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di Pier Benedetto Bertóli

Editrice Tusculum - Frascati

Personaggi:

CANDIDO

SAVIANA

VITO, padre di Saviana

AMALIA, madre di Saviana

GIAN  LUCA,  domestico

ANNETTA, cameriera

IL NUOVO DOMESTICO

In una villa sulle rive di un lago lombardo


ATTO PRIMO

La scena rappresenta la hall di una villa di villeg­giatura sul lago. Sul fondo, a destra, una breve scala porta a un ballatoio che attraversa orizzontalmente l'in­tera scena. Sul ballatoio figurano tre porte che danno in altrettante camere da letto. Sotto il ballatoio, sul fondo, una gran porta finestra a vetri, spalancata sul giardino che scende al lago.

A destra, attraverso un arco ricco di tendaggi, si passa nella sala da pranzo. Sempre a destra, ma più verso il fondo, la porta che mette in cucina. Attraverso la porta-finestra spalancata sul giardino, si scorge un vasto rettangolo di cielo e vien dentro la luce rasserenante di un calmo tramonto di settembre.

Arredamento ricco, comodo, moderno. Vito, padrone di casa, industriale, è tutto sprofondato in  un'ampia poltrona. Amalia,  sua  moglie,  donna  ancora piacente,  in  piedi,  presso  la  finestra,  spalle  al  pubblico, sta come spiando che qualcuno non arrivi dal giardino. In piedi, al centro della scena, Gian Luca, giovane dome­stico — giacca a righe e bottoni d'oro — dà lettura a voce alta del contenuto di un libricino che tiene fra le mani.

Gian Luca (leggendo) — «Quando, dal finestrino del treno che stava rallentando, vidi Saviana in attesa sulla banchina della stazione, mai avrei supposto che l'uomo che le stava accanto, con un dito sperduto alla ricerca di non so che nelle profondità del proprio naso, fosse suo padre».

Amalia (irritata) — Come un bambino!

Vito — Chi?

Amalia — Tu. Come un bambino. Con le mani nel naso.

Vito — Dice dito, non mani. E poi non era il caso di scriverlo.

Gian Luca — Si tratta di un giovane perfido, commenda­tore. Tutto egli ha osato nel presunto segreto di questo libricino.

Amalia — Continuate, Gian Luca.

Gian Luca (leggendo) — «28 Agosto, sera. Sono ricchi. Evidentemente ricchi. A tavola ostentano posate d'ar­gento e cristalli di baccarat. Volgari, smaccatamente cafoni, ma ricchi. Notata, fra i balenii di tanta agia­tezza, la semplicità di una bella serra».

Vito — Noi non abbiamo serre.

Gian Luca — Eppure è scritto così, commendatore.

Vito — Impossibile. Fate vedere. (Legge) «...serra, che pare ci stia».

Amalia (sempre dalla finestra) — E' «serva», allora.

Gian Luca — Effettivamente così la frase correrebbe me­glio: una bella serva che pare ci stia. Fa la v come la r.

Amalia — E' così. Continuate.

Gian Luca (riprende) — «...ci stia. Diamo tempo al tempo. Non mi meraviglierei se anche il vecchio ci provasse».

Vito (scattando) — Un serpente ci siamo tirati in casa! Vecchio a me!

Gian Luca — Questo è niente. Sentirà dopo, commendatore.

Vito — Non sentirò dopo. Sospendete.

Amalia — La verità va conosciuta fino in fondo. Seguitate.

Gian Luca — «29. Mentirei se dicessi che il vecchio cono­sce la grammatica italiana nei suoi particolari. In­siste caparbiamente, per esempio, nell'uso di "vadi" alla terza persona singolare del congiuntivo. Ma, nel complesso, si tratta di un uomo ingenuo e credulone. Si dice difensore dei valori morali dell'Occidente e av­versario  dello  statalismo.  Certo,  povero  caro!».

Vito — A un marxista abbiamo aperto le porte!

Gian Luca — «30 Agosto. Analizzando certe umane rea­zioni di papà — ora lo chiamo così — sto formulando mentalmente tutta una mia teoria sui cornuti».

(Gian Luca non può trattenere un sorriso. Ampio gesto di protesta di Vito).

Amalia (nobilmente risentita) — Vi prego, Gian Luca, evitate toni di voce che possano far sospettare in voi intenzioni in qualche modo ironiche, o che, addirittura, abbiano sapore di insinuazione. Cercate di essere il più cronistico e impersonale possibile.

Gian Luca (riprende) — «...secondo la quale teoria becchi si nasce:  è come una vocazione...».

Vito — Basta, insomma! Cambiate pagina, cambiate giorno!

Gian Luca — «31 Agosto. Saviana non mi è mai parsa così oca, insipida e brutta come stasera. Fortunatamen­te, a tutt'ora, non ho dovuto intraprendere con lei scene d'amore».

Vito (a lamento) — Povera bambina mia!

Gian Luca — «1 Settembre. Mano accordata. Sposerò Sa­viana. E' deciso. Alea jacta est».

Vito — Come?

Gian Luca — «Jacta est».

Amalia — Sarà una formula del matrimonio.

Vito — Lo vedrà il matrimonio!

Gian Luca — «Non l'amo affatto, naturalmente! Ma l'oc­casione è ottima e non va perduta».

Vito — Mascalzone.

Gian Luca — «L'amore verrà dopo, dicono».

Vito — Vedrà come verrà.

Gian Luca — «Non pretendo l'amore. Basta che mi arrivi una buona dote...», scusino. Fa la s come la t, «...dose di sopportazione».

Vito — Sentirà le mie dosi di sopportazione!

Amalia   (calma)  —  Starai  zitto,  Vito.

Vito — Zitto? Mi sentiranno fin giù al paese!

Amalia — Non parlerai. Che figura ci faremmo? Frugare in camera di un ospite.

Vito — Dove lo nascondeva il coso lì?

Gian Luca — Il diario? In fondo al cassetto del comodino, commendatore. Ci ho pensato io a scovarlo.

Vito — Bella pensata.

Gian Luca — Come domestico mi considero un po' la sen­tinella che vigila nel pericolo. Quando, due settimane fa, arrivò il signor Candido, io subito pensai: sulla casa del commendator Capponi grava un'oscura mi­naccia. Quel giovane era doppio, lo si intuiva. Eccone la prova. (Mostra il diario).

Vito — Meglio se tacevate, comunque. Certe cose, a non saperle, è come se non fossero. Ma ora che si sanno, provvederemo.

Amalia — Con moderazione, spero. Non vorrai gridargli chiaro in faccia che abbiamo trovato, che abbiamo letto, che sappiamo tutto?

Vito — Il serpente deve lasciare la mia casa, al più presto.

Amalia — Certo, ma bisognerà agire con cautela. Fargli capire la cosa per gradi, per accenni, con allusioni velate. Senza mai nominare il diario, naturalmente. Fargli capire che egli forse si illude di amare Saviana, ma, in fondo, non la ama affatto. Il che è poi la verità, mi sembra.

Vito — Mi sembra. E si mostrava premuroso con lei, l'ipocrita!

Gian Luca — Apparenze, commendatore. La verità, come una brutta donna nuda, si appiattava intanto fra le pagine di questo libricino.

Vito — Siete diabolico, Gian Luca.

Amalia — Potete andare. Ci avete già fatto male abbastanza.

Gian Luca — Il necessario male della verità, signora. Del resto, scovato l'infame diario, stimai mio dovere farne conoscere l'esistenza ai signori.

Amalia — Encomiabile benché crudele proposito.

Gian Luca — E la richiesta di leggerlo mi venne diretta­mente da loro, stante il fatto che io ne conoscevo ormai dettagliatamente il contenuto.

Amalia — D'accordo. Ora date qua, (accenna al diario) e andate.

Gian Luca — Sempre agli ordini dei miei signori. (Porge il diario ad Amalia, si inchina ed esce).

Amalia (dopo un momento durante il quale i due sono rimasti senza parole, Amalia apre a caso il diario e leg­ge) — «Di Saviana mi piacesse qualcosa: che so? le ciglia, il naso, le mani, una mano, un dito, il pollice almeno! Niente, neppure il pollice».

Vito — Cos’hanno, in nome di Dio, i pollici di mia figlia?

Amalia (continuando) — « Non un pelo di lei mi piace ».

Vito (amaro) — Bella soddisfazione per un padre.

Amalia — «D'altronde qui si sta divinamente. Altro che in banca! Il lago oggi era di un'indolenza struggente. Dopo sposato verrò a trascorrervi ogni anno un paio di mesi».

Vito — Aspirazione realizzabile, se il minchione avesse rispettato una certa forma.

Amalia (chiudendo il diario) — Meglio la verità, Vito.

Vito — Bella, la verità. Non ci rimane che rompere con lui,  ora.  E  Saviana  come  resta?  Sola,  come  prima, come sempre. Zitella.

Amalia — A lei penseremo dopo. Ora dobbiamo liberarci di lui. Usando tatto e modi cortesi. Candido dovrà capire da sé che qui non è più ben visto. E se ne andrà.

Vito — Che se non se ne andasse, lo caccerò con la violenza.

Amalia — Educazione, innanzi tutto. Frugare nei cassetti è lecito: farlo sapere sarebbe imperdonabile.

(Dal giardino irrompono di corsa Candido e Saviana, i fidanzati. Vengono da un pomeriggio trascorso inte­ramente in barca a vela, al sole. Sono molto allegri. La loro entrata, chiassosa e improvvisa, sorprende so­prattutto Amalia, che ha il diario fra le mani e sem­bra per un attimo confondersi. Poi, con gesto pronto, lo nasconde, lasciandolo calare furtivamente in un am­pio vaso vuoto che le è vicino, e presso il quale pro­curerà di tenersi durante la scena seguente).

Candido — Mamma, papà! Un lago!...

Amalia (stonata, tanto per dire qualcosa, attenta com'è all'operazione di nascondere il diario) — Che lago?

Candido (smontato) — Il nostro, il lago di Corno, mam­mina. Qui, in questa villa sita appunto sul lago di Corno, sarebbe sorprendente, scendendo alla riva, trovarsi di fronte, per esempio, il lago di Garda o il Maggiore. Non si devono chiedere troppe novità alla vita!

Vito (mordendo il freno) — Sempre spiritoso il nostro giovanotto!

Saviana — Sempre. Oggi poi!...

Candido — Un lago fantastico, dicevo. Per poco non ci anneghiamo.

Vito (ha un sussulto, si frena) — Ma che bravi!

Candido — Saviana, almeno. Perché io me la sarei cavata: so  nuotare.  Certo  lei,  poverina,  l'ha  scampata  bella.

Saviana — Pensa, papà: il beccaccino capovolto, piegato sul fianco, con tutte le vele a mollo nell'acqua.

Amalia — Capovolto?

Candido (inconsciamente entusiasta) — Invece di allentare la vela, l'avevo tesa al massimo: un refolo più forte e plac!  Ci siamo trovati a bagno!

Vito — Che bravo!

Saviana — Tutti e due sulla sponda della barca, a fior d'acqua, in equilibrio sulle punte dei piedi, lì lì per cascar  dentro.  Emozionante!

Candido — Lei che  strillava come un'oca.

Saviana — Sfido. Lontani dalla riva cinque o sei chilometri!

Vito — Bravo! Non ci mancava che questa. Ma quando le pensa, lei?!

Candido (arrabbiato con se stesso, dandosi un pugno nel palmo dell'altra mano, stizzito) — E non è tutto, devo confessarlo; per un attimo, il delitto!

Saviana — Sì, sì, state a sentire, è divertente.

Candido (quasi piagnucolando) — Divertente non molto. Ma va detto, per amore di sincerità.

Vito — Ah! Perché lei, fra le altre doti, avrebbe anche l'amore della sincerità, ragioniere!

Candido — Certo, papà.

Saviana (a Vito) — Non chiamarlo ragioniere, sai che non vuole.

Candido — Il brivido del delitto, dicevo, la tentazione che mi percorse tutto, come una corrente.

Amalia — La tentazione?

Candido — Sì. Di buttarla dentro.

Vito — Saviana?

Saviana (divertita) — Mi voleva buttar dentro: sta' a sentire.

Candido — L'assurdo. Saviana che tanto amo, Saviana che adoro...

Vito — Sorvoliamo.

Candido — Per la quale darei, a volte, la mia vita. Saviana lì, che mi piangeva addosso, così fastidiosa, così im­portuna nel suo terrore: sa che voglia mi prese per un istante? Di darle una piccola, minima spinta. Non sa nuotare, la misera: pensavo. Annasperebbe un po', confusamente, squittirebbe come un topo, produrreb­be bollicine, gorgoglii, gridi: poi infine, non ci sarebbe più.

Saviana — Non ci sarei più!

Vito (francamente) — Ma che bel mascalzone, mi perdoni!

Candido — Mascalzone è dir poco, papa. Fu l'attimo della bestia. Ma vorrei che si credesse lo stupore mio e la rabbia che ora ne provo. Ma possibile? Io che amo questo tesoro di bambina, (si avvicina a Saviana e le circonda con un braccio la vita), questa piccola, cara, dolce Saviana Capponi che mi renderà sereno sposo e felice padre? Io essere travolto, anche se per un istan­te, da un pensiero simile?

Saviana (affettuosa, accanto a Candido) — Poi tutto passò. Mi si fece ancor più vicino: si tolse piano piano i calzoni...

Amalia (inorridita) — Davanti a mia figlia!

Candido — Certo: non potevo, lì in mezzo al lago, pre­garla di allontanarsi un momento.

Saviana — E li sventolò come una bandiera, per chiamare aiuto.

Amalia — Ah! Per chiamare aiuto.

Saviana — Un motoscafo ci raggiunse e fummo salvi, salvi, salvi.

Vito — Salvi. (Sul viso un'espressione niente affatto divertita) Voi vi siete divertiti, insomma?

Saviana — Tanto!

Vito — E vi amate.

Candido (sincero e sorridente, sempre accanto a Saviana) — Pare proprio di sì.

Vito — Perché, se per caso non vi amate, senza complimenti...

Candido — Come come?

Vito — Se già adesso pensa di annegarmela, sa, ragio­niere... Obbligo non c'è. Noi siamo volgari, smaccata­mente cafoni, ma obbligo non c'è.

Candido (sorpreso) — Che discorsi sta facendo, papà?

Vito — Discorsi da fare: con tatto, per gradi, con allu­sioni velate, ma da fare. Chiaramente, se nostra figlia le sembra brutta — e può anche sembrarlo, io non lo nego — lo dica. Basta dirlo. Non vorrà che lo diciamo noi, no? Lo deve dire lei.

Candido — Io? E perché io?

Vito — Perché è lei che la trova brutta.

Candido — Io?

Vito — Lei.

Candido — Chi l'ha detto?

Vito — Lo si è saputo.

Candido — Brutta Saviana? Bella bella non è, d'accordo. Ma bisogna saperla vedere, come dire? interpretare. E' bello un Picasso?

Vito — Le proibisco certi paragoni.

Candido — Si fa per dire. A volte il fascino della bellezza consiste proprio nella cura che essa mette nel non manifestarsi: per cui si tiene come nascosta. Non la si vede affatto. Sfido! Si nasconde. Arriva addirittura a truccarsi da bruttezza, in certi casi.

Vito — Il caso nostro.

Candido — In un certo senso, sì.

Vito — Sarebbe piaciuto anche a me avere una figlia migliore, sa?

Candido — Non se ne penta, papà, coi tempi che corrono.

Vito — Cosa non soffre un padre! (Riprende la polemica) Ma lei dice che le piace. Cosa le piace di lei?

Candido — Cosa mi piace?

Vito — Sì. Il pollice so che no.

Candido — Il pollice?

Saviana — Che pollice, papà?

Vito — Il pollice tuo, figliola. (Glielo prende e lo esamina) Non può piacergli, siamo onesti. Non piace neppure a me, in confidenza. (A Candido) Il pollice di Saviana, via, non le piace. (Apertamente allusivo, fissandolo in faccia) So che non le piace. Cerchi di capirmi: il pollice, no.

Amalia — E lascia stare il pollice, Vito. Non sarà fatta di soli pollici, nostra figlia.

Vito — Insisto. Perché bisogna amarsi con tutte e dieci le dita, sa? O così o niente.

Candido — Escludiamo i pollici: ci resteranno sempre le altre otto dita.

Vito — Non escludiamo niente. Se un pelo, un pelo solo di mia figlia non le va, le consiglio di desistere. Consiglio di amico e di padre.

Candido — Ma io amo Saviana. Reduci da un pomeriggio d'amore, onesto, ma pur sempre pomeriggio d'amore, ci vediamo accogliere con strane questioni di pollici e di peli. Potrei rispettosamente offendermi.

Vito — Ah! E' lei che si offende?

Saviana — E potrei offendermi anch'io.

Amalia — Tu taci.

Vito — E io non potrei offendermi?

Candido — Non ci resta che constatare che potremmo of­fenderci tutti. (A Vito) Anche se, nel suo caso, non ne vedo la ragione.

Vito — Io sì.

Candido — E io no, scusi. Con una figlia che io ho la gioia di adorare. Perché l'adoro. Come dimostrarglielo, come dirglielo? Non dovrò metterlo per scritto?

Vito — No. Per scritto non metta più niente.

Candido — A voce, allora. Perché non dobbiamo volerle bene a questa poverina? Perché non si presenta nelle forme di Brigitte Bardot? Ma se siamo tutti brutti, commendatore!   Glielo  dica lei,  mamma.

Amalia — Che dovrei dire io?

Candido — Che è brutto anche lui, il papà: eppure lei lo ama. E anch'io sono brutto: e Saviana mi adora. Che c'entra? Tutti brutti, chi non lo sa? Quando, morti, questo corpo ce lo sentiremo estraneo, diverso, stac­cato, come il dente guasto levato, che sospiro allora! Ma intanto ce l'abbiamo addosso. E ci sono specchi a ricordarcelo. Facciamo schifo, si sa. Schifo e puzziamo.

Vito — Come si permette?

Candido — Sì, commendatore. Io, lei, noi, in questo mo­mento, con rispetto parlando, stiamo puzzando orren­damente. Colpa, o merito, del nostro limitatissimo olfatto, se non ce ne accorgiamo. Ma lo sentono bene le bestie: il camoscio che fiuta per l'aria l'insidia del cacciatore, il cane che sa l'odore del suo padrone. Ri­pugnanti siamo. Come più belli di un uomo, una pianta, un vaso, una bottiglia, il mare: bellezze assolute, de­finite, soddisfatte, al confronto. Ma perché negare alla nostra angoscia di imperfetti, la solidarietà? Perché negarmi il tenerissimo, riposante amore di Saviana? Nessuno mi toccherà Saviana. La mia resistenza a chi volesse togliermela, sarà rispettosa sì, ma ferma e de­cisa. Io intendo sposarla, perché l'amo.

Vito(freddo) — Però noi sappiamo tutto.

Candido — Tutto?

Saviana — Tutto che?

Amalia (intervenendo decisa) — Tutto niente. Un'idea ch'era venuta a tuo padre. Sì, che Didò non ti volesse più.

Saviana — Perché non sono bella? Oh! Povero Didò! Ma lui non guarda troppo per il sottile. Non bada neanche se le mie gambe sono diritte o storte. Mira ai senti­menti, lui. E' un freddo, dopo tutto.

Vito — Guardarsi dai freddi. Pericolosi: poco schietti, chiusi.

Candido — Lei, da giovane, era aperto, commendatore?

V'ito — Aperto e caldo.

Candido — Beato lei.

Vito — E sincero. Io quello che c'era qua (indica la fronte) l'avevo qua. (Indica la bocca)

Candido — Bei tempi!

Vito — Immutati. Ancora oggi io sono così.

Candido — Impossibile. Da quando sono nato nessuno dice più la verità. Prima non so, una volta può darsi: se lo dice lei... Ora non più.

Vito — No, no, anche oggi, sa, io? La dico sempre la verità. Tutta.

Candido — Tranne che al fisco.

Vito — Che fisco?

Candido — Il fisco. Le tasse.

Vito — Lasciamo stare le tasse. Il re delle catenelle non può, in coscienza, dire tutto al fisco. (Con un sospiro) Si va male con le catenelle, al giorno d'oggi, ragazzo mio.

Candido — E' vero: quelle dei water vanno indiscutibil­mente estinguendosi. Ma quelle dei bagni e dei bidet, resistono ancora.

Vito — Lo ammetto. Comunque mentire al fisco non è mentire.

Candido — E sua moglie? Sempre detta tutta la verità a sua moglie?

Vito — Amalia dillo tu!

Amalia — E a me? A me sono dieci minuti che vorrebbe dire una cosa, per esempio, e non ci riesce. Si sfor­za e non ce la fa. Ed è meglio così, creda. Non si può dirla sempre tutta la verità. Staremmo freschi!

Vito — Ma io a lei l'ho detta. E' lei che non la vuol capire.

Amalia — Certo, Vito. Gliel'hai detta e ora basta.

Vito — Velatamente, ma gliel'ho detta.

Candido — Si accontenti così. Può darsi che io l'abbia capita...

Vito — E allora che fa? Decida.

Candido — ...o che non l'abbia capita affatto. Però so la mia strada e la seguirò fino in fondo.

Vito — E' una strada che va lontano?

Candido — E' una strada che resta qui, accanto a Saviana.

Amalia (turbata, temendo la reazione del marito) — Do­po tutto, se anche a Saviana piace così, noi che dovremmo avere in contrario?

Saviana — Così buono il mio ragioniere...

Candido — Non chiamarmi ragioniere, tesoro.

Saviana — Così timidino timidino... Se non lo conquisto io, lui non se lo sognava. Devo sempre fare tutto io. Lui sorride e mi guarda. Se non fossi io a baciarlo... Ma si  sa:   la donna è  la vestale dell'amore.

Candido — Mi lascio dire tutto, fare tutto, per amor suo. Subisco, accetto, mi difendo. In fondo sono privo di fantasia, io. Ecco una colpa, forse.

Vito — No, no, di fantasia ne ha anche troppa, si tranquillizzi.

Candido — Come vuole, papa. (Una pausa) Facciamo la pace?

Vito (non gli risponde) — Gioventù d'oggi chi ti capisce? Io rinuncio. Andiamo a cena.

Saviana (insopportabile) — L'aperitivo, prima. L'aperiti­vo buono e lievemente alcoolico per Didò. E' lì che l'aspetta trepidante, ma non osa. (E così dicendo va a suonare un campanello).

Candido — Intuisce i miei desideri più intimi, la cara. Lei sì che mi legge nel cuore. Senza che gliene abbia mai parlato, sa persino come la penso sugli aperitivi.

Vito — Lo sapevo anch'io, veramente.

Candido — Davvero?

Vito — Dall'uso che ne fa, mi è sembrato di capire che non la disgustano.

(Annetta entra spingendo il carrello degli aperitivi, seguita da Gian Luca. Annetta è un po' ottusa, ma giovane e provocante).

Saviana — Faccio io. (Va ad armeggiare attorno al carrello)

Candido (avvicinandosi a Vito, sottovoce) — La pace, papà commendatore ?

Vito — Una tregua. A cena voglio stare tranquillo. Dopo cena vedremo.

Candido — Benissimo. Tregua. Posso una domanda?

Vito — Dica.

(Intanto Saviana ha portato un bicchiere a Candido e si allontana, mentre Annetta arriva pres­so i due, con un bicchiere per Vito).

Candido (sottovoce) Stia qui, Annetta.

Annetta — Io?

Candido — Sì, lei. (A Vito, indicando Annetta) Eccoci di fronte a una bella verità. Papà, sinceramente e fra noi: che cosa le piace di Annetta? (moto di ribellione di Vito) Il pollice, scommetto il pollice!

Vito — Ma come si permette?

(Annetta si allontana sbuffando. Candido ride divertito)

Saviana (a Candido) — Non fare arrabbiare papa!

Amalia — Ritirate le sedie dal giardino, Gian Luca.

Gian Luca — Bene, signora. La cena è servita.

Candido (mentre tutti si avviano verso destra) — Un salto in camera e sono a tavola anch'io.

(Tutti sono usciti a destra, verso la sala da pranzo. Gian Luca è andato in giardino. Candido sale la scala e, percorrendo il balla­toio, giunge alla terza porta, la apre, finge di entra­re in camera, ma richiude subito la porta e torna giù. Scende in punta di piedi, ma velocemente, le scale e, arrivato nella hall, va diritto al vaso dov'è nascosto il diario. Vi infila una mano, ne toglie il diario e ritorna verso le scale. A questo punto, dalla sala, entra Saviana)

Saviana — Presto, Didò.

Candido (imbarazzato) — Avevo dimenticato una cosa.

Saviana — Fa' presto, sai che papà si impazienta.

(Ma, appena Candido è rientrato in camera sua, Saviana va verso   la   porta   del   giardino:   si   ferma  sulla  soglia e accenna verso l'esterno con un dito: dopo un mo­mento, dal giardino, compare Gian Luca)

Gian Luca — Notizie gravi, signorina.

Saviana — Dite, Gian Luca.

Gian Luca — Candido tiene un diario.

Saviana — Un che?

Gian Luca — Un libricino, sul quale va annotando le sue più intime impressioni. E, da quanto vi si legge, bisogna dedurre, anche se a malincuore, che il giovane Candido la odia.

Saviana (in fondo poco sorpresa) — Credete?

Gian Luca — Così almeno egli scrive nel diario che tiene segreto.

Saviana (alludendo a Candido) — Vile!

Gian Luca — Indubbiamente perfido. Solo il mio amore perdura immutato.

Saviana — Lo so, Gian Luca. Baciatemi.

(Gian Luca, unen­do la deferenza del servitore fedele all'ardore dello amante, la bacia lungamente sulla bocca. In quel mo­mento la porta di sopra si apre e compare Candido, il diario aperto fra le mani. Scendendo egli vi soffia sopra, come per asciugare ciò che evidentemente vi ha appena scritto. Mentre egli scende, Gian Luca e Saviana continuando a baciarsi: essi si accorgono di lui quando egli è già arrivato nella hall e sta appressando­si al vaso)

Gian Luca (staccandosi da Saviana, con un minimo inchi­no, e come per giustificarsi di fronte al nuovo venuto) — La signorina è servita. E anche la cena.

(A quella voce  Candido  si arresta sorpreso.  Il  diario,  che vo­leva riporre nel vaso, ora non sa che nasconderlo cac­ciandosi goffamente le mani dietro la schiena)

Saviana — Potete andare, Gian Luca.

Candido (A Saviana) — Sei qui?

Saviana — Sì, amore, ti aspettavo.

(Gian Luca esce verso la cucina)

Candido — Io invece non mi aspettavo di vederti.

Saviana — Andiamo?

Candido  (sempre tenendosi vicino al vaso e con le mani dietro la schiena) — Andiamo. (Sta fermo)

Saviana — Se non ti muovi, tesoro.

Candido — Non mi muovo? E' che, vedi, volevo stare un po' con te.

Saviana — Adesso, ch'è ora di cena?

Candido — Fuori è un così sereno tramonto! Hai visto fuori?

Saviana — Ho visto tutto, poco fa.

Candido — Hai visto anche la grande betulla presso il poz­zo intenerirsi al suo bravo vento che la scompigliava inargentandola? Vai a vedere la betulla, tesoro.

Saviana — E' ora di antipasti, Didò, non di betulle.

Candido — Ti  sei fatta prosaica,  Saviana.  Una volta, al solo nome di betulla, vibravi di commozione. E sapevi dire sulle betulle cose assolutamente inedite. Quanto può mai il tempo sui sentimenti! Mah!  (Non si muove)

Amalia (Arrivando) — Insomma, venite?

Saviana — E' Candido, mamma:  si è fatto improvvisamente romantico.

Candido (irrigidito presso il vaso) — Sempre, all'ora del crepuscolo.

Saviana — Romantico e come inchiodato presso quel vaso.

Candido  e  Amalia   (contemporaneamente,   in  due  diverse maniere) — Il vaso?

Candido  (ingenuo) — Il vaso? Io presso il vaso? Perché dovrei stare presso il vaso?  (Si allontana di qualche passo polemicamente) Eccomi qua: lontano.

Saviana — E con le mani incollate dietro la schiena.

Candido — Le mani? Che mani?

Saviana — Le tue mani, tesoro.

Candido — Certo, le mie mani. (Ormai si sente preso in trappola. Non può far altro che dare il massimo di evidenza al gesto che farà). Eccole, le mie mani.

(Le mostra. In una ha il diario, che ora prende con due dita. Quindi, col braccio teso, si accosta al vaso)

Che vanno a riporre, dove l'avevano trovato, il trovato. (E disinvoltamente si avvicina a Saviana)

Andiamo Saviana. Forse la mamma ora vorrà stare un poco sola.

(Prende Saviana a braccetto e, senza che ella possa dire una parola, esce con lei verso la sala. Amalia resta; dopo un attimo di esitazione si dirige verso il vaso e ne leva il diario. E' indecisa. Non ha capito appieno il significato delle ultime parole di Candido e spera quasi di trovarne sul libretto la spiegazione, tan­to che lo foglia. Va alle ultime pagine. Legge. Il suo volto si  riempie  di  sorpresa.  Rilegge,  muovendo  appena le labbra, in maniera inudibile. Mentre, sempre più sorpresa, continua a leggere, sulla porta della sa­la compare Candido che si ferma, immobile, ad os­servarla)

Candido — Sì, signora, è così.

Amalia — Dunque, s'è permesso di scherzare?

Candido (venendo avanti) — Non uno scherzo. L'ultima verità, la più profonda, la più intima, che ancora non avevo osato rivelare, neppure a me stesso.

Amalia — Ma è una menzogna! Mi dica che non è vero.

Candido (insinuante) — Non le darò questo dispiacere. E' la verità, ripeto.

Amalia — Ma perché scriverle queste cose?

Candido — Perché vengano lette. Lette da lei.

Amalia — Non è vero.

Candido — E perché sono solo, signora. Solo fino alla com­mozione verso me stesso. Così solo che me stesso è diventato un altro. Lo osservo, lo amo, ho cure per lui, lo copro se ha freddo, lo svesto se ha caldo, gli dò da mangiare le buone frittate che tanto gli piacciono. E tutti, nel pozzo di noi stessi, siamo così.

Amalia — Può darsi; ma non occorre tenere diari.

Candido — Tutti teniamo diari, da Adamo in poi. Inutile nasconderlo.

Amalia — Io no.

Candido — Non lo scriverà, forse. Non tutti lo scrivono. Molti si accontentano di comporto mentalmente; alcuni scelgono l'altro sistema, abbastanza in uso: quello di parlarsi davanti allo specchio. Pessimo. Si finisce sem­pre con l'odiarsi. Ma tutti abbiamo un diario, tanto è il bisogno di verità che ci assale in privato. Solo a quatt'occhi con noi stessi sappiamo essere finalmente sinceri, disinteressati e senza pudori.

Amalia — Ma lei è pazzo,povero figliolo!

Candido (continuando) — Le cose che non potremo mai dire, i sentimenti che teniamo rifugiati negli angoli più riposti di noi: il figlio che giudica brutto un ge­sto del padre, osceno lo sguardo di uno zio! Sotto le città corrono i tubi del gas, le fognature, i cavi del telefono. E dentro di noi s'intreccia tutta una rete di vita sotterranea, signora. Ora lei ha forzato una por­ta, ha voluto sapere: è entrata nel mio segreto.

Amalia — Non io.

Candido — Facciamo non lei. Chi allora?

Amalia — Gian Luca.

Candido — Lo sospettavo. Quella brutta faccia da atleta. La conoscevo, come se già ci fossimo odiati da qual­che parte. Comunque, ora ci sono pagine, le ultime, del mio diario, che solo io e lei conosciamo, un segreto solo nostro, e sono le più importanti.

Amalia — Impossibile, Candido.

Candido (le si è fatto molto vicino) — Forse impossibile, ma vero. Tutto è stato per amor suo, signora. Ora lo sa. Lo ha letto. Adorata signora. Signora nel fiore degli anni, affiancata da un marito di cui, permetta, tacere è perlomeno gradevole.

Amalia — No, Candido, non è possibile... La cena ci aspetta.

Candido — La cena può aspettare. L'amore no.

Amalia — Non ora, ne parleremo poi, a mente calma.

Candido — La mia mente è calmissima, anche se il cuore tumultua. Pur concedendo non poco a posizioni roman-tiche, oso dirle che depongo ai suoi piedi l'intero ardore dei miei giovani anni.

Amalia — Quanti?

Candido — Cosa?

Amalia — Anni.

Candido — La stessa età di Casanova a trentuno.

Amalia — Quanti ne aveva a quell'età?

Candido — Trentuno, appunto.

Amalia — E lei?

Candido — Trentuno.

Amalia — La facevo più giovane.

Candido — Generosa.

Amalia — Ma è pur sempre un bambino per me!

Candido — Bisognoso di cure, dolcissima! Così vastamentesolo.

Amalia — In banca, nessuno?

Candido — Tanti. Ma uomini. Cassieri.

Amalia — E Saviana?

Candido — Non l'amo, chiaro ormai.

Amalia — E ama me?

Candido — Inverecondamente.

Amalia — Sfacciato...

Candido — C'est l'amour...

Amalia — Ammaliatore.

Candido — Un bambino ammaliato, piuttosto. Pronto a salpare verso il sogno più bello.

Amalia — Su una barca ornata di fiori...

Candido — E' evidente.

Amalia — Seduttore...

Candido — Mia!...  (La bacia avidamente.)

(Il sipario comin­cia a calare assai lentamente. Mentre continuano a baciarsi, s'ode la voce — registrata — di Amalia)

Voce di Amalia — Non avevo capito di amarlo così... 12 Settembre: oggi è stato in camera mia. (Un sospiro) Che caro figliolo è Didò...

(La tela è ora tutta calata)


ATTO SECONDO

La  stessa  scena  dell'atto  precedente.   Una  settimana dopo. Mattino.

Annetta (sta riordinando la stanza: parla da sola, con vo­ce tranquilla, ma monotona, come se leggesse): — «Che lascivo quando mi stringe fra le sue braccia! Almeno, quando tenta, perché io mica mi lascio: allora lui si butta in ginocchio ai miei piedi, e prega, implora, scongiura: «un bacio, un bacio solo su quelle tue lab­bra di peccato»! Ridicolo però... E io niente. «Fuori»! —  gli grido crudele.  «Grida sottovoce — dice lui — se no ti sente la signora». «Deve sentire, la signora —  dico io — Fuori»!  10 Settembre. E' tornato, me lo aspettavo. «Di te farò una regina»! — ha detto. «Non si disturbi — gli ho risposto — serva sono e serva rimango.  Ma  onesta»!   e   «Fuori»  —  gli  ho  gridato. «Sssst»! — ha fatto lui che aveva paura. Fa compas­sione, in fondo. Che colpa ne ha se gli piaccio? Dice che mi ama e si porta la mano sul cuore, come fanno i   cantanti   delle   canzoni.   Seducente.   12   settembre, notte. Ho ceduto. Ho un cuore anch'io. «E un petto —  diceva lui, contento come un gatto. — «Mai, eh! Non lo dirai mai a nessuno. Una tomba. Giura». «Non giuro io, commendatore».

Vito          (non visto da lei, è comparso da qualche momento sulla seconda porta del ballatoio e ha udito l'ultima parte della battuta; ora scende le scale di corsa e si di­rige verso Annetta, tentando di tapparle la bocca con le mani) — Che stai dicendo, incosciente?

Annetta — Il mio diario, commendatore.

Vito — Che diario? Che sai tu di diari?

Annetta — Il libro dove si dice tutta la verità, come ci ha insegnato il signorino Candido.

Vito — E ci scrivi quelle cose?

Annetta — No, non sono troppo da scrivere, io. Io lo fac­cio a mente il diario e me lo dico a voce.

Vito — A voce alta, spiegata!

Annetta — Ognuno lo fa come può, commendatore. Lei come lo fa?

Vito — Non lo faccio per niente. E proibisco anche a te di avere un diario.

Annetta — Impossibile, ormai. (Riprende) «23 settembre. Il commendatore mi ha rega...

Vito — Basta!

Annetta — Stia a sentire il 23 settembre.

Vito — Annetta, ti prego...

Annetta — «Il commendatore mi ha regalato un bell'anel­lo con la pietra, magari falsa, ma come luccica!»

Vito (supplicante) — Sta zitta! Piuttosto scrivilo, Annetta. Te lo scrivo io, se vuoi. Tu detti e io scrivo. Vuoi? Ma taci! Non così ai quattro venti. Vanno tenute segrete certe cose.

Annetta  —   Illusione!   Verrebbero   lette.   Tanto  vale  gri­darle. Ha visto cos'è capitato al signor Candido?

Vito — Quello è un ipocrita.

Annetta — Che non se ne va.

Vito — Come?

Annetta — Un ipocrita che non se ne va da questa casa.

Vito — Oggi se ne andrà. E' deciso.

Annetta — Non se ne va e io so il perché. Stia a sentire. (Riprende a recitare il suo diario) «24 settembre. La signora tiene un diario».

Vito — Chi lo dice?

Annetta (seguitando) — «Gian Luca gliel'ha scoperto e se lo legge».

Vito — Anche lei. C'era da aspettarselo.

Annetta — «Ci scrive particolari assai piccanti. Lei, con tutta la sua serietà».

Vito — Che ti prende?

Annetta — Non sto parlando io: è sempre il diario. «E poi dice di me. Infatti l'avevo vista la signora tutta tene­ra tenera con il cosiddetto fidanzato della signorina. Ma non pensavo mai. Accidenti! Altro che tenera te­nera! E il povero commendatore non sa e, nottetempo, scivola fino alla mia stanza per mendicare un po' di consolazione sul mio petto comprensivo. Ne ha diritto, poveraccio»!

Vito — Taci!

Annetta (riprende) — «Un uomo come lui, tutto casa fa­miglia e donne. Non se lo meritava proprio, povero commendatore».

Vito (disperato) — Chiamami Pippo.

Annetta (sorpresa) — Pippo come?

Vito — Pippo. Almeno chiamami Pippo.

Annetta (Maliziosa) — Le piace sentirsi dire Pippo, commendatore?

Vito — Non mi piace affatto. Ma visto che hai deciso di gridare il mio nome... Nel diario, dov'è commendatore, leggi Pippo.

Annetta — «Povero Pippo. Lui che, anche adesso, nel pie­no dell'estate, corre in città alla sua ditta di catenelle per procacciare il pane ai suoi cari! E intanto la si­gnora qui, negli ozi del lago, beatamente lo tradisce sotto il tetto coniugale».

Vito — Sei pazza?

Annetta — «E con chi poi? Con un impiegato di banca. Bella merce»!

Vito — Piantala, Annetta!

Annetta — «Pippo fa bene a venire con me. Almeno un po' di pace la trova, povero vecchio».

Vito — Ti proibisco. Cancella vecchio.

Annetta — «E' una parola che non gli piace, lo so. Ma, in ritorni di fiamma improvvisi, Pippo si fa bello, gagliardo, meglio di un giovanotto».

Vito — Come dici bene!

Annetta — E' il diario.

Vito — Vi sono immagini riuscite.

Annetta — Quello di sua moglie che immagini, invece! Sapesse! Non le posso ripetere.

Vito (rabbuiandosi) — Sei sicura di ciò che dici?

Annetta — Sicurissima.

Vito — Dove lo tiene?

Annetta — Io non lo so. Gian Luca sa tutto. Certo che la signora é giovane.

Vito — Come sarebbe a dire?

Annetta — Gioventù con gioventù. Il signor Candido, da parte sua, scrupoli non ne ha:  fa il banchiere.

Vito — Non fa il banchiere un bel niente. E poi non c'en­tra. Ti chiedo semplicemente se è vero che la signora ha scritto quelle cose.

Annetta — Coi miei occhi non le ho lette, ripeto. Sta di fatto che il banchiere c'è e non si muove. E poi lo chieda a Gian Luca. Lui sa dove la signora custodisce il diario.

Vito — Questa mania del diario, poi, che vi ha presi tutti!

Annetta — A lei no?

Vito — A me no. Ho altro da fare io che scrivere diari.

Annetta — Fa piacere, sa, però? Anche così a voce soltanto. Le cose che si fanno, a scriverle, a raccontarle, diven­tano come se le facessero degli altri, una storia; e si stanno a guardare stupiti, divertiti, come al cinematografo.

Vito — Divertimenti da donnicciuole. Chiamami la signora. Dov'è la signora?

Annetta — Non è in camera sua?

Vito — No, ne vengo adesso.

Annetta — Infatti mi sembrava strano. Poco fa l'ho ve­duta uscire col signorino Candido, tutta allegra. Saranno in giardino.

Vito — Va' a dirle di venire qui, presto.

Annetta — (Si avvia). Anche al banchiere?

Vito — Che c'entra il banchiere! 

(Dal giardino compaiono Amalia e Candido)

Annetta (vedendoli cambia rotta e si avvia verso la cucina, riprendendo a recitare il diario) — «Ma mentre mi av­viavo per chiamarla, lei entrò col banchiere. Dal vol­to di Pippo intuii che c'era aria di burrasca. Tanto che preferii riparare dietro la porta della cucina a origliare, come si conviene tradizionalmente che i servitori origlino». (E' uscita)

Amalia (a Vito) — Che c'è? stavi discutendo con la donna? (Viene avanti e gli dà un bacetto sulla guancia)

Candido — Buongiorno, papà. Riposato bene?

Vito — Benissimo. Riposato e pronto ai saluti.

Amalia — Che saluti?

Vito — I saluti, gli addii al nostro giovanotto che vuole lasciarci.  Purtroppo il giorno è venuto,  ragioniere, e non osiamo trattenerla.

Candido — Osino.

Amalia — Osiamo, Vito. Io ho già osato.

Vito — Come hai osato?

Amadia — Ancora otto giorni. Dice che potresti andare tu alla banca, che sei conosciuto, e fargli ottenere altri otto giorni di permesso.

Vito — Io?

Candido — Lei è così introdotto nelle banche...

Vito — Ho l'abitudine di introdurmi solo negli affari che mi riguardano, io. Non invado il campo altrui. Mai, in nessun caso.

Amalia — Ma eccezionalmente lo farai, Vito. Per tua figlia e per me.

Vito — Tu che c'entri?

Amalia — Di riflesso.

Vito (a Candido) — Lei insomma desidera trattenersi qui per Saviana?

Candido — Come dubitarne?

Vito — La vedo così distratto, scusi. Così poco attento ai suoi doveri di fidanzato.

Candido — Doveri? Li chiama doveri, papa? Piaceri, gioie, letizie, felicità, estasi che questa sua deliziosa dimora sa dispensarmi ad ogni ora a piene mani, come una cornucopia.

Vito — Letizie, estasi lei le descrive bene, ma ne vive lon­tano. Dove si trovano le estasi? Accanto a Saviana, suppongo. E qui Saviana non la vedo. Eppure lei sta qui, piantato. Come se solo qui, in questo metro qua­drato, si trovassero gioie felicità e cornucopie.

Candido — Ma dovunque è felicità nella sua casa! Qui co­me altrove. Dai solai alle cantine. Dal camino che col suo filo diritto di fumo sembra mandare su nel cielo il suo respiro, giù giù fino alla darsena, imbarcadero e approdo di fantasiosi viaggi. Dall'antenna a T della tele­visione che aggiunge al tetto della sua villa una nota di scientifico aggiornamento, a...

Vito (concludendo) — ...a me che, cortesemente, ma con fermezza, la prego di raggiungere al più presto mia figlia, affinché io possa stare un momento con colei che, bene o male, vent'anni or sono, ai piedi di un altare, divenne mia moglie.

Candido — Preghiera esaudita, papà. So le ansie dell'amore. Corro da Saviana. (Via di corsa)

Vito — Finalmente!

Amalia — Insopportabile!

Vito — Chi?

Amalia — Lui, Candido. Insopportabile.

Vito — Tu dici così?

Amalia — Sì, io. Perché, tu no?

Vito (un po' sorpreso. Poi, per gusto di contraddirla e per metterla alla prova) — Io no. Io lo trovo simpatico, in­vece. Interessante, originale. E poi bello.

Amalia — Abbastanza.

Vito — Come abbastanza?

Amalia — Passabile. Per Saviana non si poteva pretendere di meglio. Comunque se non lo trattieni un'ora di più, per me sono contenta.

Vito — Poco fa mi sembrava che la pensassi diversamente.

Amalia — Sfido. Davanti a lui.

Vito — Proprio non ti va?

Amalia — Non mi va.

Vito — A me sì. Distinto. Ammetti almeno che è distinto.

Amalia — Non lo ammetto.

Vito — Insomma, non ammetti niente. Che poco fa eri in giardino con lui e ridevi, questo lo ammetti?

Amalia — Sfido. C'era lui.

Vito — Ah! Basta che ci sia lui. Quando c'è lui...

Amalia — Per forza. Devo fingere.

Vito — Però non lo trovi distinto.

Amalia — No.

Vito — Via!  Un signore. Proprio di quelli che piacciono alle donne.

Amalia — Sarà. A me no.

Vito — A te no?

Amalia — No.

Vito — Strano.  Di  solito,  alle  donne, alle  signore, quei tipi lì, vanno.

Amalia — Sarà.

Vito — No, no, vanno. Hanno un modo di fare, di parlare, di introdursi, che piace, ecco. Io, sinceramente, non so cosa ci trovino, le donne. Grazie: sono un uomo. Ma piacciono, ti giuro che piacciono. Sarà quell'aria un po' stanca, annoiata di tutto, sarà che non lavorano — perché non lavorano quei tipi lì — sarà che portano quelle camicie a fiori, l'hai visto?

Amalia — Portale anche tu.

Vito — Ci vuole uno stato d'animo apposta per quelle camicie. Insomma, ti incantano.

Amalia — Me no.

Vito (continuando) — Sarà che tengono diari. Anche con questi fatti apparentemente insignificanti, sanno cir­condarsi di un alone romantico. Fan sospettare di a-vere una loro vita intima intensa, ecco: e questo affascina, inutile negarlo.

Amalia — E tienilo anche tu un diario.

Vito — Io? Ho altro da fare io. Tu piuttosto. Tu il tempo ce l'avresti. E chissà che, sotto sotto, in segreto, tu non lo tenga, un diario.

Amalia — Credi?

Vito — Ipotizzo. Faccio un'ipotesi. D'altra parte non vedo cosa avresti da scriverci.

Amalia — Appunto.

Vito — Non ci sono segreti fra noi.

Amalia — Tutto chiaro come il sole.

Vito — Non ci dovrebbero essere, almeno. Vorrei sapere che   segreti   ci   potrebbero   essere.   Facciamo   l'ipotesi che ci siano. Quali sarebbero?

Amalia — Chi lo sa?

Vito — Facciamo l'ipotesi. Trovali.

Amalia — Trovali?

Vito — Inventali. Prova a dirli, come se ci fossero e tu li scrivessi.

Amalia — Prova tu.

Vito — Io non tengo diari e non ho segreti.

Amalia — Tutto come me.

Vito — Ma, per te, poniamo.

Amalia — Poniamo invece per te.

Vito — No, per te. Pongo io?

Amalia — Poni.

Vito — Invece di soffermarti a descrivere le mie virtù di lavoratore instancabile, di industriale ammirato e di appassionato  padre  di  famiglia,  ci  scriveresti  chissà cosa, lo so.

Amalia — Sbagli.

Vito — Non sbaglio. So. Ci annoteresti minuziosamente la ripugnanza che provi per me, che ti ho dato tutto, a piene mani, come una cornucopia. Il fastidio attuale per questo insignificante marito che pur di colma di gioie — alludo ai preziosi — e a cui tu non sai più, di­stratta da chi sa chi, non sai più ridonare gioie — alludo agli affetti.

Amalia — Sei ingiusto, Vito. Corri su strade sbagliate.

Vito — Le strade dell'amarezza.

Amalia — Sei amaro.

V'ito — Non c'è come battere le strade dell'amarezza. Tu, invece, hai imboccato la profumata via del piacere, lo so. Per un bisogno di giovinezza, forse. Magari im­piegato di banca, ma giovane. Lo so. Capita. In te parla la femmina. Falla tacere, Amalia, prima che sia tardi.

Amalia — In me parla la madre, la madre che vuol far felice  sua  figlia.  Saviana  dove  lo  troverebbe più un marito? E io glielo tengo caro.

Vito — Stretto.

Amalia — Che non ci scappi, almeno questo.

Vito — Non ci scappa più questo. E' legato qui, ben pian­tato per terra. E ciò che pensa di te, di noi, di me almeno, lo sappiamo.

Amalia — Scherzava, s'è tutto chiarito.

Vito — No, no, non scherzava. Io gli leggo nel pensiero. E' perfido. Pensa cose perfide. Almeno di me. E glielo faccio capire ad ogni momento che gradirei non aver­lo più tra i piedi:  ma lui, niente, finge di non capire. Sai perché? Si sente amato.

Amalia — Lo so. Saviana lo adora.

Vito — Non solo Saviana.

Amalia — Tutti. Tu,poco fa, non dicevi di trovarlo distinto?

Vito — Sì. Ma non lo amo. Ad amarlo, in famiglia, dovrebbe bastare Saviana.

Amalia (in tono di rimprovero) — Lo amerai almeno come padre, spero.

Vito — E tu come madre.

Amalia — Certo.

Vito — Ma scrivi diversamente. Sul tuo diario scrivi di­versamente. Siamo qua, a dieci centimetri di distanza, eppure, dietro quella tua fronte serena all'apparenza, si muovono pensieri che non dici, riflessioni che non confessi, constatazioni che non azzardi. Ti ritiri in ca­mera, sola: e là, allora, ti sfoghi. Hai imparato da lui; bella scuola! Ti sfoghi, parti, ti sturi come una botti­glia di spumante. E giù legnate. Addosso a chi? A me.

Amalia — Chi ti ha detto?

Vito — Vedi che è vero?

Amalia — Chi ti ha messo in mente queste storie?

Vito — Nessuno.  Sono nell'aria. Le respiro. La verità è nell'aria. So tutto. Ami Candido. L'ho letto io. Lo ami e hai bisogno di dirtelo, di fissarlo sulla carta. Fedifraga!

(La discussione fra i due si interrompe all'apparire di Candido che entra, funereo, e avanza lentamente, fino in mezzo alla scena. Dove, fermatosi, dice)

Candido — Addio. Me ne vado per sempre.

Vito — Dove?

Candido — Lontano.

Vito — Molto?

Candido — Abbastanza per dimenticare.

Amalia — Che ha, Didò?

Vito — Siate più disinvolti in mia presenza, prego.

Candido (sorpreso) Come?

Amalia (a Candido) — Sa quasi tutto.

Candido — Mi dispiace. Proprio ora che parto. Un bel dolore.

Vito — Non c'è di che.

Candido — Anch'io ho saputo del resto. Ecco qua. (Mostra il libretto) Becco anch'io.

Vito — Come come?

Candido — La malattia ha fatto un'altra vittima. Gian Lu­ca. Il suo diario lo seppelliva in giardino. (Ride, amaro)

Amalia — Ma che è accaduto, Didò? Si spieghi.

Candido — Da qualche giorno pedinavo l'insidiatore. Un uomo non può passare parte delle sue notti scavando senza un motivo serio e soprattutto senza dar nell'occhio. Lo curai.

Vito — Seppelliva il diario?

Candido — Sì, sotto la betulla. Ho scavato. (Mostra) Un diario, appunto.

Vito — Anche lui!

Candido — Anche lui.

Vito — Ma è un'epidemia!

Candido — Anche lei?

Vito — Io no, fin'ora.

Candido — Non volendo tediare non darò lettura del testo, peraltro infiorato di imperdonabili errori di lingua. Mi limiterò a riassumere in una frase l'intero contenu­to del libello, l'idea generale che se ne trae: Saviana mi tradisce con Gian Luca.

Amalia (chinando il capo, dopo una pausa) — Lo sapevo.

Candido — Sapeva e taceva, mamma?

Amalia — Lo stimai il partito migliore.

Vito — E come sapevi? Li hai venduti?

Amalia — Ho letto. Nel diario di Saviana. Sì, pure lei tie­ne un diario. E l'ingenua bambina si illude di nascon­derlo   occultandolo   addosso   a   me.   Paradossale,   ma vero. Eccolo qua. (Se lo leva dal seno)

Vito — E corrisponde?

Amalia — Cosa?

Vito — Risulta anche dal diario di nostra figlia che ella

tradisce Candido con Gian Luca?

Amalia — Risulta.

Candido — E, anche se non risultasse, me ne sarei accorto. Saviana, da qualche tempo, non è più la stessa. S'è raffreddata. Non la vedo più, non la trovo più.

Vito — Sfido, se la va a cercare in camera di mia moglie.

Candido — Là no, dovrei trovare lei, commendatore, che invece non c'è mai. Sorvoliamo. Ma durante il giorno, dico. Adesso, per esempio, dov'è? Dove si trova? Loro lo sanno, forse? Io no. Nella camera di Gian Luca non mi azzardo a fare irruzione. Non vorrei trovarmi invo­lontariamente spettatore  di scene sgradevoli.

Vito — Come osa avanzare insinuazioni così pesanti nei

riguardi di mia figlia?

Candido — Visto che si amano, penso che i mobili più co­modi e atti alla bisogna si trovino appunto nelle camere da letto.

Amalia — Innegabile.

Vito (alla moglie) — Che sai tu di queste cose?

Amalia — Sono tua moglie da vent'anni.

Vito — E' vero, me ne stavo dimenticando.

Candido — Dunque, ci si è preso gioco di me.

Vito — Capita. Anch'io avrei cose simili da dire in proposito.  Intanto, per amor di quiete, taccio.

Candido — Io invece andrò fino in fondo.

Amalia — Cioè?

Candido — Chiederò i danni. Esigerò una riparazione.

Vito — Da Saviana?

Candido — Non so da chi. Certo, in questa casa, ci si è approfittati della mia buona fede. Vi ero venuto fiducioso. Le prospettive erano rosee, gli orizzonti or­lati di tenerezza. Nei miei tedii bancari vagheggiavo gite sul lago, e merende nei prati, e sieste abbandona­to sul casto seno di Saviana. Dove sono laghi, merende, prati, seno?

Vito — Al lago e alle merende s'è provveduto. Quanto a Saviana, se lo lasci dire, toccava a lei.

Candido — Dove sono finite le mie tre settimane di ferie? Consumate nel nulla: mi trovo fra le mani un pugno di cenere.

Vito — Anche lei, però, se ci teneva a mia figlia, lasciarsela portar via così!...

Candido — Io concedo fiducia, metto alla prova. E ora constato. Mi si è tradito con un domestico. Chiedo riparazioni.

Amalia — Si calmi, Didò, vedrà, troveremo una soluzione.

Candido — Quale mai, mamma?

Vito — La chiami pure Amalia.

Candido — Grazie. Quale mai, Amalia? Quale soluzione? L'infame Gian Luca, fin dal primo giorno, tentò di mettermi in cattiva luce davanti a loro, sol perché se­gretamente ambiva a Saviana. E ci stava, la piccola spudorata. E io qui a perder tempo, ignaro. Chissà quante altre sistemazioni avrei potuto trovare altrove.

Vito — Lo so, la capisco. E' come nel commercio. Si bat­te una piazza a vuoto, mentre altre più redditizie ven­gono lasciate indietro. Bisognerebbe saperlo prima. Fammi profeta e ti farò re.

Candido — Non mi si doveva trattare così. Al punto in cui sono, a me non resta che una via d'uscita.

Amalia — Non prenderà decisioni irreparabili?

Vito — Partire?

Candido — Mai più. Restare.

Vito — A far che?

Candido — Ad attendere il pentimento di Saviana.

Vito — Crede che si pentirà?

Candido — Me lo auguro. Solo in tal caso potrà raggiungere il meritato premio, sposandomi.

Vito — Ah! Perché è sempre dell'idea di sposarla?

Candido — Altroché. Adesso che ho conosciuto loro, che ho visto dove abitano, come sappiano vivere, adesso che mi sono affezionato al loro ménage, dovrei lasciare tutto? Mai più. Sarebbe una punizione troppo grave per me. Non l'accetto. Il male non l'ho fatto io. Perché punirmi? Sposerò Saviana. Questo sarà il prezzo della  loro  riparazione.

Amalia — Un prezzo mite, che ci riempie di consolazione.

Candido — Lo spero bene. Chi dovrà andarsene sarà il ser­vo, naturalmente. Esigerei anzi che il cupo plebeo lasciasse quanto prima la casa.

Amalia — Provvederemo subito. Tempo gli otto giorni previsti dalla legge.

Vito — Comunque bisognerebbe sentire anche Saviana. In fondo è lei che deve decidere.

Amalia — Probabilmente Saviana si sarà affezionata al suo ardente amatore. Cosa non sono questi domestici friulani!... D'altra parte non vorrai concedere la mano di nostra figlia a un domestico?

Vito — Mai! Né potremo forzare eccessivamente la sua volontà. E la sua volontà la conosciamo. Io direttamen­te no. Ma il ragioniere che possiede il diario di Gian Luca e tu che hai quello di Saviana, saprete certo come stanno le cose.

Amalia — Purtroppo. Si amano.

Vito — Non sarà facile allora sradicarle dal cuore il popolano.

Amalia — Glielo sradicheremo. Per il suo bene.

Candido — E per il mio. Altrimenti ne rimarrei profondamente offeso.

Amalia — Vedrà, Didò, le cose si aggiusteranno. (Va a suo­nare un campanello.)

(Quasi subito compare Annetta, che, evidentemente, si trovava dietro la porta)

Annetta — «I signori desiderano? dissi entrando dalla porta dietro cui stavo origliando»

Amalia (preoccupata) — Che dice quella?

Vito — Tiene un diario.

Amalia — Dove?

Vito — In sé. Non lo scrive, lo dice. Lo crea, continuamente.

Amalia — A voce alta?

Vito — A voce alta. In fondo è la più sincera di tutti.

Amalia (ad Annetta) — Cercate Gian Luca e mandatelo qui.

Annetta — Bene, signora. (Avviandosi) Tutto come previsto. Il numero dei becchi è salito a quattro (Esce)

Amalia — Sfacciata!

Vito — Ma sincera.

Candido — Se continua così, penso che quella ragazza ci darà delle sorprese.

Vito — In che senso?

Candido — Al suo posto, commendatore, le vieterei di tenere diari orali.

Gian Luca (entrando) — I miei signori desiderano?

Amalia — Darvi gli otto giorni.

Gian Luca — Sempre umilmente disposto alla loro volontà. Potrei, per curiosità mia, conoscere il motivo di tanta decisione?

Amalia (prendendo da Candido il diario di Gian Luca e mostrandolo) — Questo.

Gian Luca — Il mio diario?

Candido — Sì.

Gian Luca — Trovato nel giardino a due metri di profondità, sotto la betulla, immagino.

Amalia — Così.

Gian Luca — Chi ebbe la meschina costanza di scavare? Il ragioniere, suppongo.

Candido — Esatto, servo.

Vito — Dite, Gian, Luca, sinceramente: è tutta verità quella che vi è contenuta?

Gian Luca — Verità pura. Non un particolare, non un punto è parto della mia fantasia di innamorato.

Vito — Mia figlia, dunque?!...

Gian Luca — Mi ama. Leggano pure. Vi sono descritti momenti d'amore indicibili, sfumature  di garbo, finezze di erotico sentire in cui la loro Saviana è davvero competente. E solo con me, pare.

Amalia — Controllatevi. Non dimenticate di essere pur sempre alla presenza del fidanzato ufficiale della vostra amante.

Gian Luca — Spero che il ragioniere avrà a sua volta com­preso di trovarsi di fronte all'amante ufficiale della sua fidanzata.

Vito — Quale diabolico uomo siete! Quale, sotto le appa­renze del servo fedele, quale anima di demonio si cela in voi? Siete un... (S'inceppa)

Gian Luca — Un...? Concluda, commendatore, a piacer suo.

Vito — Un... come dire? (Non gli viene la parola) Non mi viene.

Gian Luca — Se posso aiutarla?...

Vito — E' un nome che assomiglia maledettamente a Machiavelli.

Gian Luca — Machiavellico, forse.

Vito — Mai più. Un...

Candido (azzarda) Guicciardini?

Vito — Che c'entra Guicciardini? Vi dico che fra tutti i no­mi possibili è senz'altro quello che più assomiglia a Machiavelli. Gli assomiglia straordinariamente.

Gian Luca — Non sarà Machiavelli, per caso?

Vito — Proprio. E' Machiavelli. Quale nome gli assomiglia di più infatti? (A Gian Luca) Dicevo: siete un Machiavelli!

Gian Luca — E perché? Perché amo? Perché amo riamato? Non credo sia il caso di scomodare i nomi dei geni politici: rivolgiamoci piuttosto a quelli dei grandi amatori.

Candido — Modesto.

Vito — Vergognatevi, comunque. In casa mia!

Gian Luca — E' proibito l'amore in casa sua? Non direi. Esso vi alloggia in ogni alcova, commendatore. Lo sappiamo tutti.

Vito — Sapevate anche che mia figlia era fidanzata al qui presente fidanzato?

Gian Luca — Lo sapevo. Ma in qual modo fidanzata, ci sarebbe da chiedersi.

Candido — Cosa intendete dire?

Gian Luca — Un fidanzato più attento alle argenterie di casa e mirante alle agiatezze di una ricca sistemazio­ne, che premuroso verso colei che presto sarebbe di­ventata sua moglie.

Amalia — Ammettiamo pure. Ma voi che c'entrate?

Gian Luca (indicando Candido) — Che c'entra lui, direi, sempre con rispetto parlando. Saviana ed io ci ama­vamo da tempo. Assai prima che comparisse il ragioniere.

Amalia — Siete al nostro servizio da sei anni. Dunque da sei anni durerebbe la vostra relazione?

Gian Luca (indicando il suo diario che ora si trova su un tavolino) — Permettono?

Vito — Prego.

Gian Luca (prende il diario, lo apre e sta per dar lettura; poi, gentilmente, fa ai suoi signori cenno di accomodar­si) — Prego. (Candido, Amalia, Vito seggono. E Gian Luca prende a leggere) «E' questo mio, un amore ri­servato, vergognoso, muto. Un duellare e intendersi per sguardi. Posso io, servitore, osare? A noi le briciole del­la mensa, gli echi lontani del pasto rumoroso e felice. A noi la cucina». Annetta nel migliore dei casi.

Candido — Dite poco!

Gian Luca — (riprende la lettura) — «Annetta mi sfugge, falena presa nel cerchio di luce di ben altra lampa. A me l'umile uffizio del servire: e la gioia, a quando a quando, di incontrar lo sguardo di Saviana». Modesto sguardo se vogliamo: un occhio strabico, lo avranno notato. Saviana ch'è brutta, oca e insipida, come affer­ma il ragioniere nei suoi scritti segreti. (Riprende la lettura) «L'odore di un altro mondo, odore di ricco e il gusto di vedere la superba fiorita sul denaro piegata a me, farsi umile dinanzi a me, mi attira; lo confesso». In livrea, servo:   ma nudo, uomo.

Amalia — Lo so:  tutti uguali, nudi.

Gian Luca — Eh no, signora, creda: c'è nudo e nudo.

Vito — Non divaghiamo. Proseguite il racconto.

Gian Luca — Il racconto si fa dolce fiaba d'amore quando arriva il ragioniere e io riesco a mettere in luce il ve­ro essere suo. Allora Saviana si volge interamente a me. A me, àncora, unico approdo. Il resto sono ore d'amore, su cui stendo il velo di un comprensibile, riserbo. Ora mi si licenzia. D'una cosa solo fo preghiera: che con me venga licenziata anche Saviana.

Vito — Come? Licenziare nostra figlia? E da che?

Gian Luca — Dal ruolo di sua figlia, appunto.

Amalia — Che vorreste farne?

Gian Luca — Una donna felice.

Amalia (sprezzante) — Col vostro salario?

Gian Luca — No. Con la sua dote.

Candido — Per questo ci sono già io.

Gian  Luca — Non amato,  ragioniere.  Perdoni l'appunto.

Candido — Ma arrivato prima.

Vito (a Gian Luca) — Insomma, se ho ben capito, state chiedendo la mano di mia figlia. Evidentemente ci troviamo di fronte a un caso di follia. La risposta che vi do  si  riassume  in una  sola parola: vergognatevi.

Gian Luca — Dunque, dovrò lasciare questa casa?

Amalia — Mi sembra!

Vito — Sarà il vostro castigo.

Gian Luca (commosso, riapre il suo diario, estrae una ma­tita e viene avanti, verso il proscenio, scrivendo. Candi­do, Amalia e Vito lo seguono, osservando quanto egli va  annotando   e  dicendo)   —   «Questa   dolce   dimora dove, lo confesso, nei miei momenti migliori di ottimi­smo, sognavo di smettere un giorno la livrea del do­mestico per adattarmi al buono appellativo di figlio».

Candido — Via! Non vi sembra di pretendere troppo?

Gian Luca — E lei allora?

Candido — Io sono il fidanzato ufficiale.

Gian Luca — L'ufficialità vale dunque ancora tanto?

Candido — In certi casi mi sembra decisiva. Vero, papa?

Vito — Questo lo vedremo. E' Saviana che deve decidere. Dov'è quella benedetta ragazza?

Gian Luca — Fino a cinque minuti fa in camera mia.

Vito — In camera vostra?

Gian Luca — La mia tana è il suo nido, commendatore.

Vito — Che ci fa?

Gian Luca — Me assente, immagino nulla, commendatore.

Vito — Andate. Ditele di venire qua subito. E voi apprestatevi alla partenza. Entro otto giorni, al massimo. Gian

Luca — Come faranno senza di me?

Amalia — Non preoccupatevi. Provvederemo ad assumere al più presto un altro domestico.

Gian Luca — Se vogliono, io ho conoscenze nell'ambiente.

Amalia — Ne riparleremo.

Gian Luca — Potrei interessarmi io stesso.

Vito — Come credete. Purché il nuovo domestico si com­porti seriamente e non ci venga ad insidiare la pace.

Gian Luca — Ne conosco uno ad hoc. E' della mia ter­ra, il generoso Friuli. Provvedere senz'altro. Non la­scerò un minuto solo i miei signori senza domestico.

Vito — Come credete.

Gian Luca — E Saviana? Spero non intenderanno davvero legarla indissolubilmente a un ragioniere che ella non ama.

Amalia — Sono affari nostri.

Gian Luca — Mi oppongo. Anche miei. Non è più il dome­stico che parla: ora è l'uomo. (Mostra, spalancandosi la livrea, il petto nudo)

Candido — Nudo e cupo plebeo!

Gian Luca — Lei mi pagherà quest'offesa.

Candido — Non scendo in campo con i nudi plebei!

Gian Luca — Peccato. Altrimenti vedeva!

Vito — Invito alla calma. Sarà Saviana a decidere.

Gian Luca — Allora sono tranquillo.

Candido — Mai quanto me.

Gian Luca — Illuso.

Candido — La vedremo.

(Irrompe Saviana dal fondo, ridendo a crepapelle. Ha un libricino fra le mani)

Saviana — Novità grosse! State a sentire! E' troppo bello! State a sentire tutti!

Amalia — Che ti prende?

Gian Luca — La mia signorina, finalmente!

Candido — Ti ho cercata, Saviana.

Saviana — State a sentire. (Legge) «Ho ritrovato l'amore. Amore sano, totale, fisico, segreto e adultero».

Vito (turbato) — Che stai leggendo?

Saviana — «L'amore che porta un nome solo, vezzoso e gentile: Annetta».

Vito — Che ti prende? Da' qua!

Amalia — Lasciala dire.

Saviana — «Annetta che sogno, che adoro, per la sua fresca, giovanile offerta».

Amalia — Insomma, cos'è?

Saviana — Il diario di papà!

Vito — Non è vero!

Saviana — Nascosto in una scarpa. (Legge) «L'amore ri­tornato come un gioco, il diletto della conquista».

Vito — Ti proibisco! Vergognati!

(Saviana scappa in giro per la stanza, sempre leggendo, rincorsa da Vito che goffamente tenta invano di afferrarla)

Saviana (legge) — «O Annetta, soavemente impudica, che sai ridestare le mie assopite intenzioni...»,

Vito — Saviana, basta!

Saviana — «Deliziosa, ieri notte. Ho bussato lievemente al­la sua porta. "Avanti" mi invitò la dolce. Entrai. Sta­va adagiata, molle, sul suo letto di rose. Le dissi...».

(Saviana è corsa su per le scale e lungo il ballatoio. Vito è ora riuscito a raggiungerla, a fermarla, e, final­mente, a strapparle di mano il diario. Ma non appena Saviana è ridotta al silenzio, dalla cucina entra Annetta che attraversa la stanza, prendendo a parlare imme­diatamente dopo Saviana, sì che la sua battuta abbia sapore di continuità col racconto di lei. Vito rimane sorpreso, interdetto, avvilito)

Annetta — «Sei come un fiore di rugiada non colto», mi fa il signor Pippo. E mi si abbandona addosso, irruente e voglioso, non proprio come si fa con le rose...

(Cala velocemente la tela)


ATTO TERZO

(La stessa scena degli atti precedenti. Sono passati otto giorni dal secondo atto. E notte. Magari una notte di luna: così la hall risulterà illuminata dal sempre suggesti­vo chiarore lunare che invaderà la stanza attraverso la vetrata della porta del giardino. Nessuna altra luce acce­sa. E nessuno è in scena. La villa sembra riposare, silen­ziosamente ovattata nel calmo plenilunio di settembre. Passa qualche momento così. Poi, dalla sala, si odono arri­vare dei passi ed entra Gian Luca. E' vestito in borghese, non male, un impermeabile grigio buttato con disinvoltura sulle spalle: regge due piccole valigie. Giunto in mezzo al­la stanza si ferma, si guarda attorno: un quadro, un mo­bile, un sedia, poi, improvvisamente, deposte le valigie, scoppia in lacrime. Il suo singhiozzare è sommesso, mono­tono, contegnoso. A questo punto, di sopra, sul ballatoio, si apre una porta, quella di Candido. E compare appunto Candido, in pigiama. In punta di piedi egli sì avvicina al­la porta della camera accanto, quella di Amalia e Vito. Vi accosta l'orecchio, poi l'occhio al buco della serratura.. Compie tutte queste operazioni convinto di essere solo, non visto da Gian Luca, che invece, dal basso, lo sta osser­vando attento, pur continuando a singhiozzare meccanica­mente, come fanno i bambini a lacrime esaurite. A un trat­to Gian Luca, volontariamente, si schiarisce la gola. Can­dido, a quel verso, ha un sussulto di spavento e si affaccia alla ringhiera che dà sulla hall)

Candido — Chi è là? (Vedendo Gian Luca, immobile, che ora non piange più) Voi? Che fate lì a quest'ora? (Gian Luca non risponde. Allora Candido scende veloce e silenzioso le scale e si avvicina a Gian Luca) Si può sapere che fate?

Gian Luca — Partivo.

Candido — A quest'ora?

Gian Luca (chinando il capo, triste) — Sì, nel buio della notte.

Candido — E' una notte chiarissima, fra l'altro. C'è la luna.

Gian Luca — Non potevo aspettare la fine del plenilunio, per partire. Gli otto giorni sono scaduti.

Candido (lo osserva) — Ma... avete pianto?

Gian Luca — Niente. Un attimo di commozione.

Candido — Povero Gian Luca. Colpa mia.

Gian Luca — Certo.

Candido — Mi perdonerete?

Gian Luca — No.

Candido — Un giorno, forse?

Gian Luca — Mai.

Candido — E ve ne andavate così, nella notte, senza salutare nessuno?

Gian Luca — Uno sguardo alla casa, ai mobili, alle buone care cose...

Candido — Avete delle posate in tasca?

Gian Luca — No. Me ne vado senza ricordi. Tranne uno. Che conservo nel cuore.

Candido — La stavate aspettando, eh?

Gian Luca — Chi?

Candido — Saviana. Fra poco uscirà da quella porta, (indica in alto) e scenderà qui. Come tutte le notti. Lo so bene.

Gian Luca — E lei cosa spiava, poco fa? (Con malizia) No, la signora non è ancora sola. Il commendatore si tro­va tutt'ora in camera sua. Di solito è all'una meno un quarto che il commendatore, con il pretesto di una fame notturna, lascia la stanza della moglie per gua­dagnare la cucina e quindi la stanza di Annetta.

Candido   (consultando  l'orologio)   —  Mancherebbero dieci minuti, dunque.

Gian Luca — Esattamente. Lei è in anticipo, stanotte.

Candido — E l'ora vostra e di Saviana, qual'è?

Gian Luca — Nessuna. E tutte. Il nostro amore non ha orari.

Candido — Peccato. Desideravo sapere l'ora precisa. In­fatti, contrariamente a quanto supponete, non sono qui per la signora. Sono qui per Saviana. Aspettavo che lei venisse come al solito da voi, per potermi introdurre nella sua camera e leggere, nel suo diario, cosa esattamente pensi di me. In questi ultimi giorni, in­fatti, me la sono sentita ravvicinarsi. E mi sembra che tra voi e lei non corrano più buonissimi rapporti. Sbaglio?

Gian Luca — Non so. Le basti sapere che da questa casa me ne vado disgustato.

Candido — Ma innamorato.

Gian Luca — Un ricordo bellissimo. (Decadente) Il solito ricordo che, fra qualche tempo, non ricorderemo più di ricordare.

Candido — Leggo un'ombra di cinismo nel tono della vostra voce e, perché no? di risentimento. Devo dedurne che risentimento e cinismo sono dovuti al comporta­mento di Saviana durante i giorni scorsi?

Gian Luca — Ne deduca quello che crede. Ora però mi la­sci partire nella notte.

Candido — Dedicandomi altri cinque minuti, riuscirete ugualmente a partire nella notte. Mancano ancora sei ore all'alba.

Gian Luca — Mah! Con questi chiari di luna...

Candido — Rispondete, Gian Luca, siate buono. Vi ricom­penserò. Ditemi:  Saviana v'ama ancora?

Gian Luca (dopo una pausa, freddo, fissando Candido ne­gli occhi) — Fra qualche minuto Saviana mi raggiun­gerà nella darsena. Fuggiremo insieme. Il lago di Co­mò ci attende.

Candido — Come Renzo e Lucia.

Gian Luca — Certo. Si fosse trattato di un altro lago forse avremmo abbandonato il proposito. Ma, visto che  si trattava del Comò...

Candido — Potevate fuggire in treno o col comodo servi­zio di autobus per Milano.

Gian Luca — Mai! Con me, sui laghi, si fugge in barca o non si fugge.

Candido — Scomodo

Gian Luca — Mai quando restare. E restare come ci resta lei:  ragioniere e vinto.

Candido — Fuggite insieme. Tanto vi amate?

Gian Luca — Sì. Fra poco, Saviana, secondo il mio sugge­rimento, si calerà dalla finestra della sua camera nel sottostante giardino e quindi guadagnerà la darsena.

Candido — Passare dall'interno sarebbe stato più agevole.

Gian Luca — Ma meno sicuro. E, soprattutto, meno romantico.

Candido — E' innegabile.

(S'apre la porta di centro sul ballatoio: quella di Vito e Amalia. Compare Vito, in camicia da notte)

Gian Luca — Ecco il commendatore delle 0,45.

Candido (consultando l'orologio) — In anticipo di tre minuti, stanotte.

Vito (vedendoli) — Che fate voi lì, già alzati?

Candido — Ancora da coricare, papà. Gian Luca, come previsto, ci lascia. Lo stavo salutando.

Vito — Ah! Infatti avevo sentito parlare. Uscivo appunto a vedere chi era.

Gian Luca — Può raggiungere ugualmente la cucina, commendatore, anche se ci siamo noi.

Vito — Come sarebbe a dire?

Gian Luca (allusivo) — E' la sua ora, commendatore. E' atteso.

Vito — In cucina?

Gian Luca — Beh, nelle vicinanze. In un luogo assai più accogliente. Lo sa bene.

Vito — V'ingannate. Dopo quanto è accaduto ho definiti­vamente smesso di frequentare Annetta. L'unica mia aspirazione, ormai, è quella di conoscere a fondo il pensiero di mia moglie. E lo posso conoscere esclusi­vamente attraverso il diario che ella si ostina a tenere aggiornato.

Gian Luca — Sempre nascosto dietro la specchiera?

Vito — Sempre. Ma, naturalmente, posso leggerlo solo quand'ella si assenta dalla camera. Sennonché ella si assenta solo durante le mie assenze, per correre dal suo amante. Mi vedo quindi costretto ad assentarmi affinché ella si assenti. Quando mi sente uscire, Amalia finge di russare. Subito dopo si alza per recarsi in camera del ragioniere. (A Candido) Anzi, ragioniere, la pregherei di farsi trovare in camera sua e di intrat­tenervi mia moglie il più a lungo possibile.

Candido — Da ventiquattr'ore non sono più l'amante di sua moglie, papà.

Vito  —  Non  importa:   sia  compiacente  un'ultima  volta.

Candido — Sono irremovibile. Ho i miei principi anch'io.

Vito — Eccola!

(Infatti si vede Amalia in camicia da notte uscire dalla sua camera e dirigersi verso quella di Candido)

Candido (fermandola con la voce) — Inutile, Amalia. Sono qua.

Amalia — Che c'è? Qualcuno si sente male?

Vito — Nessuno. Gian Luca sta partendo. Volevamo salutarlo.

Amalia — Partite proprio adesso? (Scende nella hall e accende una luce) Ma perché adesso? Almeno aspettate l'alba. Mangiate un boccone.

Gian Luca — Impossibile. La barca mi attende. Tra poco, mi vedranno uscire da quella porta. Per sempre.

Amalia — Diretto dove?

Gian Luca — Alla darsena. Là già si trova Saviana, pronta alla fuga.

Vito — Saviana?!

Amalia — La mia bambina fuggire con un uomo!

Vito — Lo impedirò. Presto! Scendiamo ad impedirglielo!

Gian Luca (si fa prontamente sulla porta e sbarra il passo) — Sarebbe inutile. Sono armato. Da questa porta uscirò io solo.

Amalia — E' infame.

Candido — E pericoloso.

Gian Luca — Sì, siamo a questo. Io puntare l'arma con­tro i miei padroni?! Fino a ieri me ne sarei vergogna­to. Oggi lo devo, per salvare la mia felicità e quella della donna che amo.

Vito — Ce la pagherete. Appena sarete al largo, faremo fuoco sulla vostra barca.

Gian Luca — Carica di sua figlia, commendatore.

Candido (sull'aria di un vecchio popolare) — E se la barca affonda / non ci vedrem mai più.

Amalia — Via, Gian Luca, siate ragionevole. Vi riassumiamo al nostro servizio.

Gian Luca — Troppo tardi, ormai. L'arrivo del nuovo domestico è imminente.

Amalia — Licenzieremo lui.

Gian Luca — Perché nuocere a un collega? Egli,  dietro mio interessamento, s'è licenziato dai conti di Villano-va per venire al loro servizio. Sarebbe imperdonabile accoglierlo con un licenziamento.

Vito — Vi terremo tutti e due.

Gian Luca — No.

Vito — Lasciateci almeno Saviana, allora.

Gian Luca — No. Fuggirò con lei. Lontano. Nonla vedranno mai più.

Amalia — Almeno a Natale!...

Gian Luca — Chissà dove saremo a Natale.

Annetta (arrivando dalla cucina) — Insomma, questo commendatore arriva o non arriva? E' l'una e dieci.

Amalia (comprensiva) Vai pure, Vito.

Vito — Chi pensa più a lei! Penso a nostra figlia, adesso.

Annetta — Cos'è capitato alla signorina?

Vito — Ci ha lasciati per sempre.

Annetta — Defunta?

Vito — No. Fuggita.

Annetta — Col fidanzato?

Candido — No, il fidanzato resta.

Gian Luca (satanico) — Fugge con me. Anzi, penso che, a quest'ora, non vedendomi arrivare, Saviana si starà impazientendo. Signori: a tutti, con devozione non disgiunta da disprezzo, porgo il mio più sincero augurio di ogni male. (Zolfo, tuoni)

Vito e Candido — Grazie.

Amalia (andandogli incontro, implorante) — No, Gian Luca. Prendete soldi, prendete l'argenteria, prendete un tavolo, prendete me:  ma risparmiate mia figlia!

Gian Luca  (è sempre presso la porta del giardino. Ride cattivo) — Ah ah!... il dado è tratto. Addio! 

(Ma si apre la prima porta del ballatoio e compare Saviana. in pigiama, molto assonnata. Sorpresa generale)

Saviana — Che sta succedendo in questa casa? Non si riesce a dormire!

Amalia — Saviana! Bambina mia!

Vito — Tu qui?

Candido (a Gian Luca) — Mentitore!

Gian Luca (è il più sorpreso di tutti) — Come? Saviana!

Saviana (a Gian Luca) — Che vuoi da me?

Gian Luca — Ma come? Non sei in darsena, amore?

Saviana — In darsena io? A quest'ora?  Non sono mica pazza.

Gian Luca — La tua promessa?

Saviana — Bada alle promesse, lui! Piuttosto, dove stai andando, così vestito?

Gian Luca — In barca.

Saviana — Ma che bell'idea!

Gian Luca — Hai tutto scordato? L'evasione meditata in­sieme, architettata nei particolari. L'incontro in dar­sena, la fuga nella notte lunare, tu ed io, in barca?

Saviana — Ma è una fissazione! Non ci ho pensato un istante solo. Che verrei a fare in barca con te?

Gian Luca — A dividere con me l'esistenza. Il pane e il sale.

Saviana — Andiamo, Gian Luca, un po' di serietà.

Gian Luca — E' quello che dico anch'io. Pacta sunt servanda!

Vito — Non incominciamo con le lingue straniere.

Saviana — Non badargli, papà: qualunque lingua parli non dice che sciocchezze.

Gian Luca — E sei tu, Saviana, a parlare così?

Saviana — Sì, io. Che ti aspettavi? Che davvero ti seguissi, travestita da amante fuggitiva? Ma andiamo! Dovrei amarti, per far questo.

Candido — Un momento: fermi tutti. Desidererei che Saviana chiarisse meglio quest'ultimo concetto. Dicci Saviana:  ami Gian Luca?

Saviana — Mai amato.

Gian Luca (a Saviana) — Ma i tuoi abbandoni, dunque? E il confidarmi che, per te, solo accanto a me era perfetta letizia?

Saviana — Fandonie. Non mi piaci, vil servo.

Gian Luca — Ti concedevi però.

Saviana — Se stai a badare a queste cose.

Gian Luca — Ingannato dunque.

Saviana — Vedi tu.

Gian Luca — Ebbene, a questo punto, sappi una cosa:   e la  sappiano   tutti,  qua  dentro.  Guardiamoci  bene  in faccia. Io non ti ho amata mai!  (Sensazione generale) Sì. Fu tutta una menzogna. Il mio disegno era astuto. Volevo portarti lontano:   il padre, commosso, sarebbe corso in aiuto della figlia prigioniera e perduta. E io avrei goduto il prezzo del riscatto.

Candido — Lo dicevo che era cattivo.

Vito — Ma il vostro progetto è miseramente fallito.

Gian Luca — Sì. Comunque aggiungerò due parole, prima di lasciare la casa. Due parole per tutti:   vi odio. Da sei anni non vi posso sopportare. Tutti:  l'egregio com­mendatore con quella sua buona aria di becco soddisfatto...

Vito — Gian Luca, non dimenticate che siete ancora in casa mia.

Gian  Luca —  La verità  finalmente!   Non  scriviamola  in segreto!  Gridiamocela in faccia, una volta tanto!   (Ri­prende) La signora, con la sua stagionata femminilità che non disarma.

Vito — Questo è vero, purtroppo.

Amalia — Già. Perché tu no? (Gli animi si accendono)

Annetta — Lui con me. Visto che dobbiamo dire la verità

Amalia — Lo sappiamo benissimo, svergognati!

Vito (risentito, preso nel gioco della verità) — Svergogna­ti? (Indicando Annetta) Con lei, sì. Perché almeno lei, per dieci minuti, sa farmi beato! Lo so, Amalia, pre­tenderesti che ti dicessi parole d'amore, che, invaghi­to come un tempo, tutt'ora illanguidissi per te, anche alla vista dei fiumi contorti  delle tue varicose!  Non posso, in coscienza!   Qui  (indica Annetta)  le varicose non sono  neppure  previsioni   lontane, qui  è  l'assenza di rughe, i denti sono trentadue, tutti  autentici, non sorretti  da  ponti;   qui  è  salute,  profumo,  giovinezza.

Amalia — E anche lì, guarda! (Indica Candido) Giovinezza e vigore. Senza adipe. Sì, ti vivo accanto e ti sopporto, Vito, come si sopporta una buona macchina che pro­duce ricchezze. Come ci si affeziona a una terranova dall'occhio tenero e mite. Ma sappi:  con lo sforzo conti­nuo per superare la miseria delle tue intimità sorrette da ventriere e da fasce elastiche.

Annetta — Dio mio, come si diventa esigenti da vecchie! Ma non bisogna farci caso a tutte queste cose, signora. La pancia del commendatore? Va bene, ce l'ha; ma è poi così buono per un altro verso!

Vito — Sei tu che sei buona, Annetta, e mi sai compren­dere.

Annetta — Faccio i miei sforzi anch'io, non creda. Ma un po' di generosità, perbacco! Sempre badare solo a quello che piace, i vecchi. Anche a me, allora, piace­rebbe essere la fidanzata di Gian Luca.

Amalia — E poi non è solo questione di fisico. Un po' di linea, ci vuole! (A Vito) Tu sei la volgarità in persona.

Gian Luca — Vero. Basta vederlo lavorare con gli stuzzicadenti dopo i pasti.

Vito — Come lavoro?

Gian Luca — Malissimo.

Candido — In maniera disgustosa, se lo lasci dire, papà. E se lo tiene ficcato in bocca, anche dopo, lo stuzzica­denti, durante la siesta, come una bandiera: l'insegna del pasto consumato.

Vito — Lei taccia, ragioniere. Che se parlo io, altro che stuzzicadenti!

Candido — Dica pure. Niente che io non immagini.

Saviana — No, c'è una cosa che forse non immagini, Didò: e che ti dirò subito. Io non sarò mai tua moglie.

Candido — Può darsi benissimo: basta ch'io cambi idea.

Saviana — Spaccone! Non dipende mica da te.

Amalia — Saviana, controllati. Povera figlia mia, dove sono finiti i miei principi!

Saviana — Buoni quelli! Perché non li metti in pratica tu?

Amalia — Valgono fino a una certa età.

Saviana (riprende, a Candido) — Diciamola, una volta la verità: fuori i nostri diari segreti! Non mi piacete nessuno dei due. Né tu né Gian Luca.

Candido — Già, perché tu mi piaci! Io qui posso rappresen­tare mille parti: ma la vera è una sola: sono ragionie­re in banca a centomila lire al mese. Quando non sto allo sportello a servire i clienti, il mio lavoro con­siste nel mettere insieme, in pile da dieci, le monete da cinquanta e da cento lire. Ne risultano come dei piccoli cilindri, sodi, pesanti. Questa è la mia vita! Quotidianamente. Salvi i venti gior­ni di ferie e le altre feste comandate. Pretendevate che seguitassi a vivere così? Un po' di comprensione, per­bacco! Un giorno, per caso, mi imbatto in una signo­rina, brutta: Saviana, con sulla faccia tutte le pre­messe per radicarsi permanentemente nello stato di zitella. Vengo a sapere che è figlia di un industriale ricco che fabbrica catenelle. Catenelle? Perché no? Vada per le catenelle. Catenelle, chiodi, scarpe o pen­ne a sfera non importa: purché ci siano soldi, vivad­dio! Che si possa lavorare poco e dividere molto, che si possa stare un po' a pancia all'aria a guardare il cielo. A passare il tempo ascoltando i desideri e serven­doli. E allora mi sono aggrappato a Saviana che, con l'industria del padre alle spalle, rappresentava per me una salda promessa di futuri ozi felici. Adesso qui mi si vien fuori con strane pretese di amore o di non amore. Non siamo più bambini, via, guardiamo in faccia la realtà. Che c'entra l'amore?

Vito — L'amore, però, lei lo cercò e lo trovò accanto a mia moglie.

Candido — Le vie dell'amore sono infinite, commendatore. Anche se neppure io sia molto portato ad apprezzare le vene varicose che così vistosamente irrigano il sot­topelle della sua signora. Ma volli arrivare al cuore della figlia attraverso le arterie della madre.

Amalia (a Candido) — Mi parlavi diversamente nell'intimità.

Candido — Per non rompere l'incanto, amore. Insomma, se volevo restarmene in qualche modo qui, aggrappato all'azienda paterna, dovevo pur fare qualche sacrificio.

Vito — E crede di esserci riuscito?

Candido — Non so. Ora sta tentando le strade un po' bru­tali della sincerità. Vediamo di contrattare. Pesiamo il pro e il contro. Fisicamente non sono da buttar via. Vestito bene, faccio la mia figura. Se mi vogliono sono così. Ci pensino. Non so se un altro lo trovano, per Saviana. D'altra parte, se lei commendatore ha la bontà di promettermi un assegno mensile di una certa entità, io ringrazio, saluto e mi ritiro. Altrimenti non mollo.

Vito— Sbaglio, o siamo al ricatto?

Candido — Sbaglia. Siamo al momento delle decisioni irrevocabili. Sono qua. Prendere o lasciare.

Amalia — Saviana, cosa ne dici?

Saviana — Dico di no.

Vito — Io accetterei. (E sale le scale, andando a raggiun­gere Saviana sul ballatoio) Vieni qui dal tuo papà. Io accetterei. Candido non è uno stinco di gentiluomo, d'accordo, è un ozioso: ma si presenta bene e penso vada forte in macchina.

Candido — Se voglio faccio i centosessanta.

Vito (a Saviana) — Vedi? Degno figlio della nostra borghe­sia. Per noi è quello che ci vuole. Lo vestiamo bene, gli diamo un posto amministrativo nella ditta, lo promuoviamo dottore, e tu sei a posto, sposata. Vuoi?

Saviana — No.

Amalia — Ma, bambina mia, anch'io, quando sposai tuo padre, non lo amavo. Se badavo all'amore sarei scap­pata con un bagnino. Ma ora mi troverei su una spiag­gia alla moda ad approntare ombrelloni per i signori clienti.

Vito — Certo. Bisogna mirare al pratico.

Amalia — Gli amori verranno dopo, se mai. Candido te li permetterà. In fondo lui non sposa te: sposa l'industria di tuo padre.

Vito — Se vuoi, ti teniamo Gian Luca.

Candido — Questo non lo permetto io.

Gian Luca — Né io mi fermerei. Ho un cuore d'uomo, non di stallone.

Candido (si fa sotto al ballatoio anche lui, per convincere Saviana) — Saviana, amore mio. Ti darò tutto ciò che vuoi. Giradischi, vestiti, brillanti, yacht, amanti. Visiteremo insieme il mondo.

Saviana — Non mi ami, Didò....

Candido — Ma sì che ti amo! Che importanza dai a certe cose, Dio mio!

Amalia — L'amore non conta. Credi a me che ho esperienza della vita.

Saviana — Bella la vostra esperienza: aver pronta per ogni speranza una delusione da rinfacciarci.

Candido — Dimmi di sì, Saviana. Non farlo per te, se non vuoi. Fallo per me. Per la mia sistemazione. Vuoi che il tuo Didò finisca i suoi giorni in una banca a conta­re i soldi degli altri? Vuoi che trascorra la vita senza potersi mai sedere al volante di una macchina sua?

Amalia — Via, Saviana, fallo per lui!

Candido — Mi sono sacrificato, sai, Saviana? Molto. E' un mese che sta qui. Il posto è bello, si mangia anche bene. Ma ci siete voi tutti. Una noia!

Vito (a Saviana) Dunque, bambina mia, hai deciso?

Saviana — Quasi.

Vito (sollevato) Ohhh! Dio sia lodato!

Amalia — Gioia mia!

Candido — Lo sapevo che in quella testolina c'era del sale in zucca.

Saviana — Sì. Ho deciso.

(Una pausa. Poi Saviana, di corsa, scende nella hall e si dirige verso Gian Luca che è tornato presso la porta del giardino. Gli si avvicina e si stringe a lui come per farsi proteggere)

Ho deciso. Fuggirò con Gian Luca.

Vito (deluso) — Nooo!

Amalia — Non lo farai.

Candido — Te lo impediremo.

Gian Luca — Fermi tutti. Ricordo, per chi se ne fosse nel frattempo scordato, che in fondo alla tasca destra del mio impermeabile grigio-perla, si nasconde una pistola. (Tutti si fermano) Sì, non mi ero ingannato. Il cuo­re di Saviana era destinato a me. L'attendevo a pie’ fermo. Forse ella non m'ama. Ma in me vede la libera­zione. Ora è tutta mia. La vita ci attende. Addio!

(Così dicendo, Gian Luca fa per aprire la porta. Ma una furiosa scampanellata giunge dall'esterno. Tutti ri­mangono un momento muti, sorpresi)

Amalia — Annetta, andate a vedere.

Annetta — Ho paura.

Gian Luca — Penserò io. L'ultimo servizio ai miei signori.

(Ed esce per andare ad aprire il cancello del giardino.)

(Una lunga pausa. Ricompare, dopo un momento, pre­cedendo un anziano distinto signore)

Nuovo dom. — Buona notte a tutti. Sono il nuovo domestico.

Amalia — A quest'ora?

Nuovo dom. — Vedo che la casa è ancora desta. Forse mi stavano attendendo?

Vito — Veramente, no.

Nuovo dom. — Bella la villa. Sono salito lungo il giardino immerso nel biancore lunare. Pace e serenità devono regnare in questi luoghi. (Si guarda attorno) Questa è la hall, immagino.

Amalia — Precisamente.

Nuovo dom. (si avvicina a un quadro) — Un seicento olan­dese. (Lo osserva) Buono. I conti di Villanova ne posseg­gono uno simile.

(Tutti osservano il nuovo domestico un po' stupiti della sua disinvoltura)

Nuovo dom. Di quanti vani dispone la villa?

Vito — Dodici più i servizi.

Nuovo dom. — Quanti piani?

Vito — Due.

Nuovo dom. — I saloni?

Amalia — Tre.

Nuovo dom. — I tavoli?

Vito — Sei.

Nuovo dom. — Le sedie?

Vito — Ventitré.

Amalia (contemporaneamente) — Ventidue.

Nuovo dom. — Cerchino di mettersi d'accordo.

Candido — Per me sono ventisei.

Gian Luca — No. Due.

Candido (a Gian Luca) Sabotatore.

Annetta — Devo andare a controllare?

Nuovo dom. — Non occorre. Provvederemo domani. I letti?

Amalia — Otto.

Nuovo dom. I cuscini?

Amalia — Nove.

Nuovo dom. — Avanza un cuscino o manca un letto?

Amalia — Faccia lei.

Nuovo dom. — Posateria?

Amalia — Alpacca, argento e oro.

Nuovo dom. — Forchette alpacca:   quante?

Annetta — Settantaquattro.

Nuovo dom. — Coltelli e cucchiai?

Annetta — Anche.

Nuovo dom. — Forchette argento?

Annetta — Ventiquattro.

Nuovo dom. — Cucchiai?

Annetta — Ventiquattro.

Nuovo dom. — Coltelli?

Annetta — Ventiquattro.

Nuovo dom. — Oro. Forchette?

Annetta — Dodici.

Nuovo dom. — Cucchiai?

Annetta — Dodici.

Nuovo dom. — Coltelli?

Annetta — Dieci.

Nuovo dom. — Mancano due coltelli. Dove sono finiti? (Si­lenzio generale) Vorrei venissero fuori questi due col­telli, altrimenti non proseguo. Dove sono?

Annetta (con aria furba) — Forse lo so. (Va ad un armadio, armeggia un poco ed estrae due coltelli che consegna al nuovo domestico) Eccoli.

Nuovo dom. — Bene. Bicchieri?

Annetta — Ottantuno.

Nuovo dom. — Tovaglie?

Annetta — Tre.

Nuovo dom. — Poche.

Annetta — Belle grandi.

Nuovo dom. — Tovaglioli?

Annetta — Quarantaquattro.

Nuovo dom. (Un momento di pausa. Il nuovo domestico considera i due coltelli che ha tra le mani. Un lampo rabbioso negli occhi) — Un momento! Qui ci si pren­de gioco di me. Questi non sono i due coltelli dal die­ci al dodici: sono semplicemente due dei dieci coltelli.

Annetta — No, sono i due.

Nuovo dom. — Fuori gli altri dieci, allora! (Tutti, intimori­ti si avviano alle porte più. vicine, in cerca di coltelli)

Vito — Scusi: non si potrebbe rimandare a domani la raccolta dei coltelli?

Amalia — Zitto, tu.

Nuovo dom. (a Vito) E' lei il padrone di casa, suppongo.

Vito (rassegnato) — Sì, sono io.

Nuovo dom. — Bene. (Caparbio) Fuori i coltelli!

Annetta (va all'armadio, ne prende un astuccio dal qua­le, contando, estrae ad uno ad uno i coltelli d'oro e li pone su un tavolo davanti al nuovo domestico) Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto... (non ce ne sono più)

Nuovo dom. (aggiungendo i suoi due) — ...nove, dieci. (Pau­sa) Mancano due coltelli. Dove sono i due coltelli? Si­gnori, non proseguo se non vengono fuori i due coltelli.

Candido   (sbadigliando)   Non  si  potrebbe  fare  domattina?

Nuovo dom. — No. Adesso.

(Tutti obbedienti escono, sparpagliandosi alla ricerca dei coltelli. Pausa)

Gian Luca (quando tutti sono usciti) — Potete richiamarli. Ecco i due coltelli. (Li estrae dalla tasca e glieli porge)

Nuovo dom. — Collega, noi, quando asportiamo posateria, non ci limitiamo al pezzo minuto, ma operiamo sulla intera posta. Devo contare anche i cucchiai e le forchette?

Gian Luca — Non ce n'è bisogno. Ecco. (Estrae di tasca due forchette e due cucchiai. Li consegna al nuovo dome­stico, che li ripone tutti nell'astuccio.)

(Subito dopo, Annetta attraversa di corsa la scena arrivando dalla porta della cucina)

Nuovo dom. — Tu come ti chiami, piccola?

Annetta — Annetta.

Nuovo dom. — Bene. Annetta, chiama pure tutti. Il conto torna.

Annetta (chiamando) — Tornate tutti! Il conto torna!

(Rientrano tutti)

Nuovo dom. — Signori, il conto torna. Siamo in possesso di dodici cucchiai, dodici forchette e dodici coltelli d'oro. Siamo in pace con noi stessi. Bene. (Riprende) Esisto­no strumenti musicali nella villa?

Amalia — Nessuno.

Vito — Lo strumento più vicino è il trombone dei marchesi Lucera.

Nuovo dom. — Distanza?

Vito — Sei chilometri. Se ne ode il suono a volte, portato dal vento.

Nuovo dom. — Meno male. Adoro la musica. (Pausa) Sport praticati in famiglia?

Saviana — Canottaggio.

Gian Luca — Pesca.

Amalia — Nuoto.

Candido — Amore. (Il nuovo domestico lo fulmina con uno sguardo. Candido china il capo, confuso)

Vito — Golf.

Nuovo dom. — Detesto il golf.

Vito — Non la faremo giocare.

Nuovo dom. — Lo spero bene. S'è mai visto un domestico giocare a golf? Quante persone esistono attualmente nella villa?

Vito — Sei. Le presenti.

Nuovo dom. — Lei è il commendator Capponi, re delle cate­nelle immagino.

Vito — In persona.

Nuovo dom. — Piacere. E quella (indica Amalia) la sua si­gnora?

Amalia — Precisamente.

Nuovo dom. — Onoratissimo. Vedo in loro una coppia feli­ce. Desidero sia così. Bisogna che sia così. (Pausa, con­sulta un orologio) Sono quasi le due, però. Alla loro età, permettano, a quest'ora si dorme. La loro camera dove si trova?

Vito (indica) — Lì.

Nuovo dom. — Si corichino pure, allora. Auguro la buona notte.

Vito (intimidito si avvia) — Buona notte.

Amalia (remissiva) — Buona notte. (Entrano nella loro ca­mera)

Nuovo dom. (quando sono entrati) — La signorina Capponi?

Saviana — Io.

Nuovo dom. — Nubile?

Saviana — Nubile.

Nuovo dom. — Sapendo che lei è figlia unica, ed escludendo che l'uomo presso la porta, mio collega, possa essere un fidanzato, e constatando del pari che qui cresce un giovanotto (indica Candido) devo dedurne senz'altro che detto giovanotto è il suo fidanzato.

Candido — E' così.

Saviana  (tenta una timida protesta) — Veramente...

Nuovo dom. — A quando le nozze?

Candido — Non s'è deciso ancora.

Nuovo dom. — Male. Sono contrario ai fidanzamenti lun­ghi e ai matrimoni ritardati. Amo le relazioni conclu­se, ordinate, ufficializzate. Si potrebbe fissare senz'al­tro il matrimonio per il dieci del prossimo ottobre. E le consiglio il riposo, signorina. A queste ore di notte una fidanzata deve dormire. E' durante le veglie not­turne che le rughe si scavano. La notte avvizzisce le giovani. Buon riposo. (Anche Saviana si avvia, entra in camera sua)

Nuovo dom. — Inutile aggiungere che dovere di un fidan­zato è di coricarsi non appena la propria amata l'abbia fatto. Possibilmente in un'altra camera.

Candido (nobile e in parte risentito) — So il mio dovere. Buonanotte. (Si avvia per le scale. Giunto a metà sca­la, ripete) Buonanotte. (Prima di entrare nella sua ca­mera si riaffaccia nella hall. Rivolto al nuovo dome­stico) Di bel nuovo!

Nuovo dom. — Di bel nuovo! 01 Gian Luca) Voi mi sembra­te pronto a partire, collega. Infatti, me escluso, siete l'unico in veste da giorno, qua dentro.

Gian Luca — Sì, partivo.

Nuovo dom. — Buon viaggio, allora.

Gian Luca — Solo... nella notte...

Nuovo dom. — Che volete farci? Anch'io sono arrivato solo nella notte.

Gian Luca — Per voi era diverso. Avevate la meta di una casa calda, accogliente, la speranza di un desco... (si commuove)

Annetta (si commuove pure lei e si lancia verso Gian Lu­ca) — Gian Luca!  (E' fra le sue braccia)

Gian Luca — Lasciami, Annetta. La luna e la speranza mi guideranno.

Nuovo dom. — Fate solo presto.

Annetta — Vengo con te.

Gian Luca — Dove?

Annetta — Non lo so. Dove vai tu.

Gian Luca — No. Resta. E' impossibile.

Annetta — Ho deciso. Da tempo ti amo.

Gian Luca — Come faccio a crederti? Con la poca serietà che c'è in giro.

Nuovo dom. — Credetele. Io devo coricarmi.

Annetta — Vuoi una prova, Gian Luca? Te la concedo.

Nuovo dom. — Non ora e non qui.

Annetta — In fondo, tutta la mia vita è stata una prova. (Sospira) Vuoi una promessa, un fioretto, un sacrificio?

Gian Luca — Voglio l'amore!

Annetta — E amare non è sacrificarsi?

Nuovo dom. (che si è avvicinato alla porta, piano piano li sospinge fuori) — Si sacrifichino solo velocemente.

Annetta — Sì, ti seguirò.

Gian Luca — Sarai felice. A me la vita è male!

Annetta (mentre finalmente sembra che stia per uscire, ritorna e rivolgendosi all'ambiente, lirica) — Addio, pareti domestiche , dove dolce e insopportabile fu il lavoro delle pulizie!

Gian Luca — Addio livrea e umiltà dell'inchino! Com'è lie­to il passo di chi, cresciuto fra voi, se ne allontana!...

Nuovo dom. — Ci mancava l'addio di sapore manzoniano!

Annetta — Addio diari tenuti nel segreto del cuore, ma­turati nel tepore delle alcove, sbocciati nei chiari me­riggi della sincerità!... Addio...

Gian Luca — Addio...

Nuovo dom. (secco) — Addio.

(Finalmente è riuscito a spin­gerli fuori del tutto. Chiude la porta con doppio giro di chiave. Spegne le luci, tranne quella di un abat-jour. Si avvicina all'abat-jour, estrae di tasca una matita e una piccola agenda. Scrive)

30 settembre. Giunto ore 1,48. Buona gente. Dominabilissima. In cinque minuti li ho mandati tutti a dormire.