I costruttori di imperi

Stampa questo copione


I COSTRUTTORI DI IMPERI

Commedia in tre atti

di BORIS VIAN

PERSONAGGI

IL PADRE

LA MADRE

ZENOBIA, la figlia

CRUCHE, la serva

IL VICINO

LO SCHMÙRZ

Non ho tradotto né il nome della serva, Cruche, né il nome dello strano personaggio muto, Schmùrz. Cruche in senso figurato significa «persona inge­nua e sciocca». Schmùrz è termine inventato da Boris Vian o, forse, da sua mo­glie Ursula Kubler.

Commedia formattata da


ATTO PRIMO

Una stanza senza caratteristiche particolari, arredata borghe­semente: un buffet stile Henri II sul fondo, un tavolo da pranzo e alcune sedie in un angolo, finestre chiuse, porte che conducono dov'è necessario. Nell'angolo vuoto sbuca una scala, che si suppone parta da un'ipotetica stanza al piano inferiore e che si allaccia ad una scala, che si presume condu­ca ad una stanza al piano superiore. La scena è vuota, anche quando il sipario è chiuso, e resta vuota quando viene aper­to. All'inizio, dalla scala che sale dal basso, giungono delle voci.

Voce del padre             - (incalzante) Forza, Anna, sbrigati... ancora cinque scalini soltanto. (Si sente un rumore d'inciampo, poi un grido). Te l'avevo detto, Zenobia, di non mettere la ma­no proprio dove metto i piedi... siete sempre indisciplinate, è colpa vostra...

Voce di Zenobia           - (furibonda) Perché sei sempre tu a passare per primo?

Voce del padre             - (terrorizzata) Silenzio...! Si sente, proveniente dall'esterno, un rumore da far paura, la cui natura rimane imprecisata. Un rumore grave, come un rotolio, sovrastato da colpi più aspri.

Voce di Zenobia           - (calma) Ho paura...

Voce del padre             - Presto... un ultimo sforzo!...

Il padre appare in scena, portando una cassetta di attrezzi e alcune assi. Si lascia cadere, poi si rialza e si guarda attorno. Nel frattempo emerge il resto della famiglia: Zenobia, la figlia, che ha sedici o diciassette anni; Anna, la madre, sulla quarantina. Il padre è un cinquantenne barbuto. C'è inoltre la serva, che si chiama Cruche. Tutti sono carichi di pacchi, pacchetti, valige. In un angolo, c'è già lo Schmùrz. È tutto avviluppato di ben­de e vestito di stracci. Ha un braccio al collo e si appoggia a un bastone. Zoppica, sanguina, ha un aspetto brutto. Se ne sta rincantucciato in un angolo.

Padre                             - Ci siamo quasi, figli miei. Un ultimo sforzo. Il rumore si fa sentire di nuovo nella strada, cioè al di là delle finestre. Zenobia tira su col naso.

Madre                           - Su, su, bambina mia... Le si avvicina per confortarla, ma il Padre la ferma.

Padre                             - Anna! Svelta, dammi una mano. Questo è più urgen­te. (Si precipita verso la scala e comincia a sbarrare l'imbocca­tura della rampa discendente con alcune assi. La Madre cor­re ad aiutarlo e, passando, si accorge dello Schmùrz. Si bloc­ca, gli lancia un'occhiataccia e alza le spalle). Tieni ferma la tavola, cerco un chiodo. (Fruga dentro la cassetta degli attrez­zi e pesca un chiodo). In realtà, sarebbe meglio mettere delle viti, ma saltano fuori un mucchio di problemi.

Madre                           - Come sarebbe?

Padre                             - Primo, non ho le viti. Secondo, non ho il cacciavite. Terzo, non so mai da che parte si gira per avvitare.

Madre                           - Cosi... (Indica il senso sbagliato).

Padre                             - No, è cosi. (Le mostra il senso giusto). Il rumore si gonfia nella via. Zenobia urla furibonda.

Zenobia                         - Insomma, fa' in fretta!

Padre                             - Ma dove ho la testa... e tu che mi fai chiacchierare a vuoto. (Inchioda).

Madre                           - Come, ti faccio chiacchierare?

Padre                             - Non mettiamoci a litigare, cara. (Le si getta addosso e la bacia con trasporto) Oh, là, là, che pensieracci m'ispiri...

(Torna al lavoro).

Zenobia                         - Ho fame.

Madre                           - Cruche, date da mangiare alla piccola... Durante questo tempo, la serva si è affaccendata a sistemale le cose, evitando con grande cura di avvicinarsi allo Schmùrz.

Cruche                          - Subito, signora. (A Zenobia) Cosa vuoi: uova, latte, cioccolato, caffè, tartine, sformato, porridge, marmellata d'al­bicocche, uva, frutta, verdura?

Zenobia                         - Niente di tutto questo. Voglio mangiare.

Cruche                          - Bene. (Le porge un pacchetto di biscotti) Allora, man­gia, dato che non vuoi niente. (Ripassa davanti allo Schmùrz e se ne ritrae con un brusco scarto. Il Padre posa il martello, si rialza).

Padre                             - Ecco... ci siamo... Ora possiamo distenderci un poco. (Si stiracchia).

Madre                           - II cuoio non sarà caro quest'anno.

Padre                             - Come dici?

Madre                           - Dico che il cuoio non sarà caro quest'anno. Quando i vitelli si stirano. È un vecchio proverbio normanno. Tu do­vresti saperlo.

Padre                             - Perché, dovrei saperlo?

Madre                           - Non ti ricordi che sei stato pubblico scuoiatore in Normandia? Una volta? Un tempo?

Padre                             - No... mi sfugge.

Madre                           - A Arromanches...

Padre                             - Ma guarda. (Si gratta la barba). Singolare, veramente singolare. (Va verso lo Schmùrz e a tutta forza lo schiaffeg­gia, poi torna indietro, sempre pensieroso). Ciò che dici mi lascia stupefatto.

Madre                           - Perché?

Padre                             - Mi sorprende, ecco tutto. L'ho completamente dimen­ticato. (Batte le mani) Allora Cruche, questa sistemazione? È tutto a posto? (Ispeziona intorno). È grazioso questo po­sto.

La Madre colpisce a calci lo Schmùrz.

Zenobia                         - (che sta guardando il buffet) È orrendo.

Padre                             - Come? Non sei contenta?

Zenobia                         - Per quanto tempo ancora continuerà questa storia? Quante volte saremo ancora costretti a precipitarci cosi, nel­la notte, abbandonando dietro noi metà delle nostre cose, i luoghi familiari, il sole, gli alberi...

Padre                             - Suvvia, siamo ancora fortunati... Guarda questa sca­la...

Madre                           - Oh, insomma la piccola non ha tutti i torti, non ha niente di straordinario.

Padre                             - E io ti assicuro che non è niente male. Una scala come questa, anche in piena oscurità, ci si può arrampicare... Fa una prova slanciandosi con impeto, poi ridiscende.

Madre                           - È peggio di quella precedente.

Padre                             - Dev'essere uguale. (Si stropiccia le mani).

Zenobia                         - Ma come puoi essere tanto in malafede? Di sotto avevo la mia camera...

Padre                             - Come? In basso, avevamo tre stanze, esattamente co­me qui. Dormivi nello studio.

Zenobia                         - Ma no, non parlo di ieri... Voglio dire, di sotto, molto prima...

Padre                             - (alla madre) Aveva una sua camera?

Madre                           - Non ricordo molto bene. (A Zenobia) Avevi una tua camera?

Zenobia                         - Si, avevo la mia camera; a fianco della vostra, di fronte al salotto.

Madre                           - Come, il salotto?

Zenobia                         - II salotto, con le poltrone rosso scuro, lo specchio di Venezia, le belle tende di seta rossa. Il tappeto rosso e il lampadario dorato.

Madre                           - Zenobia, sei proprio sicura di quello che dici?

Zenobia                         - Certo, sono sicura di quello che dico.

Padre                             - Io non mi ricordo affatto di tutto ciò... Di conseguen­za, come può una bambina come te...

Zenobia                         - Ma è proprio per questo: sono i giovani che ricordano. I vecchi dimenticano tutto.

Padre                             - Zenobia, rispetta i tuoi genitori.

Zenobia                         - C'erano sei stanze.

Madre                           - Sei stanze! Addirittura! Quante pulizie da fare!

Zenobia                         - E Cruche aveva la sua camera, anche lei! E lui non c'era!

Padre                             - Chi è che non c'era?

Zenobia                         - Quello! (Indica lo Schmùrz, immobile. Un lunghissi­mo silenzio).

Madre                           - (con grande cautela) Zenobia, piccola mia, ma di che cosa stai parlando?

Padre                             - Zenobia, dovresti riposarti.

Nel frattempo, Cruche è uscita dalla parte del giardino. La Madre e il Padre si avvicinano a Zenobia.

Madre                           - Tu stessa puoi vedere che non c'è nessuno. (Si avvici­na allo Scbmùrz e lo picchia). Lo vedi bene. (Respira pesante­mente).

Zenobia                         - (incerta) C'erano sei stanze... eravamo noi soli... al­beri davanti alle finestre.

Padre                             - (alza le spalle) Alberi! (Picchia lo Scbmùrz). Alberi... (Si asciuga le mani sudate).

Zenobia                         - Stanze da bagno tutte bianche...

Cruche rientra.

Cruche                          - Signore...

Padre                             - Che c'è ancora?

Cruche                          - Ci sono solo due stanze, qui; io dove vado a dor­mire?

Padre                             - Ebbene... noi dormiremo nella stanza accanto, mia mo­glie, mia figlia ed io... E voi, voi dormirete qui...

Cruche                          - (fredda e decisa) No...

Padre                             - (ride, imbarazzato) No... lei dice no cosi,... allora...

Madre                           - (al Padre) Le costruirai un tramezzo. (A Cruche, dura) Vi volete decidere, almeno?

Cruche                          - (alza le spalle) Se il signore mi costruisce un tramez­zo... (Si avvicina allo Scbmùrz e lo picchia senza troppa con­vinzione) con un tramezzo, posso anche dormire qui... (Alza di nuovo le spalle e ritorna nell'altra stanza, portando via qualche utensile. Silenzio).

Zenobia                         - Hai visto... Non ci sono che due stanze. Ne ero sicura.

Il Padre si è seduto, per la prima volta, sembra un po' scon­certato.

Padre                             - Due stanze... non è poi cosi male... C'è gente che vive in uno spazio ben più piccolo...

Zenobia                         - (impaurita) Ma insomma, perché... perché...

Madre                           - Perché cosa?

Zenobia                         - Perché ce ne andiamo ogni volta che sentiamo que­sto rumore? (Il Padre e la Madre serrano il collo dentro le spalle). Cos'è questo rumore? Dimmelo! Dimmelo, mam­ma...

Madre                           - Zenobia, piccolo angelo mio, ti abbiamo ripetuto cen­to volte di non domandarlo.

Padre                             - (evasivo) Non si sa esattamente cosa sia. Se si sapes­se, te lo diremmo.

Zenobia                         - Ma tu sai sempre tutto, in genere.

Padre                             - In genere, certo. Ma questa, per l'appunto, è una circo­stanza eccezionale. E poi le cose che io so, sono piuttosto cose che hanno un'importanza reale, non miraggi.

Zenobia                         - Questo rumore, allora, non ha un'importanza reale?

Padre                             - In fin dei conti, no.

Madre                           - È un'immagine.

Padre                             - Un simbolo.

Madre                           - Un punto di riferimento.

Padre                             - Un avvertimento. Ma non bisogna confondere l'imma­gine, il segnale, il simbolo, l'indizio, l'avvertimento con la cosa in se stessa. Sarebbe un grave errore.

Madre                           - Una confusione.

Padre                             - Tu non t'impicciare nella discussione. Dopo tutto, que­sta piccina è tua figlia.

Zenobia                         - Ma se non ha importanza reale, perché fuggiamo?

Padre                             - È più prudente.

Zenobia                         - È più prudente, anche se si finisce col lasciare un appartamento di sei stanze, tutto solo per noi, per arrivare ad averne due. (Guarda lo Schmùrz).

Padre                             - La prudenza prima di tutto. (Va verso lo Schmùrz, gli sputa addosso).

Zenobia                         - Avevo la mia camera, un giradischi, tanti dischi, ora non ho più niente e bisogna ricominciare da zero.

Padre                             - Da zero! Ascoltami, abbiamo qui un buffet Henri II più che dignitoso.

Madre                           - Non sei veramente da compiangere. Pensa agli altri.

Zenobia                         - Quali altri?

Madre                           - Quelli più sfortunati di te.

Padre                             - Di noi (soddisfatto). Ebbene si! Due stanze, con i tem­pi che corrono...

Madre                           - (declama) Dove corriamo, donde veniamo, che impor­ta — ci conduce la vita, di porta in porta... (S'interrompe) Non è esattamente cosi...

Padre                             - L'inizio era buono. Perché non continui?

Madre                           - La stanchezza...

Padre                             - Per quanto mi riguarda, sono molto contento di que­sta scala. (Batte con il piatto della mano sulla scala). È soli­da quercia.

Madre                           - È faggio imitazione quercia.

Padre                             - Faggio... no. Abete, se vuoi, ma non è certo faggio. È un legno un po' troppo... insomma... il faggio, voglio dire.

Madre                           - Dov'è la cucina?

Padre                             - (indicando una porta) Deve essere di là.

Zenobia                         - (come riprendesse una vaga melopea) In basso ave­vo la mia camera, era azzurra, come quella di un ragazzo; al centro, una piccola scrivania, nel cassetto di destra il mio album con le foto di attori famosi, sotto, i miei quaderni di scuola e tutti i miei libri, sullo scaffale; attraverso la fine­stra, vedevo gli alberi verdi, il sole splendeva sempre, ogni anno aveva dodici mesi di maggio, ogni mese di maggio tren­tuno domeniche, domeniche che profumavano di cera fresca e di caramelle inglesi, e sul mio letto, una trapunta di trina, era falsa, lo so, ma tanto carina, la si bagnava nell'acqua con tè per darle il colore del maron glacé. La domenica sera dan­zavo.

Madre                           - Non si vive con i propri ricordi, alla tua età, cara.

La Madre                      - si aggira mettendo in ordine. Il Padre ha spalanca­to tutte le porte, gli sportelli dei mobili, il buffet, dando di tanto in tanto una botta in testa allo Schmùrz.

Padre                             - Ah! ecco la porta d'ingresso, che dà giustamente sul pianerottolo d'ingresso.

Zenobia                         - Che cosa dà?

Padre                             - Zenobia, non prendere tutto alla lettera, mi dai le ver­tigini.

Zenobia                         - (borbotta) Alla lettera. (Alza le spalle).

Padre                             - Zenobia, dovresti fare i tuoi compiti. (È uscito sul pianerottolo; lo si vede scrutare la porta dell'appartamento in faccia. Rientra mentre Zenobia si aggira distrattamente). Il vicino ha l'aria di un uomo per bene.

Madre                           - L'hai visto?

Padre                             - No, ho visto la targhetta.

Madre                           - La targhetta non è l'uomo! Me l'hai ripetuto tante volte.

Padre                             - È consigliere.

Madre                           - Questo può essere utile.

Cruche rientra.

Cruche                          - Cosa faccio per pranzo?

Zenobia                         - Per pranzo o per noi?

Cruche                          - Cosa faccio cuocere?

Madre                           - Si potrebbe mangiare qualcosa di freddo.

Zenobia                         - Mangiare chi?

Padre                             - Mangiare cosa?

Cruche                          - Sanato, minestra, ravanelli, semolino, pesce rombo, carote, gnocchi? O forse anguilla, salame, fricassea, testina di porco in salsa verde, muscoli?

Madre                           - Insomma, cosa è rimasto?

Cruche                          - Tagliolini.

Padre                             - No, i tagliolini no, non li voglio. Per quanto, dopo una notte come questa...

Madre                           - Fate i tagliolini, visto che non è rimalo altro.

Cruche                          - Non vedo perché dovrei farne, visto che ce n'è.

Madre                           - Allora fateli cuocere.

Cruche                          - Bene. (Va in cucina).

Padre                             - Mi domando che genere di consigli può mai dare.

Madre                           - Chi? (Va a colpire lo Schmùrz).

Padre                             - (sprofonda in una poltrona e accende la pipa) Il no­stro vicino.

Madre                           - Ah, il consigliere.

Zenobia                         - Mamma, posso accendere la radio?

Madre                           - (al Padre) Può accendere la radio?

Padre                             - La radio... (Si gratta la testa). Dove si sarà cacciata? L'avevo imballata dentro la coperta gialla a quadretti. L'hai presa tu?

Madre                           - No... io avevo la vecchia valigia nera, il sacco della biancheria e le provviste.

Padre                             - Io avevo la cesta di vimini, la cassetta degli attrezzi, le assi... (Chiama) Cruche, Cruche!

Entra Cruche.

Madre                           - Non troviamo la radio. Cosa portavate quando siamo arrivati?

Cruche                          - La grande lampada, i piatti, il quadro del cugino, il baule di ferro, il portabottiglie, il portavivande, la scatola delle scarpe, l'aspirapolvere, la mia roba...

Padre                             - E naturalmente, avete dimenticato la coperta gialla.

Cruche                          - Nessuno mi aveva detto di prenderla. (Va a colpire lo Schmùrz. La Madre scuote la testa).

Padre                             - Ebbene, faremo a meno della radio.

Madre                           - D'altra parte, non l'ascoltiamo mai. (Zenobia esce).La piccola è seccata.

Padre                             - Perché?

Madre                           - Non lo so. (Silenzio).

Padre                             - Vado a far visita al vicino.

Madre                           - Buona idea, vai, ti terrà occupato. Prende un lavoro a maglia, mentre il Padre esce lasciando la porta aperta. Lo si vede bussare alla porta di faccia. La por­ta si apre. Egli entra e la porta si richiude. Silenzio.

Zenobia rientra.

Zenobia                         - (in tono minaccioso) Bene, ed ora cosa succederà?

Madre                           - (cucendo) Se ne occupa tuo Padre .

Zenobia                         - Tutto sarà come prima, soltanto appena un po' peggio. Si vivrà un po' meno comodamente, si rifaranno gli stes­si gesti, un po' meno vivi, gli stessi lavori, con un po' meno impegno. Passeranno le notti, i giorni saranno uguali alle notti e d'un tratto, improvvisamente, si sentirà il rumore, saliremo la scala, dimenticheremo qualcosa... e avremo soltanto una stanza... con qualcuno già dentro.

Madre                           - (affettuosa) Non parlare, piccola mia, tu sragioni.

Zenobia                         - Ma io, in tutto ciò, che fine faccio?

Madre                           - Ti ho detto che tuo Padre se ne sta occupando. C'è una quantità di soluzioni possibili.

Zenobia                         - Dunque riconosci che è un problema?

Madre                           - Zenobia, tu mi irriti. I figli devono porre certi proble­mi ai propri genitori solo nella misura in cui costoro li ricono­scono come tali.

Zenobia                         - Riconoscono cosa? I figli o i problemi?

Madre                           - Noi non abbiamo alcun problema, grazie a Dio. (Si alza e crivella selvaggiamente lo Schmùrz di colpi di forbice). Non vedo cosa ti possa tormentare.

Il Padre rientra, accompagnato dal vicino.

Padre                             - Mi permetta di presentarle la mia famigliola. Anna, mia moglie... Zenobia, mia figlia. il vicino Signora! (Si inchina).

Padre                             - II signor Garet...

Zenobia                         - Lo conosciamo da un sacco di tempo. (Silenzio). Abi­tava già di fronte a noi quando avevo la mia camera con i miei dischi.

Padre                             - (si schiarisce la voce) Hum... ebbene, non occorre che le faccia visitare l'appartamento, dato che il suo è simme­trico.

Zenobia                         - In seguito, quando siamo saliti di un piano, era anco­ra lui che abitava sullo stesso pianerottolo...

Padre                             - (parla forte) Questo buffet, come vede, non ha niente da invidiare al suo...

Il vicino guarda lo Schmùrz.

Vicino                           - (a mezza voce) È in tutto e per tutto simile al nostro.

Padre                             - (allo stesso modo) È vero?... io credo che si rassomigli­no tutti.

Il vicino dà un calcio allo Schmùrz.

Zenobia                         - In seguito, quando siamo ancora saliti di un piano, anche lui ha fatto lo stesso. vicino Questa piccola ha una memoria!

Padre                             - (lusingato) Eh, cosa ne dice?

Vicino                          - Si, i ragazzi sono sorprendenti, ai nostri giorni.

Padre                             - (confuso) Cosa intende dire esattamente?

Vicino                           -  Ebbene, in altri tempi, non è vero, erano abbastanza diversi.

Madre                           - (convinta) Ha proprio ragione.

Zenobia                         - In altri tempi, erano diversi da chi e da cosa? Erava­te voi a essere ragazzi in altri tempi: e allora? Come potete fare un confronto?

Vicino                           - (al Padre) Ha una figlia che riflette molto, è lampante.

Padre                             - (si lancia in una spiegazione) Dunque, Zenobia, devi capire che un confronto fra due oggetti può svilupparsi nel tempo.

Zenobia                         - Ma chiattua il confronto in quel caso? Non puoi essere tu, con la tua mentalità idiota, a confrontare, ora, il bambino che eri un tempo con la ragazza che io sono in que­sto momento.

Padre                             - Zenobia, ti spingi troppo oltre.

Vicino                           - Sua figlia ha comunque individuato un punto delica­to. È il problema dell'osservatore imparziale.

Zenobia                         - Che non esiste.

Vicino                           - (sistemandosi) Sarei proprio curioso di conoscere il suo punto di vista.

Zenobia                         - Se qualcuno osserva, non può essere imparziale; ha già un desiderio, quello di osservare. Oppure osserva distrat­tamente, e allora non è più un buon osservatore.

Padre                             - Potrebbe... dunque... potrebbe essere imparziale per formazione. (Va a colpire lo Schmùrz e ritorna).

Zenobia                         - E chi l'avrebbe formato?

Vicino                           - La sua educazione potrebbe essere tale da dotarlo di imparzialità.

Zenobia                         - Quale educazione? Quella che gli danno i suoi geni­tori? (Sbuffa con disprezzo). E chi giudicherà se egli ha rice­vuto una educazione imparziale? I suoi genitori parziali?

Padre                             - (esplode) Tutto ciò è insopportabile. Vuoi tacere alla fine!

Zenobia                         - (molto calma) Taccio.

Silenzio. Il Vicino tamburella con le dita sulle ginocchia - la Madre- va a colpire lo Schmùrz che si sta mettendo dei cerot­ti. Gliene strappa uno e poi non riesce a staccarselo dal­le dita.

Vicino                           - Vostra figlia è deliziosa.

Padre                             - (sollevato) Finalmente... ci stiamo arrivando... è esat­tamente da questo punto che lei avrebbe dovuto cominciare. Ciò facilita il mio compito. Proseguo. (Mondano) Anche suo figlio, che ho intravisto di passaggio, mi è sembrato un bel pezzo di giovanotto.

Zenobia                         - Stai di nuovo tentando di farmi giuocare con suo figlio? Non ho più l'età.

Padre                             - (duro) Basta cosi! (Al vicino) Deve essere difficile ad­domesticarlo, l'animale! Ah...! Ah! Ah!

Vicino                           - II fatto è che il ragazzo va verso i diciotto anni...

Zenobia                         - E come ci va? A piedi, a cavallo o coi pattini a rotelle?

Madre                           - (al vicino) Dovrebbe portarlo qui da noi qualche vol­ta, sarebbe una festa per la piccola.

Zenobia                         - Se Saverio ha voglia di vedermi, non ha bisogno che ce lo porti suo Padre. (Ogni qualvolta parla nessuno l'ascol­ta).

Vicino                           - Ebbene, non so come ringraziarvi di questo amabile invito. Saverio sarà felicissimo di conoscere una compagna come Zenobia.

Padre                             - (alla madre) E adesso che cosa devo dire, diciamo, in generale?

Madre                           - Aspetta... la piccola non è più cosi giovane come l'ulti­ma volta. Io credo che occorra (gli sussurra qualcosa all'o­recchio).

Il Vicino si è alzato e storce con cattiveria un braccio dello Schmùrz. Poi torna a sedersi.

Padre                             - Hai ragione.

Madre                           - Ne va di tutto l'affare.

Padre                             - (al vicino) Su che piano vogliamo metterci?

Vicino                           - Alla loro età, mi sembra che...

Madre                           - (al Padre, con insistenza) Naturalmente, Leone. L'a­more...

Padre                             - Bene. (Si alza e annuncia) Professione di fede.

Zenobia                         - Ci siamo... (Sì alza ed esce in direzione della cucina).

Madre                           - (al vicino) È molto educata non trova? Una discrezio­ne...

Vicino                           - La trovo deliziosa. Mio figlio è un giovane fortunato.

Padre                             - Un momento! (Riprende) Professione di fede! (Pau­sa). Io non sono uno di quei personaggi tirannici, dei quali la natura e i libri ci mostrano si numerosi esempi, a svantag­gio della cultura mondiale e dei progressi della vera civiltà. (Si asciuga la fronte).

Madre                           - (a bassa voce) Leone, non sei mai partito cosi bene.

Il Padre le fa cenno di tacere e continua. Il Vicino si mette in posa e ascolta; poi prende un portacenere e lo scaglia sul­la testa dello Schmùrz.

Padre                             - D'altra parte, se non dipendesse che da me, già da lungo tempo i falsi valori sarebbero scomparsi a tutto vantag­gio di quei valori molto più solidi quali la morale, le idee in cammino, lo sviluppo delle scienze fisiche, l'illuminazione delle strade e l'invio al macero dei marci residui di una dema­gogia che sempre più sta degenerando, sull'esempio... dun­que... sull'esempio di quei grandi costruttori di un tempo passato, che fondavano i loro edifici sul senso del dovere e l'alta consapevolezza della repubblica...

Vicino                           - Non le sembra di aver perso un po' il filo?

Madre                           - (al vicino) Si... non riesco a capire se sta andando esat­tamente dove dovrebbe.

Padre                             - (tono naturale) È fastidioso, ma ho la stessa impressio­ne. Credo che le parole mi stiano trascinando.

Madre                           - Ricordati che si tratta di tua figlia e di suo figlio.

Vicino                           - Non potrebbe trattarsi d'altro. I giovani devono esse­re al centro dell'interesse generale.

Padre                             - Cerco di tornare al punto. (Declamatorio) Che piace­re vedere intorno a noi sbocciare i giovani virgulti. (Si arre­sta di colpo).

Madre                           - Continua, l'inizio era buono...

Padre                             - Sono a corto di aggettivi...

Entra Cruche.

Cruche                          - Questa cucina è ignobile, disgustosa, ripugnante, sporca, laida, sordida, nauseabonda, innominabile, pustolo­sa, cadente, squamosa, puzzolente, schifosa e via di segui­to. (Una pausa. Poi furibonda) E ciò nonostante, ci ritorno. (Esce).

Madre                           - Prendi esempio!

Padre                             - Già! furba a far sfoggio di qualificativi spregiativi. Ma i virgulti, provaci tu... ti passo la parola!

Madre                           - I giovani virgulti verdeggianti.

Padre                             - No... verdeggianti, è pesante. Io vorrei evocare il ver­de tenero delle gemme di nocciolo; o quel verde chiaro che volge al color di tiglio e che appena appena si scurisce alla base di questa fragile efflorescenza vegetale facendo presenti­re il verde pistacchio, questa sottile sfumatura che vi riem­pie d'emozione il cuore, quando si passeggia in primavera per ombrosi sentieri pieni di merda.

Madre                           - Oh! Leone.

Padre                             - (furibondo) È proprio cosi, che cosa credi, quei maia­li vanno a calar le brache sempre nei luoghi più carini. Per­ché, infine, perché? (Quasi grida).

Madre                           - Calmati, Leone.

Padre                             - (si calma) Hai ragione. (Declama) Che gioia sarà per noi vedere queste due giovani teste teneramente allacciate... Beh... allacciate per le orecchie...

Madre                           - Leone! Stai uscendo dal seminato.

Padre                             - Insomma, ho detto queste due giovani teste allaccia­te, bisognerà pure che siano allacciate in qualche modo...

Madre                           - Per le braccia...

Padre                             - Una testa non ha braccia.

Vicino                           - Niente di ciò che è astratto possiede braccia, mia cara signora. L'agricoltura ad esempio.

Madre                           - Allora la venere di Milo, è astratta?

Il Padre, distratto e meditabondo, va a colpire lo Schmùrz e ritorna.

Padre                             - (picchia un pugno sul tavolo) Stiamo divagando. (Al­la madre) Allora, faccio la domanda?

Madre                           - Vai troppo in fretta... inoltre, sta a lui fare la doman­da. È il

Padre                             - del giovanotto che deve chiedere la mano del­la ragazza.

Zenobia entra, mordendo un panino.

Zenobia                         - La cucina è immonda. Siete ancora impegnati nelle vostre buffonate?

Madre                           - Mia figlia è molto impulsiva, ma io sono una Madre moderna e penso che i giovani d'oggi debbano parlare franca­mente.

Lo Schmùrz si accascia. Il Padre lo guarda, va in cucina, ritor­na con una caraffa, gliela vuota sulla testa; lo Schmùrz si raddrizza con sforzo penoso, il Padre gli allunga un calcio sulla faccia; durante tutto ciò la Madre continua.

Madre                           - Io sono partigiana... cioè parteggiarne... cioè sosteni­trice... voglio dire, sono dell'opinione che occorra essere mol­to severi con i ragazzi, quando sono piccoli, per insegnare loro che nella vita non tutto è miele, ma sono altrettanto convin­ta che, una volta doppiato il capo della tenera età, sia giusto lasciar navigare queste bianche barchette a vele spiegate sul­le tiepide acque dell'esistenza.

Zenobia                         - Teoria d'altra parte completamente idiota. (Morde con voracità il panino).

Vicino                           - Credo proprio che s'intenderà meravigliosamente con Saverio.

Zenobia, esasperata, si siede su una sedia, si toglie una scar­pa e si gratta il piede. Fuori si sente vagamente il rumore. Subito il Padre, la Madre e il Vicino scattano in piedi, Cru­che entra; lo Schmùrz è il solo a non immobilizzarsi; Zenobia smette di grattarsi, terrorizzata. Il rumore cessa, tutti, tranne lo Schmùrz, appaiono sollevati.

Madre                           - Ho la vaga sensazione che non avremo il tempo di abituarci a questo delizioso appartamento.

Cruche                          - Allora, la smetto, o devo continuare a lavare, stru­sciare, lucidare, sgrassare, spazzolare, forbire, sistemare, puli­re, spazzare, raschiare, spolverare, incerare e dare lucentez­za e splendore alle cose?

Madre                           - Ma, continuate, continuate, certo.

Padre                             - Ci tratterremo in questo luogo per un bel po' di tem­po. A lume di naso, direi per almeno... per almeno un certo periodo.

Vicino                           - Ho la stessa impressione. Ma forse sarebbe meglio che rientrassi nel mio appartamento per controllare la cosa sui miei libri contabili.

Padre                             - (lo accompagna alla porta) Ma non c'è nessuna fretta! (Lo spinge fuori) Arrivederci. (Chiude la porta). Uffa. Che scocciatore!

Madre                           - Oh, là là. Ma sai, ho l'impressione che la piccola ab­bia ragione. Mi sembra di conoscere il suo viso.

Padre                             - (non l'ascolta) Comunque è sempre in famiglia che si sta meglio.

Fruga tra le valige e trova un frustino. Si toglie la giacca e comincia a frustare lo Schmùrz con una violenza incredibile.

Madre                           - È soprattutto quel suo neo accanto al naso che mi fa pensare di averlo già visto. Ma quando e dove?

Padre                             - (voce naturale) Si, i suoi tratti hanno qualcosa di fami­liare.

Madre                           - Di comune direi.

Padre                             - Di banale, addirittura.

Zenobia                         - Quando avevo la mia camera e i miei dischi, Save­rio aveva una camera uguale dall'altra parte del cortile e ci si scambiava i dischi continuamente. Era come averne il dop­pio ciascuno. Suo

Padre                             - è sempre lo stesso idiota. (Guarda il Padre e si mette a gridare) Ma che cosa gli fai, che cosa gli fai! lascialo in pace!

Padre                             - (si gira verso di lei, il viso completamente inespressi­vo ) A che punto è Cruche con i tagliolini?

Madre                           - (stessa espressione) È vero, dovrebbe essere pronto. (Zenobia esce, accasciata).

Padre                             - (continua a frustare per qualche attimo, poi, con calma, si frega le mani e fa scrocchiare le articolazioni) Vuoi che vuoti la valigia nera? C'è tutto il tempo prima che Cruche  metta in tavola.

Madre                           - Oh si, caro, mi faresti un piacere. Credo che le for­chette siano in fondo. Ma non dimenticarti il tramezzo.

Padre                            - Ma certo, certo. Lo costruisco non appena sparecchia­to. (Si frega le mani, si guarda intorno). Io mi sento già in tutto e per tutto a casa mia.

Dà un bacetto alla madre. Entrano Cruche con una zuppiera fumante e Zenobia con il pane e una caraffa d'acqua... La Madre prepara i piatti e i coperti.

Zenobia                         - (che ha visto i genitori baciarsi) No, vi prego, non avete più l'età...

Madre                           - Ogni età è buona quando c'è l'amore.

Zenobia                         - Allora sono io che non ho più l'età giusta per guar­dare: certe cose mi disgustano. Ormai mi fanno schifo.

Il Padre e la Madre si sono seduti e sistemati.

Padre                             - L'amore non è mai ridicolo.

Zenobia                         - L'amore, forse (si siede). Non ho fame.

Cruche comincia a servire.

Cruche                          - Diventa freddo.

Il Padre si serve.

Padre                             - Hanno un buon odore.

Cruche                          - Hanno odore di tagliolini.

Madre                           - Mi sembrano riusciti benissimo. Lasciate la zuppiera, mia cara, ci serviremo da soli.

Cruche le consegna il vassoio e se ne va evitando lo Schmùrz. Il Padre mangia e sembra non farle caso. Quando Cruche sta per uscire, la richiama.

Padre                             - Cruche... Non dimenticate niente?

Rassegnata, Cruche rientra, prende la frusta e comincia a fru­stare lo Schmùrz.

Madre                           - Ottimo!

Zenobia lascia cadere la testa sulle braccia e si tappa gli orec­chi, china sulla tavola; intanto il Padre e la Madre mangiano, Cruche frusta, e il sipario comincia a calare. Cruche si ferma ed esce.

Padre                             - Eccellente.

Madre                           - Buonissimo.

Padre                             - Succulento.

Madre                           - Delizioso...

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La scena è cambiata. Si tratta di una mansarda dall'aspetto ancora più sordido della stanza precedente. Vi si trovano i bagagli, le valige, i pacchi della prima scena. Le porte invece sono in numero minore e la stanza non è più un soggiorno ma una sorta di locale tuttofare: un fornello su una tavola, una catinella su un'altra ecc.. ecc. Sul fondo si trova la por­ta che dà sul pianerottolo, nella stessa posizione della scena precedente. Oltre questa c'è soltanto un'altra porta che si apre sulla ca­mera dove dormono i genitori e Cruche. Zenobia è coricata su una poltrona-letto dall'aspetto miseran­do. Lo Schmùrz, in uno stato ancora più pietoso che nella scena precedente, si sta fasciando le ferite con vecchie ben­de; dedica una particolare attenzione alla piaga sanguinante d'una gamba; ogni tanto cerca di scacciare le mosche dalle ferite agitando uno straccio. All'aprirsi del sipario, Zenobia è sdraiata e Cruche, seduta sul bordo del letto, sta dipanando la lana di un vecchio ma­glione per farne un gomitolo. Nella stanza c'è anche una scala simile a quella della scena precedente, ma più stretta e meno solida.

Zenobia                         - Che giorno è oggi?

Cruche                          - Lunedì, Sabato, Martedì, Giovedì, Pasqua, Natale, Domenica dell'Avvento, Domenica del Prima, Domenica del Dopo, Domenica del Durante, oppure niente Domeni­ca, può darsi la Pentecoste.

Zenobia                         - È quello che pensavo. Il tempo passa male e con fatica.

Cruche                          - Non ha lo spazio.

Zenobia                         - C'è troppa gente o troppo che cosa? Che cosa gli impedisce di passare? E poi, dove passa? per la cruna di un ago? per la strada?

Cruche                          - È passato di qua, ripasserà di là.

Zenobia                         - Mentre loro non sono qui, dagli un bicchiere d'ac­qua.

Cruche                          - (la guarda, immobile) Che cosa?

Zenobia                         - (indica lo Schmùrz con il mento) Dagli un bicchiere d'acqua.

Cruche                          - (voce bianca) A chi?

Zenobia                         - (una pausa. Alza le spalle, non insiste) Dammi un bicchiere d'acqua. (Cruche la guarda esitando). Ho sete.

Cruche                          - Sei sicura di aver sete?

Zenobia                         - No. Volevo darla a lui.

Cruche                          - Di chi stai parlando?

Zenobia la guarda a lungo, poi distoglie gli occhi.

Zenobia                         - Perché devo restare cosi a letto?

Cruche                          - Non stai bene. Sei in cattiva salute. Presenti dei sin­tomi premonitori di disordini. Il tuo stato non appare soddi­sfacente.

Zenobia                         - Sono malata?

Cruche                          - Non si può dire che tu sia veramente malata.

Zenobia                         - È stata la scala. Siamo saliti troppo in fretta. (Si guarda attorno). Non potevamo cadere più in basso.

Cruche                          - Non c'è cucina.

Zenobia                         - Soltanto una camera e questa stanza. Come si po­trebbe definire una simile stanza?

Cruche                          - Non ha nome. Ma si potrebbe definire una rimessa, uno sgabuzzino, un granaio, un sottoscala, un armadio a mu­ro, uno scolatoio, un sottopalco e ancora molte altre cose, senza mettere nel conto una stalla per quanto non ci siano animali. Almeno spero.

Zenobia                         - Perché sono malata?

Cruche                          - Anch'io non sono perfettamente in gamba. Ed an­che in tuo Padre e tua Madre si possono scoprire alcuni pro­dromi...

Zenobia                         - Di che tipo?

Cruche                          - (alza le spalle) Oh, prodromi inquietanti.

Zenobia                         - A parte la loro idiozia integrale, in loro non ho mai scoperto altro.

Cruche                          - (la guarda negli occhi) Niente altro?

Zenobia                         - (una pausa) Cosa vuoi fare con questa lana?

Cruche                          - Un maglione, un golf, una veste, una giacca di lana, un pullover, una camiciola, un lavoro all'uncinetto.

Zenobia                         - Un cardigan.

Cruche                          - La lana non basta per un cardigan. Questo era consu­mato ai gomiti. Dunque il prossimo sarà senza maniche.

Zenobia                         - Una pianeta.

Cruche                          - Forse non avrò il tempo di finirlo.

Zenobia                         - Che cosa è il rumore, Cruche?

Cruche                          - (gira la testa) Quale rumore?

Zenobia                         - II Rumore...

Cruche                          - Ci sono mille tipi di rumore. Basterebbe considera­re i gridi di animali...

Zenobia                         - No... quel Rumore... ogni volta che ce ne andia­mo... ogni volta che ci alziamo, in piena notte, per salire la scala, come dei folli, dimenticando tutto, facendoci male... Perché non restiamo una volta, almeno una volta? perché abbiamo paura... è cosi grottesco...

Cruche                          - Non abbiamo paura... saliamo la scala: è tutto.

Zenobia                         - Ma sesi rimanesse? se si fosse rimasti?

Cruche                          - Nessuno rimane.

Zenobia                         - Ed in questo momento, di sotto, che cosa c'è? Non si sente niente... Non si sente mai niente... Potremmo prova­re a rimanere in ascolto. E se tornassimo giù?

Cruche                          - Hai la febbre. La tua temperatura sta salendo. Il calore del corpo aumenta. L'agitazione molecolare cresce.

Zenobia                         - Io voglio ridiscendere.

Lo Schmùrz si è mosso. Si trascina lentamente verso l'imboc­catura della scala.

Cruche                          - Tuo Padre ha bloccato la scala...

Zenobia                         - Io schioderò le assi... Voglio scendere... Voglio anda­re a vedere chi abita da noi... Anzi voglio ridiscendere sino in fondo, arrivare alla mia vecchia camera, quando sentivo la musica col mio giradischi. (Si alza, titubante come una persona febbricitante. Cruche la sostiene).

Cruche                          - Torna a letto. Coricati. Sdraiati. Allungati. Riposa­ti. Calmati.

Zenobia                        - (va verso la scala. Vede lo Schmùrz accoccolato sull'im­boccatura, raccolto come un animale, che le sbarra il passaggio. Fa un gesto di disperazione e si appoggia alla tavola) Dammi un bicchiere d'acqua!

Cruche si alza. Versa un bicchiere d'acqua da una caraffa, le dà il bicchiere senza guardarla e esce. Rimasta sola, Zenobia prende il bicchiere, si avvicina allo Schmùrz, prova a tender­gli il bicchiere. Con un gesto simile ad un colpo di zampa, lo Schmùrz fa volare il bicchiere e Zenobia indietreggia spaven­tata. Ricade sul letto e singhiozza mentre Cruche rientra, raccatta il bicchiere, asciuga e rimette a posto, evitando di guardare lo Schmùrz. Poi si avvicina a Zenobia, le accarezza la spalla.

Cruche                          - Non piangere.

Zenobia si raddrizza e si soffia il naso. La porta di ingresso si apre. Entrano il Padre e la madre. Hanno delle facce di circo­stanza.

Madre                           - Pover'uomo, più sfortunati di cosi si muore. Oh!

Padre                             - Si... Pensandoci bene, in confronto a lui, noi non sia­mo affatto da compiangere.

Zenobia                         - (è seduta sul letto. Cruche si è allontanata da lei e si aggira svolgendo lavoretti di casa) Come sta Saverio?

Madre                           - Mia piccola cara, dopo tutto, questo giovane, tu lo conoscevi appena.

Padre                             - Insomma, abitiamo qui soltanto da due giorni, e Save­rio non era niente di più di una relazione di buon vicinato.

Madre                           - Non puoi prendertela cosi a cuore come se si trattas­se, diciamo, di tuo fratello.

Padre                             - Tuo nipote.

Madre                           - Tuo cugino.

Padre                             - Tuo figlio.

Madre                           - O addirittura il tuo fidanzato.

Zenobia                         - (freddamente) Saverio è morto?

Padre                             - Beh... sfortunatamente, non si può dire che ci sia mol­to da sperare.

Madre                           - L'hanno seppellito ieri, il povero piccolo.

Zenobia                         - (ripete, con una voce piatta) Saverio è morto.

Madre                           - Di fronte al dolore dei genitori si prova una gran pena.

Padre                             - Eh si! Sono stati provati duramente. Noi siamo veramente fortunati. (Si guarda intorno, si frega le mani, va a colpire lo Schmùrz e ritorna).

Madre                           - Non ci si può nascondere che per loro è stato un du­ro colpo.

Zenobia                         - Oh, riusciranno a dimenticare. Tutti riescono a di­menticare. Anche noi (alza le spalle)... senza fatica.

Padre                             - La nostra sorte è invidiabile, Zenobia, ti posso assicu­rare che la nostra sorte è invidiabile.

Zenobia                         - Che ore sono?

Madre                           - (si guarda attorno, va a colpire lo Schmùrz) Non vedo la pendola.

Padre                             - L'avevo messa nel sacco di carta grigia l'altro ieri. Cru-che... lo portavate voi?

Cruche                          - No. (Esce).

Padre                             - Guarda, guarda... non ha voglia di sproloquiare oggi.

Madre                           - (al Padre) Allora?

Padre                             - Dobbiamo averla lasciata di sotto. (Alza le spalle). Co­munque non ne sentiamo molto la mancanza; la prova è che siamo qui da due giorni e non ci eravamo accorti che era rimasta di sotto.

Madre                           - Devono essere le tre e mezzo quattro...

Zenobia                         - Se almeno avessi ancora il mio giradischi oppure la radio...

Madre                           - Come la radio? Ma non abbiamo mai avuto una ra­dio, mia cara, pensaci bene...

Zenobia                         - Prima ancora del piano di sotto (gesto verso il pia­no inferiore) avevamo una radio.

Padre                             - Ti assicuro che di sotto non c'era una radio. Una pen­dola, d'accordo, c'era una pendola. Ma nessuna radio.

Zenobia                         - Ho detto: prima ancora di abitare qui sotto. Se aves­si voluto dire qui sotto, avrei detto: prima di abitare qui.

Madre                           - Ebbene ho una buona memoria, eppure non mi ricor­do affatto di questa radio. È come per il nostro vicino, pover'uomo, tuo Padre afferma di avere l'impressione di averlo già incontrato, e anch'io gli trovo un aspetto familiare, ma non mi ricordo in alcun modo quali possano essere state le nostre eventuali relazioni. Eppure ho una buona memoria, te lo ripeto... Ecco voglio dartene un esempio: mi basta un attimo per evocare la fiera e forte figura di tuo Padre il gior­no in cui mi condusse all'altare.

Padre                             - (alla madre) Bisogna distrarre in qualche modo la bam­bina. (A voce alta) Evidentemente, questo Saverio, non lo conoscevamo molto bene, ma per pura e semplice solidarietà umana, direi di più, per spirito di pianerottolo, io riesco a concepire come la nostra bambina provi un vivo rimpianto per la sua prematura scomparsa ed anche che essa senta il bisogno di attaccarsi a delle piccole cose.

Zenobia                         - (lo guarda) È sconvolgente sentire quanto si possa sproloquiare a quell'età.

Il Padre va a malmenare lo Schmùrz e finisce con tre bei calci al ventre.

Madre                           - Non mi sembri tanto toccata dalla scomparsa di Save­rio.

Zenobia                         - Ha avuto fortuna, lui.

Padre                             - Fortuna? ma coniglietto mio, tu non ragioni più... Noi abbiamo un tetto, da mangiare, un po' di spazio...

Zenobia                         - Sempre meno.

Padre                             - Sempre meno? il nostro Vicino non ne ha più di noi.

Zenobia                         - Me ne sbatto completamente del vicino. Se a lui ba­sta, meglio per lui. Ciò non impedisce che un tempo anche lui aveva sei stanze, come noi.

Padre                             - Sei stanze... Che vanità!

La Madre va a colpire lo Schmùrz.

Zenobia                         - E quanti piani restano sopra di noi?

Padre                             - (molto sincero) Proprio non capisco la domanda.

Zenobia                         - E se il Rumore ricomincia?

Madre                           - Ma quale rumore?

Si sente vagamente il Rumore, e tutti s'immobilizzano tran­ne lo Schmùrz che continua ad agitarsi lentamente.

Zenobia                         - (pallida, pugni serrati) Se il Rumore ricomincia?

Padre                             - Saliremo ancora. (Va a tastare la scala).

Zenobia                         - Se non c'è più niente, sopra?

Padre                             - Questa scala dovrà condurre in qualche posto, me lo concedi?

Zenobia                         - (con pazienza) Ma sopra, ci sarà soltanto una stanza.

Padre                             - Questo non lo puoi sapere. Non è provato. Non hai il diritto di dedurre da un cambiamento di piano che al succes­sivo ci sarà meno spazio.

Zenobia                         - E se non ci sarà più una scala, quando saremo saliti ancora di un piano?

Padre                             - Se non ci sarà più una scala, vorrà dire che non avre­mo più bisogno di servircene, e il tuo famoso rumore, tu non lo sentirai più, di conseguenza.

Zenobia                         - (scoraggiata) Se è questo il tuo modo di ragionare...

Padre                             - Ti trovo strana, Zenobia. Al tuo posto, molte ragazze sarebbero felici. (Va a colpire lo Schmùrz).

Madre                           - Dimentichi che ha la febbre, la mia povera gattina. (Va ad accarezzare Zenobia che si ribella).

Zenobia                         - Che cosa avete intenzione di fare?

Padre                             - Girne sarebbe, che cosa abbiamo intenzione di fare. Il problema non si pone neppure. Il vento si sta alzando. Bisogna tentare di vivere.

Madre                           - Ti assicuro che ha la febbre. (A Zenobia) Vieni a di­stenderti, piccola mia.

Zenobia lascia fare, la Madre la fa allungare, va a picchiare lo Schmùrz, poi ritorna. Il Padre intanto sfoglia un libro can­ticchiando.

Zenobia                         - Di che cosa è morto Saverio?

Padre                             - Scusa?

Zenobia                         - Di che cosa è morto Saverio?

Padre                             - Bah!... di tutto e di niente, sai bene come si muore, quando si è giovani.

Zenobia                         - Non lo so.

Padre                             - Insomma, Saverio ha commesso qualche imprudenza e suo

Padre                             - ha avuto il torto di non impedirglielo.

Zenobia                         - Ha disceso la scala?

Padre                             - (imbarazzato) Non lo so.

Zenobia                         - Si è rifiutato di abbandonare il piano di sotto?

Padre                             - Non lo so, ti dico. L'essenziale è che è morto.

Zenobia                         - Deve aver tentato di discendere; se non fosse cosi non l'avrebbero sotterrato; se fosse rimasto in basso, nessu­no avrebbe osato andare a cercarlo.

Padre                             - Sotterrarlo, sotterrarlo, insomma, si suppone che l'ab­biano sotterrato. Essendo morto, era la sola cosa da fare, dopo tutto. (Va a colpire lo Schmùrz. La Madre è uscita poi rientrata, si dà da fare).

Zenobia                         - (sognante) E Giovanni, che fine ha fatto?

 

Padre                             - Giovanni? (Sembra sinceramente sorpreso).

Madre                           - Di chi stai parlando, Zenobia?

Zenobia                         - (sognando) Quando abitavamo nell'appartamento di quattro stanze con il balcone, di fianco, nell'altra metà del balcone, il figlio dei vicini veniva a lanciare aeroplani di car­ta. Si chiamava Giovanni. Ballava molto bene.

Madre                           - Zenobia, pulcino mio, stai sognando ad occhi aperti.

Zenobia                         - Non sto sognando.

Madre                           - Ascoltami, tesoruccio mio, vuoi far passare tua

Madre                           - per una vecchia sciocca... (Al Padre) Bisogna distrarla, ti ripeto che bisogna distrarla. (Va a colpire lo Schmùrz).

Padre                             - (s'interroga tra sé) Vediamo... È pur vero che i geni­tori, per quanto sta in loro potere, hanno il compito di forma­re i loro figli e di dar loro una educazione tale che il contatto con la vita reale, che spia la loro uscita dal nido familiare, avvenga nel modo più dolce, senza strappi e senza ferirli. Ma rientra nelle loro funzioni anche distrarre i figli? e inol­tre l'educazione comporta anche la distrazione?

Madre                           - Una distrazione educativa. Saverio non era l'unico al mondo. Zenobia deve essere preparata a incontrare il suo futuro compagno.

Zenobia                         - E questo compagno futuro ed io, dove andremo a vivere, ammesso e non concesso che lo incontri?

Madre                           - Questo non ha importanza.

Padre                             - È un problema che si risolverà da sé.

Zenobia                         - (sarcastica) Sarà certo l'unico. Del resto chi lo pone il problema?

Madre                           - Sono persuasa dopo matura riflessione, che l'esempio è la guida migliore. Il nostro esempio, per esempio.

Padre                             - II nostro esempio è, in effetti, esemplare. (Alla ma­dre) Potrei mimare la nostra avventura!

Madre                           - Tesoro, sei un mimo bravissimo. Ma usa anche la pa­rola, non limitarti a mimare. Perché privarti di un mezzo d'espressione che tu domini alla perfezione?

Padre                             - (annuncia) La scena! (Comincia il suo racconto). Si immagini un bel mattino di primavera; la città è in festa, le bandiere schioccano al vento e il baccano dei veicoli a moto­re copre il gioioso rumore che sale da questo enorme formi­caio umano. Io, con il cuore attraversato da scariche elettri­che, io contavo le ore con l'aiuto di una antica tavola mate­matica cinese lasciatami da un mio prozio, quello che aveva partecipato al saccheggio del Palazzo d'Estate a Pechino. (Si interrompe. Riflette). Dove si è cacciata, questa preziosa ta­vola? (Alla madre) Non l'hai vista di recente?

Madre                           - A dir la verità, no, ma forse la ritroveremo sisteman­do i bagagli.

Padre                             - Non importa. Il fatto c'è.

Zenobia                         - Se è successo tempo fa, il fatto non c'è più, per esse­re esatti. Il fatto che tu ne conservi il ricordo è di un ordine del tutto diverso.

Padre                             - Zenobia, mi sforzo di distrarti: ma tu non farmi perde­re il filo.

Zenobia                         - (indifferente) Oh, continua, continua pure. (Esce. Il Padre continua).

Padre                             - In breve, io contavo le ore, ed essendo molto bravo in aritmetica, questo calcolo per me non presentava alcuna difficoltà. Non più di molti altri tipi di calcolo, come quello della circonferenza di un cerchio, quello del numero di grani di sabbia contenuti in un mucchio di sabbia, per il quale si procede come per la somma di una pila di ovuli di carbone, e via di seguito. I fornitori si avvicendavano nell'anticamera della felice promessa sposa, piegati sotto il peso di cesti di fiori, di frutta e di biancheria sporca, poiché certuni facevano confusione con la lavanderia vicina. Ma tutto questo io lo riporto per sentito dire, poiché ella era a casa sua ed io a casa mia. Ero pronto, risplendente, un'aura di buona salute aleggiava intorno al mio viso ben rasato, e, solo con i miei pensieri, cioè completamente solo, io mi apprestavo a que­sta fusione di stati civili, di cui giustamente si è potuto di­re... beh...

Madre                           - (riflette) Chi ha potuto dirlo?

Padre                             - Ma andiamo avanti, andiamo avanti, ti passo la paro­la...

Madre                           - Io, dal canto mio, colma di tremori e di rossori, per quanto ben sapessi, perché i miei genitori erano persone mo­derne, che cosa mi aspettava, e che questo selvaggio non mi avrebbe dato tregua finché non fosse giunto a saltarmi addos­so, io chiacchieravo, circondata dalle mie damigelle d'onore, di una cosa e dell'altra, passando da un argomento all'altro, poiché una sposa promessa, in quel giorno non pensa che a quella piccola cosa, ma la società vieta che della piccola cosa si parli prima di averla subita, non cosi presso i popoli primi­tivi, che sono proprio da compatire, ahimè. (Il Padre ha appena finito di picchiare lo Schmùrz). Leone, riprendi tu il rac­conto, questa evocazione mi sfinisce.

Continuano a muoversi in una specie di balletto, mimando tutta la giornata del matrimonio.

Padre                             - Io bollivo, il mio sangue era in ebollizione, e quando il sangue è in ebollizione, l'embolia non è lontana. (La Madre va a picchiare lo Schmùrz). Cosi dissi al cugino Gian Lui­gi, che era appena entrato nella stanza e che stava terminan­do i suoi studi di medicina: «Non credi che un bel salasso mi farebbe bene?» Stava per soffocare! (Ride). Rideva co­si forte che... Anch'io sono scoppiato a ridere. (Colpisce lo Schmùrz). Veramente, era troppo buffo. (Smette di ridere di colpo e dice con tono piatto) Accidenti se abbiamo riso quel giorno.

Madre                           - Io avevo ventidue anni.

Padre                             - Sorvolo la cerimonia. (Mima). Vuole prendere per mo­glie questa incantevole biondina? E come, signor sindaco! Lei che cosa farebbe al mio posto? Niente, dice il sindaco, io sono pederasta. (Si batte le mani sulle cosce). Questa era proprio bella. Il sindaco pederasta.

Madre                           - Un così bell'uomo. Che peccato.

Padre                             - Poi il parroco: «Amatevi»: l'incenso, i chierichetti, la questua, insomma non mancava niente. Hanno fatto cin­que questue.

Madre                           - Ma sei sicuro?

Padre                             - Faccio un po' di confusione, ma mi ricordo con preci­sione le cinque questue. Mi hanno colpito. Poi il pranzo a casa dei suoceri. (Cruche appare con un piatto di fette di carne fredda e pezzi di pollo). Ci siamo sgozzati.

Madre                           - Ora esageri...

Padre                             - Ci siamo ingozzati di cibo. (Toglie di mano il vassoio a Cruche    e si mette a mangiare. Cruche sta per uscire evitan­do lo Schmùrz. Il Padre, con aria di comando, fa schioccare le dita; Cruche torna indietro e colpisce lo Schmùrz). Lo Champagne scorreva a fiotti inebrianti.

Madre                           - Era spumante.

Padre                             - È vero, i tuoi erano spilorci.

Zenobia rientra, mangiando un panino.

Zenobia                         - Allora avete finito col vostro «son et lumière»?

Padre                             - II seguito lo lascio alla vostra immaginazione. Noi due soli, appena sposati, nell'intimità della camera da letto...

Zenobia                         - Nove mesi dopo, sono nata io.

Madre                           - E noi andammo a stabilirci ad Arromanches, dove ti offrivano un buon lavoro.

Padre                             - Pubblico scuoiatore. Un po' come scultore, ma più sul vivo.

Madre                           - Ed eccoci qua. Una coppia sorridente. (Il loro ballet­to termina. La Madre va verso il Padre, il Padre verso la madre. Il loro movimento converge sullo Schmùrz, che massa­crano di botte). Sempre felici, mai divisi malgrado le avversi­tà. (Colpiscono lo Schmùrz).

Zenobia                         - (voce piatta) Nel frattempo non è successo niente? (Si siede sul letto).

Padre                             - Nel frattempo?

Zenobia                         - Dopo Arromanches?

Padre                             - Abbiamo lasciato il paese per la grande città... E cosi continuiamo la nostra vita di coppia unita per il meglio e per il peggio, ed anche per ciò che sta nel mezzo, eventualità molto più frequente, poiché il meglio e il peggio sono come le ore di punta, sono l'eccezione.

Zenobia                         - In materia di distribuzione d'elettricità, le ore di punta non hanno niente di eccezionale. Accade ogni giorno.

Madre                           - Zenobia, io mi domando da chi puoi aver ereditato questo carattere raziocinante.

Zenobia                         - L'ho preso da voi, probabilmente per contrasto.

Madre                           - Per quanto mi sforzi di ricordare tutti i membri della famiglia, non riesco ad immaginare per quale strano fenome­no tu abbia ereditato queste caratteristiche e chi te le abbia trasmesse.

Padre                             - (alla madre) Potremmo studiare metodicamente la fa­miglia, se lo desideri. Tutto ciò che è metodico mi affascina. Si potrebbe addirittura ricostruire un albero genealogico. Tu mi aiuterai.

Zenobia                         - Farai meglio a lasciarlo crescere da solo. Io lascio perdere.

Cruche, entrando, si attacca al discorso.

Cruche                          - Passa la mano, si libera, abbandona, si ritira dal giuo­co, sta a guardare, non ci sta più, fa orecchi da mercante, se ne lava le mani, e, concludendo, si disinteressa della situa­zione.

Padre                             - (arrabbiato) Cruche, ci si domanda: voi cosa c'entra­te?

Cruche                          - Chi si pone questa ridicola domanda?

Padre                             - Io.

Cruche                          - Allora non dite «ci si chiede». Dite «io mi chiedo voi cosa c'entrate», oppure «Cruche, sono forse cavoli vo­stri?», oppure «in che cosa vi riguarda questo problema?», oppure «quale interesse mai può presentare per voi?» Ma siate esplicito e non procedete per allusioni. Ho forse alluso io? (Afferra un soprammobile e si mette a lucidarlo).

Padre                             - Oh! perdio! (Furioso, si versa un bicchiere d'acqua, mentre la Madre che non ha prestato ascolto, sceglie un lun­go ago, tipo spillone per capelli, dentro un necessaire da cuci­to, e va a bucare lo Schmùrz). Non vi pago per fare discus­sioni.

Cruche                         - Io ho il mio lavoro da vendere, e lo vendo. Al prez­zo che lei lo paga, non ci rimette di sicuro. E a parte ciò, niente impedisce che il venditore discuta con il compratore, soprattutto quando non c'è frode sulla merce. (Sbatacchia violentemente a terra il suo grembiule). Del resto, chiudo.

Padre                             - Come, voi chiudete?

Cruche                          - Non vendo più. Lei andrà a comprare altrove. O piuttosto, io andrò a vendere altrove.

Zenobia                         - Cruche... te ne vai veramente?

Cruche                          - Stammi a sentire, tuo

Padre                             - è veramente troppo idio­ta... Ma chi e dove crede di essere. Sono la sola persona, qui, che non ha niente da perdere...

Padre                             - (sarcastico e superiore) Mi vorreste spiegare come mai non avete niente da perdere?

Cruche                          - Perché vendo un lavoro molto richiesto dai fannullo­ni, dai pigri, dai buoni a niente, dagli esseri inutili e oziosi, dagli elementi parassitari della società: tutte bestie che ab­bondano. (Si mette il suo cappello di paglia, afferra una pic­cola valigia ed esce per la porta del pianerottolo).

Padre                             - (offeso) Ma, in fede mia! A momenti mi insultava!

Cruche                          - rientra, posa la valigia a terra, bacia Zenobia.

Cruche                          - Arrivederci, gattina mia. E stai attenta. (Riprende la valigia e sta per uscire).

Padre                             - (tono di comando) Cruche... dimenticate qualcosa...

Cruche si guarda attorno. Fissa per un attimo lo Schmùrz. Scuote la testa negando.

Cruche                          - No... non vedo niente che abbia dimenticato. (Esce e chiude la porta).

Padre                             - (si frega le mani) Finalmente. Buon viaggio. Questa ragazza diventava ogni giorno più insolente. Sono proprio contento. (Va a picchiare lo Schmùrz). Inoltre, cosi faremo delle economie e avremo una stanza in più, praticamente.

Zenobia                         - (fredda) Io qui, da sola, non ci dormo.

Padre                             - Va bene, va bene... dormirai qui accanto con noi...

Zenobia                         - Potrei dormire da sola nella stanza accanto...

Padre                             - (ride) Senti che pretese! la camera più bella per la Si­gnorina!

Zenobia                         - Allora perché si fanno i figli? Per metterli nella stan­za più schifosa?

Madre                           - Zenobia, non scaldarti cosi... tanto per cominciare non sempre i figli vengono quando si vogliono.

Zenobia                         - Quando non si sa, ci si trattiene. (Una pausa).

Padre                             - ... beh! (Mia madre) mi sembra che sia cresciuta parec­chio.

Madre                           - Credi che possiamo ancora considerarla una bambina?

Padre                             - Certo è molto vicina all'età adulta.

Madre                           - È un'adolescente, ma già formata.

Padre                             - Non ci sarebbe niente di ridicolo se fosse sposata. (Va a picchiare lo Schmùrz).

Madre                           - E se fosse sposata, non sarebbe giusto che si sacrificas­se un po' per i suoi vecchi genitori?

Padre                             - E bisogna anche aggiungere che noi siamo già sistema­ti nella camera accanto...

La Madre va verso la camera, gira la maniglia della porta, ma la porta non si apre. Appare subito sconvolta.

Madre                           - (con voce bassa e tesa) Leone!

Padre                             - (sorpreso, si asciuga le mani) Che cosa c'è? Mi hai fatto paura.

Madre                           - Leone... la porta non si apre più.

Padre                             - Non dirlo... di là c'è la valigia nera e la mia macchina fotografica. (Va alla porta, cerca di aprirla).

Cruche                          - l'ha chiu­sa a chiave andandosene...

Si sente fuori, in lontananza, il Rumore e tutti si immobiliz­zano tranne lo Schmùrz.

Zenobia                         - (indifferente)

Cruche                          - non si è nemmeno avvicinata alla porta.

Il Padre tenta ancora una volta d'aprire senza riuscirci.

Padre                             - Non è chiusa a chiave... la maniglia è come bloccata...saldata...

Zenobia                         - (imitando Cruche) Inchiodata... immobilizzata... ri­battuta... incrollabile... inamovibile... e per cosi dire, non si può girare. (Scoppia a ridere. Ma si arresta subito).

Padre                             - (va alla porta sul pianerottolo, cerca di aprirla, ci rie­sce; poi gioviale) Ah! Ah!... ero sicuro che questa fos­se accora perfettamente a posto... sbagliamo ad allarmarci per cosi poco... (Picchia, passando, lo Schmùrz). Tutto va be­ne... ci resta una stanza di dimensioni ragionevolmente gran­di, e per fortuna è da questa parte che si trovano la stufa e il gabinetto. (Ride). Pensa se fossimo rimasti chiusi nell'altra stanza... (a Zenobia) che, detto tra noi, non aveva niente di eccezionale, te l'assicuro... Starai molto meglio qui, con noi.

Zenobia                         - Certamente.

Padre                             - Ciò non toglie che io senta il dovere di prendere alcu­ne precauzioni elementari. (Va alla scala, e ne prova la solidi­tà). Hum... mi sembra più traballante di ieri, non trovi Anna?

Madre                           - Non ci ho fatto molta attenzione, ma se lo dici tu, caro, è certamente vero...

Il Padre prende lo slancio e cerca a più riprese di salire la scala.

Padre                             - No... ha l'aria di essere a posto... (Ridiscende). Orga­nizziamoci. Dove facciamo dormire la piccola?

Zenobia                         - Per terra starò meravigliosamente. (Si siede, appog­gia la testa su una mano e si dondola un po').

Madre                           - Zenobia, non fare la sciocca, ti prepareremo un angoletto assolutamente confortevole... (Al Padre) Leone! ho un'idea; potresti forse farti prestare il letto di Saverio dal nostro vicino.

Padre                             - È un eccellente suggerimento. (Si frega le mani). Per quanto ciò mi imbarazzi un po', dato il suo lutto cosi re­cente.

Madre                           - Saverio voleva molto bene alla piccola. (Si accorge che Zenobia non ha l'aria di star molto bene) Ma che cosa ti succede, pulcino mio?

Zenobia                         - Mi fa male la testa.

La Madre le si avvicina e le prende il polso mentre il Padre  si gratta il mento e si guarda intorno.

Madre                           - Non è niente, appena un po' di febbre...

Zenobia                         - Vorrei delle arance.

Madre                           - Ma, gattina mia, non sei ragionevole... sai bene che le conserviamo per il tuo papà che ne ha bisogno a causa della sua salute...

Zenobia                         - Si... ma le vorrei lo stesso...

Madre                           - Zenobia, cerca di essere realistica. Abbiamo soltanto poche arance e tuo Padre è un uomo adulto, un uomo fatto; tuo Padre non è più una promessa, è un individuo completo e compiuto, che ha già offerto delle prove di... beh... delle prove. Dall'altra parte ci sei tu, una ragazza, quasi una bam­bina, tu sei... diciamo, come un biglietto di lotteria; si può scommettere su di te, certo, ma ci sono dei rischi. Per quan­to mi riguarda sono persuasa, nota bene, che tu farai un'otti­ma riuscita, ma credo che, per il momento, tra il fiore e il frutto, sia saggio scegliere il frutto.

Zenobia                         - Sarebbe papà il frutto?

Madre                           - Non è che un paragone, piccola mia, null'altro che un paragone, ma significativo. Il fiore deve sacrificarsi per il frutto.

Zenobia                         - Ah! (Il Padre esce dalla sua meditazione).

Padre                             - La miglior cosa sarebbe che la piccola stessa andasse a chiedere il letto di Saverio al vicino. Non può dire di no. Io non mi sentirei a mio agio... Sono cose che non rientrano nel mio carattere...

Madre                           - Certamente non chiede altro; e in fondo, questo letto serve a lei; allora, tesoruccio mio, vuoi provare ad andarci?

Zenobia                         - (pallida) Ma certo... È perfettamente normale... Cia­scuno pensi a togliersi dalla merda.

Madre                           - E cosi, questa sera, avrai un buon letto per dormir­ci...

Zenobia                         - È quello che conta... (Si alza).

Padre                             - D'altra parte, che cosa rischiamo a chiedergli questo letto, al vicino? Eh? Se accetta, accetta, e se rifiuta...

Zenobia                         - Rifiuta.

Padre                             - Ecco... non c'è alcun pericolo.

Zenobia                         - (si appoggia alla tavola) Tu, il pericolo, non l'hai mai visto. Come puoi parlarne?

Padre                             - Ma mi rendo conto quando se ne avvicina uno. Credi di riuscire a vederlo meglio di me?

Zenobia                         - (guarda lo Schmùrz) È molto tempo che lo vedo.

Padre                             - Comunque non avrai paura del nostro vicino. (Ride e va a colpire lo Schmùrz).

Zenobia                         - No... del vicino... non ho paura. (Va alla porta sul pianerottolo. L'apre. Esce, bussa alla porta del vicino, aspet­ta).

Padre                             - (grida) Insisti ancora... è certamente in casa...

La Madre aggredisce lo Schmùrz. Il Padre si siede con un libro. Zenobia bussa ancora, cerca di girare la maniglia della porta del vicino, rientra e parla restando sulla porta.

Zenobia                         - La sua porta sembra bloccata...

Padre                             - Ma non può essere, tesoro, prova a suonare... Sei ab­bastanza grande per risolvere da sola una sciocchezza simi­le...

Zenobia alza le spalle. Riattraversa il pianerottolo, bussa al­la porta del vicino. Il Rumore comincia a farsi sentire in lontananza. Zenobia esita, sta per lasciare la maniglia della porta del vicino. Lentamente, poi più in fretta, la porta del Padre si richiude sbattendo. C'è stato il tempo di intravede­re Zenobia    che si slanciava per rientrare, ma troppo tardi. Batte all'uscio che le si è chiuso davanti. Il Rumore cresce di intensità. Il Padre e la Madre sono pietrificati. La Madre è atterrita ma immobile. Il Padre ha lasciato cadere il libro. Il Rumore si allontana. La Madre va alla porta, cerca di aprire. Il braccio ricade. Lo Schmùrz sembra divertirsi un mondo. La Madre ritorna, si siede sul letto, liscia macchinalmente la coperta. I colpi di Zenobia sono cessati. Non c'è che il silenzio.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 

Padre                             - Calmati, mia cara Prima o poi i figli finiscono per abbandonare i genitori. È la vita. (Va a colpire lo Schmùrz).

 Una stanza più piccola delle precedenti. Una specie di soffit­ta. Una finestra praticabile, attraverso la quale passa un blu luminoso: deve sembrare molto alta. Una porta bloccata, un'imboccatura di scala dalla quale emergerà il Padre. C'è molta oscurità. Nessun confort. Un giaciglio. Una tavola. Uno specchio incrinato. Uno Schmùrz, non illuminato all'al­zarsi del sipario. Non c'è scala che sale di sopra. Del resto, non c'è un sopra. Il Rumore, a pieno volume, monotono e odioso; una leggera luminosità proviene dall'apertura della scala che sfocia sul pavimento della mansarda. Si sente un sordo tramestio in basso. Grida indistinte cacciate dalla ma­dre, poi la voce del Padre dal basso; egli sta salendo la scala come nel primo atto.

Padre                             - (si gira e grida) La borsa gialla... soprattutto non di­menticare la borsa gialla, Anna, c'è dentro il frullatore... (Compare, tira su con sforzo alcuni pacchi, li spinge fuori, ridiscende qualche scalino). Anna! Anna! Allora vieni o non vieni? svelta... passami la borsa gialla. (Si spazientisce) Ma no, non c'è alcun rischio. Passami la borsa gialla, ti dico, hai tutto il tempo... (Emerge, spinge fuori una borsa, ridiscen­de). Ora, la valigetta di fibra. (Mormorio indistinto della ma­dre). Ma si, per Dio, è accanto al tavolino del bagno, l'ho preparata io stesso... (Ridiscende, afferra la valigetta di fibra, riemerge). Credo che rimanga soltanto il sacco della bianche­ria...

Voce della Madre         - Non c'è tempo...

Padre                             - Ma si che c'è tempo, oh, quante storie per una scioc­chezza simile... (Ridiscende; si sente un grido atroce della madre). Anna! Anna! che succede? (Risale prudentemente). Ma si, sono qui, mia cara... fai uno sforzo... Come? ridiscen­dere a cercarti? Andiamo, Anna, non fare la bambina, ho le mani piene di pacchetti... (Un secondo grido come un ranto­lo). Anna, non divertirti a farmi paura, andiamo, non hai più l'età giusta... (Arretra prudentemente, comincia a tirar fuori gli utensili e le assi e a bloccare la botola. Si curva ad ascoltare, poi con un tono un po' inquieto, ma più imbaraz­zato che inquieto) Anna! (A se stesso) Insomma... non è possibile... non risponde più? (Sta in ascolto, il Rumore si interrompe d'improvviso, si sente soltanto un vago tra­mestio al piano inferiore). Anna... non è questo il modo di piantare la gente! (Una luce discende dalla finestra e cade su uno Schmùrz in piedi in un angolo della stanza. Il Padre, con il martello in mano, i chiodi tra le labbra, finisce febbrilmente di bloccare la botola, a tratti monologando) Dopo vent'anni di matrimonio... abbandonare un uomo in questo modo... le donne sono veramente incredibili. (Scuo­te la testa) Incredibili. (Inchioda l'ultima tavola e si rial­za). Bene... Cosi dovrebbe essere a posto... (Si rialza; os­serva la stanza; ha uno scatto di sorpresa quando vede lo Schmùrz). Vediamo... non è male qui... grazioso. (Percorre la stanza costeggiando i muri). I muri sono solidi. (Alza la te­sta). Il tetto non farà acqua. (Guarda i muri e prova la por­ta che non si apre). Niente porta,... vuol dire, come suppone­vo, che non ci sarà più motivo di servirsene. (Passando, dà un calcio allo Schmùrz). Cosa perfettamente logica, qualun­que persona lo riconoscerebbe. Inoltre io non sono una per­sona qualunque. Ben lungi dall'esserlo. (Si immobilizza). Ma chi sono io? (Declama) Ricapitoliamo. Dupont Leone: età quarantanove anni, denti ben conservati, vaccinazioni di vario tipo elegantemente distribuite in varie parti del corpo, altezza un metro e ottanta, cioè superiore alla media, non si può non riconoscerlo, sano di corpo e di mente. Intelligenza che ugualmente si può ritenere per molte ragioni superiore alla media. Campo di azione: una stanza, in fede mia, di dimensioni largamente sufficienti per un uomo... per un uo­mo solo... (Una pausa). Un uomo solo. (Ride lievemente). Eh si, per un uomo solo. Ecco qua. (Una pausa). Domanda: che cosa fa un uomo solo nella sua cella? (Si riprende) Cel­la... il termine mi sembra esagerato... C'è una finestra ampia­mente sufficiente per permettere il passaggio di un uomo di corporatura normale (va alla finestra) dandogli la possibili­tà (guarda in basso, si gira, torna indietro) di spiaccicarsi sul selciato, cadendo da un'altezza di ventinove metri e rotti... (Torna alla finestra). C'è inoltre un piccolo balcone, sul qua­le, chi temesse la mancanza di distrazioni, cosa che non mi riguarda affatto, potrebbe far crescere in vasi gerani, piselli odorosi, convolvoli, nasturzi, vilucchi, caprifogli, malvoni. (Si interrompe). Questo modo di enumerare, non so bene perché, mi ricorda qualcuno. Ma chi? questo è il problema. Del resto, quando dico «far crescere», si tratta di un modo di dire; detto tra noi, questi vegetali se la sbrigheranno otti­mamente da sé. (Ritorna al centro). Ma mi ero posta una domanda. Che cosa fa un uomo solo nel suo... ritiro. Ritiro. Il termine non è del tutto esatto. Cioè è giusto, evidentemen­te, se lo si considera in una delle sue eccezioni, la più corren­te d'altra parte: l'eremita nel suo ritiro, il frate si ritira dal mondo... Ma in «ritiro» è compreso anche un senso di «ritirata»... fuga davanti al nemico. Dunque questa mia ascensio­ne è forse una fuga? Un uomo (colpisce lo Schmùrz) degno di questo nome non fugge mai. Si dice: c'è una fuga di gas! (Fa una pausa, ma non riesce a ridere). No... non mi fa ride­re. Strano. D'altra parte è giusto anche rimarcare, incidental­mente, che si batte in ritirata... e che cosa, chi si batte? Il nemico. Quindi, per una strana circolarità delle cose, questa cella... questo ritiro... o ritirata? sarà la mia vittoria sul nemico. Quale nemico? (Una pausa). Ecco un punto che deve essere esattamente individuato. (Un silenzio abbastanza lun­go, durante il quale egli percorre in lungo e in largo la stan­za, arrestandosi infine davanti alla valigia di fibra. Riprende allora in tono narrativo). Non ho certo raggiunto l'età matu­ra senza aver manifestato, come ogni individuo libero, il mio attaccamento a questa entità invisibile ma ben palpabi­le, intangibile ma quanto ricca di trascinanti emozioni che si è convenuto di chiamare patria, per quanto essa con altri nomi sia chiamata nelle lingue straniere. Attraverso il quoti­diano uso delle mie qualità, mi sono persino acquistato, al servizio della mia patria, titoli di merito da tutti riconosciu­ti, che sono ora sobriamente ricordati da qualche lieve filo d'oro sulla manica del ruvido tessuto del mio giubbetto. (Si abbassa per aprire la valigia di fibra, ma poi si rialza chieden­dosi) Quale forza mai mi spinge in questo momento ad indos­sare la mia uniforme di conestabile di riserva? Sono dunque un animale per agire d'istinto? no! (Si allontana dalla vali­gia). All'origine di ogni mio atto sta una ragione ragionante, una ragionevole condizione, una intelligenza attiva e quasi cibernetica, con l'unica differenza che essa è governata da una legge posta al di sopra di me stesso: il più puro disinte­resse. (Si gratta il mento). Innegabilmente, il Rumore è la causa della mia ascensione. E perché dovrei indossare la mia uniforme sentendo un rumore? Ah! se una staffetta fosse entrata nella stanza, coperta di sangue e di fango, branden­do un messaggio listato di nero e carico di un amaro signi­ficato, gridando «All'erta!» oppure «Alle armi», accascian­dosi poi eroicamente al suolo, allora si che in un simile fran­gente io mi sentirei giustificato a... (Batte col piede sulla vali­gia). Ma che cosa è successo? Ho sentito un rumore. Sono salito. (Si avvicina allo Schmùrz). La situazione è identica a quella che era in basso, a parte qualche dettaglio materiale. Ed io sono del tutto indifferente ai dettagli materiali. Quin­di... (L'evidenza lo convince) Quindi, poiché (colpisce lo Schmùrz) poiché la situazione è identica, è all'origine che biso­gna colpire... il Rumore che è la causa di tutto. (Sghignazza). Ho finto, un tempo, di non sentirlo, quando risuonava intor­no... Certo... le apparenze... di fronte alla famiglia. (Si arre­sta) ... La mia famiglia? dunque avevo una famiglia. (Riflet­te). A momenti sembrerebbe che mi sono appropriato dei ricordi di qualcun altro. (Ride). Di qualcun altro, mentre sono assolutamente solo... è impagabile! Tornando a questo rumore, nessuno mi toglierà dalla testa che è un segnale... (Si interrompe. Pensieroso) Ero sicuro che era unicamente l'assenza di una vera tranquillità che m'impediva di scoprire l'origine e il fondamento delle cose. (Con soddisfazione) Ec­cone la prova. Sento di essere sulla strada di una grandiosa scoperta. (Pausa). Un segnale. Un segnale di allarme, prima di tutto. Il mio segnale d'allarme. Questa è la funzione che il Rumore svolge nei miei confronti. Ma questo segnale, chi lo fa risuonare? (Pausa). Supponiamo risolto questo pro­blema. Taglio la corda. (Si corregge) No... Salgo di un piano. Bene. Perché? Perché sento il segnale. È evidente pertanto che questo segnale è diretto contro il fatto che io resti. Ma a chi può dar noia che io resti? (Va a picchiare lo Schmùrz). Me lo domando e me lo domanderò sempre. Ma il mondo è fatto cosi. Questo segnale è diretto contro di me. Dunque è aggressivo. È un segnale di attacco. (Si riavvicina alla vali­gia). Che qualcuno voglia attaccare un uomo come me, que­sto mi getta nello stupore. Ma una cosa è certa. Chi dice attacco, dice difesa. E chi dice difesa... (Si china e apre la valigia, ne estrae la propria uniforme e la dispiega). Fortuna­tamente, se di difesa si tratta, sono ben preparato. (Dispiega la sua uniforme). Conestabile di riserva... non è gran cosa, forse... ma ci penseranno due volte! (Comincia a cambiarsi, togliendosi i vestiti per sostituirli con l'uniforme). Dunque la mia situazione mi è chiarita. Mi attaccano. Io mi difendo. O almeno, mi preparo a difendermi. (Si guarda attorno). Certo, mancando questa stanza di uscite, tendo a credere, come ho già detto, che gli attacchi siano ormai senza ogget­to. Se volessero che me ne andassi giù, ho già notato, me ne darebbero i mezzi. (Una pausa. Sistema meglio la sua unifor­me). La mia sciabola... (Da un altro pacco tira fuori la sciabo­la che cinge). Metterò il kepi al momento giusto e se sarà il caso. (Una pausa). Mi ricordo che... (Pausa. Poi con tono freddo) No, non mi ricordo niente. Un uomo della mia età non vive nel passato. Mi accingo a costruire l'avvenire. (Si avvicina allo Schmùrz in silenzio, lentamente, poi all'improv­viso si getta su di lui; lo getta a terra e comincia a strangolar­lo, con calma. Nel far questo, parla con una voce del tutto normale) Credo proprio che ciò che starà meglio sulla fine­stra saranno i piselli odorosi. E poi mi piace il loro profumo. (Si raddrizza, lo Schmùrz giace a terra inerte, ma nel giro di qualche minuto, ricomincerà a borbottare e a raddrizzarsi). Piselli odorosi che mieterò a tempo debito, al momento giu­sto, quando sarà il caso, cioè grossomodo quando saranno in fiore. Perché io amo i fiori. (Sì osserva). Un guerriero che ama i fiori sembra una cosa strampalata, eppure amo i fiori. (Fa l'occhietto). Vorrebbe forse significare che non sono un vero guerriero? (Pausa. Si raddrizza e annuncia) Confessio­ne. In realtà... - e quale momento più adatto per inchiodare la realtà, come lo sparviero la sua vittima, di quello in cui l'uomo, ridotto in solitudine dalla forza delle cose, trovando­si davanti alla propria nuda anima, la fissa dritto in faccia, cosi come un coraggioso nudista non esita ad adocchiare le parti vergognose del suo Vicino al fine di sincerarsi se queste non siano per caso più grosse delle sue — il che non significa niente, probabilmente, ma l'abitudine di giudicare sulla ba­se delle apparenze esteriori è attaccata al cuore dell'uomo come il muschio alla pietra - in realtà, nonostante questa uniforme, io sono, e in questo non faccio altro che manifesta­re una caratteristica nazionale, io sono fondamentalmente an­timilitarista. (Una pausa). Ci si perde spesso in mille congetture sulle ragioni che fanno sbocciare in seno a un intero popolo il gusto e il desiderio dell'uniforme. (Ridacchia ghi­gnando) Ah... ah... ah... E il motivo è cosi semplice. La ra­gion d'essere del militare è la guerra. La ragion d'essere del­la guerra è il nemico. Un nemico vestito da militare è due volte nemico per un antimilitarista. Perché un antimilitari­sta non manca certo di sentimenti nazionali e cerca dunque di nuocere al nemico della propria nazione. Concludendo, se questo nemico è vestito da militare, quale mezzo più efficace che opporgli un altro militare? ne consegue che ogni antimili­tarista ha il dovere di entrare nell'esercito; cosi facendo egli compie tre prodezze: in primo luogo irrita il militare nemi­co; secondariamente, sul territorio nazionale, fa imbestialire i soldati di un'altra arma, dato che nell'esercito c'è questo di bello, che tra uniformi diverse ci si detesta cordialmente; ma inoltre egli diviene parte integrante di un esercito che egli odia profondamente e che per conseguenza necessaria, sarà un cattivo esercito. Infatti un esercito antimilitarista rac­chiude in se stesso un cancro inguaribile e non sarà mai in grado di opporsi ad un vero esercito composto di civili pa­trioti. (Si gratta il mento) Il mio nemico sarebbe dunque un civile? (Una pausa. Cambia il tono) Si ha torto a consacrare alla speculazione pura il tempo che si potrebbe dedicare all'e­same di realtà tangibili, udibili, in una parola accessibili ai nostri organi di percezione. Ci sono infatti dei momenti in cui mi domando se non sto forse giuocando con le parole. (Una pausa; guarda dalla finestra). E se le parole fossero fat­te proprio per questo? (Pausa. Poi annuncia) Ritorno alla realtà. (Cambiamento di tono) Questo ritorno alla realtà, che interrompe una confessione dai promettenti inizi, mi sembra però essenziale. In effetti si dà il caso che io abbia idee su tutto o quasi; basta constatare quello che ho scoper­to in rapporto ad una uniforme — ed una uniforme banale quale quella di conestabile di riserva - per persuadersene. Avrei potuto, e non tutti ne sarebbero capaci, esprimere le mie opinioni su altri grandi problemi dell'uomo... ma non è forse una pericolosa lusinga? E i grandi problemi non si pon­gono forse unicamente allorquando si vive in società? (Una pausa). Ora, io sono solo. L'ho già detto. (Si gira e vede lo Schmùrz che si è alzato ed ha cambiato posto, avvicinandosi alla finestra. Il Padre ha una specie di soprassalto, si ha l'im­pressione che egli per la prima volta comprenda di non trovarsi di fronte a un oggetto. Parla come se volesse difender­si) In ogni caso, ho sempre avuto l'impressione di essere so­lo... (Una pausa). Soltanto di fronte all'evidenza... ad una prova irrefutabile di cambiamento potrei indurmi a rivedere questa impressione cosi vicina alla certezza. Ho avuto torto o ragione a riassumere prima di elencare?... di preporre la sintesi all'analisi? (Si tocca gli occhi) Io vedo. (Si tocca gli orecchi) Io sento. (Si ferma e annuncia) Inventario. (A parti­re da questo momento, egli eviterà sempre più sistematicamente lo Schmùrz e lo Schmùrz al contrario lo seguirà con gli occhi con una attenzione sempre più sostenuta). Non c'è nes­suna ragione per la quale il mondo debba estendersi molto al di là dei muri che mi circondano; d'altra parte è certo che io ne costituisco il centro. (Si interroga) Dovrei fare l'elenco dei miei organi interni? Forse vorrebbe dire spingere l'anali­si troppo lontano. (Riflette). Ed io non conosco il mio inter­no che confusamente e per sentito dire... È possibile che il mio cuore faccia circolare il mio sangue, ma se poi si scopris­se che il movimento del mio sangue è la causa reale delle pulsazioni del mio cuore... (Si interrompe). No, limitiamoci all'aspetto esterno... (Va allo specchio incrinato). Con l'aiu­to di questo arnese, farò progressi più rapidi. (Si guarda nel­lo specchio e riprende in tono narrativo) Mi sono sempre domandato per quale motivo un uomo sia portato a desidera­re di dare un certo orientamento al suo aspetto fisico, e, in particolare, a farsi crescere la barba. (Si accarezza la barba). Dunque, preoccupato di rispondere a questa domanda, mi sono fatto crescere la barba. Ed ora sono in grado di afferma­re che di motivi non ce n'è alcuno. Mi sono fatto crescere la barba per vedere perché ci si fa crescere la barba. E non ho trovato altro che una barba. La barba è la ragione della bar­ba. (Cambiamento di tono). Ottimo inizio: decisamente, le mie capacità non sono state indebolite dall'altitudine. (Si pie­ga, come infastidito da qualcosa, portandosi una mano alla fronte). Mi sembra che un tempo eravamo in più persone qui... e faceva meno caldo. (Scioglie la cintura della sua uni­forme, che si toglierà a poco a poco). Questa mansarda mi rende triste. (Cambiamento di tono). Eravamo in parecchi, ma io avevo la maggioranza assoluta. Ora non siamo più in molti, ed io sento che la mia maggioranza si sgretola. Para­dosso senza dubbio, paradosso... (Cambiamento di tono. Fru­ga dentro la valigia) Avevo un tempo una pistola, oltre la mia sciabola. (Ha sciolto il cinturone con la sciabola)... e preferirei la pistola. (Trova la pistola, verifica il funziona­mento) È un'arma leggera, maneggevole, che mi permetterà di riconquistare i luoghi perduti... (La impugna, prende di mira diverse cose, e da ultimo lo Schmùrz che non si muove e continua a seguire con gli occhi ogni sua mossa. Infine abbassa la pistola). Stavo parlando della mia barba. Essa vi­ve, dato che cresce, e se la taglio, non grida. Neanche le piante. La mia barba è una pianta. (Va alla finestra). Nastur­zi al posto dei piselli odorosi?... potrei mangiarli in insala­ta... Armoniosa combinazione di ossa, di carne e di sistema pilifero, che riunisce nell'uomo il regno animale, quello mine­rale, e quello vegetale. (Riflette). Si può dire altrettanto di qualsiasi animale peloso... (Si riprende) Ma l'uomo è il solo animale che non sia un animale. (Con gesto improvviso pun­ta la rivoltella, spara sullo Schmùrz che non fa una piega. Una pausa. Riprende a parlare con una voce un po' treman­te) A quanto mi ricordo, questa rivoltella era caricata a sal­ve; altrimenti non mi verrebbe la fantasia di sparare sui mu­ri di questa stanza, con il rischio di ferire qualcuno. (Comin­cia ad aggirarsi intorno allo Schmùrz, come fosse un serpente capace di ipnotizzarlo). Le persone che si abbandonano ad atti cosi sconsiderati non meritano di fregiarsi del titolo di canne pensanti... eppur si muove...! (Spara contro la fine­stra, un vetro si spezza con fracasso). Caricata a salve... (Guarda la pistola, la butta). Per quanto mi riguarda questo individuo può andare a farsi fottere; bisogna aver tempo per fare un inventario, e io non ho tempo; l'avevo una vol­ta, sul mio caminetto, dentro una scatola. (Si inginocchia, poggia l'orecchio a terra, resta in ascolto). Si saranno dimen­ticati di ricaricarla. (Si è tolto l'uniforme, è rimasto in mutan­done. Non ho più tempo. Non l'ho mai avuto. (Una pausa). La vita è uno scandalo. (Si guarda le gambe, si gratta il men­to). Bisogna che mi vesta. (Va a frugare dentro le sue valige e ne tira fuori un abito classico, pantaloni a righe e giacca nera). Ecco un vestito che mi ricorda qualcosa. Una cerimo­nia. (Scuote la testa) No... non riuscirò a ottenere niente da­gli oggetti. (Lascia cadere la giacca e si rimette l'abito che indossava all'inizio). Cosi mi sento meglio, non c'è che dire. (Coglie un movimento dello Schmùrz e fa un sobbalzo. Una lunga pausa). Il sentimento della solitudine in un individuo adulto può svilupparsi altrimenti che a contatto dei suoi simili? no! Se è cosi, allora questo senso di solitudine che ho sempre provato, era probabilmente provocato da una o più persone ipotetiche dalle quali, forse, ero circondato. Azzar­do questa ipotesi per facilitare il laborioso ragionamento al quale (durante ciò che segue, va a prendere alcuni oggetti dalle valige e li accosta allo Schmùrz in guisa di omaggi, con l'atteggiamento di chi depone delle offerte) mi sto dedican­do. Se mi sentivo solo era perché non ero solo. Ne consegue che se continuo a sentirmi solo... (Si interrompe, va alla por­ta, cerca di girare la maniglia e comincia a martellarla di pugni in uno scoppio di rabbia disperata). Non è vero... Io sono solo... ed ho sempre fatto il mio dovere... più del mio dovere. (Una pausa). Corriamo all'impazzata verso l'avveni­re, e andiamo cosi in fretta che il presente ci sfugge, mentre la polvere sollevata dalla nostra corsa ci nasconde il passato. Da cui l'espressione ben conosciuta... il centinaio di espres­sioni ben conosciute che potrei enumerare... (Comincia ad avere il fiato corto. Pausa. Riprende con un tono molto diver­so, una voce piatta) Io non sono solo qui. (Una pausa molto lunga durante la quale cerca qualcosa senza trovarla, e senza mai abbandonare con gli occhi lo Schmùrz- Il Rumore comin­cia a farsi sentire lievemente, in lontananza dapprima, poi si avvicina sempre molto lentamente). Chiudere gli occhi da­vanti all'evidenza è un sistema che non ha mai prodotto nien­te di buono... Passi per un cieco... (Si interrompe) Non sen­to niente. (Più forte) Non sento niente. (Scova, nel pacco giallo, il frullatore e lo afferra. Comincia a girare la manovel­la con gesto stanco). Un tempo restava almeno la speranza di una generazione futura che avrebbe lavato i panni sporchi dei propri vecchi... in un frullatore. (Grida, mentre il Rumo­re cresce) Non sento niente! ! (Butta via il frullatore, si guar­da le mani) Queste mani sono bianche. (Guarda la finestra). L'idea dei nasturzi non era poi malvagia... ma penso che il caprifoglio mi darà soddisfazioni maggiori... d'un ordine più elevato... Non si mangia, il caprifoglio... controllerò i miei appetiti. (Urla) Lo giuro!... controllerò i miei appetiti...! (Al­za le spalle) Per conoscerli meglio e meglio saziarli. (Si getta in ginocchio ed urla) Non sento niente! non sento niente! (Il Rumore cessa improvvisamente; lo Schmùrz si accascia, chiaramente morto, lungo il muro cui era appoggiato. Si sen­tono dei colpi alla porta. Il Padre si alza). Conti? Non ho conti da rendere... sono sempre stato solo. (I colpi si fanno più insistenti. Si accosta alla finestra, la luce si affievolisce a poco a poco). Il caprifoglio non vale i convolvoli... il convol­volo è fresco, naturale. (I colpi si infittiscono... si precipita verso la finestra, scavalca il davanzale). Sono sempre stato solo... nella polvere del passato, non distinguo niente. (Vacil­la, il piede gli scivola, resta attaccato alla finestra)... ricopre le persone come una fodera... mobili... erano mobili... non erano che mobili. (I colpi cessano; il Rumore riprende im­provviso e estremamente vicino; egli brancola, cerca un ap­poggio per il piede). Io non sapevo... Scusatemi. (Scivola e cade urlando) Io non sapevo...

Il Rumore e l'oscurità invadono la scena e può darsi che la porta si apra ed entrino, profilandosi vaghi contro l'oscurità, degli Schmùrz.

FINE