Hotel du Commerce

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HOTEL DU COMMERCE

Dalla novella di Maupassant “Boule de suif”

Commedia in cinque quadri

di FRITZ HOCHWALDER

Versione italiana di Italo Alighiero Chiusano

PERSONAGGI

IL CONTE UBERTO DI BREVILLE

LA CONTESSA DI BREVILLE

CARRE-LAMADON, industriale

LA SIGNORA CARRE-LAMADON

LOISEAU, commerciante di vini

LA SIGNORA LOISEAU

CORNUDET

ELISABETTA ROUSSET

LUIGI, postiglione

SUOR CRISTINA

SUOR ELENA

L'OSTE

L'OSTESSA

ATTO PRIMO

 (E sera. L'ostessa è inginocchiata davanti al camino e ravviva il fuoco con un soffietto. Sopra il camino, appesi al muro, si vedono uno scintillante elmo chiodato, alla prussiana, e una sciabola da ufficiale di cavalleria. L'oste viene dalla cucina. Porta, su un vassoio, una bottiglia di vino e un bicchiere. Improv­visamente, dì fuori, sì sente uno scalpitar dì cavalli; poi, dopo un breve silenzio, un brusio di voci).

L’Ostessa                      - (si drizza, ascolta, impaurita) Di', non senti?

L'Oste                           - (si ferma, ascolta) Già. Viaggiatori.

L'Ostessa                      - Appena sento un cavallo che scal­pita, tremo subito tutta.

L'Oste                           - Vagli incontro, moglie. Sono viaggiatori.

L'Ostessa                      - Ma se una volta o l'altra... succede qualcosa anche a noi?

L'Oste                           - Da noi qui? Ma neanche per sogno! Sarebbe da pazzi ribellarsi alle forze d'occupazione. I vinti siamo noi, e dunque zitti.

L’Ostessa                      - (va alla porta, la apre, guarda fuori, richiude) Hai ragione, sono viaggiatori.

L’Oste                           - (è già sulla scala) Falli entrar qua. Av­vertili subito che sul davanti è tutto riservato ai militari prussiani.

L’Ostessa                      - E se chiedono da mangiare?

 L'Oste                          - C'è del pane di ieri. E vino per chi ha sete. Nient'altro. Ringrazino il vincitore, che ci rode fino all'osso... e i nostri cari soldati francesi, che sono venuti a saccheggiarci. (Salita la scala, scom­pare nel corridoio. L'ostessa esce in cortile. Per un attimo la scena resta vuota. L'elmo e la sciabola scintillano al fuoco del camino. Poi, dalla porta del cortile, entra Luigi, il postiglione, carico di borse e di ceste, seguito da Elisabetta Rousset, elegantissima, in pelliccia e manicotto).

Luigi                             - (depone ceste e borse nell'angolo presso il camino) Una, due, tre borse... un'altra borsa... e un'altra cesta... (Elisabetta sì toglie la pelliccia. Luigi rivolgendosi a lei) Manca la vostra cesta, signorina Rousset.

Elisabetta                      - L'ho dimenticata in carrozza. Anda­temela a prendere, per favore. (Luigi fa per andare in cortile. Elisabetta tiracchiandosi lo scialle) Po­stiglione! (Luigi si ferma) Aiutatemi, vi prego. Da qualche parte ci dev'essere una spilla. (Luigi le si accosta, libera lo scialle).

Elisabetta                      - Grazie.

Luigi                             - (vicinissimo) Signorina Rousset... bisogna che ve lo dica: durante tutto il viaggio non ho... non ho pensato che a voi.

Elisabetta                      - A me?

Luigi                             - A voi, sì. Come si sono comportate schi­fosamente, quelle donnicciuole! Ognuna aveva la sua stufetta, il suo scaldino, ma te t'hanno' lasciata gelare. Ti disprezzano, a te! Per quella nobile cana­glia tu non sei che una... una di quelle...

Elisabetta                      - Tacete! e non mi date del tu... per favore. Qui non siamo più a Rouen.

Luigi                             - Oh, scusate. Non ci avevo pensato. Dovete sapere che spesso... spesso, a Rouen, ho sostato ore e ore davanti a casa vostra, quando tutti quei si­gnoroni...

Elisabetta                      - Sostavi davanti a casa mia?

Luigi                             - Quelli buttano i soldi a palate e credono di poter comperare qualsiasi cosa. Cibi, vestiti, ca­stelli... e anche... anche... (Elisabetta sì siede davanti al camino) E adesso tagliano la corda; quegli stessi che prima vociavano più degli altri. Non è che fuggano il nemico: corrono dietro ai loro soldi, che hanno provveduto in tempo a mettere al sicuro all'estero. Che cosa abbiamo in comune, noi, con quella gentaglia?

Elisabetta                      - Che cosa vuoi da me, vetturino?

Luigi                             - Ci ho pensato durante tutto il viaggio, quale sarebbe il miglior modo di prendervi sotto la mia protezione.

Elisabetta                      - Sotto la tua protezione, io? Tu sei matto.

Luigi                             - E ora invece diventa semplicissimo. Qui all'albergo, per me, non c'è posto: il fieno se lo mangiano i cavalli dell'esercito' prussiano. Sicché io e le mie bestie dobbiamo alloggiare alla prossima cascina. E lì affitteremo una stanzetta: e sarà tutta per voi!

Elisabetta                      - Tutta per me? E perché mai, si può sapere?

Luigi                             - Voi, di tutta la compagnia, siete l'unica che abbia veramente motivo di fuggire. Tutta Rouen si è rallegrata con voi, quando avete cacciato a pisto­lettate da casa vostra quell'ufficiale prussiano. Nes­sun cocchiere al mondo l'avrebbe convogliato meglio di così. Dunque, venite con me!

Elisabetta                      - Io non ho paura, e resto dove sono.

Luigi                             - (insistente) Venite, vi dico, fate presto!

Elisabetta                      - (sì volge dall'altra parte) Sono stanca. Lasciami stare. E ora vai! (Luigi non si muove. Entrano suor Cristina e suor Elena, due infermiere. Si tolgono i mantelli e sì siedono in silenzio dall'altra forte del camino. Luigi esce in cortile. Entra l'ostessa col conte e la contessa di Brévìlle.

L’Ostessa                      - Ma santo cielo, se vi dico che non c'è più niente, che non abbiamo più niente in casa! E' stata un'imprudenza enorme, da parte vostra, mettersi in viaggio senza un po' di provviste...

Il Conte                         - Sentite, buona donna, ve lo ripeto ancora una volta: abbiamo danaro a sufficienza per pagare senza difficoltà qualsiasi soprapprezzo. Per­ciò portateci presto qualcosa da mangiare, se no moriamo tutti quanti di fame. (Entrano il signore e la signora Carré-Lamadon). Carré-

Lamadon                       - (irritato) Solo pane? Ma come! Possibile che pagando come Dio comanda non si ottenga nient'altro da mettere sotto i denti che un tozzo di pane asciutto? (Dietro di loro entrano il signore e la signora Loiseau).

Loiseau                         - Calma, signor Carré-Lamadon, non perdiamo la calma. Ora accomodo tutto io. (All'ostes­sa) Signora Follenvie, dov'è vostro marito? (Per ultimo entra Cornudet).

Cornudet                       - Protesto! Protesto formalmente! Ci nascondono qui come criminali, mentre là davanti il salone è pieno di soldati stranieri. Dov'è l'oste?

Carré-Lamadon             - Vogliamo parlare con l'oste!

Loiseau                         - Dove s'è cacciato l'oste? (Frattanto l'oste è arrivato, scendendo dal corridoio).

L’Oste                           - (si ferma a metà scala) Agli ordini, ec­comi qua. (Tutti alzano il cafo a guardarlo).

Loiseau                         - Follenvie, vecchio amico, non mi ri­conosci?

L'Oste                           - Più tardi, Loiseau. Lorsignori desiderano pernottare qui tutti quanti?

Loiseau                         - Naturale, perbacco. Domattina si pro­segue per Dieppe e di là, poi, per Le Havre.

Carré-Lamadon             - Siamo stanchi del viaggio. Abbiate cura che ci servano come si deve.

Il Conte                         - (sul primo scalino). Mostrateci le nostre camere, signor oste, e poi...

L’Oste                           - Alt! (Si afferra, a destra e a sinistra, alle due ringhiere della scala. Tutti indietreggiano sba­lorditi) Purtroppo non posso alloggiarvi, se non vi siete prima presentati al comando prussiano.

Loiseau                         - Che significa? Ti ha dato di volta il cervello, Follenvie?

Il Conte                         - Noi viaggiamo con l'autorizzazione del comando prussiano di Rouen.

Carré-Lamadon             - Non lo vedete che siamo gente per bene?

Cornudet                       - Non pretenderete, spero, che stasera si faccia ancora una camminata fino al comando prussiano!

L’Oste                           - Non occorre, il comandante prussiano abita qui. (Indica l'elmo chiodato e la sciabola appesi al muro che tutti guardano con viso poco tran­quillo. L'oste scendendo la scala) Abbiate la bontà i di consegnarmi i vostri passaporti, in modo che li possa mostrare all'ufficiale. (Al conte) Il vostro salvacondotto, signore. (Il conte estrae il portafoglio, ne cava il documento, glie lo consegna. L'oste legge) « Conte Uberto di Bréville, proprietario terriero... ». (Continua borbottando in maniera incom­prensibile. Carré-Lamadon consegna il suo salva­condotto. L'oste passa al successivo, mentre legge) «Jules Carré-Lamadon, fabbricante...». (Borbotta come sopra. Loiseau consegna il suo salvacondotto) « Loiseau, commerciante in vini... » (Borbotta c. s.).

Loiseau                         - Approfitto dell'occasione per ricordarti che mi devi ancora pagare l'ultima consegna.

L’Oste                           - C'è la guerra, Loiseau. (A Cornudet) I vostri documenti, signore.

Cornudet                       - (consegnando il salvacondotto) Cit­tadini francesi che si fanno sbirri dello straniero invasore! Giudicherà la storia.

L’Oste                           - La storia ha poco da spartire con l'atti­vità alberghiera, caro signor... (legge) ... « signor Cornudet». (Davanti alle suore) I vostri salvacondotti, sorelle. (Le suore consegnano in silenzio le loro carte) « Suor Cristina, infermiera...». « Suor Elena, infermiera...». (A Elisabetta) Il vostro sal­vacondotto, madame.

Elisabetta                      - (trasalendo) Che valete?

L’Oste                           - Il vostro salvacondotto. Gli altri li ho già tutti.

Elisabetta                      - Ah, il mio salvacondotto... sì... Scu­satemi, non stavo a sentire. Sono stanca morta. (Si alza e cerca la sua cesta nell'angolo in cui il postiglione le ha deposte) La mia cesta... La bor­setta che contiene i miei documenti è nella mia cesta. Ma la cesta non la vedo. Questa non è... que­sta nemmeno... Dov'è andata a finire? Dov'è la mia cesta? C'è dentro la mia borsetta e ogni ben di Dio.

L’Oste                           - Siete sicura d'averla avuta con voi du­rante il viaggio?

Elisabetta                      - Altro che sicura! Durante tutto il viaggio l'ho tenuta sotto il mio sedile, in carrozza. Proprio un momento fa il postiglione mi chiedeva se quella cesta... Ah, ma è chiaro: è rimasta in carrozza! Il vetturale ha dimenticato di portarla qua.

L’Oste                           - E il vostro salvacondotto?

Elisabetta                      - E' nella cesta... voglio dire, nella borsetta che sta dentro la cesta. Domani, prima di continuare il viaggio, vi esibirò tanto di papiro!

L’Oste                           - (si gratta dietro l'orecchio) L'ufficiale ci tiene all'esattezza. Basta la più piccola irregolarità per farlo... Ma forse posso spiegargli come sta la cosa, se voi mi date delle indicazioni precise. (Tira fuori matita e taccuino) Il vostro nome, madame?

Elisabetta                      - Elisabetta Rousset.

L’Oste                           - (scrivendo) Elisabetta Rousset. Venite anche voi da Rouen?

Elisabetta                      - Sì, come tutti gli altri.

L’Oste                           - Di Rouen. Coniugata, nubile?

Elisabetta                      - Nubile...

L’Oste                           - Nubile. Professione?

Elisabetta                      - Come?

L’Oste                           - Che attività svolgete?

Elisabetta                      - (violentissima) Non v'interessa un cavolo!

L’Oste                           - (sorpreso) Come?... Ma!... Io cerco di aiu­tarvi, cerco di evitarvi un incontro con l'ufficiale prussiano, e voi m'insolentite?

Elisabetta                      - Io non v'insolentisco affatto: vi dico solo che quel che faccio non vi riguarda.

L’Oste                           - Quel che fate? Io voglio soltanto sapere la vostra professione, nient'altro. O è forse un se­greto?

Elisabetta                      - (perde le staffe) Un segreto? Ma siete orbo? Non si vede forse lontano un miglio, quello che sono? O volete proprio che ve lo dica chiaro e tondo davanti a tutti? (Si guarda intorno. Gli uomini sorridono, le signore sviano gli sguardi. Silenzio).

L’Oste                           - Ah, capisco... (Mette in tasca blocco e matita) Madame, sono dolente, ma in tal caso non posso assumermi la responsabilità...

Elisabetta                      - Volete dire, con questo, che mi met­tete alla porta?

L’Oste                           - Non proprio. Ma... potreste pernottare in qualche cascinale, qui vicino... Il postiglione...

Elisabetta                      - Quanto siete caro! Col postiglione, eh? (Peste il piede) Io faccio parte di questa comi­tiva e ho il mio lasciapassare come tutti gli altri!

L’Oste                           - Lasciapassare, lasciapassare... Dov'è che l'avete? Se l'ufficiale scopre che non glie l'ho conse­gnato, ci vado di mezzo io, sapete.

Elisabetta                      - Dov'è quest'ufficiale? Conducetemi immediatamente da lui!

L’Oste                           - Come come? Vorreste?...

Elisabetta                      - Voglio vedere quest'ufficiale. Avete capito, signor oste?

L’Oste                           - Bene, bene: per me, ne sono conten­tissimo. Di qua, prego, su per la scala. Ma prepa­ratevi a sentirne delle belle! (Elisabetta monta la scala. L'oste la segue. Scompaiono entrambi nel corridoio).

La signora Loiseau -     - Il prussiano avrà una bella impressione, di noi, se per prima dovrà vedere quella... cocotte.

La signora Carré-Lamadon    - (a suo marito) Giulio, sto morendo di fame.

La Contessa                  - Anch'io comincio già a sentirmi male. Come abbiamo fatto a non pensare di por­tarci dietro un po' di provviste per il viaggio?

Loiseau                         - Bisogna resistere, signore mie. Domat­tina presto acquisteremo i viveri necessari dai con­tadini.

Carré-Lamadon             - Dai contadini... che ne direste di andarci stasera stessa?

Loiseau                         - L'idea non è male. Così eviteremmo di andare a letto a pancia vuota. La signora

Carré-Lamadon             - Giulio, ti prego, vacci subito!

Carré-Lamadon             - Io? Ma io non conosco la re­gione.

Cornudet                       - Signor Loiseau, andateci voi. E' nell'interesse della comunità.

La signora Loiseau        - Che? Uscire adesso, con la neve, col freddo che fa? Non sarai così stupido, Loiseau!

Loiseau                         - E poi., di notte, al buio, è tutt'altro che facile orientarsi.

Carré-Lamadon             - Ma allora, dannazione!, dob­biamo crepare di fame? Vado io stesso a vedere in cucina. (Via, in cucina. Entra, venendo dal cortile, Luigi, il postiglione, trafelato. Porta una cesta av­volta in un panno).

Loiseau                         - Oh, ecco il postiglione! E' il cielo che lo manda. Sentite, Luigi!

Luigi                             - Buona sera a tutti. Dov'è la signorina Rousset?

Loiseau                         - E' occupata. Che ed porta di buono, Luigi?

Luigi                             - (posa il cestino sul tavolo, a destra) Ecco' la cesta della signorina Rousset. L'aveva dimenti­cata in carrozza. Penso che ne avrà bisogno, sta­notte. Perciò l'ho portata qui di corsa.

Loiseau                         - (agli altri) Che ne dite, mandiamo lui?

Il Conte                         - (a Luigi) Sentite, buon uomo: noi tutti, qui, abbiamo dimenticato di provvederci di cibarie. Voi, immagino, conoscete benissimo questi posti. Fateci dunque il favore di correre dai conta­dini dei dintorni e di comperare tutto quel che tro­vate: uova, burro, prosciutto, lardo. (Mette la mano in tasca e fa per dargli del danaro).

Luigi                             - (maldisposto) Undici ore a cassetta mi pare che bastino. Anch'io mi sento le ossa rotte, se vo­lete saperlo.

Il Conte                         - Non lo fate mica per niente. Tenete!

Luigi                             - Non è per questo. E' proprio che non me la. sento.

Loiseau                         - Per quella donna trotti mezz'ora sotto la neve, e per noi ti rifiuti?

Luigi                             - Proprio così: per voi mi rifiuto! Buona notte. (Esce in cortile).

La Contessa                  - Com'è diventato impertinente, rutta un tratto! Curioso...

Il Conte                         - (rintasca i soldi, sospirando) Moltis­simi sono così, oggigiorno. La guerra e la sconfitta hanno fatto sparire ogni traccia di onestà e di ri­spetto. E adesso, amici, che si fa?

 La signora Carré-Lamadon   - (piagnucolando) Ho fame... Mai, in vita mia, ho dovuto patire la fame! Voglio mangiare! (Vengono dalla cucina Car­ré-Lamadon con l'ostessa, che porta un piatto pieno di pane, una bottiglia di vino e alcuni bicchieri).

Carré-Lamadon             - Cosa dovevate fare?! Ma na­scondere in tempo, perdinci: mettere da parte, na­scondere!

L’Ostessa                      - (depone la bottiglia, i bicchieri e il pane sul tavolo a sinistra) Già, e i soldati? Se non ci fossero i soldati, signor mio!... Non sapete che?... Mah, è meglio tacere. Buon appetito. (Va in cucina. Tutti in piedi davanti al tavolo, in contemplazione del piatto col pane).

Loiseau                         - Buon appetito!... Ci sta anche a sfot­tere.

Carré-Lamadon             - Pare che li abbiano proprio ripuliti fino all'osso. Niente da fare. (Si siede al tavolo. Gli altri fanno lo stesso. Soltanto le suore restano' sedute presso il cambio).

Loiseau                         - (si taglia una fetta di pane) Sacripante! Questa pagnotta risale certamente al secondo Im­pero. (Rivolgendosi alle suore) Sorelle, posso of­frirvi un po' di pane? (Le suore annuiscono. Loiseau si alza e porta loro due fette di pane. Poi torna a sedersi) Quant'è vero che mi chiamo Loiseau: pa­gherei un migliaio di franchi per un bel prosciutto.

La signora Loiseau        - Loiseau, ti prego!

Loiseau                         - (con malizia) Però, però... un buon bocconcino di canne, io saprei dove potremmo andarlo a pescare...

Tutti                              - Dove? Come? Quando? Stasera stessa? Possibile?

Carré-Lamadon             - Avanti, allora! Il prezzo non  conta: pago io!

Loiseau                         - Conoscerete, immagino, quella bella canzoncina popolare dei passeggeri del piccolo na­viglio che, ridotti a morir di fame, decisero di man­giare il più grasso della compagnia. Ebbene, non vi pare che quella signora lassù sarebbe un bocconcino più che prelibato? (Scoppia a ridere).

Il Conte                         - Signor Loiseau, credo che le signore trovino le vostre osservazioni piuttosto inopportune.

Loiseau                         - Inopportune? Sia pure. Che cosa sa­rebbe opportuno', allora? Sentiamo.

Carré-Lamadon             - (sgarbatamente) Sarebbe op­portuno tacere, invece di dir freddure indelicate!

La signora Loiseau        - (mordace) Mio marito non ha niente da imparare da voi, signor Carré-Lamadon. E' forse opportuno che trasferiate in Inghilterra i soldi che vi siete fatti, a forza di usure, con le vostre filande?

Carré-Lamadon             - E voi? Dopo che avete rifilato all'esercito francese i vini più infami, ora vi preci­pitate a Le Havre a incassare i guadagni, no?

Loiseau                         - (balza in piedi) Sporco calunniatore che non siete altro!

Il Conte                         - (agita le mani, supplichevole) Signori, vi prego, moderiamo i termini! Non diciamo' cose offensive. Calma, calma. Nessuno di noi ha il diritto di rinfacciare all'altro gli errori del passato. Ci tro­viamo tutti nello stesso impiccio. (Loiseau si siede, fremente e imbronciato. In alto, l'oste esce con Eli­sabetta dal corridoio).

Elisabetta                      - (fermandosi a metà scala). Vedete, oste? Eccola là.

L’Oste                           - (spaventato) Chi?

Elisabetta                      - La mia cesta. Era qui. Era inutile andar dall'ufficiale.

L’Oste                           - Ah, be'. Ma non avete da lamentarvene. Il prussiano è stato di una cortesia... Come mai prima d'ora!

Elisabetta                      - (scende in fretta la scala, va al tavolo a destra. Prende dalla cesta una borsetta, ne estrae il salvacondotto) Ecco il mio salvacondotto.

L’Oste                           - (fa un gesto di rifiuto) Non occorre più, oramai. (Agli altri) I salvacondotti sono in regola. L'ufficiale li terrà fino alla vostra partenza, cioè fino a domattina. Però, eh: sull'attenti, si è messo, davanti a questa ragazza. C'è poco da fare: portino l'elmo col chiodo o i calzoni rossi, su un certo genere di donnine i militari si buttano a pesce. (Elisabetta si siede. Prende dalla cesta un tovagliolo, che stende sul tavolo. Poi tira fuori una terrina fonda, pasticci, frutta, dolci, lingua affumicata, fegato d'oca, pan pepato, pere, un vasetto contenente cetrioli sotta­ceto, e cipolle; infine, alcuni panini bianchissimi. Dalla tavola accanto, tutti questi preparativi ven­gono seguiti con gli occhi sgranati. L'oste che, vol­gendo la schiena al tavolo di destra, non vede nulla) Sono spiacente, signori miei, di non potervi ospitare meglio. Domattina, certamente, riuscirete a procu­rarvi ogni sorta di leccornie dai contadini dei din­torni. Si sa, dovrete pagarle un po' care, ma insom­ma... Be', ora devo tornare dai soldati. Non sono gli ospiti che vorrei io, ma quando mai un albergatore ha potuto scegliere? (Via, in cucina. Silenzio. Tutti lanciano occhiate furibonde alla tavola accanto. Eli­sabetta pesca dalla terrina una coscia di pollo. Loiseau si schiarisce la voce. Elisabetta alza gli occhi).

Loiseau                         - Caspita, la signora è stata più previ­dente di noi. C'è gente che pensa sempre a tutto.

Elisabetta                      - (a Loiseau) Posso offrire?

La signora Loiseau        - (sibilando) Provati solo!

Loiseau                         - (sottovoce) Come? Che hai detto?

 La signora Loiseau       - Da una come quella lì! Vergogna!

Loiseau                         - Ma che vergogna e vergogna! Io non resisto più, cara mia. (A Elisabetta) Vi ringrazio di cuore, madame. E mi permetto di farvi com­pagnia. (La signora Loiseau lo tiene per la falda dell'abito) Ma insomma, che vuoi? « A la guerre comme à la guerre!». (Si libera con uno strattone e va al tavolo di Elisabetta, dove si siede senza com­plimenti e, tratto di tasca un temperino, vi infilza una coscia di pollo; che si mette avidamente a man­giare).

Elisabetta                      - (si volge alle suore, che siedono ancora accanto al camino) Se non temessi di offen­dervi, vi pregherei caldamente di accettare qualcosetta. (La seconda suora guarda la prima, suor Cri­stina, con aria interrogativa).

Suor Cristina                 - (alzandosi) Siamo molto affa­mate. Accettiamo. Dio ve lo renda. (Fa un cenno col capo all'altra suora. Si siedono entrambe al ta­volo di Elisabetta e cominciano subito a mangiare).

Loiseau                         - (masticando) Madame... si suol dire che la moglie deve dividere tutte le gioie e i dolori del marito. Se voleste permettere a mia moglie di divi­dere le mie gioie attuali...

Elisabetta                      - Ma certamente, signor Loiseau.

Loiseau                         - Hai sentito, angelo mio? La nostra gentile compagna di viaggio t'invita. (La signora Loiseau non si muove. Loiseau a Elisabetta) E' così timida!... Certe volte bisogna proprio costringerla. (Va da lei e le sussurra affannosamente) Pollo, pa­sticcio, fegato d'oca, pan bianco!

La signora Loiseau        - Lasciami stare... So... an­darci da me... (Va con suo marito al tavolo di Eli­sabetta, cui, con moderata inciviltà, dice) Con... con permesso. (Si siede e mangia).

Elisabetta                      - E voi, signor Cornudet? Mi direte di no, se v'invito?

Cornudet                       - Sarebbe estremamente antidemocra­tico. (Al conte e a Carré-Lamadon) Viviamo in una repubblica, signori miei. (Va al tavolo e mangia anche lui. I quattro rimasti in disparte diventano più verdi che mai).

La signora Carré-Lamadon    - Giulio...

Carré-Lamadon             - Che c'è?

La signora Carré-Lamadon    - Se... se volessi chiedere...

Carré-Lamadon             - Sei impazzita?

La Contessa                  - Vi prego, amici miei. Che cosa penserebbero di noi?

Carré-Lamadon             - (piano) Non hai sentito che cosa ha detto quel democratico?

Il Conte                         - Sono anch'io del parere di vostro marito. Non possiamo cedere. E' una dimostrazione.

La signora Carré-Lamadon    - (fiacca) Sì, certo, capisco, ma...

Il Conte                         - Talvolta bisogna saper soffrire per rispetto alla propria dignità. Pensate solo ai martiri dell'’ ancien regime ».

Carré-Lamadon             - Lo senti cosa dice il signor conte? Pensa all'eroismo degli aristocratici del Novantatrè.

La signora Carré-Lamadon    - Ci... ci penso, sì... ci... ci penso...

Loiseau                         - (a Elisabetta) Madame, permettete una domanda: avete cucinato voi stessa questo pollo così prelibato?

Elisabetta                      - Certo. Lo trovate buono?

Loiseau                         - Buono? Lo trovo divino! Ti si squaglia in bocca. Vedete, Cornudet, è così che dev'essere un pollo in gelatina: una carne bianca come il latte, d'una tenerezza!... con un suo profumino che... aah! (Lo addenta con entusiasmo).

La Contessa                  - Che mancanza di dignità! E' rivoltante.

Loiseau                         - (mangiando di gusto) E anche questo fegato d'oca, proprio come piace a me: impastato con fettine di cipolla e di mela. Un profumo! Annusate, Cornudet! (La signora Carré-Lamadon emette un sospiro e scivola dalla sedia, svenuta. Il conte, la contessa e Carré-Lasmaàon balzano in piedi e si danno da fare per soccorrerla. Alla tavola ac­canto smettono di mangiare e guardano che cosa succede. Suor Cristina accorre presso la svenuta. Prende di sul tavolo un bicchiere d'acqua e le fa bere qualche goccia. La signora Carré-Lamadon apre gli occhi).

Suor Cristina                 - (a Elisabetta) E' la fame, niente altro.

Elisabetta                      - (si avvicina titubante al tavolo a si­nistra. Al conte e a Carré-Lamadon, arrossendo) Mio Dio, se... se osassi offrire qualcosa a questi signori...

Loiseau                         - Al diavolo, in casi simili siamo tutti fratelli e dobbiamo aiutarci l'un l'altro. Avanti, si­gnor conte, signora contessa: date voi l'esempio!

Il Conte                         - (dopo aver esitato un attimo, lottando con se stesso, s'inchina con aria di gran signore da­vanti a Elisabetta) Madame, accettiamo ricono­scenti. (Offre il braccio alla contessa e la conduce dignitosamente alla tavola accanto).

La signora Carré-Lamadon    - (a Elisabetta) Vi ringraziamo proprio di cuore. E' molto, molto gen­tile da parte vostra, nevvero, Giulio?

Carré-Lamadon             - (balbetta) Già, molto... molto gentile...

Loiseau                         - Se volete trovare ancora qualcosa, dovete affrettarvi, signori miei. (Ora tutti siedono in­torno al tavolo di Elisabetta).

Elisabetta                      - (offrendo alla signora Carré-Lamadon) Posso offrirvi un pasticcio di allodola, o preferite lingua affumicata?

La signora Carré-Lamadon    - Se potessi avere un po' di pasticcio di allodola...

Elisabetta                      - Prego, servitevi senza complimenti. Panini bianchi, tenete. Signora contessa, un po' di fegato d'oca?

La Contessa                  - (accettando) Tante grazie, mia cara.

Loiseau                         - (guarda dentro la cesta) Ah, che cor­nucopia di leccornie! (Ne prende alcune) Madame, non posso che ammirarvi. Avete scelto quanto c'era di più squisito. Ma di dove avete preso tutta questa buona roba?

Elisabetta                      - Oh, non è che un modesto saggio della mia dispensa di Rouen. Le ho fatte su in fretta e furia. Sì, perché ho dovuto scappare a rotta di collo... (infuriandosi tutt'a un tratto) ... prima di vedermi obbligata ad andare a letto con quegli elmi chiodati! (S'arresta, spaventata) Oh, vi prego di scusarmi.

Cornudet                       - (dà un pugno sul tavolo) Parlate liberamente, signorina. Siamo tutti creature umane, no?

Carré-Lamadon             - (a bocca piena) Certo... l'ho sempre detto... avete ragione...

Loiseau                         - Naturale! Gli affari sono affari. (A sua moglie) Le mangi, quelle pere? No? Be', pas­samele, allora.

Elisabetta                      - (indignata) Ma che dite, signor Loiseau? Gli affari sono affari? Oh, se avessi ra­gionato così, avrei potuto restarmene tranquilla­mente a Rouen. Là gli ufficiali prussiani erano come le mosche. Ma appena li vidi entrare in città, mi prese un tal... Mi sentii ribollire il sangue, vi assicuro. Piansi tutto il giorno di vergogna. Ah, se fossi stata un uomo! La mia cameriera mi dovette tener le mani, se no avrei loro1 scaraventato in testa tutti i miei mobili...

Loiseau                         - (si guarda intorno, timoroso) . Un'ecci­tazione più che comprensibile, la vostra... ma forse non è il caso, qui, di dire così ad alta voce...

La signora Loiseau        - Macché, ha tutte le ragioni! Almeno questo- si potrà ancor dire, no?

La signora Carré-Lamadon    - (incuriosita) E poi, e poi, mia cara? Continuate, è così interessante!

Elisabetta                      - Poi... sono venuti da me... Crede­vano che non facessi differenze. Ma il primo che capitò, gli saltai subito alla gola. Che ci vuole a strozzare un prussiano? E' come strozzare qua­lunque altro uomo.

Il Conte                         - (dolente) Ahimé, se tutto il nostro esercito fosse stato animato da questo1 spirito!

Elisabetta                      - E l'avrei ammazzato! Ma lui se la diede a gambe, lesto come una donnola. (Tutti, tranne le due suore, scoppiano a ridere).

Carré-Lamadon             - Eh, già, il coraggio civile non è il loro forte.

La signora Carré-Lamadon    - E poi? E poi?

Elisabetta                      - Poi, s'intende, dovetti pensare a tagliar la corda il più presto possibile. Quel giorno stesso mi feci rilasciare il salvacondotto, misi in fretta queste cibarie nella cesta, e via! Fortuna che in diligenza c'era ancora un posto libero.

Il Conte                         - Ci congratuliamo con voi e... sì, lo dico apertamente... -noi tutti vi ammiriamo. Che coraggio, signori miei!

Carré-Lamadon             - Che audacia!

La Contessa                  - Che disinteresse!

La signora Carré-Lamadon    - Che eroico rifiuto!

Cornudet                       - Che patriottismo!

Loiseau                         - A sentir raccontare un fatto come questo, ci si sente rinascere il coraggio.

Cornudet                       - Qua il vino!

Loiseau                         - Giusto. Bisogna berci sopra, Vino!

 La signora Loiseau       - Non gridare così. Là c'è ancora una bottiglia piena. (Il signor Loiseau va a prendere bottiglia e bicchieri dal tavolo accanto, e mesce).

Cornudet                       - (batte contro l'orlo del proprio bicchiere, si alza) Signore e signori! La Francia è stata umiliata, la nostra patria è infelice. Tutti coloro che l'amano debbono affratellarsi. Perciò, in questo concorde piccolo banchetto io vedo qualcosa di più del semplice istinto di conservazione... (in tono oratorio) ...io vedo in esso un simbolo!... Il simbolo della patria una e indivisibile... il simbolo della Francia... della Francia che offre a «tutti i suoi figli le sue turgide, ubertose mammelle... Signori, io vi invito a intonare con me il grido di: Viva la patria! (Si volge con ostentazione a Elisabetta e beve alla sua salute. Tutti gridano, entusiasti: « Evviva! » e bevono alla salute di Elisabetta che, arcibeata, rin­grazia in tutte le direzioni).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (La mattina dopo, Elisabetta esce dal corridoio, seguita da Cornudet.

Elisabetta                      - No, no, è impossibile, vi dico!

Cornudet                       - Ma perché, scusate? Non siate sciocca. Che male vi fa?

Elisabetta                      - Ma non pensate in che situazione ci troviamo?

Cornudet                       - (la insegue giù per le scale) Non ti capisco proprio. A Rouen ti concedevi a chiunque fosse in grado di pagare, al primo cocchiere che si presentasse, e qui vuoi negarti a un sincero patriota?

Elisabetta                      - Non è il momento, adesso.

Cornudet                       - Ma come, non è il momento? Se non sono neanche le sette, e prima delle otto non si parte! Se non fai tante storie e mi dici subito di sì...

Elisabetta                      - No, vi ho detto. No! Ci son dei momenti in cui certe cose non si fanno.

Cornudet                       - Non gridare: som questioni che si trattano sottovoce. Che figura ci faccio, se qual­cuno...

Elisabetta                      - Non me ne importa niente, lascia­temi in pace! Non voglio.

Cornudet                       - (disperato)  Ma perché, porco dia­volo, perché?

Elisabetta                      - Perché? E me lo chiedete? (Indica l'elmo chiodato) Perché c'è il prussiano nella ca­mera accanto. Volete farvi sentire da lui? Andate! Andate via subito. (Cornudet se la batte su per le scale. Entra dal cortile Carré-Lamadon. Porta un pacco sotto il braccio).

Carré-Lamadon             - Ah, buon giorno: (Batte alcuni colpetti sul pacco) Sono in grado di sdebitarmi per la cena di iersera. Stamattina presto ho fatto un salto al villaggio e ho fatto un po' di spesa. (Posa il pacco sul tavolo a destra) Costa un occhio1 della testa, ma non voglio più rischiare una fame come quella di ieri. (Nota che Elisabetta è sconvolta) Siete agitata, a quanto pare... Cosa avete?

Elisabetta                      - Niente, niente... Si parte presto?

Carbé-Lamadon            - La diligenza è già fuori che aspetta.

Elisabetta                      - (dà un sospirone) Meno male. Non. vedo l'ora di ripartire.

Carré-Lamadon             - (le afferra le mani) E perché mai? Il peggio è passato. E quanto a me personal­mente... non posso che rammaricarmi di non po­tervi più ammirare nell'intimità di questa piccola locanda.

Elisabetta                      - Eh?

Carré-Lamadon             - Tu forse credi, perché non faccio parte della clientela di Rouen, che non senta alcun bisogno di... come dire? Ma via, con te non occorre far tante storie. In una parola: da ieri sera ho un desiderio ardente di .te, sissignore, di te!

Elisabetta                      - E' molto... molto lusinghiero... (Bre­ve pausa) Scusatemi, ho freddo... è meglio che torni in camera...

Carré-Lamadon             - (felice) Ecco, brava, l'hai ca­pito subito: in camera tua. (In fretta) Mia moglie non deve accorgersi di nulla. Vengo con te, d'ac­cordo!

Elisabetta                      - (cerca di liberare le mani) Signor Carré-Lamadon!

Carré-Lamadon             - E' inutile che mi tiri. Vengo da me, stai tranquilla.

Elisabetta                      - Oggi e qui... non è possibile.

Carré-Lamadon             - (mette mano al portafoglio) Ho capito. Scusami, sai, non è che abbia una gran pratica. Ma la questione è subito risolta. (Forte) Quanto fa?

Elisabetta                      - Vergognatevi!

Carré-Lamadon             - (sconcertato) Vergognarmi? Io? Ma come? Perché?

Elisabetta                      - Vergognatevi di credermi capace di fare il mio mestiere, qui, in presenza del nemico! (In alto il conte spunta dal corridoio. Sente le ul­time parole. Si sporge oltre la ringhiera).

Il Conte                         - Signor Carré-Lamadon!

Carré-Lamadon             - (trasale) Chi è?

Il Conte                         - (scendendo la scala) Signor Carré-Lamadon, vostra moglie vi cerca.

Carré-Lamadon             - Mia moglie? Subito! Vengo... (A Elisabetta) Voi capite, vero? Un'altra volta. (Corre su per le scale e sparisce).

Elisabetta                      - Vi ringrazio, signor conte.

Il Conte                         - Non c'è di che. (Elisabetta va verso la scala) Fermatevi un momento, cara signorina. Un momento solo. (Elisabetta si ferma) Voi avete... respinto il signor Carré-Lamadon, vero?

Elisabetta                      - Vi prego, signor Conte...

Il Conte                         - Non ho sentito che poche parole. Ma m'è parso di capire che avevate degli scrupoli per via del...

Elisabetta                      - Oh, vi prego...

Il Conte                         - Ti capisco, sai, mia cara. Qui non è assolutamente l'atmosfera adatta. E poi: in pre­senza delle legittime consorti non sarebbe una cosa delicata. Senti: ti propongo un appuntamento a Dieppe, dove senza dubbio faremo una sosta di qualche ora. Tu ci affitti un quartierino a ore, per te sola... a mie spese, s'intende... e io vengo poi a farti una visitina... (Elisabetta è rimasta di stucco. Il Conte le prende una mano e gliela bacia) Una visitina che pregusto con vera delizia, mia cara... (In quel momento Loiseau spalanca la porta dal di fuori).

Loiseau                         - (porta anche lui un grosso involto sotto il braccio) Capperi, signor conte! Siete galante, stamattina!

Il Conte                         - (lascia in fretta la mano di Elisabetta)  Buon giorno, signor Loiseau. Stavo ringraziando ancora una volta la nostra cara signorina Rousset, a nome di tutti, per la sua generosità di iersera.

Loiseau                         - E quante volte l'avete ringraziata, si­gnor conte?

Il Conte                         - Non vi capisco.

Loiseau                         - Niente paura: sono muto come una tomba. Eh, se cominciassi a raccontare tutto quel che vedo facendo il mio mestiere! Potrei scrivere le storie d'alcova di interi dipartimenti. Ma è un la­voro che rimando a quando sarò vecchio, e non potrò far più nient'altro che scrivere.

Il Conte                         - (dignitoso) Voi sbagliate, signor Loi­seau. La signorina Rousset potrà confermarvi che non ho inteso far nient'altro che ringraziarla. Tutto il resto è opera di una fantasia che non posso e non voglio seguire. (Sale fieramente la scala).

Loiseau                         - (aspetta che il conte sia sparito nel corri­doio, poi) E quella sarebbe l'elite! Be', piccola, ha almeno scucito qualcosa? (Elisabetta vuol rag­giungere la scala) Non vorrai mica prendere la fuga per così poco, no?

Elisabetta                      - Lasciatemi stare. Ne ho abbastanza.

Loiseau                         - Lo credo bene, che ne avete abba­stanza. Vorrei avere anch'io un negozietto come il vostro: quello rende sempre, sia in guerra che in pace. (La insegue e le sbarra la strada) Non voglio toccare il capitale, hai capito? Ci manca il tempo, oramai. Ma voglio un po' d'interessi.

Elisabetta                      - Che interessi?

Loiseau                         - (le dà una sculacciata) Interessi, per­diana! Non far tante cerimonie, bellezza. A Rouen non eri mica così ritrosa. Ne conosco, io, di mariti, le cui mogli ti caverebbero gli occhi, se sapessero cosa fai coi loro uomini... Adesso, anzi, ne conosco uno che sta qui!

Elisabetta                      - Non è vero!

Loiseau                         - Dai, non farla tanto lunga. Vieni qua!

Elisabetta                      - (indietreggiando) Badate che grido, eh, se non mi lasciate subito in pace! Vergogna­tevi! Pensate che lassù c'è il nostro comune ne­mico. Un po' di dignità, almeno.

Loiseau                         - (la insegue ridendo attraverso la sala, fino al tavolo a destra) Dignità... fa uno strano effet­to, questa parola, in bocca tua... una boccuccia di miele, del resto... più dolce del più dolce dei miei vini... (Gira intorno al tavolo e la afferra) T'ho presa, finalmente! (Fa per baciarla).

Elisabetta                      - (si libera, corre alla porta del cortile, la spalanca, grida) Luigi! Luigi!

Loiseau                         - Vuoi star zitta! (Entra il postiglione, la frusta in mano).

Luigi                             - Buon giorno, signorina Rousset. (Loiseau arretra spaventato, raggiunge la scala). Elisabetta (vedendo che Loiseau si ritira) Vo­levo... volevo solo chiederti, Luigi... quand'è che finalmente si parte. (Loiseau scompare, in alto, nel corridoio).

Luigi                             - Per me, anche subito. E' tutto pronto1. Ma... (Si volge a gridare in cortile) Rozze della malora, state ferme!

Elisabetta                      - Ma...?

Luigi                             - Sì, l'oste, poco fa, mi ha detto qualcosa, come... sì, insomma, che me la prendessi pure co­moda, che tanto non c'era nessuna fretta di ripar­tire... Così, insomma...

Elisabetta                      - L'oste? E che c'entra l'oste?

Luigi                             - Già, è quello che mi sono chiesto anche io. (Urla di nuovo in cortile) Ferma, bestiaccia, ferma!

Elisabetta                      -  Va bene, Luigi. Non volevo altro. (Luigi esce in cortile. Elisabetta si dirìge verso la scala. L'oste entra dalla cucina. Comincia a met­tere le sedie sui tavoli e a spazzare il locale. Elisabetta vedendolo, si ferina sulla scala) Sentite, oste!

L’Oste                           - (guarda in su) Oh... Buon giorno.

Elisabetta                      - Buon giorno. Preparateci il conto: si parte.

L’Oste                           - (si gratta dietro l'orecchia, perplesso) Il conto... Be', ci sarebbe qualche difficoltà.

Elisabetta                      - Difficoltà? Che difficoltà ci pos­sono essere?

L’Oste                           - Sapete che vi dico? Io non voglio andar­ci di mezzo. La miglior cosa è che non sappia nulla di nulla. (Continua a spazzare).

Elisabetta                      - (ridiscende la scala) Dite un po' oste...

L’Oste                           - (senza alzar gli occhi) Comandate.

Elisabetta                      - Avete detto al vetturale, poco fa, che non occorreva che si affrettasse, che la nostra partenza non sarebbe avvenuta tanto presto?

L’Oste                           - Sì, certo che glie l'ho detto.

Elisabetta                      - E per che motivo?

L’Oste                           - Per che motivo? Ma perché ora come ora non potete proseguire il viaggio. Voglio dire: non voi sola, ma tutta la compagnia. Per adesso dovete fermarvi qui tutti.

Elisabetta                      - Chi è... chi è che ci proibisce di proseguire il viaggio?

L’Oste                           - L'unico, qui dentro, che possa dar or­dini: l'ufficiale prussiano.

Elisabetta                      - E che cosa vuole, da noi, l'uffi­ciale prussiano?

L’Oste                           - (smette un attimo di spazzare, sta per dir qualcosa, poi fa una spallucciata e torna al suo lavoro) E che ne so? Se volete saperlo, chiede­teglielo voi stessa. Io da lui non ho avuto altro inca­rico che di impedirvi di ripartire. Punto e basta.

Elisabetta                      - Dov'è... dov'è l'ufficiale?

L’Oste                           - Su in camera sua.

Elisabetta                      - Ora mi sente! (Corre su per le scale, sparisce in corridoi. L'oste continua a spaz­zare, poi rimette a terra le sedie e comincia ad accendere il fuoco nel camino. Dea corridoio, in alto, giungono, in tenuta da viaggio, coi bagagli, il conte e la contessa, Carré-Lamadon e signora, Loiseau e signora, le due suore e Cornudet).

Il Conte                         - Albergatore, il conto!

L’Oste                           - (finge di non vederli, occupato ad accen­dere il fuoco).

Il Conte                         - Ehi, voi, non mi avete sentito?

L’Oste                           - (si volta, pur restando in ginocchio) Ah, vedo... che siete pronti per partire.

Il Conte                         - Certo, partiamo tra pochi minuti. Andate a prendere i nostri salvacondotti, per favore.

L’Oste                           - Hm, sarà un po' difficile...

Il Conte                         - Perché?

L’Oste                           -  Perché lui non li vuol rendere.

Il Conte                         - Chi non li vuol rendere?

L’Oste                           - Il comandante prussiano si rifiuta di restituire i vostri salvacondotti. Per ora non vi permette di riprendere il viaggio.

Il Conte                         - Il comandante prussiano non ci...?

Loiseau                         - Ma è impazzito?

Carré-Lamadon             - E' un abuso! Noi abbiamo tanto di lasciapassare.

L’Oste                           - No, in questo momento li ha tutti lui.

Cornudet                       - Ma se ieri ha dichiarato espressa­mente ch'erano in regola!

Carré-Lamadon             - Noi protestiamo!

Loiseau                         - Protestiamo energicamente!

L’Oste                           - Certo, certo, protestate pure, ne avete tutto il diritto. (Armeggia intorno al fuoco) Questa porcheria d'una legna umida non vuole accendersi, oggi...

Il Conte                         - Avete chiesto all'ufficiale perché vuol trattenerci qui?

L’Oste                           - Certo che glie l'ho chiesto.

Il Conte                         - E che cosa ha risposto?

L’Oste                           - « Perché voglio così! » Ecco cos'ha ri­sposto.

Cornudet                       - E' un arbitrio bello e buono.

Loiseau                         - Gli faremo avere delle seccature.

Il Conte                         - Lo minacceremo. Faremo una de­nuncia al generale prussiano- che comanda la piazza di Rouen.

Carré-Lamadon             - Si sta giocando la carriera. Rischia di essere degradato.

Il Conte                         - Oste, annunciateci immediatamente all'officiale.

L’Oste                           - (che intanto ha finito di accendere il fuoco, si alza) In questo momento, purtroppo, non è possibile.

Il Conte                         - Non abbiam tempo da perdere.

L’Oste                           - Dovevate pensarci prima. Ora da lui c'è quella signorina...

Il Conte                         - Signorina? Quale signorina?

L’Oste                           - Si, quella signorina Rousset. Prima che voi veniste giù, lei è corsa dall'ufficiale, tutta piena di sdegno.

Loiseau                         - La signorina... dall'ufficiale?

L’Oste                           - Sissignore: la signorina dall'ufficiale. Signori miei, mi dispiace infinitamente, ma la cosa sta così. (Va in cucina).

Il Conte                         - E' inaudito! Chi di noi l'ha incari­cata? Doveva consultarci, prima. Quella ragazza così impulsiva ci caccerà ancora tutti nei guai.

La Contessa                  - Ha un odio così fanatico' per quegli ufficiali! Finirà per provocare un disastro.

 La signora Carré-Lamadon   - Signore Iddio, chissà quante glie ne dirà in faccia!

La signora Loiseau        - E chi dovrà pagarla sa­remo noi.

La Contessa                  - Uberto, ti prego, va' un po' su da lui. Cerca di ammansirlo.

Carré-Lamadon             - Sì, signor conte, fatelo. Trat­tatelo con buona grazia.

Il Conte                         - Va bene. Ci vado. E poiché è nell'in­teresse comune, lo tratterò con estrema cortesia. Prima, però, dovremmo scoprire che cos'è che vuole da noi, quest'uomo tremendo. Ci siamo compor­tati benissimo, i nostri salvacondotti sono in rego­la... Che diamine può dunque volere, da noi?

Loiseau                         - Già, che cavolo può volere?

Cornudet                       - (cupo) Eh, credo di immaginarle, le sue intenzioni!...

La signora Carré-Lamadon    - (spaventata) Quali intenzioni? Per l'amor del cielo, non fate quegli occhi, signor Cornudet!

Cornudet                       - Terribile, terribile!

La Contessa                  - Ma parlate, dunque!

Cornudet                       - Vuol tenerci come ostaggi. Non può essere che questo.

Il Conte                         - Come ostaggi? Noi? Per quale ra­gione? C'è tanta gente che s'è macchiata di gravi colpe contro le forze d'occupazione, ma noi... La nostra coscienza è pura! Che male facciamo? Viag­giamo con tanto d'autorizzazione verso Le Havre, per andana a tutelare i nostri interessi. Perché dovrebbero trattenere come ostaggi proprio noi? La signora

Loiseau                         - E' quel che dico anch'io: perché mai? (A Cornudet) Dite certe scemenze, voi, signor demagogo!

Carré-Lamadon             - (durante l'ultima scena è andato affannosamente su e giù; ora si ferma) Che cosa vogliono da noi?! Io l'ho già capito.

Loiseau                         - Zitti! Silenzio! Il signor Carré-Lama­don è un uomo che ha la testa sul collo. Parlate, signor Carré-Lamadon!

Carré-Lamadon             - Quell'ufficiale ha i nostri passaporti, e i nostri passaporti danno notizie più che sufficienti su ciascuno di noi. Non avrà dunque avuto difficoltà ad assumere informazioni, ancora ieri sera, su chi gli era caduto nella rete.

Il Conte                         - Bene; e con questo?

Carré-Lamadon             - E con questo?! Conte Uberto di Bréville, le rendite annuali dei vostri poderi am­montano a mezzo milione di franchi...

Il Conte                         - (alza la mano, schermendosi) Esage­rato, esagerato...

Carré-Lamadon             - ...a mezzo milione di franchi, ripeto. Di me si sa che sono proprietario di tre filande e che ho potuto collocare all'estero un certo gruzzoletto...

Loiseau                         - Già, l'inezia di seicentomila franchi!

Carré-Lamadon             - (fa cenno di smetterla) Breve: se consideriamo che nemmeno- il signor Loiseau può dirsi sprovvisto di mezzi...

Loiseau                         - In confronto a voi sono un povero pezzente!

Carré-Lamadon             - ...possiamo concludere che l'ufficiale non può volere da noi che una cosa sola: danaro! (Le signore mandano un grido d'orrore). La signora

Carré-Lamadon             - Danaro?

La Contessa                  - Danaro?

La signora Loiseau        - (barcollando) Danaro?

Carré-Lamadon             - Sissignore: il danaro del ri­scatto.

Cornudet                       - Be', da quel lato lì non ho nulla da temere.

La signora Loiseau        - Già, perché saremo co­stretti a pagare anche per voi! Bell'ingiustizia!

Il Conte                         - Amici miei, giudizio! Non comin­ciamo a perdere la testa. Temo che la supposizione del signor Carré-Lamadon sia esatta: che altro ci possono estorcere, se non danaro?

Carré-Lamadon             - Per questo propongo di accor­darci ben bene in precedenza, in modo da non) venirci poi a trovare di fronte a qualche pretesa assassina.

Loiseau                         - Ecco, precisamente: dobbiamo armarci.

Il Conte                         - Io, per mio contai, posso assicurare di aver subito perdite più che rilevanti a causa delle distruzioni belliche, furti di bestiame, sottrazioni del raccolto, eccetera.

Carré-Lamadon             - E le mie fabbriche? I miei operai sono sotto le armi, la maggior parte prigio­nieri di guerra... l'industria attraversa un momento dei più critici... non si riesce a vendere... l'intero ramo cotoniero è in piena crisi... Questi sono fatti, signori miei!

La signora Loiseau        - Loiseau!

Loiseau                         - Che c'è?

La signora Loiseau        - Togliti subito la catena dall'orologio.

Loiseau                         - (lo fa, s'infila la catena nel taschino del panciotto) Giustissimo. Non bisogna mai sem­brare più ricchi di quel che si è. (Elisabetta esce dal corridoio e si ferma in alto, appoggiata alla rin­ghiera).

La signora Loiseau        - (la vede per prima) Ec­cola là! (Tutti guardano in su, a Elisabetta).

Il Conte                         - Signorina, siete stata da quell'uffi­ciale? (Elisabetta resta immobile).

Carré-Lamadon             - Scendete, dunque. Venite a raccontare.

Elisabetta                      - (prorompendo) Ah, che canaglia! Che canaglia!

Il Conte                         - Ma come? Chi? Ma parlate! (Loiseau corre su per la scala e conduce a basso Elisabetta. Elisabetta si siede come un automa al tavolo a si­nistra. Tutti la circondano).

Carré-Lamadon             - Ma parlate, dunque! E' una cosa che tocca tutti noi.

Il Conte                         - Dite, cara, che cos'avete?

Elisabetta                      - (quasi tra sé) Che canaglia...

Il Conte                         - Chi, è una canaglia? Chi? (Elisabetta tace, gli occhi sbarrati) Sentite, voi dovete infor­marci subito. Che cosa voleva? Perché non ci resti­tuisce i passaporti? Perché ci trattiene qui? Perché non ci lascia ripartire?

Carré-Lamadon             - Vuole un riscatto?

Cornudet                       - O vuol tenerci come ostaggi?

La Contessa                  - O peggio ancora? Qualcosa di terribile, di inimmaginabile?

La signora Carré-Lamadon    - ... di raccapric­ciante?

La signora Loiseau        - Ma parlate, insomma, mondo boia!

Elisabetta                      - No, non... posso parlare... Andate voi stessi e chiedeteglielo. Andate voi stessi. (Si copre il viso con le mani. Pausa. Sono tutti scon­certati).

Il Conte                         - (con dignità) Venite, amici miei... anche voi, sorelle, vogliate accompagnarci. Andia­mo da quell'ufficiale: tutti e subito. Bisogna uscire da quest'incertezza! (Precedono le due suore; poi il conte e la contessa; il signore e la signora Carré-Lamadon; il signore e la signora Loiseau; final­mente Cornudet, che si gira indietro più volte a guardare con apprensione Elisabetta. Spariscono tutti nel corridoio. Dopo un po' s'apre la porta ed entra Luigi, il postiglione. Elisabetta resta immo­bile, il volto tra le mani).

Luigi                             - Ehi, signorina Rousset! (Elisabetta alza il viso a guardarlo) Volevo solo sapere cosa conclu­diamo: si parte o non si parte?

Elisabetta                      - Non si parte...

Luigi                             - Cosa è successo? (Elisabetta lo fissa senza rispondere) Fate una faccia, fate! E' accaduto qual­cosa? Vi hanno fatto qualche...?

Elisabetta                      - No.

Luigi                             - Ah be', perché in tal caso...! Ma... voi non state bene. Avete fame? (Apre i due pacchi che stanno sul tavolo: un prosciutto maiuscolo e un salame) To', guarda guarda guarda... Sono dun­que riusciti a rimediare qualcosa, quei cari signori, con tutti i loro bigliettoni. Ieri hanno dato fondo alle vostre provviste. Me l'ha raccontato l'oste. Là... prendete!

Elisabetta                      - Senti, Luigi, me lo fai un piacere?

Luigi                             - Tutto quel che volete, signorina.

Elisabetta                      - Allora... dammi il tuo coltello!

Luigi                             - (esitante) Il mio coltello? A che vi serve?

Elisabetta                      - Mi occorre un coltello, e che sia grande e ben affilato...

Luigi                             - (il suo sguardo cade sul prosciutto; scoppia a ridere) Ah, ho capito! E' vero, non potete mangiarvi il prosciutto a morsi. (Tira fuori il suo coltello a serramanico, ne fa scattare la molla) Ecco qua. Ma non lo fate vedere a nessuno. E' un ag­geggio pericoloso, oggigiorno. (Elisabetta prende il coltello) Be'... allora non mi resta altro da fare, che riportare la diligenza al cascinale.

Elisabetta                      - Addio, Luigi.

Luigi                             - Addio, signorina. (Esce in cortile. Elisa­betta osserva la lama del coltello, ne stringe ener­gicamente il manico. Fuori, scalpitar di cavalli che si allontana. In alto ricompaiono tutti quanti, uscendo dal corridoio. Elisabetta rinchiude il col­tello, se lo infila in fretta nel manicotto).

Il Conte                         - (con tutti gli altri, a mezza scalò) Stra­no... Comunque, non pare che voglia ricattarci, o cose del genere.

Carré-Lamadon             - Anzi, quel che più mi ha stupito è la sua estrema cortesia verso di noi.

Loiseau                         - Ma da lei, allora, cosa vorrà mai?

Il Conte                         - Zitti! Lo sapremo subito. (Sono ormai tutti a basso. Le suore tornano a sedersi presso il camino. Il conte si schiarisce la voce) Hm... Signo­rina Rousset... (Elisabetta lo guarda) Abbiamo' par­lato con quell'ufficiale. Un colloquio brevissimo. (Elisabetta tace) L'essenziale - dice - l'ha già comu­nicato a voi... (Elisabetta tace) Alla fine ci ha in­caricati di portarvi uno strano messaggio.

Elisabetta                      - (alza la testa) Un messaggio... per me?

Il Conte                         - Noi tutti... dobbiamo chiedervi espres­samente se non avete mutata la vostra decisione.

Elisabetta                      - (impallidisce, poi diventa paonazza. Salta su in piedi e grida) Ditegli... ditegli, a quel... a quel... che non acconsentirò mai, mai, mai! Avete capito? (Tutti spaventati, danno addie­tro di qualche passo).

Carré-Lamadon             - Ma diteci dunque una buona volta, cos'è che vuole da voi quell'individuo!

Elisabetta                      - Cosa vuole da me? Cosa vuole da me? E ho bisogno di dirvelo?! (Lungo silenzio).

Cornudet                       - (dà un pugno sul tavolo) E noi do­vremmo permetterlo? Giammai!

Il Conte                         - Quell'uomo si comporta come un barbaro!

Carré-Lamadon             - Questo... questo... questo è uno sporco ricatto! (Le donne circondano Elisabetta).

La Contessa                  - Oh, poverina! La signora

Carré-Lamadon             - Non temete. Noi donne non lo permetteremo mai e poi mai.

Cornudet                       - Qui è in ballo il nostro onore. Si­gnori noi non lo permetteremo mai e poi mai. (Gri­da verso l'alto) Ci senti, tiranno? Mai e poi mai!

Loiseau                         - (afferra il prosciutto che sta sul tavolo, scartato, e lo brandisce minacciosamente in dire­zione dell'elmo chiodato) Mai e poi mai! (Elisabetta stringe le mani alle donne, riconoscente. Gli uomini agitano il pugno verso l'elmetto. La scena ha il carat­tere di un solenne giuramento, che unisce tutti quanti).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (Tardo pomeriggio. Il punto della parete dov'erano appesi l'elmo e la sciabola è ora vuoto. Al tavolo a sinistra siedono Cornudet, Loiseau e l'oste: giocano a carte. Presso il camino, la signora Loiseau, che lavora a maglia).

Cornudet                       - Passo.

L’Oste                           - Ammazzo.

Loiseau                         - (butta giù le sue carte) E' un'indecenza. Qui si bara. Io non gioco più.

L’Oste                           - Chi è che bara? Io, per caso?

Loiseau                         - E chi vuoi che sia? Io, forse?

Cornudet                       - (depone le carte) E' uno strano fatto che gli uomini vadano in bestia quando li si vuole abbindolare in una faccenda insignificante come è una partita a carte. Ma quando un governo in­ganna tutto un popolo, e a forza di menzogne ti manda a morire migliaia e migliaia di uomini, ah, allora nessuno ci trova nulla a ridire!

Loiseau                         - Non fatemi il filosofo, signor Cornu­det. (Balza in piedi) Ditemi piuttosto com'è che usciremo di qua. Sono tre giorni che stiamo in que­sto sporco villaggio dove non c'è un cane cui si possa vendere una partita di vino. Dobbiamo farci la muffa, qui?

Cornudet                       - Abbiate pazienza, signor Loiseau.

Loiseau                         - Sì, pazienza! Voi, si sa, non ci perdete niente. Cosa avete fatto, negli ultimi mesi, a Rouen? Avete addestrato la guardia nazionale, fatto scavar trincee, tenuto discorsi politici, ma poi, una volta arrivati i prussiani, via tutti a nascondervi!, voi e la vostra guardia nazionale.

Cornudet                       - Ho ceduto alla violenza.

Loiseau                         - Allora potevate fare a meno di trasfor­mare i dintorni di Rouen in un labirinto di trincee!

Cornudet                       - (con aria di superiorità) Politica, mio caro.

Loiseau                         - Scavar fossi e bere birra: una bella politica!

Cornudet                       - (si alza) Siete politicamente imma­turo, Loiseau. Coi vostri pari preferisco non discu­tere. (All'oste) Svegliatemi, se ci sono novità. Vado a schiacciare un pisolino. (Sale la scala, sparisce nel corridoio).

Loiseau                         - (gli grida dietro) Badate di svegliarvi in tempo per la proclamazione della repubblica universale! (L'oste mette via le carte) Oh, a propo­sito: niente di nuovo dal teatro di guerra?

L’Oste                           - Dal teatro di guerra? Quale teatro di guerra? Dove sarebbe?

Loiseau                         - Qui, naturalmente, testone! E vi siam impegnati tutti. Le hai già fatto la solita domanda, oggi?

L’Oste                           - Ah, ho capito. Parli di quella là... Oggi ho già dovuto fargliela due volte. La seconda fu poco prima che uscisse con quelle due suore.

Loiseau                         - E che ti ha risposto?

L’Oste                           - Il solito ritornello. Lo so già a memoria. « Il comandante prussiano fa chiedere alla signorina Rousset se non ha ancora mutato la sua decisione». « Nossignore! ».

Loiseau                         - (esasperato) « Nossignore! Nossignore! » Quella donna non ha un minimo di decenza. A Rouen la poteva avere chiunque, anche un vet­turino. E qui, dove una volta tanto potrebbe eser­citare il suo sporco mestiere, direi quasi, con tutti gli onori, nossignore, qui fa la ritrosa! Dobbiamo dunque trascorrere qui il resto della nostra vita?

L’Oste                           - (tranquillo) Per me...! Io ne sarei ben contento. (Va in cucina).

Loiseau                         - Mascalzone! Eccone un altro che non pensa che al suo tornaconto. (Disgustato) Ah, che gentaglia! (Si avvicina alla finestra e tambureggia nervosamente sui vetri).

La signora Loiseau        - Smettila di tambureggiare sui vetri, sono già nervosa abbastanza!

Loiseau                         - (si volta) E che altro vuoi che com­bini? Non faccio che girare come uno scemo, mi raffreddo le gambe passeggiando all'aperto, racconto le mie migliori storielle a questi bifolchi, e a che scopo? Ogni ora che sprechiamo in questo postac­cio diminuiscono le probabilità che l'intendenza mi­litare di Le Havre mi paghi le mie forniture di vino.

La signora Loiseau        - (per lo spavento le cade il lavoro di mano) Loiseau, non... non... non dirai sul serio, spero! Perdere... perdere i nostri soldi?

Loiseau                         - Nessuno può dire per quanto tempo esisterà ancora un esercito francese. Aspetta che si disperda ai quattro venti, e poi addio pagamento! Con la mia ricevuta porrò accendermi la pipa.

La signora Loiseau        - E tutta la colpa è di quella cocotte!

Loiseau                         - Ti prego, non dirlo davanti al conte. Bisogna mordere il freno-. Non hai sentito cosa ha detto non più tardi di ieri sera? Non si può preten­dere da una donna un sacrificio così penoso. Deve farlo di sua spontanea volontà. Questo, ieri sera. Ed erano già passati due giorni da quando giuram­mo: mai e poi mai!

La signora Loiseau        - Fa presto, il conte, a fare il delicato. Lui la sua roba ce l'ha al coperto.

Loiseau                         - Che imprudenza, da parte nostra, aver lasciato uscire quella donna! E se tagliasse la corda? Saremmo noi a doverne rispondere all'ufficiale. Ci accuserà di aver favorito la sua fuga... per patriot­tismo! Quello è capace di tutto. Dov'è andata, a proposito?

La signora Loiseau        - A un battesimo, pare.

Loiseau                         - E che ci va a fare, a un battesimo?

La signora Loiseau        - Be', ha un bastardello anche lei, affidato a certa gente di Ivetót. Così, quando ha sentito suonare le campane, si è intene­rita tutta quanta, figurati, quell'anima sensibile!

Loiseau                         - Io vorrei solo sapere con che diritto quel letamaio ambulante si nega all'ufficiale.

La signora Loiseau        - Ora te lo chiedi, eh? Ma l'altro ieri giuravi anche tu: mai e poi mai!

Loiseau                         - Ci siamo, cominci coi rimproveri. Ma, e tu, allora? Non l'hai forse abbracciata con la mag­gior tenerezza?

La signora Loiseau        - Ma senza prendere il minimo impegno. Ci mancherebbe ancora che ne dessi la colpa a me, brutto spaccone!

Loiseau                         - (batte il piede) Smettila di brontolare! Quando una moglie ti -tratta in questo modo, non c'è da stupirsi se ogni tanto si desidera un po' di affetto, e...

La signora Loiseau        - (si alza) « E »... che cosa?

Loiseau                         - Perché ti alzi in piedi?

 La signora Loiseau       - « E »... che cosa? Che cosa «e»...? Credi che non me ne sia accorta, che in carrozza non hai fatto altro che guardare quella donnaccia come un porco? Te la mangiavi con gli occhi, te la mangiavi!

Loiseau                         - E che altro posso mangiare? Quando a casa non hai che una scorfana spigolosa che ti ama­reggia la vita!

La signora Loiseau        - E' così che mi ringrazi, eh, di aver diretto per vent'anni il tuo negozio!

Loiseau                         - Ma che diretto e diretto! Chi è che mi cova il danaro peggio di un dragone? Chi è che me Io nasconde, a me che lo guadagno soldo per soldo? A chi è che devo chiederlo in ginocchio, quando ho bisogno di un paio di franchi?

La signora Loiseau        - E chi è, allora, che mi ha sperperato la dote con donne di malaffare? Avanti, sentiamo: chi è?

Loiseau                         - (urla) Ne ho abbastanza! Ne ho le scatole piene! Voglio essere lasciato in pace, hai capito? In pace! (Corre su per le scale, scompare nel corridoio, ha signora Loiseau riprende il suo lavoro a maglia, si siede. Entrano dal cortile la si­gnora Carré-Lamadon e la contessa).

La signora Carré-Lamadon    - L'avete visto?

La Contessa                  - Sì, stava entrando in casa.

La signora Carré-Lamadon    - Ci ha fatto un sa­luto gentile, non vi pare?

La Contessa                  - Gentilissimo.

La signora Carré-Lamadon    - Peccato che sia un prussiano. Sarebbe un impeccabile ufficiale fran­cese.

La Contessa                  - E che stivali lucidi! Qui, in mezzo alla neve, al fango... E' gente pulita, bisogna rico­noscerlo.

La signora Carré-Lamadon    - E il suo contegno verso di noi è stato irreprensibile.

La Contessa                  - Assolutamente irreprensibile, non c'è niente da dire.

La signora Loiseau        - A me pare, tutto sommato, che quell'ufficiale si comporti più che bene. Chissà da quanto tempo è costretto all'astinenza, e qui c'eravamo noi tre, che lui avrebbe certamente pre­ferite. Ma no: è una persona corretta e si accon­tenta di quella donna pubblica. Rispetta le signore sposate. Ma ci avete pensato? Chi comanda, qui, è lui. Bastava che dicesse « voglio! ». Un ordine ai suoi soldati, e avrebbe potuto averci con la forza. La signora

Carré-Lamadon             - Noi? (Le viene il capogiro) Oh Dio, è vero... avrebbe potuto averci... Pensate un po', mia cara: poteva violentarci come se niente fosse!

La Contessa                  - Oh... a questo non ci avevo1 an­cora pensato!

La signora Loiseau        - Perciò dico: dato che quel­la donna esercita quel mestiere, non ha il diritto di rifiutare l'uno e di prendere l'altro.

La signora Carré-Lamadon    - E' vero, ma non possiamo costringerla.

La signora Loiseau        - E invece la costringeremo!

La Contessa                  - Con che mezzo?

La signora Loiseau        - Con la forza!

La signora Carré-Lamadon    - Con la forza?

La signora Loiseau        - Siamo tre contro una. Le più forti siamo noi. Ci sediamo su di lei, la le­ghiamo... e la consegnamo all'ufficiale.

La signora Carré-Lamadon    - Ohibò!

La Contessa                  - Sarebbe un'indegnità, da parte nostra!

La signora Carré-Lamadon    - Come potete pen­sare una cosa simile?

La signora Loiseau        - E non è un'indegnità da parte sua, tenerci inchiodate qua per la sua testar­daggine? Con che diritto dispone della nostra li­bertà personale?

La Contessa                  - Comunque sia, non possiamo ri­correre alla violenza.

La signora Carré-Lamadon    - Ci si deve risol­vere da lei stessa.

La Contessa                  - Bisognerebbe convincerla.

La signora Loiseau        - Sì, possiamo parlare per un bel pezzo... Non vedete com'è incolta?

La Contessa                  - Incolta, dite? Sì, certo che lo è... (Pensierosa) Della cultura, dunque, avrà il mas­simo rispetto... Potremmo raccontarle dei fatti sfa> rici... Aneddoti di donne che con la loro abnega­zione hanno salvato la vita a popoli interi... La signora

Loiseau                         - Ma non ci sono mica, delle storie così!

La Contessa                  - Oh, sì, eccome. Zitta, lasciatemici pensare. (Dal cortile entrano Carré-Lamadon e il conte).

Il Conte                         - No, no, non spaventiamo le signore, vi prego!

Carré-Lamadon             - Eh, quante storie! Ditemi, piuttosto: è O' non è vero?

Il Conte                         - Purtroppo è assai verosimile.

Carré-Lamadon             - Oh, e allora! (Alle donne) Gran belle notizie, mie care signore!

La signora Carré-Lamadon    - Santo cielo, cosa è' successo?

La signora Loiseau        - Che c'è?

Il Conte                         - Niente, niente, non vi agitate...

Carré-Lamadon             - Come se ci guadagnassimo qualcosa, a far la politica dello struzzo! In paese corre voce che le nostre truppe preparino un con­trattacco movendo' da Dieppe. Probabilmente si verrà ben presto a una battaglia. E sapete dov'è che, secondo ogni probabilità, lo scontro avrà luogo? Qui, signori miei! Proprio qui, a Tòtes!

La signora Loiseau        - Dio benedetto, ma allora noi restiamo presi in mezzo!

La signora Carré-Lamadon    - Giulio, è vero? E' proprio vero?

Carré-Lamadon             - (stringendosi nelle sfalle) Le ultime notizie, almeno', sono queste.

La signora Loiseau        - Ebbene, io non resto qui un momento' idi più! Ora si 'tratta di salvare la pelle. Me ne vado via a piedi, se è necessario. Signori miei, scappiamo!

Il Conte                         - In mezzo' alla neve, al fango? E' una pazzia. E poi, saremmo subito inseguiti, riacciuf­fati in meno di dieci minuti e ricondotti qua pri­gionieri, a discrezione del nemico.

La signora Loiseau        - (isterica) Aiuto! Loiseau! Dov'è mio marito? Io grido! Aiuto!

La Contessa                  - State zitta! (AI conte) Senti, li­berto, dobbiamo indurre al più presto quella ra­gazza a sacrificarsi per noi.

Il Conte                         - Ah, non me ne parlare! Ieri sera ho cercato di convincerla parlandole per un'ora di se­guito. Ho toccato tutti i registri. Niente, è irremo­vibile.

La Contessa                  - Dimmi: conosci la storia di Giu­ditta e Oloferne?

Il Conte                         - Giuditta e Oloferne? Che abbiamo da spartire, noi, con Giuditta e Oloferne?

La Contessa                  - Bisogna che tu racconti senza in­dugio la storia di Giuditta e Oloferne a quella ragazza.

Il Conte                         - Come? E che son diventato, un can­tafavole?

La Contessa                  - Poi, una volta che avrai avvia' il discorso sui fatti storici, subentrerò io e racconterò, così incidentalmente, qualcosa di convincente tratto dalla storia romana.

Il Conte                         - (sconcertato) Dalla... storia romana? (Loiseau spunta dal corridoio, sbadigliando).

Loiseau                         - Mi hai chiamato, tesoro?

La signora Loiseau        - Zitto, stiamo combinando qualcosa. (Loiseau scende in fretta la scala. La si­gnora Loiseau. lo tira in disparte e gli parla gesti­colando vivacemente. Loiseau ha dapprima un'aria scettica, poi a poco a poco s'illumina e finalmente annuisce, approvando).

La Contessa                  - Ma non hai ancora capito? Dob­biamo dimostrarle, storia alla mano, che un'azione come quella che pretendiamo da lei non è niente di eccezionale.

Il Conte                         - (pensieroso) Sacrificarsi per il bene dell'intera nazione... già, e perché no? (A Carré-Lamadon) Varrebbe almeno la pena di tentare.

Carré-Lamadon             - (brontolando) A me sembra una scemenza.

La Contessa                  - Tutto dipende da noi: cioè se siamo capaci di scovare un certo numero di aneddoti verificatisi in età diverse, ma sempre con la stessa morale.

Il Conte                         - Sinché alla fine uno salta su a chie­dere, così senza parere: «E ai giorni nostri, come stiamo ad abnegazione femminile? »

La signora Carré-Lamadon    - ... quell'abnega­zione, di cui la patria avrebbe tanto bisogno...

La signora Loiseau        - ...e soprattutto noi!

Loiseau                         - (trionfante) E il motto dell'intera ope­razione è questo': « Come faremo a spingere la bella ritrosa sotto l'elmo chiodato? ».

La signora Carré-Lamadon    - (guarda fuori dalla finestra) Zitti! Sta arrivando con le suore.

Il Conte                         - Signori miei, tentiamo subito la prova, che non può nuocere in nessun caso. (Si guarda in­torno) Dov'è Cornudet?

Loiseau                         - Sta dormendo.

Il Conte                         - Andatelo a chiamale. Dobbiamo es­sere al completo. (Loiseau sale la scala, esce) Signor Cané-Lamadon, mettetevi là, per favore.

Carré-Lamadon             - Perché proprio là? Non posso sedere dove piace a me?

Il Conte                         - Non fate obiezioni, vi prego. Ne va della causa comune. Dobbiamo, anche esteriormen­te, formare un circolo chiuso. Dovunque ella si volga deve trovare qualcuno pronto a persuaderla. Sedete!

Carré-Lamadon             - Per me son tutte cretinate... (Va a sedersi al posto che gli hanno indicato).

Il Conte                         - Signora, prego: accanto a vostro ma­rito. (La signora Carré-Lamadon si siede) Signora Loiseau, voi qui. (La signora Loiseau si siede) E tu, mia cara, qua. (La contessa si siede) Io resto qui in piedi e dirigo l'azione. (Cornudet viene dal corri­doio con Loiseau).

Cornudet                       - (si ferma sulla scala) Cos'è? Si tiene un conciliabolo o rappresentiamo una commedia?

Il Conte                         - (indaffarato) L'uno e l'altro, l'uno e l'altro. Vi prego, scendete subito e sedetevi lì! (Cor­nudet scende crollando il capo e va a sedersi) E voi, signor Loiseau... qui. (Loiseau. si siede) L'esercito è schierato, possiamo sferrare l'attacco. E ora, signori miei, vi prego di comportarvi con la massima disin­voltura. Un gruppo di amici che sta chiacchierando tranquillamente.

Cornudet                       - E chi volete che la beva? Sediamo qui impalati come tanti baccalà. Tutti          - (sibilando) Zitto! (Entrano, dal cortile, Elisabetta e le due suore).

Elisabetta                      - Buona sera.

Tutti                              - (in coro) Buona sera. (Elisabetta si ferma a guardarli, stupita).

Il Conte                         - (si affretta a toglierle la pelliccia) Non volete sedervi in mezzo a noi, cara?

Elisabetta                      - Avete... avete tutti un'aria così so­lenne...

Il Conte                         - Solenne, noi? Ma nemmeno per so­gno! Ci siamo trovati qui per caso, tutti quanti, a far quattro chiacchiere intorno al fuoco. (Mette una sedia al centro del semicerchio) Prego! (Elisabetta si siede. Le due suore si siedono davanti al camino, completando così il circolo' intorno- a Elisabetta. Dal corridoio arriva l'oste. Porta la sciabola e l'elmo chio­dato sotto il braccio).

L’Oste                           - (viene a basso e appende i due oggetti al solito posto) E' tornato, signorina Rousset.

Elisabetta                      - Che cosa volete?

L’Oste                           - (voltandosi) Il comandante vi fa chiedere se non avete ancor cambiato parere... (Pausa).

Elisabetta                      - (dominandosi) No, Non l'ho cam­biato e non lo cambierò!

L’Oste                           - Capito. (Via, in cucina. Altra pausa).

La Contessa                  - (melata) Ebbene, mia cara, come è stato il battesimo?

Elisabetta                      - (riscotendosi) Come?

La Contessa                  - Ci piacerebbe sentirvi raccontare come è andato quel battesimo di campagna,

Elisabetta                      - Be', una cerimonia come se ne pos­sono vedere tutti i giorni, dappertutto. Eppure... eppure mi ha tanto commossa.

La signora Carré-Lamadon    - Ah sì? Dev'essere stata una cosa toccante, allora. Raccontate!

Elisabetta                      - Battezzavano un maschietto. Una creaturina palpitante, che vagiva a più non posso, senza curarsi del luogo consacrato in cui si trovava. La chiesa era piena di contadini, c'era tutto il vil­laggio. E tutti guardavano il bambino con tanto di occhi, come se fosse un miracolo. E io cominciai a pensare: Che cos'è, in fondo, una creatura umana1? Nient'altro che un verme, che vive per essere schiac­ciato. Eppure, come lo si prende sul serio! Quanti -discorsi, speranze e desideri sul suo conto, quando è ancora nel seno materno! Con che cura lo si tiene nella culla, ben protetto, riparato... Poi, in un bale­no, passano gli anni, e quello che oggi è un povero bambinello appena nato, domani si torce gemendo su qualche campo di battaglia. Una vittima... per chi? per che cosa? Dovetti pensare a tutto questo, e poi... io non sono certo devota... ma non potei farne a meno, e dovetti pregare. Fa bene, certe volte, pre­gare... (Pausa. Loiseau si schiarisce la voce).

Il Conte                         - (pensoso) Pregare... pregare... (Di colpo) Prega e lavora! Ora et labora! Questa antica regola monastica mi ha sempre profondamente col­pito. Pregare: sì, certo, passiamo farlo in qualsiasi momento. Ci si chiude nel silenzio della propria stanza e si implora la liberazione dalla schiavitù e dalle minacce. Ma lavorare! Ahimè, quanto è duro venir strappati dal proprio lavoro per un tempo lun­ go, imprevedibilmente lungo... (Si guarda intorno) Ne sappiamo tutti qualche cosa, è vero, amici miei?

Loiseau                         - Non me ne parlate!

Il Conte                         - Tutti noi, infatti, quanti siamo raccolti qui intorno, siamo lavoratori. Loiseau, commercian­ te; Carré-Lamadon, industriale; io, possidente agri­ colo... tutti, tutti! E ora, eccoci qua, condannati al­ l'inazione, come in una fortezza assediata dal ne­mico.

Elisabetta                      - Tutta la Francia si trova così.

Il Conte                         - Come avete ragione! Tutta la Fran­cia... Nelle mie preghiere invoco la liberazione per opera di una nuova Giovanna d'Arco, di un'umile ragazza che sia pronta a sacrificarsi per la comunità. Non siamo forse tutti di Rouen, dove Giovanna fu arsa sul rogo? Non sappiamo noi meglio di ogni altro che la sua fama è imperitura?

La Contessa                  - La storia è piena di donne che, sacrificando se stesse, ammansirono e sconfissero il nemico invasore. Giovanna d'Arco non è che una tra le tante.

Il Conte                         - Certo. Basterebbe pensare a quella fanciulla ebrea che trucidò Oloferne... Com'è che si chiama'?

La Contessa                  - Vuoi dire Giuditta?

Il Conte                         - Giuditta, naturalmente. Giuditta e Oloferne. (A Elisahetta) Sapete di che si tratta?

Elisabetta                      - No.

Il Conte                         - E voi, signori?

La signora Carré-Lamadon    - Ne ho un ricordo confuso. Raccontate, signor conte!

Il Conte                         - (schermendosi) Oh, no. Sarebbe imba­razzante, data la nostra situazione attuale, che ha tanti punti di contatto con... E poi, ho paura di annoiarvi,.. O forse vi interesserebbe davvero?

La signora Carré-Lamadon    - Enormemente!

Loiseau                         - Non fate il prezioso, conte: sputate fuori!

Il Conte                         - Ebbene, ecco qua: Oloferne era un ferocissimo guerriero, che venne sconfitto e reso innocuo, in una maniera quanto mai singolare, da Giuditta, il cui popolo egli minacciava.

La signora Loiseau        - Com'è che ne venne a capo, quella Giuditta?

Il Conte                         - Si introdusse di nottetempo' nella ten­da del vincitore e, mentre gli si concedeva, gli tagliò il capo.

Loiseau                         - Come come? Ma... prima o dopo?

Il Conte                         - Dopo.

Loiseau                         - Capperi, ci voleva un bel fegato! Quel­la sì che era una donna.

Il Conte                         - E il popolo da lei liberato esaltò l'eroi­smo di Giuditta con gli accenti più entusiastici.

Carré-Lamadon             - (sospirando) Avessimo almeno una Giuditta, se a una Giovanna d'Arco non ci arriviamo!

Elisabetta                      - E lo fece... lo fece davvero? E' acca­duto veramente?

Il Conte                         - E' un fatto storico, signorina.

Elisabetta                      - Gli... gli tagliò la testa?

Il Conte                         - Precisamente: la testa.

La Contessa                  - Un fatto simile ce lo riferisce la storia romana. Lucrezia, dandosi a Sesto, provocò la caduta del tiranno e la liberazione del popolo.

Cornudet                       - Che?! Come? Cosa avete detto?

La Contessa                  - (Io fulmina con gli occhi) C'è I qualcosa che non vi garba, signor Cornudet?

Cornudet                       - Voi vi riferite, immagino, alla storia di quella Lucrezia che, oltraggiata da Sesto, si ucci­se per la vergogna.

La Contessa                  - No. Mi riferisco a un'altra Lucre­zia e a un altro Sesto.

Cornudet                       - Spiacente, ma non ce ne sono altri. Si vede che al ginnasio non siete stata attenta.

Carré-Lamadon             - Signore, come vi permettete!

Loiseau                         - E' inaudito! Sfacciato come tutti i de­mocratici.

Il Conte                         - (calmandoli con Mandi gesti delle mani) Comunque sia, comunque sia: è pur sempre un ulteriore esempio di abnegazione da parte di una donna nell'interesse della collettività... Tacete, signor Cornudet!

La signora Carré-Lamadon    - E Cleopatra?

Il Conte                         - Che c'entra Cleopatra?

 La signora Carré-Lamadon   - Cleopatra si pre­sentò ad Antonio travestita da dea Venere, su una nave sfarzosamente addobbata, e lo legò per sempre a sé. Inoltre, non faceva tanti complimenti e quando qualche generale si sollevava contro il suo trono, essa lo accoglieva nel suo letto e gli faceva girare la testa a tal punto, che quello dimenticava tutte le sue intenzioni bellicose. Anche questa è un'impre­sa coi fiocchi, no?

Elisabetta                      - E tutto questo... è avvenuto vera­mente?

Il Conte                         - Storico, storico. Tutto storico.

Elisabetta                      - Quelle donne hanno fatto tutto questo?

La Contessa                  - Non solo singole eroine, ma mol­titudini intere di donne. Quando Annibale marciò su Roma, ad esempio, e stava per sorprendere la popolazione, le romane gli vennero incontro a Capua e sedussero tutto il suo esercito. Così Roma, intanto, ebbe tempo di fortificarsi.

Cornudet                       - Dove avete letto queste baggianate? Carré-

Lamadon                       - (salta su) Ora avete passato la misura, signor Cornudet! Io non permetto che si offenda una signora col mettere in dubbio la sua cultura classica!

Cornudet                       - (pacifico) Con la cultura classica bi­sogna andarci cauti. Ma a me, proprio adesso, è venuto in mente un aneddoto autentico, che si adatta assai bene a quanto stiamo dicendo. Sapete con che mezzo una bella inglese tentò di eliminare Bonaparte? Si fece inoculare un'orrenda malattia contagiosa e andò in Francia a sedurre il nemico del proprio paese. Se il tiranno fu salvo lo dovette unicamente a un'improvvisa debolezza che lo colse durante il convegno. Del resto, pare che in genere non valesse molto, in quel tipo d'imprese...

Loiseau                         - Di una santa si racconta una storia ben più edificante. Era una bella e casta creatura, e stava facendo un pellegrinaggio. Giunta in riva a un largo fiume, i traghettatori, per farla passare sull'altra sponda, le chiesero... indovinate un po'? Che cedesse alle loro voglie! Che cosa fa la santa? Senza un attimo d'indugio si concede a quelle rudi cana­glie; perché infatti, che cos'è mai il nostro misero corpo? E così può continuare indisturbata il suo pel­legrinaggio.

Elisabetta                      - (balza in piedi, indignata) E' una menzogna! Non è vero! Non può essere vero

La signora Carré-Lamadon    - (a Elisabetta) Che ne dite della risoluzione presa da quella nobile inglese?

La Contessa                  - E Giuditta? Non fu una vera eroina?

La signora Loiseau        - E tutte quelle romane!

Elisabetta                      - (a Loiseau) Ciò che avete raccon­tato è una sporca menzogna! Se fosse veramente un dovere darsi al nemico... se' per un sacrificio simile ci fosse proprio una giustificazione... Ma... no, non. può essere. Anche il sacrificio ha dei limiti. Un sa­crificio così non è permesso!

Il Conte                         - (grave) Un sacrificio così è necessario.

Elisabetta                      - Mai! (Si precipita verso suor Cri­stina) Sorella, sorella, decidete voi! (Suor Cristina tace) Oh, ve lo leggo in faccia. Voi rispondete di no. Non è permesso gettarsi tra le braccia dell'odia­to nemico. Nessuna donna può farlo: mai, per nes­sun motivo, foss'anche l'ultima delle creature. So­rella, aiutatemi, divento debole! Mi stanno tutti addosso. Proteggetemi, sorella, parlate...

Suor Cristina                 - (con pacata lentezza) Chi esite­rebbe mai a sacrificarsi, quando da ciò dipenda la salvezza di migliaia di creature umane?

Elisabetta                      - Migliaia di creature umane? Ma come? Dove sono?

Suor Cristina                 - Migliaia... negli ospedali di Le Havre. Il fiore della gioventù francese, che hanno spinto in guerra quasi senz'armi... Ora giacciono moribondi negli ospedali di Le Havre, ardendo e gelando di febbre...

Elisabetta                      - ... Oh... Oh...

Suor Cristina                 - E la salvezza... l'aiuto, per lo meno... è vicino. Noi - suor Elena e io - esperte nella cura del vaiolo, siamo in viaggio verso di loro.

Elisabetta                      - ... in viaggio...

Suor Cristina                 - (marcato) In viaggio. (Prende dalla mensola del camino la sua borsa d'infermiera, ne toglie alcune fiale e le posa sul tavolo) Ecco il rimedio che potrebbe arginare l'epidemia. Ma men­tre noi siamo qui costretti ad un'inutile attesa, i corpi dei malati si coprono sempre più di orribili ascessi, il cui fetore appesta i dintorni e mette in pericolo l'intera città. (Elisabetta si copre il viso con le mani, inorridita. Suor Cristina ripone le fiale nella borsa, rimette questa sulla mensola, si siede).

Elisabetta                      - (scoprendosi il viso) Voi siete in­fermiera, dovete aiutarli. Lo dovete! Lo dovete! (Si­lenzio: Con un grido) E' dunque colpa mia, se a ogni ora che passa c'è della gente che cade vittima del contagio? (Silenzio. Poi, a mezza voce) E' colpa mia... Ma... non è ancora troppo tardi... sono sol­tanto tre giorni... Possiamo ricuperare il tempo per­duto... Tre giorni non sono poi tanti... Presto! (Alle donne) Vi prego, aiutatemi. Presto, presto, non c'è un minuto da perdere. (La contessa, la signora Car­ré-Lamadon e la signora Loiseau la circondano. Elisabetta dà gli ordini) Il mio specchio... là, nella borsa! (La signora Carré-Lamadon le porge la borsa. Elisabetta ne cava lo specchio. La contessa glie lo regge davanti al viso. Elisabetta mentre si riordina i capelli) Il rossetto...

La signora Carré-Lamadon    - (cerca frettolosa) Nella borsa non c'è.

La signora Loiseau        - (porge il manicotto) Qua, qua! (Elisabetta vi caccia dentro la mano, e a un tratto s'irrigidisce muta. Tutti la osservano con si­lenziosa agitazione).

Elisabetta                      - (sfila in fretta la mano dal manicotto, stringe l'astuccio del rossetto, con cui si ripassa le labbra) Come... come vi sembro?

La Contessa                  - Deliziosa! Affascinante!

La signora Carré-Lamadon    - Sarà pazzo di voi! (Elisabetta corre su per le scale. Tutti, tranne Cornudet e le suore, si sono alzati in piedi, seguendola con gli occhi. Essa rallenta il passo man mano che sale i gradini. Giunta in cima, sì ferma un attimo, prendendo fiato. Quindi entra lentamente nel corridoio e scompare.

Loiseau                         - (la segue, montando la scala a passi di lupo. Si ferma a sciare all'imbocco del corridoio. Improvvisamente fa dietro-front, si precipita alla ringhiera). Vittoria! Vittoria! E' entrata nella stanza dell'ufficiale! (Prorompe un sospirone generale di sollievo, quasi un corale di liberazione).

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

(E' notte. Al tavolino a sinistra, pittorescamente di­sposti, il conte e la contessa, il signore e la signora Carré-Lamadon, il signore e la signora Loiseau, e - un po' in disparte - Cornudet. Regna un'allegria un po' alticcia).

Loiseau                         - Signori miei, bevo alla nostra libera-.zione! (Tutti, tranne Cornudet, toccano i bicchieri con lui).

Carré-Lamadon             - Cin cin! A una felice conclu­sione del nostro viaggio.

Il Conte                         - Gin cin!

Loiseau                         - Tre volte cin cin! (Il conte bacia galan­temente la mano alla signora Carré-Lamadon) Che strana sensazione. Giurerei, signor conte, che pochi giorni fa vi ho visto in un atteggiamento analogo. Che ve ne pare?

Il Conte                         - E' la nota illusione psichica del « già visto».

Loiseau                         - Ah, del «già visto»... Buona, questa!

 (Beve. La contessa sta civettando con Carré-Lama­don).

Carré-Lamadon             - (cerca dì baciarla) Permettete, gentile signora, che come espressione personale della comune letizia, io vi...

Loiseau                         - (a sua moglie) E tu, tortorella mia, come ti senti?

La signora Loiseau        - Vorrei che fossimo già a Le Havre.

Loiseau                         - Io, invece, comincio a prenderci gusto solo adesso, a star qui. Siamo al sicuro, al sicuro, al sicuro! Quante idee non ti passano per la testa, quando ti trovi nel pericolo. Ma passata la festa, gabbato lo santo. Si dimentica tutto, ci si immerge, per così dire nel tiepido mare dell'oblio. A me piace il pericolo... appena sia dileguato, beninteso. Ebbe­ne, ora è dileguato davvero, per tutti noi, e perciò, tortorella mia... (Carré-Lamadon bacia la contessa. Il colite bacia la signora Carré-Lamadon) Tutti fe­lici e contenti: solo il cittadino Cornudet sembra tormentato da foschi pensieri. Bevete, cittadino Cornudet.

Cornudet                       - (secco) Grazie, non ho sete.

Loiseau                         - Ohi, di cattivo umore, eh, cittadino Cornudet?

Cornudet                       - Andate a dormire, siete ubriaco.

Loiseau                         - Andate a dormire, siete sobrio.

Cornudet                       - (dà un pugno sul tavolo) E' quello che farò!

Carré-Lamadon             - Perché date pugni sul tavolo? Che contegno è questo?

Il Conte                         - Non turbate la nostra piccola festa innocente, signor Cornudet.

Cornudet                       - Ah, la chiamate una piccola festa innocente? Non vi rendete dunque conto che avete commesso un'infamia?

La Contessa                  - Noi, un'infamia?

La signora Carré-Lamadon    - Ma cosa vuole da noi?

Il Conte                         - Un'infamia? (Si alza in piedi) Esigo una spiegazione: che infamia avremmo commesso, secondo voi?

Loiseau                         - (ride a pieni polmoni) Ma conte, conte carissimo, che vi salta in mente? Ma non dategli retta: non vedete che fa come la volpe nella favola I dell'uva acerba?

Cornudet                       - Vinattiere volgarissimo, come osate mettere in dubbio la mia sacrosanta indignazione? Vorreste forse attribuirmi dei secondi fini, a me,  l'uomo del popolo?

Loiseau                         - (continuando a sghignazzare) Ora la  volpe abbaia! Ma non per niente lo sguardo incorruttibile del volgarissimo vinattiere ha scoperto i segreti del corridoio...

La signora Carré-Lamadon    - (inuzzolita) I se­greti del corridoio? Quali segreti?

Loiseau                         - Durante la notte del nostro arrivo fui costretto a scendere dal letto da una necessità im­pellente. Basta, stavo per uscire in corridoio', quan­do improvvisamente sento, e poi, attraverso il buco della serratura, vedo... il morigeratissimo signor Cornudet davanti alla porta della signorina, in ani­mato colloquio, intento a pregarla, a implorarla, a supplicarla...

La signora Carré-Lamadon    - Magnifico, impa­gabile! Ah, se ne sentono certe, se ne sentono! Avan­ti, signor Loiseau, continuate!

Loiseau                         - «L'istoria qui finisce»! Perché ma­dame gli sbatté l'uscio in faccia. Finis. Ed ecco perché la volpe è così infuriata, ora che l'oca se l'è pappata un altro.

La signora Carré-Lamadon    - Delizioso, deli­zioso!

Carré-Lamadon             - (buttandosi via dalle rìsa) ...l'oca se l'è pappata un altro! Oh oh oh oh...

La Contessa                  - Raccontate ancora, signor Loiseau.

Cornudet                       - Tutte calunnie, tutte menzogne! Mai, mai ho cercato di approfittare minimamente di quella povera ragazza, già così vilmente sfruttata. (Tutti ridono a crepapelle. Cornudet tremando dalla rabbia) Aspettate, aspettate, ce la vedremo ancora! (Corre su per le scale, scompare in corridoio).

Loiseau                         - (reclinandosi indietro) Be', che ne dite? Avete mai visto un puritano più ipocrita di così?

Il Conte                         - (ridendo sotto i baffi) E sono proprio costoro che hanno tuonato più forte contro l'immoralità degli ultimi anni.

La Contessa                  - (a Loiseau) Ma è proprio vero quello che gli avete detto? Ha veramente tenta­to di...?

Loiseau                         - Parola mia: ha tentato altroché! Ho seguito le loro trattative per un buon quarto d'ora. (Ammiccando, al conte) Pensate un po' signor conte. Voler indurre quella ragazza a... Eh, che ne dite?

Conte                            - Semplicemente incredibile.

Loiseau                         - Incredibile: quello che dico anch'io. Quale uomo d'onore potrebbe mai concepire una idea simile? Voi, forse, signor conte? (Pausa). 

Il Conte                         - (con calma) Spero che non vogliate nemmeno lontanamente supporlo'.

Loiseau                         - Ma signor conte! Di che cosa mi cre­dete capace? Come potrei calunniare in tal modo un tal modello di virtù? (Gli porge la mano) All'inse­gna della fraternità nel quadro delle differenze so­ciali, signor conte. Le difficoltà che abbiamo supe­rato insieme resteranno un ricordo incancellabile e 'ci uniscono, quanti siamo qui, in un indissolubile fascio di destini. Ogni differenza è abolita, e per sempre! Siete d'accordo, signore e signori?

Tutti                              - (con entusiasmo) D'accordo, d'accordo.

Loiseau                         - E adesso, musica! Peccato che non ci sia un pianoforte. . -

Il Conte                         - Cantiamo qualcosa!

Carré-Lamadon             - Che cosa si canta?

Loiseau                         - Un pezzo qualunque del divino Offen-bach. Conosce te «I briganti»?

Carré-Lamadon             - Benissimo, «I briganti»! « Trum trum, gli stivali, rum, trum, gli stivali... ».

Il Conte                         - Ecco bravo. Cantiamo questo.

Loiseau                         - Forza, allora. Uno, due tre: « Trum, trum, gli stivali »...

Tutti                              - (sì alzano in piedi e cantano, tenendo ì bic­chieri in mano) « Trum trum, gli stivali - trum trum, gli stivali»... (Ma improvvisamente si spa­lanca la porta della cucina, e sulla soglia appare Luigi, il postiglione, che, immobile, si ferma un momento a guardare l'allegra brigata).

Loiseau                         - (si accorge per primo della sua presenza) Evviva! Ecco il nostro postiglione. Arriva pro­prio al momento giusto, l'amico. (Luigi si avvicina. Loiseau gli mesce un bicchier di vino) Domani si parte, Luigi. To', fate un po' di festa anche voi. (Gli porge il bicchiere).

Luigi                             - (senza prenderlo) Dov'è la signorina Rousset?

Loiseau                         - La signorina Rousset... la signorina Roussete… Ma cos'hai sempre, con la tua signorina Rousset?

Luigi                             - Dov’è la signorina Rousset?

Loiseau                         - E che ne so, io? Sono suo fratello, forse? E a te, poi, che te ne importa, dove sia andata a finire?

Luigi                             - (minaccioso) Ho chiesto dov’è?

Il conte                          - Ma insomma, che vuole da noi questo lazzarone? Con che diritto s’introduce nella nostra compagnia?

Carré-Lamadon             - Vetturino, sentite qua: voi ci disturbate, mi spiego? Ci dis-tur-ba-te! O volete che ve la canti più chiara?

Loiseau                         - Ma signori miei, lasciate che questo povero diavolo si tolga una soddisfazione, una volta tanto. Credo che abbia alzato un po’ il gomito. Io ci so trattare con gente così, è il mio mestiere…. (a Luigi) Dunque, Luigi… Ah già, la signorina Rousset. Ebbene, la signorina Rousset… sta dormendo, ecco.

Luigi                             - Sta dormendo?

Loiseau                         - Sissignore, sta dormendo. Dormono le due suore, dorme il cittadino Cornudet, e dorme la signorina Rousset.

Luigi                             - E dorme… dorme sola?

Loiseau                         - Sola? Ho forse detto che dorme sola? Come si fa a saperlo così di preciso, trattandosi di quella signorina? Eh? Ma se è per tranquillizzarti, sono dispostissimo a dire che dorme sola. He he he!

Luigi                             - (fissandolo) Sola... E' una vera fortuna, per tutti voi! (Si volge verso la cucina) Allora quell'oste della malora ha detto una bugia...

Loiseau                         - (gli si appressa) Come come? Che bugia?

Luigi                             - Che voi altri l'avevate costretta ad andare a letto con quel prussiano.

Loiseau                         - Ohò! Naturale che è una bugia. (Facendosi improvvisamente serio) Ma chi è che affer­ma che l'abbiamo costretta a far quello?

Luigi                             - L'oste.

Loiseau                         - Carogna fottuta!

Luigi                             - Di là, nella sala grande, ne stanno par­lando tutti quanti, e ridono da piegarsi in due. Una vergogna!

Loiseau                         - (si volge alla compagnia) L'oste ha spif­ferato tutto. Probabilmente era ubriaco. Ormai la cosa è di dominio pubblico. Be', domattina presto, comunque, si taglia la corda. Ce ne dicano finché vogliono, a noi, oramai, poco importa. (A Luigi) Si parte: bada di trovarti puntuale, domattina presto, con la carrozza.

Luigi                             - (urlando) Ma allora è vero?

Loiseau                         - Piantala, adesso, e vattene!

Luigi                             - (gli sì butta addosso) E' vero, allora, spor­co barile di vino, è vero?! (Le signore cacciano uno strillo. Il conte e Carré-Lamadon si precipitano a dar man forte a Loiseau, riuscendo a trattenere il vetturale).

Conte                            - Siete impazzito?

Carré-Lamadon             - Questa la pagherai cara!

Luigi                             - (tenuto fermo da tutti tre) Siete voi che la pagherete cara!

Loiseau                         - (ansimando) Osi anche minacciare? Ah, ma ci penseremo noi. Ti denunceremo all'ufficiale prussiano. Gli farò rapporto domattina presto. .

Luigi                             - Domattina? (Ride a pieni polmoni) Do­mattina sarete fucilati tutti! (Come a un segnale, i tre uomini lasciano libero il postiglione, inorriditi).

Il Conte                         - Quest'uomo è pazzo.

Luigi                             - Domattina presto sarete fucilati tutti quanti!

Loiseau                         - Ma cosa diavolo vai delirando? Noi, fucilati? E da chi, sentiamo? Da chi?

Luigi                             - Dai prussiani. Lo fanno sempre, in si­mili casi.

Loiseau                         - In simili casi? Quali casi? Che razza di caso vai sognando?

Carré-Lamadon             - Ma non dategli retta, Loiseau. Non vedete che farnetica?

Loiseau                         - Sì, capisco. Ma non sarebbe il primo pazzo a far nascere un guaio. Parla, tu: cos'è che abbiamo fatto, noi, ai prussiani?

Luigi                             - Avete spinto quella ragazza tra le braccia dell'ufficiale. L'avete tormentata finché non ha tro-vato più altra via d'uscita che darsi al nemico che essa detestava. L'avete o non l'avete fatto?

Loiseau                         - Certo che l'abbiam fatto. Dovevamo andare a ramengo, qua, per colpa di quella sgual­drina?

Luigi                             - E' adesso che andrete a ramengo, cari miei. Come ostaggi per l'ufficiale assassinato! (Silenzio).

Loiseau                         - Come ostaggi per l'ufficiale assassinato?

Carré-Lamadon             - ...per l'ufficiale assassinato?

Il Conte                         - ... ufficiale assassinato?

La Contessa                  - ...assassinato? La signora

Carré-Lamadon             - ...assassi...? La signora

Loiseau                         - (tremante) ... sssss...?

Loiseau                         - (sbraita) Dov'è quest'ufficiale assassi­nato?

Luigi                             - Lassù, in camera sua. (Tutte le teste si voltano in su. Ma non risponde loro che il silenzio, un silenzio dì piombo. Luigi tranquillo) Tre giorni fa, qui, proprio qui davanti al camino, la signorina Rousset mi ha chiesto un coltello a serramanico. E' lungo più di sette pollici, è a doppio taglio, e affilato come un rasoio. « A che vi serve? » le faccio. «Niente», fa lei. E io glie l'ho lasciato. Quando poi ho sentito cosa voleva da lei quello là sopra, sono andato da lei il giorno stesso e le ho detto, dico: « Restituitemi il mio coltello, signorina. Non è bene essere indifesi e armati al tempo stesso». «No», mi fa lei, «no». Ancora oggi dopopranzo, quando l'incontrai là fuori, in mezzo alla neve, che tornava dal battesimo, lei mi rivolse improvvisamente la parola. « Ehi, po­stiglione», mi dice, «ricordatelo. Il prussiano non mi avrà impunemente. Non è per questo che sono partita da Rouen. Se devo andare da lui, mi porto il tuo coltello e lo finisco a pugnalate, così Dio m'assista! ».

Loiseau                         - (ride) Ah... ah ah... ah ah... Cose che si dicono... Ma ci vuol altro... Tanto meno, poi... (Improvvismnente si arresta, colto da un pensiero sgradevole. Si porta le mani al colletto). Ma... ma che razza di roba le abbiamo raccontato... Erano quasi tutte storie tremende!

La Contessa                  - (spaventata) Uberto! Che cosa le abbiamo raccontato, per l'amor del cielo! Che cosa le abbiamo raccontato!

La signora Carré-Lamadon    - (scossa da un tre­mito) Giulio, io... io ho paura... ho paura... ho paura....

Carré-Lamadon             - (batte ambo i pugni sul tavolo) Giuditta e Oloferne! Cleopatra! Tutte storie di omicidi! Ecco il bel risultato. Lo ammazzerà! Lo ammazzerà! (Il conte si asciuga il sudore).

La signora Loiseau        - (strillando) Non voglio morire! Non voglio morire! Aiuto! Aiuto!

Il Conte                         - (agita le -inani tremanti) Calma, calma, non perdiamo la testa. E' una pazzia. Non lasciamoci travolgere da una pazzia. Amici miei...

Carré-Lamadon             - Ma che amici d'Egitto! Conte dei miei stivali, pezzente che non siete altro! Siete voi che ci avete cacciati in questo guaio, che avete inscenato questa farsa. La colpa è vostra!

La signora Loiseau        - (indica la contessa) E di questa mummia aristocratica! E' nel suo cervello da gallina che è nata quella maledetta idea. Io mi sono opposta fin da principio.

Loiseau                         - (sgomento) Ma come, come, come? Se non erano che semplici favole...!

Carré-Lamadon             - Semplici favole, sì! Questo rimbambito d'un vinattiere crede anche lui che nessuno abbia più cervello del suo. Non avete raccontato la storia di quella Giuditta che, dopo l'amplesso, ha pugnalato il condottiero nemico? (Loiseau crolla a sedare su una seggiola) E Cleo­patra? Non è stato come soffiare sul fuoco, per quel­la donnaccia perversa, che già non aveva altro in testa che ammazzare, ammazzare? (Il conte crolla a sedere anche lui) Ma io, io, io ero contrario! Domattina senza fallo riferirò alla commissione d'in­chiesta che ero contrario.

Loiseau                         - (alzandosi di scatto) Che lurido sfrut­tatore! Adesso, tutt'a un tratto1, pretende di non essere stato dei nostri, quando sua moglie si è fatta in quattro a raccontare l'episodio delle romane e un sacco di altre balle!

La signora Carré-Lamadon    - Mascalzone! La vera causa di tutto è stata vostra moglie. Senza di lei non ci sarebbe nemmeno venuta l'idea.

La signora Loiseau        - (abbaiando in viso al marito)La senti, 'sta puttana mancata? Come fanno comunella, eh? queste canaglie. (Indica la con­ tessa). E intanto tutto il piano l'ha inventato quella lì!

La Contessa                  - Se non tacete vi volo addosso, brutta strega risecchita!

La signora Loiseau        - (stridula) Ci sarebbe vo­luta andar lei a Ietto con quell'ufficiale. Sissignori, queste due ne avevano una fregola da morire.

La signora Carré-Lamadon    - (le sì getta addosso) Le rompo l'osso del collo!

La Contessa                  - (id.) E' un'opera meritoria, far fuori questa scorfana! (I tre uomini intervengono nella zuffa. Ciascuno libera la propria consorte e la trascina fuori del campo di battaglia. Il posti­glione, intanto, siede tranquillo davanti al camino, fissando la fiamma, come se tutto quél trambusto non lo riguardasse).

 La signora Loiseau       - (a suo marito) Lasciami! Voglio strozzarla! Lasciami, ti dico, coniglio!

La signora Carré-Lamadon    - Ma la senti, Giulio? Lasciami, ti dico...

La Contessa                  - Uberto, non sopporterai un af­fronto simile...

Il Conte                         - (urlando in faccia alle tre donne) Silenzio, voi! Altrimenti...! (le donne si chetano. Il conte riatteggiandosi a una certa dignità) Signori... signori... Tutto ciò non conduce a nulla. Dob­biamo agire!

Loiseau                         - Ma che agire! C'è poco da agire, ormai... (Cupo). Siamo perduti.

Il Conte                         - Sono appena le dodici. Una notte d'amore come quella dura spesso parecchie ore... lo stesso ricordo che... In una parola: non dev'es­ sere ancora accaduto nulla.

Loiseau                         - Fin da principio non si è sentito il minimo rumore. Mi era subito parso sospetto.

Carré-Lamadon             - Potevate parlare, allora invece di raccontar scemenze!

Il Conte                         - Non si sentiva nulla, assolutamente nulla: dunque nemmeno un grido di morte!

Carré-Lamadon             - Caspita, è vero! Se fosse già successo, avremmo dovuto indubbiamente... (Si frega le mani). Nessun grido di morte, fino adesso. Sicché non siamo ancor perduti.

Loiseau                         - Ma può farlo da un momento all'altro.

Il Conte                         - E' per questo che bisogna agire su­bito e decisamente. Uno di noi deve precipitarsi in camera e strappare quella femmina snaturata dalla sua vittima.

Carré-Lamadon             - Ottimo! E' la nostra salvezza.

Il Conte                         - Per farlo, però, ci occorre un uomo robusto, vigoroso, cui l'eroica decisione moltiplichi le forze. Un omaccione come il nostro Loiseau, ecco!

Loiseau                         - (trasalendo) Io? No, no, sono troppo vecchio, non riesco nemmeno più a rotolare un barile di media grandezza. Ma ecco qua l'uomo adatto: Carré-Lamadon, il fabbricante ben pa­sciuto! Lui sì che ha conservate intatte le sue forze. Su, signor Carré-Lamadon, correte a salvarci!

Carré-Lamadon             - Che?! Io? Io che fui l'unico a essere contrario? No, signori miei. Tocca a voi due compiere quest'atto di violenza.

Il Conte                         - Io sono assolutamente inadatto. Quest'atto così necessario contrasta in tutto e per tutto col mio carattere, e inoltre...

Loiseau                         - Zitti, signori, un momento. Conosco io qualcuno che è adatto alla bisogna... (S-Msswrra). Il postiglione!

Carré-Lamadon             - (sottovoce) Il postiglione?

Il Conte                         - (id.) Ma è naturale: il postiglione.

Le Signore                    - (bisbigliano) Il postiglione... il postiglione... il postiglione...

Loiseau                         - (forte). Luigi, angelo benedetto, dove sei? (Luigi resta seduto immobile accanto al fuoco) Eccolo là, il nostro caro, il nostro buon Luigi. (Gli sì è avvicinato) Di', bello, hai sentito che cosa si è deciso di fare? L'ultima occasione che abbiamo di salvarci. Ma bisogna far presto, subito. Luigi, di'! Non sei forse un pezzo di postiglione come non ce n'è un altro tra Dieppe e Rouenì1 Su, dunque! Salva te e noi. Strappa quella femmina dal letto dell'ufficiale. (Luigi non si -muove. Loiseau insi­stente) Conviene tanto a te quanto a noi. Ricordati che il primo che andrà al muro sarai tu, se avviene il delitto. Il coltello è tuo, sei stato tu a darglielo, tu sapevi che intenzioni aveva la ragazza e non hai avvertito nessuno. (Luigi tace) Sicché forza, adesso! Dai, muoviti, corri! (Luigi non si muove. Loiseau urlandogli in faccia) Sei sordo? Ne va della tua vita!

Luigi                             - (si volge a guardarlo) Lo so da un pezzo. Ma non vai la pena di parlarne. Cosa ci perdo, a morire? Non avrò più da starmene seduto a cas­setta, piova o tiri vento. E che cos'è che non vedrò più? I deretani di sei cavalli e la strada Rouen-Dieppe e viceversa. E quella schifosissima acqua­vite che ti danno in tutte le taverne per vetturali. Ebbene, farò a meno anche di quella, quanto è vero che tutti i guai finiranno. No, credete pure: per gente come noi non è così duro, morire. (Si volge di nuovo verso il fuoco) Non vai proprio la pena di parlarne.

Loiseau                         - (disperato) Ma allora... fallo almeno per i soldi! (Luigi lo guarda di nuovo in faccia) Noi tutti, qua, ne abbiamo più di quanto tu possa sognare. Siamo milionari, ti dico. Ebbene, non ti farebbe comodo, una volta tanto, un paio di bi­glietti da mille per un minuto di lavoro? (Luigi sputa vigorosamente in terra e torna a fissare la fiamma) Animale! (Lo pianta lì e torna in prosce­nio) E adesso? (Si siede e appoggia ambo le mani al tavolo, cogitabondo).

Il Conte                         - E adesso?

Carré-Lamadon             - E adesso'?

Le donne                       - E adesso? E adesso'?

Loiseau                         - (alza gli occhi) E adesso? Io sono di­sposto a esplorare la situazione... attraverso il buco della serratura. Visto come stanno le cose, vi vengo a prendere tutti quanti... anche le donne... e ci precipitiamo in camera schiamazzando, come se fossimo tutti ubriachi fradici. E in stato di ubria­chezza trasciniamo via la ragazza di là. In stato d'ubriachezza, badate bene! Signori miei, non c'è uomo al mondo che possa aversela a male per quel che ha fatto una banda di avvinazzati.

Il Conte                         - Noi tutti... avvinazzati?

Loiseau                         - Sbronzi come maiali, dobbiamo sem­brare. E le donne coi vestiti in disordine, il ros­setto fuori posto. « Quando Bacai si scatena -Monna Venere si disfrena»... Ehi, donne, svelte: truccatevi!

Carré-Lamadon             - Ecco la vera soluzione. Presto, ora, presto!

La Contessa                  - (sciogliendo i capelli) Non per­diamo tempo! (La signora Carré-Lamadon versa del vino addosso alla contessa) Ancora, ancora!

Loiseau                         - (si toglie il colletto) Seguitemi tutti: là, sulla scala. (Guidati da lui, tutti cominciano a salire la scala) Voi restate qui, e tenetevi pronti. Vengo subito a chiamarvi. (Corre su; poi, in punta di piedi, scompare nel corridoio. Luigi si alza. A-vanza verso la ribalta. Si ferma - lui solo - in mezzo alla scena. La compagnia, come un grap­polo d'uva lungo la scala, in attesa convulsa. Tra­scorrono alcuni istanti di apprensione. Poi Loiseau spunta dal corridoio, si sporge oltre la balaustra, bisbigliando) Sapete che cosa ho visto?

Il Conte                         - Che... cosa... che cosa avete visto?

Loiseau                         - Proprio adesso lui l'ha riaccompagnata alla porta della sua camera... le ha baciato la mano­si è congedato battendo i tacchi... un perfetto cava­liere!... ed è tornato incolume nella propria stanza. Chiuso! E' stato tutto.

Il Conte                         - (dà un sospirane) Un incubo!

Loiseau                         - Un incubo, nient'altro.

Carré-Lamadon             - Urrà!

Tutti                              - (urlando) Urrà! Urrà! (Grandi abbracci reciproci. Tutti si precipitano nel corridoio, dì dove il loro tripudio riecheggia ancora per qualche istante).

Luigi                             - (abbassa lentamente il capo. Si vede che lotta con se stesso. Stringe i pugni. Finalmente, scosso dai singhiozzi, balbetta) Oh... che... vergogna!

Fine del quarto atto

ATTO QUINTO

 (La mattina seguente. Il conte e la contessa, il signore e la signora Carré-Lamad.on, il signore e h signora Loiseau stanno intorno al tavolo a destra. Cornudet siede davanti al camino, con le gambe comodamente allungate su una seconda seggiola).

Loiseau                         - Ecco qua il nostro prosciutto. (Posa un. pacco sul tavolo).

Carré-Lamadon             - E il nostro pan bianco. (C.s.).

Il Conte                         - E qui c'è un po' di burro da parte nostra. (C.s.).

Loiseau                         - « Un po' »? Quasi una libbra! Questa si che è modestia, signor conte.

Il Conte                         - Orsù, prima di lasciare questa incre­sciosa stazione di, transitò, facciamo ancora tran­quillamente colazione tutti insieme. (Tutti si sie­dono. Il conte si guarda intorno) Dove sono le suore? Sarà il caso di invitarle, no?.

Cornudet                       - (restando immobile) Le suore sono in chiesa da stamattina alle cinque.

Il Conte                         - Ah be'... E allora incominciamo. Sa­rebbe spiacevole se le suore arrivassero- tardi per la partenza. E voi, signor Cornudet, non valete far colazione con noi?

Cornudet                       - Grazie, molto gentile, ma... (Toglie un calderotto dal fuoco e lo rovescia) ...ho preferito pensare io stesso alla mia colazione.

Loiseau                         - Caspita! Due, quattro, sei uova sode! Proprio quel che manca a noi. Sentite, perché non dividete quelle uova con noi, e vi servite del nostro prosciutto, del nostro1 burro?

Cornudet                       - Troppo gentile. Ma le gusto di più mangiandomele da solo.

Loiseau                         - Be', buon prò vi faccia. E senza im­barazzo di stomaco, come di solito succede a chi ha il becco di papparsi una mezza dozzina di uova sode. Buon appetito a tutta la compagnia! (Tutti cominciano a mangiare. Elisabetta scende dal cor­ridoio, pronta per partire).

La Contessa                  - (rivolgendosi alla signora Carré) Ah, volevo chiedervi, mia cara: conoscete la si­gnora d'Etrelles?

La signora Carré-Lamadon    - La signora d'Etrel­les? Certo, siamo anzi amiche.

La Contessa                  - Vedete? Lo immaginavo che dovevamo avere delle amicizie in comune. Una donna incantevole non è vero? (Elisabetta scende lentamente la scala. Nessuno si cura di lei).

La signora Carré-Lamadon    - Un tempo anda­vamo spesso ai concerti ch'essa dava in casa sua... Ti ricordi, Giulio? (Alla contessa) Cento, da quando Giulio ha acquistato la terza filanda, dalla signora d'Etrelles non ci andiamo più che molto di rado.

La Contessa                  - Al nostro ritorno a Rouen dob­biamo assolutamente incontrarci a casa sua.

La signora Carré-Lamadon    - Sì, dovremmo proprio, sarebbe tanto carino.

La Contessa                  - E', una donna così colta e bene­fica! Nella stagione prima della guerra ha orga­nizzato non meno di due balli di beneficenza in favore degli operai tessili malati di petto. Ma voi, immagino, c'eravate certamente.

La signora Carré-Lamadon    - No, credo di no, o te ne ricordi tu, forse, Giulio?

Carré-Lamadon             - (a bocca piena) Eh? Balli? No, non avevo tempo, allora.

La Contessa                  - Quei balli erano dei veri e pro­pri avvenimenti, nella buona società di Rouen. Purtroppo, poi, venne la guerra.

La signora Carré-Lamadon    - Io sono sicura che la buona vecchia socievolezza di un tempo' rifiorirà ben presto.

Il Conte                         - Speriamolo, almeno. (Elisabetta, frat­tanto, è giunta in basso. Resta lì in piedi).

Carré-Lamadon             - Già, la socievolezza... Passasse altrettanto presto anche questa dannata crisi nella branca cotoniera!

Loiseau                         - Passa tutto, signori miei. Una cosa sola resterà sempre.

Carré-Lamadon             - E cioè?

Loiseau                         - La sete, E finché l'umanità avrà sete, io, il mercante di vini, non avrò mai fame. (A sua moglie) Passami il burro, angelo caro! (Elisabetta, esitante, s'avvicina alla compagnia).

Elisabetta                      - Buon giorno. (Tutti alzano gli occhi verso di lei. he donne sviano subito lo sguardo, fissando il tavolo).

Il Conte                         - (gelido) Buon giorno, madame.

Elisabetta                      - (intimidita) Buon giorno...

Il Conte                         - (agli altri) Ormai sarà ora di partire. Chissà se è già arrivato il postiglione.

Loiseau                         - (guarda dalla finestra) Sta strigliando i cavalli.

La Contessa                  - Cara signora Loiseau, non fate complimenti: servitevi pure del nostro burro.

La signora Loiseau        - Grazie, approfitto. Voi, però, prendete ancora un po' del nostro prosciutto.

La Contessa                  - Vi ringrazio. (Ne prende).

La signora Carré-Lamadon    - Anche di pan bianco ce n'è ancora in abbondanza. Cara con­tessa, e voi, signora Loiseau, servitevi, servitevi pure!

La Contessa                  - Grazie.

La signora Loiseau        - Grazie. (Tutti mangiano in gran fretta. Elisabetta è in piedi dinanzi a loro, muta).

Il Conte                         - (si forbisce le labbra) Ecco fatto. Per ora basta. Adesso bisogna farsi riconsegnare i sal­vacondotti.

Carré-Lamadon             - Il nostro conto, immagino, non dovrebbe essere troppo salato.

Loiseau                         - A me importa poco. Tanto, non pago mica in contanti. L'oste mi deve ancora una bella somma per una fornitura di vino di prima della guerra. (Va alla porta di cucina, la spalanca e chiama) Folkenvie! Noi si parte! (Entra l'oste).

L’Oste                           - Buon giorno a tutti. Proprio il tempo ideale per viaggiare, oggi. C'è un sole come non si vedeva più da settimane. Ah, quasi quasi vi invi­diarci...

Il Conte                         - Svelto, amico, il conto, i nostri sal­vacondotti.

L’Oste                           - E' già tutto pronto. (Si sfila le carte di tasca) Signor conte, a voi: il vostro salvacondotto, e il conto. (Il conte li prende, esamina il conto) Signor Carré-Lamadon... (Carré-Lamadon prende e osserva) Loiseau...

Loiseau                         - (prende il salvacondotto) Il conto puoi tenertelo. Defalca dal mio credito.

L’Oste                           - Signor Cornudet...

Cornudet                       - (senza alzarsi) Quanto?

L’Oste                           - (gli si accosta) Tenete: conto e passa­porto. (Cornudet esamina il conto. L'oste sfoglia le altre carte) Suor Cristina... suor Elena... sì, già pagato. (Alza gli occhi) Chi di lor signori vuol es­sere così gentile da consegnare alle suore questi salvacondotti?

Il Conte                         - Ci penso io.

L’Oste                           - (consegna al conte i due salvacondotti. Poi) Signorina Rousset... (Elisabetta è ancor sempre immobile) Signorina Rousset!

Elisabetta                      - (come ridestandosi da un sogno). Eh?... Che... che cosa volete?

L’Oste                           - Il vostro conto. Il salvacondotto non l'avevate consegnato, ricordate?

Elisabetta                      - Sì sì, ricordo... (Prende il conto, fruga nella borsetta, dà una moneta all'oste) Tenete.

L’Oste                           - Tante grazie. (Si volge in là. Nel frat­tempo il conte, Carré-Lamadon e Cornudet hanno messo del danaro sul tavolo. L'oste mentre incassa) Tante grazie... tante grazie... tante grazie... Vi augu­ro un felicissimo viaggio (Va alla porta del cortile, apre, chiama) Postiglione! I bagagli! (Entra Luigi. L'oste indica gongolo presso il camino dove, come al primo atto, è ammucchiato il bagaglio) Prendete prima le borse delle due suore. E fermatevi all'uscita del paese: le suore saranno là ad attendervi. (Luigi si carica delle ceste e delle borse, ed esce in cortile).

Loiseau                         - Amici cari, io consiglierei di fare un bel pacco dei resti della nostra colazione, e di por­tarcelo con noi.

Carré-Lamadon             - Ma si capisce. Non saremo mica così matti da, lasciar qui della roba.

Il Conte                         - Un dilemma come quello che la fame ci ha imposto qualche giorno fa, non deve sorpren­derci una seconda volta.

Loiseau                         - Io direi di fare un pacco solo, no?

Il Conte                         - Ma certo, è roba di noi tutti. Le nostre signore avranno la bontà di incaricarsene loro al più presto. (Prende il suo pesante cap­potto invernale e si appresta alla partenza. Gli altri uomini fanno lo stesso, mentre le signore incar­tano i viveri avanzati e annodano il pacco).

Elisabetta                      - (è ancor sempre in piedi al centro della scena. Volgendosi all'oste) Signor albergatore...

L’Oste                           - La signorina desidera ancora qualcosa?

Elisabetta                      - Sì, vorrei mangiare qualcosetta,

L’Oste                           - Mangiare?

Elisabetta                      - Ho fame.

L’Oste                           - Be', ma allora dovevate provvedervi del. necessario, come hanno fatto gli altri. Guardate questi signori: si sono mossi per tempo, stamattina, a cercar cibarie nei dintorni. Perché non l'avete fatto anche voi?

Elisabetta                      - Ero... eroi troppo stanca.

La signora Loiseau        - (alle altre due signore) Che razza di svergognata!

La signora Carré-Lamadon    - Io, al suo posto, sprofonderei sottoterra.

La Contessa                  - Ma, mia cara, non vorrete para­gonarvi a una donna simile! (Torna Luigi. Resta in attesa davanti alla porta).

Elisabetta                      - (si siede al tavolo a sinistra)  Sen­tite, oste, portatemi presto qualcosa da mangiare. Non sto più in piedi dalla fame.

L’Oste                           - Temo che non ci sia gran che. (Va in cucina. I tre uomini sono pronti per partire e discutono animatamente, a mezza voce, davanti dia porta).

Carré-Lamadon             - (alzando improvvisamente il tono) ...le cedole saranno pagabili di qui a due mesi... verrei allora a incassare in un sol colpo duecentomila franchi, e potrei...

Il Conte                         - (sospirando) Potessi incassare anch'io così presto il risarcimento dei danni al raccolto!

Loisealt                         - Ah, state tranquillo1. Il nuovo go­verno non vorrà certo far la figura dello spilorcio. Tutti gli indennizzi per danni di guerra... (Abbassa la voce. I tre confabulano più sommessa­mente tra di loro).

Cornudet                       - (che nel frattempo si è preparato per la- partenza, si volta di sulla soglia) Gentili signore, non avreste intenzione di ripagare costei per tutte le leccornie che vi ha offerto alcuni giorni fa?

La Contessa                  - E' a noi che parlate, signor Cornudet?

Cornudet                       - Sissignore, a voi.

La signora Carré-Lamadon    - Allora abbiate la compiacenza di spiegarvi un po' meglio. A chi, secondo voi, saremmo debitori di qualche cosa?

Cornudet                       - Ah, l'avete dimenticato... (Rivol­gendosi agli uomini) E voi, voi che avete la faccia tosta di calcolare, al cospetto della vostra vittima, i profitti che contate di spremere dalla patria dissanguata, anche voi non ricordate più, vero?, di chi era il pane che poco fa mangia­vate così allegramente.

Loiseau                         - E voi, pezzo d'ipocrita? Vorrei sapere con che diritto osa far la predica al prossimo un individuo che si divora da solo tutta una colazione.

Il Conte                         - Prescindendo1 da ciò, voi in favore di chi state perorando? Se qualcuno di noi vuol qualcosa, non ha che da parlare. (Alzando la voce) C'è qualcuno che ha una preghiera da rivolgerci? (Elisabetta si alza, serra i pugni, in un furore impotente, apre la bocca; ma poi, incapace dì pronunciare una sillaba, ricasca a sedere. Entra l'oste con del pane su un piatto).

L’Oste                           - Mi dispiace, madame. Pane asciutto! Anche oggi, in casa, non c'è nient'altro.

Elisabetta                      - Grazie. Basterà a togliermi la fame. (Prende il pane, cerca di mangiare, non ce la fa. Lascia cadere il pane nel piatto, si abbatte scorata sul tavolo).

L’Oste                           - (non se ne accorge, rivolto com'è verso gli dice) I signori desiderano altro? (Tutti fissano Elisabetta) No? Allora vi auguro di nuovo buon viaggio. (Sulle scale) Buon viaggio, nuovamente. (Scompare nel corridoio. Il conte stacca lo sguardo da Elisabetta, lo rivolge alla compagnia. Quindi, con un gesto di rammarico, dà il segnale della partenza. Tutti fanno per uscire in cortile, passando accanto d postiglione).

Luigi                             - (che ha seguito attentamente l'ultima scena, si fiorita sulla soglia e sbarra il passo agli uscenti) Alto là! Fermi! Indietro, vi dico! Indietro! (Tutti indietreggiano spaventati) Nessuno di voi entra nella mia vettura se prima non si sottomette alle mie condizioni.

Luigi                             - (si aggrappa ai due stipiti dell'uscio) Sissignori, condizioni!

Tutti                              - Condizioni?

La signora Loiseau        - (a suo marito) E tu tolleri una cosa simile? Che razza d'uomo sei?

La Contessa                  - Uberto, ordina a costui di la­sciarci passare immediatamente!

 La signora Carré-Lamadon   - (a Luigi) Credete che sopporteremo un'insolenza del genere?

Il Conte                         - Calma, non perdiamo la testa. Abbia­mo ben altro da fare, che attaccar briga con un cocchiere. (A Luigi, dall'alto in basso) Veramente non saprei di che cosa vi siamo debitori. A quel che ne so, il prezzo del trasporto l'abbiamo fissato di comune accordo a Rouen...

Luigi                             - Di comune accordo? Avete mercanteggiato un'ora d'orologio per un paio di soldi, come se fos­sero quelli a mandarvi in rovina.

Il Conte                         - Comunque sia: se volete pregarci di accordarvi un supplemento...

Luigi                             - Pregarvi? Pregherò il diavolo che vi porti, appena ne avrà il tempo! O mi concedete quel che vi chiedo, o vi pianto qui dove siete. Cercatevi pure un altro postiglione e un'altra carrozza.

La Contessa                  - Spero che non sarai così pazzo da lasciarti ricattare a questo modo!

La signora Carré-Lamadon    - Sarebbe una ver­gogna.

Carré-Lamadon             - Stai zitta, tu! (A Luigi) Quanto pretendete, insomma?

La signora Loiseau        - (stridula) Siete tutti dei conigli! Volete imbottirlo di soldi?

Loiseau                         - Taci, arpia! Che altro ci resta da fare? Dove li trovi, qui intorno, un altro cocchiere e un'altra vettura? (A Luigi). Sbrigati: spara la somma!

Carré-Lamadon             - E badate bene: ve la diamo di nostra spontanea volontà.

Luigi                             - Io non voglio danaro.

Tutti                              - Nooo?

Luigi                             - Neanche un centesimo.

Loiseau                         - E che cosa, allora? Non abbiamo mica altro, noi.

Luigi                             - (indica il pacco dei viveri che la signora Loiseau tiene in mano) Voglio... quello!

Tutti                              - . Le nostre provviste!

Luigi                             - Le vostre provviste, sì. (Pausa).

Loiseau                         - (a sua moglie)  Dà qui. (La signora Loiseau gli consegna il pacco).

Carré-Lamadon             - (lo toglie di mano a Loiseau) Teniamoci almeno il burro.

Luigi                             - Voglio il pacco intero.

Il Conte                         - (lo toglie di mano a Carré) Via, non siamo meschini. (Lo dà al cocchiere) Tenete. Con­cesso. (Luigi prende il pacco, si avvicina a Elisa­betta, che siede ancor sempre al tavolo, abbattuta. Tutti seguono ogni sua mossa, attoniti).

Luigi                             - (piano) Signorina Rousset. (Elisabetta alza gli occhi) Signorina Rousset, restituitemi il mio coltello a serramanico. (Elisabetta estrae il coltello dal manicotto e glie lo rende in silenzio. Luigi lo fa scattare, taglia la funicella del pacco, fa scivo­lare il pane dal piatto, che riempie di cibarie. Eli­sabetta sbarra tanto d'occhi sul piatto) Buon appe­tito, signorina Rousset.

Elisabetta                      - (con un urlo) Maledizione! (Ag­guanta il tavolo con ambo le mani e lo rovescia, facendo rotolare a terra il piatto e vivande. Tutti mandano un grido) Vergogna! Vergogna, postiglione egoista, che vi approfittate in maniera così svergo­gnata delle difficoltà in cui si trovano questi signori. Venite qua, voi, e raccogliete la vostra pappatoria. A me mi si fermerebbe in gola. Prendete... pren­dete!... (Tutti restano come impietriti) Debbo chia­marvi uno per uno? Il prosciutto... di chi è il prosciutto? Certo è del maiale... dov'è il maiale? Si faccia avanti, il maiale!

Loiseau                         - (a sua moglie) Silenzio. Non una sillaba. Davanti a un matto si scansa anche un carro di fieno.

Elisabetta                      - Il burro! L'avvoltoio che gli è piombato sopra può venirselo a prendere. Avvoltoio! Avvoltoio!

Il Conte                         - (alla contessa, scusandola) E' una pazza...

Elisabetta                      - E il pan bianco? La iena che è riuscita a scovarlo se lo mangi pure lei. Dov'è la iena?

Carré-Lamadòn             - Le ha dato di volta il cervello...

Elisabetta                      - Cosa ve ne state lì impalati a guardarmi? Rallegratevi, esultate... l'avete scam­pata bella! Via, fuori di qui, non aspettate che ci ripensi! Sparite, prima che mi renda ben conto che non siete il parto di una lurida fantasia, ma creature in carne e ossa, cui si può chiedere ra­gione dei loro delitti! Via! Via! O faccio ancora adesso quello che volevo far prima. Non sono inerme: ho le mie mani, le mie unghie, i miei denti... (Tutti, tranne Luigi, le si avvicinano atter­riti, levando le mani a scongiurarla) Via... via... via., di qui! (Si scosta da loro, cade a sedere, esausta, sulla seggiola, restando con le mani sul viso. Tutti si guardano l'un l'altro, poi, muti e frettolosi, escono all'aperto. Luigi è 'fermo sulla soglia. Elisabetta non si muove).

Luigi                             - Signorina Rousset! (Elisabetta alza gli occhi) Venite.

Elisabetta                      - (con un sospiro di sollievo) Ah, sono andati...

Luigi                             - Non aspetto più che voi.

Elisabetta                      - Che cosa vuoi da me?

Luigi                             - Venite. Si parte.

Elisabetta                      - Credi sul serio che continuerò il viaggio in compagnia di quelli là?

Luigi                             -  Lo dovete! E' l'ultima occasione che vi si offre. Dopo non viaggerà più nessuna carrozza.

Elisabetta                      - Vuol dire che resterò qui.

Luigi                             - Che significa «resterò qui»? (Elisabetta si volta dall'altra parte) Alzatevi. Prendete il vostro mantello. Là.

Elisabetta                      - Mi credi capace di sedermi nella carrozza di quella gente?

Luigi                             - (dà un pugno sul tavolo) Nella mia carrozza, se mai! Non permetterò che tu resti qui. Non dimenticare che tu sei l'unica che sta sulla lista nera di quei mangiasego. Avanti, alzati! (Eli­sabetta resta seduta. Luigi incrocia le braccia e fissa Elisabetta per qualche istante, pensieroso. Dopo un certo tempo) Di'... allora, in carrozza, non ci vuoi proprio entrare?

Elisabetta                      - No!

Luigi                             - (con intenzione) In carrozza, dunque, niente?

Elisabetta                      - E' inutile insistere. Va'.

Luigi                             - E se ci fosse un'altra soluzione? (Elisabetta tace) Vieni con me!

Elisabetta                      - Con... con te?

Luigi                             - Sissignore, con me. A cassetta!

Elisabetta                      - Con te... a cassetta?

Luigi                             - A cassetta, come no! Lì, almeno, non sei in carrozza. Siedi in alto, davanti a tutti. L'aria aperta del buon Dio ti fischia agli orecchi. Un po' tagliente, forse, ma fresca e pura! (In quel momento scoppia il primo fragoroso accordo di una marcia militare per banda. Elisabetta e Luigi guardano spaventati oltre la porta del cortile che dà sull'esterno, dove sta sfilando il reggimento. Elisabetta si alza, s'irrigidisce, si volge risoluta al postiglione. Luigi le tiene la pelliccia. Elisabetta vi s'infila dentro. Luigi le porge il manicotto. Elisabetta s'avvia all'uscita. Luigi la segue. Elisabetta si ferma, » volge a Luigi. Luigi fa un atto interrogativo. Eli­sabetta accenna al suo braccio destro. Luigi dimo­stra di non capire. Elisabetta stende la mano sini­stra, e ripiega il braccio destro dì lui in maniera da potatisi appendere. Luigi è molto stupito. Pa sorride felice. Escono entrambi, a braccetto. Il reg­gimento continua a sfilare. La banda riempie il vasto stanzone con la sua musica squillante. La sciabola e l'elmo chiodato brillano al riverbero del fuoco del camino. La musica si allontana e da ultimo viene coperta dagli schiocchi di frusta e dal fragoroso scalpitio della diligenza che se ne va).

FINE