I bagni d’Abano

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I BAGNI D'ABANO

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica da rappresentarsi nel Teatro Nuovo di San Samuele il Carnovale dell'Anno . Dedicato a Sua Eccellenza il Sig. Luigi Enrico di Pons, Marchese di Pons e di

Coudray, Conte di Verdun ec. ec.

PERSONAGGI

RICCARDO giovane.

Il Sig. Francesco Rolfi. VIOLANTE vedova.

La Sig. Clementina Spagnuoli, Romana. LUCIANO ipocondriaco.

Il Sig. Filippo Laschi Virtuoso di Camera di S. A. R. il Principe Carlo

Duca di Lorena e di Bar ecc. ecc. ecc. ROSINA custode del bagno delle donne.

La Sig. Serafina Penni. LISETTA cameriera di Violante.

La Sig. Agata Ricci. PIROTTO servidore di Luciano.

Il Sig. Giovanni Leonardi. MONSIEUR LA FLOUR

La Sig. Teresa Alberis. MARUBBIO custode del bagno degli uomini.

Il Sig. Niccola Petri.

BALLERINI
Madama S. Giorgio Andre.              Sig. Anna Ricci.

Monsieur Tavolagio.                         Sig. Maddalena Ricci.

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La Sig. Margherita Falchini.            Il Sig. Michele Costa.

La Sig. Laura Verder.                       Il Sig. Giovanni Guidetti.

La Sig. Giuditta Falchini.                 Il Sig. Agostino Bologna.

La Sig. Geltruda Falchini.                Il Sig. Carlo Sabioni.

Il Sig. Pietro Ricci.

Maestro di Balli il Sig. Francesco Sabioni.


MUTAZIONI DI SCENE

ATTO PRIMO

Cortile corrispondente ai Bagni, tanto degli Uomini

che delle Donne.

Camera nella casa comune del Bagno.

Scena per il Ballo.

ATTO SECONDO

Giardino.

Stanza interna del Bagno, con tutto quel che è necessario.

Luogo delizioso con fontane ed una ringhiera sostenuta da colonne con due scalinate laterali praticabili, e

varie trasformazioni operate da Monsieur la Flour. Scena per il Ballo.

ATTO TERZO

Camera.

Gabinetto con tavolino che devesi trasformare.

Scena di mare con navi.

La Scena si rappresenta in Abano, nella situazione de' Bagni. Le Scene sono del Sig. Romualdo Mauro.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Cortile corrispondente ai Bagni, tanto degli Uomini che delle Donne.

Rosina alla porta del bagno delle Donne, Marubbio alla porta del bagno degli Uomini, Violante, Lisetta, poi Riccardo, Pirotto da' loro respettivi bagni.

ROSINA, MARUBBIO Fuori, fuori dal bagno, signori, Ché la zuppa dal cuoco si fa. E chi è lasso dai tepidi umori, Di ristoro bisogno averà.

VIOLANTE, dal bagno delle donne. Crudo Amore, ti prendi un bel gioco Far tra l'acque provare il tuo foco.

RICCARDO, dal bagno degli uomini. Più mi bagno, più crescer mi sento

Quella fiamma che m'arde qua dentro.

VIOLANTE e RICCARDO E dell'acque la forza non vale,

Ché il mio male - avanzando si va.

LISETTA, PIROTTO, da' loro bagni. Questi bagni mi danno appetito. Della zuppa mi piace l'invito. E diletto - l'affetto - mi dà.

TUTTI L'aria calda c'invita al respiro, E dell'ombre nel dolce ritiro; Alla mensa con pace ed amore Anche il core pascendo s'andrà. (tutti partono, fuorché Pirotto e Marubbio)

SCENA SECONDA

Pirotto e Marubbio

MAR.                    E che fa, che non esce

Dal bagno il tuo padrone?
PIR.                                                                Oh se sapesti!


Con quell'ipocondriaco malorato Resister non si può. Son disperato.

MAR.                    Ma che male ha egli mai?

PIR.                                                              Te lo dirò.

Il suo male io lo so. Egli era innamorato. La donna l'ha burlato, Ha gettato i denar senza sparagno: Or pien d'ipocondria venuto è al bagno.

MAR.                    Qui si sentono, in vero,

Graziose malattie. La vedovella

Che poc'anzi dal bagno

Escire hai tu veduta,

A bagnarsi è venuta,

Perché patisce un certo mal curioso,

Quando la poverina è senza sposo.

PIR.                       Anche il signor Riccardo,

Che uscì dopo di lei, pieno è di doglie, Perché il suo genitor non gli dà moglie.

MAR.                    E tu perché ti bagni?

PIR.                       Per dar gusto al padrone,

Anch'io mi bagno per conversazione.

MAR.                    Sicché di tanta gente

Che viene in questi deliziosi guazzi, Il numero maggiore è quel dei pazzi.

Son due brutte infermità Che fan l'uomo disperato: Per amore delirar, E la borsa non cantar. Ma con l'oro e con l'argento, Borsa piena e cuor contento Ogni mal fa risanar. (parte)

SCENA TERZA Pirotto, poi Lisetta

PIR.                       Io l'ho fatta però peggio di tutti.

Senza aver male alcuno

Son venuto a bagnarmi,

E l'occasione ha fatto innamorarmi

Lisetta, cameriera di Violante,

Mi piace perché è bella ed è vezzosa,

Ma mi fa disperar perché è stizzosa.

Eccola in verità.
LIS.                                                Sia maledetto!

Se lo fa per dispetto, anderò via. (Verso la scena dove viene)
PIR.                       Fermati. Con chi l'hai, Lisetta mia?

LIS.                        L'ho colla mia padrona.

Non si contenta mai.


Le ho messo sotto un occhio

Un neo tagliato a mezza luna, ed ella

L'ha voluto cambiare in una stella.
PIR.                       Cappari! questa cosa

È di gran conseguenza!
LIS.                       Sì, le vuò domandar la mia licenza.

PIR.                       Cara Lisetta mia, così di botto

Lascierai il tuo Pirotto?
LIS.                                                              Mah! Son cose...

Io non posso star salda.
PIR.                       Cara Lisetta mia, sei troppo calda.

LIS.                       È vero, lo confesso;

Tutto pieno di foco è il sangue mio,

E per questo ogni dì mi bagno anch'io.
PIR.                       Via, seguita a bagnarti:

Procura rinfrescarti a poco a poco,

Perché l'acqua alla fine estingue il foco.
LIS.                       L'estinguo da una parte,

E l'accendo dall'altra. (sospirando)
PIR.                       E tu, furbetta e scaltra,

Col tuo amoroso ardore

Accendi una fornace nel mio core.
LIS.                        Ed io, standoti appresso,

M'infiammo sempre più.
PIR.                                                              Se lo credessi,

Fortunato sarei.

Tutto il mal soffrirei senza lagnarmi;

Ma sei furba, sei donna, e puoi burlarmi.
LIS.                        Cosa vorresti dir, perché son donna?

Le donne sono furbe?

Le donne son bugiarde?

Menti, stramenti, temerario, indegno.

Finte sono le donne? Ardo di sdegno.
PIR.                       Presto, vatti a bagnar.

LIS.                                                         Sei un briccone;

Se mi scaldo, ho ragione.
PIR.                       Senti...

LIS.                                    Lasciami star. Finiam la tresca.

PIR.                       Presto, vatti a bagnar coll'acqua fresca.

LIS.                        Tu mi burli; tu sei

Un uomo menzognero.

Furbe? finte le donne? Non è vero.

Voi altri siete ingrati, Bricconi disgraziati Che ci rapite il cor. Le donne, poverine, Son troppo tenerine, E presto cascan giù.

Voi le tirate su, E quando le vedete Cadute nella rete, Gridate, - strapazzate,


Più non provate - amor. (parte)

SCENA QUARTA

Pirotto solo.

Foco, foco in camino.

Altro vi vuole

Che acqua per ammorzarlo!

Ogni volta ch'io parlo,

Chi sente lei, le dico delle ingiurie;

Se mi voglio scolpar, va sulle furie.

Meglio quasi saria ch'io la lasciassi,

E amoreggiar provassi

La custode del bagno femminile,

Che men calda mi pare e più gentile.

Basta... mi proverò. Sia questa o quella,

Converrà aver pazienza:

Amo il bel sesso, e non ne vuò star senza.

Che dolce cosa per me è l'amar. Senza un'amante non posso star. Se fossero due, vorrei giubilar. Se fossero tre, saprei traccheggiar. Con quattro, con cinque, Che gusto, che spasso, Con dieci far chiasso! Ma solo per una l'affetto serbar; Con cento brillare, ma senza crepar. (parte)

SCENA QUINTA

Camera nella casa comune del bagno.

Luciano, poi Marubbio

LUC.                      Ehi Pirotto, Pirotto; oh disgraziato,

Nel bagno mi ha lasciato,

E non l'ho più veduto.

Solo venir sin qui mi è convenuto.

A ogni passo ch'io faccio

Mi sembra di cadere.

Non vi è alcun che mi porga da sedere?

Ehi! chi è'di là?
MAR.                                             Signore.

LUC.                      Per carità, vi prego,

Datemi da seder.
MAR.                                               Vi servo subito.

LUC.                      Oimè! nel ventre mio sento un decubito.


MAR.

Ecco la sedia.

LUC.

Oh tosse benedetta! (tossendo)

MAR.

Via, sedete, signor.

LUC.

Non tanta fretta. (siede adagio)

MAR.

Perché fate sì piano?

LUC.

Il moto un po' violente

La macchina scompone facilmente.

Oimè! quella finestra.

Chiudetela, vi prego.

MAR.

In questo caldo,

L'aria che gioca, tempera gli ardori.

LUC.

L'aria sottil s'insinua per i pori.

MAR.

Volete altro da me?

LUC.

Dite a Pirotto

Che subito mi porti

Una tazza di brodo senza sale.

Oimè! che cosa è questa?

MAR.

Tutto il male che avete, è nella testa. (parte)

SCENA SESTA

Luciano e poi Rosina

LUC.

E mi lasciano solo?

Ahi, mi manca il respiro. (s'alza)

Chi è di là? Chi m'aita?

ROS.

Chiamate?

LUC.

(Oh che beltà! ritorno in vita).

ROS.

Cosa avete, signor?

LUC.

Mi passa un poco.

Mi sentia venir male.

ROS.

V'abbisogna un cordiale?

LUC.

Sì, ma presto.

ROS.

Un cordiale di corda è pronto e lesto.

LUC.

Mi burlate?

ROS.

Su via, venite a pranzo.

Suonato è già del campanin l'invito.

LUC.

Perduto ho l'appetito.

Il calor naturale è andato via.

ROS.

Con buona grazia di vussignoria. (vuol partire)

LUC.

Dove andate?

ROS.

Signore,

Voi mi fate venire il mal di core.

LUC.

Ed io, stando con voi,

Par che mi senta minorar il male.

Voi mi fate più ben d'ogni cordiale.

ROS.

(Se credessi far bene i fatti miei...

Se dicesse davver, lo guarirei).

LUC.

Ah, la gran bella cosa è la salute!

ROS.

Ma voi che male avete?

LUC.

Oh cielo! non vedete?


Non vedete che faccia trista e rossa?
ROS.                      Il rosso è una bellezza.

LUC.                     Segno è di tisichezza.

ROS.                                                        Oh quest'è bella!

Tisico voi? Oh, che vi porti l'orco.

Se siete grasso che parete un porco!
LUC.                     Questa grassezza mia

Tende all'idropisia.
ROS.                                                   Quand'è così,

Non voglio star più qui.
LUC.                                                          Però non sento

Del ventre ancor timpanica la pelle.
ROS.                      Siete pien di malanni e di schinelle.

LUC.                     È ver, ma guarirò.

ROS.                                                 Se foste sano,

In verità, signore,

Voi potreste dispor de' fatti miei.
LUC.                     Se mi voleste ben, risanerei.

ROS.                      Ma io non son sì pazza

Un cadavere amar; vorrei vedervi

Lesto, svelto, robusto,

Allegro e di buon gusto; e allora poi

Tutto questo mio cor saria per voi.
LUC.                     Animo, vada via

Questa malinconia.

Parmi d'esser cangiato.

M'hanno que' begli occhietti risanato.

Vuò star allegramente. Non vuò pensar a niente, Mi sento giubilar... Oimè, la testa mia! La camera va via, E parmi di mancar... No, no, non sarà niente, Vuò star allegramente, E non ci vuò pensar. Oimè! che gran dolore! Il povero mio core... No, no, non sarà niente, Mi sento giubilar. (parte)

SCENA SETTIMA Rosina, poi Violante

ROS.                      Oh povero Ranocchio,

Quanto lo compatisco! Ma se starò con esso in compagnia, Farò passargli la malinconia.

VIOL.                    Amor, tu mi tormenti,


Né speranza mi dai d'esser felice.

ROS.

Signora mia, se lice

Domandarvi una cosa,

Che avete che sembrate esser dogliosa?

VIOL.

Ho il mal che mi tormenta.

ROS.

E che male si chiama?

VIOL.

Oh Dio! Nol so.

ROS.

Che sì, che se ci penso, io vel dirò?

VIOL.

Siete medica forse?

ROS.

Oh sì, signora,

Son tre anni che sento

Il medico parlare. Abbiamo insieme

Fatte sperienze sulla pelle altrui,

E son giunta a saperne quanto lui.

VIOL.

È dotto?

ROS.

È un uom di garbo.

Guarda con attenzion l'orina e il vaso:

Scrive con l'arte, e lascia fare il caso.

VIOL.

Sinor codesti bagni

Non mi fanno alcun bene. Ah, che al mio male

Il rimedio non v'è.

ROS.

Rispondete, signora, un poco a me.

Quant'è che avete mal?

VIOL.

Due anni or sono...

ROS.

E non sono due anni,

Che morto vi è il marito?

VIOL.

È ver.

ROS.

Signora mia, già v'ho capito.

VIOL.

Non è la vedovanza,

Che mi faccia languir.

ROS.

Sarà l'amore.

Come state nel cuore?

VIOL.

Oimè!

ROS.

Voi sospirate?

Ho inteso. So perché siete ammalata.

Voi, poverina, siete innamorata.

Confessatelo a me; tutt'è lo stesso.

Lo conosco; lo so.

VIOL.

Sì, lo confesso.

ROS.

Confidatevi in me.

Parlate, e non temete;

Femina di buon cor mi troverete.

VIOL.

Pria di svelar la fiamma

Onde mi cruccio ed ardo...

ROS.

Ecco il signor Riccardo.

VIOL.

Oimè!

ROS.

Venite rossa?

Voi sospirate, avendolo veduto?

Signora, il vostro mal l'ho conosciuto.

SCENA OTTAVA


Riccardo e dette.

RICC.

Deh, signora, venite,

La mensa è preparata.

Tutti attendono voi.

VIOL.

Andate, io verrò poi.

RICC.

Anzi vi attenderò, se mi è permesso.

ROS.

(Son pieni tutti due del male istesso).

VIOL.

Vi prego... Andate innanzi. (a Riccardo)

ROS.

(Oh bella cosa!

Una vedova fa la vergognosa).

RICC.

(Ah! Violante per me non sente amore).

VIOL.

(Voglio meglio scoprire il di lui cuore).

ROS.

(Ambi mi fan pietà). Signora mia,

Volete che gli dica

Qualche cosa per voi? (piano a Violante)

VIOL.

Ma io... credete...

Certamente non amo...

ROS.

Eh, non state a negar. Già c'intendiamo.

VIOL.

(Costei mi fa arrossir).

ROS.

Signor Riccardo,

Ditemi in confidenza,

Come sta il vostro cor qui per l'amica?

RICC.

Che volete ch'io dica...

Io sono ammiratore...

Delle virtudi sue.

ROS.

Che siate bastonati tutti due.

Con me si parla schietto.

Lo vedo quell'occhietto,

Conosco le parole, intendo i motti.

Mostrate d'esser crudi e siete cotti.

VIOL.

Ma che vorreste dir?

ROS.

Niente.

RICC.

Parlate.

ROS.

Se di me vi fidate,

Qualche cosa dirò di vostro gusto.

VIOL.

V'ascolto con piacer.

RICC.

Son qui da voi.

ROS.

Ma non vorrei che aveste

Suggezion l'un dell'altro.

RICC.

Non v'è dubbio;

Quando ci siete voi, non ho timore.

VIOL.

Superar voi mi fate ogni rossore.

ROS.

Bravi. M'avete preso,

Miei garbati signori,

Per mezzana gentil de' vostri amori?

VIOL.

Oibò...

RICC.

Che dite mai?...

ROS.

Venite qui.

Voglio fare per voi quel che vorrei

Che facesser per me gli amici miei.


Cari, venite qua. Zitto, badate a me. Un certo non so che So che penar vi fa. Voltatevi qui. Voi state così. Alzate gli occhietti... Furbetti, furbetti, Si vede, si sa, Che state languendo, Chiedendo pietà. Che dolce diletto Provare nel petto La gioia d'amor! Brillate, godete, Ridete di cor. (parte)

SCENA NONA Violante, Riccardo, poi monsieur La Flour

RICC.

Via, signora, seguite

Della maestra i dolci insegnamenti.

VIOL.

Io non so far portenti.

Nell'amoroso gioco

Erudindo mi vado a poco a poco.

RICC.

Eppur non doverebbe

Nella scuola d'amore

Una vedova aver pupillo il cuore.

Io sì, che ancor ragazzo...

VIOL.

Poverino!

Voi non sapete niente:

Nella scuola d'amor siete innocente. (con ironia)

LA FL.

Madama, permettete

Ch'io vi baci la mano. (bacia la mano a Violante)

RICC.

(Solito complimento oltramontano).

LA FL.

Monsieur, vi sono schiavo.

RICC.

Bravo, davvero bravo.

Monsieur la Flour, voi siete un uomo franco.

LA FL.

Colle madame al mio dover non manco.

Madama, come state?

VIOL.

Bene, a' vostri comandi.

RICC.

(È tutta civiltà). (ironico)

LA FL.

Siete galante assai. (a Violante)

VIOL.

Vostra bontà.

RICC.

Mi rallegro, signora.

VIOL.

Di che mai?

RICC.

Avete appreso assai

Nella scuola d'amor...

VIOL.

Voi v'ingannate.

Innocente rispondo a chi s'inchina.


RICC.                    Povera vedovella innocentina!

È di donna un bel costume Affettar semplicità. A chi chiede a lei pietà Negar pace e tormentar.

Ma sovente cambia stile Con chi ardito parla e chiede; Ma sovente poi si vede La crudele a sospirar. (parte)

SCENA DECIMA

Violante e monsieur La Flour

LA FL.                   (Oh bella, in fede mia!

Monsieur Riccardo è pien di gelosia).
VIOL.                    (Non vorrei disgustarlo.

Andrò a disingannarlo). (vuol partire)
LA FL.                                                     Perdonate.

Non fuggite, madama.
VIOL.                                                      È già suonato

Della mensa l'invito.
LA FL.                   Andiam. Vi servirò.

VIOL.                                                 Troppo compito.

Deggio prima passare alla mia stanza.
LA FL.                   Eh, non è più all'usanza

Codesta ritrosia.

Si sta senza malizia in allegria.

Sentite; in una stanza

Che da tant'anni non fu mai aperta,

Ho fatto una scoperta portentosa.

Ho trovata una cosa

Con cui farò portenti;

E tutti goderem lieti e contenti.
VIOL.                    Cosa trovaste mai?

LA FL.                                                Avrete inteso

Nominar Pietro d'Abano.
VIOL.                                                          Era un mago.

LA FL.                   Un uomo era assai vago.

Ho trovato il suo libro,

E la mia mente curiosa e franca

Ha imparato a operar per magia bianca.
VIOL.                    Badate ben, signore,

Non mi fate paura.
LA FL.                                                Non temete:

Voi vi divertirete. In questi bagni,

Dove noi siamo in buona compagnia,

Necessaria per tutti è l'allegria.

Est-on sage - dans le bel age,


Est-on sage - de n'aimer pas?

Que sans cesse - l'on se presse

De goùter les plaisirs ici bas.

La sagesse - de la jeunesse

C'est savoir jouir de ses appas. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Violante sola.

Amo solo Riccardo, e può lui solo

Farmi lieta e felice;

Ma timida son io più che non lice.

Chi vuol pace in amor vi vuol coraggio,

Alma fida, cuor pronto e labbro saggio.

Per costanza, per fede,

Mio cuore altrui non cede,

Ma importuno rossore

Fa ch'io celi nel sen l'acceso ardore.

Si confonde nel mio core

La virtù colla viltà;

Vo celando in sen l'ardore,

E bisogno ho di pietà... Chi m'insegna, chi mi dice

Del mio mal che mai sarà?

Quel che giova, quel che lice,

Il mio cuore ancor non sa. (parte)

SCENA DODICESIMA

Gabinetto con tavola preparata per il pranzo.

Rosina, Lisetta, Pirotto, Marubbio, poi Luciano

TUTTI                                        Andiamo alla mensa,

E quel che dispensa

Il savio dottore,

Senz'altro timore

Mangiar si potrà.
ROS. e LIS.                                    E il medico poi,

Vietandolo a noi,

Il buono ed il meglio

Per lui mangerà.
TUTTI                                        Andiamo d'accordo,

E curi l'ingordo

La sua sanità.

LUC.                     Eccomi, anch'io son qui.


Mi sento un gran languore, Misto fra l'appetito e fra l'amore.

Come scioglie il sole ardente Della neve i freddi umori, Così amor coi dolci ardori Liquefando va il mio cor. Mie belle, Mie care, Avvampo d'amor.

Presto, presto, ch'io sento

Che bisogno mi vien di nutrimento. (siede a tavola)

Ma gli altri dove sono?
LIS.                                                            La padrona

Non vuol venir.
LUC.                                              Perché?

LIS.                       Perché il signor Riccardo

Non vien nemmeno lui.
ROS.                                                          Sì, il poverino

S'ha presa gelosia,

E dubito farà qualche pazzia.
LUC.                     Monsieur la Flour dov'è?

PIR.                       Sen sta leggendo

Certo libraccio vecchio, e pensa, e ride,

E venire non vuol.
LUC.                                                Me ne dispiace

Per la mia complessione.

Solo non posso far la digestione.

Figliuoli, giacché tutti

M'hanno lasciato sol, per cortesia

Venite qui, pranziamo in compagnia.
ROS.                      Per me, non mi ritiro. (siede)

LIS.                                                       Ed io ci sono. (siede)

MAR.                    Con vostra permission. (siede)

PIR.                                                         Chiedo perdono. (siede)

LUC.                     Con voi, ragazze mie

Il pranzo riescirà più saporito.

Mi farete mangiar con appetito. (siede)

SCENA TREDICESIMA

Monsieur La Flour e detti.

LA FL.                   Eccoli tutti a pranzo.

Voglio provar se riescemi un bel gioco.

Vuò alle lor spalle divertirmi un poco. (si ritira)

LUC.                               Vezzosette, graziosine,

Mangerei due polpettine, Ma da voi le prenderò.


ROS. LIS.

} adue

Polpettine? signor no.

LUC.

Ma perché?

ROS. LIS.

} adue

Vi farian male.

LIS.

Della zuppa senza sale, Se volete, vi darò.

LUC.

Da voi tutto prenderò.

PIR. MAR.

} adue

(Che smorfioso! che sguaiato!)

LUC.

Vorrei esser imboccato.

ROS. LIS.

} adue

Signor sì, v'imboccherò.

LIS.

Un bocconcino

ROS.

Un cucchiarino. (lo vanno imboccando)

LUC.

Com'è bonino!

PIR.

} atre

MAR.

Che carità!

LUC.

a quattro

Cos'è questo? Presto, presto, Un tremore Sento al core. Cosa, cosa mai sarà?

(Si vede Monsieur la Flour col libro in mano, facendo alcuni segni, e tutto in un

tempo la tavola si trasforma in una prospettiva di palazzino con varie porte, da una

delle quali esce subito Pirotto, trasfigurato in Coviello)

PIR.                                 Io non saccio chi me sia,

Ma me sento, mamma mia, Una forza da leon. (Da un'altra porta esce Marubbio, trasfigurato in un vecchio colla barba lunga)

MAR.                              Me meschino, sì canuto

Come mai son divenuto?

Quel ch'io ero, più non son.
PIR.                                 Chi sei tu, brutto vecchiaccio?

MAR.                              Con chi parli, animalaccio?

PIR.                                 Quel barbon ti pelerò.

MAR.                              Col baston ti accopperò.

a due                               Io timor di te non ho.

(Da una porta esce Lisetta, trasfigurata da napolitana alla spagnola)

LIS.                                 Lassa stare - foss'acciso, (a Marubbio)

Brutto vecchiaccio,

Faccia d'empiso.
a tre                                 Io timor di te non ho.

(Da un'altra porta esce Rosina, trasfigurata da vecchia veneziana)

ROS.                               Oh poveretto!

El mio vecchietto

Lassème star.
LIS.                                 Voglio pelarlo.


PIR.

Voglio scannarlo.

MAR.

Vecchia dabbene,

Mi raccomando.

ROS.

Via, che ve mando

Quanti che sè.

a quattro

Quanta paura!

Quanta bravura!

PIR.

MAR.

ROS.

} atre          CDheensttrraovdaigmanez!a.

ROS.

Via, che ve mando

Quanti che sè.

(Luciano esce da un'altra porta, vestito da donna con maschera caricata)

LUC.

Cos'è questo rumore?

Che cosa qui si fa?

a quattro

Signora, perdonate

La mia temerità. (le fanno riverenza)

LUC.

Io voglio andar a letto.

Portatemi rispetto,

Perché mi sento mal.

a quattro

Non più malinconia,

Ma stiamo in allegria,

Facciamo carneval.

PIR.

Bene mio, ti voglio bene.

LUC.

Via di qua, che non conviene.

MAR.

Io di voi sarò amoroso.

LUC.

Che vecchiaccio malizioso!

ROS.

Se sè putta, stè da putta. (a Luciano)

LIS.

Se sei zita, sei pur brutta.

LUC.

Non mi vuò lasciar toccar.

a cinque

Stiamo tutti allegramente,

E cantiamo unitamente,

Senza niente sospettar.

Evviva l'amore che fa giubilar. (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Giardino.

Violante e Riccardo

VIOL,

V'ingannate, Riccardo,

Supererò il rossore.

Vi dirò che il mio cuore

Prova per voi un amoroso duolo.

Giuro sull'onor mio che amo voi solo.

RICC.

Se creder lo potessi,

Felice me!

VIOL.

Ma quando poi lo giuro,

Credere lo dovete.

Se dubitate ancor, voi m'offendete.

RICC.

Perdonate, mia cara,

Ai dubbi del mio cuore;

Chi ben ama, ha timore.

VIOL.

A questi bagni

Son venuta per voi.

RICC.

Per voi venuto

Parimenti son io.

Caro bell'idol mio,

Non partiamo di qui, pria che d'amore

Non si stringa fra noi perpetuo nodo.

VIOL.

A voi tocca pensare al tempo e al modo.

SCENA SECONDA

Monsieur La Flour con alcuni fiori in mano, e detti.

LA FL.

(Ecco i gelosi amanti.

Io vuò con questi fiori

Dar un poco di pena ai loro amori).

RICC.

Pria che giunga mio padre

A penetrar il genio mio... (a Violante)

LA FL.

Madama.

RICC.

Maledetto costui.

LA FL.

A voi presento

In questi vaghi fiori

Misto gentil dei più soavi odori.

VIOL.

Obbligata, signor. (li ricusa)

RICC.

Non ha bisogno


D'altro odor peregrino;

De' fiori, se ne vuol, pieno è il giardino.
LA FL.                  Favorisca odorarli in cortesia.

Odorati che li ha, li getti via.
VIOL.                    (Lo farò per spicciarmi). (piano a Riccardo)

Hanno un odor sì raro? (prende i fiori e li odora)
LA FL.                   Ogn'altro odor vi riuscirà men caro.

RICC.                    Oh via, basta così.

VIOL.                                                 Dolce fragranza

Che mi penetra il core!
LA FL.                                                       Or, se volete,

Li potete gettar.
VIOL.                                            Cari mi sono.

Gradisco ed amo il donatore e il dono.
RICC.                    Come!

VIOL.                                Oimè! qual dolcezza,

Caro monsieur la Flour, voi m'ispirate!
LA FL.                   Perdonate, madama... (vuol partire)

VIOL.                                                      Ah no, restate.

RICC.                    Che stravaganza è questa?

Come, Violante mia?
VIOL.                    Oh Dio! Non so che sia quel che mi sento.

Provo un novel tormento,

Provo un novello ardore:

Per quegli occhi vezzosi ardo d'amore.
RICC.                    Ah traditrice, ingrata!

LA FL.                  (L'han di me questi fiori innamorata).

RICC.                    Queste son le proteste?

È questo il giuramento?
VIOL.                    Un novello portento

M'accende per costui la fiamma in seno.

Non posso far a meno,

Il volto suo mi piace.

Riccardo... (oh mio rossor!) soffrite in pace.

Forza d'amor mi lega A una beltà novella, Né infedeltà s'appella Quel che comanda amor.

A te pietà non nega Questo mio core amante, Ma deggio a quel sembiante, Esser pietosa ancor. (parte)

SCENA TERZA

Riccardo e monsieur La Flour

RICC.                    Femmina traditrice! E voi che siete

Mio rivale in amor, che seduceste Ad amarvi colei ch'era il mio bene,


Voi pagherete il fio delle mie pene.

LA FL.

Che vorreste da me?

RICC.

Rendimi conto

Colla spada, fellon, de' torti miei. (impugna la spada)

LA FL.

Cimentarti con me? Pazzo tu sei.

RICC.

Vieni, o ti svenerò.

LA FL.

Non ho timore.

RICC.

Perfido!

LA FL.

Meco è vano il tuo furore.

RICC.

Lo vedremo.

LA FL.

(Con l'arte

Io lo deluderò).

RICC.

Vieni al cimento.

LA FL.

Vengo, ma ne averai scorno e spavento. (Riccardo spaventato fugge)

SCENA QUARTA

Monsieur La Flour solo.

Oh che piacer grazioso!

Che libro portentoso

È quel che ho ritrovato!

Come presto mi sono ammaestrato!

Ho trovata la via

D'innamorar le donne,

Ed essere a lor caro

Senza la servitù, senza il denaro.

Chi una donna vuol pretendere,

Chi da lei vuol farsi amar,

Il denar bisogna spendere,

E servire, e sopportar.

Di quei fiori

Portentosi

Agli amanti vuò donar.

Quando vedo donne a piangere,

Io mi sento consolar. (parte)

SCENA QUINTA

Stanza interna del Bagno con quel che è necessario.

Luciano e Pirotto

LUC.

Pirotto.

PIR.

Eccomi qui.

LUC.

Sei tu?

PIR.

Son io.


LUC.

Ed io chi son?

PIR.

Voi siete il mio padrone.

LUC.

Luciano?

PIR.

Sì, Luciano. Oh questa è bella!

LUC.

Non ho più la gonnella?

PIR.

Non signore.

LUC.

La scuffia?

PIR.

Molto meno.

LUC.

E qui dinanzi

Avevo un non so che.

PIR.

Non v'è più niente.

Tutto sparì a drittura.

LUC.

Sai cosa mi restò?

PIR.

Che?

LUC.

La paura.

PIR.

Anch'io, per dir il vero,

Ne ho avuta la mia parte.

È stato un caso bello

Vedermi trasformato in un Coviello.

LUC.

Ah, vicino al morire io già mi sento.

Voglio far testamento.

PIR.

Eh no, padron mio caro.

LUC.

Della villa a chiamar vammi il notaro.

PIR.

Volete intanto restar solo?

LUC.

Intanto

A letto me n'andrò bello e vestito.

Aiutami.

PIR.

Son qui.

LUC.

Piano. Non voglio

Più nessuno veder.

PIR.

Nemmen le donne?

LUC.

Donne? donne? No, no, le donne sono

Le maghe incantatrici.

Esse saranno state

Che m'hanno le fattezze trasformate.

Mai più donne, mai più. Sia maledetto

Quando mai le ho vedute...

Andiamo a letto.

(aiutato da Pirotto, va nel suo letticciuolo serrato dalla trabacca)

PIR.

Starete meglio assai,

Più caldo e riposato.

(Bisogna contentarlo;

Egli vuole il notaro, andrò a cercarlo). (da sé)

SCENA SESTA

Marubbio e detti.

MAR.

Pirotto, che fai qui?

PIR.

Zitto. Il padrone

È in letto che riposa.


MAR.                                                    Ha forse male?

PIR.                       Quest'è il suo naturale.

Quando ha un po' di timore, Crede morir perché gli batte il core.

MAR.                    Il cor, per dirla schietta,

Batte un poco anche a me.

Mi parve cosa garba

Il vedermi venir tanto di barba.

PIR.                       Codesta stravaganza

Cosa crediam che sia?

MAR.                    Io senz'altro la credo una magia.

PIR.                       Che sia tornato al mondo

Pietro d'Abano ancor dopo tant'anni? Dai bagni, se è così, voglio andar via, Ché col diavol non voglio compagnia.

Farfarello, Gambastorta, Va lontan da' miei confini. Ma se porti dei quattrini, Vieni pur, li prenderò. Fammi pure bru bru bru, Fammi andar col capo in giù, Fammi andar coi piedi in su. Per avere dell'argento, Mi contento - di tremar. (parte)

SCENA SETTIMA Marubbio, e Luciano nel letto; poi Rosina

MAR.

In tant'anni ch'io sono in questi bagni,

Non ho mai più veduto

Caso simile a questo.

ROS.

Aiuto, aiuto. (corre spaventata)

MAR.

Cos'è stato?

ROS.

Colà...

MAR.

Dove?

ROS.

Ho veduto...

MAR.

Che?

ROS.

Una brutta cosa.

MAR.

Che cosa?

ROS.

Brutta, brutta.

MAR.

Ma come?

ROS.

Si moveva...

MAR.

Davvero?

ROS.

Oimè! (con timore)

MAR.

Dite, cos'era?

ROS.

Un gatto nero.

MAR.

E per un gatto si fa tanto chiasso?

ROS.

Mi guardava cogli occhi.

MAR.

E bene?


ROS.

Oimè!

Tremo dalla paura.

MAR.

Paura d'un gattino?

ROS.

Ho paura ch'ei fosse un diavolino.

MAR.

Ma sei pur una donna spiritosa.

ROS.

Ora son paurosa.

Dopo che mi ho veduta

Diventar una vecchia colle rappe,

Le budelle mi fanno lippe lappe.

MAR.

Ora ti compatisco.

È stata veramente

La peggior burla che si possa mai

Fare a una donna. Sì, ti compatisco

Tutt'altro si potrebbe sopportare,

Ma non la malattia dell'invecchiare.

Voi altre femmine,

Se gli anni passano,

Perdete il merito

Della beltà.

Non così gli uomini

Che, quando invecchiano,

Maggior acquistano

La venustà.

Belletti e polvere

Non ci abbisognano;

Siamo i medesimi

In ogni età. (parte)

SCENA OTTAVA

Rosina, e Luciano nel letto.

ROS.

Questa bella ragione io non l'approvo.

Anche nell'uom la differenza io trovo.

Ma di già che son sola,

Voglio un poco bagnarmi.

Col bagno ristorarmi

Voglio della paura che ho provata.

Voglio nell'acqua entrar ch'è preparata. (mostra di volersi spogliare)

LUC.

(Caccia fuori la testa dalle cortine del letto)

ROS.

Non vorrei che venisse qualcheduno.

Voglio chiuder la porta.

LUC.

Andate via.

ROS.

Aiuto. (non vedendo Luciano)

LUC.

Cos'è?

ROS.

Il diavolo... Va via.

LUC.

Meschino me. (ritira la testa)

ROS.

Oimè! sono imbrogliata.

Questa voce non so da dove uscì.

LUC.

Il diavolo dov'è? (uscendo dal letto)


ROS.

Eccolo qui. (si spaventa di lui medesimo)

LUC.

Dove?

ROS.

Brutto demonio...

Da me che cosa vuoi?...

LUC.

Da me che chiedi?

ROS.

Da te non voglio niente.

LUC.

Nemmen io.

ROS.

Vattene.

LUC.

Via di qua. Rosina, addio.

ROS.

Il diavol mi saluta.

LUC.

No, carina,

Il diavolo non è.

ROS.

Ma chi?

LUC.

Luciano.

ROS.

Che vi venga la rabbia;

Che cosa fate qui?

LUC.

Venni, meschino,

Un poco a riposare.

ROS.

M'avete fatto quasi spiritare.

LUC.

Sentite...

ROS.

Oimè.

LUC.

Che cosa è stato?

ROS.

L'avete voi veduto?

LUC.

Chi?

ROS.

L'amico

Dalle calzette nere.

LUC.

Io no. Ma voi mi avete impaurito.

ROS.

Là... vedete... là dentro io l'ho sentito.

LUC.

Là dentro v'ero io steso nel letto.

ROS.

Là dentro voi? Che siate maledetto.

LUC.

Ahi! perché maledirmi?

ROS.

Perché voi

Mi faceste paura,

Ed io son paurosa di natura.

LUC.

Finalmente son io...

ROS.

Mi trema il core.

LUC.

Compatite l'amore...

ROS.

Da fanciulla

Ho avuto uno spavento brutto brutto.

LUC.

E adesso...

ROS.

E adesso ancor tremo di tutto.

LUC.

Ma via...

ROS.

Quando ci penso

Al spavento d'allora,

Freddo mi viene ancora.

LUC.

Ma questa è un'opinione.

ROS.

Un'opinion? Sentite se ho ragione.

Una piccola bambinella

Ero ancora di tenera età.

E la mamma, la poverella,

Se ne stava lontana da me.

Viene un gatto nero nero


Con i baffi... (mi vien freddo).

Mi guardava... (tremo tutta).

Oh che bestia brutta brutta!

Mi voleva graffignar.

Io gridai: Frusta via.

Fece gnao, e se n'andò.

Ma saltò

Su e giù.

Parea matto,

Ruppe un piatto.

Poi tornò,

Mi graffiò;

E ha lasciato al mio povero core

Un timore - che mai se n'andò. (parte)

SCENA NONA Luciano, poi Lisetta

LUC.

Oh! causa la paura,

Che costei se n'andò. Pareami allora

Di star bene vicino a quel visetto.

Ora mi torna mal; ritorno a letto. (va nel letto, come era prima)

LIS.

Che diavol di vergogna!

Tutti son spaventati

Per paura del diavolo. Ma io

Di lui non ho paura: affé, se torna,

Vuò spennacchiarlo, e rompergli le corna.

LUC.

Lisetta. (caccia fuori la testa dalle cortine, e la ritira)

LIS.

Chi mi chiama? (guardando qua e là)

LUC.

(Voglio farle paura).

Lisetta. (come sopra)

LIS.

Chi mi vuole?

LUC.

Bu, bu, bu, bu. (fa il cane, nascosto nel letto)

LIS.

Cagnaccio,

Dove sei? vieni fuori.

Certo non mi spaventi,

Se avesti cento diavoli nei denti.

Ma dove mai sarà? (cercandolo)

LUC.

(Mette fuori la testa, e la ritira) Lisetta.

LIS.

Zitto.

La voce vien di qui; che sia nascosto

Sotto quel letto? Vuò veder. (guarda sotto il letto)

LUC.

Lisetta. (come sopra)

LIS.

Zitto, la voce è qui.

S'è qualche diavolone,

Io lo farò andar via con un bastone.

(prende un bastone che trovasi nella stanza)

LUC.

È andata via? (caccia fuori la testa)

LIS.

Se torna!

LUC.

Eccola. (ritira il capo)


LIS.

Vuò vedere...

LUC.

Bu, bu, bu.

LIS.

T'ho inteso. Or son da te.

Prendi, brutto cagnaccio. (dà delle bastonate

cortine)

LUC.

Oimè, oimè.

LIS.

Questa è voce d'un uom. Chi mai sarà?

Voglio veder chi è. (scopre il letto)

LUC.

Per carità. (si raccomanda)

LIS.

Bravo, signor Luciano,

Dovevate tacere ancora un poco,

Se goder volevate un più bel gioco.

LUC.

Vi son bene obbligato. (s'alza dal letto, e scende)

LIS.

Non siete più ammalato?

Mi rallegro con voi.

LUC.

Ah, che pur troppo

Son pieno di malanni. Oh dei! non so

Se per sin questa sera io viverò.

Vado, ma no; vorrei

Restar con voi... ma sento...

Voi mi date contento. Oimè, non so...

Fra il restare e il partir ci penserò.

Quel dolce visetto,

Quell'occhio furbetto,

Il core nel petto

Mi fa intenerir.

La medica tu sei

Di tutti i mali miei.

Vorrei, e non vorrei,

Partir, e non partir.

Mio caro tesoro,

Vi bramo, v'adoro;

Porgete ristoro

A tanto languir.

Con te giubilerei,

Con te risanerei.

Vorrei, e non vorrei,

Partir, e non partir. (parte)

SCENA DECIMA

Lisetta, poi Riccardo

LIS.

Povero pazzo! Sai cosa ti dico?

Muori, non muori, non m'importa un fico.

RICC.

Ah Lisetta, pietà!

LIS.

Che cosa è stato?

RICC.

M'ha la vostra padrona assassinato.

LIS.

Come? vi ha preso forse

I denari, la roba?


a Luciano, coperto dalle



RICC.                                               Eh scioccherie!

Peggio mi ha fatto assai.
LIS.                                                              Non crederei

Vi potesse levar la sanità.
RICC.                    Ha trattato il cuor mio con crudeltà.

LIS.                       Via, via, non vi è gran male.

RICC.                                                               Ah, che soffrirlo

Certamente non posso.
LIS.                       Eppur convien soffrire.

RICC.                    No.

LIS.                               Che volete far?

RICC.                                                   Voglio morire.

LIS.                       Questa, signore, è l'ultima pazzia.

Quando altro dir non sanno,

Tutti dicon così, ma non lo fanno.
RICC.                    D'alme vili codesto è facil dono.

Troppo costante io sono,

Quando prometto affetto,

E son fedel di crudeltà a dispetto.

Traditrice Violante! E come mai

Fino sugli occhi miei

Far finezze al rival per mio martello?

Dirmi ch'è più di me vezzoso e bello?

Intenderla non so. Parmi che un sogno,

Che una larva sia questa; ed ho rossore

Di pensar che il suo cor sia traditore.

Mi sento ancora impressa L'immagine nel petto Di quel primiero affetto, Che fu giurato a me.

Non è per me la stessa; Pur troppo, oh Dio! lo vedo. Eppure ancor non credo Che priva sia di fé. (parte)

SCENA UNDICESIMA Lisetta, poi Violante

LIS.                       Quest'altro ganimede

Ha anch'egli i grilli sui: Una donna vorria tutta per lui. Eccola. Oh, se veniva un poco prima, Si volevan sentir le belle cose!

VIOL.                    Cento fiamme amorose

Arder mi sento in petto, E non so la cagion del nuovo affetto.

LIS.                       Oh signora padrona,

Che mai avete fatto? Il povero Riccardo è mezzo matto.


VIOL.                    Mi fa pietà.

LIS.                                         Bisogna consolarlo.

VIOL.                    Vorrei poter amarlo,

Ma un certo non so che, non ben inteso, Rese il cor mio d'un altro foco acceso.

LIS.                       Quel certo non so che,

Che voi non intendete, Io ve lo spiegherò, se lo volete.

VIOL.                    Ma come?

LIS.                                         Vi dirò: noi altre donne...

V'è nessun che mi senta? No, siam sole. Abbiamo un difettino Che è una cosa galante: Ci piace per lo più cambiar amante.

VIOL.                    Ma io non son di quelle,

E tu bene lo sai.

LIS.                                                Sì, lo confesso,

Tutt'amor, tutta fede ognor vi vedo; Ma, signora padrona, io non vi credo.

VIOL.                    Lisetta, mi fai torto.

LIS.                                                     Eh, questi torti

Si ponno sopportar. Che mal sarebbe, Che aveste quattro o cinque innamorati? Si esamina, si pesa questo e quello, Poi si sceglie il più buono ed il più bello.

Se si compra un bel vestito, Non si va da un sol mercante; E chi vuol trovar marito, Non si lasci infinocchiar. Nasi schizzi? signor no. Nasi lunghi? oibò, oibò. Occhi loschi, Gambe storte, Teste lunghe, Braccia corte, Sono tutti da scartar.

Bel visino, Bel bocchino, Bel nasino Piccinino,

Sono cose da comprar, Perché fanno innamorar. (parte)

SCENA DODICESIMA

Violante sola.

Pazza, pazza è costei;

E chi l'ascolta, è pazzo più di lei.

Non è in arbitrio nostro


Sceglier l'amante, scegliere lo sposo. Se questo fosse, anch'io Solo a Riccardo mio darei il mio cuore; Ma altrimenti di me dispone amore.

Forza d'amor mi lega A una beltà novella, Né infedeltà s'appella Quel che comanda amor.

Manco di fé con pena, Amante di costanza, E soffro una catena Più non intesa al cor. (parte)

SCENA TREDICESIMA

Luogo delizioso con fontane ed una ringhiera con due scalinate laterali praticabili e varie trasformazioni

operate da Monsieur la Flour.

Monsieur La Flour, travestito da giardiniere, con fiori in mano.

Questa è la miglior prova

Che far poss'io del libro che ho trovato.

Ecco un luogo formato

Con magica apparenza,

Costrutto in eccellenza,

In ordine e figura,

In cui spicca il poter d'arte e natura.

Ora con questi fiori

Voglio l'opra compire... Eccoli tutti:

Voglio farli restar stupidi e brutti.

SCENA QUATTORDICESIMA Luciano, Rosina, Lisetta, Pirotto, Marubbio ed il suddetto.

LUC.

Oh la gran bella cosa!

LIS.

È bella assai.

PIR.

Un giardino più bel non vidi mai.

PIR.

Cosa dite, Rosina?

ROS.

Questa gran novità non so che sia.

MAR.

Io la credo senz'altro una magia.

ROS.

Vado, quand'è così... (vuol partire)

LA FL.

Bella, restate.

ROS.

Chi siete voi? parlate.

LA FL.

Il giardiniero io sono,

E reco a voi di questi fiori il dono.

(presenta un mazzo di fiori a Rosina, l'altro a Lisetta)

LIS.

Grazie. Che buon odor!

ROS.

Non me ne fido.


LIS.

ROS.

LIS. LUC.

LIS. ROS. MAR. PIR. LA FL.


Di che avete timore? Io me ne rido.

Sentite che fragranza. (a Rosina, odorando i fiori)

È vero, è un grato odor che ogn'altro avanza. (a Rosina(), odorando i fiori)

Senta, signor Luciano.

Senta, senta. Oh che soave odore!

Ma qual fiamma d'amor mi sento al core? Marubbio, senti un po'.

Pirotto, odora. Quest'odore m'incanta.

Ei m'innamora. (I colpi son già fatti. Or mi voglio goder quei cinque matti). (si ritira)



Oimè, cosa sento! Mi brucia di drento Le viscere e il cor.

Che avete? che fate? Smaniate? perché?

Non posso star saldo Son caldo d'amor.

Andate, baggiano, Lontano da me.

Mia cara, per pietà.. Andate via di qua. Non posso più star. Lasciatemi star. Perché no? Fuggirò. Per pietà. Via di qua.

LUC.

PIR.

MAR.

ROS.

LIS.

LUC.

PIR.

MAR.

ROS.

LIS.

LUC.

PIR.

MAR.

ROS.

LIS.

LUC.

PIR.

MAR.

ROS.

LIS.

LUC.

PIR.

MAR.

ROS.

LIS.

LUC.

PIR.

MAR.

ROS.

LIS.

LUC.


} atre } adue } atre } adue } atre } adue } atre } adue } atre } adue } atre

} adue

(Le due donne fuggono, e vanno sulle scalinate, una di qua e una di là. Pirotto e Marubbio vogliono loro correr dietro, e nell'atto che vogliono salir le scale, due mostri impediscono il passo)

Correr non posso, Son troppo grosso;



()


Così nel testo, ma evidentemente è "a Lisetta, odorando i fiori" [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]


Forza non ho.

PIR. MAR.

} adue

Oimè!

LUC.

Cosa c'è?

PIR. MAR.

} adue

Non si ponno seguitar.

ROS. LIS.

} adue

Malcreati, - disgraziati,

Imparate - le zitelle,

Poverelle, - a rispettar.

LUC.

PIR.

MAR.

} atre

Ah, nel petto, - dall'affetto Io mi sento divorar.

TUTTI

Che prodigi! - che prestigi! Tanti diavoli qui stanno, Che mi fanno disperar.

PIR. MAR.

} adue

Non posso più star saldo,

Mi cresce ognora il caldo,

Mi voglio rinfrescar. (saltano sulla fontana)

LUC.

Cosa fate?

PIR. MAR.

} adue

Osservate:

Io mi vado a sollazzar.

(si gettano nella fontana, e non si vedono più)

ROS.

} adue

Oh che pazzi! - Dentro i guazzi

LIS.

Vanno il foco ad ammorzar.

LUC.

Dove son? più non li vedo. (osserva nella fontana) Affogati già li credo. Non li voglio seguitar. (Pirotto e Marubbio compariscono sulla ringhiera)

ROS. LIS.

} adue

Oimè!

PIR. MAR.

} adue

Siamo qui.

LUC.

Ma come?

PIR. MAR.

} adue

Sta lì. (a Luciano)

TUTTI

Che cosa portentosa Che tutti fa tremar!

PIR. MAR.

} adue

Mia cara! (vogliono abbracciare le donne)

ROS. LIS.

} adue

Briccone!

(Mentre li due uomini insolentano le donne, queste spariscono)

PIR. MAR.

} adue

Pietà!

ROS. LIS.

} adue

Via di qua.

LUC.

Sono ite, son sparite Io ne godo in verità.

PIR.

} adue

Le ha portate per dispetto

MAR.

Il demonio via di qua.


LUC.

PIR.

MAR.

LUC.

MAR.

PIR.

ROS.

LIS.

LUC.


ROS.

LIS.

LUC.

ROS.

LIS.


}

} adue } adue

Eppur sento che nel petto

a tre

L'amor mio crescendo va.

Eccole qua. (Le donne escono da due cespugli laterali)

Eccole qua.

Dove sono, poverina?

Mia Lisetta, mia Rosina,

Tutte due venite qua,

} adue } adue

E voi altri state là. (a Pirotto e Marubbio) (Li due della ringhiera fondano nelle colonne e non si vedono più) Dove son? più non li vedo.

All'inferno già li credo. Via, carine, per pietà.

Signor no. State là

(li due compariscono dalla fontana)

LUC.

ROS.        }

LIS.

LI TRE UOMINI LE DUE DONNE LI TRE UOMINI LE DUE DONNE

TUTTI

a tre

Eccoli qua, eccoli qua.

Bel visetto, per pietà. Maledetto, via di qua. Tant'amore - m'arde il core. Di furore - m'arde il sen. (Esce Monsieur la Flour, e li tocca tutti con una verga, e parte) Ah, ah, ah, ah. (si guardano ridendo)

La bella Girometta è bella come un fior.

È tanto graziosetta che mi consola il cor. (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera.

Violante e Riccardo

VIOL.

Deh, per pietà...

RICC.

Mendace.

VIOL.

Uditemi.

RICC.

Non deggio.

VIOL.

Son pentita.

RICC.

Nol credo.

VIOL.

Oh me infelice!

Eccomi a' vostri piedi. (s'inginocchia)

RICC.

Ingannatrice.

VIOL.

Pietà!

RICC.

Pietà mi chiede

Chi non sa che sia fede?

VIOL.

Eppur voi solo

Amo con cuor sincero.

Ardo solo per voi.

RICC.

No, non è vero.

SCENA SECONDA

Monsieur La Flour e detti.

LA FL.

Amici, ancor fra voi dura lo sdegno?

VIOL.

Ah bell'idolo amato! (a la Flour)

RICC.

Ah core indegno! (a Violante)

LA FL.

(Non vuò più tormentarli). Via, tornate

Ad amarvi di cor.

VIOL.

Dell'amor mio

Una forza fatale in voi discerno. (a la Flour)

RICC.

Amerò prima un demone d'inferno.

LA FL.

Volete ch'io vi mostri

Un oggetto che merta il vostro amore?

RICC.

Amar più non vogl'io.

LA FL.

Mirate.

RICC.

È questo

Uno specchio.

LA FL.

Mirate.

RICC.

Oh dei, ravviso

Di Violante, il mio ben, l'amabil viso.


LA FL.                  Mirate ancora voi. (a Violante)

VIOL.                                                 Che vedo, oh Dio!

L'effigie di Riccardo, idolo mio.
RICC.                    Cara.

VIOL.                            Mio ben.

RICC.                                          Qual forza

Mi violenta ad amarvi?
VIOL.                    Son qui, torno a pregarvi...

RICC.                                                             È vano, è vano.

Ecco vostra la mano e vostro il core.
VIOL.                    Per voi sol, ve lo giuro, ardo d'amore.

Forza ignota ai sensi miei Il mio cor rese incostante. Ma serbare al primo amante Sol desio la fedeltà.

Tal sovente si condanna Della donna il core ingrato, E sarà colpa del fato Cui resister non saprà. (parte)

SCENA TERZA

Riccardo e monsieur La Flour

RICC.                    Quai prodigi son questi? io non li intendo.

LA FL.                   Perché mi siete amico,

Vuò spiegarvi l'arcano. In questi bagni

Il libro ho ritrovato

Del mago rinomato

Pietro d'Abano detto, e vi protesto

Che fa cose stupende.
RICC.                                                      Intendo il resto.

Dunque è fida Violante?
LA FL.                                                       Ella è per voi

Qual la vedeste nello specchio. Un vetro

Quest'è puro e sincero,

Che delle donne fa scoprire il vero.

Povere femmine,

Se ve ne fossero

Di questi specchi

Gran quantità! Si scoprirebbono

Le loro macchine,

Si vederebbono

Le infedeltà. (parte)

SCENA QUARTA


Riccardo solo.

Questi specchi sariano

Scellerati per l'uom. Miseri noi,

Se tutti della donna

Anche i pensier s'avesse

Da esplorar, da veder! Basta, qualora

La sua bella dall'uom fedel si crede;

È un tesoro per noi la buona fede.

È un dolce tesoro

La pace, la calma;

Felice quell'alma

Che ignora il timor.

Non mancan pretesti

Per esser scontenti.

Gelosi tormenti

Non prova il mio cor. (parte)

SCENA QUINTA

Pirotto, poi Lisetta

LIS.

Pirotto, addio.

PIR.

Dove, Lisetta mia?

LIS.

La padrona domani anderà via.

PIR.

E tu?

LIS.

Sciocco che sei!

Me lo domandi? partirò con lei.

PIR.

Ma perché dirmi sciocco?

LIS.

Perché già

Non ne dici mai una come va.

PIR.

Bella grazia che hai da farti amare.

LIS.

Verrò da te a imparare.

PIR.

Forse t'insegnerei quel che non sai.

LIS.

Da un asinaccio non s'impara mai. (alterata)

PIR.

Presto, vatti a bagnar.

LIS.

Taci, che or ora

Ti rompo il grugno, e finirò la tresca.

PIR.

Presto, vatti a bagnar nell'acqua fresca.

LIS.

Temerario!

PIR.

Fraschetta!

LIS.

Indegno!

PIR.

Pazza!

LIS.

Pazza a me?

PIR.

Temerario ad un par mio?

SCENA SESTA


Monsieur La Flour e detti.

LA FL.

(Si grida).

LIS.

Questa volta

Sarà finita.

PIR.

Sì, finita sia.

LIS.

Maledetto.

PIR.

Mai più ti guarderò.

LIS.

Non sei degno di me.

LA FL.

(L'aggiusterò). (li tocca con una verga, e parte)

PIR.

Possibile, Lisetta,

Che mi vogli lasciar?

LIS.

Pirotto mio,

Dunque non mi ami più?

PIR.

Cara, quel viso,

Quell'occhietto mi piace.

LIS.

Io per te nel mio core ho una fornace.

Maledetto questo vizio!

Non mi voglio più arrabbiar.

Vuò godere, voglio amar.

Non temer, sarò bonina;

Dalla sera alla mattina

Ti prometto di tacer.

Ma di giorno... qualche volta...

Tacerò, se potrò.

Sarò buona, non temer. (parte)

SCENA SETTIMA

Pirotto solo.

Tacerò, se potrò? Ho gran paura

Che resister non possa alla natura.

Eppur le voglio bene.

Anzi mai più l'amai come ora l'amo.

Anzi adesso la bramo,

E la voglio per me.

Sento che mi cangiai, né so perché.

Donne belle, Voi avete

La magia nel vostro cor. Siete quelle Che potete

Far di noi quel che vi par. Sdegnosette Ci piagate. Vezzosette Imbalsamate.


Incostanti nell'amor,

Ma graziose nell'amar. (parte)

SCENA OTTAVA

Gabinetto con tavolino che devesi trasformare.

Luciano, poi Marubbio

LUC.

Ah, che mi sento al fin de' giorni miei;

Un notaro vorrei.

L'ho detto anche a Pirotto,

Ma non lo vedo più. Deh, caro amico,

Trovatemelo voi, per carità.

MAR.

Or or lo trovo, e ve lo mando qua. (parte)

LUC.

Tanti spaventi, tante stravaganze

Unite a tanti mali?

Vado presto a far terra da boccali.

SCENA NONA

ROSINA e detto.

ROS.

Signor Luciano mio,

Son tutta spaventata.

LUC.

E tremo anch'io.

ROS.

Che pensate di far?

LUC.

Pria di morire,

Voglio far testamento.

ROS.

Oh quest'è bella!

Testamento? perché?

LUC.

Perché davvero

Mi sento male, e di guarir dispero.

ROS.

Avete roba da disporre assai?

LUC.

Molta ne consumai,

Ma me ne resta ancora

Per esser grato cogli amici miei.

ROS.

(Allettarlo vorrei!

Ma se ricco non è,

Coll'ipocondria sua non fa per me).

SCENA DECIMA

Marubbio vestito da Notaro, e detti.

MAR.                    (Io vuò con questo pazzo

Buscar qualche denaro, e aver sollazzo).


ROS.

Chi è costui?

LUC.

Padron caro,

Vussignoria chi è?

MAR.

Sono il notaro.

LUC.

Favorisca, vorrei far testamento.

MAR.

Quando?

LUC.

In questo momento.

MAR.

Ed io la servirò.

LUC.

Scrivete, ecco la carta; io detterò.

MAR.

(Siede al tavolino, e Luciano siede poco lontano)

ROS.

(Son curiosa sentir; se fosse ricco,

Vorrei fargli cambiare in un momento

In contratto di nozze il testamento).

LUC.

Lascio al mio fratel carnale

Una possession che vale

Mille doppie, e ancora più.

ROS.

(Principia assai bene,

La somma va su).

LUC.

Lascio a Nardo, mio parente,

De' miei mobili il valsente,

Che a due mille arriverà.

ROS.

(Due mille, tre mille.

Crescendo si va).

LUC.

Lascio il resto de' miei beni,

Che son scudi venti mille,

Dispensati per le ville

Della mia comunità.

ROS.

(Va bene. Vogl'io

La sua eredità).

LUC.

Scrivete. (al Notaro)

ROS.

Fermate. (al Notaro)

LUC.

Lasciatelo far.

ROS.

Sentite - badate,

Vi voglio parlar.

LUC.

Via dite, parlate,

Vi voglio ascoltar.

ROS.

Sarebbe meglio assai,

Che moglie voi prendeste.

Felice voi sareste

In pace e sanità.

LUC.

La moglie... sì... vorrei...

Ma con i mali miei...

Notaro, scrivete.

ROS.

Notaro, fermate.

Vi voglio parlar. (a Luciano)

LUC.

Vi voglio ascoltar.

ROS.

Una sposina bella

Alfin vi guarirà.

LUC.

Ah, se voi foste quella...

Se mi voleste... ma...

Scrivete. (al Notaro)

ROS.

Fermate. (al Notaro)


Per me vi prenderò,

E vi risanerò

Da tutto il vostro mal.

LUC.

Contento sarò io.

ROS.

Sarete l'idol mio.

a due

Notaro, non scrivete,

Ve ne potete andar.

Andate, che vi mando

A farvi soddisfar.

LUC.

Voi sarete mia cara sposina.

ROS.

Voi sarete il mio caro marito.

LUC.

Voi sarete la mia medicina.

ROS.

Presto, presto sarete guarito.

a due

Che diletto - mi sento nel petto!

Bel piacere che amore mi dà.

ROS.

Ma il contratto

Delle nozze

Fra di noi quando si fa?

LUC.

Il notaro

Se n'è andato.

Si è mandato via di qua.

a due

Ehi notaro, dove siete?

Dove andato mai sarà?

(Si trasforma il tavolino, e comparisce il Notaro)

a due

Eccolo qui... (tremando sempre)

Come così...

Presto tornò?

ROS.

Presto, la mano... (a Luciano)

LUC.

Ecco la mano...

a due

Scrivete, signore... (al Notaro)

Mi palpita il core.

Non posso parlar.

LUC.

Quest'è la sposa mia.

ROS.

Quest'è lo sposo mio.

a due

Facciamo il matrimonio.

Quel brutto testimonio

Chi diavolo sarà?

Amor mi dà contento.

Colui mi fa spavento.

Noi siamo maritati,

Ma mezzi spiritati;

Fra gioia e fra timore

Il core se ne sta. (partono)

(Torna il tavolino a chiudersi come era prima)

SCENA ULTIMA

Violante, Riccardo, Lisetta, Pirotto, Marubbio

e poi Luciano, Rosina e monsieur La Flour

VIOL.

Presto, Riccardo mio,


Andiamo via di qua.
RICC.                                                   Fra questi bagni

Dei prestigi vi sono.
LIS.                                                       Io più non voglio

Con il diavolo aver qualch'altro imbroglio.
MAR.                    Resto meravigliato ancora io.

PIR.                       Il diavolo si è fatto amico mio.

LUC.                     Schiavo, patroni miei.

RICC.                                                      Andate via?

LUC.                     Io me ne vado colla sposa mia.

PIR.                       Come, signor padron?

ROS.                                                        Sì, mi ha sposata.

Son stata maritata da un notaro,

Che un demonio lo credo al parer mio.

(Torna a trasformarsi il tavolino, ed esce)
LA FL.                   L'incognito notar sono stat'io.

VIOL.                    Che vedo!

LUC.                                       Oh meraviglia!

LA FL.                                                           Ecco il gran libro

Che oprò tanti prodigi.

Detesto i rei prestigi.

Il libro abbrucierò. Ma voglio prima

L'ultima volta usar della magia.

Vuò che tutti per mare andiamo via.

(Batte colla verga in terra, e sparisce la sala, e comparisce una Scena di

mare, con navi alla vela)
LUC.                                Che bel piacere è questo!

PIR.      } atre    Balzareprestopresto

MAR.                                 Dalla montagna al mar!

VIOL.                              Mi piace, mi diletta

LIS.      } atre    LMaafuonrzpaoecoladbirpavauurraa.

RICC.

Ancor mi fa tremar.

TUTTI                             Andiamo, andiamo via.

Partiamo in compagnia, Pria che sparisca il mar. (partono

Fine del Dramma.