I diavoli

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I DIAVOLI

I DIAVOLI

Titolo originale: The Devils

Dramma in tre atti

Tratto da “I diavoli di Loudun” di Aldous Huxley

di JOHN WHITING

Versione italiana di C.D. Marisi

PERSONAGGI

MANNOURY, chirurgo

ADAM, farmacista

LOUIS TRINCANT

PHILIPPE, sua figlia

JEAN D'ARMAGNAC, governatore

GUILLAUME de CERISAY, Pubblico Ministero

Il Fognaiolo

Padre URBANO GRANDIER

NINON

DE LA ROCHEPOZAY, vescovo di Poitiers

Padre RANGIER

Padre BARRE

Suor JEANNE DEGLI ANGELI

Suor CLAIRE DI SAN GIOVANNI

Suor LOUISE DI GESÙ'

Suor GABRIELLE DELL'INCARNAZIONE

DE LAUBARDEMONT

Padre MIGNON

HENRI DE CONDÉ

BONTEMPS, il carceriere

Padre AMBROSE

Un segretario - Un vecchio

Voci dei diavoli che parlano per bocca delle so­relle invasate:

Asmodeo, Leviathan, Beherit, Isacaaron, Elymi, Zàbulon, Eazaz

Folla di donne, uomini e ragazzi; cappuccini e carmelitane, arcieri e guardie;

Luigi XIII, Richelieu, Padre Joseph e La VriJlière (nessuno dei quali parla).

 

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

È giorno. Le strade di Loudun.

Un cadavere pende dalla forca municipale. Un fo­gnaiolo lavora in un canale di scolo poco profondo. Gente sta uscendo dalla Chiesa di San Pietro. Adam, un farmacista, e Mannoury, un chirurgo, tra gli altri.

Mannoury                     - Si fa la strada assieme?

Adam                            - Certo, certo.

Mannoury                     - Non prendetemi per la manica. Ha parlato come se fosse Dio.

Adam                            - Grandier?

Mannoury                     - Grandier.

Adam                            - Molto stimolante per lo spirito.

Mannoury                     - Voi dite? Ehm.

Adam                            - Per una città cosi piccola è una fortuna avere un simile guardiano d'anime. L'ho detto con sufficiente convinzione?

Mannoury                     - No. Ci sono cose e cose, mio caro Adam.

Adam                            - Quali cose, Mannoury?

Mannoury                     - Non restate a bocca aperta. Cose che uno dice e cose che uno fa.

Adam                            - Alludete al prete? Già, ho sentito.

Mannoury                     - Allora guardate. (Ninon, una giovane vedova, uscita dalla chiesa, avanza lungo la strada)

Adam                            - Coi miei occhi.

Mannoury                     - Io mi sono occupato di lei. Come me­dico.

Adam                            - Davvero?

Mannoury                     - Non è la vedovanza che dà quel senso di gioia. Quel modo di camminare.

Adam                            - Ci vuole una visita.

Mannoury                     - Esatto. (Sono giunti all'altezza della forca)

Adam                            - Oh, oh, dondola.

Mannoury                     - Che razza di idiota è questo?

Adam                            - L'hanno tirato su la notte scorsa.

Mannoury                     - Notevole spettacolo. E qual è il re­siduo, Adam?

Adam                            - Non capisco.

Mannoury                     - Che cosa rimane, dopo?

Adam                            - Ah, ne avete idee in testa!

Mannoury                     - E lui? Questo è il punto. Venite a pranzo. (Adam e Mannoury se ne vanno. Louis Trincant e sua figlia Philippe sono usciti dalla chiesa)

Trincant                         - Tieni le mani giunte! Cammina come una contadina.

Philippe                         - Tanto chi mi guarda?

Trincant                         - Il mondo. Fa' che possa vedere una signora. (Sono giunti all'altezza della forca)

Philippe                         - Sarà stato giovane o vecchio?

Trincant                         - Non guardare.

Philippe                         - Voi volete, padre mio, che io abbia esperienze belle e utili, e allora ditemi una cosa: la morte, si toglie la maschera in Paradiso?

Trincant                         - È, una domanda da fare a un prete.

Philippe                         - Scusatemi. Parliamo di come si muo­vono le mie gambe quando danzo. Del matrimonio. Dell'amore. Non della morte. La morte ha un brutto odore. E c'è un profumo sopra il guanciale.

Trincant                         - Chiacchiere. Avanti, vieni. Sta' attenta a dove metti i piedi. (Trincant e Philippe escono. Jean D'Armagnac, governatore della città e Guillaume De Cerisay, il capo della magistratura, escono dalla chiesa)

D'Armagnac                  - Mi pare che Grandier veda le for­ze del bene come una specie di partito politico che ha bisogno di un capo.

De Cerisay                    - Ci ha riflettuto molto su queste cose.

D'Armagnac                  - Sulla politica? Eppure, a udirli dal pulpito sembrano termini strani.

De Cerisay                    - Cosi è l'ingegno.

D'Armagnac                  - Già. Stamattina mi sono comporta­to scandalosamente. Ho riso forte. Forse che questo si addice al Governatore della città più che sbadi­gliare durante tutto il sermone, come facevo prima che venisse qui Grandier?

De Cerisay                    - Avete mandato avanti la carrozza?

D'Armagnac                  - Si. Pensavo di camminare. Ditemi...

De Cerisay                    - Si?

D'Armagnac                  - Questa è una piccola città. Può con­tenere un Padre Grandier? È un orgoglioso. Andia­mo per di qua? (D'Armagnac e De Cerisay se ne vanno. La folla si è allontanata. La via che conduce alla chiesa è deserta. Appare sulla strada Padre Urbain Grandier, Vicario della chiesa di San Pietro. Da un secchio che il fognaiolo sta tirando su esce del sudiciume e gli sporca la tonaca)

Fognaiolo                      - Scusate.

Grandier                        - Non importa.

Fognaiolo                      - È un peccato, però. Merda sulla sa­cra porpora.

Grandier                        - Figlio mio...

Fognaiolo                      - Padre?

Grandier                        - Le vostre parole corrispondono alla vostra condizione.

Fognaiolo                      - Come vorreste che parlassi?

Grandier                        - In un altro modo.

Fognaiolo                      - Ma io sono un uomo, signore. Uno sporco uomo, pieno di peccati. E il mio lavoro è pu­lire le fogne della città. Perché aspettarsi parole pu­lite da me? Comunque, lasciate che vi chieda scusa. Mi rincresce, signore, di avere insudiciato la vostra tonaca con l'escremento dei poveri. Va meglio cosi?

Grandier                        - (ride) Può andare.

Fognaiolo                      - Bella giornata. Calda.

Grandier                        - Si. Come potete sopportare di lavora­re laggiù?

Fognaiolo                      - Be', avevo l'abitudine di elevare la mente a cose più nobili.

Grandier                        - Sono lieto di sentirlo. Quali cose?

Fognaiolo                      - Mia moglie e la mia cena.

Grandier                        - Vedo. Ma ora...

Fognaiolo                      - Non ce n'è più bisogno. Mi sono abi­tuato alla puzza. Nessuno può vivere quarantatre anni senza abituarsi. Se voi foste un uomo, signore, e non un prete, forse riuscirei a farvelo capire.

Grandier                        - Provateci lo stesso.

Fognaiolo                      - Bene, ogni uomo è lo scarico di se stesso. Ha in sé la sua fogna principale. E i riga­gnoli gli scorrono tutt'attorno per portar via il su­diciume...

Grandier                        - Ma portano pure il sangue della vita.

Fognaiolo                      - Altro impianto. Igiene elementare. Non interrompetemi; e che cosa rende un uomo felice? Mangiare e sciacquarsi i condotti. Sedere al sole e lasciar fermentare la porcheria. Andare a casa e tro­vare conforto nei condotti di sua moglie. E allora per­ché dovrei vergognarmi o sentirmi fuori posto quag­giù?

Grandier                        - Se la metti in questa maniera non ne vedo proprio la ragione. Dev'essere quasi un piacere.

Fognaiolo                      - È chiaro, signore, che non scorreranno mai qui i vostri preziosi succhi. Come quelli che questa sciagurata creatura ha lasciato gocciolare dal­le dita dei piedi per tutta la notte.

Grandier                        - Non farti beffa di un morto!

Fognaiolo                      - Scusate.

Grandier                        - Era un uomo. Un giovane. Diciotto an­ni. Lo fecero inginocchiare davanti alla porta della chiesa, prima di portarlo alla forca. Mi confessò i suoi peccati.

Fognaiolo                      - Quali peccati?

Grandier                        - Esser vivo.

Fognaiolo                      - Un po' generico.

Grandier                        - E parecchio odioso, pare. L'essere uo­mo lo ridusse schiavo dei suoi sensi. E con essi egli volle adorare una fanciulla in modo totale. Ma impa­rò troppo in fretta. Imparò che solo l'oro può deco­rare un corpo nudo. E cosi rubò.

Fognaiolo                      - E cosi dondola.

Grandier                        - Ha confessato soltanto a me. Non era perché Dio lo ascoltasse. Da uomo a uomo. Disse che quando ne adornava la fanciulla il metallo sembrava senza colore, senza valore, sulla sua pelle dorata. Questo era pentimento. Quando lo tireranno giù?

Fognaiolo                      - Domani, quando sarà buio.

Grandier                        - Vedi che tutto sia fatto con un po' di decenza. (Grandier esce)

Entrano D'Armagnac, De Cerisay e Trincant.

D'Armagnac                  - Provincia, mio caro Trincant.

Trincant                         - Vi pare che abbia un cattivo effetto sull'arte della poesia?

D'Armagnac                  - Domandate a De Cerisay.

De Cerisay                    - Ebbene, voi e io, Trincant, in qua­lità di Pubblico Ministero e di Magistrato, siamo co­stretti dal nostro lavoro a tenere i piedi a terra. E la poesia, l'ho sempre pensato, è un'arte elevata.

 Trincant                        - Vi assicuro che quando compongo pen­so i pensieri giusti. La mia mente, se cosi posso e-sprimermi, è piena di nobiltà.

De Cerisay                    - Perché non mostrate a Grandier quest'ultimo gruppo di epigrammi latini?

Trincant                         - Al prete?

De Cerisay                    - Come prete ha i sensi profani ben sviluppati. Fate una scelta e mostrateglieli. È un uo­mo colto.

Trincant                         - Benissimo. Non vado in cerca di lodi, ma farò come dite. Si. (Trincant esce)

D'Armagnac                  - Povero Trincant. Ama le Muse ma non sembra che esse lo amino. Spero che il vostro suggerimento a proposito di Grandier non fosse ma­lizioso.

De Cerisay                    - Nient'affatto signore. Come avviene per qualsiasi autore, più è largo il pubblico di Trin­cant e minore è il fardello del dubbio per i suoi amici più intimi.

D'Armagnac                  - Grandier è venuto a trovarmi que­sta mattina. Stavo facendo colazione in giardino. Non sapeva che potevo vederlo mentre si avvicinava. Vul­nerabile. Sorrideva, respirava in modo visibile, con piacere. Si fermò a guardare i pavoni. Accarezzò una rosa come se fosse la parte segreta del corpo di una donna. Rise col bambino del giardiniere. Poi si ri­compose e fu un altro uomo che si sedette accanto a me e parlò per un'ora. Dove finirà per salire quest'uomo sulla sua scala di dubbi e di riso?

De Cerisay                    - Probabilmente alle più alte cariche della chiesa.

D'Armagnac                  - E l'uomo che ho visto in giardino? (Silenzio)

Grandier con Ninon.

Ninon                            - Dimmi.

Grandier                        - Cosa devo dirti? Le parole sono gio­cattoli nella nostra situazione. Attenditi da loro del­la musica, non un significato.

Ninon                            - Non ridere di me. Io non capisco. Non sono una donna intelligente.

Grandier                        - Sei troppo umile, Ninon. È un difetto femminile che non porterà mai a niente. Su, chiedi pure.

Ninon                            - Perché vieni da me?

Grandier                        - Sarebbe una domanda saggia se fossi­mo nel tuo salotto. Ma qui...

Ninon                            - Ci sono ragazze carine in città.

Grandier                        - Ma non avevano bisogno di conforto per l'immatura morte del marito, ricco mercante di vino. Fu quella la ragione della mia prima visita, ricordo. Quanti martedì fa? Ti domandai di credere che Dio ti amava e che ti teneva sotto la Sua eterna protezione. Di credere che anche lo spezzarsi del cuo­re di tuo marito a tavola, mentre il suo sangue flui­va insieme col suo vino all'ingrosso, era un atto d'amore, e che tutte le cose, per quanto incompren­sibili, sono un atto d'amore. Ma tu non sei riuscita a credere a niente di tutto questo. La tua anima è piccola come la tua mente, Ninon, e avevi bisogno di abbandonarti ad un gesto più umano, di piangere. E le lacrime devono essere asciugate. Come si può farlo senza una carezza?

Ninon                            - Quel giorno ti ho veduto come un uomo e basta. Perché?

Grandier                        - Vorrei che parole come queste potes­sero ancora farmi del male. (Mette del profumo sul suo fazzoletto)

Ninon                            - Ti ho sempre visto solo come un uomo. Vuoi essere qualcosa di più?

Grandier                        - Naturalmente. 0 di meno.

Ninon                            - Ma come puoi essere un uomo di Dio senza essere un uomo?

Grandier                        - Mia cara bambina, fai domande che non sono della tua epoca, e che vanno molto al di là della tua esperienza. La tua bocca... (Si ode il suono di una campana)

Ninon                            - Sono tua.

Grandier                        - Va' a dormire, adesso. Sei stata una buona bestiolina, oggi. Che questo pensiero ti con­forti. Sii felice. (Grandier esce)

 Adam e Mannoury sono in scena. C'è una tavola tra loro.

Mannoury                     - Questo cranio umano mi riempie di speranza, mio caro Adam.

Adam                            - E un oggetto piuttosto comune.

Mannoury                     - Certo, ogni uomo ne porta uno sulle spalle. Ma quando mi capita in mano una testa dis­sociata dalle parti più grosse del corpo, sento sem­pre un'elevazione dello spirito. Pensate che è questa la sede della ragione.

Adam                            - Infatti! Ah, si, è proprio vero.

Mannoury                     - Non è possibile che un giorno, duran­te la più volgare dissezione, io possa trovare...

Adam                            - Che cosa Mannoury? Vi prego, non esita­te a dirmelo.

Mannoury                     - Potrei trovarmi per caso fra le mani, il senso stesso della ragione. Non è forse possibile che la divinità dell'uomo, chiusa in un sacco infini­tesimale, possa finire sulla punta del mio coltello? L'ho sognato un momento come questo. L'ho persi­no visto. Sollevo quella particella tolta dal cervel­letto e, Adam, io so!

Adam                            - Che cosa sapete, Mannoury?

Mannoury                     - Suvvia, mio caro amico, sto parlando in senso generale. Io so... tutto. Tutto... mi viene rive­lato.

Adam                            - Che Dio benedica la mia anima!

Mannoury                     - Portiamo questa roba a casa vostra. Passeremo la sera da voi. (Cominciano ad uscire nella strada) Tutti parlano di come avete curato la malattia venerea del Duca.

Adam                            - Si, credo che la stiamo debellando. Ma è troppo presto per esserne certi.

Mannoury                     - Quel vostro composto metallico, che effetto ha sulla efficienza?

Adam                            - Disastroso. Ma come ho detto scherzosa­mente al Duca la scienza deve occuparsi solo delle cause primarie. Non può volgere la testa a osservare eventuali effetti secondari deleteri.

Mannoury                     - E non lo farà mai, speriamo.

Adam                            - E quella signora che non nomineremo ha partorito?

Mannoury                     - Prematuramente. Il feto era interes­sante. Aveva un cappelluccio tirato giù sul viso.

Adam                            - Non fa meraviglia dopo tutte quelle chiac­chiere sul cocchiere. (Ora sono nella strada. Grandier si sta avvicinando)

Mannoury                     - Guardate chi sta arrivando.

Adam                            - Calcolata indifferenza, per favore.

Grandier                        - Buonasera, signor Chirurgo. E signor Farmacista.

Mannoury                     - Buona sera, signore.

Adam                            - Signore.

Grandier                        - È stata una bella giornata.

Mannoury                     - Già.

Adam                            - È vero.

Grandier                        - Ma ora, sta per piovere, non vi pare?

Adam                            - Il cielo è sereno.

Mannoury                     - Sereno.

Grandier                        - Ma potrebbe annuvolarsi prima di sera.

Adam                            - Infatti.

Mannoury                     - Infatti, potrebbe darsi.

Grandier                        - Oscurarsi, sapete. E cosa avete in quel secchiello?

Mannoury                     - La testa di un uomo.

Grandier                        - Un amico?

Mannoury                     - Un criminale.

Adam                            - Il corpo è stato tirato giù dalla forca ieri sera.

Grandier                        - (dopo un silenzio) Spero che nell'inte­resse della Scienza non ve l'abbiano fatto pagar troppo.

Mannoury                     - Nove soldi.

Grandier                        - Ragionevole. Un affare. Lasciatemi ve­dere. Povero cetriolo.

Adam                            - Già. Mannoury ed io stavamo filosofando sulla condizione umana con questa reliquia come centrino.

Grandier                        - Sono certo che avrete detto cose molto interessanti.

Adam                            - Be', Mannoury osservò che qui è la sede della ragione.

Grandier                        - Una grande verità! Ma l'avrete detto voi, Adam.

Adam                            - E vero.

Grandier                        - Ma guardando questo insaccato non dovremmo dimenticare che la cosiddetta divinità dell'uomo è ciò che noi potremmo ascrivere soltanto al maggior proposito del suo hohumha.

Adam                            - Prego?

Grandier                        - Oh, sono perfettamente d'accordo. Ma non posso star qui a scambiare considerazioni cosi profonde con voi, per quanto la cosa mi tenti. Per­ciò addio, signor Chirurgo e signor Farmacista. (Gran­dier esce. Suona la campana)

Mannoury                     - Siete caduto nella trappola, Adam. Mai provocarlo, il nostro signor Furbacchione.

Adam                            - Puzzava di quella vedova. Che schifo.

Mannoury                     - Naturalmente. Era a casa sua.

Adam                            - Dopo essersi eccitato stamattina nel con­fessionale coi peccati delle ragazze...

Mannoury                     - Si consuma questo pomeriggio nel letto della vedova...

Adam                            - E poi viene qui e ci sbadiglia in faccia.

Mannoury                     - Stanotte...

Adam                            - Stanotte la passerà in qualche casa im­portante, in quella di D'Armagnac o di De Cerisay. Nutrito, confortato e adulato dal sorriso delle donne.

Mannoury                     - Che razza di... Scusatemi. Che cosa stavate dicendo?

Adam                            - Stavo dicendo: che razza di vita!

Mannoury                     - Quel che dicevo io.

Adam                            - Noi non siamo mai stati invitati in luo­ghi simili.

Mannoury                     - Ci ho pensato spesso.

Adam                            - E come vi consolate?

Mannoury                     - Ricordandomi che sono un uomo one­sto che fa un lavoro onesto.

Adam                            - E vi basta?

Mannoury                     - Che intendete dire?

Adam                            - Prendete quella testa e seguitemi. (Fanno qualche passo ed entrano in una casa)

Grandier intanto entra in Chiesa. Si inginocchia davanti all'altare e prega.

Grandier                        - O Padre mio caro, è desiderio del tuo umile figlio venire verso la tua grazia. Ti parlo del tedio di trentacinque anni. Anni grevi di orgoglio e di ambizione, di amore per le donne e amore per me stesso. Anni scandalosamente congiunti all'orpel­lo e alla lussuria, tempo occupato ad essere una co­sa da nulla, un uomo. Ora, mi prostro davanti a Te, nell'umiltà dello spirito. Ti chiedo di guardarmi con amore. Ti prego di rispondere alla mia preghiera. Mostrami una via. O fa' che una via si apra. (Silen­zio) Oh Dio, Dio mio, Dio mio! Liberami. Liberami da queste necessità. Abbi misericordia. Liberami. Al­le quattro di martedì pomeriggio. Liberami. (Si alza e grida) Rex tremendae maiestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, salva me, fons pietatis!

De La Rochepozay, Vescovo di Poitiers, cappuccini e carmelitane.

Db La Rochepozay       - Sono stato solo per molti giorni, ormai. Voi vorrete sapere se ho trovato una qualche grazia. Forse, mi sento infatti pieno di tedio e di disgusto per la follia e la malvagità del genere umano. È questa la grazia di Dio, mi chiederete? Potrebbe anche essere. Lasciate che vi narri le cir­costanze di questa rivelazione. Chiuso nella mia stanza per sette giorni, digiunan­do e pregando, sono arrivato a vedere in me stesso un umile strumento della volontà di Dio. Era uno stato di tale felicità, di tale beatitudine e di tale an­nullamento che desiderai di non tornare mai più da voi. Volevo che questa scorza si disseccasse lascian­do soltanto la purezza dello spirito. Ma il mio senso del dovere di Vescovo mi ha costretto a lasciare quel Paradiso. Sono ritornato al mondo. Un prete di Loudun, certo Grandier, voleva vedermi. È uno dei miei figlioli, come tutti voi, miei di­letti, e vorrei amarlo. Ma il suo fazzoletto era profumato. Se quest'uomo mi avesse colpito in faccia mi avrebbe umiliato meno. Ma, l'assalto sferrato ai miei sensi è stato cosi osceno che sono caduto in uno sta­to di terrore. Profumo, per un uomo cui il sapore dell'acqua sembrava come fuoco, cui il canto degli uccelli in giardino suonava come le urla dei dannati. Sono molto stanco, toglietemi gli anelli dalle dita. Forse, mentre venivate qui dalle vostre parrocchie un bambino vi ha sorriso, o vi siete sentiti attratti da un fiore, o dal profumo dell'erba fresca lungo la strada. Come avete considerato queste cose, se non con piacere? O forse qualcuno di voi ha perduto la strada e ha ricevuto indicazioni da uno sconosciuto e avete considerato questa una gentilezza. Lasciate che vi dica una cosa. L'innocenza non esi­ste, non c'è! Diffidate della bontà degli uomini, re­spingete la gentilezza. Perché tutte le vanità non sono che un asserire se stessi e quando un uomo asserisce se stesso è una vittoria del diavolo. Quando questa mattina mi fu agitato quel fazzo­letto davanti al viso lo vidi come in una visione. Divenne una possente bandiera che sventolava su tutto il mondo, che faceva puzzare la nostra diletta chiesa, l'avviluppava, la sopraffaceva, la copriva di vergogna e lussuria. Siamo in pericolo! Conducete­mi via. Conducetemi via (De La Rochepozay è con­dotto via. Padre Barre e Padre Rangier rimangono soli),

Rangier                         - Come vanno le cose dalle vostre parti?

Barre                             - Sono occupatissimo.

Rangier                         - Lui è tra di voi?

Barre                             - Incessantemente.

Rangier                         - Possiamo nominarlo?

Barre                             - Se volete. Satana.

Rangier                         - E come va la battaglia?

Barre                             - Non mi arrenderò.

Rangier                         - Sembrate stanco.

Barre                             - Continua giorno e notte.

Rangier                         - Il vostro spirito arde.

Barre                             - Però, non si spezza. Ma non c'è mai un momento di pace a Chinon. Solo l'altro giorno, stavo per celebrare un matrimonio. Tutto andava bene. Ave­vo davanti una coppia giovane, ignorante, pensavo, ma pura. Mai mi passò per la testa che potessero essere qualcos'altro. Ero arrivato alla benedizione e stavo per mandarli via nel mondo come marito- e moglie quando vi fu confusione, alla porta occiden­tale. Una mucca era entrata nella chiesa e stava cercando di farsi strada attraverso il coro. La rico­nobbi subito, naturalmente.

Rangier                         - Era lui?

Barre                             - Ditelo Rangier, ditelo! (Grida) Era Sa­tana!

Rangier                         - Non riesce mai a ingannarvi.

Barre                             - Prima che potessi agire era passato dalla mucca alla madre della sposa, che cadde al suolo in una specie di convulsione. Ci fu una confusione tremenda, naturalmente, ma subito cominciai ad esorcizzare. Ecco una coppia che non si scorderà tan­to presto del giorno del matrimonio.

Rangier                         - E come fini?

Barre                             - Lo spirito ululava nella chiesa come un forte vento. Una specie di fango nero fu trovato spal­mato sulla fronte della ragazza. Disse che era cadu­ta, ma io naturalmente sapevo la verità. E questo non è tutto. Due giorni dopo il marito venne da me e mi disse che era incapace di compiere il suo dove­re di marito. La solita stregoneria, capite. Ora ho incominciato ad indagare su tutta la famiglia.

Rangier                         - Cose di questo genere faranno affluire a Chinon molta gente.

Barre                             - Migliaia.

Rangier                         - C'è molto interesse popolare per il ma­le, oggigiorno.

Barre                             - E ha certo contribuito a compensare la diminuita frequenza al mio santuario. Quello della Madonna della Salute.

Rangier                         - Be', voi sapete come vanno le cose.

Barre                             - Certo. Ora tutti vanno a Loudun. Quel Grandier, che tanto ha urtato il Vescovo, è il primo responsabile. È una disgrazia la sua presenza in quel luogo.

Rangier                         - Le immagini miracolose sono soggette alla moda, come i cappelli delle donne.

Barre                             - Vero, ma nel male c'è una relativa costan­za. Devo andare.

Rangier                         - Qualcosa d'interessante?

Barre                             - Sono stato chiamato a una fattoria. Di­cono che c'è qualcosa che parla attraverso l'ombeli­co di una bambina. Ora, lei sta conversando con que­sta cosa e mi si dice che le due voci sono arrivate alla formulazione di un credo sbalorditivamente osceno. (Barre e Rangier se ne vanno per due strade di­verse)

Grandier solo. Ha in mano un fascio di poesie. Trincant gli si avvicina.

Trincant                         - Siete stato molto gentile a venire, Pa­dre Grandier.

Grandier                        - Niente affatto. Ho riportato le vostre poesie.

Trincant                         - Vedo. D'Armagnac sostiene che bisogna eliminare tutte le insufficienze della vita provinciale.

Grandier                        - Le scrivete quando tornate dall'ufficio?

Trincant                         - Ogni giorno.

Grandier                        - In mezzo agli odori della cucina.

Trincant                         - Soffiano verso di me.

Grandier                        - E in mezzo ai rumori della vita fa­miliare.

Trincant                         - C'è questa intrusione.

Grandier                        - E cosi naturalmente arrivate... a que­sto.

Trincant                         - Vi prego, toglietemi da quest'ansia. Vo­glio un parere onesto.

Grandier                        - Siete un uomo importante in questa città, Trincant. Gli uomini che occupano cariche pub­bliche non possono attendersi pareri onesti.

Trincant                         - Parlate al poeta, non al Pubblico Mi­nistero.

Grandier                        - Benissimo. La vostra poesia... (Entra Philippe Trincant)

Trincant                         - Che c'è?

Philippe                         - Vorrei prendere il mio lavoro di cuci­to, padre.

Trincant                         - Ma si, prendilo. (A Grandier) È la mia figlia maggiore, Philippe. Cosa stavate dicendo?

Grandier                        - Stavo dicendo che queste vostre crea­zioni, hanno un grande merito. Sono osservazioni mo­rali assolutamente fuori del comune.

Trincant                         - Veramente?

Grandier                        - (a Philippe) Non lo credete anche voi? Sto parlando della poesia di vostro padre.

Trincant                         - Oh, lei non sa nulla di queste cose. Le ragazze, sapete. Ballo, musica, risate. E le cose più belle... che vadano a impiccarsi.

Grandier                        - Dovreste darle un'istruzione.

Trincant                         - È cosi difficile trovare la persona adat­ta in questa città. A meno che...

Grandier                        - (a Philippe) Parlate latino?

Philippe                         - Un po'.

Grandier                        - Non basta.

Trincant                         - A meno che...

Grandier                        - È un linguaggio preciso. Permette di dire esattamente quello che si vuole. Ed è molto ra­ro oggigiorno. Non siete d'accordo?

Philippe                         - Si, è cosi.

Trincant                         - A meno che, Padre Grandier, non vo­gliate prendervi cura voi della sua istruzione.

Grandier                        - Di vostra figlia?

Trincant                         - Si.

Grandier                        - Sono molto occupato.

Trincant                         - Solo un giorno la settimana. Poche ore per insegnarle ad apprezzare le cose belle. Ci si po­trebbe riuscire attraverso conversazioni. Magari leg­gendo i versi latini adatti.

Grandier                        - Benissimo.

Trincant                         - Diciamo martedì?

Grandier                        - No. Non martedì. Il giorno dopo.

Adam e Mannoury siedono in farmacia, sotto un coccodrillo imbalsamato e a delle vesciche sospese. La luce si riflette nelle bottiglie che contengono feti.

Adam                            - (sta leggendo da un libriccino) Martedì al­le cinque e mezzo ha lasciato la casa della vedova.

Mannoury                     - Quell'uomo è una macchina. Interes­sante, però. Credete possibile che i riflessi sessuali siano condizionati dall'orologio?

Adam                            - Alle sette e mezzo fu notato in conversa­zione pubblica con D'Armagnac. Il tema è dubbio, sebbene Grandier sia stato visto sogghignare un paio di volte. Ha cenato da solo, più tardi del solito, alle nove. Una luce è rimasta accesa nella sua stanza fin dopo la mezzanotte.

Mannoury                     - Suppongo sia possibile. Io dico a una donna: martedì alle quattro e mezzo verrò a fare all'amore con te. E faccio cosi per qualche settima­na. Poi non è nemmeno più necessario che io lo dica. La speranza parla in vece mia. Martedì: alle quattro e mezzo. Normali manifestazioni fisiologiche. Un argomento per un trattato. Bisogna che ci pensi.

Adam                            - (volta una pagina) Fu scoperto all'alba pro­strato davanti all'altare. Grandi languori per tutta la mattinata. Pranzo alle due e un quarto. Animelle al­la crema, formaggio fermentato, vino. Alle tre è en­trato nella casa di Trincant per istruire la figlia di costui, Philippe.

Mannoury                     - Adam, siete molto spiritoso.

Adam                            - Davvero?

Mannoury                     - Il modo con cui avete detto la parola "istruire" è magistrale.

Adam                            - Grazie.

Mannoury                     - Ma perdonatemi, caro amico, se vi chiedo una cosa. Dove andiamo a parare? Le vostre annotazioni dei movimenti di Grandier sono stupen­de. Ma sono le abitudini di un uomo qualsiasi. Non lo prenderemo mai in trappola con prove di questo genere.

Adam                            - Dovete darmi tempo, Mannoury, certo non possiamo denunciarlo per queste abitudini. Ma la lus­suria lo conduce per il naso. E la lussuria deve ave­re una compagna. La vedova Ninon? Philippe Trin­cant? 0 un'altra? Chissà. Verrà la volta buona. Pa­zienza.

Suor Jeanne sola, in ginocchio.

Jeanne                           - Mi consacro umilmente al Tuo servizio. Tu hai fatto di me, nella statura come nello spirito, una piccola donna. E ho anche una piccola imma­ginazione. Ecco perché nella tua infinita saggezza mi hai dato questo visibile fardello sulla schiena per ri­cordarmi giorno per giorno ciò che debbo portare. Oh, mio Signore, quando provo difficoltà nel rivol­tarmi in letto nelle ore brevi e disperate della notte, mi ricordo del tuo fardello, la croce sulla lunga stra­da, Tu hai dato un senso alla mia vita, mandando­mi in questa casa delle Orsoline. Io tenterò di gui­dare le sorelle che vivono in questo luogo. Farò il mio dovere cosi come lo vedo. (Pausa).. .Signore; Si­gnore, per me è sempre stato difficile pregare, fin da quando ero/bambina. Ho desiderato una voce diver­sa e più grande, per lodarti. Per tua grazia, sono ve­nuta da giovane, in questo luogo. Abbi misericordia della tua creatura, lasciala aspirare a qualcosa di più grande e, nel frattempo, i letti saranno rifatti con cura, i pavimenti saranno scopati, e i vasi tenuti pu­liti. (Pausa) Abbi pietà. (Pausa) Troverò un modo. Si, troverò una strada per arrivare a te. Verrò. E tu mi avvolgerai nelle tue sante braccia. Il sangue scorrerà tra noi, unendoci. La mia innocenza è Tua. (Pausa) Ti prego, Signore, portami via la gobba in modo che possa giacere sul dorso senza dover torce­re la testa. (Pausa) Ci dev'essere un modo. Possa la luce del Tuo eterno amore... (Sussurra) Amen. (Suor Jeanne si alza e va via).

Grandier e Philippe: Philippe sta leggendo.

Philippe                         - Foeda est in coitu et brevis voluptas, et taedet Veneris stati peractae.

Grandier                        - Traduci riga per riga.

Philippe                         - Il piacere in amore è...

Grandier                        - Lussuria.

 

Philippe                         - Il piacere nella lussuria è triste e bre­ve. E la nausea...

Grandier                        - La noia.

Philippe                         - E la noia segue il desiderio.

Grandier                        - Avanti.

Philippe                         - Non ergo ut pecudes libidinosae caeci protinus irruamus illuc (nam languescit amor peritque fiamma) (Pausa) Noi non siamo animali che dob­biamo precipitarci verso l'amore, cosi l'amore muore e la fiamma si estingue.

Grandier                        - Prosaico, ma non c'è male. Dammi il libro. (Traduce) Ma in questa perenne dolcezza, cosi, giaci, e cancella il tempo coi baci. Nessuna noia, nessuna vergogna, ora e poi sarà sempre il piacere, senza fine. Solo un eterno ricominciare. Bambina mia, perché piangi?

Philippe                         - Non mi sento bene.

Grandier                        - Trovi troppo faticose le nostre lezion­cine?

Philippe                         - No, no... Le amo... Mi soddisfano molto.

Grandier                        - Be', ne abbiamo fatte solamente sei, pensavo di continuare sino alla fine dell'anno.

Philippe                         - Ma certo. Tanto finché vi piace.

Grandier                        - Finché piace a te, Philippe. Sono a tuo vantaggio.

Philippe                         - Vorrei tanto capire. Tutte le cose.

Grandier                        - Tutte le cose?

Philippe                         - Ci sono forze dentro di me, di me don­na, che devo capire se voglio resistere ad esse.

Grandier                        - Quali cose, Philippe?

Philippe                         - Inclinazioni...

Grandier                        - Avanti.

Philippe                         - Inclinazioni al peccato.

D'Armagnac su un'alta torre delle fortificazioni del­la città. De Cerisay gli si avvicina da sotto.

D'Armagnac                  - E tocca a questa città.

De Cerisay                    - Vogliono radere al suolo tutte le for­tificazioni?

D'Armagnac                  - Si, è questo che vogliono. È un truc­co, naturalmente. Ogni volta che in questo paese si parla di una rinascita nazionalista significa una cosa sola. Qualcuno al centro, a Parigi, sta pensando di impadronirsi del potere assoluto. Ed ecco i soliti slo­gan: la Francia deve essere libera all'interno, per diventar padrona del proprio destino. Provinciali i-gnoranti e affaccendati come noi, De Cerisay, non riescono a vedere oltre le mura della città. E cosi riceviamo quest'ordine         be', come lo vogliamo chia­mare? del Cardinale di buttar giù le mura. Ci al­largherà forse la visuale?

De Cerisay                    - Lascerà indifesa la città.

D'Armagnac                  - Come un qualunque villaggio.

De Cerisay                    - Ma perché insistono?

D'Armagnac                  - La spiegazione ufficiale è che al mo­mento simili fortificazioni potrebbero favorire una ri­volta protestante.

De Cerisay                    - Ma è assurdo.

D'Armagnac                  - Quando un uomo tiene al potere co­me Richelieu, può sempre giustificare le sue azioni con assurdità. È il solito disprezzo dell'autorità per chi intende dominare. Viviamo in un periodo di pa­ce, De Cerisay, e perciò la distruzione di questa città e di altre, la si può ottenere con semplici parole. (Grandier si avvicina da sotto)

Grandier                        - Corrono certe voci, signore...

D'Armagnac                  - Risparmiate il fiato. Le voci sono vere. State qui. Guardate. Una vecchia città. Questi muri tengono lontano solo le correnti d'aria. Queste torri non sono più che un ornamento. E da questa fortezza io ho cercato di amministrare i miei sudditi con ragionevole saggezza.

Grandier                        - Dovete rifiutarvi di distruggerla, si­gnore.

D'Armagnac                  - Ho rifiutato. Il che significa che dob­biamo attenderci un uomo da Parigi da un momento all'altro.

De Cerisay                    - Lo riceverete?

D'Armagnac                  - Naturalmente. Verrà da parte di Ri­chelieu, ma in nome del Re. Richelieu può farsi beffe del trono e di tutto il governo. Ma non può distrug­gere queste cose finché gli uomini continuano a ri­conoscerle. Non mi guardate cosi, Grandier, con que­gli occhi sbarrati, sono pienamente consapevole del carattere reazionario della mia affermazione.

Grandier                        - Stavo pensando ad un'altra cosa, si­gnore.

D'Armagnac                  - Ditemi.

Grandier                        - Questa distruzione delle fortezze fran­cesi non ha senso, è un trucco.

D'Armagnac                  - Una manifestazione di potenza, lo so.

Grandier                        - E gli altri governatori delle province, si opporranno?

D'Armagnac                  - Ne dubito assai.

Grandier                        - E noi?

D'Armagnac                  - Noi?

Grandier                        - Lasciate che vi aiuti in questa faccen­da, signore.

D'Armagnac                  - Davvero? Come uomo di chiesa, avete anche voi il vostro trucco?

Grandier                        - La lotta mi attrae, signore. La resi­stenza mi infiamma. La mia posizione mi porta più vicino ai vostri nemici di quanto possiate esserlo voi stesso.

D'Armagnac                  - Vi distruggeranno.

Grandier                        - Perché sono debole? Potenze eguali non possono entrare in conflitto. Sarebbe l'annullamento, la pace. Permettete dunque che vi aiuti con tutta la passione della mia nullità.

D'Armagnac                  - Non sorridete, vi distruggeranno.

Si ode la voce di una donna invisibile.

Lux aeterna luceat eis, Domine, cum sanctis tuis in aeternum, quia pius est. - Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.

 (Suor Jeanne degli Angeli, Suor Claire di San Gio­vanni, Suor Louise di Gesù, Suor Gabrielle dell'In­carnazione entrano in Chiesa)

Jeanne                           - Abbiamo subito una grande perdita, so­relle, il canonico Moussaut era un buon vecchio.

Claire                            - È la volontà di Dio.

Louise                           - La volontà di Dio.

Jeanne                           - Cosi ci hanno insegnato. Eppure, la sua morte apre per noi un problema. A noi manca un di­rettore spirituale. Per molti anni quel vecchio ha ser­vito bene in questo luogo, si, ma la vita di queste creature peccaminose deve continuare. Come penitenti, dobbiamo avere un confessore.

Louise                           - Avete scelto, madre?

Jeanne                           - Dio sceglierà.

Claire                            - Preghiamo.

Jeanne                           - Pregate. C'è... (Tossisce) Non toccatemi la schiena! (Pausa) C'è un uomo. Si chiama Grandier. Non l'ho mai visto, ma Dio ultimamente l'ha spesso mandato nei miei pensieri. Voglio dire... (Pausa)

Claire                            - Cosa?

Jeanne                           - Claire?

Claire                            - Perché mi guardate cosi? Ho fatto qual­cosa di male?

Jeanne                           - (finalmente vedendola) No, no. Intendo scrivere a questo buon uomo ed invitarlo a diventare il nostro nuovo direttore spirituale. Grandier. Gran­dier. È la guida, capite, è stato messo nei miei pen­sieri. Grandier.

Claire                            - È la volontà di Dio.

Louise                           - La volontà di Dio.

Jeanne                           - (scoppia improvvisamente in un breve riso convulso) Sono mortalmente stanca. (Pausa. Con calma) È una soluzione davvero eccellente e pratica. Può consigliarci su come educare dei bambini che ci sono stati affidati. Provvederà ai nostri bisogni spi­rituali. (Ride nuovamente) Può risolvere questi male­detti problemi del progresso teologico che mi rendono sempre più confusa. Si, sarà certamente una buona scelta. Lasciatemi sola. (Le sorelle escono. Jeanne ri­chiama indietro Claire) Claire!

Claire                            - Si?

Jeanne                           - Dicono che ho dei begli occhi. È vero?

Claire                            - Si, madre,

Jeanne                           - Troppo belli per rimanere chiusi anche nel sonno. Vattene con le altre. (Jeanne sola) Una mattina d'estate. Bimbi che giocavano. Un ragazzo e una bambina. Barche di carta nello stagno. Il sole bruciava sulle nostre teste quel giorno. Bimbi acco­vacciati, si guardavano attraverso l'acqua. Era questo l'amore? Tap. Un rospo saltò sull'orlo della vasca. Ora, era. Il ragazzo, con la testa inclinata, sorridendo, una voce gentile che sussurrava sull'acqua. "Guarda. Parla a tuo fratello, Jeanne. Là. Fratellino verde, hop-hop. Parlagli, Jeanne.” (Risata. Silenzio) Signore, per­donami per aver riso. Ma non mi hai dato molto per difendermi, Signore. (Jeanne va alla finestra, l'apre e guarda attraverso le inferriate. Una strada. C'è un mer­cato. La gente della città va e viene, compra e vende. Bambini. Passa un carro. Si sente una canzone. Gran­dier viene attraverso la folla. È splendido nei suoi abiti dorati di canonico, nella morente luce del giorno. Il suo passo è veloce, fiducioso, gaio. Jeanne getta un grido. Il suono non viene udito dalla folla. Ma Gran­dier si ferma. Guarda i visi della gente, domandan­dosi chi di loro, uomo o donna, possa aver emesso un grido cosi angoscioso fra tutto quel tranquillo affaccen­darsi. Grandier si avvia su una scala. Jeanne si mette a scrivere. Rapidamente, a grandi lettere angolose)

La strada. - Adam e Mannoury sono tra la folla. Avanzano verso il proscenio.

Mannoury                     - La prima cosa da fare è mettere qual­cosa per iscritto.

Adam                            - Un'accusa contro Grandier.

Mannoury                     - Appunto. Conosciamo il suo liberti­naggio.

Adam                            - Le sue bestemmie.

Mannoury                     - Le impietà.

Adam                            - E non basta?

Mannoury                     - Deve bastare.

Adam                            - Per ora.

Mannoury                     - Presenteremo il documento al Ve­scovo.

Adam                            - Bisogna far le cose per bene.

Mannoury                     - Naturalmente. Compilato in un lin­guaggio corretto, decente.

Adam                            - M'è venuta in mente una cosa.

Mannoury                     - Oh?

Adam                            - Quante critiche ci attiriamo noi, borghesi, proprio perché ci piacciono le cose pulite. Oh, vi pre­go, continuate. Cosa dirà il documento?

Mannoury                     - Cosa dirà? (Pausa) Dovremo decidere.

Adam                            - Non è importante.

Mannoury                     - No, è solo un mezzo.

Adam                            - Dobbiamo preoccuparci del fine.

Mannoury                     - Sempre. (Se ne vanno)

Un confessionale. - Grandier e Philippe. Sussurrano attraverso la grata.

Grandier                        - Quando ti sei confessata per l'ultima volta, figliola?

Philippe                         - Una settimana fa, padre.

Grandier                        - E che cosa hai da dirmi?

Philippe                         - Ho peccato, padre. Ho peccato d'or­goglio.

Grandier                        - Dobbiamo sempre stare in guardia.

Philippe                         - Ieri ho finito un lavoro d'ago e ne ero molto soddisfatta.

Grandier                        - Dio ci permette di essere soddisfatti del nostro lavoro.

Philippe                         - Ho commesso peccato abbandonandomi all'ira.

Grandier                        - Dimmi.

Philippe                         - Mia sorella mi dava fastidio. E ho de­siderato che lei... andasse in un altro luogo.

Grandier                        - Sei assolta. Niente altro? (Pausa) Suv­via, c'è altra gente che aspetta.

Philippe                         - Ho avuto pensieri non puliti.

Grandier                        - Di quale natura?

Philippe                         - Riguardo a un uomo.

Grandier                        - Figlia mia...

Philippe                         - Nelle prime ore del mattino... la mia stanza da letto è calda da soffocare... Ho chiesto di portar via le tende di velluto... I miei pensieri im­putridiscono... eppure sono cosi teneri... il mio corpo... Padre... il mio corpo. Vorrei essere toccata.

Grandier                        - Hai tentato di reprimere questi pen­sieri.

Philippe                         - Si.

Grandier                        - Li hai sopportati con indulgenza?

Philippe                         - No. Ho pregato.

Grandier                        - Desideri esserne liberata? (Pausa) Ri­spondi, figlia mia.

Philippe                         - No! Voglio che mi prenda... no, che mi possieda... no! che mi distrugga. Vi amo. Lui. Lo amo! (Grandier esce dal confessionale pieno di com­passione. Dopo un momento tira la tenda e si vede Philippe. Sono l'uno di fronte all'altro)

De La Rochepozay, Adam e Mannoury stanno umil­mente davanti a lui.

De La Rochepozay       - Ho esaminato questo docu­mento che mi avete presentato contro il prete Gran­dier. Egli ci è noto come uomo empio e pericoloso. Alcuni mesi fa noi stessi siamo stati insultati e umi­liati dalla sua presenza. Ma ora questo non importa. Qual è la vostra lagnanza?

Mannoury                     - Pensiamo, signor vescovo, che Gran­dier dovrebbe essere interdetto ad esercitare la fun­zione sacerdotale.

De La Rochepozay       - Qual è la vostra professione?

Mannoury                     - Sono chirurgo.

De La Rochepozay       - Voi trovereste simpatico se venissi a darvi istruzioni su come regolarvi nei vostri affari?

Mannoury                     - Sono sempre pronto ad accettare con­sigli.

De La Rochepozay       - Non parlate come uno sciocco. Questo documento sudicio e mal scritto non ci dice nulla che già non sappiamo riguardo a quell'uomo. Accuse vaghe e parecchio isteriche a proposito di ve­dove solitarie e di vergini innamorate sono tutto ciò che posso leggervi. Non intendo condurre la mia dio­cesi come un ufficio di polizia.

Adam                            - Ha amici potenti.

De La Rochepozay       - Finitela di sussurrare. Che co­sa dite?

Adam                            - Grandier è protetto dai suoi amici.

De La Rochepozay       - Chi sono?

Mannoury                     - (ad Adam) Avanti.

Adam                            - D'Armagnac, De Cerisay. E altri.

De La Rochepozay       - Ammetto che le vostre inten­zioni nel venire qui erano ragionevoli. Tuttavia, se c'è qualcuno di cui diffido è proprio il buon citta­dino che si accinge a fare il suo dovere di citta­dino. I motivi che lo spingono sono in genere l'odio o il denaro. Ma io non ammetto le vostre opinioni, i vostri consigli e, nemmeno per un momento di più, la vostra presenza.

(Adam e Mannoury se ne vanno)

De La Rochepozay       - (al suo segretario) È essen­ziale che la chiesa sia protetta dal principio demo­cratico secondo il quale ogni uomo ha il diritto di esprimere la sua opinione. Questi due probabilmente hanno detto il vero, ma non si deve lasciar loro cre­dere di avere in qualche modo influenzato il nostro giudizio.

Jeanne sola con un libro di preghiere. È notte. Claire le si avvicina.

Claire                            - L'hanno consegnato proprio adesso alla porta. (Jeanne prende la lettera, rompe il sigillo, legge)

Jeanne                           - Ha rifiutato.

Claire                            - Padre Grandier?

Jeanne                           - (Jeanne legge ad atta voce) "Mia cara sorella, è con grande dolore che debbo rifiutare l'in­vito di diventare Direttore del vostro Convento. I numerosi doveri che ho in città non mi lascerebbero tempo di dedicare le mie energie al bene delle mie sorelle. Apprezzo molto quel che voi dite delle mie qualità e...” (Jeanne strappa la lettera e se la preme al corpo)

Jeanne                           - Grazie, sorella. (Claire esce. Jeanne resta sola) Che cos'è questo divino mistero. Fa' ch'io veda. Fa' ch'io veda. (Ride) Stavo per rivolgermi a Dio per questa faccenda. Abitudine, abitudine. Non va assolutamente bene. No. All'Uomo devo rivolgermi. (Essa sussurra il suo nome: Grandier) Svegliati. L'alba si è aperta per gli altri prima che per te. Guarda la piccola finestra grigia. E poi voltati. Ella giace accanto a te. Nel gesto della preghiera o dell'offerta. La sua bocca sa di vino e di mare. La sua pelle è liscia, serica. Puzza di sudore. Gli odori del suo corpo hanno soffocato nella notte il profumo del giorno. (Si intravvedono Philippe e Grandier) La guardi dall'alto. Che cosa senti? Tristezza? Deve essere tristezza. Tu sei un uomo. Ah, ora lei stira le braccia al di sopra della testa. Non ti senti commosso? Non sono i gesti sofisticati di una sgualdrina, checché tu possa asserire. Muove le gam­be, le intreccia, ti accosta un dito alle labbra e la bocca a quel dito. Sussurra. Sono parole che le fu­rono insegnate. Ripete una lezione. L'amore che ha ricevuto è sozzura e il parlarne è un atto di fede. (Ride improvvisamente) Che cosa hai fatto? Hai al­lungato una mano per afferrare le coperte che cade­vano, o per coprire la tua nudità? C'è dunque della modestia, qui? (Pausa. Stupita) Che strano, puoi ri­dere, anche. Ecco una cosa che non sapevo. Dolori, oblio, assurdità, mania. Questo pensavo ci fosse nel tuo letto. Ma il riso... Come sembrate giovani tutti e due. E sereni, ancora. La ragazza ti pesa tra le brac­cia. Ha sbadigliato, e hai sentito il brivido del suo corpo. Tremi, tuo malgrado. Guarda, il sole sta squar­ciando la nebbia sui campi. Stai per essere inghiot­tito dal giorno. Prendi quel che puoi. Prendete tutti e due quel che potete. Adesso. Adesso. (Scoppia a piangere) Questa frenesia, questa lacerazione della carne, questa carne sul banco di un macellaio. Dove sei? Amore? Amore? Cosa sei? Ora. Ora. Ora. (Jeanne cade sulle sue ginocchia, convulsa. Grandier e Philippe non si possono più vedere. In una giovane voce, soffo­cata) Oh, mio Signore, è questo? È questo? (Buio)

D'Armagnac, De Cerisay, De Laubardemont.

Laubardemont              - Non è questione di compromesso. Sono qui come Commissario Speciale di Sua Maestà, ma non sono autorizzato a negoziare. Mi spiace, D'Ar­magnac.

D'Armagnac                  - Sapete, Laubardemont, gli uomini adulti in questo paese cominciano a essere un po' stanchi delle figure paterne che continuano a sorge­re, cosi ci dicono, per il nostro bene. La Francia si può considerarla una donna, e una donna sottomessa, ma non un'infante.

Laubardemont              - Sono tendenzialmente d'accordo con voi. Ma non sono qui per discutere. Vi ho sem­plicemente portato un messaggio.

D'Armagnac                  - Un ordine. Demolire le fortifica­zioni.

Laubardemont              - Questo era il messaggio. E la ri­sposta?

D'Armagnac                  - Rifiuto.

Laubardemont              - Ho una sensazione strana.

D'Armagnac                  - Timore?

Laubardemont              - No, no. Semplicemente che siete stato influenzato in questa decisione. E che ci sia qualcuno che preme dietro la vostra ostinazione.

D'Armagnac                  - La decisione è interamente mia. Co­me governatore della città. (Grandier si avvicina)

D'Armagnac                  - Conoscete Padre Grandier?

Laubardemont              - Ne ho sentito parlare.

D'Armagnac                  - Bene, eccolo.

Laubardemont              - Ah, Padre, non potreste far va­lere la vostra influenza sul Governatore in questa fac­cenda della demolizione? Come uomo di pace sono certo che volete la pace.

Grandier                        - Come uomo di pace si, ma come uomo di principi preferisco che le mura della città riman­gano in piedi.

Laubardemont              - Capisco. Be', mi sembra che nes­suno sia dalla mia parte. Se cambierete idea, e spe­ro sinceramente che la cambiate, resterò a Loudun per qualche giorno. (Laubardemont se ne va)

D'Armagnac                  - Guardatelo, Grandier.

Grandier                        - Un ometto buffo.

D'Armagnac                  - Mio caro, siamo tutti dei romantici. Crediamo che le nostre vite debbano essere cambiate da un messaggero alato su un cavallo nero. Ma il più delle volte si tratta di un ometto malvestito, che s'intromette sul nostro cammino.

Un chiostro. - Jeanne e padre Mignon, uno sciocco vecchietto, camminano assieme.

Jeanne                           - Siamo tutte liete che siate stato in grado di accettare. Speriamo di potervi avere come Diret­tore per molti anni a venire.

Mignon                         - Siete molto gentile, figlia mia. La vo­stra sincera semplicità sembra assai commovente a un uomo vecchio come me.

Jeanne                           - Ci sono molti problemi in un luogo come questo. Avrò bisogno del vostro consiglio e della vo­stra guida.

Mignon                         - Sempre a vostra disposizione.

Jeanne                           - Per esempio qui quasi tutte le sorelle sono giovani. Penso che anche per voi la gioventù sia più esposta alla tentazione della vecchiaia.

Mignon                         - È cosi. Ricordo che quando ero giovane...

Jeanne                           - Io stessa...

Mignon                         - Come?

Jeanne                           - Stavo per dire che io stessa recentemente ho avuto visioni di natura diabolica.

Mignon                         - Vivendo vicino a Dio si diventa natu­ralmente preda del diavolo. Io non me ne preoccu­perei molto.

Jeanne                           - Posso parlarne ora che è giorno. Ma di notte...

Mignon                         - È assai noto, mia cara, che lo spirito è più debole nelle ore piccole.

Jeanne                           - Si. Ho potuto resistere alla visione. Do­po varie ore di preghiera ero di nuovo me stessa. Ma le apparizioni...

Mignon                         - Apparizioni...

Jeanne                           - Il defunto canonico Moussaut, il vostro predecessore, è venuto da me, di notte. S'è fermato ai piedi del letto.

Mignon                         - Ma è stata una visita affettuosa, figlia mia. Moussaut era un buon uomo, e voi gli volevate bene. Vi ha parlato?

Jeanne                           - Si.

Mignon                         - Che vi ha detto?

Jeanne                           - Sudicerie.

Mignon                         - Come?

Jeanne                           - Cose ignobili, sozzure. Oscenità maligne, orribili, odiose.

Mignon                         - Mia diletta sorella...

Jeanne                           - Ma non era lui in persona.

Mignon                         - Che intendete dire?

Jeanne                           - è venuto da me come un altro. Diverso.

Mignon                         - Lo avete riconosciuto?

Jeanne                           - Si.

Mignon                         - Chi era?

Jeanne                           - Grandier. Padre Grandier. (Pausa)

Mignon                         - Capite, mia cara, quant'è serio quel che mi state dicendo?

Jeanne                           - (calma) Si, aiutatemi, Padre.

Grandier nel pulpito.

Grandier                        -. . . Poiché vi sono alcuni malvagi che vanno per la città sparlando di me. Io li conosco. E li conoscerete anche voi quand'io vi dirò che chi­rurgia e farmacia si tengono per mano, putridume contro il muro. Hanno portato falsa testimonianza, spiano, strisciano, sogghignano. E il primo uomo che commise il peccato si chiama Adamo ed egli generò l'assassino. Perché mi perseguitano? Non sono mala­to! Che vengano qui, in questo santo luogo, qui da­vanti a me, e dichiarino il loro odio e me ne espon­gano le ragioni. Non ho timore di parlare apertamen­te di ciò che essi tentano di scoprire con mezzi fur­tivi. Se sono in questa chiesa, vengano, e si alzino davanti a me. (Pausa) No, sono in qualche buca a grattare, in modo che qualche putridume venga alla superficie per infettarci tutti; distillano bile nei cu­nicoli, svelano lussuria, invidia, corruzione, ad ogni abbassarsi dello scalpello. (Intanto De Laubardemont, con due segretari, si è avvicinato, ha ascoltato e si è allontanato) Oh miei diletti figli, io non dovrei parlarvi cosi in questo luogo. E non dovrei parlarvi con amarezza perché sono il vostro pastore. Essi mi han­no provocato all'ira? Dice il Signore: non provoche­ranno forse se stessi per la confusione dei loro stessi volti?

Adam e Mannoury.

Adam                            - Sono passate le dieci. Ci credereste?

Mannoury                     - Be', abbiamo fatto una bella chiac­chierata.

Adam                            - E cosa ne abbiamo cavato?

Mannoury                     - C'è qualcuno alla porta.

Adam                            - Impossibile.

Mannoury                     - Ma si. (Adam apre. Laubardemont è in piedi davanti alla porta)

Adam                            - Non si lavora oggi. Chiuso.

Laubardemont              - Il mio nome è Jean de Martin, Barone di Laubardemont. Sono il Commissario Spe­ciale di Sua Maestà per Loudun.

Adam                            - Posso aiutarvi?

Laubardemont              - Spero. (Entra in negozio) Sto vi­sitando la città per una specie di indagine.

Mannoury                     - (cauto) Siamo tutti e due onesti.

Laubardemont              - Lo so. Ecco perché sono qui. Ho sempre scoperto in casi simili a questo che in ogni città c'erano forse due uomini incorruttibili. In ge­nere intimi amici, professionisti, membri della classe media, la spina dorsale della nazione. Un profondo interesse per la città. Patriottismo. Figli morti in guerra. Matrimoni felici. Cercano di sbarcare il luna­rio nonostante le tasse. Vivono austeramente, ma amano circondarsi di cose belle. Ho detto bene, si­gnori?

Adam                            - È proprio cosi.

Laubardemont              - Bene. Voglio che mi diciate quan­to sapete di un uomo chiamato Grandier. Padre Grandier, della chiesa di San Pietro.

Adam                            - Finalmente, mio caro Mannoury!

Grandier e Philippe in un posto solitario.

Philippe                         - Ora devo andare.

Grandier                        - Si.

Philippe                         - Non mi piace camminare di notte per le strade. I cani abbaiano. Sentite. Anche adesso.

Grandier                        - Vorrei venire con te. Vorrei... Oh, pa­role, parole!

Philippe                         - Che c'è?

Grandier                        - Vieni qui. Sta' calma. Vorrei dirti...

Philippe                         - Si?

Grandier                        - Tu sai che fare all'amore...

Philippe                         - Si.

Grandier                        - Voglio dirtelo, Philippe. Tra i vestiti che si lasciano cadere sul pavimento, le lenzuola sporche, le istruzioni, tutto l'apparato, la chirurgia-in mezzo a tutto questo c'è una specie di passione del cuore.

Philippe                         - Lo so. È l'amore. L'amore degli uo­mini. (Pausa)

Grandier                        - Lo capisci?

Philippe                         - Penso di si.

Grandier                        - Ti amo io?

Philippe                         - Credo.

Grandier                        - Allora, che conforto posso darti? (Pausa)

Philippe                         - Sono una ragazza semplice io. Vedo il mondo e me stessa come mi hanno insegnato. Sono tanto colpevole ma il mio amore per Dio non mi ha abbandonata. Si dice che quelli che si amano come noi dovrebbero avere il coraggio di stare in piedi da­vanti a Dio. Credo che sia giusto. Io non avrei paura di presentarmi a Dio con te al mio fianco, anche se noi stiamo peccando, perché credo che Lui sia buo­no, saggio e sempre misericordioso. (Pausa)

Grandier                        - Mi fai vergognare di me stesso.

La farmacia. - De Laubardemont, Mannoury, Adam. Arriva padre Mignon.

Mignon                         - Non ho saputo altro dalla priora. Non posso provare nulla. Potrebbe essere semplicemente un'isterica.

Adam                            - Ha importanza?

Mignon                         - Sarei molto lieto se voi, Mannoury, nella vostra qualità di chirurgo, e voi, Adam, come farma­cista, poteste venire là.

Laubardemont              - Potrei venire anch'io come osser­vatore disinteressato?

Mignon                         - Certamente. Se è un caso genuino, più si è, e più... (Si ferma)

Laubardemont              - Stavate per dire e più si sta allegri?

Mignon                         - Ho mandato un messaggio a Padre Bar­re, a Chinon. Da queste parti è lui il maggior esperto in tali faccende.

Mannoury                     - Sarei davvero felice di darvi consi­gli medici, Padre.

Adam                            - E io di illuminarvi su tutte le manifesta­zioni chimiche e biologiche.

Mignon                         - Già si lamenta di un ingrossamento spa­stico, ma acuto del ventre.

Adam                            - Affascinante!

Mannoury                     - Non insolito. Una falsa sensazione di gravidanza. È stata già osservata prima. Nulla a che vedere con il diavolo. Aria?

Laubardemont              - Inutile congetturare. Sarò li do­mattina.

È l'alba. Jeanne è in preghiera a fianco del suo letto semplice.

Jeanne                           - Ti supplico, mio Dio, fa' di me una buo­na fanciulla. Abbi cura del mio buon padre e di mia madre e del mio cane, Capitano, che mi voleva be­ne e che non ha mai capito perché io tanto tempo fa lo avessi lasciato. Signore... Signore... mi piace­rebbe tanto farti delle bellissime preghiere, ma so pregare solo con il libro che è nella cappella. (Pausa) Amami. Amen. (Jeanne si alza ed esce in un grande spazio aperto dove si trovano De Laubardemont, Man­noury, Adam, Mignon, Rangier e Barre. Jeanne si av­vicina)

Barre                             - Lasciate che tratti io questa faccenda. Buon giorno, sorella, state bene?

Jeanne                           - Benissimo, grazie, Padre.

Barre                             - Ne sono lieto. Volete inginocchiarvi? (Jeanne si inginocchia. Barre va verso di lei)

Barre                             - (improvvisamente getta un grido) Ah! Sei là! Sei là! (Pausa. Agli altri) Non rispondono mai subito. Hanno paura di compromettersi. (a Jeanne) Suvvia, svelati! Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo... (Improvvisamente Jeanne getta indietro la testa e scoppi di risate maschili escono dalla sua bocca aperta e contorta)

Barre                             - (agli altri con soddisfazione) Funziona sempre il trucco.

Jeanne                           - (sempre con la voce profonda di un uomo) Qui stiamo e qui resteremo.

Barre                             - Una domanda.

Jeanne                           - Poooh!

Barre                             - Non essere impudente. Una domanda. Co­me sei riuscito a entrare in questa povera donna?

Jeanne                           - (sempre con la voce profonda) Per i buo­ni uffici di un amico.

Barre                             - Il suo nome?

Jeanne                           - Asmodée.

Barre                             - Questo è il tuo nome. E quello del tuo amico? (Jeanne si dondola sulle ginocchia. Getta gri­da inarticolate che a poco a poco diventano una pa­rola)

Jeanne                           - Grandier! Grandier! Grandier! (Un im­provviso scoppio di risa. Sipario)

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Nella chiesa di S. Pietro. È sera. Grandier è da­vanti all'altare: Philippe, in ginocchio un poco più in basso: Grandier tiene sollevato un piccolo vassoio.

Grandier                        - Benedic Domine, hunc annulum, quem nos in tuo nomine benedicimus, ut quae eum gestaverit, fidelitatem integram suo sponso te-nens, in pace et voluntate tua permaneat, atque in mutua cantate semper vivat. Per Christum Dominum nostrum.

Philippe                         - Amen.

Grandier                        - (spruzza l'anello con l'acqua santa e poi togliendolo dal piccolo vassoio scende a inginocchiar­si davanti a Philippe) Con questo anello io ti spo­so, questo oro e questo argento ti regalo: con il mio corpo ti adoro; e di tutti i miei beni terrestri ti faccio dono. (Grandier infila l'anello al pollice di Phi­lippe, dicendole) Nel nome del Padre (Poi nell'indice, dicendo) E del Figlio (Poi nel medio, dicendo) E dello Spirito Santo (Infine nell'anulare, dicendo) Amen. (Lascia qui l'anello, e sale i gradini dell'altare) Con­firma hoc, Deus, quod operatus est in nobis.

Philippe                         - A tempio sancto tuo, quod est in Jerusalem.

Grandier                        - Kyrie eleison.

Philippe                         - Christe eleison.

Grandier                        - Kyrie eleison. (Poi insieme)

Grandier e

Philippe                         - Pater noster. (Le loro voci diventano pian piano sempre più basse)

Una strada. Il fognaiolo è seduto tranquillo. Tiene in mano una gabbia con un uccello. Grandier e Phi­lippe escono dalla chiesa. È buio.

Philippe                         - È nella luce del sole che dovremmo camminare. Le campane dovrebbero parlare al nostro mondo. Non dovrebbe essere notte, una notte cosi quieta. Oh, Dio mio, mio caro sposo, baciami. (Si baciano. Il fognaiolo parla)

Fognaiolo                      - E cosi è fatto, vi ho visti entrare in Chiesa.

Grandier                        - È fatto, e fatto bene: canta il tuo uc­cello?

Fognaiolo                      - Non lo porto per questo, non ha la lingua.

Grandier                        - Allora gli sei affezionato?

Fognaiolo                      - Ecco un'idea che verrebbe in mente solo a un buono o a uno indifferente alla speranza. No, lo porto perché lui muoia e io possa vivere. È il mio salvatore: chi è il Vostro?

Grandier                        - Tu.

Fognaiolo                      - Bestemmio?

Grandier                        - Si.

Fognaiolo                      - Mi spiace. Conoscete i pozzi al mar­gine della città? Dove anche la Vostra diletta man­da cose per i miei secchielli? Bene, ci sono giorni in cui quel luogo emette un gas velenoso, cosi mi av­vicino sempre con questa creatura attaccata a un bastone davanti a me. Molti dei suoi predecessori so­no morti per i miasmi, e quando questo avviene so che devo girare al largo, lasciare che i canali di sco­lo restino sporchi per un giorno o due e passare il tempo cercando di catturare un'altra vittima da rinchiudere qui dentro. Avete capito cosa intendo? (Una pausa)

Grandier                        - Ho posto tutta la mia fiducia in que­sta creatura, non è una vittima.

Fognaiolo                      - Sarà come dite Voi...

Grandier                        - Su, su, anche in quest'ora senza spe­ranza devi ammettere che tra gli esseri umani av­viene qualcosa di più di ciò che dà lavoro a te e ai lavandai.

Fognaiolo                      - Non discuto.

Grandier                        - C'è un modo per salvarsi l'uno attra­verso l'altro.

Fognaiolo                      - State tentando di convincermi?

Grandier                        - Mi piacerebbe.

Fognaiolo                      - E voi? La piccola cerimonia ha messo in pace la vostra coscienza?

Grandier                        - Mi ha dato la speranza.

Fognaiolo                      - Speranza di che?

Grandier                        - Speranza di giungere a Dio per una via che passa attraverso un altro essere umano, spe­ranza che il sentiero, che preso da soli in tremenda solitudine è la via della disperazione, possa essere illuminato dall'amore di una donna. Sono giunto a credere che per questo semplice atto da me compiu­to con tutto il mio cuore possa essere possibile giun­gere a Dio per la via della felicità.

Fognaiolo                      - Che cos'era l'ultima parola?

Grandier                        - Felicità.

Fognaiolo                      - Non so cosa significhi, dovete averla fabbricata per l'occasione. (Vien giorno)

Philippe                         - Devo andare...

Fognaiolo                      - Si, bisogna che non trovino il letto vuoto. D'altro canto, non debbono neanche trovarlo troppo pieno...

Philippe                         - (a Grandier) Parlami.

Fognaiolo                      - Ditelo.

Grandier                        - Ti amo, Philippe. (Philippe se ne va)

Fognaiolo                      - A proposito d'amore, accadono al con­vento cose molto singolari.

Grandier                        - Cosi mi dicono...

Fognaiolo                      - Sembra che quelle folli signore fac­ciano un gran parlare di voi.

Grandier                        - Dobbiamo avere misericordia di loro.

Fognaiolo                      - E loro avranno misericordia di voi? Questo è il punto.

Grandier                        - Che intendi dire? Sono vittime di una allucinazione.

Fognaiolo                      - E che cosa eravate voi pochi minuti fa con quella ragazza?

Grandier                        - Ero nel pieno possesso della mia men­te e sapevo quel che tacevo. Puoi farti beffa di me, figlio mio, se lo desideri. Ma quello che a te sem­bra un atto senza significato, il matrimonio di un prete cui non è lecito sposarsi, per me conta moltis­simo. Coloro che sono soli e orgogliosi, hanno a volte bisogno di valersi dei mezzi più semplici. Io pure, prima, mi sono spesso beffato degli innocenti; la tua degradazione ti permette di guardarmi da una piat­taforma sacrilega: ma poiché sei più in alto, sii gen­tile, sii saggio. Abbi pietà di me. Abbi pietà di me.

Fognaiolo                      - Benissimo, e speriamo che quelle buo­ne donne di Sant'Orsola facciano lo stesso.

L'alba. Jeanne è in ginocchio. Di fronte a lei: Barre, Rangier, e Mignon.

Barre                             - Exorciso te, immundissime spiritus, om-nis incursio adversarii, omne phantasma, omnis legio, in nomine Domini nostri Jesus Christi, eradicare et effugare ab hoc plasmate Dei. (Rangier e Mignon si fanno innanzi. Mignon tiene la stola sopra la testa di Jeanne. Asmodée parla attraverso la bocca di Jeanne con voce profonda)

Asmodée                       - Signori miei state sciupando il vostro tempo. Voi bagnate questa donna ma non toccate me.

Barre                             - (a Mignon) Dammi le reliquie. (Mignon ten­de a Barre una scatoletta che viene applicata alla schiena di Jeanne) Adjuro te, serpens antique, per ju-dicem vivorum et mortuorum...

Asmodée                       - Scusatemi.

Barre                             - Per factorum tuum, per factorum mundi...

Asmodée                       - Mi spiace interrompervi.

Barre                             - Ebbene, che c'è?

Asmodée                       - Non capisco una parola di quel che di­te, sono un demonio pagano e il latino, suppongo che sia latino, per me è un linguaggio straniero.

Barre                             - Per tradizione gli esorcismi si fanno in latino.

Asmodée                       - Un bigotto, un conformista, ecco cosa siete. Non potremmo continuare la conversazione di prima, che tanto mi interessava, sulle attività ses­suali dei preti?

Barre                             - No di certo!

Asmodée                       - È vero che gli uomini della vostra par­rocchia... (Da' in una risatina folle) È vero che... che, si chinano in basso? Lasciatemelo dire sottovoce.

Jeanne                           - Oh mio Dio, liberami da questa cosa.

Asmodée                       - Sta' quieta donna, stai interrompendo una discussione teologica!

Jeanne                           - Padre, aiutatemi.

Barre                             - Mia cara figliola sto facendo quello che posso. (Barre conduce da una parte Rangier e Mi­gnon)

Barre                             - (a Rangier) Quello sciagurato crede di aver­mi sconfitto.

Asmodée                       - Ed è vero!

Barre                             - Sembra che al momento si trovi nella parte più bassa delle viscere. Adam e Mannoury so­no qui?

Rangier                         - Stanno aspettando, là dentro.

 Barre                            - Chiedete loro di prepararsi, vi prego, e nel frattempo consacrate l'acqua. (Rangier esce per una porticina bassa. Barre si volge a Jeanne)

Barre                             - Mia cara sorella, bisogna ricorrere a mi­sure estreme.

Jeanne                           - Che cosa intendete dire, Padre?

Barre                             - Bisogna costringere il nemico a uscire da voi con la forza.

Jeanne                           - Ma c'è qualche altro modo, oltre all'e­sorcismo?

Barre                             - Aah, aah, dicono che i diavoli prendono residenza soltanto negli innocenti, e in questo caso, è vero, mi sembra. Si, figlia mia, c'è un altro modo. (Urla) Mi senti Asmodée?

Asmodée                       - Misericordia, misericordia. (In questo caso la voce di Asmodée, assomiglia molto a quella di Jeanne)

Barre                             - (urla) Assurdo! (Una pausa, Rangier rientra dalla stanzetta interna)

Barre                             - Mio caro, come siete pallido, vi spaventa l'uso di questi sistemi nel nostro mestiere? Aspetta­te di avere l'esperienza che ho io; in ogni modo la Chiesa deve restare aggiornata coi tempi. (A Jeanne) Venite, mia cara sorella, oltre quella porticina, là c'è la vostra salvezza. Sembra una ragazzina, vero? Commovente. Hum! Su, avanti, ora ; graziosa, una ragazzina graziosa. (Solo pochi passi. Jeanne si muo­ve verso la porticina) E che la forza del bene ti spinga. Non molto lontano, li. (Ora Jeanne è in piedi sulla soglia della porta e guarda nella piccola stanza buia; poi tutt'a un tratto si dibatte fra le braccia di Barre urlando come un animale)

Barre                             - (con voce forte, piena di fiducia) Aiutami Rangier! (Rangier si avvicina e insieme tengono fer­ma la donna)

Jeanne                           - No! No! Non volevo questo...

Barre                             - Troppo tardi Asmodée. Vi aspettate mise­ricordia ora, dopo le bestemmie, e gli insulti contro nostro Signore.

Jeanne                           - Padre, Padre Barre, sono io che vi parlo, ora, sorella Jeanne degli Angeli.

Barre                             - Ah, Asmodée, tu parli con molte voci.

Jeanne                           - Ma sono io Padre, la diletta madre di questo convento. La protettrice delle fanciulle.

Barre                             - Silenzio, basta, portiamola dentro.

Rangier                         - Siete pronto Adam?

Adam                            - (da dentro) Prontissimo! (Barre e Rangier portano la donna, che si dibatte, nella stanza. La por­ta viene richiusa con un tonfo. Mignon, rimasto solo in scena cade in ginocchio e comincia a pregare. Si sente dalla stanza un urlo di Jeanne che si dissolve in singhiozzi e risate. Mignon prega più forte, con voce senza espressione, eccitata, che pian piano si abbassa e tace)

D'Armagnac, De Cerisay e Grandier avanzano verso il proscenio.

De Cerisay                    - Il diavolo, sembra, si è allontanato da quella donna alle due in punto.

D'Armagnac                  - E le altre?

De Cerisay                    - I padri ci stanno lavorando adesso.

D'Armagnac                  - Con lo stesso sistema?

De Cerisay                    - No, sembra che sistemata la priora riescano ad avere successo anche con metodi di esor­cismo più normali; un po' d'acqua santa, applicata esternamente, qualche preghiera, e i diavoli se ne vanno.

D'Armagnac                  - Allora si può sperare di avere un po' di pace.

De Cerisay                    - - Non lo so.

D'Armagnac                  - Non potete far nulla se ricomin­ciano? Come magistrato? Cose del genere, mi pare, turbano gravemente l'ordine della città.

De Cerisay                    - Ho visto Barre e Rangier l'altro giorno ed ho messo in dubbio la legalità dei loro si­stemi. Di conseguenza il giorno dopo mi hanno sbat­tuto in faccia la porta del convento. Mi metterei in una posizione molto difficile se usassi la forza con­tro i preti. Mi hanno chiesto di presenziare a un in­terrogatorio di suor Jeanne, e stavo appunto per an­darci.

D'Armagnac                  - (a Grandier) Sapete che il vostro no­me viene continuamente menzionato in questa fac­cenda?

Grandier                        - Si, Signore.

D'Armagnac                  - Non sarebbe una buona cosa se cer­caste di discolparvi?

De Cerisay                    - Avete in qualche modo offeso quella donna?

Grandier                        - Non so come avrei potuto, non l'ho mai vista.

De Cerisay                    - Allora, come mai vi ha accusato di averle scatenato addosso i suoi diavoli?

Grandier                        - Mi sembrate spaventato, De Cerisay. Scusatemi.

D'Armagnac                  - Siete voi che dovreste essere spa­ventato, Padre. Ci fu un caso, qualche anno fa. Non ricordo il nome di quell'uomo.

Grandier                        - Nemmeno io, poveraccio. Ce ne sono stati molti di questi casi, Signore.

D'Armagnac                  - Siete in pericolo.

Grandier                        - Di morte? Ma certo, non per una buf­fonata come quella che si sta architettando su al convento. Suvvia, Signore, la morte per un uomo come me deve essere qualcosa di più grande, di più significativo.

D'Armagnac                  - Come sono finiti quegli altri?

Grandier                        - Sul rogo. Ma erano personaggi ridicoli, oscuri, carne da macello, ecco.

De Cerisay                    - D'Armagnac ed io siamo disposti per quanto è possibile ad aiutarvi, Padre.

Grandier                        - Ma non capite che non c'è da preoccu­parsi? Venendo qui stamattina e sentendone chiac­chierare per strada, mi è venuto da ridere, e pen­savo che anche voi avreste riso. Quella donna, è ve­ramente posseduta?

De Cerisay                    - Per quanto mi risulta, no. Come vi dicevo, la vedrò oggi e vi farò sapere ciò che avvie­ne. Ma non avete ancora risposto alla mia domanda. Perché siete stato scelto voi?

Grandier                        - Donne che vivono isolate. Si dedicano a Dio, ma rimane qualcosa, che grida e chiede di es­sere dato all'uomo; questo qualcosa può essere dato sotto forma di carità quando una è veramente pura di cuore, ma per le più deboli, non è cosi facile. È triste, molto triste, veramente, se ci pensate: imma­ginate di essere risvegliato nella notte da un sogno del tutto innocente; un ricordo d'infanzia o di un amico che non vedete da anni, o anche la visione di un buon pasto. Ora, questo è un peccato, e cosi voi dovete prendere la vostra piccola frusta e sferzarvi il corpo. Noi questo lo chiamiamo disciplina, ma il dolore è sensualità. Nel suo vortice turbinano im­magini di orrore e di lussuria; e la mia diletta sorella in Gesù sembra abbia fissato la sua mente su di me. Non vi è alcuna ragione De Cerisay; un faz­zoletto lasciato cadere per terra, un biglietto scribac­chiato, un pettegolezzo, una qualsiasi cosa di questo genere, scoperta in quel deserto della mente e del corpo, prodotto delle preghiere continue, può portare speranza. E con la speranza, viene l'amore. E, come tutti sappiamo, con l'amore viene l'odio. Cosi io pos­seggo questa donna; Dio l'aiuti nel suo terrore e nella sua infelicità, Dio l'aiuti. (A D'Armagnac) Ora Signore, in quanto agli affari per cui vi ho reso vi­sita, ho qui i nuovi progetti per il vostro berceau. Volete venire a vederli? Ho modificato un poco il primo schema, che era un po' troppo frivolo, secon­do i vostri desideri. (Grandier e D'Armagnac escono. De Cerisay resta a guardarli un attimo e poi li segue)

Una stanza dall'alto soffitto con due piccoli letti. Jeanne è in uno dei lettini. Ci sono Barre, Rangier e Mignon, Adam e Mannoury, e c'è un segretario che scrive.

Barre                             - Cara sorella in Cristo, devo continuare con le mie domande.

Jeanne                           - Si, Padre.

Barre                             - Ricordate la prima volta che i vostri pen­sieri si volsero a queste cose malvagie?

Jeanne                           - Molto bene.

Barre                             - Raccontateci.

 Jeanne                          - Stavo camminando in giardino. Mi fer­mai. Ai miei piedi c'era un ramo di biancospino. E tutt'a un tratto mi sentii invadere da una collera peccaminosa, perché quella stessa mattina avevo do­vuto rimproverare due Sorelle che avevano trascu­rato il loro lavoro di giardinaggio. Piena di rabbia afferrai quella cosa che doveva essere piena di spi­ne, perché subito il mio corpo cominciò a sanguina­re, e vedendo il sangue, mi sentii colmare di tene­rezza.

Rangier                         - Ma la rivelazione può essere venuta da una sorgente molto diversa.

Barre                             - Comunque... (Al segretario) Avete scritto tutto?

Jeanne                           - E poi ci fu un'altra volta...

Barre                             - Raccontate!

Jeanne                           - Un giorno o due dopo. Era una bellissi­ma mattina, e avevo avuto una notte di sonno senza sogni. Sulla soglia della mia stanza c'era un mazzo di rose; lo sollevai, me lo infilai nella cintura, e im­provvisamente, il braccio destro incominciò a tre­marmi con violenza e mi sentii ossessionata da per­sistenti pensieri d'amore, e sebbene pregassi, non riu­scivo a pensare ad altro, ero colma dall'immagine di un uomo che aveva fatto su di me una profondissi­ma impressione.

Barre                             - Sapete chi avesse mandato quei fiori?

Jeanne                           - (una lunga pausa, poi con calma) Gran­dier! Grandier!

Barre                             - Qual è il suo stato?

Jeanne                           - Prete.

Barre                             - Di che chiesa?

Jeanne                           - Di San Pietro. (Barre si volge a guar­dare in silenzio De Cerisay)

De Cerisay                    - (serenamente) Questo non significa nulla. (Barre torna a volgersi a Jeanne)

Barre                             - Non ne siamo convinti, mia cara sorella, ed è inutile che vi ricordi che se non riuscirete a persuaderci, rischiate la dannazione eterna. (Jeanne improvvisamente si getta sul letto facendo digrignare i denti. Gli uomini si allontanano. Jeanne si rizza a sedere e li guarda con occhi sbarrati)

Barre                             - (con forza) Parlate! Parlate!

Jeanne                           - Era... era., notte. La fine del giorno.

Barre                             - Si?

Jeanne                           - Mi ero legata i capelli dietro la nuca e mi ero lavata il viso. Mi sembrava di essere tornata fanciulla, povera Jeanne, divenuta donna, finita, fi­nita.

Barre                             - Avanti!

Jeanne                           - Lui venne a me.

Barre                             - Dite il suo nome.

Jeanne                           - Grandier! Grandier! e il bel leone do­rato entrò sorridendo nella mia stanza.

Barre                             - Era solo?

Jeanne                           - No! Sei dei suoi servi erano con lui.

Barre                             - Poi?

Jeanne                           - Mi prese gentilmente tra le braccia e mi portò nella cappella. Ciascuno dei suoi servi prese una delle mie dilette sorelle.

Barre                             - Che cosa avvenne?

Jeanne                           - (sorridendo) Oh, caro Padre, pensate alla nostra piccola cappella, cosi semplice, cosi priva di ornamenti. Quella notte fu un luogo di lussuria e di ardore profumato. Lasciate che vi racconti: era pie­na di risa e di musica. C'erano velluti, sete e metal­li, e il pavimento non era pulito, no, affatto. Già, e c'era cibo, carne di animali pregiati, e vino, vino greve come i frutti dell'Oriente. Avevo già letto que­ste cose; e ci siamo impinzate.

De Cerisay                    - È una visione dell'inferno un po' troppo innocente.

Barre                             - Sss... continuate!

Jeanne                           - Dimenticavo... eravamo vestite in modo meraviglioso. Io indossavo abiti che sembravano far parte del mio corpo e più tardi, quando fui nuda, caddi fra le spine, si, c'erano spine sparse sul pavi­mento. Caddi in mezzo ad esse. Venite qui! (Fa cen­no a Barre che si inchina verso di lei. Sussurra qual­cosa e poi ride)

Barre                             - (freddamente) Dice che lei e le sorelle furono costrette a formare una specie di osceno al­tare e furono adorate. (Jeanne di nuovo sussurra e ride)

Barre                             - Dice che i demoni servivano Grandier e che le sue dilette sorelle la incitavano. Capite ciò che intendo dire, Signori... (Di nuovo Jeanne trae a sé Barre. Sussurra freneticamente e un poco alla volta le sue parole diventano udibili)

Jeanne                           -. . . e cosi, sconfiggemmo Dio, lo cacciam­mo dalla sua stessa casa. Egli fuggi, pieno di orrore davanti ai sensi esasperati da un'altra mano. Liberati da lui celebrammo la sua partenza ancora, ancora... (Ricade indietro sul letto) Per chi ha conosciuto ciò che ho conosciuto io, Dio è morto. Ho trovato la pace. (Una pausa. Mignon si è inginocchiato e sta pre­gando. Barre prende per il braccio De Cerisay e par­lando si allontanano un poco da Jeanne e dagli altri)

Barre                             - Era un'innocente.

De Cerisay                    - Non c'è stato nessun demonio. Ha parlato con la sua voce normale, la voce di un'infe­lice, è tutto.

Barre                             - Ma l'immaginazione depravata, il linguag­gio osceno usato nelle altre deposizioni, una donna rinchiusa in un chiostro non può averli, senza un aiuto dall'esterno. Questa è un'allieva.

De Cerisay                    - Di Grandier?

Barre                             - Si!

De Cerisay                    - Ma lui giura di non essere mai stato in questo posto.

Barre                             - Non in persona.

De Cerisay                    - Deve esserci un modo per dimostra­re ciò che lei afferma. Dovete autorizzare la mia gente a entrare qui e a condurvi un'indagine con i metodi della polizia.

Barre                             - Prova? Ma tre suore hanno dichiarato di essersi accoppiate con dei demoni e di esserne state defiorate. Poi Mannoury le ha esaminate e la verità è che nessuna di loro è intatta.

De Cerisay                    - Padre, non intendo offendere la vo­stra suscettibilità, ma tutti conosciamo le relazioni sentimentali che nascono in questi luoghi tra le giovani donne.

Barre                             - Non volete lasciarvi convincere?

De Cerisay                    - Si che lo voglio, di una cosa o dell'altra. (De Cerisay esce. Barre si volge verso Man­noury e Adam che si stanno avvicinando)

Adam                            - Be', eccoci qua.

Mannoury                     - Affascinante!

Adam                            - Insolito!

Mannoury                     - Devo dirlo. L'inferno non può essere noioso come certuni lo vedono. (Ride)

Adam                            - Che roba!

Mannoury                     - Sapete? ritengo che una relazione su questo caso, stampata privatamente, potrebbe ven­dersi parecchio. La scriviamo?

Adam                            - Scriviamola. (Si sono avvicinati a Barre)

Barre                             - L'avete esaminata?

Mannoury                     - Si. Vi farò avere più tardi il mio rapporto.

Barre                             - C'è qualcosa che potete dirmi e che nel frattempo potrebbe essermi utile?

Mannoury                     - Dal punto di vista professionale?

Adam                            - Parla anche a mio nome.

Mannoury                     - Preferisco non compromettermi.

Barre                             - Eppure...

Mannoury                     - Be', mettiamola cosi; ci sono state delle manipolazioni.

Barre                             - Non giocate con le parole. C'è stata for­nicazione.

Mannoury                     - Piuttosto.

Barre                             - Lussuria. È stata posseduta.

Adam                            - Direi.

Barre                             - Grazie Signori. È tutto ciò che mi oc­corre. Attenzione! (Essi restano in silenzio)

Si vede Grandier comminare lontano. Barre, Mi­gnon, e Adam escono di scena. Grandier si avvicina.

Philippe                         - (rapidamente va verso di lui) Dicono che sei stato a casa del Governatore.

Grandier                        - Vengo appunto di li. Che succede?

Philippe                         - Voglio sapere. Ero cosi inquieta la

 notte scorsa. Ho dovuto lasciarti prima che si fa­cesse chiaro e me ne sono andata più piano che ho potuto. Ti ho disturbato? È importante saperlo per me.

Grandier                        - Non ricordo, ma perché è importante?

Philippe                         - Tu non ricordi. (Scoppia in una risata improvvisa, aspra)

Grandier                        - Accompagnami fino alla chiesa.

Philippe                         - No.

Grandier                        - Benissimo.

Philippe                         - Non c'è bisogno di andare nel confes­sionale per dire quello che ho da dirti. (Una pausa) Sono incinta.

Grandier                        - È la fine.

Philippe                         - Ho paura...

Grandier                        - Naturalmente. Come potrei legittimare il bambino?

Philippe                         - Ho molta paura.

Grandier                        - E ci aveva dato tanto coraggio il no­stro amore, vero, Philippe, per tutte quelle notti d'estate. Impavidi eravamo ogni volta che ci prende­vamo fra le braccia e ridevamo stuzzicando la belva. Ricordi? Ed ora ci ha divorato.

Philippe                         - Aiutami!

Grandier                        - E noi dovevamo essere l'uno la salvez­za dell'altro. Davvero ho potuto credere che fosse possibile?

Philippe                         - Ti amo.

Grandier                        - Si. L'ho creduto. Ricordo di averti la­sciata un giorno, un giorno che eri stata particolar­mente appassionata.

Philippe                         - O Dio!

Grandier                        - Mi sentivo colmo di quella indecente fiducia che viene dopo l'amore perfetto, e mentre me ne andavo, pensavo, si pensavo solennemente che il corpo riesce a trascendere il suo scopo e può dive­nire talmente puro da poter essere adorato fino ai limiti dell'immaginazione. Qualunque cosa è conces­sa, tutto è giusto, ed è questa perfezione che ci fa capire la condizione abominevole dell'uomo.

Philippe                         - Toccami!

Grandier                        - Ma ora, che cosa c'è? Un uovo. Una cosa fatta di tedio, di disgusto, di nausee. È la fine.

Philippe                         - Dov'è l'amore?

Grandier                        - Già dove? Solo nei tuoi occhi. Va' da tuo padre. Digli la verità. Che trovi qualche buon uomo. Ce ne sono.

Philippe                         - Aiutami!

Grandier                        - Come posso aiutarti? Prendimi la mano. Ecco. È come toccare un morto, vero? Addio Philippe. (Grandier se ne va)

La Farmacia. Adam, Mannoury e Padre Mignon. Pa­dre Barre appare in cima alle scale, lancia un urlo rauco e si muove come un ubriaco. Gli altri sono allarmatissimi.

Barre                             - Mi si è proibito di entrare in convento sta­sera. Guardie armate.

Mignon                         - Dio mio, che è accaduto?

Barre                             - L'arcivescovo ha emesso una ordinanza per proibire ulteriori esorcismi e indagini.

Mignon                         - È impossibile!

Barre                             - E ciò dietro richiesta di De Cerisay e D'Armagnac. Per di più il medico personale dell'Arcive­scovo, quel pazzo razionalista, senza che io lo sapessi, ha incominciato ad esaminare le donne, e ha espresso la sua opinione. Esse non sono state veramente pos­sedute.

Mignon                         - Che dobbiamo fare? Oh, che dobbiamo fare? (Barre scende ed entra nella stanza)

Barre                             - De Cerisay lo considera un atto di giusti­zia. Non capisce che cose simili fanno il gioco del diavolo. Ammettete un dubbio ragionevole per i pec­cati di un uomo e se li prenderà il diavolo. Non ci possono essere dubbi sul peccato. O tutto, o niente!

Mignon                         - Naturalmente. Naturalmente. La giusti­zia non ha nulla a che fare con la salvezza. Sedetevi. Sedetevi.

Barre                             - Tutto il lavoro della mia vita è minacciato da un arcivescovo corrotto, da un medico liberale e da un avvocato ignorante. Ah, Signori, si fa festa stanotte all'inferno. (Una pausa)

Mannoury                     - Siamo finiti, allora?

Adam                            - Sembra.

Mannoury                     - Tutto all'aria.

Adam                            - Oh, povero me.

Mannoury                     - Peccato.

Mignon                         - Preghiamo.

Adam                            - Scusate?

Mignon                         - Preghiamo.

Adam                            - Perché?

Mignon                         - Be'! Lasciatemi pensare.

Adam                            - è un'idea?

Mignon                         - Ecco!

Adam                            - Si?

Mignon                         - Preghiamo perché l'Arcivescovo abbia una visione diabolica.

Barre                             - (a Mannoury) Me ne tornerò alla mia par­rocchia.

Mignon                         - (ad Adam).. . di natura particolarmente orribile...

Barre                             - (a Mannoury) C'è del lavoro per me laggiù.

Mignon                         - (ad Adam) Anche lui è un vecchio. Forse si potrebbe spaventarlo a morte.

Barre                             - Statevene calmo, Mignon. Ora delirate.

Mignon                         - Non lasciateci.

Barre                             - Devo!

Mignon                         - Naturalmente siete un po' depressi per questo incidente, ma troveremo un modo.

Barre                             - No. L'ordinanza dell'arcivescovo ha reso impossibile il male in questo luogo. Per il momento. Ma l'ordinanza non si applica alla mia parrocchia e potete esser certi che là Satana sta dando fiato alle trombe. E io debbo rispondere a questa chiamata.

Mignon                         - Sentiremo molto la vostra mancanza.

Barre                             - Mio caro amico, basta un sussurro dall'in­ferno e tornerò immediatamente.

D'Armagnac e De Cerisay davanti un tavolo. Grandier si avvicina con molta dignità.

Grandier                        - Credo di dovervi ringraziare, De Ceri­say, per aver fatto cessare questa persecuzione. Be', lo faccio adesso.

De Cerisay                    - L'ho fatto per il vostro bene, Padre, ma non solo per voi. Quella carnevalata su al con­vento incominciava ad attrarre un po' troppa atten­zione su questa città, e il mio dovere è che qui regni l'ordine.

D'Armagnac                  - Certo voi non rendete le cose facili ai vostri amici, Grandier. Trincant mi ha raccontato di sua figlia. Avevate già le vostre sgualdrine. Perché fare una cosa simile?

Grandier                        - Sembrava una via.

D'Armagnac                  - Una via verso che cosa?

Grandier                        - Per un uomo come me tutte le cose del mondo hanno un unico scopo. La politica, il potere, i sensi, la ricchezza, l'orgoglio, l'autorità. Le scelgo con la stessa cura con cui voi, signore, scegliete un'arma. Ma la mia intenzione è diversa: a me serve solo a volgerla contro me stesso.

D'Armagnac                    - Per giungere alla vostra rovina?

Grandier                          - Si, Ho molto bisogno di sentirmi unito con Dio. Vivere ha prosciugato dalle mie ossa il bi­sogno della vita. Usare i sensi mi ha spossato, fino all'esaurimento totale. Sono un morto costretto a vivere.

D'Armagnac                    - Mi disgustate! Questa è malattia.

Grandier                          - No, signore. Questo è il significato e lo scopo.

D'Armagnac                    - Non sono tipo da discussioni filoso­fiche io, ma ditemi una cosa. Capisco bene che la so­luzione più ovvia e più rapida, il suicidio, non è pos­sibile; ma creare le circostanze per la vostra morte, cioè quel che in pratica state facendo, non è ugual­mente peccaminoso?

Grandier                          - Lasciatemi qualche speranza.

D'Armagnac                    - La speranza che Dio sorrida dei vo­stri sforzi nel crearvi un nemico tanto maligno da portarvi alla rovina, e vi attiri a sé lassù?

Grandier                          - Si!

D'Armagnac                    - Ho qui una lettera di Parigi che do­vrebbe farvi felice. Appoggiandomi in questa faccenda delle fortificazioni, vi siete fatto due eccellenti nemici :

 Richeheu e il suo, come si chiama, padre Giuseppe. Per ora il Re è dalla mia parte contro il Cardinale, ma se il Re dovesse cambiare idea o tentennare, la città cadrebbe e voi probabilmente otterreste ciò che desiderate, perché siete molto coinvolto. Io comunque, continuerò a proteggervi da ciò che considero uno spaventoso proposito ed una filosofia blasfema.

Grandier                          - È ciò che cerco signore. Non cercate di impedirmelo. Pensate cosa deve essere. Sono giunto alla fine di un lungo giorno, ho caldo, sono ben nu­trito, soddisfatto. Vado a casa, e lungo il cammino guardo uno straniero, dall'altra parte della strada, o forse un bimbo. Saluto un amico, mi sdraio e mi chi­no sul viso di una donna che dorme; e vedo tutte queste cose con stupore e speranza, e domando a me stesso : è questo, forse, il mezzo per giungere alla mia fine? E mi viene negato. (Grandier improvvisamente si nasconde la faccia tra le mani) O mio Dio, mio Dio! Tutto mi abbandona.

D'Armagnac                  - Avete paura, Grandier?

Grandier                        - Si. Si. Si. Sono abbandonato.

Il giardino del convento. Jeanne e Claire sedute su una panchina. Louise e Gabrielle per terra, ai loro piedi. Due converse in piedi accanto a loro. C'è una gran pace.

Louise                             - Che cosa dobbiamo fare, Madre?

Jeanne                             - Fare?

Louise                             - La gente porta via i bambini dal con­vento.

Jeanne                             - Chi potrebbe fargliene una colpa?.

Claire                               - Non c'è più nessuno che ci aiuti. Dovremo fare noi stesse i lavori più faticosi. Stanca terribil­mente.

Jeanne                             - (scoppia a ridere) Perché non domandate ai diavoli di darvi una mano.

Claire                               - Madre!

Gabrielle                          - Io ho accettato qualcosa da lavare e da cucire. Spero non vi dispiaccia, Madre.

Jeanne                             - Sei una ragazza di buon senso. Se viene a mancare l'aiuto dell'inferno, ci si può sempre rifu­giare nel lavoro, no?

Gabrielle                          - So che vi è sempre dispiaciuto che fa­cessimo lavori manuali.

Jeanne                             - Dicevo che è umiliante per donne con la nostra vocazione. (Ride) Dicevo cosi?

Gabrielle                          - Si. (Pausa)

Louise                             - Madre?

Jeanne                             - - Si> figliuola?

Louise                             - Perché l'Arcivescovo ha proibito a Padre Barre di venire a trovarci?

Jeanne                             - Perché all'Arcivescovo è stato detto che siamo delle sciocche e che soffriamo di allucinazioni.

Louise                             - Madre?

Jeanne                             - Si?

Louise                             - Abbiamo peccato?

Jeanne                             - Per quello che abbiamo fatto?

Louise                             - Si. Ci siamo fatte beffe di Dio.

Jeanne                             - Non era nostra intenzione. Ma farsi bef­fe dell'uomo è una faccenda diversa. È una crea­tura talmente splendida che merita di essere presa in giro. Forse è stata creata proprio per questo scopo. Tiene la testa cosi in alto, inebriato dalle sue stesse imprese, che ci invita a fargli lo sgambetto. È cosi assorto ad inventare stupidaggini per giustificare la sua propria esistenza che è sordo alle risate, e non ha occhi che per se stesso. È cieco ai gesti di scherno che gli si fanno in faccia. E cosi, ubriaco, sordo e cieco va avanti. Un soggetto ideale per un brutto tiro. Ed è qui, sorelle care, che i figli della sventura, come me entrano in gioco. No, non ci facciamo beffa del nostro diletto Padre che è nei cieli. La nostra deri­sione è volta ai suoi sciagurati figli, peccatori, che cercano di elevarsi oltre la loro condizione sociale e che finiscono col credere di avere qualche altro scopo in questo mondo, oltre a quello di morire. Dopo le il­lusioni del potere, vengono le illusioni dell'amore. Quando gli uomini non riescono a distruggere, inco­minciano a credere di potersi salvare inserendosi in un'altra creatura umana, e perpetuandosi cosi. Amami, dicono e ripetono ancora, amami; voglimi bene! Difendimi! Salvami! Lo dicono alle mogli, alle amanti, ai bambini, e alcuni all'intera razza umana, ma mai a Dio. Questi sono probabilmente i più ridicoli di tutti, e i più degni di derisione poiché essi non capi­scono la gloria di essere mortali, il proposito dell'uo­mo, la solitudine e la morte. Rientriamo.

Sulle fortificazioni. È notte. D'Armagnac e De Cerisay entrano da due parti diverse. Sono avvolti nei mantelli perché sta piovendo e gridano per superare il rumore del vento.

De Cerisay                      - D'Armagnac, siete voi?

D'Armagnac                    - Il messaggero è caduto da cavallo nei pressi della città e hanno trovato per terra queste carte.

De Cerisay                      - Di che si tratta?

D'Armagnac                    - Il Re si è rimangiata la sua parola. Richelieu ha vinto. Le fortificazioni della città dovran­no essere abbattute. Loudun diventerà un villaggio. Non avrò più poteri di un bottegaio qualsiasi. (Grandier appare più in basso) Chi è là, il prete?

De Cerisay                      - Si. (Grida) Grandier!

Grandier                          - Che cosa c'è?

D'Armagnac                    - Il Cardinale si è mosso contro di noi.

De Cerisay                      - Il re ha ceduto.

D'Armagnac                    - Tutto questo verrà demolito.

De Cerisay                      - Si fa anche il vostro nome.

D'Armagnac                    - Non resteremo qui a lungo.

De Cerisay                      - Si racconta che vi siete opposto.

D'Armagnac                    - Siete in pericolo.

Grandier                          - Grazie Dio.

D'Armagnac                    - Che dite? Non riesco a sentirvi, siete pazzo? È pazzo? Scendiamo. (D'Armagnac e De Ceri­say escono. Grandier si inginocchia. Il vento e la piog­gia continuano ad imperversare attorno a lui)

Grandier                          - Oh, Padre celeste, hai ridato forza ai miei nemici, e speranza a questo peccatore. Mi affido alle mani del mondo, saldo nella fede nelle tue mi­steriose vie. Tu mi hai aperto questa strada. Com­prendo ed accetto. Ma Tu, ma la Tua Maestà è all'opera dietro un velo. Temo di alzare gli occhi e ve­dere. Rivelati! Rivelati! (La sua voce si perde. Pausa)

De Laubardemont e Mignon.

Laubardemont                 - Dovremo agire in fretta.

Mignon                            - Si, si.

Laubardemont                 - Devo partire per Parigi stasera.

Mignon                            - Cosi presto?

Laubardemont                 - Si potrebbe fare in tempo?

Mignon                            - Dobbiamo tentare.

Laubardemont                 - Cercate di ricordare qualche caso analogo.

Mignon                            - Ho consultato certi documenti. C'è lo spaventoso caso Gauffridy. A Marsiglia, venti anni fa. Un prete che stregò e costrinse alla prostituzione pa­recchie Orsoline.

Laubardemont                 - Non abbiamo bisogno di preceden­ti, ma di risultati. Qui e subito. Fatele entrare li. (Mi­gnon conduce avanti Jeanne. Li seguono Claire, Loui­se, Gabrielle e le due converse. De Laubardemont si trae in disparte)

Mignon                            - Mie care sorelle in Cristo, io sono sol­tanto un povero vecchio sciocco cui sulla terra non resta molto tempo per compiere la volontà di Dio.

Laubardemont                 - Be' allora, avanti, sbrigatevi!

Mignon                            - Figlie mie, avete fiducia in me?

Jeanne                             - Naturalmente, Padre.

Mignon                            - Come vostro tutore spirituale, avete fi­ducia in me?

Jeanne                             - Sempre!

Mignon                            - Bene. Io sono profondamente disturbato da questa improvvisa cessazione delle manifestazioni dei diavoli dentro di voi. Terribili storie vengono dif­fuse in questa città e anche più lontano. Si dice che non eravate veramente possedute dai demoni, ma che recitavate una parte, che vi prendevate gioco sia del vostro sublime stato di monache sia dei vostri supe­riori ecclesiastici.

Jeanne                             - Questo ci ha detto il dottore dell'Arcive­scovo: ha parlato di isterismo. Il grido dall'utero.

Mignon                            - Ma, come donna buona, dovevate dimostrargli che aveva torto. Oh, assicuratemi che era vero, che eravate posseduta.

Jeanne                             - Era vero. Siamo state possedute dall'in­ferno.

Mignon                            - E l'istigatore, il sudicio stregone.

Jeanne                             - Grandier! Grandier!

Le suore                          - Grandier! Grandier!

Mignon                            - Ma ora temo per voi, in un altro senso: tutte le prove vi sono contro. Il Silenzio dei demoni vi condanna. (Una pausa) Vedete, non parlano, non vi è alcuna prova della vostra virtù. Ah, sorelle, questa calma annuncia la vostra dannazione eterna. Io temo per voi, ho paura. Abbandonate da Dio e abbandonate dal diavolo, resterete per sempre nel limbo più de­solato. Vi prego, considerate la vostra posizione.

Jeanne                             - Padre. Abbiamo paura.

Mignon                            - E ne avete ben motivo, figlie mie.

Jeanne                             - Non abbandonateci.

Mignon                            - Che altro potrei fare? Pregherò per voi. (Mignon si volta verso De Laubardemont. Il Demonio Leviathan comincia a parlare attraverso Jeanne)

Leviathan                        - Potrei dire una parola?

Mignon                            - Dio sia lodato! Qual è il tuo nome?

Leviathan                        - Leviathan!

Mignon                            - Dove ti trovi, maledetto essere?

Leviathan                        - Nella fronte di questa donna, (Anche Beherit comincia a parlare attraverso Jeanne)

Beherit                            - Io sono nello stomaco della donna. Mi chiamo Beherit. (Anche Isacaaron comincia a parlare attraverso Jeanne)

Isacaaron                         - Parla Isacaaron. Sono sotto l'ultima co­stola a sinistra. (Elymi comincia a parlare attraverso Claire)

Elymi                               - Io sono qui. (Un'altra voce) E anch'io.

Eazaz                               - (comincia a parlare attraverso Louise) E io sono qui. (Un'altra voce) E anch'io sono qui. (Un cla­more di voci diaboliche; di risate, di squittii, di urla. De Laubardemont va verso Mignon)

Laubardemont                 - Bene! Bisogna richiamare Padre Barre da Chinon. Bisogna che incominci immediata­mente a esorcizzare in pubblico. Sarà presente un rap­presentante della Corte. Provvedete. (De Laubarde­mont esce. Mignon si precipita innanzi gridando)

Mignon                            - Aprite le porte; aprite le porte! (Una folla fluisce nella stanza. Uomini e donne della città. Il fognaiolo, Adam e Mannoury, Trincant, un nano, un trombettiere, donne che ridono, cani, bambini che per vedere meglio si arrampicano nei punti più alti. Le suore continuano la loro rappresentazione. La gen­te della città è molto interessata e divertita. C'è per­sino un gruppo che si è portato da mangiare e da bere. Suonano le campane della chiesa di S. Pietro. Barre entra in tutta la sua pompa. Porta un crocifisso d'oro incrostato di gioielli che splende nelle sue mani nervose. Rangier viene da un'altra parte. Tre carme­litane entrano da un altro angolo. Mignon si avvi­cina. Sono tutti riuniti.

Barre                               - Mi hanno mandato a chiamare.

Mignon                            - Si! Si!

Barre                               - Il trionfo del bene!

Mignon                            - È cosi!

Barre                               - De Cerisay...

Mignon                            - Bah!

Barre                               - D'Armagnac...

Mignon                            - Sozzura.

Barre                               - Sono qui?

Mignon                            - - No!

Rangier                            - Non osano farsi vedere.

Barre                               - Il trionfo del bene. Mi sono innamorato di questa frase; devo ripeterla: è il trionfo del bene. (Una conversa si torce ai piedi di Barre)

Barre                               - Pace, sorella. (Barre solleva il crocifisso e non sortendo alcun effetto incomincia a prendere sel­vaggiamente a calci la donna per indurla a spostarsi)

Rangier                            - L'inviato del Re è qui.

Barre                               - Chi hanno mandato?

Rangier                            - Il Principe Henry de Condé.

Barre                               - Uno di sangue reale.

Rangier                            - Nientemeno.

Barre                               - Magnifico(Grida) Guardie! (Entrano gli arcieri che spingono indietro la folla. Si fa quasi silenzio. Gli arcieri si allineano isolando le suore)

Leviathan                        - (comincia a parlare attraverso Jeanne con una voce molto forte) Dov'è il nemico?

Barre                               - (molto esaltato) Sono qui!

Leviathan                        - Chi sei?

Barre                               - Sono solo un umile uomo, ma parlo in no­me del Signore Gesù Cristo. (Un terribile urlo di Le­viathan. Una babele di voci degli altri diavoli. Gioia della folla)

Barre                               - Mignon: acqua, un messale, la stola, il ci­borio, l'unghia del santo, il pezzo della vera croce. Portatemi tutto.

Mignon                            - Le armi di Dio: eccole. (I carmelitani hanno portato le reliquie e le stanno sistemando)

Barre                               - Debbo prepararmi. (Si inginocchia e pre­ga. La folla resta silenziosa. Henry de Condé entra con i suoi paggi. Guarda per un momento Barre e poi parla)

Condé                             - Non desidero, mio caro Padre, disturbare le vostre devozioni e non proporrei mai che un mem­bro della famiglia reale avesse la precedenza su Dio, tuttavia...

Barre                               - (si è alzato in piedi) Sono al vostro servi­zio, Signore.

Condé                             - Grazie. Sono queste le indemoniate, sup­pongo.

Barre                               - Sono tutte possedute da uno o più demoni.

Condé                             - E l'istigatore sarebbe un uomo di questa città?

Barre                               - Si! Un prete.

Condé                             - Non mi sembrate divertito.

Barre                               - Divertito?

Condé                             - Non ha importanza.

Barre                               - Se volete prendere posto, Signore, io vor­rei cominciare.

Condé                             - Benissimo! (Condé va dove gli è stato pre­parato un sedile e si siede a guardare le suore che giacciono ora in un mucchio informe sul pavimento, esauste. Barre si sta vestendo con l'aiuto di Mignon e di Rangier. Condé attira a sé uno dei ragazzi)

Condé                             - (al ragazzo) Queste sono donne, caro, guar­dale bene. Vomita se vuoi, l'uomo nasce da loro, da queste cose grossolane, sudicie, da questo terreno da semina. Le uova vengono covate nel concime caldo. No, non arricciare il nasino, caro, annusa questo pro­fumo. Ad alcuni uomini piace, al Prete, a Grandier, per esempio. Lui, lui ci si lecca le dita con questa salsa. Lui... (Condé sussurra all'orecchio del ragazzo e ride. Barre intanto si è fatto innanzi)

Barre                               - Col vostro permesso, signore, vorrei comin­ciare.

Condé                             - Vi prego.

Barre                               - Ma per prima cosa devo fare una dichiara­zione. Questo, Signore, (solleva il ciborio) contiene il Santo Sacramento. (Barre pone il ciborio sulla sua testa e si inginocchia) Ti prego, Padre Celeste, che io possa essere maledetto, e che le maledizioni di Dathan e di Abiram cadano su di me se ho peccato o errato in qualche modo in questa faccenda.

Condé                             - Lodevole premessa. Bravo!

Barre                               - (si alza e si avvicina a Jeanne) Leviathan!

Leviathan                        - (parlando con voce sonnolenta attraverso Jeanne) Va' via.

Barre                               - Alzati in piedi!

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Mi sec­chi.

Barre                               - Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Non con­tinuare a introdurre nella conversazione il nome di quell'impostore.

Barre                               - Ti disturba, eh?

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Non pos­so sopportare gli sciocchi. Tutte quelle chiacchiere sull'amore hanno un effetto deprimente sul carattere, e per di più quel tale non era di nobile nascita.

Condé                             - Reverendo Padre?

Barre                               - Si Signore?

Condé                             - Noto che non parlate a queste creature in latino, come si usa di solito. Perché?

Barre                               - Questi diavoli non sono pratici della lin­gua; dovete sapere, Signore, che alcuni sono istruiti e

 altri no. Condé               - Capisco.

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Io non ho viaggiato molto. (Grandi risate anche degli altri diavoli)

Barre                               - Ascoltami, sozzura.

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Oh! Ri­corri sempre agli insulti, tu.

Barre                               - Ora sto per dirti un nome: Grandier!

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Oh, que­sto si che è un dolce suono. Dillo ancora!

Barre                               - Grandier!

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Si, mi piace.

Barre                               - Lo conosci?

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Lo cono­sciamo, vero?

Zàbulon                           - (parlando attraverso Claire) Si.

Isacaaron                         - (parlando attraverso Jeanne) Lo cono­sciamo, lo conosciamo.

Beherit                            - (parlando attraverso Jeanne) Grandier! Grandier!

Eazaz                               - (parlando attraverso Louise) Oh, amore mio, amore mio, tienimi stretta, prendimi, prendimi. Ah!...

Zàbulon                           - (parlando attraverso Claire) Grandier! Grandier!

Beherit                            - (parlando attraverso Jeanne) Grandier! Grandier!

Eazaz                               - (parlando attraverso Louise) Grandier! Grandier!

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Gran­dier! Grandier! (Un pandemonio)

Barre                               - Lasciate che uno parli per tutti! (Rangier e Mignon passano fra le donne spargendo acqua san­ta. Gradualmente gli strilli e le urla si placano)

Condé                             - Padre, potrei fare una domanda?

Barre                               - Ma prego, Signore. (Rangier, Mignon e i carmelitani spingono avanti le povere suore finché non vengono a trovarsi proprio davanti a Condé che le guarda)

Condé                             - (alle Sorelle) Signori, voi ci avete espresso la vostra opinione sul carattere e i meriti del nostro benedetto Salvatore. (Fischi da parte dei diavoli)

Condé                             - Chi di voi vorrà rispondermi su una fac­cenda di importanza puramente nazionale?

Beherit                            - (parlando attraverso Jeanne) Tenterò io!

Condé                             - Benissimo! Qual è il vostro nome?

Beherit                            - (parlando attraverso Jeanne) Beherit!

Condé                             - Bene Beherit. Ditemi un po'. Qual è la vo­stra opinione su Sua Maestà il Re di Francia? E sul Suo consigliere il gran Cardinale? (Silenzio) Suvvia, dovete pure avere opinioni politiche, o siete perples­so, come la maggior parte delle opposizioni, dovendo parlare con più di una voce?

Beherit                            - (parla attraverso Jeanne in un mormorio) Non capisco.

Condé                             - Mi capite benissimo, Beherit; se lodate il Re e i suoi ministri, per ciò stesso implicate che la loro politica è infernale. Se voi, Sorella Jeanne, li di­sprezzate, correte il rischio di essere accusata di tra­dimento. Ed io, che sono tanto potente, provo simpa­tia per le vostre difficoltà. Padre Barre? (Barre si a-vanza e Condé prende una scatoletta da uno dei suoi paggi) Ho qui una reliquia del più grande valore. Mi è stata data in prestito da una grande cattedrale del Nord. Ho l'impressione che i pezzi che siete riuscito a raccogliere da fonti locali non siano abbastanza po­tenti da scacciare questi terribili demoni. Cosi, per­ché non provate questo?

Barre                               - Che cosa c'è nella scatola, Signore?

Condé                             - È una fiala del sangue di nostro Signore Gesù Cristo. (Barre la prende con riverenza fra le ma­ni e la bacia) Ditemi, Padre, quale effetto avrebbe la stretta vicinanza di questa reliquia su demoni come questi?

Barre                               - Li farebbe fuggire.

Condé                             - Immediatamente?

Barre                               - Immediatamente! Ma naturalmente non garantisco che non tornino appena rimossa la reli­quia.

Condé                             - Già. Sarebbe chiedere troppo. Volete ten­tare? (Barre si avvicina a Jeanne)

Barre                               - Nel nome del nostro Padre Celeste vi scon­giuro, orribili creature, per questa sacra sostanza, al­lontanatevi! (Barre applica la scatola alla fronte di Jeanne. Immediatamente con urla orribili i demoni lasciano il suo corpo attraverso la bocca contorta. Si­lenzio. Jeanne si alza in piedi, parla con calma, con la voce di una giovinetta, la sua voce)

Jeanne                             - Sono libera! Sono libera! (Si avvicina a Condé; si inginocchia e gli bacia le mani)

Condé                             - Sono molto lieto di esservi stato utile, Si­gnora!

Barre                               - (trionfante) Lo vedete?

Condé                             - (riprende la scatola, l'apre e la rovescia. È vuota) Vedete Padre?

Barre                               - (dopo un,p.ttimo) Oh, Signore! Che razza di scherzo avete voluto giocarci?

Condé                             - Reverendo Signore, che razza di scherzo avete voluto giocare voi a noi? (Un silenzio. Condé sor­ride. La folla mormora. Le donne sono terrorizzate. La pausa è interrotta da Mignon che incomincia a corre­re in piccoli cerchi tenendosi la testa tra le mani)

Leviathan                        - (parla per la bocca di Mignon) Vi ho giocato di nuovo.

Beherit                            - (parla anche lui attraverso la voce di Mi­gnon) Fate posto.

                                        - (Mignon urla mentre Beherit cerca di entrare. Ran-gier improvvisamente incomincia a nitrire come un cavallo e a saltellare. Soltanto Jeanne resta immobile. Incomincia a ridere istericamente. C'è confusione tra la folla. Due donne sono colte da una crisi isterica. Barre le guarda pieno di orrore. Poi, tenendo il croci­fisso come una mazza, si tuffa fra i demoni che lo circondano)

Barre                               - Siamo assediati, andatevene immediata­mente da questo luogo. (/ carmelitani cercano di por­tar via le suore, Mignon che continua a danzare e Rangier. Le guardie disperdono la folla. Barre passa fra la gente, tenendo la croce alta sopra gli indemo­niati e sopra quelli che non lo sono).. . Per f actorem mundi, per eum qui habet potestatem mittendi te in gehennam, ut ab hoc famulo Dei, qui ad sinum Ec-clesiae recurrit, cum metu et exercitu furoris tui fe-stinus discedas. (Rangier, Mignon e le Sorelle si al­lontanano seguiti da Barre. La folla sbadigliando se ne torna a casa. Il ragazzo rimasto in piedi accanto a Condé continua a ridere convulsamente)

Condé                             - (sorridendo) Calmati bambino. (Guarda Jeanne che se ne sta in piedi, sola, poco lontana da lui) Madre, sono stato spesso accusato di essere un li­bertino, pazienza! Essendo nato cosi in alto, sono co­stretto a scendere più in basso degli altri uomini. So­no sudicio, sozzo, ma so quello che sto facendo e come pagherò. Direi, conoscendo il mondo, che avete deside­rato quest'uomo, Grandier. Ma sapete voi come dovete pagare? (Senza enfasi) La vostra anima immortale sa­rà dannata in un deserto infinito di eterna bestialità. (Condé e i ragazzi se ne vanno. Claire e Louise entra­no e si avvicinano a Jeanne con voci gaie)

Claire                               - Non sono mai stata molto brava a pregare.

Louise                             - E nemmeno io.

Claire                               - Avremmo potuto passare la vita ginoc­chioni!

Louise                             - E nessuno avrebbe saputo niente di noi.

Claire                               - In città vendono il mio ritratto.

Louise                             - Siamo famose in tutta la Francia.

Claire                               - Ti preoccupi ancora della dannazione?

Louise                             - Non più.

Claire                               - No da quando le tue belle gambe sono state tanto ammirate.

Louise                             - A che cosa pensi, adesso, dolcezza mia, nella Cappella?

Claire                               - A questo e a quello. Idee nuove.

Louise                             - E ti diverti?

Claire                               - Si. (Una campana) Andiamo. (Se ne vanno ridendo. Jeanne entra. Tace per un momento. Poi...)

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) Levati dalla testa le tue invenzioni, assurdo mostriciattolo.

Jeanne                             - Ho paura.

Leviathan                        - (sempre parlando attraverso Jeanne) Sciocchezze! Ti sosterremo qualsiasi cosa tu voglia fare.

Jeanne                             - Vorrei essere pura.

Leviathan                        - (sempre parlando attraverso Jeanne) Non esiste la purezza.

Jeanne                             - Oh Dio, oh Dio, si, esiste. (Si sentono voci di donne vicino alla cappella)

Leviathan                        - (parlando attraverso Jeanne) No, non esiste. Adesso pensa, mia cara, ricordati le visioni not­turne. Egli è venuto e... (Risatina oscena) Oh, quella cosa, e tu, a bocca aperta, no, no, tesoro mio, niente purezza, e nemmeno dignità. A che stai pensando? Non solo è tutto impuro, ma è tutto assurdo. Ricordi? (Jeanne comincia a ridere. Leviathan ride con lei. Buio)

Consiglio di Stato. Notte. Si scorgono figure in lontananza. Luigi XIII, re di Francia, Richelieu, Pa­dre Joseph e La Vrillière, segretario di Stato. Con­dé è appartato. De Laubardemont avanza e parla in Consiglio. Un segretario, in piedi vicino a lui, gli por­ge di tanto in tanto delle carte importanti.

Laubardemont                 - Vostra Maestà. Vostra Eminenza. Mi avete chiesto una relazione sul caso delle invasate di Loudun ; il nome dell'uomo è Urbano Grandier.

Condé                             - È innocente. (Tutti e due gli uomini si ri­volgono al Consiglio)

Laubardemont                 - Ho saputo dai preti del distretto, e da uomini di medicina di chiara fama, che la cosa è genuina.

Condé                             - Anch'io sono stato là. L'uomo è innocente.

Laubardemont                 - La casa di Grandier è stata per­quisita. Sono stati trovati vari manoscritti. C'era an­che un libretto scritto qualche anno fa contro vostra Eminenza. Altre carte mi hanno confermato che Gran­dier ha sostenuto D'Armagnac nel suo atteggiamento di sfida per fortificazioni della città, quelle che hanno tanto fatto inquietare la Maestà Vostra. C'erano lette­re e taccuini personali. È stato trovato un trattato sul celibato dei sacerdoti. Sembra che l'uomo fosse in­namorato quando lo scrisse. Si dice che tra quest'uo­mo e la figlia del Pubblico Ministero sia avvenuto un matrimonio per burla. E c'erano altre lettere di don­ne, da una delle quali possiamo dedurre che ha com­messo l'atto venereo in chiesa.

Condé                             - Per l'amore di Gesù Cristo, se desiderate distruggere quell'uomo, distruggetelo. Non sono qui ad implorare per la sua vita. Ma i vostri metodi sono vergognosi. Si merita di meglio. Chiunque si merite­rebbe di meglio. Schiacciatelo col potere, ma non an­date a rubacchiare in casa sua, per mostrare contro di lui prove di questa specie. Chi può risultare inno­cente, se accusato delle idiozie che ha commesso in gioventù, di vecchie lettere d'amore, e di oggetti pate­tici conservati nei cassetti o in fondo alla credenza, per paura di aver un giorno bisogno di ricordare che un tempo è stato amato? No. Distruggete un uomo per la sua resistenza, per la sua forza o per la sua poten­za. Ma non per questo! (Pausa)

Laubardemont                 - (al Consiglio) Vi darò ora tutte le prove a favore di quell'uomo... (Viene interrotto. A un segno di Richelieu il segretario si avvicina e prende un biglietto. Lo porta poi a De Laubardemont che lo legge forte) Non si deve mai credere al diavolo, an­che quando dice la verità. (Al Consiglio) Agirò secon­do le vostre istruzioni. (De Laubardemont viene avan­ti. Le guardie gli si raccolgono intorno. Escono)

Una brillante mattinata. Grandier va verso il fo­gnaiolo con le braccia cariche di fiori.

Fognaiolo                        - Be', cosa è questo?

Grandier                          - Li devo aver colti in qualche posto. Non ricordo dove. Prendili.

Fognaiolo                        - Grazie. Hanno un buon odore. Molto adatto.

Grandier                          - Posso sedere qui con te?

Fognaiolo                        - Certamente! Stamattina non ho pecca­ti, però, mi spiace.

Grandier                          - Lascia che ti guardi.

Fognaiolo                        - Vi piace quello che vedete?

Grandier                          - Moltissimo.

Fognaiolo                        - Cosa è successo? Siete ebbro di mi­stero.

Grandiek                         - Ero andato fuori città. Un vecchio sta­va morendo. Lo vegliai per due notti e un giorno. Vidi la morte per la centesima volta. Era una lotta osce­na. Lo è sempre. Ancora una volta, un vecchio rim­bambito, sciocco e peccatore ci ha messo molto per venire a patti. Mi stringeva la mano cosi forte che non potevo muovermi. La sua faccia contorta in una smorfia mi fissava in un'attonita sorpresa per ciò che gli stava accadendo. Cosi sedevo li, in mezzo all'odore rancido della cucina, mentre, nell'oscurità, i familiari tra un pianto e l'altro discutevano sussurrando, quan­to poteva essere il denaro nascosto sotto il letto. Era sporco, vecchio e non molto intelligente. Ed io lo ama­vo tanto. Lo invidiavo tanto, perché se ne stava sulla soglia della vita eterna. Volevo che volgesse il viso verso Dio, senza guardarsi indietro, nella luce fumo­sa, senza lasciarsi confondere da quei preliminari. Sii contento, gli dicevo, sii contento. Ma lui non capì. Il suo spirito si indeboli all'alba. Non avrebbe vissuto un altro giorno. Ci furono grida allarmate dei fami­liari. Presi le cose necessarie che porto sempre in que­sta borsa. I piccoli volgari peccati furono confessati e assolti e l'uomo potè morire. E mori. Brutalmente, tenendo duro fino all'ultimo. Dissi ciò che si dice in questi casi alla famiglia, con la mia faccia da prete. Il mio dovere era compiuto. Ma non potevo dimenti­care il mio amore per quell'uomo. Uscii dalla casa. Pensavo di tornare a piedi, e prendere un po' d'aria dopo aver passato tutto quel tempo in una camera mortuaria. Ero stanchissimo. Potevo sentire le cam­pane di S. Pietro. La strada era piena di polvere. Mi ricordai del giorno che venni qui. Avevo le scarpe nuo­ve. Erano bianche di polvere. Sapete, prima di essere ricevuto dall'Arcivescovo le spolverai con la stola. Ero fatuo e sciocco, allora. Ambizioso, anche. Continuai a camminare. C'era gente che lavorava nei campi e mi chiamava. Ricordai che da ragazzo mi piaceva il la­voro manuale. Ma mio padre diceva che non era adat­to a uno della mia nascita. Potevo vedere in lonta­nanza la mia Chiesa. Ero molto fiero, umilmente. Pen­savo al mio amore per la bellezza di questo non bel­lissimo luogo. E ricordai le notti là dentro, con l'oro, illuminato dalle candele, nell'oscurità. Poi ho pensato a voi. Vi ho ricordato come un amico. Mi riposai. La campagna si estendeva a perdita d'occhio. Sapete do­ve confluiscono i fiumi? Una volta feci all'amore, là. Lei era molto giovane. Dopo, lei corse ridendo nell'ac­qua. Dei bambini mi sorpassarono. Si, è proprio cosi che ebbi i fiori. Non li ho colti, me li hanno dati lo­ro. Li guardai andarsene. Ero molto stanco. Vedevo ben oltre il limite dove potevano arrivare i miei oc­chi. Castelli, città, montagne, oceani, pianure, fore­ste e... e poi... Oh, figlio mio, e poi... te lo voglio dire...

Fognaiolo                        - Fatelo. State calmo.

Grandier                          - Figlio mio, io... sono pazzo, io?

Fognaiolo                        - No, siete meravigliosamente sano. Dite­mi, cosa avete fatto?

Grandier                          - Ho creato Dio! (Una pausa) L'ho fatto dalla luce e dall'aria, dalla polvere della strada, dal sudore delle mie mani, dall'oro, dalla sporcizia, dal­la memoria dei visi di donne, dai grandi fiumi, dai bambini, dalle opere dell'uomo, dal passato, dal pre­sente, dal futuro e dall'ignoto. Lo feci emergere dal terrore e dalla disperazione. Mi servii di ogni cosa per questo atto possente, di tutto ciò che ho raggiun­to, visto e provato. Il mio peccato, la mia presunzione, la mia vanità, il mio amore, il mio odio, la mia lus­suria. E alla fine donai me stesso e cosi creai Iddio ed era meraviglioso. Poiché Egli è tutte queste cose. Ero proprio in Sua presenza. Mi inginocchiai sulla strada. Presi il pane ed il vino... Panem vinum in salutis consacramus hostiam. E in questo abbandono Egli si diede umilmente e fedelmente a me, come io mi ero dato a Lui. (Pausa)

Fognaiolo                        - Avete trovato la pace.

Grandier                          - Di più. Il significato.

Fognaiolo                        - Ne sono felice.

Grandier                          - E ho scoperto il perché figlio mio.

Fognaiolo                        - Questa è saggezza.

 

Grandier                          - Devo andare, ora. Devo andare ad ado-rarLo nella Sua Casa. Ad adorarLo sul Suo altare. De­vo andare in Chiesa. (Grandier avanza ed entra in Chiesa dove i soldati lo attendono ai piedi dell'altare. De Laubardemont viene avanti)

Laubardemont                 - Vi è vietato entrare in questo luogo.

Grandier                          - Vietato?

Laubardemont                 - Siete un prete empio e libertino. Non dovete entrare.

Grandier                          - È la mia Chiesa! La mia diletta Chiesa.

Laubardemont                 - Non lo è più. Siete in arresto. Le accuse vi saranno lette. Venite con me. Portatelo via. (Grandier viene condotto tra i soldati fuori della Chie­sa alla luce del sole. De Laubardemont è in testa al corteo. Scendono lungo la via. Adam, Mannoury e Trincant si affacciano da una finestra in alto con un sorriso di scherno. Philippe guarda. C'è un vecchio si­lenzioso al suo fianco. Rangier e Mignon entrano in Chiesa con un turibolo, intonando una preghiera, per esorcizzarlo. Barre è inginocchiato sulla strada. Il fo­gnaiolo sta a guardare. Dei cittadini gli si raccolgono intorno, rumorosi, facendo domande. E mentre Gran­dier cammina, la Chiesa e la strada si riempiono del clamore e delle risa dei demoni che escono da tutte le bocche. Risa, risa)

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

È notte. Una cella e sopra un'altra stanza. Grandier è solo. Si sentono in lontananza risa e grida di una folla invisibile. Bontemps, un carceriere, si avvicina a Grandier.

Bontemps                        - Avete dormito?

Grandier                          - No. Il rumore. La folla. Hanno dormi­to, quelli?

Bontemps                        - Trentamila ne sono venuti in città. Do­ve volete che li trovassero i letti?

Grandier                          - E poi perché dovrebbero aver voglia di dormire? Dormivo, io da bambino, la notte prima del­la festa?

Bontemps                        - Certo, aspettano con impazienza.

Grandier                          - Che cosa? Ditelo.

Bontemps                        - L'esecuzione.

Grandier                          - Non sono stato ancora processato.

Bontemps                        - Be', come volete. Il processo allora.

Grandier                          - Siete misericordioso?

Bontemps                        - Sentite, questo è il vostro sistema. Sia­te grato che ci siano uomini per fare il lavoro. Non pretendete che siano anche umani. Sono venuto per dirvi che sarete chiamato molto presto. E adesso cer­cate di dormire.

Grandier                          - Grazie.

Bontemps                        - Desiderate qualcosa? Non ho molto da offrirvi.

Grandier                          - Nulla. Nulla.

Jeanne e Padre Mignon.

Jeanne                             - Non andate via!

Mignon                            - Sono le tre del mattino. Sono vecchio. Ho bisogno di sonno.

Jeanne                             - Non voglio rimanere sola con lui.

Mignon                            - Col vostro persecutore? Grandier?

Jeanne                             - Si.

Mignon                            - È ben custodito.

Jeanne                             - No. È qui. Dentro di me. Come un bam­bino. Non mi ha mai rivelato che specie di uomo era. Sapevo solo che era bello. Molti lo dicevano anche intelligente e molti malvagio. Ma, nonostante tutta la violenza da lui fatta alla mia anima e al mio corpo, non è mai venuto a me se non con amore. No, lascia­temi parlare. È in me, vi dico. Ne sono posseduta. Se ne sta immobile, sotto il mio cuore, vive del mio respiro e del mio sangue. E mi fa paura. Ho paura di aver commesso l'errore più grave che si possa commettere.

Mignon                            - Che intendete dire?

Jeanne                             - Se mi fossi sbagliata? Se Satana avesse assunto l'aspetto del mio amore, del mio tesoro, per ingannarmi?

Mignon                            - Impossibile. Quell'uomo è il suo agente.

Jeanne                             - Ho un corpo cosi piccolo. E un cosi pic­colo campo di battaglia per decidervi questa terribile lotta tra il bene e il male, tra l'amore e l'odio. Ho sbagliato a permetterlo?

Mignon                            - No, no. Non capite? Questi stessi pensie­ri vi sono stati messi nella mente dalle forze del ma­le. È un errore credere che l'inferno combatta sempre nel fragore delle armi. È adesso, in queste ore del mattino, che Satana manda i suoi agenti segreti, a sussurrare messaggi di dubbio.

Jeanne                             - Non so. Non so. Parlate tutti con tante voci. E io sono molto stanca. (.Grida) Padre! Padre!

Grandier solo nella sua cella.

Grandier                          - Ci sarà dolore. Ucciderà Iddio. Il terro­re già lo scaccia fuori da me. Si, si. Siamo mosche sul muro. Ronziamo per il caldo. È cosi. È cosi. No, no. Siamo mostri fabbricati in un giorno. Argilla nel­le mani di un bambino. È orribile che ci si possa im­bottigliare e appendere in farmacia, come curiosità, per il divertimento degli altri. Cosi. Nulla. Sarò ca­pace di sopportare il dolore? Madre, madre, ricor­dati della mia paura! Oh, nulla. Stamattina, per stra­da. Che cos'era? Una piccola illusione. Un inganno del sole, una certa stanchezza del corpo, e l'uomo inco­mincia a credersi immortale. Guardate me, ora. Mi torco le mani, e cerco di convincermi che questa car­ne e queste ossa hanno un significato. Triste, triste, però, molto triste. Far vedere a un uomo la mattina cosa potrebbe essere la gloria, e strappargliela via la sera. Oh, grande Padre celeste, sebbene mi dibatta tra le tue braccia come un bambino irrequieto... questo bisogno di arrivare a un significato. Che arroganza è questa! Superflui, ecco cosa siamo! Un nulla che cam­mina verso un altro nulla. Voglio guardare in questo vuoto. Voglio guardare. C'è una cosa, passata o pre­sente, in me stesso che abbia uno scopo? (Pausa) Nulla, nulla. Chi è là? (È entrato Padre Amorose, un vecchio)

Ambrose                          - Mi chiamo Ambrose.

Grandier                          - Vi conosco, Padre.

Ambrose                          - Mi hanno detto delle vostre pene, figlio­lo. La notte può essere molto lunga.

Grandier                          - Si. State con me.

Ambrose                          - Pensavo di leggervi qualcosa. O, se pre­ferite, possiamo pregare insieme.

Grandier                          - No. Aiutatemi.

Ambrose                          - Tenterò.

Grandier                          - Stanno distruggendo la mia fede. Per adesso col terrore e con la solitudine, poi, più tardi, col dolore.

Ambrose                          - Rivolgetevi a Dio, figliolo.

Grandier                          - Un nulla che cammina verso il nulla.

Ambrose                          - Dio è qui. E Cristo è adesso.

Grandier                          - Si. È la mia fede. Ma come posso di­fenderla?

Ambrose                          - Ricordandovi della volontà di Dio.

Grandier                          - Si. Si.

Ambrose                          - Ricordando che nulla dobbiamo chieder­gli, e nulla rifiutargli.

Grandier                          - Si. Ma questo è tutto nei libri. Li ho Ietti, li ho compresi. E non mi basta. Non mi basta. Non adesso.

Ambrose                          - Dio è qui, e Cristo è qui.

Grandier                          - Voi siete vecchio. Non avete imparato altro che queste ciarle in tanti anni? Oh, scusatemi. Siete venuto per pura carità. L'unico che lo abbia fat­to. Scusatemi. (Ambrose apre un libro. Lascia cadere i suoi occhiali che Grandier raccoglie e gli dà)

Ambrose                          - Bisogna accettare la sofferenza, accetta­re l'afflizione, accettare l'umiliazione e nell'atto ac­cettare...

Grandier                          - Si comprenderà. Lo so. Lo so.

Ambrose                          - Allora sapete tutto.

Grandier                          - Non so nulla io. Parlatemi come a un uomo, Padre. Parlate di cose semplici.

Ambrose                          - Sono venuto per aiutarvi, figliolo.

Grandier                          - Potete aiutarmi. Parlandomi da uomo. Chiudete i vostri libri. Dimenticate le parole degli al­tri. Parlatemi.

Ambrose                          - Ah, voi credete ci sia qualche segreto nella semplicità. Sono un uomo semplice, è vero. Non ho mai avuto grandi dubbi. Timido, non bello, ho avuto meno tentazioni degli altri, naturalmente. Il diavolo ama cose più splendide di quelle che io pote­vo offrirgli. Un contadinello che si aggrappò all'amo­re di Dio perché era troppo goffo per chiedere l'amo­re umano. Non sono un buon esempio, figliolo. Per questo ho portato i libri.

Grandier                          - Non avete un gran concetto di voi stes­so. Cosa dobbiamo dare a Dio?

Ambrose                          - Noi stessi.

Grandier                          - Ma io non sono degno.

Ambrose                          - Avete molto peccato?

Grandier                          - Molto.

Ambrose                          - Anche le ragazzine oggi vengono da me e mi confessano cose che non capisco. Perciò, è molto improbabile che possa capire i peccati di un giovane di mondo come voi. Ma lasciatemi tentare.

Grandier                          - Ci sono state donne e lussuria; potere e ambizione; mondanità e raggiri.

Ambrose                          - Ricordate. Dio è qui. State parlando da­vanti a Lui. Cristo è adesso. State soffrendo con Lui.

Grandier                          - Ho paura del dolore che deve venire. Dell'umiliazione.

Ambrose                          - Avete avuto paura dell'estasi d'amore?

Grandier                          - No.

Ambrose                          - O della sua umiliazione?

Grandier                          - Me ne gloriavo. Ho vissuto attraverso i sensi.

Ambrose                          - Allora morite attraverso di loro.

Grandier                          - Che cosa avete detto?

Ambrose                          - Offrite a Dio il dolore, le convulsioni e il disgusto.

Grandier                          - Si. Dargli me stesso.

Ambrose                          - Lasciate che Si riveli nell'unico modo che voi potete capire.

Grandier                          - Si! Si!

Ambrose                          - È tutto ciò che ognuno di noi può fare. Viviamo per breve tempo e in quel breve tempo pec­chiamo. Andiamo a Lui come possiamo. Tutto ci vie­ne perdonato.

Grandier                          - Si. Io sono la Sua creatura. È vero. Che Egli mi prenda, quale io sono. Questo è il significato. C'è un significato dopo tutto. Sono un peccatore e posso essere accettato. Non è il nulla che va verso il nulla. È il peccato che va verso il perdono. È una creatura umana che va verso l'amore. (È entrato Bontemps)

Bontemps                        - Deve andarsene questo. Se volete un prete dicono che potete chiedere di padre Barre o di Padre Rangier.

Grandier                          - Dicono?

Bontemps                        - Là fuori.

Grandier                          - De Laubardemont?

Bontemps                        - Esatto.

Ambrose                          - Devo andarmene? Dice che devo andar­mene?

Grandier                          - Si, Padre. La vostra innocenza è perico­losa. Ma sono arrivati troppo tardi.

Ambrose                          - Non capisco.

Grandier                          - È meglio cosi. Lasciate che vi abbracci. (Bontemps e padre Ambrose se ne vanno. Grandier resta solo) Come? Lacrime? Quando è stata l'ultima volta che ciò è accaduto? Perché queste lacrime? Si deve piangere ciò che si è perduto, non quel che si è trovato. Poiché Dio è qui.

Luce improvvisa. Risate. Claire, Gabrielle e Louise escono all'aperto.

Gabrielle                          - La città sembra una fiera.

Claire                               - Tutta notte hanno cantato, non lontano dalla mia finestra.

Gabrielle                          - _ Ci sono gli acrobati. Vorrei poterli ve­dere. Adoro gli acrobati.

Claire                               - Non ne abbiamo fatte abbastanza di acro­bazie? (Ridono)

Louise                             - Sembra che non riusciamo più a divertire la gente. Più nessuno dei Padri o dei grandi parigini è venuto da noi in questi giorni. (Jeanne si avvicina inosservata)

Jeanne                             - Dovete capire, Louise, che i beniamini del pubblico hanno il loro giorno e che questo finisce, co­me ogni altro giorno.

Louise                             - È tutto finito, madre.

Jeanne                             - Tra poco. Questa mattina egli apparirà davanti ai giudici per la sua ultima dichiarazione.

Louise                             - Non intendevo Padre Grandier. Intendevo noi. Che cosa faremo...

Jeanne                             - Poi emetteranno la sentenza. E alla fine ci sarà la tortura.

Louise                             - Ma cosa accadrà di noi, Madre?

Jeanne                             - Vivremo. Avete tutta la vita davanti a voi, piccola Louise. Pensate a questo.

Una stanzetta. Mannoury è solo. Entra Adam.

Adam                              - Salve.

Mannoury                        - Salve.

Adam                              - Vi hanno mandato a chiamare?

Mannoury                        - Si.

Adam                              - Anche me. De Laubardemont?

Mannoury                        - Lui.

Adam                              - Ho portato la mia roba. E voi?

Mannoury                        - Si.

Adam                              - Quel che credevo necessario.

Mannoury                        - È difficile a dirlo, no?

Adam                              - L'avete già fatto prima?

Mannoury                        - No.

Adam                              - Nemmeno io. Hm. Fa freddo qua dentro.

Mannoury                        - Già.

Adam                              - Freddo anche fuori.

Mannoury                        - Già.

Adam                              - Per un giorno d'estate.

Mannoury                        - Agosto. Già. (Entra De Laubardemont)

Laubardemont                 - Bungiorno, signori. Sono lieto di trovarvi qui. Lo stanno riportando dal tribunale. Do­vrebbe essere per strada.

Mannoury                        - Che cosa volete che facciamo esatta­mente?

Laubardemont                 - Prepararlo. Si è giunti ad una de­cisione. All'unanimità. È stato condannato,

Adam                              - Bene. Bene.

Mannoury                        - Non ci sorprende.

Adam                              - Già.

Laubardemont                 - Dovete fare molto in fretta. Gli hanno dimostrato un'enorme simpatia quando ha fat­to la sua dichiarazione. Ci sono state anche lacrime malsane. Lo voglio dunque pronto a tornar là per udire la sentenza il più presto possibile.

Mannoury                        - Faremo del nostro meglio.

Laubardemont                 - Adam, vorreste essere tanto corte­se da cercare il carceriere? Sta procurando tutto il necessario. Lo porterete dentro voi.

Adam                              - Benissimo. (Adam esce)

Laubardemont                 - Quell'uomo ha fatto una certa im­pressione. Padre Barre ha spiegato che era opera del diavolo. Ha detto che la calma è la sfacciata inso­lenza dell'inferno, e la dignità null'altro che orgoglio incapace di pentimento. Eppure ha fatto impressione. (Grandier viene portato dentro da un capitano delle guardie. Indossa i suoi panni sacerdotali. Ha un aspet­to maestoso)

Grandier                          - Buon giorno, signor chirurgo.

Mannoury                        - Buon giorno a voi.

Grandier                          - Ho già visto De Laubardemont.

Laubardemont                 - Dovete tornare immediatamente al tribunale.

Grandier                          - Benissimo.

Laubardemont                 - Per la sentenza.

Grandier                          - Capisco.

Laubardemont                 - Perciò ora devo chiedervi di spo­gliarvi.

Grandier                          - Spogliarmi?

Laubardemont                 - Non potete andare vestito cosi.

Grandier                          - Suppongo di no. (Grandier si toglie la berretta da prete, e incomincia poi a togliersi anche il mantello. Entra Adam insieme a Bontemps. Porta un vassoio sul quale è una tazza d'acqua, dell'olio e un rasoio)

Grandier                          - Buon giorno, signor Farmacista. Cosa

 avete li?

Adam                              - (balbettando) Il rasoio.

Grandier                          - (dopo un momento. A De Laubardemont) Si deve fare anche questo?

Laubardemont                 - Si. Ordine del tribunale. (Man­noury solleva il rasoio e lo prova sul pollice)

Grandier                          - Ebbene, signor chirurgo, a questo vi hanno portato tutti i vostri studi e tutta la vostra esperienza. Quelle notti passate a discutere l'esistenza dell'esistenza vi hanno portato solo a questo. A fare il barbiere.

Laubardemont                 - Sbrigatevi.

Grandier                          - Solo un momento. (Grandier si tocca i riccioli neri e poi i baffi) Avete uno specchio?

Laubardemont                 - No, no. Naturalmente no.

Bontemps                        - Eccolo. (Bontemps prende dal vassoio una tazza di metallo vuota, ne pulisce il fondo sulla manica e la dà a Grandier. Costui resta a lungo im­mobile guardando la sua immagine riflessa)

Una piazza. Una gran folla. Gente di città e gente di campagna. Qualcuno sbadiglia, si chiamano gli uni cogli altri, da una parte una specie di tribuna dove prendono posto le donne ben vestite della bor­ghesia. Chiacchierano. C'è anche un segretario con un mucchio di libri. Improvvisamente si fa silenzio. Tut­te le teste si voltano verso di noi. Il segretario si alza in piedi e legge.

Segretario                        - Urbano Grandier siete stato ricono­sciuto colpevole di commercio con il demonio. E di aver sfruttato questa empia alleanza per possedere, sedurre e corrompere alcune suore dell'Ordine di San­t'Orsola i cui nomi sono contenuti per esteso in que­sto documento. Siete stato anche riconosciuto colpe­vole di oscenità, bestemmie e sacrilegio. Si ordina quindi che andiate a inginocchiarvi davanti alle por­te della Chiesa di San Pietro e di Sant'Orsola e là, con una corda al collo e una candela da due libbre in mano, domandiate perdono a Dio, al Re e alla Giu­stizia. Si ordina inoltre che siate condotto nella piaz­za della Santa Croce, legato al palo e bruciato vivo; dopo di che le vostre ceneri saranno sparse ai quat­tro venti. Si è deciso di porre una targa commemo­rativa nella cappella delle Orsoline. E il suo costo non ancora accertato, sarà dedotto sul vostro patri­monio confiscato. Infine, prima che la sentenza sia eseguita, sarete sottoposto a un interrogatorio con tor­tura, sia ordinaria che straordinaria. Proclamato a Loudun il 18 agosto 1634 ed eseguito il giorno stesso. (Grandier entra lentamente con le mani legate dietro la schiena. Indossa camicia da notte e pantofole, ma ha sulla testa cappuccio e cappello da prete. Lo ac­compagnano De Laubardemont e Mannoury e Adam. Anche Barre, Rangier e Mignon che spargono acqua santa da aspersori consacrati e intonano formule di esorcismo. De Laubardemont si fa avanti, strappa cappello e berretto dalla testa di Grandier e li getta a terra. Ci appare cosi il suo viso. È stato comple­tamente sbarbato. Scomparsi i suoi bellissimi ricci. I baffi e anche le sopracciglia. Sembra un pazzo calvo. Improvvisamente una risata isterica si leva dalle donne. Pausa. Parla Grandier)

Grandier                          - Miei Signori, chiamo testimoni unita­mente alla Vergine, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spi­rito Santo, che non sono mai stato uno stregone. La sola magia che ho compiuto è quella della Sacra Scrit­tura. Sono innocente. (Pausa. Mormorii tra le donne. Una risatina sciocca) Sono innocente, e ho paura. Ho paura per la mia salvezza. Sono pronto a incontrarmi con Dio, ma gli orribili tormenti che mi avete prepa­rato potrebbero lungo la via condurre alla dispera­zione la mia anima infelice. La disperazione, miei si­gnori, il più grave dei peccati. La via più breve alla dannazione eterna. Certamente nella vostra saggezza non vorrete uccidere un'anima. Vi chiedo, pertanto, nella vostra misericordia, di mitigare, anche solo un poco, la mia punizione. (Grandier guarda una faccia dopo l'altra. Silenzio) Bene. Quando ero bambino mi si raccontavano le storie dei martiri. Amavo le donne e gli uomini che morirono per l'onore di Gesù Cristo. Nei momenti di solitudine, ho spesso desiderato di appartenere alla loro schiera. Ma io folle e oscuro prete non posso pretendere di essere annoverato fra questi grandi e santi uomini. Lasciatemi però esprimere la speranza che alla fine di questo giorno, il Signore On­nipotente, mio diletto padre del cielo, poserà il suo sguardo su di me e considererà la mia sofferenza un'e­spiazione della mia vita vana e disordinata. Amen. (Pausa. Poi dalla folla una voce di uomo fa chiara­mente eco all'amen di Grandier. Un'altra. Di nuovo silenzio. Una donna scoppia in pianto)

Laubardemont                 - (al capitano delle guardie) Cac­ciate via tutti! (Le guardie cominciano immediata­mente a far allontanare la folla. Il pubblico si allon­tana sulle strette vie protestando. Grandier rimane solo con De Laubardemont, il segretario, Barre, Rangier e Mignon. Non si è mosso e continua a guardare in faccia i suoi giudici. Si intravedono De Cerisay e D'Armagnac. Sono da una parte, e guardano la scena dall'alto. De Laubardemont e gli altri non possono udire le loro parole. De Laubardemont è di fronte a Grandier) Confessate la vostra colpa. Diteci i nomi dei vostri complici. Allora i signori giudici prende­ranno in considerazione la vostra richiesta.

Grandier                          - Non posso nominare complici che non ho avuto, né confessare crimini che non ho com­messo.

Laubardemont                 - Quest'atteggiamento non vi giove­rà. Soffrirete di questo.

Grandier                          - Lo so. E ne sono orgoglioso.

Laubardemont                 - Orgoglioso, signore? È una parola che non si addice alla vostra situazione.

De Cerisay                      - Ha bisogno di un confessore.

D'Armagnac                    - Puoi star sicuro che infrangerà le regole. Dovrebbe essere in ginocchio, a maledire il diavolo che l'ha tradito e Dio che lo sta mandando all'inferno.

Laubardemont                 - (a Grandier) Guardate, mio caro amico, slegategli le mani, questo documento è una semplice confessione. Ecco qui una penna. Segnate il vostro nome e noi dimenticheremo lo stadio succes­sivo della procedura.

Grandier                          - Domando scusa.

Laubardemont                 - Vogliamo solo una firma qui, è tutto.

Grandier                          - La mia coscienza mi proibisce di scri­vere il mio nome sotto qualcosa di non vero.

Laubardemont                 - Eviterete un sacco dì fastidi se firmerete. Il documento è autentico, naturalmente. (Grida) Autentico! Siete stato riconosciuto colpevole!

Grandier                          - Mi spiace.

D'Armagnac                    - De Laubardemont è più stupido di quel che pensassi.

De Cerisay                      - Già. Ciò che il Cardinale vuole è un eretico condannato e gemente. Ciò che potrebbe otte­nere, continuando cosi, è un buon cattolico, pieno di carità cristiana.

D'Armagnac                    - Credo di sapere cosa avverrà.

Laubardemont                 - Temo per voi, Grandier. Temo ve­ramente molto.

D'Armagnac                    - Lo sapevo.

Laubardemont                 - Ho già visto altri uomini assumere questo atteggiamento di sfida prima della tortura. Non sono stati molto saggi, Grandier. Pensateci bene.

Grandier                          - No.

Laubardemont                 - Entrerete nelle tenebre prima di morire. Lasciate che vi parli un poco del dolore. È molto difficile per noi, tutti e due in piena salute, immaginare l'effetto distruttivo della sofferenza. Ades­so il sole è caldo sul vostro viso, vero? Se voi volete potete muovere le dita nelle pantofole. Siete vivo, e lo sapete. Ma quando sarete disteso là, in quella stan­zetta, col dolore che urla in voi come una voce, vi dirò io cosa penserete. Primo : come può l'uomo far questo a un altro uomo? Poi, come può permetterlo Dio? Poi : non può esserci un Dio. Poi: non c'è un Dio. La voce del dolore diventerà più forte e più debole la vostra decisione. Disperazione, Grandier. Voi stesso l'avete detto. L'avete chiamato il peccato più grave. Non re­spingete Dio adesso. Fate pace con voi stesso. Perché avete gravemente offeso. Confessate.

Grandier                          - No.

 D'Armagnac                   - Sono lacrime quelle, sul viso di Lau­bardemont?

De Cerisay                      - Temo di si.

D'Armagnac                    - Crede forse a quello che dice?

De Cerisay                      - Si. Commovente, no?

Laubardemont                 - (a Grandier) Benissimo. Ve lo chie­do ancora una volta. Una volta sola. Volete firmare? (Grandier scuote la testa) Portatelo via. (Le guardie lo circondano)

Grandier                          - Vorrei domandarvi una cosa.

Laubardemont                 - Cosa?

Grandier                          - Posso avere con me Padre Ambrose?

Laubardemont                 - No.

Grandier                          - È un uomo innocuo, un vecchio. Non vi darà fastidio.

Laubardemont                 - Non è più in città. È stato man­dato via. Se volete un conforto spirituale rivolgetevi a uno di questi signori. (Grandier guarda per un at­timo Barre, Rangier e Mignon prima di volgersi e di allontanarsi tra le guardie. De Laubardemont e il segretario lo seguono)

Mignon                            - Molto commovente l'ultimo appello del signor Commissario.

Rangier                            - Molto.

Barre                               - Avrete compreso che il rifiuto di Grandier di firmare è la prova definitiva della sua colpa.

Mignon                            - Si, si, penso di si.

Barre                               - Lucifero gli ha sigillato la bocca: ha indu­rito il suo cuore contro il pentimento.

Mignon                            - Certo. È per questo.

Barre                               - Andiamo? (Barre, Rangier e Mignon se ne vanno)

D'Armagnac                    - Venite a casa mia, De Cerisay.

De Cerisay                      - Si, signore.

D'Armagnac                    - Non voglio che mi parliate.

De Cerisay                      - Bene.

D'Armagnac                    - Ci sederemo e staremo assieme. E penseremo tutto il giorno. Da uomini ragionevoli, spero. Ci sederemo e ci ubriacheremo. Si, è cosi. Ci ubriacheremo. Saremo tanto ubriachi da avere delle visioni. Avanti. (D'Armagnac e de Cerisay se ne vanno)

Un giardino. Jeanne entra. Ha la testa nuda e in­dossa una tunica bianca. La sua personcina deforme sembra quella di una bambina. Ha una corda intorno al collo e una candela in mano. È immobile. Claire, Gabrielle e Louise si fermano terrorizzate a guardarla. Poi viene avanti Claire.

Claire                               - Rientrate, Madre cara.

Jeanne                             - No, figlia mia.

Claire                               - Ma il sole scotta molto dopo la pioggia, non vi farà bene.

Jeanne                             - Trovatemi un luogo, non importa che sia molto alto, dove possa legare questa corda. Lo sto cercando.

Claire                               - No, Madre. È il più terribile dei peccati.

Jeanne                             - Peccato?

Claire                               - Si. (Claire scioglie la corda e la porta via. Louise avanza con un mantello e lo pone sulle spalle di Jeanne)

Louise                             - Non spaventateci, Madre.

Jeanne                             - Notte dopo notte sono stata svegliata da un suono di pianto. Ho tentato di scoprire chi era. Ho un cuore anch'io, e un suono cosi può spezzarlo.

Louise                             - Non c'è nessuno qui.

Jeanne                             - Non avevo mai pensato di poter provare tanta disperazione per una persona, tanta desola­zione.

Louise                             - Ma non c'è nessuno.

Jeanne                             - Nessuno.

Claire                               - Forse è il demonio. Forse piagnucola per­ché tutto è tornato in ordine. Si, Madre, pensate. Padre Grandier vi vorrà forse all'inferno con lui. Per­ciò persuade il demonio a piangere nella notte e a spezzarvi il cuore, e vi induce a mettervi una corda al collo e impiccarvi. Non fatevi ingannare.

Jeanne                             - Non c'è dunque una via? Ed è Claire che dice questo? Claire, che usava parlarmi dell'innocenza di Cristo? Che ora è?

Louise                             - Mezzogiorno appena passato.

Jeanne                             - Lasciatemi sedere qui. Vi prometto che non commetterò nulla contro me stessa. Lasciatemi. (Claire, Louise e Gabrielle se ne vanno, lasciando sola Jeanne. Il silenzio viene spezzato da un orrendo suono di martellate. Un urlo)

Nella parte superiore della scena. Grandier disteso sul pavimento, legato. Le gambe, dalle ginocchia ai piedi, sono rinchiuse in una specie di cassa, all'in­terno della quale tavole movibili, spinte in dentro da grossi cunei, gli spezzano le gambe. Bontemps martel­la sulla testa dei cunei. Mannoury, Adam e Mignon sono accovacciati nella stanza inferiore. Barre, seduto vicino alla testa di Grandier si china su di lui.

Barre                               - Volete confessare? (Grandier scuote len­tamente la testa. Barre dà una occhiata a De Lau-bardemont, in piedi contro il muro)

Laubardemont                 - (a Bontemps) Un'altra. (Bontemps prende un altro cuneo, ma Rangier immediatamente glielo strappa di mano.

Rangier                            - Un momento! (Spruzza il cuneo di acqua santa, e ci fa sopra dei segni) Questo è assolutamente necessario, il demonio, vedete, ha il potere di rendere il dolore minore di quel che dovrebbe essere.

Bontemps                        - Finito?

Rangier                            - Si. (Dà il cuneo a Bontemps che lo in­serisce)

Barre                               - Colpite! Colpite! (Nella stanza inferiore)

Mannoury                        - Qual è la capacità cubica del respiro di un uomo?

Adam                              - Non so.

Mannoury                        - Me lo domandavo.

Adam                              - Quando cominciate a fare una cosa, non vi viene mai in mente che... ehm.

Mannoury                        - Che dite?

Adam                              - Niente. Pensavo ad alta voce. (Un urlo. Barre si china in avanti)

Barre                               - Confessate.

Grandier                          - Sono prontissimo a confessare i miei veri peccati. Sono stato un uomo. Ho amato delle donne. Sono stato orgoglioso. Ho desiderato il potere.

Barre                               - Non è questo che vogliamo. Siete stato uno stregone. Avete avuto commerci coi demoni.

Grandier                          - No, no.

Barre                               - Un altro. Su, datemelo! (L'urlo di Gran­dier echeggia nel giardino dove siede Jeanne, sola)

Jeanne                             - È solo nel profondo che uno trova Dio? Guardate me. Prima volevo andare da Lui innocente. E non è bastato. Poi ci sono state le bugie, le com­medie. La colpa, l'umiliazione. E non è bastato. Ci sono state le buffonate per gli occhi sudici dei preti. Lo squallore. E non è bastato. Giù, più giù. (Si sente il suono delle martellate e la voce di Grandier)

Grandier                          - Dio. Dio. Dio. Non mi abbandonare. Non lasciare che questo dolore mi faccia dimenti­care Te.!

Jeanne                             - Giù. Giù. Nell'oblio idiota. Senza un pen­siero. Senza un sentimento. Nulla. È un Dio? (La stanza superiore. De Laubardemont si fa innanzi)

Laubardemont                 - Portatelo fuori. Non serve. (Barre, Grandier e Bontemps alzano Grandier e lo fanno sedere su una sedia. Bontemps gli copre le gambe spezzate con una coperta.

Grandier                          - Attendite et videte si est dolor sicut dolor meus. (Nel giardino Jeanne si alza)

Jeanne                             - Dove sei? Dove sei? (Jeanne esce dal giardino. Barre e Rangier sono scesi nella stanzetta inferiore)

Adam                              - È servito?

Barre                               - No.

Mannoury                        - Niente confessione?

Barre                               - No.

Adam                              - Però!

Barre                               - È perfettamente logico!

Mannoury                        - Cosa?

Barre                               - Egli ha invocato Dio perché gli desse la forza. E il suo dio, cioè il diavolo, gli ha obbedito. Lo ha reso insensibile al dolore. Non arriveremo in questo modo.

Adam                              - Insensibile al dolore? E tutti quegli urli cos'erano?

 

Barre                               - Finta. (Barre, Mignon e Rangier escono. Nella stanza superiore)

Grandier                          - Non fate caso a queste lacrime. Sono solo debolezza.

Laubardemont                 - Rimorso?

Grandier                          - No.

Laubardemont                 - Confessate.

Grandier                          - No. Ci sono due cose che non si dovreb­bero chiedere ad un uomo di fare di fronte agli altri. Fare all'amore con una donna e soffrire. Voi sapete come portare all'inferno sulla terra una persona co­me me. Basta render tutto pubblico,

Laubardemont                 - Questa è vanità, Padre.

Grandier                          - Si? Io non credo. Un uomo è una cosa privata. Appartiene a se stesso. Queste sue esperienze intime, l'amore e il dolore, non hanno nulla a che fare con la folla. Come possono riguardarla? Perché la folla non può né amare né soffrire.

Laubardemont                 - La folla è composta di anime cri­stiane. E seimila di loro vi attendono nella piazza del mercato. Ditemi, amate la Chiesa?

Grandier                          - Con tutto il cuore.

Laubardemont                 - Volete che diventi più potente, più benevola, fino ad abbracciare ogni anima della terra?

Grandier                          - Sarebbe mio desiderio.

Laubardemont                 - Allora, aiutateci a raggiungere questo grande scopo. Andate da penitente nella piazza del mercato. Confessate, e confessando proclamate a quelle migliaia di persone che siete ritornato fra le braccia della Chiesa. Andando al rogo senza pentirvi non rendete un servizio a Dio. Date speranza agli scet­tici ed agli increduli. Li fate felici. Un atto del genere può minare le fondamenta stesse della Chiesa. Pen­sate. Non siete più importante. Siete ancora im­portante?

Grandier                          - No.

Laubardemont                 - Allora fate un ultimo, supremo ge­sto per amore della fede cattolica. (Una pausa. De Laubardemont si china ansiosamente in avanti. Grandier alza il viso contorto in un sorriso pieno di sof­ferenza)

Grandier                          - Questi sono sofismi, Laubardemont, e voi siete troppo intelligente per non saperlo. E ora fatemi lo stesso complimento.

Laubardemont^               - Riuscite a ridere? Adesso?

Grandier                          - Si. Perché ne so più di voi in proposito.

Laubardemont                 - Ma se vi dico, Grandier...

Grandier                          - Non insistete. Posso distruggervi. Al­meno a parole. Tenete le vostre illusioni, signor Com­missario. Ne avrete bisogno per trattare cogli uomini che verranno dopo di me.

Laubardemont                 - Confessate.

Grandier                          - No.

Laubardemont                 - Confessate.

Grandier                          - No.

Laubardemont                 - Firmate.

Grandier                          - No. (De Laubardemont va alla porta, verso le scale)

Laubardemont                 - Mandatemi qui la guardia!

Una strada. A distanza, una folla osserva lo spetta­colo. La gente è quieta, a disagio e controlla i suoi sentimenti Barre, Rangier e Mignon s'avvicinano. Rangier e Mignon spargono acqua santa e intonano esorcismi. Barre, in mezzo alla folla, prende per il braccio uomini e donne, parlando ad essi uno per uno.

Barre                               - Miei cari figlioli, lo spettacolo cui state per assistere è quello di un uomo malvagio che non si è pentito e che va all'inferno. Vi prego, signore, di imprimere questo spettacolo nel vostro cuore. Che questa lezione vi resti impressa nella memoria, buona donna, per tutta la vita. Guardate questo infame stregone che ha trafficato coi demoni e chiedetevi, figliolo, a tanto arriva un uomo quando disprezza Dio? (Rullio di tamburi. Appare Grandier. È seduto su una sedia trasformata in una specie di lettiga, e trasportata da quattro soldati. Indossa una camicia impregnata di zolfo, di un giallo vivace; e ha una corda al collo. Le sue gambe spezzate dondolano. Sembra una ridicola bambola, calva e fatta a pezzi. Cammina al suo fianco il segretario; lo seguono De Laubardemont e soldati)

Davanti al convento di Sant'Orsola. Il corteo giunge alla porta del convento e si ferma. Il segretario pone una candela da due libbre nella mano di Grandier.

Laubardemont                 - Dovete scendere.

Grandier                          - Cos'è questo luogo?

Laubardemont                 - È il convento di Sant'Orsola, il luogo che avete insozzato. (Un soldato solleva Gran­dier dalla lettiga come se fosse un bambino, e lo depone a terra) Fate quel che dev'esser fatto.

Grandier                          - In questo luogo strano e sconosciuto chiedo perdono a Dio, al Re e alla Giustizia. Chiedo di poter... (Cade con la faccia in giù e grida) Deus meus, miserere mei Deus! (La porta del convento si apre e nel buio ingresso appaiono Jeanne, Gabrielle, Claire e Louise)

Laubardemont                 - Chiedete perdono a questa Priora e alle buone sorelle.

Grandier                          - Chi sono queste donne?

Laubardemont                 - Sono le persone che avete offeso. Chiedete loro perdono.

Grandier                          - Non ho fatto nulla del genere. Posso solo chiedere che Dio perdoni loro. (Profondo silenzio mentre Grandier e Jeanne si guardano in faccia)

Jeanne                             - Mi hanno sempre parlato della vostra bel­lezza. Ora la vedo coi miei occhi e so che era vero.

Grandier                          - Guardate ciò che io sono e imparate cosa sia l'amore. (Rullo di tamburi. Grandier viene risollevato e rimesso nella lettiga. La processione si muove e si allontana. Un campanone. Voci che can­tano: Dies irae, dies illa, solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla. Quantus tremor est fu-turus, quando judex est venturus, cuncta stricte di-scussurus! (Jeanne, sola, avanza verso il proscenio. Buio)

Le strade di Loudun. È notte. La città sembra in preda alle fiamme. In lontananza la linea degli edifici sul cielo rosso cupo. La porta di una chiesa è spalan­cata come una bocca piena di zolfo. Uomini armati con stendardi passano su un ponte. Uno si arram­pica su una scala facendo segni a distanza in uno sgomento senza speranza. La folla, che ha contem­plato Grandier a una certa distanza, sta ora precipi­tandosi per le strade isterica, urlando e ridendo. C'è anche Jeanne. È sola. Mannoury e Adam.

Mannoury                        - Veramente singolare, sapete.

Adam                              - Che cosa?

Mannoury                        - Questa faccenda del grasso umano che il calore riduce alla consistenza di cera da candele e che prende poi fuoco in una fiamma dal colore cosi squisito.

Adam                              - Una porcheria, nel complesso.

Mannoury                        - Interessante, però. Direi, Adam, che se ci può essere un fascino estetico nel vostro lavoro di farmacista, è proprio in quella direzione. Che ne dite?

Adam                              - Forse. (Se ne vanno. Barre, Mignon e Rangier)

Barre                               - È all'inferno. Statene certo.

Mignon                            - Questa notte arrostisce.

Barre                               - Un uomo orribile, non si è pentito!

Rangier                            - Sapete, ho visto le sue donne, sedute là, a guardarlo. Una piangeva, è vero. Però guardava. Non ha mai distolto il viso.

Barre                               - Demoni. Tutti demoni. Che vi succede?

Mignon                            - Non mi sento molto bene.

 Barre                              - (dandogli un colpo sulla schiena) Avrete respirato fumo, immagino.

Mignon                            - Credo che ora me ne andrò a letto, se non vi rincresce.

Barre                               - Ce ne andremo tutti a letto, Mignon. Ma per quanto tempo potremo starcene tranquilli di­pende dal nostro amico Satana. Lo abbiamo scon­fitto e abbiamo portato pace in questo luogo, per oggi. Ma potete star certo che anche in questo mo­mento sta tornando indietro strisciando. Ah, miei signori, uomini come noi non saranno mai disoccu­pati. (Se ne vanno. Entra Philippe Trincant. È mo­struosamente incinta, e viene avanti piano, condu­cendo per mano il vecchio)

Philippe                           - Andiamo a casa, mio caro marito. Cer­cate di camminare un po' più in fretta. Che? (Il vec­chio le sussurra qualcosa) Lo spettacolo di oggi vi ha eccitato? (Egli sussurra di nuovo) Si, farò qualunque cosa vogliate. Tutto ciò che posso per voi. Asciuga­tevi la bocca. Passeremo insieme molti anni felici. Che? Si, naturalmente c'è un modo. Ballerò, ballerò in tondo per voi. Si, Gesù, lo farò. Ne conosco di trucchi. Su venite a casa, caro. (Philippe e il vecchio se ne vanno. Entrano D'Armagnac e De Cerisay. Sono ubriachi)

D'Armagnac                    - Non dovremmo far questo, De Ceri­say. Siamo gli uomini razionali e progressivi del no­stro tempo. Dovremmo prender posizione.

De Cerisay                      - Proprio cosi.

D'Armagnac                    - Da una parte o dall'altra. Non so precisamente quale. Ma perché stanotte l'aria è piena di insetti? Cosa stavo dicendo?

De Cerisay                      - Dovremmo prender posizione.

D'Armagnac                    - Dovremmo farci valere.

De Cerisay                      - Riguardo a che?

D'Armagnac                    - A ciò che crediamo.

De Cerisay                      - E cosa crediamo?

D'Armagnac                    - Domandatemelo domani. Sono forse pazzo? O stavano fornicando lassù nella strada? E cosa aveva quella vecchia nel cesto? Resti umani? E perché quella bestia stava tirando un uomo con una corda? Cos'è questo strano, dolce odore che aleggia sulla città? E quel musicante crocifisso alla sua arpa? Che significa questo, De Cerisay? Da uomini razionali dovremmo essere in grado di spiegarcelo.

De Cerisay                      - Non ne sono capace.

D'Armagnac                    - Nemmeno io. Conducetemi a casa. (Se ne vanno. Alla fine dei suoi vagabondaggi Jeanne è giunta davanti al fognaiolo)

Fognaiolo                        - Quando hanno finito hanno spalato via le sue ceneri a nord, a sud, a est e a ovest.

Jeanne                             - Sapete chi sono io?

Fognaiolo                        - Si, signora, lo so. (Passano alcuni cit­tadini. Litigano per certi oggetti che si passano di mano in mano)

Jeanne                             - Che cosa fanno?

Fognaiolo                        - Sono pezzi del suo corpo, li vogliono avere.

Jeanne                             - Come reliquie?

Fognaiolo                        - Non cercate di consolarvi. No, li vo­gliono come amuleti. C'è una differenza, sapete. (Strap­pa a uno degli uomini un osso bruciato) Non vogliono adorarlo. Vogliono che questo curi la loro costipa­zione o il loro mal di testa, o che gli restituisca la virilità o la moglie. Lo vogliono per amare o per odiare. (Tende verso di lei l'osso) E voi lo volete per qualche cosa? (Jeanne scuote la testa. La folla si è allontanata. Anche il fognaiolo se ne va. Jeanne resta sola e grida)

Jeanne                             - Grandier! Grandier! (Silenzio)

FINE