poi ho cominciato a fare dello sport... La montagna! Non c'è niente come la montagna che ridia la vita.. Non siete mai stata a Cortina? Non avete mai fatto sports invernali allora... Ah, mi pia­cerebbe farvi conoscere la montagna... Ba­sterebbe provare, sapete?... Siamo un grup­po di matti. E chi la prova una volta la montagna, non può farne più a meno... Guar­date, guardate qui. (Trae dalla tasca poste­riore dei calzoni il portafoglio: ne cava delle fotografie) Questo è Gervasi, questo Tolomei, questo Andreini; siamo sul Sasso di Stria...

Vanda                  - E queste due ragazze?

Alessandro          - Ah queste... queste sono le mie due sorelline.

Vanda                  - Due amori!

Alessandro          - Trovate anche voi che mi asso­migliano un po'?... Cioè, volevo dire... Insomma, lo dicono tutti. Mi assomigliano in bello, naturalmente.

Vanda                  - Anzi, trovo che vi assomigliano molto.

Alessandro          - Senza scherzi?

Vanda                  - Senza scherzi.

Alessandro          - Ma sapete, somigliamo tutti tal­mente a nostra madre!

Vanda                  - (che intanto ha fatto passare le foto­grafie)... questa signora, forse?

Alessandro          - ...Sì. Bella donna ancora, vero? Una donna che per noi ha sacrificato tutta la sua vita... Se sapeste quanto ha dovuto lottare, quanto ha dovuto lavorare. Pensate che è rimasta vedova a ventidue anni... Enon era facile, sapete, mantenersi onesta, con tanti che le stavano dietro... Eppure ce ne sono di queste donne. (Dopo un attimo) La vostra mamma è àncora viva?

Vanda                  - ... No.

Alessandro          - E neanche vostro padre?

Vanda                  - ... No.

Alessandro          - Ma che avete? Ho fatto male forse...

Vanda                  - No. C'è troppo profumo d'erba fal­ciata qui.

Alessandro          - È vero. Viene a ondate. Volete muovervi un po' ?

Vanda                  - Piuttosto sarà meglio tornarsene in città, non vi pare?

Alessandro          - Di già? Ma è ancora presto... Sentite fresco? Volete che vi prenda la giacca?

Vanda                  - Grazie. Non vi disturbate. Io sono abituata a fare tutto da sola, sapete?... Non ho nessuno che mi aiuti, che mi serva, che pensi a me... Quando fa freddo, se non me ne accorgo io... E anche quando ho la febbre, e anche quando, quando... sono terribilmen­te sola. Voi mi avete detto tutto di voi, non è vero? Non si poteva essere più sinceri di così, più candidi... Fin troppo.

Alessandro          - Troppo?

Vanda                  - Sì, perché non bisogna essere esagera­tamente sentimentali. C'è il caso di aver la peggio, nella vita.

Alessandro          - Non io.

Vanda                  - Sarà. Ebbene, anch'io vi ho detto tutto di me.

Alessandro          - Nulla.

Vanda                  - Tutto. Sono terribilmente sola. Non c'è altro da dire.

Alessandro          - Ah, avevo dunque ragione di...

Vanda                  - (mettendogli una mano sulla bocca) -Ssst! Basta così. Niente altro. Il capitolo confidenze è terminato.

Alessandro          - Come volete.

Vanda                  - Ecco. Ed ora fatemi un piacere, Ales­sandro.

Alessandro          - Ma figuratevi...

Vanda                  - Andatemi a prendere un bicchier d'acqua. Vi dispiace?

Alessandro          - Ma no, ma no. Che dite?

Vanda                  - Ho la gola secca.

Alessandro          - La corsa di poco fa.

Vanda                  - Già: forse. .

Alessandro          - (esce).

Vanda                  - (si copre la faccia con le mani, le tiene un po' così, poi si getta sulla paglia, supina).

Oreste                  - (entra con una bottiglia di vino e un panino ripieno) Che salame! Che salame! Vi ho preparato un panino ripieno che...

Vanda                  - Grazie.

Oreste                  - Come, non vi ci buttate sopra?

Vanda                  - Dopo, dopo.

Oreste                  - Tutto sta a cominciare, sapete? E questo vinettino! Ne ho bevuto una botti­glia intera...

Vanda                  - Si vede.

Oreste                  - Oh bella! Davvero? E da che cosa si vede?

Vanda                  - S'indovina.

Oreste                  - Ah! (Siete accanto a lei) Dov'è an­dato quel seccatore d'Alessandro?

Vanda                  - Torna subito.

Oreste                  - Subito? Peccato. Ho diritto anche io, no,  di stare un po' con voi.

Vanda                  - Non vi abbiamo mica mandato via.

Oreste                  - Oh, è lo stesso... Ma perché tenete gli occhi socchiusi a quel modo? Avete sonno?... Sapete che siete straordinariamente eccitante così?... Distesa su questa paglia, con la camicetta aperta sul collo... Posso dirvi una cosa? (Visto che ella non rispon­de) Ebbene, voi siete proprio il mio tipo... La cercavo una figliola come voi... Io già sono per le false magre... Quelle tavole da stiro che usano ora non mi vanno... Io, quando una donna si spoglia, voglio trovar­ci qualche cosa... E voi... Confessate via, che non vi dispiacciono le mie parole... Lo capisco subito, sapete, quando una donna ci sta; non reagisce, resta li a fare la gatta morta, lascia parlare, lascia fare... Che bella bocca avete Assunta!... Che bella bocca! (Egli si china per baciarla. Ella si solleva di scatto, lo manda a ruzzolare sulla paglia).

Vanda                  - Andate via! Siete ubriaco. Puzzate di vino.

Oreste                  - Assunta!

Vanda                  - Finitela!

Oreste                  - Perché allora mi avete lasciato par­lare? Perché stavate ad ascoltarmi?

Vanda                  - Ad ascoltarvi? Se sapeste come la mia mente era lontana.

Oreste                  - Lontana, già. Voi mi ascoltavate... Ed era un modo di provocarmi, quello di restare distesa così, con la faccia in aria... Voi non vi siete vista, ma era il viso di una donna che... Oh io me ne intendo!... Siete una di quelle che esasperano gli uomini e poi, sul più bello... Tutto il giorno così, con Alessandro, con me... Mi avete perfin carez­zato, a tavola... Credete che si possa carez­zare un giovinotto impunemente, come se fosse di cartapesta?

Vanda                  - Vi prego, Oreste!

Oreste                  - Già, certe verità scottano.

Vanda                  - Siete fuori di voi. Siete eccitato dal vino.

Oreste                  - Non soltanto da quello, ma da que­sta giornata passata così, mentre voi due...

Vanda                  - Non sapete quello che vi dite.

Oreste                  - Anche troppo. Infine, cosa credete d'essere?

Vanda                  - Nulla, nulla credo d'essere.

Oreste                  - Quando una donna va con due uo­mini così, senza neppur sapere chi siano, non ci andrà per dire le orazioni, credo... E allora? Perché fate la smorfiosa?

Vanda                  - Ma sì, sì. Soltanto, per un momento m'era parso... E avete sciupato tutto. Pec­cato.

(Ella si lascia cadere su un tronco d'albero. Si copre il viso con le mani. Silenzio).

Oreste                  - Che cosa ho detto? Oh Dio, ero ubriaco. E' passata in un attimo. E' stato come un catino d'acqua gelata. Non avevo l'intenzione d'offendervi. Si parla spesso sen­za neanche sapere quello che si dice... Per solito io non sono cattivo, sapete?

Vanda                  - Ma sì, Io so.

Oreste                  - Ero esasperato... A volte, non si sa come, scappa fuori un altro... È lui a par­lare, ad agire...

Vanda                  - So anche questo.

Oreste                  - Sì? E allora mi perdonate?

Vanda                  - Non c'è nulla da perdonare. Era na­turale che succedesse questo.

Oreste                  - No, no... Io non so più esattamente quello che ho detto. Ma qualunque cosa sia, non la pensavo. (Cercando di convincerla) Davvero. Ve lo giuro. (Dopo un momento) Non direte mica nulla ad Alessandro, vero?

Vanda                  - No.

Oreste                  - Quel ragazzo, vedete, è buono e caro; ma se fa tanto di montare in bestia, è ca­pace... Ora, mi dispiacerebbe troppo che dopo quindici anni la nostra amicizia... Scommetto che adesso vi do l'impressione d'essere un vile...

 Vanda                 - No.

Oreste                  - Ebbene a me sì.

Vanda                  - Allora, se ne siete convinto voi...

Oreste                  - Se si tratta d'Alessandro, io divento vile... Il mio attaccamento per lui è fatto d'invidia, di gelosia, d'ammirazione... E anche d'affetto naturalmente: è qualcosa che nello stesso tempo mi spinge verso di lui e me ne allontana. Non so spiegarvi... Volevo soffiargli la ragazza, è vero. C'entrava un poco il puntiglio. Non vi s'era conosciuta insieme?... E allora? Perché lui sì e io no?... Ho voluto provare. M'ò andata male. Del resto mi va male quasi sempre. Mah! forse perché siamo abituati a fare a mezzo di tutto, vorrei fare a mezzo anche delle sue donne... Sarà la forza dell'abitudine.

Vanda                  - Ecco, ora mi piacete di più.

Oreste                  - Eh già, la sbornia è passata, o... quasi. E adesso non so proprio più cosa di­re. Mi par d'aver vuotato tutto il sacco delle sciocchezze, tanto che se Alessandro tornasse, tirerei un gran sospiro di sollie­vo... Ma si può sapere dov'è andato?

Vanda                  - È andato a prendermi un bicchier d'acqua.

Oreste                  - Cosa? Un bicchier d'acqua? Ah, ma allora dev'essere affogato nel pozzo. Bi­sogna iniziare subito le ricerche.

Alessandro          - Inutile. Sono qua.

Oreste                  - Finalmente. Stavo in pensiero.

Alessandro          - (andando verso di lui minaccio­samente) In pensiero, vero?

Oreste                  - Alessandro!

Alessandro          - (prendendolo per il petto) Sei un mascalzone, sei un farabutto...

Oreste                  - Sì, sì...

Alessandro          - Sei l'ultimo...

Oreste                  - Sì, sì...

Alessandro          - ...degli uomini.

Oreste                  - Hai ragione. Ma ti giuro, Alessan­dro che non sapevo quello che mi facessi. Sai, a me anche il poco dà alla testa.

Alessandro          - Non hai giustificazioni.

Oreste                  - No, non ne ho: come vuoi tu.

Alessandro          - Meriteresti che io ti prendessi a schiaffi.

Oreste                  - A schiaffi no. Mi obbligheresti a rea­gire.

Alessandro          - Reagire tu, pezzo di...

Vanda                  - (frapponendosi) Vi prego, Alessandro, lasciatelo, non è il caso.

Alessandro          - Voglio che vi chieda scusa.

Vanda                  - Ma no! Non diventiamo ridicoli, per carità. Finché si scherza, va bene; ma non esageriamo. Caro Oreste, amici più di pri­ma, vero? (Gli tende la mano).

Oreste                  - Ma figuratevi! (Le stringe la mano). (Silenzio imbarazzato di tutti e tre).

Oreste                  - Beh, sarà meglio che vada a pagare la merenda...

Alessandro          - Credo anch'io.

Oreste                  - Oh, non lo faccio mica per lasciarvi soli, sapete? Ma perché è la verità... A tra poco. A tra poco. (Scompare).

Alessandro          - Vi portavo l'acqua, quando...

Vanda                  - A proposito, che ne avete fatto?

Alessandro          - Dalla rabbia ho scaraventato via tutto.

Vanda                  - Bravo! Miracolo allora che non vi sia­te gettato come una tigre sul vostro povero amico.

Alessandro          - Miracolo davvero.

Vanda                  - Avete fatto bene a trattenervi.

Alessandro          - Perché?

 Vanda                 - Ma perché non metteva conto. Una che conoscete appena.

Alessandro          - È stato un villano.

Vanda                  - Aveva bevuto.

Alessandro          - Non è una buona ragione.

Vanda                  - Grazie. E ora... vogliamo tornare?

Alessandro          - Ancora un poco. A che ora par­te il vostro treno?

Vanda                  - Alle undici.

Alessandro          - Bugia: dopo le dieci e venti non partono più treni.

Vanda                  - Appunto. Il mio...

Alessandro          - No: quello si arresta a Rovi-gliano. Pochi chilometri. Voi non andate a Rovigliano.

Vanda                  - No.

Alessandro          - Dunque, non partite.

Vanda                  - È vero. Ho però... dei parenti. Mi aspettano.

Alessandro          - Lasciateli aspettare.

Vanda                  - ...Il portone si chiude.

Alessandro          - Potete sonare.

Vanda                  - Per svegliare tutta la casa?

Alessandro          - O non rientrate affatto.

Vanda                  - Ah questa è bella!

Alessandro          - Anzi, sarebbe bellissima... Sen­tite che pace... Comincia a far buio. I gril­li, le rane, laggiù... E la luna. Guardate come s'è fatta grande... (Piano) Si potrebbe passare la notte qui.

Vanda                  - La notte: addirittura?

Alessandro          - L'albergo ha giusto tre camere: una per voi, una per Oreste, una per me... Una notte in campagna... Cenare in qoella grande cucina, con quel grande camino... Fa ancora freddo, la sera... Poi un'altra bella passeggiata, al chiaro di luna... sertre Oreste, però... poi in uno di quei gradii letti, tra quelle lenzuola ruvide... E domat­tina... Volete?

Vanda                  - No.

Alessandro          - Perché?

Vanda                  - No... No!

Alessandro          - (pianissimo) Non vi piaccio dunque neanche un poco?

Vanda                  - Non lo dite.

Alessandro          - Vi piaccio?

Vanda                  - Nessuno mi è mai piaciuto così...

Alessandro          - Nessuno?

Vanda                  - Nessuno. E credevo di aver volato bene a un uomo come al mondo si può vo­ler bene.

Alessandro          - Ed io sarei stato capace di far­velo dimenticare?

Vanda                  - ... Sì.

Alessandro          - Davvero Assunta? (Le prende le mani e ja per baciargliele).

Vanda                  - (ritirando le mani) No!

Alessandro          - Perché?

Vanda                  - Perché... anche l'altro, vedete, ogni volta che andavo a trovarlo, mi baciava le mani.

Alessandro          - È morto?

Vanda                  - Sì.

Alessandro          - Quando?

Vanda                  - ... Stamani.

Alessandro          - Come?

Vanda                  - Nel momento che ho incontrato voi!

Alessandro          - Oh.

Vanda                  - Non era più che un ricordo. Eppure un ricordo può essere tutto nella vita di una donna, fino a renderle indifferente qualsiasi altra cosa, qualsiasi contatto: come se lasua carne fosse morti, capire.

Alessandro          - E vi fa questo ricordo...

Vanda                  - Non lo so ancora Lo saprò forse do­mani. Quando voi vi sarete già dimenticato delle belle ore che abbiamo passato insieme.

Alessandro          - Io? Non me le dimenticherò mai.

Vanda                  - Son cose che si dicono.

Alessandro          - Vi giuro che sarà così. Nella mia memoria ho un ripostiglio segreto per tutte le cose che mi sono piaciute.

Vanda                  - E nel vostro cuore?

Alessandro          - Per tutte quelle che ho amate.

Vanda                  - Di certo, io non ci sarò li.

Alessandro          - V'ingannate. Voi sarete proprio lì. Ed io? Io dove sarò?

Vanda                  - Non vi ho detto che non lo so anco­ra? Che lo-saprò forse domani?

Alessandro          - Come siete strana! Non riesco a capirvi.

Vanda                  - Neanche io. Eppure non dovrebbe essere difficile. (Un silenzio) Alessandro, can­tatemi ancora « Seduzione » come l'avete cantata oggi nel bosco. Volete?

Alessandro          - Oh, ho corso tanto che temo di non aver più voce.

Vanda                  - Piano piano... Ve ne prego. (Egli co­mincia a cantare « Seduzione ». Dopo un po­co) Davvero vi sono tre camere nell'al­bergo?

Alessandro          - Ve lo giuro.

Vanda                  - Scusate, ma non mi fido.

Alessandro          - Cattiva!

Vanda                  - Non di voi… ma delle delle camere. Debbo vedere come sono... Vi pare?

Alessandro          - E’ giusto. Andiamo.

Vanda                  - No. Io sola. Voi... aspettatemi qui. Ma seguitate a cantare.

Alessandro          - Da solo?

Vanda                  - Sì.

Alessandro          - Sarò buffo.

Vanda                  - Voglio continuare a sentire la vostra voce.

Alessandro          - Va bene, va bene. Tutto come volete voi.

Vanda                  - (si avvia verso la casa. Ma ad un trat­to volgendosi) Sapete che siete un tesoro?

Alessandro          - Me lo ripetono da che son nato.

Vanda                  - E hanno ragione.

Alessandro          - Dovrò finire col crederci. Ma perché sono un tesoro?

Vanda                  - Perché... Perché siete come un bam­bino, perché... (Gli circonda dolcemente la testa con le braccia, se l'appoggia al seno con un gesto casto, quasi materno).

Alessandro          - Che braccia profumate avete!

Vanda                  - Ssst! Non parlate. Silenzio. Silenzio. (Lo bacia piano su la fronte, su le guancia. D'improvviso lo lascia).

Alessandro          - (deluso) Come? Su le labbra no?

Vanda                  - ... No.

Alessandro          - Dopo?

Vanda                  - (gli fa cenno di tacere) Ed ora, vi prego, Alessandro, fatemi sentire quella bel­la canzone...

Alessandro          - Ma...

Vanda                  - Voglio che mi accompagni. Ve l'ho detto. (Ella scompare).

Alessandro          - (riprende a cantare. Termina la canzone. Quindi s'alza, muove qualche pas­so verso la casa incerto. Gli pare che l'as­senza della compagna si prolunghi. Entra Oreste).

Oreste                  - Però son buffe le donne. Tutte han­no le loro stranezze.

Alessandro          - Perché?

Oreste                  - Da me sì e da te no.

Alessandro          - Cosa?

Oreste                  - Dimmi un po' cos'è successo. Perché da me si è fatta accompagnare e da te no?

Alessandro          - Dove?

Oreste                  - Sulla strada.

Alessandro          - Eh?

Oreste                  - Ma sì, mi ha raccontato una storia... Mi ha detto che era d'accordo con te. Ila fermato una macchina. E via!

Alessandro          - E tu l'hai lasciata...

Oreste                  - Ma scusa, mi ha detto...

Alessandro          - Idiota! Idiota!

Oreste                  - Cosa volevi che sapessi!

Alessandro          - Idiota!

Oreste                  - È fuggita!

Alessandro          - Sicuro. E tu non hai pensato...

Oreste                  - Lo sai che penso il meno possibile. Accidenti, ce l'ha fatta, però. Raggiungia­mola.

Alessandro          - E dove? Ormai!... (Pensando) Incomprensibile. Incomprensibile. Che pec­cato!

CALA LA TELA

ATTO TERZO

QUADRO QUARTO

Ancor prima che s'alzi la tela, s'odono le ulti­me battute di «Seduzione». Ma non è più la voce di Alessandro. È  la voce «educata» di un tenore di professione. Poi si vede una stanza dalla tappezzeria rossa e banale, dalla mo­bilia goffa e piena di pretensione. È un salottino «particolare», nella casa della Bitonta.

Vanda                  - (vestita da sera, un abito lungo vapo­roso, di buon gusto, è accoccolata sul diva­no. Vicino a lei su un piccolo tavolo è po­sato un grammofono. Ella ascolta « Sedu­zione », ha gli occhi perduti in alto, come incantati. Ma la canzone è giunta ormai alle ultime note. E ad un tratto cessa. Il disco però continua a girare, sfregato dalla puntina rauca. E la ragazza senz'accorger­sene resta così nel medesimo atteggiamento).

Yvonne                - (entrando anch'ella  in abito da sera) -Eh bien? Qu'est-ce que tu fais?

Vanda                  - (scuotendosi) Ah, sei tu?

Yvonne                - Ton disque continue à tourner. Ti si rovinerà.

Vanda                  - Oh già. (Ferma il grammofono. Con mille precauzioni guarda se il disco è sciu­pato).

Yvonne                - Toujours la meme chanson?

Vanda                  - È bella.

Yvonne                - Oui, mais rasante à la longue... Tu sais? Il m'a écrit.

Vanda                  - Sì?

Yvonne                - Il m'annonce qu'il reviendra. Et puis nous partirons ensemble.

Vanda                  - Sarai contenta.

Yvonne                - Tanto.

Vanda                  - Sono contenta anch'io per te.

Yvonne                - Je te devrais un brin de mon bon-heur.

Vanda                  - A me? E perché?

Yvonne                - Parce que tu as écrit mes lettres...

Vanda                  - Oh!

Marga                  - (entra fumando) Non fai più andare il grammofono? (Sbadiglia) Che noia, sta­sera!

Vanda                  - Vuoi sentire?

Marga                  - Mica il solito disco eh? Ce n'hai fatto fare un'indigestione.

Vanda                  - È bello.

Marga                  - Sì, si, ma anche le cose belle... Un altro.

Vanda                  - No. Un altro non posso. Non ne ho più.

Marca                  - Ne avevi tanti.

Vanda                  - Li ho regalati.

Marga                  - A chi?

Vanda                  - Non so più.

Marga                  - Perché?

Vanda                  - Perché mi basta quello.

Yvonne                - Jc l'ai toujours dit que tu es un peu toquée.

Vanda                  - (ridendo) Mah! Può darsi.

Yvonne                - On te passe tous tcs caprices. On ne sait pas pourquoi. Tu as de la chance. On t'a méme permis de laisser ton gramo-phone dans ce petit salon. Ori te permets d'y rester à ton gre. On a pour toi des égards incroyables.

Vanda                  - Ma anche voi siete qui, se non sba­glio, in. questo momento.

 Yvonne               - Oh nous... nous c'est autre chose!

Marca                  - (s'è intanto avvicinata alla finestra) -E piove sempre. Non passa un'anima.

Yvonne                - Cette pluie est assommante.

Vanda                  - Siamo in novembre, no?

Marca                  - In novembre?

Vanda                  - Eh già!

Marca                  - In novembre!...

Vanda                  - È vero, tu non sai mai in che mese siamo.

Marga                  - Tanto... è lo stesso. (Dopo un mo­mento) Ah, mi ha mandato a dirti che do­mani, se vuoi, puoi uscire.

Vanda                  - Uscire? E perché?

Marca                  - Ti tocca.

Vanda                  - Credo, già, ma...

Marga                  - Non uscirai?

Vanda                  - No.

Yvonne                - On dit qu'il y a presque une annéc que tu ne sors pas.

Vanda                  - No!

Yvonne                - Ce n'est pas vrai?

Vanda                  - Otto mesi soltanto.

Marga                  - Pensare che prima eri invece così smaniosa d'andar fuori!

Vanda                  - Ora... non me ne importa più.

Yvonne                - Pourquoi?

Vanda                  - Perché? No! Sarebbe una storia trop­po lunga.

Marga                  - Racconta.

Vanda                  - Non capireste.

Yvonne                - No! Dì perché.

Vanda                  - Ma perché... anche restando chiusa qua dentro... io esco ugualmente.

Marca                  - (la fissa impensierita).

Vanda                  - (sorridendo) Lo dicevo che anche tu mi avresti creduta un po' tocca?

Marca                  - Capirai, fai certi discorsi!

Yvonne                - Personne ne t'a vu sortir.

Vanda                  - E invece io esco.

Yvonne                - (come se si rivolgesse a una bambina o a una povera demente) Vraiment?

Vanda                  - Sì. Ogni giorno.

Marca                  - Ogni giorno?

Vanda                  - Ve l'assicuro. Me ne vado fuori in automobile. l'accio dei lunghi viaggi, mi fermo in tutte le città...

Marga                  - Attraverso gli albums di vedute che ti sei fatta venire?

Vanda                  - ...e a volte vado perfino... perfino in montagna, pensate. D'inverno la montagna è meravigliosa. Siamo un gruppo di matti. C'è Gervasi, Tolomei, Andreini...

Yvonne                - (spaventata) Vanda!

Vanda                  - Ci si rincorre, si ride... ci si getta la neve. Si fanno delle fotografie che ciascuno porta con sé e ogni tanto guarda... Ve l'ho detto, voi non potete capire.

Marca                  - Ma cosa dici?

Vanda                  - Ecco, non mi credete. Ed io vi giuro che è così.

Yvonne                - Tu sors en auto?... Oh mais... mais.

Vanda                  - Vedete, non sono precisamente io quella che scorrazza per tutte le città, ma l'altra. Si chiama Assunta.

Marga                  - Assunta?

Vanda                  - Eppure non è un'altra. Sono io, sen­za esserlo... Io come sono stata un giorno,io come mi ha vista, come mi ha creduta... qualcuno. E come mi vedrà sempre, come mi crederà sempre.

Yvonne                - Ah, tu cs épatante!

Marga                  - Hai avuto un'avventura, l'ultima volta che sei uscita... otto mesi fa?

Vanda                  - Un'avventura? No, un semplice in­contro.

Marca                  - (incredula) Ma va!

Vanda                  - Te lo giuro.

Marga                  - E non è successo nulla?

Vanda                  - Nulla.

Marga                  - Nonostante tu, da allora, hai rinun­ciato ad uscire?...

Vanda                  - Uscire? Perché? Sono sicura che non mi succederebbe più una cosa così bella. E poi, basta a volte una giornata, nella vita! (Un grande silenzio).

Marca                  - (si è rimessa a guardar fuori. A un tratto) Il vicolo è come un torrente.

Vanda                  - Piove ancora?

Marga                  - Diluvia.

Vanda                  - Per me no: è sempre una giornata di primavera.

Marga                  - Non senti? Sembra che il vento vo­glia sradicare la casa.

Vanda                  - Se lo facesse, io chiuderei gli occhi senza accorgermi che è il vento a portarmi via e a sbattermi di qua e di là. Non sen­tirei nulla. Continuerei a vedere quello che vedo ora...

Yvonne                - (che ha ascoltato senza togliere gli occhi da dosso alla compagna) Tu as des visions?

Vanda                  - Continuamente.

Yvonne                - Une de mes soeurs avait aussi des visions.

Vanda                  - E morì pazza, mi dicesti.

Yvonne                - Oh ma non è il caso di spaventarti, tu sai.

Vanda                  - E io infatti non mi spavento. Se la pazzia fosse così, sarebbe bella.

Marga                  - Di, non esci per paura d'incontrarlo?

Vanda                  - Forse. Ma soprattutto perché è inuti­le. Perché quello che ho, quello che mi ha lasciato mi basta.

Marga                  - Non ti ha lasciato nulla.

Vanda                  - Nulla e tutto.

Marga                  - Beata te che ti contenti. Io... tu sa­pessi: non ne posso più.

Vanda                  - Povera Marga!

Marca                  - Mi compiangi tu?

Vanda                  - Ma certo. Io, almeno, ho potuto met­termi l'animo in pace.

Marga                  - In pace?

Vanda                  - ...Quasi.

Marga                  - Ecco: quasi.

Vanda                  - Ma sono momenti brevissimi, te l'as­sicuro. La mattina forse, quando mi sve­glio, ancora quel senso di smarrimento che provavo prima, quel senso di vuoto... Poi a poco a poco, vedi, mi ricordo... E allora comincio a pensare. E rivedo tutto quello che ho fatto, dell'istante che sono uscita in strada e mi è venuta incontro quella buona aria della mattina con tutto quel sole... Ho dovuto chiudere gli occhi, ricordo. Poi mi sono trovata al mio solito posto là, ai giar­dini pubblici... Rivedo tutto, tutto; fino a che non sono rientrata qua e non sono corsa difilato in camera mia, senza voler guardare nulla, stringendo gli occhi, e mi sono gettata vestita così com'ero, sul letto, e mi sono addormentata... fino all'indomani.

Yvonne                - Je me rappelle; tu es passée par le corridor come quelqu'un qui a volé quelque chose.

Vanda                  - E infatti qualcosa avevo rubato.

Marga                  - Da quel momento sei mutata. Nes­suno ti riconosce.

Yvonne                - Pas meme Madame.

Marga                  - Ti vuol perfino bene. Tutte siamo partite, tornate. Tu sola sei restata. Come hai potuto diventare così docile?

Vanda                  - Ma perché tutto mi è indifferente. Non sento nulla. Non m'accorgo più di nul­la. Quando voi mi credete qui, ve l'ho det­to, in realtà io sono lontana: sono con quel­l'altra: quella che può andarsene per il mondo, libera...

Marga                  - Libera!

Vanda                  - Si, perché lui è libero; e posso far tutto quello che fa lui.

Marga                  - Non capisco.

Vanda                  - Ma è semplice! Una volta che lei, ormai, esiste soltanto perché vive nella me­moria di lui. Non è che un'ombra, pensi tu? Ma potrebbe darsi invece che l'ombra fossi io e che lei fosse l'unica vera.

Yvonne                - Ah, que tu es compliquée! Je n'arriverais jamais à te comprendre.

Vanda                  - Non ne dubito, cara Yvonne, non ne dubito... Ma ora sarà meglio che andiate di là, no?... Sapete bene com'è sospettosa.

Yvonne                - E tu ne viens pas, chérie?

Vanda                  - Dopo, se mi vorrà.

Marga                  - Stai troppo sola. Rimugini sempre quell'idea. Attenta! Potrebbe succederti qualche cosa.

Vanda                  - (scuotendo la testa, guardando la com­pagna con dolcezza) No. Sta tranquilla.

Marga                  - Andiamo. (Sbadiglia) Che ore sono?

Vanda                  - Tra poco le due, credo.

Marga                  - Le ore non passano mai! E piove. Piove.

Yvonne                - Ah, quelle nuit!

(Le due ragazze si allacciano per la vita. Escono stancamente).

Vanda                  - (torna al suo posto, riprende il mede­simo atteggiamento).

(Improvvisamente la porta del fondo si apre. Entrano Alessandro e Oreste in smoking).

Oreste                  - (che tiene fra le labbra un grosso si­garo avana) E tu non volevi accompagnar­mi! Hai visto? Ci hanno presi per america­ni. E ci hanno fatto passar subito qui.

Alessandro          - Invece s'era noi!

Vanda                  - (s'è voltata di scatto).

Alessandro          - Oh, ma c'è qualcuno! Buona­sera.

Vanda                  - (è balzata in piedi. È chiaro che vor­rebbe fuggire ma i due sono presso la porta, le impediscono il passo. Allora padroneg­giandosi, indifferente) Buonasera!

Alessandro          - (è rimasto allibito. Fissa Vanda senza trovare la forza di parlare) Possibile!

Vanda                  - Come?

Alessandro          - Ma no, no: non è possibile. Però guarda, Oreste, guarda.

Oreste                  - E cosa faccio? Non guardo forse?

Alessandro          - È straordinaria, vero?

Vanda                  - Che cosa?

Alessandro          - La somiglianza.

Vanda                  - Che somiglianza?

Alessandro          - Ma paria, Oreste!

Oreste                  - Sì, sì... non dico.

 Vanda                 - (cercando di rendere ferma, indifferen­te la sua voce) Oh insomma mi avete guar­dato abbastanza? Chi mi dà piuttosto una sigaretta?

Alessandro          - (offrendo il portasigarette) Ecco.

Vanda                  - Ma qualcuno me l'accenderà anche, no?

Alessandro          - È vero. Chiedo scusa. Ma sono così confuso! (Le accende la sigaretta. A Oreste) Periìn la voce, hai sentito?

Oreste                  - Ma via! Per te era lei anche quella che si vide l'altro giorno alla stazione, e poi, quando si fu vicini, tu stesso conveni­sti... La vedi da per tutto. (A Vanda) È un'ossessione.

Vanda                  - Se non vi spiegate meglio, non capi­rò mai.

Oreste                  - Si tratta di una ragazza che s'è co­nosciuta la primavera scorsa...

Vanda                  - Io ero a Parigi.

Oreste                  - Senti? Era a Parigi. E poi anche la somiglianza... Oh Dio, certo... Ma non si deve esagerare... È vero che quella era pet­tinata diversamente ed era vestita in un'al­tra maniera; ma guarda il viso: il suo era molto più ovale, aveva gli occhi più gran­di, e quanto poi al nasetto...

Vanda                  - Oh basta!... Non avete ancora finito di studiarmi? Dite che era più bella: non me n'ho mica a male!

Oreste                  - Che c'entra più bella!... A guardar­vi minutamente, era un'altra cosa... Certo vi somigliava; lì per li uno vi può anche sbagliare per lei, lo ammetto; ma se poi vi considera bene...

Vanda                  - Non mi dispiace, sapete?

Oreste                  - Perché?

Vanda                  - Eh, se quella ne facesse una grossa, potrei andarci di mezzo io... Non sarebbe il primo caso.

Oreste                  - Già, a rifletterci, non è mica piace­vole una somiglianza di questo genere!... Però, questo non è il caso. Quella là pareva una personcina per bene.

Vanda                  - Pareva!

Oreste                  - Pareva sicuro. Io su le donne non giuro mai.

Vanda                  - E fate bene.

Oreste                  - Oh, ma che si fa qui?... Noi siamo venuti per stare allegri. Abbiamo fatto un pranzo magnifico in casa d'un nostro cliente, abbiamo concluso un magnifico affare... Pe­rò, sia detto fra parentesi, non è permesso avere una moglie così bella e così onesta! Sicché vogliamo divertirci... Passando abbiamo intravisto gente che ballava. Andia­mo anche noi.

Alessandro          - Va pure.

Oreste                  - Attento a non trattarmi male, Ales­sandro. Ricordati che da oggi i nostri rap­porti sono mutati: siamo soci ora... Beh, ma che fai? Resti lì imbambolato? Siamo soci, sicuro: guadagneremo un mucchio di quattrini... Tu cambierai automobile, io te la sbaferò... Andiamo, vieni.

Alessandro          - Ti ho detto d'andare tu.

Oreste                  - Va bene, va bene. Una volta che me lo dici gentilmente... (A Vanda) Ho adocchiato una bionda, grassoccia, che bal­lava in modo fantastico…

Vanda                  - Yvonne?

Oreste                  - Yvonne, Cesarina, Clementina, Pe­nelope. Per me il nome non ha importanza. Con permesso (Esce). (Qualche momento di silenzio).

Alessandro          - Non siete di questa città?

Vanda                  - No.

Alessandro          - Da quanto tempo vi ci trovate?

Vanda                  - Pochi giorni.

 Alessandro         - Vi piace?

Vanda                  - Ancora non ho visto nulla. Eppoi…. io non esco quasi mai. Anzi, mai.

Alessandro          - Dunque non siete mai stata aigiardini pubblici?

Vanda                  - (tentando di sorridere)  Quand’ero bambina, credo.

Alessandro          - Io ci vado ancora qualche vol­ta. Mi piacciono.

Vanda                  - Ah.

Alessandro          - Di primavera specialmente.

Vanda                  - Ora siamo quasi in inverno.

Alessandro          - Fu ai giardini pubblici che in­contrai...

Vanda                  - Chi?

Alessandro          - Quella ragazza.

Vanda                  - Ah, quella che mi somiglia?

Alessandro          - Sì. E vi somiglia talmente che il dubbio è quasi impossibile.

Vanda                  - Il dubbio? Ma cosa dite?

Alessandro          - Mentre il mio amico parlava io non ho cessato di osservarvi.

Vanda                  - L'ho veduto.

Alessandro          - Ebbene, mi sembra inverosimi­le che una somiglianza così perfetta possa esistere al mondo. Sarebbe un caso unico. E sarebbe successo a me, proprio a me, in questa città: nella stessa città...

Vanda                  - Vi assicuro che io ti vedo per la pri­ma volta.

Alessandro          - Perché allora vi siete turbata?

Vanda                  - Quando?

Alessandro          - Quando siamo entrati

Vanda                  - Mi avete svegliata. M’ero assopita. È tardi.

Alessandro          - E quando avete preso la siga­retta, vi tremava la mano.

Vanda                  - Mi tremano sempre le mani, guar­date: la nicotina...

Alessandro          - Che però non le ha ingiallite. Sono candide.

Vanda                  - Ho un'acqua speciale per lavarle.

Alessandro          - Anche le mani; le stesse. Fini, lunghe...

Vanda                  - Mani di chi non fa nulla.

Alessandro          - Avete una risposta a tutto. Sem­bra che vi prema dissipare tutti i miei dubbi.

Vanda                  - Vorrei che non vi tormentaste.

Alessandro          - Perché? Cosa ve ne importa? Mi vedete per la prima volta.

Vanda                  - Non vuol dire: mi piacete...

Alessandro          - Davvero?

Vanda                  - Sì.

Alessandro          - Perché allora non mi volete di­re la verità?

Vanda                  - Quale?

Alessandro          - Non avete ancora capito che se vi ho fatto parlare è stato unicamente perché volevo sentire la vostra voce? E con­frontarla mentalmente con l'altra?

Vanda                  - Ebbene, vi sarete convinto...

Alessandro          - Sì: che certe inflessioni non si possono trovare in due persone diverse

Vanda                  - Siete pazzo.

Alessandro          - Ma se non sapete negare!

Vanda                  - Diavolo!  Mi avete aggredita in un modo...

Alessandro          - Perché tormentate così i vostri braccialetti?

Vanda                  - Sono miei se non sbaglio.

Alessandro          - Si, ma finirete con lo spezzarli.

Vanda                  - Insomma, ve ne prego. Io non, non so...

 Alessandro         - Oh già, può darsi benissimo che voi vi siete dimenticata di tutto. Per voi può essere stato un giuoco, lo ammetto. Chi sa quante volte vi è successo di prendere a gabbo la gente. Resta soltanto da vedere che divertimento ci provate... Ma via! Se fu un giuoco, perché non lo dite? Allora è vero: vi siete dimenticata di tutto. Biso­gnerebbe rinfrescarvi la memoria: parlarvi di quella nostra colazione sotto il pergolato, e di quelle corse su per i colli, e dei baci che mi deste prima di fuggire così... Perché mi faceste credere quello che non era? Non sa­pete come ho pensato a voi da quel gior­no?... Non avreste dovuto farlo. Si poteva passare una giornata allegra lo stesso, e dianzi, quando sono entrato, non avrei ri­cevuto quel colpo... Ma già, voi non arrive­rete mai a capire quello che ho provato. È impossibile. Avrei dato dieci anni della mia vita, vedete, perché non fosse vero. (Un breve silenzio) Non trovate nulla da dire? Siete rimasta senza fiato. È naturale. Ma ditemi almeno perché l'avete fatto. Per di­vertirci? Semplicemente? O per che cosa? Avete voluto ridere alle mie spalle? (Le ha preso le mani) E' vero? E' così? L'avete poi raccontato a tutti qua dentro che un povero grullo vi aveva creduta?... Vi sento ridere. Si chiama Alessandro. Alessandro! Vi sento. Non è vero, forse?

Vanda                  - Lasciatemi. Mi fate male.

Alessandro          - E certo l'avrete raccontata an­che al vostro amico, l'avventura. Sai? Mi ha creduta una ragazza proprio per bene ed io l'ho lasciato lì con un palmo di naso! Gli avete anche detto che vi ho parlato della mia vita? Glie l'avete detto?

Vanda                  - Calmatevi. Cercate di ragionare.

Alessandro          - Meglio di così? Di che si tratta infine? Dell'avventura di un giorno: una stupidaggine. No. Per me non è stata una stupidaggine. Avrei dato non so che per po­tervi ritrovare. E infatti vi ho ritrovata. Più fortunati di così si muore... Vi ho ritrovata, proprio quando meno me l'aspettavo!.,. Voi forse crederete che io parli in questo modo per dispetto, per aver commesso la dabbe­naggine di credervi: sì, anche per questo, ma soprattutto perché provo un'infinita ama­rezza, uno sconforto; un desiderio di non credere d'ora innanzi più a nulla, a nessu­no. (Un grande silenzio).

Vanda                  - (calma come se non si trattasse di lei) -Come si chiamava quella ragazza?

Alessandro          - (alzando il capo, stupito) Lo sapete bene, no?

Vanda                  - No.

Alessandro          - Si chiamava Assunta.

Vanda                  - Sì? Io mi chiamo Vanda.

Alessandro          - Per me, siete Assunta.

Vanda                  - È un brutto nome...

Alessandro          - L'avete scelto voi.

Vanda                  - Ma non importa. Se vi piace... (Gli si avvicina, gli carezza i capelli dolcemente) Va là, non sei il primo caso, tu!

Alessandro          - Non mi date del tu.

Vanda                  - E perché? Ai miei amici, io do sem­pre del tu.

Alessandro          - Cos'avete voluto dire?

Vanda                  - Ad altri è successo la stessa cosa. La somiglianza non era che pura illusione...

Alessandro          - Questa volta, no...

Vanda                  - La verità è che cercavano l'amore che non avevano trovato o che avevano per­duto.

Alessandro          - Sarei un mezzo pazzo, via. E ammettiamolo. Ma se non è vero, confesserete tutto, dopo? (Fa per baciarla).

Vanda                  - (sfuggendogli) Non senti come fa cal­do? Apriamo la finestra.

 Alessandro         - No.

Vanda                  - Come vuoi. Beviamo qualcosa allora.

Alessandro          - C'è dello spumante?

Vanda                  - Già qui. Preparato.

Alessandro          - (stura in fretta la bottiglia) A voi.

Vanda                  - (bevendo d'un fiato) Grazie. Avevo sete.

Alessandro          - Come quel giorno. Mi mandaste a prendere un bicchier d'acqua. Vi ricor­date?

Vanda                  - Come posso ricordarmene? Ma se ti fa piacere, dirò di sì.

Alessandro          - Bevete ancora. Forse questo vi­no vi farà tornare la memoria.

Vanda                  - Sì: dà.

Alessandro          - Ora venite qui.

Vanda                  - (sfuggendogli di nuovo) Oh, senti?

Alessandro          - Che cosa?

Vanda                  - Questo tango...

Alessandro          - Lasciate perdere.

Vanda                  - Mi piace tanto. Si balla benissimo. Andiamo un po' anche noi di là.

Alessandro          - No.

Vanda                  - Sii gentile.

Alessandro          - Il ballo non mi dice nulla.

Vanda                  - Oh! se non c'è cosa più bella! An­diamo.

Alessandro          - Vi ho detto di no. Vanda - Come vuoi.

Alessandro          - Non preferite che vi canti io, piuttosto, a bassa voce... una canzone?

Vanda                  - Sai cantare? Davvero?

Alessandro          - Volete?

Vanda                  - Perché no?

Alessandro          - Vi canterò... «Seduzione».

Vanda                  - Che idea infelice! Non si sente altro!

Alessandro          - Però vi piaceva, allora.

Vanda                  - Proprio? E perché non me l'hai det­to prima? Se non m'aiuti tu, come posso recitar bene la mia parte?

Alessandro          - Vi preoccupate della parte, e non avete voluto un baciol

Vanda                  - Quando?

Alessandro          - Or ora. E naturale, questo?

Vanda                  - (dopo un attimo) Naturalissimo. Perché... Io so bene che tu non baceresti me, ma... come dire? Il ricordo di un'altra.

Alessandro          - Non siete disposta a recitare, avete detto?

Vanda                  - Certo... ma tutti, infin dei conti, han­no un po' d'amor proprio.

Alessandro          - Se per me voi e l'altra siete la stessa persona!

Vanda                  - Per te, ma non per me; e natural­mente...

Alessandro          - Non cercate le parole. È inuti­le. Che avete paura si capisce lo stesso.

Vanda                  - Paura?

Alessandro          - Sì, perché sapete benissimo che non è permesso ridersi impunemente di uno che non ci ha fatto nulla di male.

Vanda                  - Ma via! In fin dei conti non si tratta che d'una somiglianza. E da che sei entrato qui non hai fatto altro che tormentarti. Io posso restare se tu diventi una persona ra­gionevole, ma se continui così, nessuno può impedirmi d'andarmene.

Alessandro          - No. Non ve n'andrete, se non vi avrò obbligata a dirmi la verità.

Vanda                  - Oh mi hai seccato con la tua verità! Io mi chiamo Vanda . Nessuno mi ha mai conosciuto un nome diverso.

 Alessandro         - Io.

Vanda                  - Séguiti? Va bene. (S'avvia verso la porta).

Alessandro          - Naturalmente. Prima il caldo, poi il tango, ora la falsa collera. Non sa­pete come uscire da questa stanza, come scappare...

Vanda                  - Ah no? Guarda. (Fa per uscire).

Alessandro          - No, no, ve ne prego: restate. Vi prometto di non tormentarvi più. Di lasciarvi in pace. Non voglio sapere nulla. Direte quello che vorrete.

Vanda                  - Ma...

Alessandro          - Non avete parlato d'illusione, poco fa? Va bene. Mi contento di quella. Ma io ho pensato tanto a voi, se sapeste!

Vanda                  - A me?

Alessandro          - No, all'altra. Non importa. A lei, a quella. Ho passato giorni e giorni a cercarla. Ho tentato in tutti i modi di di­menticarla. Non ci sono riuscito.

Vanda                  - E se tu la ritrovassi?

Alessandro          - Non so. Credo che sarei pron­to a passare su qualunque cosa.

Vanda                  - Anche se tu la ritrovassi... qua?

Alessandro          - L'amore fa commettere le più grandi pazzie.

Vanda                  - A meno che, una volta saziato, tu non l'abbandonassi al suo destino. Succede sempre così.

Alessandro          - Mi giudicate male.

Vanda                  - No. Ti giudico come sei. E non te ne faccio una colpa. (Dopo un momento di ri­flessione) Però, sarebbe bello!

Alessandro          - Che cosa?

Vanda                  - Che io non fossi soltanto una che le assomiglia... semplicemente...

Alessandro          - Cosa vuoi dire?

Vanda                  - Nulla. Dammi da bere.

Alessandro          - Prendi.

Vanda                  - (beve d'un fiato).

Alessandro          - Cos'hai voluto dire?

Vanda                  - ...eh, sì, perché se io fossi quella, anche con la convinzione che durasse po­co... mi piacerebbe provare.

Alessandro          - Ti piacerebbe?

Vanda                  - Son cose che si domandano? A chi non piacerebbe?... Ma... dimmi, dove mi porteresti? In una bella casa? Tutta per noi? Davvero? Bada però: io non vorrei mica restar sempre chiusa, sai, come succe­de a tante che appena fuori si trovano qua­si al bando!... Oh non dico che fino dal pri­mo giorno vorrei venire dai tuoi parenti, se ne hai, questo no: forse non mi accettereb­bero... Ah, i parenti! Alla larga!... Ma quando tu ti decidessi, in casa tua mi ci do­vresti fare entrare da pari a pari; se no, nulla! Te la senti? Se te la senti, eccomi qua. Pronta. (Beve) Buono! Ma sai che co­mincia a girarmi un po' la testa?... Ah, m'immagino la faccia che farebbero tutte queste, e la Bitonta. Le vedo dietro le fine­stre a guardarci allontanare. Ohe, ragazze Vanda se ne va: ha trovato un grullo che se la porta via! Eh già: scusa, caro, ma per loro saresti un grullo. Non capiscono, loro. Ma noi si sarebbe liberi, felici... La sera si andrebbe a ballare, qualche volta al caffo; tu mi presenteresti ai tuoi amici, non è ve­ro? No, no, non t'impressionare: se in­contrassi qualcuno di conoscenza saprei ca­varmela benissimo: sono una ragazza di spi­rito io, cosa credi? Cattive figure non te ne farei fare di certo. Al momento opportuno un piccolo calcio sotto la tavola, una striz-zatina d'occhio: l'amico capirebbe qual'è il suo dovere e non rifiaterebbe. Si sa: sono gl'incerti di questa situazione: bisognereb­be adattarvisi... (Beve ancora).

Alessandro          - Basta.

Vanda                  - No. Lasciami bere. Allora? Ti piace­rebbe, dì?... Vogliamo farla questa pazzia, come l'hai chiamata tu?... Ah! Beato chi può togliersi tutti i capricci che gli passano per il capo... Uno ha perduto una donna che gli piaceva; ne pesca per combinazione una che le assomiglia, se la prende... Se può, buon prò gli faccia. (Beve).

Alessandro          - (fa per portarle via il bicchiere) -Non bere più.

Vanda                  - No. Lascia stare. Oh oh! Questa bot­tiglia è quasi finita. Ma ce n'è subito un'al­tra. In ghiaccio, sicuro... Guarda come si fa saltare il turacciolo. Ole! Non sono bra­va? Pronti! Pronti! Il tuo bicchiere. Tieni. Ah buono!....

Alessandro          - E allora smetti di bere.

Vanda                  - Un momento, bello, mi piace tanto bere. Io in una così detta casa per bene mi ci sentirei soffocare e dopo tre giorni puoi giurare che ti pianterei... Ma che fai? Non bevi tu? Ohe ragazzo, non sarai venuto qui per fare il micragnoso, spero... Non hai con­cluso un buon affare stasera? E dunque? Questo non è mica locale da micragnosi, sai? Qua, a ciò che tu sappia, ci viene il fior fiore della città... Beh?... Cos'hai da guardarmi così? Ti scandalizzo? Perché be­vo tanto? Ah, capisco! Quell'altra, quel tuo ideale, non beveva forse?

Alessandro          - No.

Vanda                  - Ah ah! Vedi che cominci a trovare che mi somiglia di meno? Ci mancherebbe che alla fine non mi somigliasse più affatto e che fosse stata tutta una montatura. Suc­cede. È vero che cominci a convincertene anche tu? È vero?

Alessandro          - ... Sì.

Vanda                  - E allora, abbasso le malinconie! Io, vedi, se la notte non vado a Ietto un po' sbronza, mi pare che la giornata non sia finita. Su, su! Allegri! Non sai che questo è il salotto dell'allegria? È il salotto dei buon­temponi di tutta la città. Vedi... poco prima che tu entrassi - macché, un attimo --c'era un mio grande adoratore. Ed è pro­prio un bel caso che tu non ce l'abbia tro­vato... Un signore sai?... Innamorato paz­zo di me.

Alessandro          - E tu?

Vanda                  - Che discorsi! Si può non essere in­namorate d'uno come quello?... Che mi fa certi regali!... E tu tesoro, sei gentile, vero, con le donne che ti piacciono? Mi farai un bel regalo? Prometti. Prometti?

Alessandro          - Va bene. Prometto.

Vanda                  - Sai che questo sciampagna è proprio buono? È uno sciampagna da signori. E signori dovete essere, tu e il tuo amico. Dia­volo, in smoking! In confidenza, brava gen­te in questa città ma cafoni che non ti di­co... (Giunge di lontano il suono di un gram­mofono. Ella segue il motivo con la voce. È una voce rauca, malata).

Alessandro          - (silenzioso guarda la donna tri­stemente).

Vanda                  - (dopo un momento) Vieni. Andiamo a ballare.

Alessandro          - A ballare? Non ti reggi in piedi.

Vanda                  - Io? Vuoi scherzare? Non sto in piediI Guarda, Con una gamba sola ci sto. (Prova. Traballa. Cade sul divano) Oh! (Ride).

Alessandro          - (le si avvicina. Piano all'orec­chio) Assunta!

Vanda                  - (aprendo appena gli occhi) Com'haì detto?

Alessandro          - T'ho chiamata. Assunta.

Vanda                  - Ma va, matto! Io mi chiamo Vanda . Mi sono chiamata sempre così. Soltanto co­si. (Le ultime parole si perdono in un gor­goglio).

Alessandro          - È vero.

Vanda                  - E allora?

Alessandro          - Sciocchezze!... Ora sono pro­prio convinto. Tu non sei quella là. Sei una altra tu. (Vedendo comparire Oreste con Yvonne) Oh Oreste!

 Oreste                 - Non venite a ballare anche voi, di là?

Alessandro          - Sai che sono le tre passate, e domattina dobbiamo partire?...

Oreste                  - Ma io...

Alessandro          - Dobbiamo partire, no?

Yvonne                - (s'è avvicinata alla compagna) Vanda! Qu'est-ce que tu fais? Tu dors?

Alessandro          - (a voce alta) Eppoi... non vedi? Quella donne è ubriaca... Che ci si resta a fare?

Oreste                  - Si, ma io...

Alessandro          - Andiamo, andiamo. (All'orec­chio) È lei. Lo so. Finge.

Oreste                  - Davvero? E perché?

Alessandro          - Sento che bisogna lasciarla in questa illusione.

Oreste                  - Oh, ma io...

Alessandro          - Avanti, non far lo scemo.

Yvonne                - Tu t'en vas, cheri? C'est dommage.

Oreste                  - Altro che dommage. È una bella seccatura!

Alessandro          - Che volete, è tardi... Arrivederci. Ehi, addio,

Vanda                  - Toh, s'è addormentata! Poveraccia, che sbornia! Buona notte.

Yvonne                - (ancora stupita) Bonne nuit. Au revoir, les copains. (i due giovani escono. Vanda balza sul divano, si getta indietro i capetti) Vanda! Mais pourquoi?

Vanda                  - Silenzio! L'ha creduto.

Yvonne                - Che cosa?

Vanda                  - Che non fossi io, quella là... E non ero io. Non ero io. (Resta un momento im­mobile, poi corre alta finestra) Guarda.

Yvonne                - lls sortent.

Vanda                  - S'allontanano.

Yvonne                - Uno si volge in su...

Vanda                  - Lui. Non può vederci... Piove forte. L'altro lo trascina via... Ecco, sono svol­tati... Non si vedono più. Più.

FINE