I casi sono due

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I CASI SONO DUE

tre atti di Armando Curcio

Personaggi:

GAETANO, cuoco

GIUSEPPE, cameriere

MARIA, cameriera

FEDERICO, maggiordomo

BARONE OTTAVIO DEL DUCA

ASPASIA, sua moglie

SORMANI, investigatore privato

ESPOSITO, presunto figlio del barone

TERESINA MANFREGOLA, madre adottiva di Esposito

Scene:

Sala da pranzo nobilmente arredata.

PRIMO ATTO

GAETANO - (con tono minaccioso) Faccio carte io!

GIUSEPPE - Ma comme, tu mo haie fatto carte?!

GAETANO - Ti ho detto e ti ripeto che faccio carte io. (E prendendo il mazzo di carte inizia a giocare)

GIUSEPPE - Ma sangue da’ marina, so’ tre mane che faie carte tu… e nun tengo niente da prendere. (e lascia cadere una carta)

GAETANO - (Raccogliendo tutto con grande lestizia) Asso bello… gioca… gioca.

GIUSEPPE - Ma so cose ‘e pazze… ma che tieni in mano? (lasciando cadere un’altra carta) Teh!

GAETANO - Scopa! (intanto versa da bere a lui e a Giuseppe) Teh teh, bevi bevi; offro io, questo è il cognac del barone… fumati un sigaro tieh, che ce ne importa, questi sono del barone.

GIUSEPPE - So’ cose ‘e pazze, nun piglio mai. (Intanto Gaetano ha fatto un’altra scopa) Basta, non voglio giocare più. (e Gaetano fulmineamente arraffa i soldi dal tavolo) Uhè, posa ‘e quaranta lire.

GAETANO - Dovete passare sul mio cadavere.

GIUSEPPE - E te pienze ca me mettesso appaura. Tu si nu mbruglione.

GAETANO - Attenzione che ti denunzio per diffamazione.

GIUSEPPE - Pecché, vuò dicere ca nun è overo ca so tre mane ca faie carte tu? E po’ quanno piglie nun me faie mai vedè si piglie giusto.

GAETANO - Non avete testimoni.

GIUSEPPE - (Alzando sempre di più la voce e facendo per aggredire Gaetano) Chisto me fa perdere ‘a pazienza.

MARIA - (Comparendo dalla comune attratta dalle grida) Uhè, ma che so’ sti allucche, fusseve asciute pazze? (E ferma Giuseppe appena in tempo)

GAETANO - Mi stava aggredendo…

GIUSEPPE - Mariuolo, mbruglione. (si riavventa su Gaetano) Puosa ‘e quaranta lire.

MARIA - (cercando di dividere i due e alla fine riuscendovi) Mo ‘a vulite fernì? V’avessa sentire don Federico.

GIUSEPPE - Don Federico prima di assumere gente dovrebbe prendere accurate informazioni.

GAETANO - E con questo che vorresti insinuare?

GIUSEPPE - Ca dinta ‘a casa do barone, gente che arrobba nun ne vulimmo.

GAETANO - Uh mannaggia… (e fa per avventarsi su Giuseppe mentre entra don Federico)

FEDERICO - Ma che cosa c’è, cosa sono queste urla?

GAETANO - Don Federì, Guseppe arrobba ‘e carte.

FEDERICO - Ma come… vi mettete a giocare a carte?!

GAETANO - E questo non è niente. Mi ha offerto pure il cognac del barone.

GIUSEPPE - Non è vero. Sta faccia ‘e corna.

GAETANO - Diceva “bevi, bevi, tanto offre il barone”.

GIUSEPPE - Uh madonna, mo l’accido.

FEDERICO - Incredibile… (guardando i sigari sulla tavola) E vi siete messi a fumare pure i sigari?!

GAETANO - Me li ha offerti lui. Diceva “fumma, che ce ne ‘mporta tanto sono del barone”.

GIUSEPPE - Ma chi? Io? Don Federì nun ‘o crerite a stu nfamone.

FEDERICO - (A Giuseppe) Tu vattene via. E anche tu Maria! Anzi portate via tutta questa roba dalla tavola. (Maria e Giuseppe eseguono e vanno via seguiti da Gaetano) No Gaetano, voi restate. (in tono minaccioso) Vi debbo parlare. Io credo che fra di noi è venuto il momento di un chiarimento. La mia pazienza è giunta al limite: con i tuoi sistemi in casa del barone Del Duca si dura poco.

GAETANO - Ma che ho fatto di male?

FEDERICO - Che hai fatto di male?! In cucina pare na rivoluzione, miette questione cu tutte quanti. Dice ca nun è overo.

GAETANO - Io nun me fido e vedè ‘e cose storte.

FEDERICO - E ll’ate e cose storte toie l’hanna vedè?

GAETANO - Ma quali cose storte?!

FEDERICO - Gaetano, la sparisce tutte cose: olio, vino, carne, zucchero, pusate…

GAETANO - No don Federì, ‘e pusate no… vo giuro ncoppa ‘a… Avessa perdere a… Putesse j sotto a nu…

FEDERICO - Ma statte zitto. L’altro giorno, hai preso a Medoro, un cane di quel valore, e lo hai buttato nell’acqua bollente…

GAETANO - Ma quello mi voleva mordere la mano… ce ll’ave cu me don Federì.

FEDERICO - E nientedimeno tu lo butti nell’acqua bollente. Se lo sa la baronessa.

GAETANO - Don Federì, ma io non mi posso far mozzicare dal cane… e si tene ‘a rabbia? In questa casa o se ne va il cane o me ne vado io.

FEDERICO - E te ne vai tu. Nun parlammo po’ ‘e chello ca è succieso fora ‘a porta da stanza ‘e Maria l’altra sera.

GAETANO - Io vi giuro… volevo farmi attaccare un bottone.

FEDERICO - All’unnece e sera.

GAETANO - E mo mettiamo l’orario alla caduta dei bottoni.

FEDERICO - Cu ll’uocchie dint’o buco da serratura.

GAETANO - Don Federì, io vi giuro…

OTTAVIO - (Entra dalla comune con a braccetto la moglie Aspasia. I due, siedono) Cosa vuole il cuoco?

FEDERICO - Stavo dando alcune disposizioni per il pranzo di stasera.

OTTAVIO - Questa è nuova. Mi vorreste mica cambiare la cena? Pastina in brodo e ali di pollo lesse, tranne il venerdì: baccalà in bianco.

ASPASIA - Mamma mia bella. E chissà quando finisce questa storia, tu e le tue malattie immaginarie.

OTTAVIO - Per favore, Aspasia, non vorremmo fare questioni davanti alla servitù? Federico portatemi la medicina delle cinque.

ASPASIA - Non capisco perché quel povero Medoro da un po’ di tempo cammina zoppo ed ha la pelle tutta arrossata. (Federico guarda Gaetano minaccioso)

GAETANO - Niente signora baronessa, è cosa da niente.

ASPASIA - Vi intendete di cani dunque?

GAETANO - Sicuro signora baronessa… quello ci ha certamente una bella rogna.

ASPASIA - Medoro la rogna. No!

GAETANO - Ma non c’è da preoccuparsi, può solo immischiare a tutti quanti.

OTTAVIO - (terrorizzato) Portiamolo immediatamente dal veterinario.

GAETANO - Ci penso io stesso.

ASPASIA - Oh, grazie Gaetano.

FEDERICO - (intanto si è recato alla farmacia nel mobile ed avrà versato la medicina in un bicchiere) Ecco servito.

OTTAVIO - (sorseggiando) Che strano sapore… sembra cognac. Ma siete sicuro che è la mia medicina?

FEDERICO - Sono sempre io che preparo le vostre medicine e da trent’anni non mi sono mai sbagliato.

OTTAVIO - Questo è vero, sarà la mia bocca. (Beve di un fiato la medicina) Aiuto… ma questo è proprio cognac… mamma mia mi sento morire.

GAETANO - (Si avvicina alla bottiglia e ne beve un bel sorso) Avete ragione signor barone, questo è cognac. Guardate la bottiglia: marca tre stelle.

OTTAVIO - Mi volete rovinare. Chamate subito i dottori, fate fare un consulto. (Rivolto a Federico) Ma io vi denunzio in questura.

GAETANO - Vado a telefonare io signor barone, datemi il numero.

ASPASIA - Ma calmati Ottavio. Cosa vuoi che sia un bicchierino di cognac?

FEDERICO - Sono mortificato signor barone, è stato un equivoco. Colpa di questo sciagurato che beve il vostro cognac, e per non farsi scoprire lo nasconde in farmacia.

OTTAVIO - Adesso vorreste dare la colpa a questo bravo giovine il quale forse ha sventato chissà quale vostra macchinazione.

FEDERICO - Ma signor barone…

OTTAVIO - Andate via vi prego. (Federico esegue umiliato) Grazie Gaetano, potete andare anche voi.

ASPASIA - Aspettate, vi eravate preso l’impegno di portare il cane dal veterinario. Vado a mettergli la museruola pulita, seguitemi.

GAETANO - Vi seguo signora baronessa, in un battibaleno vado e vengo. (Ed escono dalla comune)

MARIA - (Entrando dalla comune) C’è l’incaricato dell’agenzia Argo.

OTTAVIO - Fatela entrare. (Maria esce)

SORMANI - (Entrando) Signor barone, i miei omaggi.

OTTAVIO - E allora, buone nuove?

SORMANI - Eccellenti.

OTTAVIO - Allora siamo sulle sue tracce.

SORMANI - L’agenzia Argo non fallisce mai. Dunque, innanzitutto Margherita del Rio: morì in un incidente stradale nel ‘22. Sulla sua vita abbiamo raccolto dettagliate informazioni, ma non vi annoierò con le notizie sui suoi amanti, vi darò qualche cenno sugli ultimi, in ordine di successione.

OTTAVIO - Come se fosse la dinastia dei Carolingi.

SORMANI - Una vera storia epocale. Ci furono fasti e fulgori delle epoche in cui al fianco di Margherita del Rio apparivano marchesi, conti, baroni e baronetti. Arriviamo all’epoca del decadentismo: triste epoca di imbianchini, venditori di castagne…

OTTAVIO - …contrabbandieri e ladri. Lasciamo stare la storia di Margherita e occupiamoci del ragazzo.

SORMANI - Purtroppo sul conto del rampollo non abbiamo avuto dati sicuri. Tuttavia, una traccia non trascurabile è stata raggiunta.

OTTAVIO - Dite, dite. Non fatemi stare sulle spine.

SORMANI - Il rampollo fu allevato nei primi anni da una famiglia di pescatori il cui padre, Don Antonio Manfrecola, da me interrogato, è smemorato e non ricorda nulla.

OTTAVIO - E me la chiamate una buona notizia?

SORMANI - Ma la moglie è vegeta ed arzilla. Quella donna è ancora tanto affezionata alla creatura che ha cresciuto con il suo stesso latte. Ella mi ha dunque confermato che il piccolo rimase presso di lei fino all’età di quattro anni e che fu successivamente affidato ad un parroco di Piscinola.

OTTAVIO - Embè, avete quindi perduto le sue tracce?

SORMANI - Per niente eccellenza. Tralasciando di annoiarvi con i vari mestieri che egli ha avuto nei suoi primi anni, ci soffermeremo su quelli più recenti, in cui troviamo il vostro amato figliolo prima come garzone in una panetteria di Vico tre Re e, successivamente, pasticciere presso Pintauro, dal quale fu cacciato il 14 maggio 1937 per aver rubato 12 ruoti di sfogliatelle tra foglie e ricce.

OTTAVIO - Ma si tratterà certamente di una calunnia. Eventualmente le avrà mangiate.

SORMANI - 12 ruoti eccellenza!

OTTAVIO - Si trattava di un ragazzo di buon appetito. Andiamo avanti.

SORMANI - È tutto quello che sappiamo fino ad adesso, anche se spero di potervi dare presto notizie sulle epoche successive. Adesso se permettete vorrei andare per continuare le mie indagini. I miei ossequi barone.

OTTAVIO - Spero di rivedervi presto. (lo accompagna alla comune mentre Sormani esce)

ASPASIA - (entrando dalla comune con aria triste) Come si sente il vuoto in questa casa senza quella povera bestiola! A questa ora saltava su quella poltrona e mi veniva a leccare le dita per cercarmi i biscottini all’uovo, quelli con tante tante proteine…

OTTAVIO - (infastidito) E finiscila con quel cane, ti stai rendendo ridicola con la servitù.

ASPASIA - Ma come, un cane che sta con noi da 18 anni… per noi che non abbiamo figli.

OTTAVIO - Hai ragione, credi che io non ne senta la mancanza! Questa casa fredda, vuota. Oramai ho 55 anni… se mi viene una malattia… si, ci sei tu… ma anche tu stai un poco scellatella… le nottate accanto al mio capezzale chi le fa…

ASPASIA - Ma tu pienze sempe a na cosa.

OTTAVIO - E bisogna pensarci, cara moglie. Beato il marchese Del Verrocchio. Quello è paralitico, ma è felice e sai perché? Perché ha il figlio che lo porta nella carrozzella; e a me quando mi verrà una paralisi a carrozzella chi a porta, e quanno murimmo tutta questa roba in mano a chi va? Di sicuro una parte se l’arraffa la servitù prima che esca la salma. Sul resto piombano tutti i parenti, pure quelli che non si fanno vedere da 40 anni. Come quella morte scavata di Bebè il quale già firma cambiali agli strozzini nella speranza di pagarle con l’asse ereditario di Don Ottavio del Duca. Come sarebbe bello invece poter chiamare in punto di morte il proprio figlio e dirgli: “Tieni, questa è tutta roba tua”.

ASPASIA - Ti capisco, mi farebbe piacere, ma tanto sono chiacchiere inutili perché questo figlio non ci sta.

OTTAVIO - Eppure ci potrebbe essere.

ASPASIA - Alla nostra età? Ma nun ce fa’ ridere.

OTTAVIO - Aspasia, ascoltami, io ti devo dire una cosa importante. Devi sapere che nel 1912, quando facevo ancora la vita mondana, ma ti assicuro comunque prima di conoscerti ed assaporare la tranquillità del nostro matrimonio, conobbi alla Fenice, una canzonettista, una certa Margherita Del Rio.

ASPASIA - Ma queste cose io le so già. Conosco la tua vita passata, ma adesso non è il caso di tornarci su.

OTTAVIO - Ne ebbi un figlio.

ASPASIA - (presa da sconcerto) Nu figlio!

OTTAVIO - Si, e so che è vivo.

ASPASIA - Mamma mia, tieni un figlio! E che età tiene adesso? Da quanto tempo non lo vedi? E perché me lo dici solo adesso?

OTTAVIO - Calmati, calmati, non ti agitare! Non te lo volevo nascondere. Ho voluto solo accertarmi che il ragazzo fosse vivo e l’ho saputo solo oggi. Poverino, ha esercitato mestieri modesti, ma sono sicuro che porterà anche nella sua umile vita quella distinzione, quella nobiltà e quell’ingegno che sono retaggio del nostro casato. Aspà, il ragazzo è bello.

ASPASIA - Ma allora lo hai visto?

OTTAVIO - No, ma già me lo immagino: occhi chiari, profilo aquilino, tagliente, caratteristico della nostra casta guerriera… la mascella volitiva… sorriso aperto e franco, espressione di onestà, di lealtà e di fierezza.

ASPASIA - Meh, meh non te ne j’e capa. Certo, se il ragazzo è veramente tuo, sia il benvenuto in questa casa. Come potrebbe mancargli il mio affetto? Gli vorrò bene come a un figlio che mi fosse venuto da te.

OTTAVIO - Ma tu sei un angelo. Vedrai che questo ragazzo allieterà la nostra vecchiaia. Forse è un premio che il signore ci ha concesso per compensarci di una vita trascorsa nella fede.

GAETANO - (entrando dalla comune) È permesso? Eccoci di ritorno.

ASPASIA - Tutto bene?

GAETANO - Certamente signora baronessa; è morto il cane.

ASPASIA - (inferocita e addolorata dà un urlo) Morto, Medoro? Ma che dici? E me lo dici con quella faccia?

GAETANO - Ma la colpa non è mia. Noi stavamo camminando per Via Duomo… Ah, c’erano più di 100 testimoni e io ho preso tutti i loro nomi. (tira dalla tasca un lungo foglio di carta) Il cane ad un certo momento si è fermato sui i binari del tram e si è messo a fare la pipì. Io non l’ho tirato perché so che quando il cane fa i propri bisogni non si deve tirare altrimenti gli rimane il bisogno strozzato e poi si sente male… ma io, baronessa, stavo sempre in guardia per vedere se veniva il tram. Invece ad un certo momento è venuto un vigile che ha ditto, isso ha ditto “il cane ha pagato la tassa?” Aggio ditto io, aggio ditto “ma come, questo è il cane del barone Del Duca” ha ditto isso, ha ditto “barone o non barone, voglio sapere se il cane ha pagato la tassa, se ha la medaglia”. Io poi non sapevo che il cane era decorato e comunque aggio ditto io, aggio ditto “ma vi pare che il barone non pagava la tassa?” Insomma, mentre discutevo con il vigile ho sentito uno stridio di ferraglia sui i binari; sono andato per girarmi e il cane stava tanto bello metà da una parte e metà dall’altra.

ASPASIA - (altro urlo) Ahh, Gesù Gesù.

GAETANO - Signora baronessa, dovevate vedere che tenerezza! Da una parte la testa con le zampe davanti, dall’altra le zampe di dietro e la coda e in mezzo il cuore, i polmoni, il fegato, e la coratella.

ASPASIA - (altro urlo) Questo è un assassinio.

GAETANO - Io non c’entro, signora baronessa ho anche i nomi dei testimoni. (caccia un altro foglio di carta dalla tasca insieme alla museruola al guinzaglio e un osso di cane) Ecco, questi sono gli effetti personali della salma. (li porge alla baronessa) Io me li sarei potuto anche vendere, ma sono una persona onesta.

ASPASIA - (si alza piangendo sugli effetti personali di Medoro e uscendo dalla comune) Povero Medoro! Povera bestiola! Che brutta fine doveva fare!

OTTAVIO - Povera bestia, era così affezionata.

GAETANO - Signor barone, è meglio che il cane è morto: quello era vecchio, teneva la rogna… quando lo portavo per strada tutti i ragazzi mi prendevano in giro, era una vergogna anche per voi.

FEDERICO - (entrando) Signor barone, ho visto la baronessa che piangeva sulla museruola di Medoro. Posso permettermi di chiedervi cosa è successo?

OTTAVIO - Medoro è morto… è andato sotto a un tram.

FEDERICO - (guardando Gaetano) Lo sospettavo.

GAETANO - Io non ci ho colpa… tengo i testimoni. (e caccia dalla tasca altri fogli di carta)

FEDERICO - Signor barone vorrei parlarvi per il momento a quattr’occhi.

GAETANO - Voi potete pure parlare a sei occhi tanto dopo che avrete parlato voi parlerò io, e scommogliammo le zelle.

FEDERICO - E scommogliammo le zelle. Avrei dovuto parlarvi poco fa, ma mi sono prima dovuto accertare di quello che dicevo. Signor barone, da quando il cuoco ha preso servizio in questa casa succedono cose da pazzi, la rivoluzione, non era tranquilla nemmeno quella povera bestia, ha pigliato il cane e l’ha buttato nell’acqua bollente.

GAETANO - Signor barone… vi giuro…

FEDERICO - Alle volte lo chiamava con la scusa di dargli una polpetta e gli chiudeva la porta in modo da fargli rimanere il muso fra i due battenti.

GAETANO - Ma signor barone, dovessi andare sotto…

FEDERICO - Vi ricordate quando Medoro camminava zoppo? Gaetano aveva preso il martello e con la scusa che non doveva camminare per la cucina gli inchiodò le zampe sul pavimento.

GAETANO - Non gli date retta signor barone, ve lo giuro sull’anima di…

FEDERICO - A Giuseppe gli ha fatto prendere il vizio delle carte e imbrogliandolo al gioco gli ha fatto perdere tutto lo stipendio. Si mette a fare la posta fuori la stanza di Maria per spiarla mentre si spoglia. In cucina, da quando è stato assunto lui, manca di tutto. Olio, burro, carne, scatolette, casseruole, tegami.

GAETANO - No, signor barone, i tegami no.

FEDERICO - Io ho l’obbligo di controllare e riferire ed ho voluto prendere informazioni sui suoi precedenti: il ragazzo è recidivo. Il 14 maggio 1937 fu licenziato da Pintauro per un furto di 12 ruoti di sfogliatelle…

OTTAVIO - (impallidendo) Il 14 maggio 1937? Da Pintauro? 12 ruoti di sfogliatelle…

GAETANO - Ma signor barone vi giuro… dovessi perdere a…

OTTAVIO - Come vi chiamate voi?

GAETANO - Gaetano Esposito, ai vostri ordini signor barone.

OTTAVIO - Siete stato anche garzone di panettiere in un negozio di vico tre re?

GAETANO - Si, signor barone.

OTTAVIO - (A Federico) Me la vedrò io con lui, lasciateci soli. (Federico esce)

GAETANO - Signor barone, tutte calunnie. Io sono stato sempre onesto, ho sempre lavorato. Sono stato un poco sfortunato, ma sono un galantuomo, vi giuro…

OTTAVIO - (guardandolo con tenerezza) È inutile che giuri. Ne sono sicuro, piccolo mio: nelle tue vene non può scorrere che il sangue del duca, il nostro sangue generoso e leale. Vieni tra le mie braccia figlio mio. (Gaetano nell’abbracciarlo gli sfila il portafoglio dalla tasca)

SIPARIO

SECONDO ATTO

MARIA - Gesù, Gesù! Chi se lo aspettava! Chillu galioto, ha avuto chella sciorta.

GIUSEPPE - Io me ne ero accorta ca chillo era figlio e signore.

MARIA - Ma vattenne! Chillo quanno jucava te mbrugliava e chella manera.

GIUSEPPE - E perciò io me n’ero accorto. Quella, l’arte dell’imbroglio, s’impara soltanto sui circoli dei signori.

MARIA - Ma qua signore. Busciardo, manisco, mbruglione: io credo ca è stato pure ‘ngalera.

GIUSEPPE - Uhh, nun ‘o dicere manco pe pazzià. Si ‘o sente ‘o barone.

MARIA - Seh, e accattatillo ‘o barone. Pareva uno ca te puteva cunfessà, e invece teneva chillu poco ncuorpo. Ne terrà cufecchie astipate.

GIUSEPPE - Nuie sti cose nun ‘e putimmo capì, so cose aristocratiche. D’altronde hai visto comme era contenta ‘a mugliera, pareva na pasqua.

MARIA - E che t’aggia dicere: chilo ‘o Pataterno primma ‘e fa e po’ l’accoppia.

FEDERICO - (entrando) Ma insomma state ancora vicino a questo lampadario?

GIUSEPPE - Avevamo finito don Federì.

FEDERICO - E buttate le mani che bisogna pulire tutta la casa per domani; il barone tiene ricevimento.

MARIA - E ch’hadda festeggià? ‘O battesimo dda creatura?

GIUSEPPE - E puortatella a casa sta creatura.

FEDERICO - Non fate apprezzamenti su cose che non ci riguardano.

GAETANO - (entra vestito elegantemente spruzzandosi addosso dell’acqua di colonia) Federì io a te andavo cercando.

FEDERICO - (inchinandosi) Comandate signore.

GAETANO - Mi pare che è venuto il momento di avere una spiegazione tra di noi. Con i vostri sistemi nella casa del barone Del Duca, e cioè in casa mia, si dura poco.

FEDERICO - Ma non credo di avere fatto niente di male.

GAETANO - La maionese che ci avete servito ieri sera a cena era una zoza.

FEDERICO - Io l’ho trovata eccellente signore.

GAETANO - Ma che eccellenza ed eccellenza. Quella era colla per i manifesti, ma neanche colla per i manifesti, era sapone per la barba, crummatina per le scarpe.

FEDERICO - Signore, ma la colpa non è mia: quella era la maionese che avevate preparato voi la mattina come cuoco.

GAETANO - Ecco. Ma che io non sapevo che me la dovevo mangiare oggi come barone. E poi non cominciamo a trovare scuse. (a Giuseppe) Chi ti ha imparato a pulire le scarpe.

GIUSEPPE - Signore più lucide di così non possono venire.

GAETANO - Io devo fare piazza pulita di tutta la servitù. (Federico fa per andarsene con la coda fra le gambe) Federico.

FEDERICO - (con un sobbalzo) Comandate signore.

GAETANO - Servitemi un cognac. (mentre Federico si avvicina al mobile) Mi raccomando, non fate come al solito non mi servite la medicina per il cognac.

FEDERICO - Ecco servito signore. (ed esce per la comune)

GAETANO - (rivolto a Maria) Voi andate in cucina. (Maria esce; a Giuseppe) Vi voglio dare l’onore di farvi un’altra partita a carte. (e cava da tasca un mazzo di carte nuovo) Vediamo se siete migliorato.

OTTAVIO - (Entrando improvvisamente e vedendo Gaetano con le carte in mano) Quello che vedo è molto sgradevole. Questo vizio delle carte te lo devi togliere.

GAETANO - Vi giuro, è stata colpa sua… voleva provare come si gioca a carte con un nobile.

GIUSEPPE - Io vi assicuro signor barone…

OTTAVIO - Andate pure, lasciateci soli. (Giuseppe esce mortificato) Ma insomma, giocare a carte con i servi.

GAETANO - Papà, ma qua non ci sono che servi: io con chi devo giocare?

OTTAVIO - Con nessuno. Purtroppo questo è il risultato di una educazione sbagliata. Tu sei vissuto senza una famiglia che avesse cura della tua anima, di imprimerti i sani principi di educazione morale. Povero figlio… (Gaetano si commuove falsamente) Ma ormai non è più tempo di rimpianti. Sei ancora giovane ed avrai il tempo di recuperare sotto la mia guida vigile ed affettuosa. Noi abbiamo bisogno di capirci. Ma vieni, vieni vicino a tuo padre. Parlami di te, dimmi come hai trascorso la tua vita. Fino a che età sei andato a scuola?

GAETANO - Fino a diciotto anni.

OTTAVIO - Vedi che sei di razza. Quindi hai il diploma!

GAETANO - Si, il diploma di seconda elementare.

OTTAVIO - Mamma mia, e perché hai ripetuto per tanti anni la stessa classe?

GAETANO - E quella la scuola era grande. Ogni anno mi cambiavano sezione fino a quando non me ne hanno cacciato.

OTTAVIO - Va bene, lasciamo stare la scuola. Dopo ti sei messo subito a lavorare?

GAETANO - Certo papà: andavo a raccogliere i mozziconi e me li andavo a vendere alla ferrovia.

OTTAVIO - Povera creatura, e come potevi sopravvivere così?

GAETANO - E che ci volete fare, mi arrangiavo. Ogni tanto andavo alla stazione dove arrivavano i turisti e ci portavo le valigie.

OTTAVIO - Bravo, li accompagnavi e gli portavi le valigie.

GAETANO - Io le valigie le portavo a Peppe il cacaglio che me le pagava dieci lire l’una.

OTTAVIO - Ma allora rubavi?

GAETANO - Non è colpa mia, quelli le lasciavano a terra per cercare i facchini, sole sole. Papà, io avevo un amico, Ciccillo ‘o pezzente, figlio di Aniello cape ‘e Morte. Mi voleva bene, mi offriva sempre sfogliatelle e babà. Io ci domandavo dove li pigliava i soldi e lui mi diceva che rubava al padre. Io padre non ne avevo… e allora rubavo ai turisti.

OTTAVIO - (commosso) Hai ragione, figlio mio. Se tu avessi avuto un padre…. Ma tu facevi cosa più grave: egli rubava al padre, tu ad estranei.

GAETANO - Ma sempre rubare vuol dire.

OTTAVIO - Rubare al padre non è un furto, la legge non lo condanna nemmeno.

GAETANO - Allora rubare al padre non è un furto? (si guarda intorno furtivamente)

OTTAVIO - Sentimi bene Gaetano. Tu da questo momento dovrai diventare un’altra persona, ed incominceremo con l’insegnamento dei diritti e doveri più elementari per poter vivere degnamente in società. Inizieremo dalle basi fondamentali della morale, dai dieci comandamenti.

GAETANO - Si papà.

OTTAVIO - (cava di tasca un libricino) Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori di me. Non nominare il nome di Dio invano… Ricordati di santificare le feste…

GAETANO - Ma io le santifico sempre. Tutti i giorni di festa io vado prima al cinematografo, poi passo a farmi una partita al bigliardo, e prima di tornare a casa passo per la cantina di Tore ‘o nfame e me faccio nu bicchiere ‘e Gragnano.

OTTAVIO - Ma non è questo che si intende. Onorare le feste vuol dire recarsi in chiesa ad ascoltare la santa messa.

GAETANO - Va bene papà.

OTTAVIO - Speriamo che siamo intesi. Dunque, non ammazzare.

GAETANO - Sicuro signor padre barone, e che schifezza è questa umanità dove si ammazzano fra di di loro. Ammazzarsi fra esseri umani non va bene…

OTTAVIO - Bravo figlio mio, vedo che sei di sani principi.

GAETANO - E questo che cos’è… capisco che uno si deve sfogare… Ecco, un cane, uno si può sfogare con un cane, lo può anche ammazzare ad un cane.

OTTAVIO - Ma no Gaetano, anche gli animali sono creature di Dio e non possono essere ammazzate.

GAETANO - Quando tengono la rogna invece…

OTTAVIO - Nemmeno. Andiamo avanti. Sesto: non fornicare, settimo…

GAETANO - Un momento, cosa vuol dire non fornicare?

OTTAVIO - Niente, lo imparerai più avanti.

GAETANO - Ma io lo voglio sapere adesso. Papà, voi avete detto che devo sapere tutto e io vi voglio farvi contento. Cosa significa non fornicare?

OTTAVIO - (Con estremo imbarazzo) Ecco… fornicare significa avere rapporti intimi con una donna alla quale non si è legati da matrimonio.

GAETANO - Che bello, io non sono legato da matrimonio, allora posso fornicare.

OTTAVIO - Ma no… no. Non bisogna avere rapporti intimi con una donna che non sia legittima sposa.

GAETANO - Allora se non è legittima si può. Mo glielo vado a dire a don Federico che mi ha fatto una partaccia perché facevo la posta a Maria: quella non è legittima sposa e me la posso fornicare, lo dice pure il comandamento.

OTTAVIO - Ma non ti permettere sai. Certo che con te c’è da perdere la testa. Andiamo avanti. Settimo: non rubare.

GAETANO - Giusto, si può rubare solo al padre.

OTTAVIO - Ma chi ti ha detto ciò?

GAETANO - Lo avete detto voi poco fa. (Guardandosi sempre intorno) Mo non dobbiamo fare… come si dice… l’uomo per la parola ed il bue per le corna.

OTTAVIO - Ma tu mi devi capire; se per una malaugurata ipotesi un figlio deruba il padre, ma un figlio perverso, allora la legge non lo punisce.

GAETANO - E questo è tutto, deve essere perverso? È cosa da niente.

OTTAVIO - Sempre più mi accorgo che con te c’è tutto da rifare.

FEDERICO - Signor barone, c’è l’incaricata dell’agenzia Argo. La faccio attendere.

OTTAVIO - No, con Gaetano finirò domani, fatela entrare.

FEDERICO - Intanto vi preparo la medicina delle cinque?

OTTAVIO - Non ne ho bisogno, mi sento proprio bene oggi.

FEDERICO - Come ordinate signor barone. (si inchina ed esce)

GAETANO - Allora io me ne posso andare?

OTTAVIO - Si, per oggi basta. (cava dalla tasca un libricino) Ecco, questo ti servirà per ripassare tutto quello che abbiamo detto oggi.

GAETANO - Si, papà. (Ed esce)

SORMANI - Ossequi signor barone.

OTTAVIO - Caro amico, buon giorno.

SORMANI - Grandi novità, barone: abbiamo rintracciato il ragazzo.

OTTAVIO - E questo me lo avete già detto, ma oramai è tutto risolto.

SORMANI - Certamente. Vedo che lei ha stima della nostra agenzia, che è infallibile. Il ragazzo, eccellenza, è qui fuori, e non attende altro che abbracciarvi.

OTTAVIO - Il ragazzo… qui fuori? Ma di chi parlate?

SORMANI - Ma di vostro figlio!

OTTAVIO - Mio figlio? Ma scusate, non si tratta dell’ex panettiere e garzone di Pintauro?

SORMANI - Ma non scherziamo eccellenza, per carità. Ci avevano tratto in inganno alcune imprecisioni della madre adottiva, la pescatrice di Pozzuoli. Quel Gaetano Esposito di cui parlavamo era tutt’altra persona. Quello vero invece è qui.

OTTAVIO - Ma che confusione è questa?

SORMANI - Lasciate che vi spieghi. Non vi elencherò la vita ed i mestieri del nuovo Gaetano Esposito…

OTTAVIO - Basta con questi elenchi. Vi rendete conto che mi avete messo nei pasticci?

SORMANI - Non capisco eccellenza.

OTTAVIO - L’altro Gaetano Esposito, quello ex pasticciere, è il mio cuoco, lavora in questa casa, ed io l’ho già accolto come figlio, e per colpa vostra.

SORMANI - E dovreste gioirne, invece di questa notizia. Non resta che cambiarlo, perché fra le altre cose ci avete tutto da guadagnare.

OTTAVIO - Pare che si tratta di un vestito.

SORMANI - Quando lo vedrete, mi ringrazierete per sempre. Alto, slanciato, bella presenza, fiero di sé. Dovreste vedere quando parla: ha uno stile!

OTTAVIO - E siete certo che si tratti di lui questa volta?

SORMANI - Senza la minima ombra di dubbio.

OTTAVIO - Ed allora a chi aspettate, fatelo entrare.

SORMANI - (Esce e rientra poco dopo con il secondo Gaetano Esposito. Basso, ricurvo, quasi cieco e quasi sordo. All’apparire rimane immobile sotto la porta)

OTTAVIO - (Che non ha capito che si tratta del figlio) Dunque, il mio ragazzo? (Sormani, imbarazzato dal fatto che il barone non ha capito, fa dei cenni come per dire che questo passa il convento. Ottavio capisce e si accascia sul divano affranto)

SORMANI - (Per rompere gli indugi) Che fai li impalato, abbraccia tuo padre. (Esposito si avventa verso il pubblico, e Sormani lo prende in tempo prima che possa cadere dal palco) Dove vai, da quella parte! (e lo indirizza verso il barone) Quella è l’emozione. (Questa volta Esposito si avvia verso una statua inciampando su tutto quello che c’è sulla sua strada. Sormani lo riprende e lo accosta al barone il quale si alza, dalla poltrona per evitare che gli vada a finire addosso) Ecco tuo padre.

ESPOSITO - Bu bu buon gi… giorno p pp… papà.

OTTAVIO - Buon giorno caro figlio, fatti abbracciare.

SORMANI - (Fintamente emozionato) Sembrano due gocce d’acqua. Se permettete, io vi lascio soli; avrete molte cose da dirvi. Permesso… permesso. (Ed esce con tutta fretta)

OTTAVIO - (Guarda Esposito, il quale rimane immobile) Quindi tu conosci i dieci comandamenti?

ESPOSITO - Si pp… ppp… papà. Tutti gli ordinamenti… se volete ve li dico.

OTTAVIO - Ma quali ordinamenti.

ESPOSITO - Ah… volete sapere i pagamenti. E io nnn… nnnon li so, mmma app… appena mi presenterete la vost… la vostra cocò… cocò… cocò… ntabilità, me ne occu… occuperò io.

OTTAVIO - (Fra se) Gesù, ma questo è pure sordo!

ASPASIA - Ottavio, ti sei ricordato della medicina?

OTTAVIO - No, sto bene.

ASPASIA - Vedi che avevo ragione: la tua era una mania, effetto della solitudine. Appena hai ritrovato tuo figlio ti è tutto passato, e sono scomparse le tue fissazioni. (guardando Esposito) E questo chi è?

OTTAVIO - Mio figlio!

ASPASIA - Un altro figlio.

OTTAVIO - No, No. È sempre lo stesso. Te lo spiegherò dopo. Adesso accompagnamolo nella sua stanza. (Urlando) Vieni Gaetano, ti mostrerò la tua stanza.

ASPASIA - Ma Ottavio, sei impazzito? Che bisogno c’è di urlare?

OTTAVIO - Ti spiegherò dopo. (E prende Gaetano per la mano, in tempo prima che egli cadesse di nuovo sul pubblico, dove si era recato credendo che ci fosse la porta)

ASPASIA - (che non si è resa conto della scena) Ma Ottavio, perché lo tieni per mano: non è mica un bambino.

OTTAVIO - Ti spiegherò più tardi. (Ed escono dalla comune)

GAETANO - (Entra dalla sinistra seguito da Giuseppe che porta in mano un quadro raffigurante una donna) Quel quadro lo metti al posto di questo. Mi sta antipatico.

GIUSEPPE - Ma quello è un antenato del barone.

GAETANO - Allora è anche antenato mio, e lo metto dove voglio; e tu esegui e non fare osservazioni. (Prende il quadro e lo sistema) Almeno uno si consola la vista.

MARIA - (Entrando rivolgendosi a Giuseppe che ha in mano l’altro quadro) Uhè ma che staie facendo.

GIUSEPPE - Ordine del baroncino.

MARIA - E chesto mò addò ‘o mettite?

GAETANO - Li facciamo portare in solaio. Giuseppe tieni mettili a felera che poi ci gioco a tre palle un soldo.

GIUSEPPE - Sissignore baroncino. (esce col quadro)

MARIA - (guarda il quadro con la donna seminuda) Signurì, a vuie ve piacciono ‘e belle figliole.

GAETANO - Che cosa vorresti insinuare?

MARIA - E non vi arrabbiate.

GAETANO - Non ti devi prendere confidenza.

MARIA - Ma per amor di Dio non mi permetterei mai. Aggio ditto sulo ca ve piacciono ‘e belle figliole! Po pare ca nun ‘e overo? L’ata notte ve crerite ca non vi ho visto ca spiaveve alla porta della mia stanza?

GETANO - Volevo vedere se c’eri per farmi attaccare un bottone.

MARIA - (avvicinandosi con dolce sguardo verso Gaetano) E per vedere se c’ero avito miso l’uocchie dint’o buco da serratura?

GAETANO - (imbarazzato) Mi facevano male le mani, e non potevo tozzoliare.

MARIA - (Sempre più intenzionata a conquistare Gaetano) Va bbuò, ve facevano male ‘e mane… Ma che vi devo dicere a me ll’uommene ‘nzist me piacciono. Quanno veco n’ommo ca n’faccia a na femmina se fida e cumbinà…

GAETANO - …che cosa?

MARIA - …che saccio? Si pe vedè ca ce stà na femmina dint’ a na stanza votta ll’ucchie pe dint’e serrature, a me me saglie ‘o sangue n’capa.

GAETANO - (ormai Maria le è quasi addosso. Gaetano fa per abbracciarla ma vedendo improvvisamente entrare il barone si stacca violentemente da lei) Le le le! Statti al posto tuo e mantieni le distanze. ‘A serratura, ll’ommo insisto! Ma che te si miso n’capa? Papà lei mi voleva sedurre, voleva fulminare con me. Io poi ne avrebbo potuto approfittare perché Maria non è una legittima sposa, invece ho voluto rispettare il vostro comandamento.

OTTAVIO - Maria, mi meraviglio di voi. Andate subito in cucina.

MARIA - (mortificata) Sissignore. (esce)

OTTAVIO - Dunque Gaetano, ho un’incresciosa notizia da darti.

GAETANO - Ho capito tutto papà: la baronessa ha comprato un altro cane.

OTTAVIO - Purtroppo no ragazzo mio! La vita talvolta ci riserva delle brutte sorprese. Lo so che tu hai desiderato per tutta la vita di ritrovare tuo padre, non è vero?

GAETANO - No papà.

OTTAVIO - Meglio così. Vorrà dire che avrò meno scrupoli. Te lo dirò con parole adatte al tuo spirito semplice: non sei più mio figlio e dovrai ritornare in cucina a ripigliare il tuo posto di cuoco.

GAETANO - Ma papà, che ho fatto di male? Lo sapevo che per colpa di Maria avrei passato un guaio, ma ti giuro che io non me la volevo fulminare, avessa perdere… putessa murì…

OTTAVIO - Non ricominciare a giurare, non è una punizione. Purtroppo sono stato ingannato da indizi che poi si sono rivelati falsi. Tu non sei mio figlio.

GAETANO - Ma papà, non cominciamo. Ma come, un barone che si rimangia la parola, non facciamo come si dice l’uomo per la parola e il bue per le corna.

OTTAVIO - Ma quale parola e parola, purtroppo è il destino!

GAETANO - Ahh, voi avete detto “vieni qua figlio mio, nelle tue vene scorre il sangue del barone Del Duca”. Mo le cose non si possono cambiare.

OTTAVIO - Certamente non ti posso tenere a casa come figlio quando non lo sei.

GAETANO - Non fa niente, quando uno dà la parola non la può ritirare. (cava dalla tasca il libricino che gli aveva dato Ottavio) Ecco, ci deve essere scritto pure qua sopra.

OTTAVIO - Credimi Gaetano mi rincresce tanto questa situazione, ma io non ti mando via, e comunque puoi restare come cuoco.

GAETANO - Ma quale cuoco e cuoco. Io mi sono compromesso anche con la servitù: Don Federico questo aspetta. Comunque vi dimostro la mia buona volontà: vi voglio venire incontro, non sia né la parola mia e né la vostra: rimango come nipote.

OTTAVIO - Ma tu dai i numeri, non è proprio possibile.

GAETANO - Allora, per cacciarmi come figlio dovete passare sul mio cadavere.

OTTAVIO - Gaetano io ti capisco, un ragazzo senza padre come te mi tocca il cuore. Purtroppo non c’è altra scelta da parte tua che rimanere come cuoco, ma ti assicuro che comunque ti vorrò bene come padre, e per dimostrartelo ti aumento la paga settimanale da 150 a 250 lire.

GAETANO - (mostrando molto interesse alla trattativa) Facciamo 400.

OTTAVIO - Trecento…

GAETANO - O quattrocento o niente.

OTTAVIO - E va bene, sia per quattrocento settimanali.

GAETANO - Tre giornate libere: giovedì, sabato e domenica.

OTTAVIO - Non devi esagerare.

GAETANO - Questa è la proposta.

OTTAVIO - Cercherò di avere per te qualche occhio di riguardo e se lo meriterai ti accontenterò.

GAETANO - Lo meriterò papà.

OTTAVIO - E non chiamarmi più papà. (suonando il campanello)

GAETANO - Si signor barone.

OTTAVIO - (commuovendosi) Certo, se ti farà piacere in solitudine potrai chiamarmi papà.

GAETANO - No papà, non me ne importa niente.

FEDERICO - Avete chiamato eccellenza?

OTTAVIO - Il nostro Gaetano ritorna in cucina con le sue mansioni di cuoco, ridategli gli antichi indumenti.

FEDERICO - (raggiante di felicità) Si eccellenza! (esce fulminando Gaetano con uno sguardo)

GIUSEPPE - Signor barone, è venuto il giardiniere.

OTTAVIO - Vengo subito. (a Gaetano) Mi raccomando ragazzo mio, continua a seguire i miei consigli e non rimetterti a frequentare cattive amicizie. (esce)

FEDERICO - (rientra con il cappello di cuoco seguito da Maria che reca gli altri indumenti. Gaetano prende il cappello se lo mette in testa si toglie la giacca e si rimette la giacca da cuoco mentre Maria e Giuseppe guardano con stupore) Ed ora in cucina! Ma bada bene che se ti credi di riprendere i tuoi vecchi sistemi, ti sei proprio sbagliato. Da oggi in poi vita nuova: ogni volta che tu uscirai dalla cucina verrai perquisito: le carte da gioco, il cognac e i sigari del barone saranno messi in cassaforte. E se ti permetti un’altra volta di buttare l’occhio nella serratura di Maria, t’ho faccio rimané là vicino.

GAETANO - (guardandolo con atteggiamento di sfida ed avviando all’uscita) Sangue d’a marina! Dint’ a sta casa uno nu poco è cuoco e nu poco è barone. E questa che schifezza è. (ed esce mentre si chiude il sipario)

SIPARIO

TERZO ATTO

La scena è sempre la stessa. La tavola è apparecchiata per il pranzo. All’aprirsi del sipario la scena è vuota poi entra Aspasia e suona il campanello.

FEDERICO - Comandate signora baronessa.

ASPASIA - La cena è pronta?

FEDERICO - Si signora baronessa.

ASPASIA - Il solito baccalà lesso.

FEDERICO - No, signora baronessa. Il barone dice che con lo stomaco sta meglio e ci ha ordinato di preparare timballetti di maccheroni, polpette con insalata verde, budini di cioccolata e macedonie di frutta.

ASPASIA - Mamma mia, ma questo è un banchetto. Federico, come sapete se la sera mangio molto la notte non dormo. Vuol dire che più tardi mi farete servire in camera una tazza di latte con i biscotti.

FEDERICO - Sissignore, signora baronessa. A proposito, ho domandato a mia sorella per il cane ed è felice di potervelo dare.

ASPASIA - Benissimo. E quanti mesi ha il cucciolo?

FEDERICO - Beh, non è proprio un cucciolo, ha circa dieci anni.

ASPASIA - Ma come, così grande?

FEDERICO - Però è un gran bel cane.

ASPASIA - Che razza è?

FEDERICO - Un incrocio signora baronessa.

ASPASIA - Un bastardo dunque.

FEDERICO - Non proprio, anzi ha tutti i caratteri e l’aspetto di un cane aristocratico.

ASPASIA - Va bene, domanderò a mio marito e vi farò sapere. Grazie Federico. (ed esce. Federico suona il campanello e mette in ordine alcune cose sulla tavola. Giuseppe entra con un vassoio tra le mani e si ferma sulla porta per lasciar passare Ottavio ed Esposito. Essi si siedono a tavola uno di fronte all’altro. Giuseppe serve e Ottavio ed Esposito si alzano, si fanno il segno della croce e si risiedono, il tutto in sincronia. Incominciano a mangiare mentre Giuseppe versa il vino nei bicchieri)

OTTAVIO - (mentre sta per mangiare il primo boccone di maccheroni) Federico, ma cosa c’è in questo timballo?

FEDERICO - Maccheroni eccellenza.

OTTAVIO - (sollevando una stringa per le scarpe) Ma questo mi sembra un laccio per le scarpe.

FEDERICO - Impossibile eccellenza.

OTTAVIO - (facendolo notare a Federico) E questo a voi cosa sembra?

FEDERICO - Il signor barone ha ragione. Chiamo subito il cuoco. (suona il campanello)

GAETANO - Comandate signore eccellenza.

OTTAVIO - Vorrei una spiegazione sulla presenza di questo laccio per le scarpe nei maccheroni.

GAETANO - (rivolto a Giuseppe) Ti avevo detto che questo piatto doveva essere messo a destra.

GIUSEPPE - Eccellenza, ma uno si può ricordare mai qual è il piatto che va a destra o a sinistra?

GAETANO - E si deve ricordare.

FEDERICO - (rivolto con minaccia a Gaetano) Un’altra volta che ti permetti di fare una cosa simile…

OTTAVIO - (interrompendolo e con tono benevolo rivolto a Gaetano) Starai più attento un’altra volta. Giuseppe portatemi le polpette.

GAETANO - Adesso non fare che ti sbagli pure questa volta. Le polpette del barone sono quelle più piccole, le più grandi quelle con la bandierina sono le sue. (indicando Esposito che intanto sta continuando a mangiare tutto con grande avidità senza sentire quello che si dice. Giuseppe esce brontolando)

MARIA - Signor barone, c’è di là la pescatrice di Pozzuoli, la signora Manfregola. Sta nel salotto, la faccio aspettare?

OTTAVIO - No, vengo subito. (ed esce seguito da Maria e Federico)

GIUSEPPE - (porta le polpette, le serve a tavola sorvegliato da Gaetano ed esce. Gaetano rimane ad osservare Esposito)

ESPOSITO - (addenta la prima polpetta e poi sputa nel piatto facendo delle smorfie) Che str… str… strano, un chiodo nella pol… pol… pol… polpetta.

GAETANO - (facendo il verso a Esposito) Ah, un chiodo nella pol… pol… polpetta? E che ci volete fare, le vacche si mangiano tutto quello che trovano quando brulicano sui prati.

ESPOSITO - Certo, sarà cocò… cocò… colpa dei pirati. Gaetano, voi ci credete ai muh… muh… muh…

GAETANO - (facendo il verso della pecora) Beeeh… beeeh… beeeh… Avimmo fatto ‘o zoo.

ESPOSITO - Vuie ci credete ai muh… munacielli?

GAETANO - Ca te pozzeno accidere, e chisto vulive dicere. Come non ci credo, quelli ci sono.

ESPOSITO - (che non ha sentito) Voi ci credete ai muh… muh… (insieme a Gaetano che fa lo stesso verso) Ai muh… munacielli.

GAETANO - Ma allora questo è pure surdo? (urlando) Sissignore, esistono.

ESPOSITO - E allora sicuramente ce n’è uno in questa cacà… cacà… ca… casa. Figuratevi che stanotte ho trovato pr… pr… proprio nel mio letto (insieme a Gaetano) polvere di cacà… cacà… cacàrbonella. (da solo) Quando stamattina ho cercato di prendere le scarpe le ho trovate tutte e due incollate sul pavimento.

GAETANO - Evidentemente siete antipatico al munacello.

ESPOSITO - Deve essere pr… pr… proprio così: quando sono andato in bagno a lavarmi, per terra c’era acqua insaponata, e sono scivolato: per popò… popò… poco non mi rompevo la cacà… cacà… la capa.

GAETANO - Te la dovevi rompere la canapa. Questa è la mia corta. (ed esce)

OTTAVIO - (entra seguito da Teresina Manfregola; ella guarda Esposito che continua a mangiare le polpette) Siete in grado di riconoscerlo?

TERESINA - No, signò! Comme faie a conoscerlo. Lu figliu della ballerina, pace all’anema soia, se ne iette da dintu alla nostra casa ca nun teneva nemmanco cinche anni, songo passatu tantu tiempu. Certo lu guaglionu a chella età, pozzo dicere, ca già teneva l’intelligenza n’capa.

OTTAVIO - Avete qualche dettaglio da raccontarmi.

TERESINA - Che ve pozzo dicere, avrebbo una ciclopata di robba da raccuntarve.

OTTAVIO - Come, una ciclopata.

TERESINA - La ceclopata, eccellenza, comme se dice chili libru tante avite, accuscì chiatti.

OTTAVIO - L’enciclopedia volete dire.

TERESINA - Come dicite vuie o scellenzia. La cosa cchiù bella che m’arricordo, è ca quanno turnavano li mariti nuosti cu le barche, e nuje l’aiutavamo a mettere li pisci dinto a li sporte, lu guaglionu jeva facendo lu giru di tutti li piscatori, ma lu faceva senza che n’ge n’addunavamo, e jeva piglianno li pisci cchiù vivi n’ge li purtava a Don Ciccio o tabaccaro ca in cambio le deva ciucculattini e caramelle.

OTTAVIO - Era proprio biricchino il ragazzo.

TERESINA - Un’anguilla o scellenzia. Nce ne ha fatto passare. Li piscatori compagni de lu maritu mio, facevano sempe la fila dietro la nostra porta per farsi restituire li pisci vivi e ridarci chili ca puzzavano ca lu guaglione metteva dinto alli loro sporte.

OTTAVIO - Quindi è impossibile che possa essere il ragazzo qui seduto?

TERESINA - Ma comme se fa a lu dire. Li guaglioni quanno crescono fanno tanti cambiamenti, pure de capa.

OTTAVIO - Allora non mi resta che recarmi dal parroco di Piscinola per avere altre informazioni…

TERESINA - Per amore della Madonna. Si cu lu parroco n’ge parlate dellu guaglione, lu facite sentire male e ve manna a fare a chillu paese.

OTTAVIO - Ma come, che significa?

TERESINA - È cuminciatu tutto dallu jorno ca lu mettette a fare lu chierichetto. Da chillu jorno dintu alla chiesa, quanno se facevano li cunti delle offerte durante le messe, sfortuna vuleva, ca dinto alla cesta nun se trovava manco una lira…

OTTAVIO - Ho capito tutto.

TERESINA - Nu guaglione sfortunato, tutto chilo ca tuccava scumpareva.

OTTAVIO - Come i 12 ruoti di sfogliatelle da Pintauro.

TERESINA - Appunto, come dicite vuie.

OTTAVIO - Possibile che non c’è un sistema sicuro per capire se si tratta di lui o meno.

TERESINA - Che vi pozzo dire signore escellenzia… Ah, mo che m’arricordo, si la cosa ve po servere, teneva na macchia roscia come a na cotena nella parte dove uno s’assetta … cu decenza parlanno, lu culu, qua sulla parte dritta.

OTTAVIO - Va bene, non ho che da ringraziarvi per il chilo di pesce che mi avete portato.

TERESINA - Songo spigule fresche o scellenzia.

OTTAVIO - Tenete cento lire per il vostro disturbo. Ora potete andare.

TERESINA - (inchinandosi) Grazie, grazie signò, puozza campà cient’anni. (ed esce)

OTTAVIO - (guardando Esposito) Certo che tu mangi molto. Bisogna controllarsi.

ESPOSITO - (interrompendo improvvisamente di mangiare e alzandosi dalla tavola) Ho finito papà.

OTTAVIO - Bravo. Esposito, m’accorgo che hai un neo sulla guancia.

ESPOSITO - No papà, non mi fa male la pancia.

OTTAVIO - (spazientito ed urlando) Per caso, hai dei nei sulle natiche?

ESPOSITO - No pa… pa… papà. Non ho nessun neo (mostrandone uno sulla guancia) Questo è l’unico che ho.

OTTAVIO - Adesso vai a fare quattro passi nel parco: a camminare dopo pranzo si digerisce meglio.

ESPOSITO - Si papà. (e facendosi ripetuti segni della croce esce)

OTTAVIO - (suona il campanello ed entra Gaetano) Proprio di te avevo bisogno.

GAETANO - Signor barone, il laccio per le scarpe nel timballo, non l’ho messo io, vi giuro sulla… avessa perdere a…

OTTAVIO - Ma non voglio parlarti di ciò. Prima ho notato che sei fortemente anemico e hai un colore giallo nella sclerotica. Io di malattie me ne intendo.

FEDERICO - Avete chiamato, signor barone?

OTTAVIO - Portatemi la farmacia portatile.

FEDERICO - Subito signor barone. (ed esce)

OTTAVIO - Tu sei oligoemico.

GAETANO - Ma no signor barone, io sono sempre stato cattolico e protestante.

OTTAVIO - Ma cosa hai capito, adesso ti spiego.

GAETANO - Signore eccellenza, ma io adesso sono cuoco, ho buttato pure il libricino.

OTTAVIO - Ma io devo spiegarti…

GAETANO - No signor barone, a me importano le lezioni solo come figlio. Se mi fate tornare figlio io vado a cercare il libricino e ci rimettiamo a fare la scuola. (Federico entra portando con sé la farmacia e la mette sul tavolo; Ottavio intanto si mette a fare i preparativi per una siringa) Allora posso andare, signore eccellenza?

OTTAVIO - No, aspetta.

GAETANO - Ma io ho da fare in cucina, se no chi lo sente a Don Federico.

OTTAVIO - Aspetta, lascia stare Don Federico, la salute innanzitutto! Abbassa i pantaloni.

GAETANO - Ma fusseve asciuto pazzo.

OTTAVIO - Gaetano senti, io mi sono assunto il dovere di prendermi comunque cura di te, e tu stai male.

GAETANO - (girando intorno alla tavola per evitare la siringa) No eccellenza, io sto benissimo.

OTTAVIO - Ma non fare storie, suvvia, cosa vuoi che sia una siringa?

GAETANO - Ma perché mo, bell’e buono mi volete fare questa siringa: io sto sano come un pesce.

OTTAVIO - Allora userò i sistemi che usava mio padre con me. Se ti fai fare la siringa ti do dieci lire.

GAETANO - Nemmeno per mille lire.

OTTAVIO - Vuoi vedere che per cento lire te la fai fare?

GAETANO - Non sia né la parola vostra e né la mia, facciamo cinquecento e non se ne parla più.

OTTAVIO - E vada per cinquecento.

GAETANO - Si, ma me le dovete dare anticipate.

OTTAVIO - Forse non ti fidi?

GAETANO - Ed in questa casa subito si cambia idea, signor barone.

OTTAVIO - E va bene, ecco, le metto qui sul tavolo.

GAETANO - (convinto, finalmente, ma impaurito) Eccellenza, ma voi le sapete fare le siringhe?

OTTAVIO - Sono un maestro.

GAETANO - Fate piano, e non me la fate sulla destra perché ci ho una macchia grossa come una cotica.

OTTAVIO - (posando la siringa) E questo mi premeva sapere, se avevi una voglia di cotica sulla natica.

GAETANO - E me lo potevate chiedere prima, invece di farmi paura con la siringa.

OTTAVIO - Vieni fra le mie braccia. Ora posso dirti con sicurezza: figlio mio.

GAETANO - Nun pazziate signor barone. Qua fra tre giorni cambiate idea.

OTTAVIO - Non hai più nulla da temere. Ho avuto la prova definitiva. Puoi ormai stare tranquillo.

FEDERICO - Comandi eccellenza.

OTTAVIO - (Rivolto a Gaetano) Consegna la giacca di cuoco a Federico, e voi, riportategli gli abiti di barone. (Federico esce sbalordito. Ottavio sta per prendere le cinquecento lire dalla tavola fermato da Gaetano)

GAETANO - Pusate ‘e cinquecento lire.

OTTAVIO - Ma scusa, i patti erano che te le avrei date solo se ti avessi fatto la siringa.

GAETANO - Ma io non ci ho colpa, l’avete posata voi. Ma è possibile che in questa casa dint’a na vutata d’uocchie si cambia idea?

OTTAVIO - E va bene, vuol dire che questo è il mio primo regalo come padre. (Intanto Giuseppe entra dalla comune) Sapete dov’è Gaetano?

GIUSEPPE - Davanti ai vostri occhi, signor barone.

OTTAVIO - Ma non lui, l’altro.

GIUSEPPE - Mi scusi eccellenza, non avevo inteso. È seduto vicino alla fontana e si sta dicendo il rosario.

OTTAVIO - Lo raggiungo subito. (ed esce)

GIUSEPPE - (Mentre sparecchia la tavola) Sfaticato damme na mano.

GAETANO - (Con tono altezzoso) Ce l’avete con me?

GIUSEPPE - Certo ca ce ll’aggio cu te. Muovete.

GAETANO - Statevi al posto vostro. Avete ragione che non avete preso prima informazioni di con chi state parlando.

FEDERICO - (Entra e gli porge la giacca da barone) Ecco servito, baroncino. (Giuseppe guarda la scena incredulo)

MARIA - (Entra e rivolta a Gaetano) Curre subito abbascio. Haie lasciato ‘a pentola che bolle ncoppo ‘o fuoco, iamme me’ ietta ‘o sango subito dinto ‘a cucina primma ca succede qualche guaio. (Giuseppe e Federico le fanno cenno di tacere)

FEDERICO - Scusate baroncino, la servitù non era stata ancora avvertita.

GAETANO - E a chi aspettate? Siete sempre il solito sfaticato: ma badate bene che da oggi si cambia vita.

FEDERICO - Non accadrà più. Anzi vado subito ad avvertire tutti. (Ed esce)

MARIA - Ma che de, site addiventato nata vota baruncino? Ma si vulite nu consiglio, ‘a coppola ‘e cuoco nun ‘a jettate. ‘O barone se vo spassà ncuollo a vuie. Tre juorne e addiventato nata vota cuoco.

GIUSEPPE - E questo che cosa è? Vabbuò ca uno è servitore, ma c’è sempre un limite allo scherzo. La dignità è dignità.

GAETANO - Uhè, mo basta. Ve fa parlà l’invidia. Jatevenne ca ‘o barone è persona seria. È omme ‘e chiesa e certi cose nun ‘e fa.

MARIA - Eh, nun ‘e fa! Pare che è ‘a primma vota ca ‘e signore se divertono coppe ‘e spalle de puverielle.

GIUSEPPE - Maria ave ragione. Nun ve fidate.

GAETANO - Ma pecché m’avita mettere ‘ncapo certi cose. Mo ve ne caccio da casa a tutti quanti e po’ vedimmo. Iatevenne fora tutti e duie mo’.

MARIA - E ce ne iammo, ce ne jammo. Po nce date na voce. (Ed escono per la comune)

GAETANO - (Rimane un po’ pensieroso, riflettendo su quello che ha appena sentito. Poi improvvisamente di soprassalto) Ma si, forse forse è meglio così. (Va a vedere se c’è qualcuno in arrivo, poi prende la tovaglia dalla tavola e vi raccoglie tutta la posateria) Questa è tutta roba d’argento. (Poi va al mobile e vi sottrae un orologio da tasca ed un soprammobile) Questo sicuramente è oro. (Poi appoggia il malloppo su di una sedia, da un altro sguardo per vedere se arriva qualcuno, si siede e scrive velocemente una lettera, deponendola sul tavolino vicino al divano. Raccoglie l’involucro con la refurtiva ed esce con aria furtiva. Ottavio entra con un libro tra le mani e si siede sulla poltrona distendendosi come chi si è tolto un grande peso dallo stomaco. Inizia a leggere il libro con aria soddisfatta e serena)

ESPOSITO - (Entra dalla destra con la stessa valigia con la quale era arrivato) Allora, me… me… me… ne devo proprio andare?

OTTAVIO - (Con tono falso) Me ne dispiace proprio, ma, sia io che mia moglie avremo di te comunque un buon ricordo.

ESPOSITO - Mi dispiace che voi e vostra moglie non andate d’accordo.

OTTAVIO - (felice di liberarsi del ragazzo) Va bene, ora vai, la carrozza ti sta aspettando.

ESPOSITO - Si signor barone, e state attento ai muuu… muuuu… munacielli. Permettete… permettete. (E esce)

OTTAVIO - Mamma mia, comme sta inguaiato quel povero giovine. (Si accorge della lettera che sta sul tavolino, la apre e la legge. Mano mano la sua espressione diventerà sempre più triste)

ASPASIA - È andato via quel giovine?

OTTAVIO - Si, è andato via.

ASPASIA - Cercavo Gaetano per abbracciarlo, ma non riesco a trovarlo. A proposito, non riesco a trovare neanche l’anello che mi regalasti quando ci sposammo. Volevo farlo vedere alla marchesa del Verrocchio, la quale non crede che valga tanto. L’avevo lasciato un attimo all’ingresso.

OTTAVIO - È andato via pure lui.

ASPASIA - Ma chi, l’anello?

OTTAVIO - Si, e pure Gaetano.

ASPASIA - Ma cosa dici Ottavio?

OTTAVIO - È stata una pazzia volere ritrovare un figlio dopo quasi trent’anni. Li perdi quando te li sei cresciuti, figurati nel nostro caso. Non basta che il sangue sia lo stesso: un figlio uno se lo deve crescere e modellare piano piano, come fa uno scultore, con i difetti, certo, ma i tuoi, non con quello degli altri.

ASPASIA - Che colpo deve essere stato per te. La sfortuna! Meno male che la sorella di Federico ci vuole offrire un altro cane.

OTTAVIO - Quanti anni tiene?

ASPASIA - Quasi dieci anni.

OTTAVIO - Salute, e n’atu poco nce facimmo ‘a fossa. Ma per amor di Dio Aspà, nun pazzià proprio. Uno il cane se lo deve prendere cucciolo, altrimenti, sente la nostalgia del passato e magari se ne va pure lui: senti cosa dice in questa lettera mio figlio. (la lettera sarà letta da una voce fuori campo che sarà quella di Gaetano) “Caro padre barone, siccome in questa casa uno mentre è barone, non passano tre giorni e subito ritorna cuoco, io per non compromettermi di nuovo con la servitù mi perdunate se me ne vado. Vi sono grato per gli insegnamenti che mi avete dato, di cui mi ricordo soprattutto il comandamento che si può rubare al padre. Io vi avrebbo potuto spogliare vivo e lasciarvi in mezzo ad una strada, tanto la legge al figlio non lo punisce, ma io sono una persona onesta, e queste cose non le faccio. Vorrà dire che appena mi tornerà l’amore di figlio, verrò a farvi una rapida visitina nella nostra casa, nella quale mi scocciavo di stare come cuoco, figuratevi come barone. Torno nella mia paranza, a casa di Ceretiello naso ‘e cane. Tanti saluti alla baronessa, e assicuratele che il cane non l’ho ammazzato io, e che è inutile che cercasse l’anello, tanto non riapparirà mai. Vostro figlio snaturato e cuoco, affezionatissimo Gaetano Esposito. (Suona il campanello dopo qualche attimo di riflessione)

FEDERICO - Comandi barone.

OTTAVIO - Portatemi la medicina della sera.

FEDERICO - Ma il signor barone non stava meglio?

OTTAVIO - È stata l’illusione di un giorno.

FEDERICO - Volete dare ordini per la colazione di domani?

OTTAVIO - E che ordini volete dare. Pastina in brodo.

FEDERICO - Con le solite ali di pollo?

OTTAVIO - No Federico, domani è venerdì: baccala lesso. (Federico s’inchina ed esce)

SIPARIO