I bambini al potere

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VICTOR

VICTOR

o

I BAMBINI AL POTERE

Roger Vitrac

PERSONAGGI


ATTO PRIMO                La camera da pranzo

SCENA PRIMA

Lili, che apparecchia la tavola, Victor, che la segue.

VICTOR. …E benedetto il frutto del tuo sesso, Gesù.

LILI. Intanto si dice il frutto del tuo seno.

VICTOR. Può darsi, ma è meno efficace.

LILI. Basta Victor! Ne ho abbastanza di questi discorsi. Mi fai dire delle scemenze.

VICTOR. Perché sei una vecchia scema.

LILI. Tua madre…

VICTOR. …quanto è buona.

LILI. Se tua madre ti sentisse…

VICTOR. Quant’è buona. Ah! Ah! Quant’è buona! Questa è buona!

LILI. Ho detto qualcosa da ridere?

VICTOR. E che, non posso voler bene a mia madre?

LILI. Victor!

VICTOR. Lili!

LILI. Victor, oggi compi nove anni. Ormai non sei quasi più un bambino.

VICTOR. Quindi l’anno prossimo sarò un uomo? Un bell’ometto?

LILI. Devi essere serio.

VICTOR. Così potrò trattarti seriamente da puttana. (Lei lo schiaffeggia. Victor, continuando) A meno che tu non voglia… (Lei lo schiaffeggia di nuovo; Victor, imperterrito) …fare con me quello che fai con gli altri.

LILI (lo schiaffeggia ancora). Moccioso!

VICTOR. Vorresti sostenere che non sei andata a letto con mio padre?

LILI. Va’ via o ti strangolo.

VICTOR. No, bella mia? Eh, l’ometto?

LILI. Ma non avete pietà alla vostra età.

VICTOR. Tu hai tre volte la mia età, Lili.

LILI. Smettila, smettila ti prego!

VICTOR (prendendo un bicchiere sul tavolo). Vedi questo bicchiere, Lili?

LILI. Sì e allora?

VICTOR. È un bicchiere di cristallo di Baccarat. Ormai lo sanno tutti. Mia madre non fa che ripeterlo a ogni ricevimento. È unico nel suo genere perché appartiene a un servizio unico, e cioè, l’avrei dovuto dir subito, costa carissimo. Stammi a sentire. Compio nove anni. Finora sono stato un bambino modello. Non ho mai fatto niente di quello che m’hanno proibito. Mio padre lo ripete ogni cinque minuti: è un bambino modello che ci dà tutte le soddisfazioni e che merita ogni ricompensa, e per il quale siamo felici di fare ogni sacrificio. Mia madre dice che lei sputa sangue, ma il sangue resta in famiglia e siccome buon sangue non mente, insomma, te l’ho detto, finora sono stato irreprensibile. È vero che non metto mai la mano davanti a visiera quando devo pisciare…

LILI. Oh!

VICTOR. ...come mi hanno tante volte raccomandato, ma in compenso non ho mai ficcato il dito nel sedere alle bambine…

LILI. Sta’ zitto, mostro!

VICTOR. …come ha fatto Lucien Paradis. Se se la sente, quando compirà nove anni, lo confesserà. Ma ci tengo a dirti oggi, 12 settembre, santa Leonzia, che non aspetterò un anno di più per diventare un uomo, il che non significa niente solo che mi sono deciso a diventare qualcosa.

LILI. Sentitelo.

VICTOR. Sì qualcosa, qualcosa di nuovo, perdio!

LILI. Ma non hai paura che ti sentano.

VICTOR. Il bicchiere di Baccarat sta ancora nella mia fragile mano. Qual è più fragile?

LILI. Victor! Non vorrai mica rompere il bicchiere?

VICTOR. Se questo bicchiere cade e si rompe, la famiglia Paumelle di cui sono l’ultimo discendente, perderà tremila franchi.

LILI. Ora lo rompe.

VICTOR. Non aver paura, non lo rompo. (Rimette a posto il bicchiere) No, non romperò il bicchiere, semmai rompo il vaso. (Dà una spinta a un gran vaso di Sèvres che sta su una mensola. Il vaso cade e si rompe) Bene, ecco un acconto di diecimila franchi sulla mia eredità.

LILI. Ma è impazzito! Sei pazzo, Victor! Un vaso tanto bello!

VICTOR. Un uovo tanto bello. E non ho visto il cavallo. Tu l’hai visto il cavallo? (Imitando la voce di un padre che imita quella di un bambino) Papà, questo cos’è? (Imitando la risposta del padre) È un uovo di cavallo, un grosso cocco di cavallino.

LILI. Non rispetta niente! Guarda se ha rimorsi? Nemmeno per sogno! E l’hai fatto apposta, anche!

VICTOR. Io, e che ho fatto?

LILI. Non fare il cretino. (Imitandolo) Io, e che ho fatto?

VICTOR. Dunque tu, cara Lili, hai rotto un vaso di Sèvres.

LILI. Che? Hai il coraggio di incolparmi di una cosa che hai fatto tu, ora, apposta, sotto i miei occhi?

VICTOR. Sì.

LILI. Ma io lo dico, che sei stato tu.

VICTOR. Non ti crederanno.

LILI. Non mi crederanno?

VICTOR. No.

LILI. E perché?

VICTOR. Vedrai…

LILI. Mi piacerebbe proprio sapere perché.

VICTOR. Vedrai…

LILI. Ma è orribile, disgustoso! Io non ho fatto proprio niente, caro Victor. Non sono stata sempre gentile, non ti ho evitato…

VICTOR. Non mi hai mai evitato un bel niente.

LILI. Dio santo! Che gli prende? Che hai?

VICTOR. Ho nove anni. Ho un padre, una madre, una cameriera. Ho una nave a benzina che parte e torna al punto di partenza dopo aver sparato due colpi di cannone. Ho uno spazzolino da denti personale col manico rosso. Quello di mio padre ha il manico blu. Quello di mia madre, il manico bianco. Ho un elmetto da pompiere con relativi accessori consistenti in una medaglia al valor civile, un cinturone verniciato e l’ascia d’abbordaggio. Ho fame. Ho un naso regolare. Non ho i paraocchi, né le mani legate, perché sono troppo piccolo. Ho un libretto di risparmio su cui zio Octave il giorno del mio battesimo ha depositato cinque franchi, col prezzo del libretto e del bollo in tutto ha speso sette franchi. A quattro anni ho avuto la varicella e senza il termometro del dottor Ribiore ci sarei rimasto. Non ho più nessuna malattia. Ho la vista buona, la testa sulle spalle, e grazie a queste doti ti ho visto compiere, senza nessun motivo, un gesto riprovevole. Saranno soddisfatti, in famiglia.

LILI (piagnucolando). Non hai il diritto di farlo. Non è giusto. Se hai un po’ di cuore darai a te la colpa. Così si comportano i ragazzini leali e sinceri.

VICTOR. Non sono un ragazzino e non dirò che la colpa è mia perché sei stata tu a rompere il vaso.

LILI. Ah sì? allora vedremo.

VICTOR. Mi minacci? Bada Lili, rompo anche l’altro.

LILI (in lacrime). Che cosa tremenda! Un bambino così dolce, così bravo. Ma che ha visto? Con chi sarà stato?

VICTOR. Non capirai mai. Non capirai perché sei stupida, maldestra e viziosa. Non mi invento niente. Non appena mia madre avrà constatato il danno, darà subito la colpa a te, e tu sarai così vigliacca da farle le scuse, come se il più piccolo insulto non valesse mille volte di più del grosso cocco del cavallo.

LILI. Ora mi chiede di insultare la madre!

VICTOR. Ma tu non sei mica figlia sua!

LILI (scoppia in lacrime). Non capisco. Non capisco più niente.

VICTOR. Ora capirai. Sebbene io non abbia rotto l’uovo in questione…

LILI. Oh!

VICTOR. ...potrei prendermi la colpa. Lo farei volentieri, ma non mi crederebbero.

LILI. Cosa?

VICTOR. Non mi crederebbero, perché in vita mia non ho mai rotto niente. Non un pianoforte, non un biberon. Mentre tu hai già al tuo attivo l’orologio a pendolo, la teiera, la bottiglia di nocino ecc. Se dico che sono stato io, lo sento già mio padre: il caro bambino vuol salvare Lili. E mia madre: Victor quello che fai è molto bello, quanto a voi, Lili, vi licenzio. Siccome ci sarà gente, non ti diranno altri insulti. Che vuoi, hai rotto il vaso, non posso farci niente. Proprio niente. Perché, non potendo essere colpevole, sono nell’impossibilità di averlo rotto.

LILI. Però è rotto.

VICTOR. Sì, hai fatto male. (Pausa). Certo potrei dire che è il cavallo…

LILI. Il cavallo?

VICTOR. Sì, il famoso cavallino che doveva nascere dal grosso cocco. Se avessi tre anni lo direi, ma ne ho nove, e sono tremendamente intelligente.

LILI. Ah! se almeno io avessi rotto il bicchiere…

VICTOR. Sono tremendamente intelligente. (Avvicinandosi a Lili e imitando la voce del padre) Non piangete, Lili, non piangete, bambina cara.

LILI. Victor! Che ti prende?

VICTOR (continuando il gioco) Vi supplico, non piangete. La signora vuole licenziarvi, ma la signora non conta niente. Qui il padrone sono io. Dopotutto la signora mi adora, anche se mai quanto vi amo io. Intercederò per voi e avrò partita vinta. Ve lo giuro. Cara Lili. (La bacia) Vi salverò. Contate su di me e all’alba verrò di persona a darvi la buona novella in camera vostra. Caro agnello di fuoco! Torre notturna! Rosa di David! Pastora di stelle! (Balza in piedi e si mette a gridare con quanto fiato ha in corpo, le braccia levate) Prega per noi! Prega per noi! Prega per noi! (Prorompe poi in un gran scoppio di risate).

LILI (parlando tra sé con rabbia). No, no, no. Me ne vado, me ne vado. Voglio andarmene subito. Victor è diventato pazzo. Non è più un bambino.

VICTOR. Non ci sono più bambini, non ci sono mai stati bambini.

LILI (stesso tono). Che casa schifosa! Vado via. Adesso sono io che voglio andarmene. Voglio andarmene e me ne andrò. E ha solo nove anni. Promette bene Totor!

VICTOR. E quel che prometto mantengo. Non avrai noie, resta.

LILI. No.

VICTOR (ricominciando il gioco di prima). Resterai. Resterete, mia cara Lili. Visione celeste, Valva vellutata, Gambo di lune, resterete…

LILI. Va bene resterò! Vuoi farmi cantare, sporco moccioso, teppista! Certo resterò, ma me la pagherai.

VICTOR (baciandola con gentilezza). Su, non ce l’ho con te, non avrai noie, Lili, te lo giuro… perché sono tremendamente intelligente. Peccato che sia stata tu la prima a pagare.

         Lili esce piangendo.

SCENA SECONDA

         Victor, solo.

VICTOR (si siede, si prende la testa tra le mani e rimane in silenzio per qualche attimo). Tremendamente… intelligente. (Pausa). Stanotte ho visto mio zio, il deputato, il domatore di orsi, in giardino, sotto la tuia. Era tutto bianco con un fucile bianco come il marmo. È un uomo arrivato. Mi avvicinavo a lui, però a debita distanza dalle sue mani. Che mania quella di accarezzarmi la fronte e di dire: come mi somiglia! Ah! questo è un vero Paumelle! All’improvviso vedevo su una nuvola, netto, lo zig-zag di un lampo… Fummo sorpresi dal temporale l’anno scorso, un 14 luglio. Dei cavalli s’impennavano davanti alle bandiere della gendarmeria. Tutti erano allegri. Mio padre che teneva le briglie portava dei guanti neri. Il lampo come allora era rosa. Notai il suo guizzo istantaneo: disegnava il contorno della costa della Manica. Lo seguivo col dito sotto la pioggia. Il deputato aizzava i suoi orsi e mi proclamava il suo affetto: «Victor, sei tremendamente…»[1].

SCENA TERZA

         Victor, Esther.

ESTHER. Buongiorno Victor, tanti auguri per la tua festa. (Lo bacia).

VICTOR. Ah, sei tu Esther, buongiorno. (Pausa). Grazie.

ESTHER. Di niente.

VICTOR. Di niente? Allora perché lo dici?

ESTHER. Si dice di niente, per educazione.

VICTOR. Al mio paese si dice non c’è di che.

ESTHER. Ma è più lungo.

VICTOR. Sta’ a sentire, Esther, non t’impicciare di me. Lasciami in pace. Bada alle tue bambole, accarezzati i gatti, ama il prossimo tuo come te stessa, fa’ la brava bambina in attesa di diventare una buona moglie e una buona madre.

ESTHER. Cattivo, non mi vuoi più bene.

VICTOR. Non capisci, non capirai mai. Sei come Lili. Proprio come Lili che ha rotto il vaso un minuto fa, e vedrai che la manderanno via perché ha intenzione di dare a me la colpa.

ESTHER. E non sei stato tu?

VICTOR. Evidentemente no. Se fossi stato io, non starei a vantarmene.

ESTHER. Certo. (Pausa). Povera Lili!

VICTOR. L’argomento è chiuso. Senti qua, Esther, ho una bella storia da raccontarti.

ESTHER. Oh bella, dilla subito.

VICTOR. Conosci Pierre Dussène? Sì che lo conosci, quello che va in giro con una gran frusta e fa collezione di serpenti. Dunque, ieri sera sono uscito con lui.

ESTHER. Ieri sera? Senza Lili?

VICTOR. No, Lili è venuta ma l’abbiamo cacciata via a sassate. Non fiaterà, la tengo in pugno. Mentre noi andavamo allo spettacolo del baraccone ci ha aspettato da sua sorella.

ESTHER. Che fortuna hai tu, Victor.

VICTOR. Zitta!… Era stupendo. (Man mano che racconta imita gli attori) Davanti a un sipario rosso e a molte farfalle, un uomo con la faccia ricoperta di piume si rotolava ai piedi di una donna a cavallo che portava una gran croce.

ESTHER. Davvero?

VICTOR. E cantava:

                   Se voi mi amate

                   o non mi amate

                   cosa, signorina,

                   mi può importar?

                   Se voi mi amate

                   o non mi amate

                   i miei piselli

                   lasciatemi piantar.

ESTHER. Divino!

VICTOR. Sì, signora Magneau junior, divino! Ma non è tutto. Dopo lo spettacolo Pierre e io siamo andati dietro la baracca e abbiamo sollevato il telone.

ESTHER. Ah! E che avete visto?

VICTOR. L’uomo imbrattato di piume se ne stava sdraiato sulla schiena e succhiava il pipí di una capra.

ESTHER. E la donna?

VICTOR. La donna mangiava un pezzo di pane.

         Lunga pausa.

ESTHER. Senti, Victor, ce l’ho anch’io una storia da raccontarti.

VICTOR. Finalmente!

ESTHER. Perché finalmente?

VICTOR. No, niente.

ESTHER. Somiglia un po’ alla tua.

VICTOR. Mi fai venire l’acquolina in bocca.

ESTHER. Si tratta di tuo papà.

VICTOR. Ah!

ESTHER. Sì, e di mammina.

VICTOR. Eh, vedi, vedi, la signora Magneau. Diavolo di una Thérèse!

ESTHER. Se ridi non parlo più.

VICTOR. Non rido, sghignazzo.

ESTHER. Ah, approvi, allora?

VICTOR. Approvo, non potevi trovare espressione più adatta. Sai che stai insinuando?

ESTHER. No, è una battuta.

VICTOR. Quant’è carina!

ESTHER. Grazie. (Lo bacia). Stavo seduta sulle ginocchia di mamma in salotto e tenevo uno dei suoi orecchini. Mi hanno fatto i buchi adesso. Accendi un candelabro. No, non voleva. Suonano alla porta. Mamma si alza di scatto e io cado a terra. Pim-pam con tutte e due le mani: «Idiota, non sai stare attenta». L’idiota ero io.

VICTOR. Con gli anelli?

ESTHER. Certo. Una guancia graffiata, ma tenevo in mano il suo orecchino: rotto. E chi era?

VICTOR. Il mio papà.

ESTHER. Esatto.

VICTOR. «Va’ a dormire».

ESTHER. «Non ho sonno». Chiaro, ogni volta che viene qualcuno: a letto!

VICTOR. Viene molta gente?

ESTHER. No, il signor Paumelle.

VICTOR. Papà. È bello, no?

ESTHER. Bello? Oh, è tutto liscio.

VICTOR. Vuoi dire nudo?

ESTHER. No, solo le mani e la faccia.

VICTOR. Beata innocenza! Continua.

ESTHER. Allora senti. Io rimango, mi dànno un libro. «Buongiorno Charles». «Buongiorno Thérèse». «Dov’è il caro Antoine?». Papà dormiva. Si sono seduti sul divano ed ecco quello che ho sentito. Mamma diceva: «Pissi pissi piri». Tuo padre: «Teresoro, stracciami!». La mia: «Carlo, di buchi saziami» o una cosa del genere. Il tuo: «Tesoresa, bambola!». Lei: «Ma se Antoine di qua e di là…». Lui: «Il tuo collo mi salverà». La mia: «Ora radiosa». Il tuo: «Ferma con la piovra rosa». Della piovra sono certa, il resto suppergiù così.

VICTOR. Nient’altro?

ESTHER. Lei si è messa a piangere e lui se n’è andato via sbattendo la porta.

VICTOR. E poi?

ESTHER. Poi è entrato papà in camicia. Ha fatto il giro della stanza dicendo: «Non mi sento bene». Dice sempre che non si sente bene. Mamma ha risposto: «Nemmeno io». Lui si è inginocchiato ai suoi piedi. Mamma tremava e lui ha cominciato a gridare come fa da qualche giorno: «I vitelli valgono più dei vostri bambini, Bazaine!». Siccome il dottore ha raccomandato a mamma di non contrariarlo, siamo andati tutti a letto.

VICTOR (alzandosi come in preda a un improvviso delirio). Ah che destino! Subire di volta in volta la prova del martello, della pialla, della penna, delle valvole, del vapore, dell’amore. Ora dell’amore. È il pesante stivale di mio padre e la gran vertigine di donne nel loro appartamento. (Declamando)

                   L’ho fatto entrare nel suo appartamento

                   l’ho fatto entrare nel suo appartamento.

(Annunciando) Eccoli: Il Bambino Terribile, Il Padre Snaturato, La Buona Madre, La Moglie Adultera, Il Cornuto, Il vecchio Bazaine. Viva la rondine, l’otarda, l’uccello paradiso, il cacatoa, il martin pescatore. Viva il rombo chiodato e la torpedine. (Cambiando tono a Esther che segue la scena con occhi e bocca spalancati) Viva Antoine!

ESTHER. Viva papà! (Scoppia in lacrime).

VICTOR. Ah, respiro!

ESTHER (urlando). Mi fai paura. (Si rimette a piangere).

         Entrano Charles, Émilie Paumelle e Thérèse Magneau.

SCENA QUARTA

         Victor, Esther, Charles Paumelle, Émilie Paumelle, Thérèse Magneau.

ÉMILIE (entrando). Charles!

CHARLES. Presente!

ÉMILIE (indicando i cocci del vaso). Il vaso di Sèvres.

CHARLES e THÉRÈSE (insieme). Oh!

CHARLES. Victor, chi l’ha rotto?

ÉMILIE. E lo domandi anche? Questo è troppo! Dov’è Lili?

CHARLES. È stata Lili?

VICTOR. No, è stata Esther.

THÉRÈSE. Sei stata tu, Esther?

VICTOR. Non vedete che piange?

         Entra Lili per servire.

SCENA QUINTA

         Gli stessi, Lili.

VICTOR (a Lili). Dice che sei stata tu a rompere il vaso. Di’ la verità, l’hai rotto tu?

LILI. No.

VICTOR. È stata Esther. Ho avuto la malvagia idea di dirle ch’era un uovo di cavallo e appena ho voltato le spalle lei l’ha rotto per veder nascere il puledro.

ÉMILIE (a Charles). Lo vedi, cretino, con le tue storie.

CHARLES. Ma Victor non l’ha mai rotto…

ÉMILIE. Victor, certo, Victor. Lui non si è mai bevuto le tue idiozie.

         Lili esce.

SCENA SESTA

         Gli stessi, meno Lili.

THÉRÈSE. Esther vieni qua. (Esther non si muove). Hai sentito Esther? T’ho detto di venire qua. Vuoi che venga io? To’! (Le dà due schiaffi).

VICTOR. Scusi, signora Magneau, si è tolta gli anelli?

CHARLES. Victor, di che ti impicci?

ÉMILIE (a Thérèse). Il piccolo caro teme che lei possa ferire Esther con i diamanti.

THÉRÈSE (confusa). Ha ragione, ma questa mocciosa è insopportabile e merita un castigo, perché, cara Émilie, quel vaso era un pezzo molto raro, che valeva moltissimo, no?

CHARLES. Dio mio, Thérèse, essendo io il reo principale di questa storia, è giusto ch’io ne paghi il fio.

VICTOR. Tanto più che questi oggetti nonostante il loro volume sono più fragili dei suoi anelli e dei suoi orecchini, vero?

THÉRÈSE (arrossendo). Non ho mai picchiato mia figlia con degli orecchini, ch’io sappia.

ÉMILIE. Ma dove andrà a pescarle queste trovate! Io trovo che questa risposta è proprio buona. Non s’offenda, Thérèse. Sono del parere che la prontezza di spirito nei bambini va incoraggiata.

VICTOR. Esther è stata punita abbastanza, signora, mi creda, e io le chiedo, è il mio compleanno, ne ho diritto, di farle grazia.

CHARLES. Bravo, Victor. Thérèse, baci sua figlia e non se ne parli più.

ÉMILIE. Vieni figlio mio, vieni Victor. Prendi, ecco dieci franchi.

THÉRÈSE (a bassa voce a Esther). Insomma, Esther vuoi dirmi perché l’hai fatto?

ESTHER (che ha smesso di piangere). Perché oggi Victor compie nove anni.

THÉRÈSE. Ah, sì? To’! (Le dà uno schiaffo).

TUTTI. Oh!

THÉRÈSE. Scusami, Victor. È l’ultimo della serata, ma è stato più forte di me.

Esther non fiata. Victor va a raggiungerla nell’angolo dov’è e si mettono a parlare a bassa voce.

CHARLES. Parliamo d’altro, e non amareggiamoci la festa con urli e pianti. A proposito, Antoine non è ancora arrivato, e il generale nemmeno?

THÉRÈSE. Oh, Antoine! Se lui non avesse insistito tanto per venire lo avrei lasciato volentieri a casa.

ÉMILIE. Che dice mai, Thérèse, lei voleva abbandonare Antoine al suo destino; ma cara, a me sarebbe dispiaciuto moltissimo e Victor che lo adora non glielo avrebbe mai perdonato.

THÉRÈSE. Ah, le assicuro, non è affatto divertente.

ÉMILIE. Cosa?

CHARLES. Sì, cara Émilie, Antoine non sta bene. È…

THÉRÈSE. È pazzo.

ÉMILIE. Pazzo?

THÉRÈSE. Ahimè!

ÉMILIE. Ma è orribile!

CHARLES. Suvvia, Émilie, non cadere dalle nuvole. Sai perfettamente che Antoine ogni tanto andava soggetto a delle crisi. Una volta erano rare, ma ora diventano sempre più frequenti. Thérèse col passare dei giorni se ne è preoccupata sempre di più. Finché, oggi, è allarmata.

THÉRÈSE. Sì.

ÉMILIE. Su, su Thérèse, non si abbatta così. Non si perde la testa di punto in bianco.

VICTOR (che ha teso l’orecchio). Sì di punto in bianco. (Tutti si voltano verso di lui). Di punto in bianco. Un bel giorno raccoglie degli eserciti come un ramoscello di foglie. Mira all’occhio. Le più belle donne della terra sono imprigionate nei loro pizzi insanguinati e i fiumi si rizzano come serpenti incantati. L’uomo circondato da uno stato maggiore di belve carica alla testa di una città con le case che marciano dietro di lui compatte come cassoni d’artiglieria. I fiori cambiano bandiera. Le greggi perdono la messa in piega. Le foreste si diradano. Dieci milioni di mani si accoppiano con gli uccelli. Ogni traiettoria è un arco. Una musica, ogni mobile. Di punto in bianco. Ma lui comanda.

         Tutti guardano Victor smarriti.

CHARLES. Victor! Che gli prende? Che hai?

VICTOR. Ho le traveggole.

ÉMILIE. Victor! Ma non l’ho mai visto così. Victor non ti senti bene? Rispondi. Vuoi le gocce? Su prendi una goccia d’acqua di mellissa su una zolletta di zucchero.

VICTOR (scoppiando a ridere). Che succede? Non stavate parlando di Antoine? Antoine deve venire, l’avete detto voi, anche se è malato. Tipico di mia madre! Non appena sente parlare di malattie vede malati dappertutto.

CHARLES. Bando agli scherzi. Voglio che mi spieghi quello che stavi dicendo.

VICTOR. Ma non c’è niente da spiegare, paparino. Facevo il pazzo. Non è la fine del mondo!

CHARLES. No, ma è una mancanza di tatto nei confronti di Thérèse e devi farle le scuse.

ESTHER. Gli proibisco di fare le scuse a mamma.

TUTTI. Come?

ESTHER. Sì, glielo proibisco.

CHARLES. E perché, di grazia, signorina?

ESTHER. Non lo so. Ma non voglio che le faccia le scuse. A me non è stato detto di farle quando ho rotto i cocci.

THÉRÈSE. E va bene, sia, è esentato dalle scuse. Vedete, Esther non è poi cattiva. Ma ci spiegherà cosa significava quella specie di delirio di cui nessuno sono convinta ha capito niente.

VICTOR. Come, non avete indovinato?

TUTTI. Ah, no. Proprio no. Come potevamo indovinarlo?

VICTOR. Ebbene quelle parole erano solo, e nient’altro, che le frasi scomposte del mio prossimo tema di francese.

         Un attimo di silenzio poi tutti incominciano a ridere forzatamente.

CHARLES. Ah, che discolo! Un vero buontempone, eh? Che volete con lui qualche colta bisogna pure lasciar correre, ci dà tante soddisfazioni. Il suo professore, che ho incontrato ieri, me l’ha ripetuto ancora. Questo ragazzo, se non gli succede nulla, si farà strada, molta strada. È tremendamente intelligente. Capisce, Thérèse, tremendamente.

THÉRÈSE. Eh ho capito, è tremendo!

         Antoine Magneau entra di volata.

SCENA SETTIMA

         Gli stessi, Antoine Magneau.

ANTOINE. Buona sera. Dov’è? Ah, eccolo qua! Cresce a vista d’occhio, quanti anni hai? Nove, e sei alto un metro e ottanta. Quanto pesi? Non ti pesi mai? Fai male. Chi spesso campa ben si conosce. Chi ben si conosce bene si pesa. Che bel ragazzo, il suo, Charles. È il ritratto preciso di Galvani, sì, quello che ammaestrava le ranocchie. Eh, una risata ogni tanto non fa male. Lei, Émilie, sempre triste? Che noia! Sempre così a questo mondo. Ah, vi mettete a romper vasellame. Bravo, Charles. Viva il martello. Io preferisco la sega, è più melodiosa. Questione di gusti, no? Buona sera Thérèse. (La bacia) Come non mi baci? Non mi bacia. Non mi bacia mai. Chissà perché. Questione di resa. Undicimila fucili, trecento cannoni e i falò di bandiera. Che vita! Ah, ecco la piccola vivandiera. Signorina Esther. Salutiamo militarmente. Viva il primo console! (Canta)

                  Sono la figlia di Mont-Thabor, ran, ran, ran, ran

                   la figlia del tambur maggior, ran, ran, ran, ran.

(Bacia sua figlia) Sentite, sono contento di vedervi tutti in buona salute. Specialmente Charles. Caro Charles, lei è innamorato. No? Andiamo! Émilie, non le faccio i miei complimenti, lei non ce la fa a star dietro a questo fusto. Suvvia, Thérèse, facci vedere come dài fuoco alla miccia. Su, il gioco di mani, di caviglie, le roteate d’occhi, l’ondeggiamento degli organi e per finire, per finire, la pace di Dio, la pace di Dio…

CHARLES. Antoine caro perché non beve… un bicchierino, una china, su…

ÉMILIE. Sì, una china...

THÉRÈSE. Caro, ti prego, taci. I bambini t’ascoltano. Siediti.

ANTOINE. Oh, come siamo bravi! (Si lascia cadere su una sedia).

VICTOR. Signor Magneau, signor Magneau!

ANTOINE. Eh?

ÉMILIE. È il bambino, il mio Victor, Victor che la sta chiamando.

ANTOINE. Sei tu, Victor? Vieni qui, bambino, e dimmi che vuoi da me.

VICTOR. Voglio che tu mi parli di Bazaine.

TUTTI. Oh, Victor!

ANTOINE (recitando come una lezione imparata a memoria)

Bazaine (zè-ne) (Achille), maresciallo di Francia nato a Versailles. Si distinse in Crimea e fu comandante in capo al Messico, non senza merito; ma nel 1870-71, incaricato della difesa di Metz, si può dire che con l’incuria, l’incapacità, la scarsa lungimiranza e la meschinità delle sue vedute praticamente tradì il paese. Si lasciò rinchiudere nella piazzaforte e irrisori furono i suoi tentativi di spezzare l’accerchiamento. Intavolò losche trattative con Bismarck, consegnò al nemico la città senza aver adempiuto ai compiti che l’onore e i doveri militari gli prescrivevano. Condannato nel 1873 alla pena di morte, commutatagli in detenzione, riuscì a evadere e si rifugiò in Spagna dove visse circondato dal pubblico disprezzo (1811-88)1.

(Si mette a piangere).

THÉRÈSE. Tutto questo è una vergogna, una vergogna, una vergogna. (Si prende la testa tra le mani).

CHARLES. Ma no, Thérèse, le assicuro è molto divertente…

ÉMILIE. Charles! Andiamo!

VICTOR. Grazie, signor Magneau, la ringrazio.

CHARLES. Basta Victor, lo fai apposta. (Lo prende da parte) Il signor Magneau è malato dovresti aver pietà della signora Magneau e di Esther.

VICTOR. Esther mi ha assicurato che Bazaine è il suo argomento preferito, ho creduto di fargli piacere.

THÉRÈSE (che ha sentito). Sei sempre tu, Esther. Vieni qua (le dà uno schiaffo).

CHARLES (a Émilie). È strano non è vero?

ÉMILIE. Non ci capisco niente. Ma forse è contagioso. Guarda Victor.

CHARLES. Ma Antoine non c’era poco fa quando Victor…

ÉMILIE. No, ma stava per arrivare. Insomma io non sto tranquilla.

THÉRÈSE (avvicinandosi a Émilie). Le chiedo scusa, Émilie, avrei dovuto prevederlo.

ÉMILIE. Ma che vuole, cara Thérèse, tutti hanno le loro pene e noi siamo felici di darle l’occasione di dividerle con noi.

THÉRÈSE (baciandola). Mia cara, cara amica.

ANTOINE (con estrema naturalezza). Scusatemi, credo che quando sono arrivato non stavo molto bene. Ho forse trasgredito alle leggi dell’ospitalità?

CHARLES. Su, su, caro Antoine, noi faremo conto che lei abbia un po’ sognato, un po’ dormito e non parliamone più. Ora si sente bene?

ANTOINE. In gran forma.

CHARLES. Perfetto.

ESTHER. Viva papà.

ANTOINE (prendendola sulle ginocchia e baciandola). È viva Victor che bisogna dire, no? Viva i nove anni di Victor.

ESTHER. Viva Victor.

         Entra il generale.

SCENA OTTAVA

         Gli stessi, il generale Étienne Lonségur.

CHARLES. Ah! Ecco il generale!

IL GENERALE (salutando). Signora. Signora… Buona sera Charles, buona sera signor Magneau. Cresci sempre Victor? Cresci in altezza e bontà, eh?

VICTOR. Purtroppo sì, generale.

IL GENERALE. Purtroppo? Perché purtroppo?

VICTOR. Si fa per dire.

IL GENERALE. D’accordo. Quanto sei alto?

VICTOR. Un metro e ottanta, generale.

IL GENERALE. Un corazziere, ne faremo un corazziere.

VICTOR. Lei è troppo gentile, generale.

IL GENERALE. Io? Ma và, sono una carogna.

ESTHER. Non è vero.

IL GENERALE. Oh, che deliziosa bambina. Ciao, Esther. Dunque non ti va che io sia una carogna, e allora cosa sono?

ESTHER. Un generale.

         Imbarazzo.

VICTOR. Senta un po’, generale…

ÉMILIE. Ti proibisco queste familiarità, capito?

IL GENERALE. Bambina mia, tutti mi chiamano generale. Che c’è? Cosa vuole da me il piccolo Victor.

VICTOR. Lei ha conosciuto Bazaine?

TUTTI (tranne il generale e Antoine che non hanno sentito). Oh! Oh! Oh!

THÉRÈSE (a Victor prendendolo da parte). Fa’ il piacere, Victor, evita di parlare della guerra del 1870-71. Credi che gli altri si divertano? Il mio povero marito è tanto malato. Basta toccare questo argomento che gli vengono le crisi. Non lo farai più, vero, me lo prometti? Giuramelo.

VICTOR (accarezzandole lievemente le tempie). Pissi, pissi, piri.

ÉMILIE. Le sta dando ancora noia. Lo perdoni Thérèse. Certo ha nove anni, ma che sono nove anni? Andiamo a tavola, Victor, tutti a tavola.

         Tutti si seggono. Si spegne la luce. Quando si riaccende sono al dessert.

IL GENERALE (sollevando il bicchiere). Brindo ai tuoi nove anni, Victor.

TUTTI. Ai nove anni di Victor!

VICTOR. Brindo alla salute della mia amatissima madre, del mio adorato padre, del generale Étienne Lonségur, un brindisi per lei signora Magneau, uno per il signor Antoine Magneau, una per la loro figlia Esther, e per Lili la gentile domestica di questa casa.

TUTTI. Bravo! (brindano).

CHARLES. E ora, Victor, ci farai un discorso.

VICTOR. Ma non so che dire.

ÉMILIE. Su, non farti pregare. Non sei certo timido. Non credo che hai soggezione della signora e del signor Magneau.

VICTOR. No, ma è il generale.

IL GENERALE. Victor, recitaci una poesia. Che diavolo, ne saprai una. Una poesia la sanno tutti.

ÉMILIE. Recita così bene!

VICTOR (alzandosi). Generale in onor vostro e della Francia.

                   Figlio mio, sarai soldato.

                   Tu lo sai se t’amo, ma

                   già tuo padre ha dichiarato

                   che lui stesso t’armerà.

                   L’alma tua sia ben temprata

                   se il tamburo udrai diman,

                   ché alla nostra Patria amata

                   andrò a offrire la tua man.

ANTOINE (alzandosi bruscamente). Chiedo la parola.

VICTOR. Accordata, Antoine.

THÉRÈSE. Antoine, siediti.

TUTTI. Ma lo lasci fare, Thérèse, lasci che si diverta.

CHARLES. Victor, tu ti prendi troppe libertà con il signor Magneau.

VICTOR. Parla, Antoine! Silenzio in sala.

         Silenzio, terrore e imbarazzo generale.

ANTOINE. Porci. Porci. Porci. La cavalleria leggera di Sedan con i suoi cavalli arabi ah! ah! ma l’altro tutto scintillante di fronzoli tra due negri ci consegnava il Senegal e l’Alto Niger. Faidherbe che faceva? Faidherbe in piedi su un toro scortato da mille e quattrocento Spahis scendeva all’improvviso da una scaletta portatile di rame e di porpora fino al deserto dove, come un mare di cortesia, si agitavano i salamelecchi africani, e nel mezzo della fantasia piantava una palma che fa datteri tricolori:

Viva la Terza Repubblica che garantisce l’istruzione obbligatoria e presiede alla formazione dei cittadini degni di tal nome e assicura inoltre alle classi lavoratrici il beneficio di quei principi di stretta solidarietà umana che sono i più preziosi legati della Rivoluzione1.

A parte questo, tutti porci, porci e patriotti. (Smette di parlare).

         Silenzio angosciato.

VICTOR. E Bazaine?

TUTTI. Oh! Oh! Oh!

ANTOINE. Bazaine? (Fissando Charles negli occhi) Charles, la sai la storia di Bazaine.

CHARLES. No.

THÉRÈSE. Ma caro, ce l’hai già raccontata...

ANTOINE (afferrando un coltello e vibrando dei colpi nel centro della tavola). Ah, ti ho preso, Bazaine, t’ho preso e ora tieni, tieni, tieni! (Piangendo) Sto morendo. La sua fotografia! No, non ho bisogno di lei, signor curato, niente letture, la prego, comando io: Soldati, debbo dirvi la verità, sono un cornuto e ora mirate dritto al cuore, dritto al cornuto. (Crolla).

THÉRÈSE. Ve lo avevo detto io. (Piange) Da più di un mese è la stessa storia, imprevedibile, latente, terribile.

Silenzio angosciato nessuno osa muoversi. Thérèse e Charles si scambiano occhiate spaventate. Lili sta nel vano della porta. Esther in un angolo tira su col naso.

VICTOR (avvicinandosi ad Antoine). Antoine, in nome del popolo francese ti faccio cavaliere della Legion d’onore.

ANTOINE (che è di nuovo calmissimo). Sei molto caro, Victor. Anch’io ti voglio molto bene. La tua poesia mi ha molto commosso. Di chi è?

VICTOR. È di Victor de Laprade e io l’ho recitata perché si chiama Victor come me.

ANTOINE (rivolto agli astanti). Non è adorabile? Come tu, Esther, piangi? Certo tua madre non vuol darti qualcosa. Non contrariarla, oggi, Thérèse. Dàlle la mostarda, se la vuole, e adesso anche lei ci reciterà qualcosa. Tocca a lei. Vero, Esther?

ESTHER. Sì, papà. Fate silenzio che comincio.

                   Anghingò disse il lattaio

                   con la panna che ci fo?

                   Ma la gatta del salumaio

                   una cotta ci pigliò.

                   Cotta o cruda fa’ attenzione

                   o gattina di passione,

                   lui t’infilza con la milza

                   con il fegato e il polmone.

                   Anghingò, ficca la zampa

                   dentro il burro di famiglia,

                   nel veder come si sparano

                   si rifiata a meraviglia.

                   La signora dubitosa

                   chiuse a chiave la sua frutta

                   il burraio dalla culla

                   il bambino fuori butta

                   e del bravo scolaretto

                   si mangiò prima il colletto.

ÉMILIE. Oh, che amore! Victor, abbraccia Esther e ringraziala.

VICTOR. Esther sono estasiato, un abbraccio di tutto cuore.

IL GENERALE. Ah, che salti ai miei tempi! (Canta) Anghingò, anghingò… che galoppate ai miei tempi.

CHARLES. Generale, non vorrà farci credere…

         Risate generali.

IL GENERALE (indicando Esther e Victor che sono rimasti abbracciati). Una bella coppia, questi bambini. Tutti e due alti. Scommettiamo che li sposerete.

THÉRÈSE. Ah, no!

ÉMILIE. E perché no, Thérèse? Il nostro Victor con la vostra Esther, non ci avevo mai pensato, ma il mio Victor e Esther, dopo tutto, per gioco, Esther potrebbe benissimo chiamarsi Paumelle, non mi chiamo Paumelle anch’io? Certo c’è tempo per pensarci. Ma cerchi di immaginarseli insieme, e le nostre famiglie riunite. Sono sicura che Antoine è del mio parere.

CHARLES. Dio mio, Thérèse… Émilie, hanno tanto tempo.

ANTOINE. No, non ce l’hanno. Sposiamoli subito. Eh? Si fa per ridere. Su, vi sposo. Sono sicuro che già sapete fare gli innamorati. Non è vero generale? Sarà molto divertente.

IL GENERALE. Ecco, fate al papà e mamma. Che bella idea. Dài, Victor, tu sei il papà, e tu, Esther la mamma. Naturalmente comincia la donna.

         Lunga pausa, durante la quale Victor parla a bassa voce con Esther.

Esther e Victor reciteranno la scena vista dalla bambina che si è svolta tra Charles e Thérèse.

ESTHER. Pissi, pissi, piri.

VICTOR. Teresoro, stracciami.

ESTHER. Carlo, di buchi saziami.

VICTOR. Tesoresa, bambola!

ESTHER. Ma se Antoine di qua e di là…

VICTOR. Il tuo collo mi salverà.

ESTHER. Ora radiosa.

VICTOR. Ferma con la piovra rosa. (Esther fa finta di piangere. Victor esce sbattendo la porta poi entra subito con una barba finta gridando) I miei vitelli valgono più dei vostri bambini. Ba… ba… dinguet! (Si strappa la barba finta e tutti e due scoppiano a ridere).

Gli astanti sono atterriti. Antoine con aria disinvolta si avvicina a Émilie e le dice qualche frase all’orecchio.

ÉMILIE. Oh! Antoine!

IL GENERALE. Sta sbattendo i denti, Émilie, ha freddo?

ÉMILIE. Mi lasci in pace. Oh, scusi, generale. Grazie, no, non ho freddo. Ma mi lasci in pace, Antoine, insomma.

         Antoine insiste, carezza Émilie che tenta di sottrarsi.

IL GENERALE (a Thérèse). Sicuramente sta per avere un’altra crisi.

THÉRÈSE. Non lo so, non lo so, le dico. (Urlando) Non lo so.

IL GENERALE (a Charles). Cos’ha? Che vi prende?

CHARLES. Che vi prende? Che vi prende, un accidente perdio!

IL GENERALE (ai bambini). Bambini andate un momento di là.

VICTOR. No, generale.

ESTHER. No, generale.

IL GENERALE. Allora restate.

ANTOINE (insiste con le smancerie e continua a infastidire Émilie recitando).

                   Anghingò disse il lattaio

                   con la panna che ci fo?

                   Ma la gatta del salumaio

                   una cotta ci pigliò.

                   Nel veder che si fucilano

                   si rifiata a meraviglia.

Finalmente Antoine la smette e si abbatte su una poltrona con la testa fra le mani. Émilie con il capo rovesciato all’indietro e le braccia incrociate guarda ora il marito ora Thérèse. I bambini di tanto in tanto si baciano. Il generale si soffia il naso. Thérèse e Charles si dànno delle gomitate. Lunga scena muta.

ÉMILIE. Sia chiaro che io di questa scena non ho capito niente.

THÉRÈSE. Antoine, mio povero Antoine. (Piange).

CHARLES. Vorrei chiedere a Victor… Victor!

VICTOR. Papà?

CHARLES. Niente, dopo ne parliamo.

ANTOINE. Thérèse aveva ragione, non sto bene. Devo andarmene, scusatemi.

THÉRÈSE. Scusateci. Esther, muoviti! Il cappotto, i guanti…

ANTOINE. No, vado solo. Vi proibisco di accompagnarmi. Ve lo proibisco, badate. Buona sera. (Esce canticchiando)

                   La signora dubitosa

                   chiuse a chiave la sua frutta.

         Lungo imbarazzo.

SCENA NONA

         Gli stessi, meno Antoine.

IL GENERALE. Eravamo tanto allegri e adesso le lacrime, questi bambini sono così carini. Animo che la festa continua!

ÉMILIE. Ha ragione, generale. Prenda una coppa di champagne.

IL GENERALE. Volentieri, purché facciate altrettanto. Charles, il bicchiere della staffa.

CHARLES. Non posso rifiutare.

         Bevono.

IL GENERALE. Victor vieni qua, vicino a me. Vorrei farti una cosa che ti fa piacere, abbiamo nove anni! Cos’è che ti farebbe tanto, ma tanto piacere?

VICTOR. Mi dà la sua parola, generale?

IL GENERALE. Garantito. Parola di soldato.

VICTOR. Ecco, vorrei giocare al cavallino con lei.

IL GENERALE. Come?

VICTOR. Sì, come Enrico IV. Lei si mette a quattro zampe, io le monto in groppa e giriamo intorno alla tavola. Non fa niente se bussano, gli ambasciatori del re di Spagna possono aspettare…

ESTHER. Sì, sì, sì, bravo, bravo.

CHARLES. Victor! È una cosa stupida e insultante. Non posso permetterlo.

VICTOR. Generale, me l’ha promesso. Lei mi ha dato la sua parola di soldato.

ÉMILIE. È inaudito! Insomma, Victor, chiedi un’altra cosa.

IL GENERALE. Ma è molto carino chiedermi questo. Non ti rifiuterò questo favore, caro Victor. In sella. (Canta la buttasella)

                   Su svelta in sella dragoni

                   formate per quattro gli squadroni.

CHARLES. No, ancora una volta te lo proibisco.

VICTOR. Generale, non mi ha dato la sua parola di soldato?

IL GENERALE. È affar mio, Charles. Gli ho dato la mia parola di soldato e la manterrò, ben felice di poter infondere a Victor il gusto delle armi. Eh, cara Émilie ha già la statura di un corazziere. Pensi, a soli nove anni.

VICTOR (chiamando il generale che si è messo a quattro zampe). Cocotte, cocotte, cocotte! (Il generale si avvicina a Victor che lo prende per le cordelline come se fossero briglie. Il generale sta al gioco e imita il cavallo. Nitrisce, scalcia, s’impenna ecc. Sembra che lo stiano domando). Indietro, indietro, là, là. (Gli porge nel palmo della mano un pezzetto di zucchero. Il cavallo si calma. Victor monta in sella) Iop iop. (Imbarazzo generale, tranne Esther che è piegata in due dalle risate). Al galoppo, al galoppo, al galoppo! (Gli dà un colpo di speroni).

ATTO SECONDO          Il salotto

SCENA PRIMA

         Entra Thérèse, seguita da Charles.

THÉRÈSE. Che vita! Che disgrazia! Che razza di bambini! E come se non bastasse, anche tu!

CHARLES. Io, io. (Sgomento) Ah! (Pausa). Parliamo in fretta! Qualcuno ci ha visti.

THÉRÈSE. Esther.

CHARLES. I bambini ci tradiscono. Senza rendersene conto, voglio sperarlo… Che devo pensare se no?… Ma ormai siamo scoperti. Émilie…

THÉRÈSE. …non ha più dubbi.

CHARLES. E ora che succederà? Che facciamo? E Antoine?

THÉRÈSE. Antoine è pazzo.

CHARLES. Sì, lo è.

THÉRÈSE. E tu pure. Il generale, Émilie, tuo figlio, tutti, sono tutti pazzi. E io non ne posso più. Non posso tornare a casa. Non posso andar via. Non posso restare… e ti adoro. (S’abbandona tra le braccia di Charles).

CHARLES. Tesoresa, resa, resa!

THÉRÈSE. Carlo! Che felicità! Che infelicità!

CHARLES. Controllati, controllati, Reso, fammi questo piacere.

THÉRÈSE. Te lo faccio… ecco… (Lo bacia a lungo sulla bocca).

CHARLES (svincolandosi). Basta. Scusami, mia piccola Reso, ti prego un po’ di contegno.

         Entra Victor a passi felpati, si nasconde dietro una palma.

SCENA SECONDA

         Gli stessi, Victor all’inizio invisibile.

THÉRÈSE. Io non ci capisco niente.

CHARLES. Noi non siamo abbastanza prudenti, questo è chiaro. È evidente, sono piccoli e non capiscono, ma vedono, ripetono, ci imitano, le scimmie!

THÉRÈSE. La mia… aspetta che siamo a casa. Glielo faccio ricordare a quella carogna. Gliele faccio vedere io le carezze! E il generale che voleva farli sposare! C’è da morir di vergogna!

CHARLES. Be’, certo è imbarazzante…

THÉRÈSE. Imbarazzante! A volte adoperi certe parole, tu. Ma è un incesto bello e buono. Quando penso… (Scoppia a ridere) Hanno perfino le nostre espressioni in bocca. Ferma con la piovra rosa…

CHARLES. Ti prego, ancora una volta, Thérèse. Queste cose ti eccitano e ti innervosisci. Esistono delle coincidenze, diamine. Certo si può sfruttarle, ma anche eliminarle…

THÉRÈSE (trascinandolo verso il divano facendo atto di carezzarlo). È troppo tardi.

CHARLES. E allora non preoccuparti. Fa’ pure tutte le allusioni oscene che vuoi, ma ti avverto che se continui non rispondo più di me stesso. E peggio per noi, per te, per tutti. (Si getta su di lei).

VICTOR. Troppo tardi. (Compare) Oh, voi signora, con la vostra leggerezza di merletto, e tu, padre mio, con la tua mansuetudine di agnello. Che tenera stella, ogni sera nel cielo del mio letto. Dopo il caffè, solo il ronzio della macchina da cucire di mia madre. Una camicia da notte trapunta di lacrime per il ritorno dello sposo volubile. E in sogno è a voi ch’io dico mamma. A volte entro mascherato nel vostro salotto, con la pistola in pugno e vi obbligo a leggere questo passo dell’Iliade:

                   Abbi ai numi rispetto, abbi pietade

                   di me, ricorda il padre tuo: deh! pensa

                   ch’io mi sono più misero, io che soffro

                   disventura che mai altro mortale

                   non soffrì, supplicante alla mia bocca

                   la man premendo che i miei figli uccise.

(S’inginocchia e bacia le mani di Thérèse).

CHARLES. Continua col suo tema di francese! È inverosimile! Ma che fanno il generale e tua madre? E Esther perché non è con te?

VICTOR. Il generale l’ho riportato in scuderia. Mia madre è dove deve essere, in guardaroba. Per Esther vengono le dolenti note.

THÉRÈSE. Adesso non mi dirai che questo ragazzo non lo fa apposta.

CHARLES. Senti un po’, Victor. (Gli tira uno schiaffo) È il primo schiaffo che ti do in nove anni, ti serva di lezione.

VICTOR. Cioè, per non farmi imparare altro.

CHARLES. Ma rispondi?

VICTOR. Come un tamburo.

         Altro schiaffo.

THÉRÈSE. Lascialo stare.

VICTOR. Grazie… dal momento che Esther avrà il resto.

SCENA TERZA

         Gli stessi, Esther.

VICTOR. Esther, abbiamo smesso di ridere?

ESTHER. Abbiamo smesso, ma Dio mio com’era buffo!

         Entrano il generale e Émilie.

SCENA QUARTA

         Gli stessi, il generale, Émilie.

IL GENERALE. Ci sono certe incongruenze. Per esempio, Antoine che è l’uomo più mite del mondo si agita come una scimitarra in mano a un mamelucco, mentre io che sono nato per la guerra resto impassibile come la bandiera della Gendarmeria.

CHARLES. Oh, generale, lei usa certe metafore!

IL GENERALE. Cosa? Che ho detto? Di nuovo il contrario di quello che penso. Dico sempre il contrario di quello che penso. Ma lei caro Charles, che è intelligente, mi correggerà.

CHARLES. E adesso che vuol dire, che sono un imbecille?

VICTOR. Chiaro! se le pare che è intelligente, deve dirgli: sei un cretino integrale.

IL GENERALE. Ah, Victor in questo caso tu sei il più grande dei cretini.

VICTOR. Dopo di lei, generale!

CHARLES. Visto che questo giochetto potrebbe continuare all’infinito lo faccio finire io. Victor da’ la buona notte a tutti e vattene a letto.

VICTOR. Con chi?

CHARLES (esasperato). Con chi? Con chi? Che ne so, con Esther, con tua madre, con chi vuoi.

TUTTI. Oh!

CHARLES. Eh ma insomma! Non se ne può più; da una parte i segreti, dall’altra la follia. Questo non dice quello che pensa, ma tutto il contrario, quell’altro scimmiotta. Non va bene niente. Tutte queste manfrine non le capisco. Victor ha nove anni e mi chiede con chi può andare a letto, gli rispondo: con Esther, con tua madre, come potrei dire con il papa e tutti si mettono a urlare. Ma insomma, che volete che gli risponda? Con chi volete che vada a letto?

         Entra la cameriera.

VICTOR. Con la cameriera.

         Lili poggia il vassoio e scompare. Lunga pausa. Imbarazzo.

ÉMILIE. Mi fai arrossire, Victor.

ESTHER. Se mai vengo io a letto con te.

THÉRÈSE. Ora ci si mette anche l’altra. E lei, generale, non vuole andare a letto con lui?

IL GENERALE. Se dico di sì, voi ci credete, se dico di no, credete che penso il contrario.

VICTOR. Che porco!

TUTTI. Eh, che cosa?

VICTOR. Niente, niente… Parlo tra di me, mi sto dicendo che sono un porco. Ma come! È la mia festa, compio nove anni, tutti sono riuniti intorno a me nella gioia, per benedirmi paternamente e io faccio piangere mia madre, do grattacapi al miglior padre del mondo, avveleno la vita della signora Magneau, provoco la pazzia del suo sventurato marito, mi faccio beffe dell’esercito francese. Alla cameriera, attribuisco non so quali compiacenze. Finanche Esther, la cara bambina, che trascino in questo fango. Ah! Ma insomma chi sono? Sono trasfigurato? Non mi chiamo più Victor? Sono condannato a condurre la vergognosa esistenza del figliuol prodigo? Insomma ditemelo. Sono l’incarnazione del vizio e dei rimorsi? Ah, se è così meglio la morte del disonore! Meglio il tragico destino del figliuol prodigo. (Si prende la testa tra le mani) Sì, aprite tutte le porte! Lasciatemi andar via e ammazzate il vitello grasso per il mio venticinquesimo compleanno!

IL GENERALE. Ah, Charles! Questa è quasi una confessione. Fossi prete, direi che questo bambino è posseduto dal demonio.

CHARLES. Senta generale, io sono un buon repubblicano ed è stato sempre sottinteso che tra noi, di religione, non se ne sarebbe mai parlato. I miei antenati erano membri della Convenzione, i miei nonni hanno fatto la rivoluzione del ’48 e mio nonno era Comunardo. Io, sono radicale, e voglio sperare che mio figlio, che non è mai stato battezzato e che, parola di galantuomo, mai farà la prima comunione, non diventerà un baciapile.

ÉMILIE. Allora che vuoi che diventi?

CHARLES. Un viceprefetto. Sei d’accordo, Victor. Un viceprefetto, vero?

VICTOR. No, inutile.

THÉRÈSE. Di’ quello che vuoi diventare, caro. Non bisogna ostacolare la vocazione dei bambini.

VICTOR. Voglio sfondare, nel genere carnivoro. Il figliuol prodigo, non sarebbe una cattiva idea.

ÉMILIE (in piedi). Mi fa paura.

CHARLES. Suvvia, ci prende in giro. Che vada a letto.

ESTHER. No, non andrà a letto. Ha pur sempre compiuto nove anni e deve restare fino alla fine della festa. Rimani, Victor, e se ti piace la carne, te la darò io.

IL GENERALE. Questa birichina è l’unica ad aver ragione. Victor è irritato. Badate bene che non lo difendo, ma dopo tutto è il suo compleanno e, se ha voglia di carne, dategli della Carnine Lefranc, riscalda di meno ed è ottima.

THÉRÈSE. Io la do a Esther tra un confetto e un altro.

ESTHER. Sì, ma io sono un po’ come Victor, preferisco la Carnine.

THÉRÈSE. Allora perché succhi i confetti?

ESTHER. Non li succhio li sgranocchio.

CHARLES. Ebbene io sostengo che di questo ragazzo non se ne farà un bel niente. Stasera l’ho capito. Un bel niente, anzi sì uno spostato, un fallito, un farabutto, finirà sul patibolo.

ÉMILIE. Ecco, bravo, continua pure… Sul patibolo! Ah, no! Quando ci si mette! Prima lo vede in una viceprefettura, poi alla ghigliottina. Vieni qui sulle mie ginocchia, Victor. Tuo padre è stupido, finirà per mandarti su una brutta strada. Un bambino che ha sempre tutti i premi di profitto. In fondo sei geloso di tuo figlio. Sì, sei geloso. Tu sei sempre stato uno scaldapanche. E oggi, che sai fare. Senza tuo fratello, non avresti nemmeno il posto al Monopolio dei tabacchi e con i soldi che guadagni moriremmo di fame senza le rendite della mia dote. E vorresti dare consigli a tuo figlio? Decidere del suo avvenire? Ah, mi fai ridere, mi fai proprio morire dal ridere. (Scoppia in singhiozzi).

CHARLES. Muori perdio! Muori, ma non pianger più!

VICTOR. Ridi, mammina cara, ridi fino a farti vibrare il seno!

CHARLES (afferrando un vaso e rompendolo). Oh, ora sono contento. (Accennando un passo di giga) Mi ha calmato i nervi. Di questo passo poco ci mancava che diventassi pazzo come Antoine. Per un pelo non l’ammazzavo, generale, l’avrei presa volentieri per Bazaine.

THÉRÈSE. Per favore, Charles, mio marito non merita…

CHARLES. Senti tu… Oh, scusi, lei, Thérèse! Ma si rende conto che è impossibile passare tutta una serata così. Ci vorrebbe un miracolo. Non ci si può lasciare. Non si può andare a letto. Non si può lasciar solo il bambino. Appena si rientra in camera, una scenata, se lei torna a casa Antoine magari è ancora fuori della grazia di Dio. Teniamo qui Esther? L’affidiamo al generale? Lonségur, la strategia, lei l’ha nel sangue. Trovi una soluzione… Che ne so. Una qualsiasi! Se serve, vada a prendere un cannone…

IL GENERALE. Un cannone! Lei adopera la maniera forte.

ESTHER (prende il kepi del generale se lo mette in testa e canta ballando).

                   Dansons la carmagnole,

                   vive le son, vive le son!

                   Dansons la carmagnole,

                   vive le son du canon.

Improvvisamente tra la confusione generale entra una donna bellissima in abito da sera.

VICTOR (grida). Il miracolo! (Balza giù dalle ginocchia della madre).

SCENA QUINTA

         Gli stessi, Ida Mortemart.

IDA. Non mi riconosci?

ÉMILIE. No.

IDA. Guardami.

ÉMILIE. Lei è in casa della signora Paumelle.

IDA. Io mi chiamo Ida, non sei Émilie?

ÉMILIE. In vita mia ho conosciuto tre Ide. La prima…

IDA. Io sono senz’altro l’ultima. Mi chiamo Ida Mortemart.

ÉMILIE. Ida Mortemart!

IDA. Avevo sette anni...

ÉMILIE. E io ne avevo…

IDA. …tu tredici.

ÉMILIE. Accomodati. Scusa. Non potevo immaginare. Come avrei potuto riconoscerti?

IDA. Io ti ho riconosciuto subito.

ÉMILIE. È passato tanto tempo. Accomodati. Oh, scusa, bisogna che vi presenti. Il generale Étienne Lonségur, la signora Magneau, sua figlia Esther, mio marito Charles Paumelle, mio figlio Victor. Accomodati.

IDA (si siede. Lunga pausa). Strano, vero, rincontrarsi così.

ÉMILIE. Come rincontrarsi? Vieni a casa mia, è naturale che mi ci trovi.

IDA. Non venivo a casa tua.

ÈMILIE. Come?

IDA. No, andavo dalla signora Paumelle.

ÉMILIE. E non sono io, la signora Paumelle?

IDA. No, cioè sì, visto che ora me lo hai detto. Ma non sei colei che cercavo.

         Tutti si guardano con inquietudine.

ÉMILIE. Vuoi dire che credevi di trovare la bimba che avevi conosciuto. Insomma, non sapevi che fossi sposata.

IDA. No, non lo sapevo. Ma non era te che venivo a trovare. La signora Paumelle è amica mia da dieci anni. Si è sposata da qualche anno con il signor Paumelle. Una volta abitavano al Boulevard Pasteur, ora stanno in rue Lagarde.

CHARLES. Ma signora, lei si trova esattamente in rue Lagarde.

IDA. Ora mi spiego. Sapevo, perché me l’avevano scritto, che abitavano in rue Lagarde. Ma distrattamente ho bruciato la lettera, e non ricordando il numero, l’ho chiesto al fruttivendolo nella strada che mi ha indicato casa tua. E ho trovato te, Émilie, l’amica di più di venti anni fa, invece della signora Paumelle, l’intima amica mia di oggi.

ÉMILIE. È straordinario! Abitano quindi due signore Paumelle nella stessa strada.

IDA. Sì e non si conoscono, e forse abitano una di fronte all’altra.

IL GENERALE. Inaudito!

CHARLES. Ebbene, signora, se un autore di teatro si fosse servito di questo stratagemma per farla comparire qui, ora, si sarebbe detto: che assurdo.

IDA. E non a torto. Pure non è che la verità.

ÉMILIE. A quale fruttivendolo hai chiesto l’informazione?

IDA. A quello all’angolo di rue d’Arbalète con rue Lagarde.

ÉMILIE. È il colmo. Ci serviamo da lui soltanto da tre giorni.

THÉRÈSE. Ha del miracoloso.

         Pausa.

IL GENERALE. Sì. Si figuri, signora, che mi avevano chiesto un cannone.

IDA. Un cannone! (Fa un peto).

Attimo di sorpresa e di imbarazzo. Credono di non aver sentito bene. Ida arrossisce tutta. Esther non riesce a reprimere uno scoppio di risa. La madre l’attira a sé e cerca di calmarla. Victor non fiata.

IL GENERALE. Sì, un cannone. Ma era uno scherzo, vero?

IDA (che non capisce, che non può capire). No, è una malattia. (Grande imbarazzo. Si nasconde il volto tra le mani) Che mortificazione! Che vergogna!

ÉMILIE. Amica mia, Ida cara, che succede? Che hai? Sei infelice? Non riesco a capire. Non so niente di te. Ci siamo lasciate così piccole.

IDA. Non posso, non posso. (Fa un peto. Stessa scena) Vi prego, vi prego, scusatemi. È atroce, non riesco a trattenermi. È una malattia terribile. Come spiegarvi. In certi momenti basta un’emozione violenta. Averlo saputo che ti incontravo! Non posso far niente contro questo bisogno immondo. È più forte di me. È come a dispetto, basta che mi ci metta, che me lo imponga ed ecco che mi prende alla sprovvista e si manifesta più forte che mai. (Fa un lungo peto) Mi ammazzo, se continua così, mi ammazzo. (Fa un altro peto).

IL GENERALE (a parte). È una faccenda seria!

         Scoppiano le risate.

IDA. Ridete, ridete! Lo so bene, non si può fare a meno di ridere. Non me la prendo. Ridete quindi! Così non ci sarà imbarazzo da parte vostra, né da parte mia. E ci distenderà. Ci sono abituata. L’unico rimedio è ridere. (Risate violente di tutti mentre lei continua a fare peti. Gradualmente le risate si spengono. Si aspetterà che quelle del pubblico finiscano per continuare la scena. Alzandosi) Pure sono bella, amata, ricca. Ho quindici appartamenti a Parigi, un castello nel Périgord, una villa a Cannes. Ho quattro automobili, uno yacht, diamanti, perle, bambini. Ho un marito, il banchiere Théodore Mortemart, ma tranne il petomane dell’Eldorado nessuno può invidiarmi. (Fa un peto. Le risate diventano sempre più rare. Ida si prende di nuovo la testa fra le mani. Una lunga pausa). Vi prego di scusarmi e di lasciarmi andar via.

VICTOR (con calore). No, non vada via, signora.

ÉMILIE. Non andartene, resta ancora con noi. Stiamo festeggiando i nove anni di mio figlio. Rimani, ti prego. A quest’ora tutti i negozi e i portoni sono chiusi, non riusciresti a trovare l’indirizzo.

IDA (che si era alzata si risiede). Vi ho disturbati, eravate contenti e sono arrivata qui come un’intrusa. La cameriera avrebbe dovuto accompagnarmi. Che triste e penosa apparizione.

CHARLES. Niente affatto, signora, prima del suo arrivo eravamo tutti sconvolti. Ecco, guardi, vasi in cocci, coltelli sul camino, mobili in disordine che lasciano trasparire delle lotte di cui in fondo non conosceremo mai le cause. Noi volevamo far saltare tutto.

IL GENERALE. Ma non si può far niente per guarirla da questa… da questa… insomma… faccenda.

IDA (fa un peto). Sì, generale, possibilmente non parlarne più. (Pausa). A questo punto sarebbe naturale raccontarvi la mia vita dall’A alla Z. Tu conosci la A, voi conoscete la Z.

VICTOR. Noi conosciamo la P. (Imbarazzo). Il suo pallore, la sua pena, le sue perle, le sue palpebre, il suo pianto, il suo privilegio. Capiremo il prodigio della sua presenza. Lei favorisce le combinazioni. Oh, catalizzatrice! In un mondo più evoluto si chiamerebbe spuma di platino. Cosa vuole che siano queste effusioni sulfuree, qualche malvagia passione potrà spegnersi, fors’anche qualche carbone prezioso. Lei piomba tra di noi come un gioiello nel mercurio. Compiango chi dovrà pagarne le fatali conseguenze, il colpevole dei vasi rotti.

IDA. Dice?

CHARLES. Non l’ascolti, signora, parla a vanvera.

VICTOR. Lo ringrazi, signora, non sa quel che dice.

CHARLES. Dovrei schiaffeggiarlo.

IL GENERALE. Su lo schiaffeggi, che aspetta.

Il padre solleva la mano e la tiene un attimo sospesa; poi la lascia cadere scoraggiato.

VICTOR. Generale, la sua sciabola è arrugginita e lei puzza.

IL GENERALE. Signora Paumelle, suo figlio è perduto.

VICTOR. Mamma, tu sei incinta di un bambino morto.

ÉMILIE. Victor, Victor! Che vuoi dire, che ho mal di pancia?

CHARLES. Io devo capire, bisogna capire.

VICTOR. Bisogna sentire, papà.

IDA. Victor, venga sulle mie ginocchia, anche lei, Esther.

         Victor si siede sulle ginocchia di Ida.

ESTHER. No, no, questa donna mi fa paura. Ho paura di questa schifosa che non fa altro che fare peti e sembra una cagna. Me ne vado. (Scappa nel giardino).

THÉRÈSE. Lei me la pagherà, ladra di bambini. (Esce. La si sente gridare nel giardino) Esther! Esther!

CHARLES. Vado anch’io. La piccola è capace di cadere nella vasca.

ÉMILIE. Oh Dio, adesso si annega! (Esce di corsa).

Il generale le va dietro ridendo rumorosamente e dandosi delle manate sulle cosce.

SCENA SESTA

         Victor, Ida.

IDA. Che ho fatto?

VICTOR. La bambina da qualcuno ha preso, il padre è pazzo.

IDA. Ah?

         Pausa.

VICTOR. Sto bene sulle sue ginocchia.

IDA. Accomodati meglio.

VICTOR. Ho detto sulle sue ginocchia, ma dopo tutto sto seduto sulle sue cosce.

IDA. Già, vero, le espressioni sono inadeguate. (Pausa). E oggi tu compi nove anni. Soltanto nove anni?

VICTOR. Compio, in realtà, nove anni? Sono stato iniziato alla nozione degli anni solo al mio quarto compleanno. Ci sono dunque voluti quattro anni per persuadermi del ritorno periodico del 12 settembre. Potrebbero un giorno provarmi che ce ne sono voluti cento. Sì, niente si oppone a che io abbia più di cento anni.

IDA. Che stai dicendo?

VICTOR. Dico che forse ho centocinque anni.

IDA. Non si vive così a lungo, dovresti morire.

VICTOR. E la mia morte non proverebbe neppure che li avrei. Si muore a tutte le età. D’altronde può darsi che io muoia tra poco, per conservare il dubbio, per darmi ragione, per cortesia.

IDA. Siediti più su, stai scivolando, cadrai.

VICTOR. Ecco, ha ragione, così sto molto meglio.

         Pausa.

IDA. Senti, Victor, è meglio che me ne vada senza aspettare che tornino. Non sto bene e tu mi scuserai.

VICTOR. Sì, ora… ma resti ancora un momento. Li sentiremo rientrare e allora, se vuole, potrà andarsene.

IDA. Va bene.

         Pausa.

VICTOR (la bacia sul collo più volte, lentamente). Lei deve dirmi ancora una cosa mentre stanno cercando Esther.

IDA. Sì.

VICTOR. Sono innamorato.

IDA. Che?

VICTOR. Amo.

IDA. Non è possibile!

VICTOR. Vuol dire che non sono cose da dirsi. Lo confesso a lei perché andrà via e non la rivedrò più. Ma le giuro che è vero: sono innamorato.

IDA. Ma tu non puoi.

VICTOR. No, non posso fare all’amore. Quindi prima di andar via mi dica cos’è. So tutto tranne questo. E non vorrei morire… Si muore a tutte le età, vero… Non vorrei morire senza saperlo.

IDA. Ma di chi sei innamorato povero piccolo?

VICTOR. Non lo dirò. Signora, mi dica come fa.

IDA. Non so, bambino mio.

VICTOR. Come, non lo sa? Sì, lo sa, me lo dica.

Ida esita poi si accosta all’orecchio del bambino e gli parla a lungo a bassa voce: mentre parla si odono delle grida nel giardino. «Oh! Oh! – Dov’è? – Venga qui, Thérèse, s’avvicini. – L’ha trovata? – Sì è nella cassetta, nella cassetta del carbone. – Respira? – Sì, respira. – Come stringe i denti! – Apritele gli occhi. – Ha del sangue sul vestito. – È ferita? – No, no, non sono ferite sono le unghie. – Una crisi? – Una crisi? – Ma è la prima. – Vi giuro che è proprio la prima». Le voci si avvicinano. Ida bacia Victor, si alza e si dirige a passi rapidi verso la porta d’uscita.

VICTOR. Grazie, grazie, signora. Lei però mi ha mentito. Ma mi faccia ancora un favore, l’ultimo.

IDA. Sì.

VICTOR. Vorrei che lei facesse un peto per me.

IDA (manda un grande urlo e scompare, ma subito riappare e nel vano della porta grida a Victor) Mostro, mostro! Presentati a mio nome domani ai magazzini del Louvre, reparto giocattoli. Ci sarà per te una piccola carabina, una carabina a pallini. (Scompare).

Entrano il generale, Charles che porta sulle braccia Esther, Thérèse in lacrime ed Émilie. In silenzio adagiano Esther sul divano. Ha il vestito strappato, le braccia insanguinate, la bava alla bocca.

SCENA SETTIMA

         Victor, il generale, Charles, Esther, Thérèse, Émilie.

VICTOR. La signora Mortemart andando via mi ha pregato di farvi le sue scuse.

THÉRÈSE. Ah, se ne è andata quella. Meno male. Vieni a vedere come ha ridotto Esther.

VICTOR. È chiaro che la poverina è morta.

CHARLES. Ma no, non è morta, ha avuto una crisi.

ÉMILIE. Sì, non sarà niente.

IL GENERALE. E guardate sta resuscitando, ecco, piano piano.

THÉRÈSE. Esther, tesoro, bambina mia.

ESTHER. Mamma! Mamma!

CHARLES. Ah! Che strazio tutto questo!

VICTOR. Mi chiedo cos’è che dovrei dire.

CHARLES. Bagnatele la testa.

ÉMILIE. Dell’aceto sulle tempie.

THÉRÈSE. Caccia fuori la lingua, cara, caccia fuori la lingua.

IL GENERALE. Sbottonatela, sbottonatela, facilitatele la respirazione.

CHARLES. Su, si sta riprendendo, si sta riprendendo…

         Entra Lili.

SCENA OTTAVA

         Gli stessi, Lili.

LILI. Oh, che è successo? Povera piccola!

ÉMILIE. Niente, niente di grave, Esther ha avuto una sincope.

LILI. Permettete. (Dà a Esther due schiaffi. Esther si alza). Ecco fatto…

VICTOR. Povera Esther. Per punirla, per guarirla, sempre la stessa solfa.

ESTHER. Dov’è la donna che puzza?

ÉMILIE. Non aver paura, bambina mia, non aver paura, Victor l’ha ammazzata.

ESTHER. È vero, Victor?

VICTOR. Sì, mia piccola Esther. L’ho afferrata per la cintola, le ho mangiato le orecchie, l’ho sbattuta sul parquet, ho gettato le sue perle ai porci e dopo averla sculacciata, l’ho annegata nel lavandino.

         Risate.

ESTHER. Bravo, bravo, Victor. Che peccato che sono stata male, avrei voluto vederlo. Soprattutto le orecchie… Ma sei sicuro che sia proprio morta?

VICTOR. Te lo giuro. Ha emesso un grande urlo e ha reso l’anima.

ESTHER. È tutto quello che ha reso?

IL GENERALE. Questa bambina è insaziabile. Ma, cara Esther, non poteva mica renderci l’Alsazia e la Lorena.

         Entra Antoine molto eccitato. Lili esce.

SCENA NONA

         Victor, il generale, Charles, Esther, Thérèse, Émilie, Antoine.

ANTOINE. Ah! Siete ancora qua. Su vestitevi e…

CHARLES. Come?

ANTOINE. Non voglio rivolgerle la parola. Lei è un porco, uno schifoso, un pervertito. E non mi chieda spiegazioni, perché è lei che deve darmele. Carogna!

CHARLES. Antoine!

ANTOINE. Niente Antoine. Se insiste le spacco il muso. Capito, le spacco il muso.

CHARLES. Ma è la pazzia.

ANTOINE. Sì, sono pazzo, e allora? (A Thérèse) Su, muoviti, tu e la bambina, e addio. Addio a tutti e ringraziate il cielo che non vi ammazzo in blocco. (Spinge moglie e figlia verso la porta. Sono tutti atterriti. Ma Antoine all’improvviso ricompare seguito da Thérèse e da Esther. A Charles) Razza di cretino. Non sai distinguere uno scherzo. Ha funzionato, eh? Non ero bravo?

CHARLES. Ah! questa poi. Insomma caro mio. Ah, no, ma senti che roba!

ANTOINE. No, ma era ben recitato? Vi pare? Su confessate, vi siete presi un bello spaghetto? (Scoppia a ridere).

TUTTI. Ah, sì non riesco a riavermi. – Ma pure… – Lo faceva così bene ecc. – Bisogna aspettarsi di tutto. – Che ora è? – È tardi. – C’è tempo. – Devo tornare a casa. – Allora buona sera, buona notte. – Abbracciatevi. – Buona sera, generale. – Buona sera. – Buona sera, grazie. – Grazie. – Buona sera.

ESTHER (che esce per ultima). Che ti sei perso papà, è venuta una donna che faceva peti, un peto dietro l’altro… Victor l’ha ammazzata… le ha mangiato le orecchie…

         Antoine, il generale ed Esther sono usciti.

SCENA DECIMA

         Victor, Charles, Émilie.

ÉMILIE. Victor, noi abbiamo dei conti da regolare.

CHARLES. Ah, no, stasera basta! Domani…

ÉMILIE. Va bene, domani, ma li regoleremo.

VICTOR. Buona sera, papà, Buona sera, mamma. Buona notte. (Esce).

SCENA UNDICESIMA

         Émilie, Charles.

ÉMILIE. Anche noi due abbiamo dei grossi conti da regolare.

CHARLES. Sì, va bene, domani. Domani, no? (Scaldandosi) Domani o non rispondo più di me stesso.

ÉMILIE. D’accordo.

CHARLES. Dov’è il «Matin»?

ÉMILIE. Sul camino.

CHARLES. Grazie.

ÉMILIE. Allora, hai intenzione di leggere?

CHARLES. Sì, perché ti dà noia?

ÉMILIE. Sì.

CHARLES. Bene, allora leggerò ad alta voce.

ÉMILIE. Preferisco. Sono nervosa, mi calmerà.

CHARLES. Benissimo. Comincio?

ÉMILIE. Comincia1.

CHARLES.

PEARY RACCONTA IL SUO ARRIVO

AL POLO

E LANCIA A COOK

UNA SFIDA INSULTANTE

TRENTA ORE AL 90° PARALLELO

Peary vi ha camminato a piedi,

ha preso delle istantanee e fatto dei rilievi,

ma non vi ha dormito.

ÉMILIE. Me ne importa assai!

CHARLES. Be’ allora passiamo ad altro.

SOMMER IN AEROPLANO

passa in rivista le truppe

Oh… oh… ti leggo l’essenziale. Ah!

Al momento della sfilata, decollo, sorvolo la linea delle truppe e spinto da vento favorevole plano velocemente su dei campi molto accidentati. All’altezza dei depositi delle saline incontro una forte corrente d’aria. Mi trovo a quota 50, la mia velocità è folle. Raggiungo gli 80 l’ora. La regolarità del motore è stupefacente.

ÉMILIE. Basta.

CHARLES. Bene. Ah, questo è divertente!

Passo di Polka

Assente alla Polka dei Bebé

il comandante della Caienna

rischia di essere revocato

Strana storia del penitenziario

ÉMILIE. Oh, che storia interessante!

CHARLES. Insomma, che vuoi, io che c’entro. Mica faccio il giornalista. Ah, questo può interessarti.

Redattore: Stéphane LAUZANNE

PROTEGGIAMO

le donne che dovranno

diventare madri

Dovunque, in Francia, le statistiche denunciano il pericolo dello spopolamento e la risposta degli igienisti è: «Proteggiamo l’infanzia!». Ma non sarebbe altrettanto giusto e salutare proclamare: «Proteggiamo le donne che dovranno diventare madri!». Se oggi il pubblico viene messo in guardia contro dei flagelli sociali come la sifilide nei confronti di un’altra malattia infettiva completamente diversa, come la blenorragia è assai meno prevenuto. Più diffusa

ÉMILIE. Oh, no, no! Io non ho queste malattie vergognose, sei veramente disgustoso.

CHARLES. Va bene, va bene, ma ti prego, non cominciare ad arrabbiarti prima di domani. Ah, hanno arrestato l’anarchico Ferrer.

ÉMILIE. Meglio così. Insomma, leggimi un delitto. C’è un delitto, ci sarà pure un delitto?

CHARLES. No, non ce ne sono. E poi delitti non ne leggo. Te li leggi da sola.

ÉMILIE. Bene, mi controllo… mi controllo. Ti accorgi che mi controllo, no?

CHARLES. Te ne sono grato. Ecco, il feuilleton, ora dimenticavo il feuilleton. «Una gran dama».

Mentre legge, la scena descritta dal romanziere, si realizza tra Charles e la misteriosa visitatrice. Émilie singhiozzerà fino alla fine.

SCENA DODICESIMA

         Gli stessi, poi la gran dama.

                                  «MATIN»                     12 settembre 1909

F E U I L L E T O N

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                                           Gli Uomini

            dell’Aria

Romanzo di Sport e di Amore

DI

Hugues LE ROUX

PARTE TERZA

Un segreto di Stato

IV

UNA VERA GRAN DAMA

Chiuso il suddetto chiavistello della camera di Le Briquire, il fortunato Boule più che dirigersi volò verso la porta che delle dita leggere continuavano a tambureggiare. La visione che gli si presentò gli fece sgranar gli occhi.

La gran dama non aveva sotto il braccio un album di pensieri, ma sugli occhi una minuscola mascherina di velluto nero e sulle spalle un peignoir che, senza badare, nell’attimo in cui entrava nella stanza le si schiuse sul davanti scoprendo uno strabiliante décolleté.

Per cui, il prestante giovanotto, tutto proteso, ebbe insieme la visione di un braccio tondo e nudo che fuoriusciva dal peignoir per riaccostare la porta socchiusa, di un casco di capelli d’oro attorcigliati sulla nuca della gran dama come un mazzo di spighe e di un pudore più delizioso di ogni posa provocante, giacché lei, con uno slancio della bella persona, si gettò contro il petto dell’atleta come una gazzella inseguita che scompaia nella macchia.

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         Tutti i diritti di riproduzione e di traduzione riservati in Francia e all’estero.

         Copyright 1909 by Hugues Le Roux

ATTO TERZO               La camera da letto

Quando s’alza il sipario la scena è vuota. Entra Charles con in mano il «Matin». Non appena entrato getta via rabbiosamente il giornale e si stende, vestito, sul letto.

SCENA PRIMA

         Charles, poi Émilie.

CHARLES (disteso). Che vita! Sghignazza, sghignazza, idiota! Ah, quante ne ho dovute ingoiare stasera! Che volpi! Che scimmie! Che miracolo! Prr…, Prr…, Prr… (Imita il rumore dei peti e scoppia a ridere) Ah, no! (Con tono declamatorio) Ida Mortemart stagnante come il Mar Morto. Ah! Le bolle… e che scoppiano! Ida, dadà, Ida, dadà, Morte? Mortemart? Morte, marte, merda, merda, merda…

         Entra Émilie con un fazzoletto in mano e gli occhi rossi.

ÉMILIE. Cosa?

CHARLES. Cosa?

ÉMILIE. Niente.

CHARLES. Niente. (Pausa. Balza giù dal letto e si mette a cantare ballando intorno alla moglie)

                   Viens poupoule,

                   viens poupoule, viens...

(Tenta di baciarla).

ÉMILIE. Ah, no! Non stasera.

CHARLES. Fa’ un po’ come ti pare.

ÉMILIE. Che tipo! (Charles si risdraia sul letto. Lei comincia a spogliarsi) Hai intenzione di passare la notte in bianco?

CHARLES. Sì, ora mi metto a lavorare.

ÉMILIE. Lavorare? E a che, Dio santo!

CHARLES. Ora faccio dei lavoretti di falegnameria.

ÉMILIE (fa un’alzata di spalle e continua a spogliarsi. Va dietro il paravento. Invisibile) Ti prego, Charles, mettiti a letto.

CHARLES. Sto a letto.

ÉMILIE. Spogliati, dài. Non sei stanco?

CHARLES. Devo lavorare.

ÉMILIE. Coricato?

CHARLES. Mi metto a fare dei lavoretti di falegnameria. (S’alza ed esce).

Émilie è rimasta dietro il paravento e singhiozza. Charles ritorna con la cassetta degli utensili. L’apre, tira fuori un martello, dei chiodi, una pialla, una sega ecc. Si mette a piallare il legno del letto.

ÉMILIE (ricompare in abbigliamento notturno). Charles! Sei completamente impazzito? Che fai, ti metti a piallare il letto?

CHARLES. Sì, piallo il letto.

ÉMILIE. È pazzo! È completamente pazzo! (Si getta sull’altro letto e scoppia in singhiozzi).

CHARLES (dopo essersi tolto la giacca continua coscienziosamente il suo lavoro, cantando. Adopera ora la sega, ora i chiodi e il martello, ma sempre con una lentezza esasperante).

                   Batti, batti, per la difesa

                   del tuo pipì, del tuo papà.

                   Alla Francia la sua spada,

                   il fucile al buon soldà!

La donna s’alza di scatto e balza come un gatto sulla schiena di Charles che con un colpo di spalla se la scrolla di dosso. Émilie cade, raccatta il martello e sollevato in alto il braccio s’avventa su Charles. Charles l’immobilizza, le strappa di mano il martello e la porta sul letto. Poi riordina minuziosamente gli utensili nella cassetta.

CHARLES. Ecco qua, per stasera ho lavorato abbastanza. Domani riparerò l’armadio a specchio. (Avvicinandosi a Émilie) Ho l’impressione che hai tentato d’ammazzarmi, qualche momento fa.

ÉMILIE. Non so.

CHARLES. Sei perfettamente scusata, Émilie. Ma non ricominciare, se no purtroppo mi vedrò nella penosa situazione di doverti far generare un altro piccolo Victor.

ÉMILIE. Victor! (Singhiozza) Non parlarmi di Victor. No, Charles, non stasera, l’hai detto anche tu, non stasera! Te ne supplico! Sono tanto stanca e triste, non so più dove siamo, quello che fai, che faccio io…

CHARLES. La colpa è di Victor?

ÉMILIE. Non so.

CHARLES. È colpa mia?

ÉMILIE. È mia, Charles. Ti giuro che è mia. Ma per l’amor del cielo, dormiamo!

CHARLES. Semplice a dirsi. (Nel corso della scena si è spogliato e si è messo in pigiama. Émilie si è coricata. Charles la va a baciare) Buona notte Émilie, sogni d’oro.

ÉMILIE. Buona notte, Charles. Scusami. E giurami di non parlare più per tutta la notte.

CHARLES (con enfasi). Ti chiedo scusa. (Si corica e spegne la luce).

         Una lunga pausa.

ÉMILIE (chiamandolo). Charles!

CHARLES. Che c’è?

ÉMILIE. Hai chiuso la porta?

CHARLES. Sì.

         Entra all’improvviso la cameriera con una candela in mano.

SCENA SECONDA

         Gli stessi, Lili.

LILI. La signora ha suonato?

ÉMILIE. Non mi pare.

LILI. Mi sembrava che la signora avesse suonato… I signori hanno bisogno di nulla?

CHARLES. Avete chiuso la porta?

LILI. Che porta?

CHARLES. Andate a letto, siete troppo scema.

LILI. La signora non dovrebbe permettere al signore di parlarmi così.

ÉMILIE. Andate a letto.

LILI. Che casa!

CHARLES. Avete detto?

LILI. Dico che la porta è chiusa, ma non so quale. (Esce).

SCENA TERZA

         Charles, Émilie.

ÉMILIE. Lei pure!

         Lunga pausa. Tutti e due sembrano essersi addormentati.

CHARLES (alzandosi). Non c’è niente da fare, non riesco a dormire. (Si riveste parlando da solo, sempre più eccitato fino ad esplodere. Urla scandendo le sillabe) NON RIESCO A DORMIRE. Non riesco… Non riesco… Non riesco a DORMIRE. Dormire? Non riesco. Non riesco, non riesco. (Parlando a se stesso) Basta. (Rispondendosi) Va bene. Basta. Ma non riesco a dormire.

ÉMILIE. Hai finito, Charles?

CHARLES. Bidet, rispondi alla signora, perché io ho giurato di non rivolgerle la parola per tutta la notte.

ÉMILIE. Ah, è così. E allora anch’io mi metto a parlare, a gridare. (Grida con tutte le sue forze)

                   Ave Maria, piena di grazia

                   il Signore è con te ecc.

(Improvvisamente si interrompe e ricade sul cuscino scoppiando in un pianto fragoroso).

CHARLES. Piangi, Émilie, ti farà bene. Piangi, piangi. (Le si avvicina, le carezza i capelli e quando si è calmata le dice bruscamente) Ebbene, sì, Thérèse è la mia amante.

ÉMILIE (con voce assente). Lo so, lo sapevo.

CHARLES. Antoine è cornuto.

ÉMILIE. Anch’io.

CHARLES. Ora ti racconto.

ÉMILIE (sedendosi sulla sponda del letto). Ti sto a sentire.

CHARLES (sconcertato). Non mi credi?

ÉMILIE. No.

CHARLES. Non vuoi credere che Thérèse è la mia amante?

ÉMILIE. Ma sì.

CHARLES. Allora perché vuoi starmi a sentire?

ÉMILIE. Per distrarmi. Sono tanto triste, stasera, tanto triste.

CHARLES. È una stupida.

ÉMILIE. Lo so, ma tu hai la tua ragione.

CHARLES. Ragione? Ho ragione? Ah, ah, tu parli della mia ragione, vuoi dire la mia ragione. Dimenticavo. È vero. Antoine è pazzo. Io, la mia ragione ce l’ho. Ho ragione. Sei acuta.

ÉMILIE. E attenta. Ti ascolto.

         Bussano alla porta.

CHARLES. Chi è?

VICTOR (dietro la porta). Sono io, Victor!

CHARLES. Che vuoi?

VICTOR. Voglio entrare.

CHARLES. Va bene, entra.

         Entra Victor.

SCENA QUARTA

         Charles, Émilie, Victor.

VICTOR. Sono venuto perché non riesco a dormire.

CHARLES. Come?

VICTOR. Sono venuto perché non riesco a dormire, primo, perché sto male, secondo, perché fate troppo chiasso.

ÉMILIE. Stai male?

VICTOR. …E perché fate troppo chiasso.

CHARLES. Facciamo il chiasso che ci pare e piace.

VICTOR. E sto male.

CHARLES. Dov’è che ti fa male?

VICTOR (indicando il ventre). Là.

CHARLES. Se ha mal di pancia che vada al gabinetto.

ÉMILIE. Si può avere mal di pancia senza aver bisogno di fare la cacca.

CHARLES. Va’ in cucina, bevi un bicchier d’acqua, stenditi supino e respira a lungo, vedrai che ti passa. Buona sera. Su, vieni a darci un bacio, e a letto! (Victor non si muove). Hai sentito?

VICTOR. Ho un gran mal di pancia, non fate molto chiasso perché mi impedisce di dormire e non ho sonno. Il che mi dà fastidio, e poi ho paura che finiate per ammazzarvi a furia di spostar mobili. Uno a volte crede di sparare in uno specchio e invece è una porta a vetri. E siccome qui le finestre sono ad altezza d’uomo, e con quella benedetta mania che avete di mettere la pistola accanto al vaso da notte. Un giorno o l’altro la testata del letto potrebbe pure staccarsi, questo per non dire altro. E l’infanzia è sempre colpevole. La Santa Infanzia! (Esce ammonendoli col dito).

SCENA QUINTA

         Charles, Émilie.

CHARLES. Parola mia è una provocazione all’omicidio. Vuole proprio che… Insomma, che vuole?

ÉMILIE. Dormire. L’hai sentito, ha detto che vuole dormire.

CHARLES. Senti, Émilie. Ragioniamo freddamente. Stiamo calmi. Consideriamo una volta per tutte la portata dei nostri atti. Ponderiamo con esattezza il significato delle parole e, se vuoi, se ci riusciamo, raccogliamoci qualche istante.

         Lunga pausa.

ÉMILIE. Ebbene?

CHARLES. Ebbene, se non dormiamo, ho l’impressione che stasera succederà una disgrazia. Che ti ucciderò, che mi ucciderai. Non so. Insomma sento la morte, la sento. È là, là a portata di mano. (Gira intorno alla stanza sempre più eccitato) La sento, guarda, come il sudore che mi ricopre le mani. (Prende un flacone d’acqua di colonia e lo rompe).

ÉMILIE (cercando di scherzare). Odora d’acqua di colonia, questa morte.

CHARLES. Ah, no, non scherzare, Émilie, non scherzare – o… (Apre il cassetto del comodino, prende la pistola, la punta contro la moglie poi bruscamente apre la finestra e butta l’arma nel giardino).

ÉMILIE. Vuoi che scenda a cercarla?

CHARLES (con la testa tra le mani). È Victor, è Victor, è Victor!

         Improvvisamente si sente da fuori una detonazione.

ÉMILIE. Hai sentito?

CHARLES. Cos’è? (Apre la finestra) Che c’è? Chi è? Che vuole?

UNA VOCE (dal di fuori). È una gomma, signore, è scoppiata una gomma.

CHARLES (chiude la finestra, con calma). È una gomma. (Lunga pausa). Sta’ a sentire, Thérèse… È Victor! Colpa sua. Ma c’era Antoine, mi capisci… ancora una volta Victor! Il generale, quel rimbambito… C’entra Victor. E la cameriera, è sicuro Victor! Esther, l’angioletto… Ah! Victor! Ma soprattutto Ida. Ida Mortemart. Ricordati… Victor! E noi, noi, l’ho capito: Victor! Victor! Sempre Victor!

         Bussano.

ÉMILIE. Chi è?

VICTOR (dietro la porta). È Victor! Sto male e non riesco a dormire.

CHARLES (aprendo la porta e uscendo). Aspetta, che ti faccio dormire io.

Rumore di botte, grida ed esclamazioni del padre ad ogni percossa: È Victor… È Victor…

ÉMILIE (al padre che ricompare). Che hai fatto, Charles?

CHARLES. L’ho sculacciato, perdio! L’ho fatto nero. Ah! È Victor! E va bene, è Victor!

         Pausa.

ÉMILIE. E poi?

CHARLES. E poi? (Scoppia in singhiozzi).

ÉMILIE. No, Charles! Tu no! Non piangere, Charles! Charles! Charles, tesoro! Sono io, Émilie, tua moglie, la sola, quella che… Insomma poco fa mi volevi ammazzare, io volevo ammazzarti, tu ti volevi ammazzare. Gesù, che è questo vento?

CHARLES (fuori di sé). È vento fetido, come il grugno del generale, come il culo di Ida Mortemart, come il fumo delle bandiere di Bazaine! È un vento di pazzia… eeeeeeeh!

ÉMILIE. È un vento di pazzia, è vero. Ma vorrei tanto dormire.

CHARLES. Dov’è la bottiglia di laudano?

ÉMILIE. Che vuoi fare?

CHARLES. Dormire.

ÉMILIE. Vuoi avvelenarti, ora?

CHARLES. No, qualche goccia in un bicchier d’acqua, l’oppio ci stordirà. Stordiamoci.

ÉMILIE. La boccetta è nell’armadio a muro sulla seconda scansia a destra, accanto a quella del liquore Labarraque.

CHARLES (versa qualche goccia di laudano in un bicchiere che riempie d’acqua). Bevine un terzo e il resto dammelo.

ÉMILIE. Sei sicuro, almeno…

CHARLES. Bevi e dammelo. (Lei beve esitando e tende il bicchiere a Charles che manda giù d’un fiato) E ora, a nanna.

Si mettono a letto. La luce si spegne di colpo, poi si riaccende molto lentamente. Durante tutto il monologo del padre si sente Victor gridare e lamentarsi.

CHARLES (a letto). Émilie, ora siamo calmissimi. Finalmente riusciremo a dormire, ma nessuna droga, nessuna forza al mondo… Quante stelle! (Urli). M’impedirà di dirti, con la testa sul cuscino, di confessarti finalmente, in poche parole… Lei è così bella… (Lamenti). Ancora un momento, di grazia, Émilie. Mentre si prendeva il tè, la mano protesa verso lo zucchero, sono tre anni che amo Thérèse. Ormai tre anni. Con un piede come cinque foglie di fragola s’arrampica sul letto. (Urli…) All’Hôtel Europa. Le dicevo prima che tirasse su l’altra gamba «Resta così». (Urli). Oh! proprio come i miei baffi, tra le sue cosce, ma verticale, e io mi carezzavo il sopracciglio sinistro, o il destro, mentre gli occhi le ridevano sotto l’ascella. (Lamenti). Non ti annoio, almeno?

ÉMILIE. Niente affatto, caro. Thérèse ha dovuto essere davvero felice.

CHARLES. Ti sembra?

ÉMILIE. Sì, e tu racconti così bene! Mi sembra di esserci. Continua.

         Grida molto prolungate.

CHARLES. Sei una santa donna, Émilie!

ÉMILIE. E Thérèse?

CHARLES. Oh, Thérèse, è una passeretta, una lecca-lecca, una pollanchella, un’uvaspina, una provoletta, un piroesteta, io la chiamo mio tira-tira, troiosi mia, asolina bella. Thérèse è una vacca, ma una vacca più bella di un fiore.

ÉMILIE. E io?

CHARLES. Fa’ tu.

ÉMILIE. Sono tua moglie.

         Entra Victor.

SCENA SESTA

         Charles, Émilie, Victor.

VICTOR. E io sono tuo figlio.

CHARLES. È vero, Émilie, tu sei mia moglie e Victor è mio figlio. Come sono infelice! (Esce in camicia).

SCENA SETTIMA

         Émilie, Victor.

ÉMILIE. Va’ a letto, Victor.

VICTOR. Sto male.

ÉMILIE. Va’ a letto, bambino mio.

VICTOR. Soffro.

ÉMILIE. Hai bisogno di riposo, va’, Totor!

VICTOR. Good night, mother. (Esce tenendosi la pancia).

SCENA OTTAVA

         Émilie.

ÉMILIE (alla finestra). Charles! Charles! Dov’è andato? Charles! Vieni dentro, prenderai freddo! Si prenderà un raffreddore! Charles, per l’amor del cielo, vieni dentro! È inutile che ti nascondi, ti ho visto. Vieni dentro!

VOCE DI CHARLES. No.

ÉMILIE. Vieni a letto, Charles! Smetti questa commedia.

VOCE DI CHARLES. Mi hai seccato.

ÉMILIE. Ah, è così. (Chiude la finestra e va a letto. Si vede che non riesce a calmarsi, si gira ora a destra, ora a sinistra. Improvvisamente scende giù dal letto, indossa un kimono ed esce da sinistra).

Durante la breve assenza di Émilie Esther entra dalla porta a vetri di fondo che dà sul giardino; attraversa in silenzio il palcoscenico ed entra a destra nella camera di Victor.

Poco dopo Charles e Émilie rientrano in camera loro.

SCENA NONA

         Charles, Émilie.

CHARLES (entrando per primo). Questo laudano ci ha fatto solo venire una colica.

ÉMILIE. Potevi andare al gabinetto. Belle idee che ti vengono di andarlo a fare in giardino.

CHARLES. Non si tratta di idee, ma di una idea, come quella di fare poco fa una confessione.

ÉMILIE (schiaffeggiandolo col braccio teso). To’, tieni! Maiale! Porco schifoso! To’! E anche questo! E quest’altro! E ora, vai a letto. Di’? Andrai a letto?

CHARLES (dopo gli schiaffi). Non mi difendo. Non mi difendo più. Hai ragione, sono uno schifoso, un essere abietto e senza scrupoli. Credevo di averti chiesto perdono. No? Ebbene, ti chiedo perdono.

ÉMILIE. Te lo concedo. Ma il Futuro non ti perdonerà.

CHARLES. Il Futuro. Ho il presentimento che il Futuro sia già qui.

ÉMILIE. Cosa?

CHARLES. Oh, è solo un presentimento…

ÉMILIE. Spiegati!

CHARLES. Siamo perduti.

ÉMILIE. Perduti?

CHARLES. Sì, perduti, corpo, averi, anima. Questa casa traballa. Ho paura.

ÉMILIE. Paura di che?

CHARLES. Ho paura. (Pausa). Ho paura di non essere all’altezza.

ÉMILIE. All’altezza! Si può immaginare una bassezza simile!

CHARLES. Dormire! Chiedo tanto?

         Suonano. Charles ed Émilie si guardano. Suonano con insistenza.

LILI (da dietro le quinte). Signora, mi pare che suonino.

CHARLES. Ah, vi pare?

LILI. Sono certa che suonino. Debbo aprire?

CHARLES. Chiaro che sì. Chi può essere a quest’ora?

ÉMILIE. Che ora è?

CHARLES. Domenica. (Gridando) Lili, avete aperto?

LILI. Sissignore, è la signora Magneau.

CHARLES. È Thérèse.

         Thérèse entra trafelata nella stanza.

SCENA DECIMA

         Charles, Émilie, Thérèse.

THÉRÈSE. Esther! Dov’è Esther?

CHARLES. Esther?

THÉRÈSE. Sì, se n’è andata di casa dicendo: voglio andare da Victor. Victor sarà il mio papà, il mio piccolo papà.

CHARLES. Che idiozia.

THÉRÈSE. Sì, certo, è stupido. Ah! Che serata! Dov’è Esther?

ÉMILIE. Ma noi, mia cara, non l’abbiamo vista. Se l’avessimo vista glielo diremmo. Le assicuro che non è qui.

THÉRÈSE. Non è qui? (Diffidente) Non vorrà vendicarsi su di lei? Eh? Lei non ammazzerà mia figlia!

ÉMILIE. Ammazzare sua figlia? E perché mai, Dio mio! Come se non ne avessimo abbastanza da ammazzare in famiglia.

CHARLES. Cosa?

THÉRÈSE. Che sta dicendo?

ÉMILIE. Lo saprà presto, Thérèse! Dio non voglia che avvenga a sue spese.

THÉRÈSE. Mia figlia è qui! Capite? Ne sono certa come è vero che mi chiamo Thérèse.

CHARLES. Suvvia, Thérèse, sia ragionevole. E come avrebbe fatto a entrare?

ÉMILIE. Esca di qui!

CHARLES. Esca, torni domani. Stanotte c’è tregua. Domani regoleremo tutto.

THÉRÈSE. Ma io voglio mia figlia!

ÉMILIE. Insomma, non me la sono mica messa in tasca sua figlia. Vuole mio figlio?

CHARLES. Non si ostini, Thérèse. Torni a casa! Parola d’onore, Esther non è venuta.

THÉRÈSE (a Émilie). Lei la nasconde da qualche parte. Poco fa ha tentato di soffocarla nella cassetta del carbone per vendicarsi che mi sono presa suo marito. Ebbene, sì, alla faccia sua, me lo son preso, mi sarei presa anche lei se fosse stata uomo e sarei stata anche capace di metterla incinta.

ÉMILIE. Lei, mettere incinta me!

CHARLES. Non è gentile quello che sta dicendo, Thérèse. Io a lei non l’ho mai messa incinta.

THÉRÈSE. Mi perdoni, mi perdoni, Émilie!

ÉMILIE. Io non le perdono niente, mi sente? Niente.

CHARLES. Torni a casa, vada da Antoine.

THÉRÈSE. Ah! Ah! Ah! (Ride nervosamente) Antoine! Lui m’ha scacciata. Lui, quel pazzo idiota. Antoine! Se ne sta in camicia sul balcone. Per fianco sinistr! Per fianco destr! Avanti carica, morte ai Crucchi! Esther è scappata urlando. Invocava Victor. L’ho cercata per tutto il quartiere. Perché non dovrebbe essere qui. Charles non vorrai sbranarmela? (Grida) Aiuto! L’ammazzano!

Charles le tappa la bocca. Si sentono ai vari piani dei rumori, delle voci: Che succede? Si stanno ammazzando in casa Paumelle… Suona la porta.

SCENA UNDICESIMA

         Gli stessi, Lili.

LILI (entrando). Eh? E meno male che m’avevate detto di chiudere la porta. Stanno tutti affacciati alla finestra. La casa del delitto! Statevi zitti, o me ne vado. (Esce).

SCENA DODICESIMA

         Charles, Émilie, Thérèse.

UNA VOCE. Che succede?

LILI (tra le quinte). Non è niente, è la signora che ha le doglie.

UNA VOCE. È un maschio?

UN’ALTRA VOCE. È una femmina?

LILI (stesso tono). È un bastardo.

Si odono delle risate che vanno spegnendosi, poi le finestre si richiudono. I personaggi durante tutto il dialogo precedente restano immobili. La porta a destra si apre. Entra Victor conducendo Esther per mano. Esther si nasconde gli occhi.

SCENA TREDICESIMA

         Gli stessi, Victor, Esther.

THÉRÈSE. Esther! Esther! Bambina mia! (A Émilie) La sequestravate? Eh?

ÉMILIE (alza le spalle, poi rivolta a Esther). Come sei entrata, piccina?

ESTHER. Dal giardino.

ÉMILIE. Come mai sei venuta?

ESTHER. Volevo vedere Victor.

VICTOR. Veniva a trovarmi.

CHARLES. Perché? Che ti ha detto?

VICTOR. Niente. Si è sdraiata sulla sponda del letto.

CHARLES. Non t’ha detto proprio niente?

VICTOR (a Esther). Hai detto qualcosa?

ESTHER. Sì. Ho detto: Buona sera, Victor.

CHARLES. E poi?

VICTOR. Si è addormentata, e voi me l’avete fatta svegliare. (A Thérèse) La vuole? Se la riprenda. Ho troppo mal di pancia.

         Una lunga pausa.

ÉMILIE (in estasi). Oh! Dio sia lodato! Ho capito, è il Cielo che ce l’ha mandata. È Dio. Io intravvedo dietro questa apparente fuga un miracoloso intervento della Divina Provvidenza! In ginocchio, bambini! In ginocchio, Charles! In ginocchio, Thérèse! E ringraziamo il Signore se i suoi disegni non sono poi così impenetrabili. Eccoci riuniti dalla più commovente delle inverosimiglianze. Lei, la moglie adultera, non protesti! Tu, il padre indegno, io, la madre sventurata! Voi, bambini, testimoni inevitabili e nunzi della redenzione!

THÉRÈSE. Ho capito! È vero! È giusto! È miracoloso! Dio sia lodato!

CHARLES. È sbalorditivo, anch’io capisco! Gesù, Gesù!

ESTHER. Sbalorditivo! Sbalorditivo!

VICTOR. Uh! Che mal di pancia! Uh! che mal di pancia!

ÉMILIE. Alzatevi, alzatevi tutti! Mi dia la mano, Thérèse. La metta sulla testa di Esther. Dammi la tua ignobile mano di libertino, Charles, mettila sui capelli di Victor, e pregate, pregate ora. Giurate solennemente di rinunciare alla vostra relazione colpevole.

CHARLES. Giuro di non andare più a letto con lei, Thérèse, di non più tradirti, Émilie, e di essere il modello dei mariti.

THÉRÈSE. Giuro sulla testa di Esther di rinunciare alla mia funesta passione per Charles e di assistere Antoine fino alla morte.

ÉMILIE. Grazie. Grazie. (Versa qualche lacrima).

         A due a due si baciano tutti.

VICTOR. Finito? Ahi! ahiahi! Che mal di pancia! Ahi! ahiahi! Che mal di pancia!

CHARLES. Non si è calmato, Victor?

VICTOR. È all’intestino tenue! È all’intestino tenue!

         Suonano.

CHARLES. Ancora! Ma non fanno che suonare! Ora lo stacco quel campanello.

ÉMILIE. Chi è?

         Entra Lili.

SCENA QUATTORDICESIMA

         Gli stessi, Lili, poi Maria.

LILI. È Maria.

THÉRÈSE. La mia cameriera! (A Lili) Che vuole da me?

LILI. Vuole… entri, Maria.

MARIA. Signora, vengo per licenziarmi e darle questa lettera. Non c’è risposta. Buona sera a tutti. (Esce).

SCENA QUINDICESIMA

         Charles, Émilie, Thérèse, Victor, Esther.

THÉRÈSE (dopo aver letto scoppia in lacrime) Ah!

CHARLES (avvicinandosi). Thérèse, che ha?

THÉRÈSE. Quel pazzo di Antoine si è impiccato!

TUTTI. Oh! Cosa! Come?

THÉRÈSE. Si è impiccato, in camicia, al balcone.

CHARLES. No.

THÉRÈSE. Tenga, legga lei. (Tende a Charles la lettera che la legge. Lunga pausa). Legga, Charles, legga ad alta voce.

CHARLES (leggendo). «Addio Thété. Mi dondolo. Il bastone della tela cerata che tu a volte adoperavi per fare la pasta dei dolci, l’ho infilato dentro al portabandiera del balcone, dopo avervi annodato all’estremità i cordoni verdi delle doppie tende del salotto. Ho infilato la testa nell’estremo nodo scorsoio. E ora mi dondolo. Sventolo, perché io sono la bandiera. E sono la bandiera perché sotto la camicia da notte nessuno si meraviglierà di trovarmi vestito col dolman blu e i calzoni rossi dei dragoni dell’imperatore. Ora metto per l’ultima volta un rullo sul cilindro del fonografo e morirò con le note di “Sambre-et-Meuse”. La mia ultima volontà è che tu, tornando a casa, prima ancora di staccarmi, rompa il rullo e che si cerchi per Victor, tra i selci di Place du Panthéon la mandragora del mio ultimo godimento. Addio Thété, addio Thérèse.

ANTOINE

PS. A proposito, non dimenticare di pregare Charles di consolare sua figlia. A padre becco, figlia adulterina. Meglio così, s’interrompe la razza».

         Gran silenzio costernato.

ESTHER. Che vuol dire becco?

THÉRÈSE. Il becco è la bocca dell’uccello.

ÈMILIE (piangendo). Oh! basta, basta, basta!

THÉRÈSE (torcendosi le braccia). È troppo, è troppo, davvero troppo. Supera ogni limite. La misura è colma.

VICTOR. Non buttatene più, il cortile è pieno. (Esce tenendosi la pancia).

SCENA SEDICESIMA

Gli stessi, meno Victor.

ESTHER (recitando).

                   Chi trema nella casa?

                   Chi tornerà? Nessuno!

                   Il becco poverino!

                   Becco di un uccellino…

ÉMILIE. Charles, ora tu accompagni Thérèse e Esther a casa e le aiuti a compiere tutte le formalità.

THÉRÈSE. No, Charles, me la vedrò da sola, non c’è bisogno che venga.

CHARLES. Suvvia, Thérèse, dinanzi alla morte… Ah, sei una santa donna, una santa donna, Émilie!

ÉMILIE. Andate, su. Voglio sperare, notate la franchezza, non vi nascondo quel che penso, voglio sperare che non avrete l’impudenza di tradirmi stasera.

THÉRÈSE. Oh, Émilie! Lei è pazza ! Tradirla stasera! D’altronde l’abbiamo giurato, l’abbiamo giurato e lei ci ha perdonato.

ÉMILIE. Non c’è mai situazione abbastanza terribile…

CHARLES (debolmente). Sta’ tranquilla, sta’ tranquilla. (Si ode un grande urlo). Cos’è?

ÉMILIE (esce gridando). Victor! Victor!

Lunga pausa. Émilie riappare portando Victor svenuto, tra le braccia.

SCENA DICIASSETTESIMA

Gli stessi, Victor.

ÉMILIE. Oh! È la fine. L’ho trovato svenuto nel corridoio. Andate! Charles, accompagna in fretta Thérèse ed Esther e torna col dottore.

Charles, Thérèse e Esther escono in fretta e furia. Victor è stato disteso sul letto. Émilie singhiozza al suo capezzale.

SCENA DICIOTTESIMA

         Émilie, Victor.

ÈMILIE. Victor! Victor! Mio Totor adorato, tesoro, figlio mio! Almeno tu sei mio figlio. Totor, figlio di Émilie e di Charles, ti supplico, rispondi. Oh, Dio mio! Maria, Giuseppe, e tutti gli angeli, scioglietegli la lingua, fate che parli, che risponda agli accenti di una madre angosciata. Victor, Victor mio! Non risponde. È morto. Sei morto? Se fossi morto lo sentirei. Niente è più sensibile delle viscere di una madre. (Victor si rigira gemendo). Ah, ah! Ti muovi. Dunque non sei morto. Allora perché non rispondi, di’? Lo fai apposta, ci perseguiti, vuoi che mi torca le braccia, che mi rotoli per terra? È questo che vuoi, eh? Puoi muovere il tuo gran corpo e allora che cosa ti costa muovere la tua piccola lingua? che cosa ti costa. Non puoi parlare? Non vuoi parlare? Una volta, due volte, Victor! E una volta, e due, e tre. To’, testardo! (Lo schiaffeggia).

VICTOR. Se non è da disgraziati picchiare un bambino malato, un bambino che soffre. Che cos’è, mamma, una madre che schiaffeggia un bambino morente?

ÉMILIE. Perdono, perdono, Victor. Ero fuori di me. Ma anche tu perché non rispondevi?

VICTOR. Che cos’è una madre che brutalizza il figlio moribondo?

ÉMILIE. Dovevi rispondere, Totor, rispondere, bambino mio.

VICTOR. Sì rispondo… Una madre che fa questo è un mostro.

ÉMILIE. Perdono, Victor! Ti ho perdonato tante volte, tu puoi farlo, dopo questa serata, dopo questa maledetta nottata, dopo tutta una vita, puoi farlo. Totor, pensa, se tu stessi per morire…

VICTOR. Credi che morirò?

ÉMILIE. Ma no. Non so che hai. Che puoi avere? No, non ti preoccupare. Morire, ma è impossibile, bambino mio. Sei così giovane!

VICTOR. Si muore a tutte le età.

ÉMILIE. Non morirai, non voglio che tu muoia, voglio solo che mi perdoni.

VICTOR. Su, su, mamma cara. Primo, sto morendo, secondo, perché bisogna che muoia, terzo, debbo quindi perdonarti. Sei perdonata. (La benedice. Émilie singhiozza e gli bacia convulsamente la mano). È destino dei bambini precoci, la cui precocità confina con il genio. È destino dei bambini geniali.

ÉMILIE. Cosa?

VICTOR. ...Ma senti! Ercole in culla strangolava serpenti. Io sono stato sempre troppo alto perché un prodigio simile potesse attendibilmente venirmi attribuito. Pascal con dei cerchi e dei bastoni rinveniva le enunciazioni essenziali della geometria euclidea. Il piccolo Mozart col suo violino e l’archetto continuerà a lungo a stupire i visitatori della galleria di scultura del Lussemburgo. Il piccolo Federico giocava contemporaneamente venti partite a scacchi, e le vinceva tutte. Per finire, più forte di tutti, Gesù, fin dalla nascita veniva proclamato figlio di Dio. Simili precedenti sono schiaccianti per il figlio di Charles ed Émilie Paumelle che deve morire a nove anni in punto.

ÉMILIE. Tesoro!

VICTOR. A nove anni in punto. Che mi resterebbe, ti chiedo, che mi resterebbe nella piccola cerchia familiare, completamente invasa dai miei premi scolastici, che mi resterebbe, di’?

ÉMILIE. Ma, il lavoro, l’affetto dei tuoi, e tu sei figlio unico.

VICTOR. L’hai detto, mi resterebbe d’esser figlio unico. Unico. Favorito dalla natura ho nove anni e sono alto due metri, ho capito all’età di cinque anni, allora ero un metro e sessanta, che dovevo consacrarmi all’Unicat.

ÉMILIE. A che?

VICTOR. All’Unicat. Ho cercato in silenzio, ho lavorato in segreto, e ho trovato.

ÉMILIE. Hai trovato? Delira.

VICTOR. Sì, Eureka! Ho scoperto i meccanismi dell’Unicat.

ÉMILIE. Povero piccolo! E quali sono?

VICTOR. I meccanismi dell’Unicat… Oh sarebbe così facile se avessi un foglio di carta e una matita.

ÉMILIE. Vuoi che te li vada a prendere?

VICTOR. No, no, è inutile non avrei la forza di scrivere.

ÉMILIE. Allora?

VICTOR. Non fa niente, tenterò lo stesso di spiegarti. I meccanismi dell’Unicat…

Entra il padre seguito dal dottore.

SCENA DICIANNOVESIMA

         Émilie, Victor, Charles, il dottore, poi Lili.

VICTOR. Uffa!

IL DOTTORE. Ecco qua il nostro malato. Va male, eh piccolo? Abbiamo bua al pancino?

VICTOR. Sì, dottore. Mi fa bua là, nel pancino.

IL DOTTORE. Su, non sarà niente di grave. Signora Paumelle, mi dia un tovagliolo. Ha un cucchiaio? Sì. Bene. Voltati, piccolo, mettiti a pancia sotto. Ha febbre?

CHARLES. Non so, veda lei. (Esce innervosito).

IL DOTTORE. Ora vediamo. (Prende la temperatura rettale).

         Lunga pausa. Entra Charles, sempre nervoso, seguito dalla cameriera.

LILI (a bassa voce). Signora, signora!

ÉMILIE. Zitta! Che c’è?

LILI. Senta. (Prende Émilie da parte e le mormora qualcosa all’orecchio).

ÈMILIE. Non è possibile. (Charles fa qualche passo verso la porta. Émilie correndo verso di lui). Charles!

CHARLES. Sì?

ÉMILIE. Dove vai? Vieni qua. (Charles esita. Émilie immobilizzandogli il braccio) Dammi qua, dài.

VICTOR (sempre a pancia sotto, e che non può aver visto la scena). Papà, dài retta alla mamma. Sto male e mi dà fastidio il fumo. Dàgli la tua pipa, così non cederai alla tentazione. (Charles dà a Émilie una pistola. Tutti e due sembrano molto stupiti). Non bisogna pretendere troppo dal meccanismo dell’Unicat.

IL DOTTORE. Che dice?

ÉMILIE. Delira, dottore, delira.

CHARLES. Sì, sì, delira.

         Lili che è rimasta immobile durante tutta la scena scompare.

SCENA VENTESIMA

         Gli stessi, meno Lili.

IL DOTTORE (esaminando il termometro). Non c’è da stupirsi che deliri. Ha… ha la febbre alta.

ÉMILIE. Allora, dottore?

IL DOTTORE. Aspetti, ora lo ausculto. (Lo ausculta) Conta: trentacinque, trentasei, trentasette…

VICTOR. …trentotto, trentanove, quaranta…

         L’auscultazione continua.

CHARLES. Allora?

IL DOTTORE. Allora…

VICTOR (urlando). Ahi, ahiahi, ahi, ahiahi, ahi, ahiahi! (Charles e Émilie s’inginocchiano accanto al letto. Finalmente Victor si calma e chiede) A che ora sono nato, mamma?

ÉMILIE. Alle undici e trenta di sera.

VICTOR. Che ora è?

ÉMILIE. Sono… Charles, che ora è?

CHARLES. Sono le undici e venticinque.

VICTOR. Ebbene ora, cara mamma, ti dirò quali sono i meccanismi dell’Unicat. I meccanismi dell’Unicat sono…

CHARLES. Ma dottore, insomma, di che sta morendo?

IL DOTTORE. Muore di…

VICTOR. (interrompendolo). Muoio di morte. È l’ultimo meccanismo dell’Unicat.

IL DOTTORE. Che vuol dire?

CHARLES. Non ho mai capito niente di questo bambino.

ÉMILIE. E gli altri, Victor, gli altri meccanismi? Fa’ presto, sono le undici e ventotto.

VICTOR. Gli altri. (Pausa). Li ho dimenticati.

         Muore.

IL DOTTORE. Così finiscono i bambini testardi.

Il dottore esce mentre viene calato un sipario nero. Si odono due spari. Si rialza il sipario. Émilie e Charles sono stesi ai piedi del letto del bambino, tra di loro una pistola fumante. Si apre una porta e compare la cameriera.

LILI. Ma è un dramma!


[1] Questo monologo nella rappresentazione è stato soppresso.

1 Dizionario Larousse.

1 Dizionario Larousse.

1 Tutta questa scena sarà tagliata a teatro e il giornale dovrà essere scorso rapidamente. Verrà letto distintamente solo il pezzo del feuilleton.