I due fratelli

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I DUE FRATELLI

I DUE FRATELLI.

un Atto Unico di

di Alberto Bassetti

a Dona

personaggi:

Marco

Andrea

Fascio di luce su un giovane uomo vestito molto sportivamente, la barba non fatta da qualche giorno, con uno zaino sulle spalle. Tutt’intorno è buio.

MARCO     Allora me ne stavo lì, cercavo di rilassarmi, mentre le sue mani mi massaggiavano scivolando sull’olio profumato di sesamo con cui continuava a cospargermi tutto il corpo. Friziona, manipola, indugia su un punto poi scivola su un altro… la cosa strana è che invece di rilassarmi, beh: cominciavo ad eccitarmi, anzi no, mi preoccupavo di potermi eccitare. Ero lì, steso sul lettino, completamente nudo, con quest’indiano che mi toccava e pensavo: “Dio che figura se adesso mi eccito!” E lui prende a manipolarmi proprio sulla pancia, sul ventre, il mio coso si ingrossa e lui lo sfiora, anzi no, è il mio coso che ora come un lombrico che si allunga arriva a sfiorare le sue mani… Cristo santo che imbarazzo! Invoco propro Lui, e anche Brahma, e Vishnu, Shiva, tutta la Trinità induista, poi  quella cristiana, e poi Allah, Buddha, e perfino Zoroastro. Niente da fare, ormai sono eccitatissimo! Allora, l’incredibile: l’uomo si stacca da me, con un solo gesto si toglie il turbante, sciogliendo lunghissimi capelli neri sulle spalle, poi quasi si strappa il camice, sotto non indossa niente, e mostra due tettine piccole, ma perfette, capezzoli bruniti, il ventre morbido… è una donna, una vera donna! Mi sale sopra, lì sul lettino, ho paura che crolli per il peso, ma lei è leggera, leggera, e mi risucchia dentro di sé, facciamo l’amore così, a lungo, lei che mi cavalca continuando a massaggiarmi le spalle, il petto, i fianchi… dolce, delicata, serena: sospira e sorride, che cosa meravigliosa!

La luce si diffonde, illuminando una stanza completamente spoglia. C’è un altro uomo,  vestito in modo più classico e ben sbarbato; vicino a sé ha una valigetta ventiquattr’ore. Guarda Marco in silenzio per alcuni secondi.

ANDREA   Ritorni dopo un anno, arrivi qui e ci salutiamo, neanche ti stacchi lo zaino dalle spalle…

MARCO     Mi dà stabilità, questo zaino… e poi sicurezza: so di avere tutte le mie cose qui dentro, al sicuro, con me.

ANDREA   Poi vai di là a vederlo, (indica dietro di sé) dietro quella porta, non so per quanto ci resti: mezz’ora? Così, in piedi, senza sederti… gli dai la medicina, per una volta, almeno, gliela dai tu… rientri in questa stanza, e cos’hai da dirmi? Il raccontino delle vacanze!

MARCO     Non ero in vacanza! Almeno, non solo…

ANDREA   Stonzate!!! E possibile che oltretutto devi sempre spararle così grosse? Quando la smetterai?

MARCO     Perché quella brutta parola? Che ne sai che non sia andata proprio così, cosa ne sai?! Ci sei mai stato, tu, in India? ‘Incredible India’, dice la pubblicità, e allora? Perché tu non ci devi credere? Devi sempre denigrare tutto quello che faccio, e dico?

ANDREA   Smetterò quando tu l’avrai smessa di dire queste cazzate!

MARCO     Non sono, come dici tu, che devi sempre usare parolacce: ‘cazzate’!

ANDREA   Ma perché piuttosto non pensi alle cose serie?

MARCO     E che ne so, io? Sei tu il fratello maggiore.

ANDREA   Questo che c’entra?

MARCO     Non sei tu che vuoi avere sempre l’ultima parola?

ANDREA   Non in questo caso. Si tratta di nostro padre, una questione seria, lo sai.

MARCO     E già, almeno ci fosse ancora la mamma.

ANDREA   Soffrirebbe come un cane.

MARCO     Una cagna.

ANDREA   Una cagna?

MARCO     Sì, Mamma.

ANDREA   Mamma, una cagna?

MARCO     Guarda che l’hai detto tu.

ANDREA   Non l’ho mai detto.

MARCO     L’hai detto ora, proprio adesso!

ANDREA   Tu hai detto: una cagna!

MARCO     Perché tu hai detto: un cane!

ANDREA   Quanto sei scemo.

MARCO     Mai quanto te.

ANDREA   Tu di più.

MARCO     Tu molto di più.

ANDREA   Tu moltissimo di più.

MARCO     E tu molto moltissimo di più.

ANDREA   Tu: moltissimo di piuissimo.

MARCO     Tu: moltissimo di piuissimissimissimissiissimo.

Pausa.

ANDREA   Lo vedi? Fai regredire anche me! Sei proprio scemo.

MARCO     Grazie. Bravo! Lo sai che mamma proprio non voleva che me lo dicessi. Mai! E anche papà, se potesse sentirti…

ANDREA   E certo, pensavano che fossi tu il caso difficile, lo sfortunato, il piccolo di casa, il ritardato. Invece ecco poi com’è andata: tu fai la bella vita, mentre io, con tutte le speranze, promesse e premesse…

MARCO     Che vuoi? E’ che io mi accontento. Mi adeguo. Mi adatto. Quando si sta tanto in giro per il mondo, bisogna saperlo fare. Tu non ci riusciresti. Lo sai, per esempio, che una volta in Africa ho mangiato un leone?

ANDREA   Oh, Dio, non ti sopporto più!

MARCO     Uno enorme, così (si toglie con un gesto lo zaino dalle spalle, poggiandolo in terra, e si mette a quattro zampe), con una bocca gigantesca, ed un ruggito… roarrr! Dopo un minuto era stecchito, così! (si lascia cadere in terra bocconi, a braccia aperte, come un tappeto tipo pelle di leone)

ANDREA   E alzati, che se ti vede qualcuno…

MARCO     E chi mi potrebbe vedere?

ANDREA   Magari da lì, da quella finestra.

MARCO     Smettila, ecco perché non sei felice: ti preoccupi sempre degli altri, di tutto! “E se mi vede qualcuno, se faccio questo, se mi vesto così: poi, che dicono?”

ANDREA   Sei tu che dipendi dagli altri.

MARCO     Sì, lo so, ma in altro modo.

ANDREA   Infatti: tu sei sempre giustificato, qualunque cosa combini.

MARCO     Io non combino proprio niente, niente di male, almeno.

ANDREA   Certo, tu fai il bene, le vostre opere umanitarie: un prete, quelle sciroccate delle suore laiche, e un deficiente che si butta per terra!

MARCO     Che dunque sarei io.

ANDREA   Vedi che quando vuoi ci arrivi?

MARCO     Certo, e sai perché?

ANDREA   ‘Perché’ cosa?

MARCO     Perché ti rode. Perché il leone tu sicuramente non puoi averlo mangiato davvero, mentre io sì.

ANDREA   Tu non hai mangiato nessun leone.

MARCO     Mmmh, sembra incredibile: una carne così tenera, in un animale così forte!

ANDREA   Sarà stato pollo.

MARCO     Un pollo con la criniera, nella savana, con quella coda? No, impossibile.

ANDREA   Impossibile che tu abbia mangiato un leone.

MARCO     E vabbeh, allora sarà stata una gazzella.

ANDREA   Ah, lo vedi quanto sei bugiardo?!

MARCO     Adesso, adesso lo sono stato, dandoti ragione per non litigare e non far dispiacere mamma (indica verso l’alto) e papà (indica verso l’interno, di là). Perché invece il leone l’ho mangiato, eccome!

ANDREA   E chi l’aveva ammazzato? Non eravate là anche per difendere la natura, oltre che i bambini denutriti, voi?

MARCO     Era già morto. L’aveva appena sbatacchiato un elefante contro un albero: spammm, che craniata!

ANDREA   Dico: che tu sia scemo va bene, ma vuoi proprio prendere per scemo anche me?

MARCO     E tu non ci credere: chi ti obbliga?

Pausa.

MARCO     Se invece vuoi sentire che sapore aveva…

ANDREA   Ah, certo, e come l’avete cucinato, in salmì? No, aspetta, col curry, o in salsa masala?

MARCO     Beato te. Crudo, abbiamo dovuto mangiarlo crudo! Al sangue.

ANDREA   Guarda che ora ti do una mazzata sulla testa (alza il pugno verso la testa dell’altro, avvicinandoglisi), che te la rimetto a posto io quella ‘capa tosta’!

MARCO     (scostandosi un po’) Beh, una scottata gliel’abbiamo data, ma la jeep era fuori uso, non avevamo la griglia, sperduti, e sul fuoco si bruciava. E la fame era tanta. Sai qual è il tuo problema?

ANDREA   Sì, lo so.

MARCO     E quale sarebbe?

ANDREA   Sei tu! E sono io, che mi faccio carico di te, di papà, nostro padre, di mia moglie e dei miei figli. Di tutti!

MARCO     No, il tuo problema è che non sai cos’è la fame, quella vera, i problemi veri. Tu credi sia un dramma della vita non poter comperare per primi il TV al plasma, perché reputi che i figli ne soffrirebbero, o non poter portare i tuoi in montagna, perché pensi che tua moglie ne soffrirebbe, o non girare con l’ultimo modello di BMW, perché tu credi che tu stesso ne soffriresti. E tua moglie gira pure in pelliccia, che è antiecologico!

ANDREA   E che vuoi proprio tu? Tu i leoni te li mangi, mascalzone, una bestia in via d’estinzione!

MARCO     Te l’ho detto: era già morto.

ANDREA   Ah, già, l’elefante. E perché non avete mangiato pure quello, visto che c’eravate?

MARCO     Perché era vivo.  Però un’altra volta…

Andrea lo fulmina con lo sguardo, di nuovo mostrandogli il pugno.

MARCO     Ok, niente elefanti. (mostra un ciondolo appeso al collo con un laccio di cuoio) Comunque questo è un dente di quel leone.

Andrea si avvicina e osserva l’oggetto.

ANDREA   Montatura d’oro?

MARCO     Sì.

ANDREA   E chi te li ha dati i soldi per la montatura?

MARCO     Io lavoro.

ANDREA   Tu fai volontariato, è per questo che io contribuisco al tuo mantenimento.

MARCO     Sì, ma non è che non possiamo avere in mano qualche soldo. Un grammo d’oro ce lo possiamo permettere.

ANDREA   E non vi viene il rimorso? “Con questo grammo d’oro avrei potuto sfamare un bimbo per un mese”. E’ così che ricattate tutto l’Occidente, coi complessi di colpa!

MARCO     L’Occidente ha le sue colpe, sfrutta il resto della Terra!

ANDREA   E’ per questo che manteniamo  preti, suore, missionari, croci rosse, medici con o senza frontiere e fratelli ritardati. Per scaricarci dei sensi di colpa.

MARCO     Io non ne ho.

ANDREA   Certo, tu: ma tutti gli altri che non possono girare il mondo ad inseguire gli affamati? Eh?

MARCO     Un po’ d’India ti farebbe bene: un soggiorno ai piedi dell’Hymalaia, a Rishikesh, proprio dove il Buddha ha cominciato a…

ANDREA   Mi farebbe bene strangolarti, scrollarmi di dosso i mille vincoli della  famiglia…

Andrea tace improvvisamente, come un groppo alla gola. Marco se ne accorge, lo fissa.

MARCO     Allora anche papà.

ANDREA   Che vuoi dire?

MARCO     Anche papà è un vincolo?

ANDREA   Certo che lo è, ma che c’entra: cosa stai cercando d’insinuare con quella tua testa bacata?

MARCO     Papà ti dà fastidio.

ANDREA   Una persona, qualunque persona che da quattro anni è nella sua situazione, cos’altro può essere se non un peso? Però è nostro padre, perciò me ne prendo cura, ogni giorno, dal giorno in cui si è ammalato, e poi quando si è aggravato, ed ero solo, e continuo ad essere solo, comprendi? Mentre tu stai in giro per il mondo, a curarti degli altri, ma non di tuo padre!

MARCO     Papà… quando partii, quella prima volta, stava bene.

ANDREA   Stiamo tutti bene, finché non ci ammaliamo.

MARCO     No, non tutti: io, per esempio, ho problemi fin dalla nascita, no? Cos’era, la mancanza di un respiro, il primo respiro, mancanza di ossigenazione al cervello, cos’ho avuto, e cosa ho? Non l’ho mai capito bene.

ANDREA   Certo che non l’hai capito.

MARCO     Mi sfotti? Mi prendi in giro per la mia menomazione?

ANDREA   Scusa. (breve pausa) A volte sono uno stronzo.

MARCO     No, no, questo non dirlo… che poi, Padre Mathias mi ha spiegato che non sono stupido per niente, solo a volte traviso un po’ la realtà, ma è anche una ricchezza, una possibilità, mi perdo nell’immaginazione elaborando a modo mio la verità, ma sempre restandoci dentro, o comunque lì, nei paraggi, non invento, e non faccio del male a nessuno: anzi, se mi critica è perché non so reagire ai soprusi, perché non so comprenderli, non riesco a concepirli, ma che forse proprio per questo ho sviluppato tanta sensibilità, che altri nemmeno se la sognano!

ANDREA   Sei tanto sensibile che te lo dici da solo!

MARCO     No, non da solo: chiedilo a Padre Mathias se non ci credi!

ANDREA   E certo, hai sviluppato la veggenza dei ciechi!

MARCO     Esatto, proprio così, è vero. Pensa che una volta sono stato in un villaggio dove tutti, ma proprio tutti: erano ciechi! E loro non volevano crederci che noi vedessimo le cose, neanche riuscivamo a fargli comprendere cosa fosse questo senso a loro ignoto: la vista! Quando lo capirono, pensarono che fossimo malati, e che dovevano guarirci, perché così perdevano di valore tutti gli altri sensi: il tatto, l’udito, l’olfatto, che loro avevano sviluppatissimi mentre noi…

ANDREA   “Il Paese dei Ciechi”.

MARCO     Sì, tutti ciechi.

ANDREA   Herbert George Wells.

MARCO     Chi è?

ANDREA   Ho il sospetto che tu lo sappia benissimo.

MARCO     Cioè?

ANDREA   L’autore del racconto: “Il Paese dei Ciechi”. Herbert George Wells.

MARCO     Non lo conosco.

ANDREA   Sei un pazzo, t’inventi le cose, anzi nemmeno fai lo sforzo: le copi.

MARCO     Non è vero, lo sai che leggo pochissimo. Il dottore dice che ho una mente molto selettiva, ricordo tutto quello che m’interessa, che mi colpisce dentro, emotivamente.

ANDREA   Lo so, te l’ho ribadito un attimo fa, sì: sei tu l’ipersensibile di casa. Almeno questa è la leggenda familiare. Anche da piccolo tu vedevi un film, sentivi una storia, e credevi fosse tutto vero, anzi peggio: t’illudevi di averla vissuta.

MARCO     Può darsi succedesse, ma da bambino. Ora so quello che faccio, sei cattivo a dirmi così.

ANDREA   Allora hai copiato. Herbert George Wells.

MARCO     Ancora? Guarda che questo Wells non lo conosco nemmeno.

ANDREA   E come ti è venuta in mente questa storia? Sei un grande scrittore, tu? Abbiamo scoperto un genio, in famiglia?

MARCO     No, perché è tutto vero, ci sono stato in quel villaggio!

Con uno scatto di rabbia Andrea raggiunge lo zaino di Marco e prende a svuotarlo.

MARCO     No, cosa fai?

ANDREA   Lo so io.

MARCO     Non toccare, è roba mia, tutto quello che ho.

Andrea finisce di liberare lo zaino, e  scruta gli oggetti riversati sul pavimento: magliette, pantaloncini, sciarpa, scarpe aperte, felpa, quaderni, pupazzi, due pacchetti chiusi, qualche busta di plastica. Osserva i pochi libri che ha trovato. Non si avvede che Marco ha cominciato un po’ a tremare.

ANDREA   Non c’è.

MARCO     Co - sa cercavi? Quel li - bro di…

ANDREA   Wells, Herbert George Wells.

MARCO     Io – quel li – bro non – l’ho letto!

ANDREA   Lo vedo: solo “Bibbia”, formato tascabile, le “Upanisad”, perfino il “Corano”. Solo libri religiosi, ti manca la “Torah” ebraica, o “Il libro dei Morti”, e chissà cos’altro ancora per continuare a rimbecillirti!

MARCO     (con uno sforzo reagisce e si riprende) Ognuno può leggere quello che vuole, no? Anche la censura, adesso? E poi dici perché vado in giro, lontano!

ANDREA   Ma no, no, sei libero di leggere quello che vuoi, almeno in questo nostro Paese, almeno questa libertà ce l’abbiamo ancora. Più o meno.

MARCO     Grazie.

ANDREA   (prende in mano un piccolo oggetto di legno) E questo cos’è?

MARCO     Un teatrino indù. Una specie di altare, vedi? Devi aprirlo, così.

Marco mostra ad Andrea come fare. Questi fa un sorriso scettico.

ANDREA   E questi pacchetti?

MARCO     Sono per te. Anzi, uno è per te, l’altro per papà.

ANDREA   Papà? Papà, l’hai visto papà: cosa può farsene di un regalo, oramai?

MARCO     E’ un carillon, gli son sempre piaciuti i carillon, glielo apriamo noi e glielo facciamo vedere, lo mettiamo vicino a lui, magari la musica l’apprezza ancora, che ne sappiamo, non stiamo mica nel suo cervello.

ANDREA   Ah, e questo?

MARCO     Quello è per te.

ANDREA   Cos’è?

MARCO     Secondo te perché è impacchettato?

ANDREA   E’… è un regalo.

MARCO     E’ impacchettato perché i regali poi si aprono.

ANDREA   Certamente…

Andrea apre il pacchetto che contiene una morbida sciarpa di morbidissima lana.

ANDREA   Bella, molto bella, com’è soffice, impalpabile. E che bei colori.

MARCO     Naturali, colori naturali. E così morbida che passa nel foro di un anello: prova, fai la prova con la tua fede.

ANDREA   No, mi fido.

MARCO     Dai, falla.

ANDREA   Ma sù, ci credo.

MARCO     Anche io ci credevo, ma al negozio hanno voluto fare la prova, e ha funzionato, prova!

Andrea toglie la fede dal dito e passa la sciarpa nell’anello.

MARCO     Visto?

ANDREA   Bellissimo. Però ho dovuto tirare un po’, quand’era in centro.

MARCO     Embeh, certo, ce ne saranno anche di migliori!

ANDREA   No, è bellissima, grazie.

Andrea dà a Marco un bacio sulla guancia come ringraziamento.

ANDREA   Però non dovevi, chissà quanto ti è costata.

MARCO     Vuoi saperlo?

ANDREA   No, no, è un regalo, va bene così, era un modo di dire.

MARCO     Sono calati, i prezzi di queste sciarpe, anche se è una lana pregiatissima, perché ora c’è di meglio: ora fanno sciarpe usando solo questa parte qui, (si tocca sotto il mento) sai, la barbetta delle capre, diciamo, proprio qui sotto. E’ ancora più morbida, impalpabile, ma io mi domando: non era sufficiente una morbidezza simile? Dobbiamo proprio andare a fare la barba pure alle capre, adesso?

Andrea ride, e dà una pacca alla spalla del fratello.

MARCO     E non è finita.

ANDREA   Che cosa?

MARCO     I regali. Guarda nella carta, non si butta mai via prima di aver controllato bene.

Andrea recupera la carta, la palpa, ne estrae un piccolo pacchettino, che apre. Ne esce un piccolo aggeggio di metallo, una specie di cornice quadrata con un’ancia fina al centro. La muove, rigirandola tra le mani per capire cosa sia.

MARCO     Non indovini?

ANDREA   Sembra lo scacciapensieri: sei passato per la Sicilia?

MARCO     Vedi com’è piccolo il mondo? E’ uno strumento indiano, del Rajastan, ma il principio è lo stesso. Si suona con la bocca, dai, provalo.

ANDREA   No, grazie, interessante ma…

MARCO     L’ho lavato prima d’impacchettarlo, è pulito.

ANDREA   No, lo so, non è per l’igiene.

MARCO     Allora lo suono io, senti! Non è che sia bravo, ma Padre Mathias dice che la musica ci solleva lo spirito e ci libera la mente, allora ce l’ha insegnato. Tu puoi ballare.

ANDREA   Ma che dici?

MARCO     Sì sì Andrea, dai, balla, balla!

ANDREA   Ma che ballare e ballare!

MARCO     Sì, dai, fallo per me, così, per farmi vedere che hai gradito.

Comincia a suonare qualche nota, anche se il suono non è granché.

ANDREA   Dai, Marco, neanche lo so come si balla…

Marco continua ad emettere qualche nota, muovendo il capo al blando ritmo. Andrea, dapprima controvoglia, comincia a dondolarsi un po’, poi muove qualche passetto, e alla fine si dà il tempo battendo le mani. Marco attiva un piccolo riproduttore sonoro caduto tra gli oggetti che il fratello ha sparso in terra svuotando lo zaino, e si diffonde una musica etnica molto ritmata. Andrea prende a muoversi con maggiore convinzione, al che anche Marco, sempre continuando a suonare lo strumento, si muove a ritmo con lui. Una danza fatta di movimenti spontanei, che li porta infine ad abbracciarsi, ridendo finalmente insieme.

ANDREA   Fratello, fratellino mio.

MARCO     Andrea, quanto tempo che non mi abbracci…

ANDREA   E tu? Sempre in giro per il mondo…

MARCO     E tu? Sempre col muso lungo…

ANDREA   Marco, Marco, ma tu, sei felice?

MARCO     Una parola… una parolona! Non lo so se sono felice, però sto bene, sono contento! E tu?

ANDREA   Io no, per niente.

Andrea va a spegnere la musica, restando inchinato a rimettere gli oggetti nello zaino.

MARCO     E cos’è che posso fare, per te? Qualunque cosa, chiedimi qualunque cosa. Io voglio saperti contento, anche tu hai diritto di esserlo, tutti ne abbiamo diritto.

ANDREA   Tutti! Il tuo ecumenismo religioso… ma io non sono uno dei tuoi negretti che puoi fare felice dandogli un pasto, una maglietta, una penna a sfera.

MARCO     Lascia tutto, vieni con me, vedrai che la vita è più semplice di come ci hanno insegnato.

ANDREA   Non posso farlo, per te è tutto più facile!

MARCO     Perché? Perché sono un po’… ritardato?

ANDREA   Mi sa che tu non lo sei per niente. Forse ci hai sempre giocato, forse ci prendi in giro da sempre, tutti.

MARCO     No, non è vero, lo sai che ho anche il Certificato.

ANDREA   Perfetto: ritardato DOC, origine controllata!

MARCO     Non essere cattivo.

ANDREA   Vedi i privilegi? In un mondo dove tutti si sbranano, con te non si può neanche essere cattivi, per una volta! Perché tu hai il Certificato medico!

MARCO     Fattelo fare anche tu, son sicuro che ci riusciresti: sei così intelligente, conosci tanta gente importante, puoi avere quello che vuoi.

ANDREA   Ma che cosa posso avere? Vorrei solo potermene andare anch’io!

MARCO     Fallo.

ANDREA   E no, perché io ho le mie responsabilità, e me le assumo fino in fondo, fino all’ultima, questo almeno lo puoi capire: ho due figli, io, e una donna da mantenere!

MARCO     Vieni via con me: conosco posti dove un uomo non deve mantenere nessuno, i figli crescono liberi, e sono le donne che lavorano, ma solo se ne hanno voglia. Gli uomini non fanno niente.

ANDREA   Grazie, non fa per me. E di là c’è nostro padre. Ce l’ho il senso del dovere, io.

MARCO     Conosco un uomo, laggiù, che a forza di non fare niente si è talmente stancato che ora neanche si alza più dal letto. E’ diventato così grande che per il matrimonio della figlia, per trasportarlo, hanno dovuto prendere un elefante.

ANDREA   Che è schiattato sotto il suo grande peso!

MARCO     No, tu non conosci gli elefanti: un elefante potrebbe portarne dieci, grossi come lui. E’ che non sono riusciti a sollevarlo per mettercelo sopra. Così, il matrimonio è andato in fumo.

ANDREA   Che dolore!

MARCO     Macché, è stato un bene, perché si è scoperto, subito dopo, che lo sposo era una brutta persona, cattiva, lo hanno arrestato dopo neanche una settimana. Però è riuscito a scappare, è corso da lei per rapirla, di notte, mentre era nel letto, e lì è accaduto l’incredibile: (fa un gesto con le braccia, come ad incorniciare un titolo) “Il Miracolo dell’Amore Paterno”. Sentendo urlare la figlia, l’uomo con grande  sforzo riesce a sollevarsi, va nell’altra stanza barcollando sotto il suo enorme peso (prende a mimare tutta la scena, col salto dell’uomo grasso e poi i movimenti soffocati dell’altro) e fa un balzo altissimo, si lancia ricadendo sul malfattore che resta schiacciato sotto la sua immensa rotonda strabordante pancia, e quasi non respira più, sta per soffocare, mugola e basta, riesce a implorare la gente accorsa perché chiamino i poliziotti, che lo aiutino! Proprio lui, capisci, appena fuggito di prigione!? Muove solamente le braccia e le gambe, come uno scarafaggio rovesciato, o un neonato nella culla, che poi è lo stesso movimento. “Aiuto, aiuto!” La Polizia arriva e non sa che fare: come sollevare l’enorme massa di carne che si è spiattellata sul fuggiasco? In quel mentre…

Andrea, che lo ha ascoltato scuotendo ogni tanto la testa, gli si accosta poggiandogli la mano sulla bocca, zittendolo, mentre ancora Marco mima il movimento sdraiato supino, in terra.

ANDREA   Basta, basta, ti scongiuro. Le tue storie potrebbero pure essere divertenti, ma io le ascolto da troppi anni…

MARCO     Se è tanto che non ci vediamo.

ANDREA   Fa lo stesso. Ormai ce le ho tutte dentro qui, scolpite per sempre, le tue storie: quelle che hai detto, e quelle che non hai ancora detto!

MARCO     Sei sempre stato buono con me. Mi ascoltavi, giocavi con me quando gli altri mi evitavano. Avevano paura mi venisse un altro di quegli attacchi, quei tremori incomprensibili, le convulsioni. Tra i bambini, correva la voce che ero una specie d’indemoniato, un lupo mannaro, che una volta o l’altra mi sarebbero spuntati i peli, le orecchie: “Il Lupo Mannaro!”, o addirittura le corna. Mi buttavo per terra, ma non per finta come ora, crollavo veramente, mi veniva la bava alla bocca, che spettacolo orribile dovevo essere. Però, ora è passato, forse le medicine, come dice il dottore, forse la fede, come dice Padre Mathias. Non ne ho da tanto tempo, di quegli attacchi, me ne resta solo la paura, il terrore che possano tornarmi, quello sì. Perciò tu non devi più vergognarti di me… perché un po’ ti vergognavi, dai, ammettilo: quando c’era altra gente eri ogni volta più teso, perché anche se tu eri normale, in quei casi diventavi il fratello di quello strano. Però eri sempre pronto a difendermi se qualcuno voleva burlarsi di me, anche se pochi lo facevano. Gli altri bambini, e poi i ragazzi, mi temevano sempre un po’, vero? Questo essere imprevedibile che da un momento all’altro può avere una crisi.

Marco scherza un po’ con se stesso, mimando una specie di crisi epilettica.

ANDREA   No, non scherzarci… e in fondo non è stata un’infanzia peggiore di tante altre, la nostra. In casa c’era armonia. Due genitori che si vogliono così bene, sono una rarità. Non a caso papà si è ammalato dopo pochi mesi che la mamma è mancata: come se non lo avesse interessato più vivere. Rabbuiato, incupito, sempre gentile ma isolato dal mondo, perfino da me, dai nipoti… fino a diventare com’è ora. Un essere inutile a se stesso e agli altri, seduto su una carrozzella, incapace di ogni controllo di sé, che stenta a riconoscere gli altri. Sai che è passato ormai un anno, forse più, dall’ultima volta che ha fatto un cenno a me, a suo figlio? E te, non ti vedeva da quanto? Eppure ha solo saputo dirti: “Ciao, chi sei?” E quando gli hai risposto: “Sono Marco, papà: tuo figlio”, ti ha chiesto: “Come sta la mamma?” Non è incredibile che un uomo possa ridursi così? Quattro anni…

MARCO     Dovremmo fare un tentativo: portiamolo laggiù, in India: conosco un maestro che ha guarito le persone soltanto toccandole, e cantando un mantra per lui.

ANDREA   No, Marco: il suo cervello è andato, abbiamo fatto decine di analisi, non c’è più nulla da fare.

Marco comincia ad emettere dalla laringe un suono gutturale profondo e continuo, un po’ vibratile, un lungo ‘ong’.

ANDREA   E adesso che t’inventi?

MARCO     Cantiamo un mantra per lui, insieme, la forza di due fratelli…

ANDREA   Dai, ma quale mantra?

MARCO     Il mantra della salute, ovvio. Va bene, allora lo faccio io.

Marco si scosta, girandosi di spalle, e siede in terra incrociando le gambe; unisce indici e pollici nel mudra della preghiera. Dopo un poco, Andrea gli si avvicina.

ANDREA   E sia, facciamo il mantra della salute. Com’è?

MARCO     Ecco, si parte con l’ONG, proprio da qui, dalla pancia, tiri su lo stomaco, impegni il diaframma, poi la gola, il suono esce e ti produce una specie di risonanza, una vibrazione, devi sentirla nelle orecchie.

ANDREA   ONG, e che dovrebbe fare?

MARCO     Ti fa stare bene: è poco secondo te? Ti rilassi, ma anche ti concentri, acquisti forza, fermezza, consapevolezza: una ginnastica mentale ma anche fisica, interna. OOOOOOOOOOONNNNNNNNNNG.

ANDREA   Però, quante cose fa ‘sto mantra! OOOOOOOOONNNNNNNG.

MARCO     E’ il suono primordiale, la Creazione del Mondo: tutto è nato dal suono, e dalla vibrazione di questo suono. Lo dice un libro indiano di migliaia e migliaia di anni fa.

ANDREA   “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”… anche il “Vangelo di Giovanni” fa iniziare tutto con la parola, il suono.

MARCO     Già, Padre Mathias dice che non ci sono differenze tra le religioni: tutte cercano Dio, chiamandolo in tanti modi, rivestendolo di tante leggende in base alle conoscenze limitate dal posto in cui vivono.

ANDREA   Un prete cattolico non dovrebbe dire queste cose.

MARCO     Invece è bene che lo dica, un gran bene, così non succedono più certe cose… divisioni di religione, razza, politica: tutti a pregare Dio, un Dio senza nome, anzi no, con mille nomi, ognuno come vuole, tanto è lo stesso, senza preti, bramini, muezzin e pastori a indottrinarci.

ANDREA   Padre Mathias lo sa che dici queste cose?

MARCO     E’ lui che me le insegna.

ANDREA   Una volta, i preti cattolici erano diversi.

MARCO     Altroché se lo erano.

ANDREA   Anche oggi, da quel che sento, non sono tutti come lui.

MARCO     Una volta ero in una piccola isola davanti a Mumbay, Bombay insomma, nell’isola di Elefanta. Guardavo quelle enormi sculture scolpite nella roccia, mi colpivano da impazzire, e chiesi alla guida perché mai fossero così rovinate. Seppi allora che i Portoghesi si erano presi la briga di portare fino lì i loro cannoni, sull’isola, e poi dentro quelle grotte, per sparare addosso a quelle raffigurazioni: Brahma, Vishnu, Shiva, anche quella una Trinità, la Trinità Induista con le sue mille propagazioni. Mi colpì soprattutto l’immagine di Vishnu con la sua compagna, seduti, che lanciavano davanti a loro dei piccoli sassolini, che stavano vicino ai loro piedi. “Che fanno?”, chiesi. “Giocano.” “Che gioco è?” “Tirano i sassolini, tipo i vostri dadi”… una specie di battimuro, ricordi il gioco che facevamo anche noi da piccoli? Mi meravigliava che in quel luogo sacro avessero immortalato una scena così semplice, quotidiana… non so se compresi bene la traduzione: “Il gioco della vita”, mi parve di capire dall’inglese stentato della nostra giovanissima guida indiana. Il gioco della vita, ti rendi conto? Dadi, o sassolini, lanciati dagli dei. Ebbi quella che molti chiamano: illuminazione. Loro due così belli, ma così normali, semplicemente seduti l’uno accanto all’altra, una coppia d’innamorati, che giocano a questo mistero chiamato: vita.

ANDREA   Beato te, che sei un (sottolineando la parola con del sarcasmo) ‘illuminato’.

MARCO     Essere illuminati non è una cosa eccezionale, non significa essere grandi saggi, santoni, o chissà cosa. Semplicemente, vivere nel presente.

ANDREA   Il presente: se entro fine mese non saldo il mio debito ci portano via quel che resta dello stabilimento, e anche la casa. Dove vado a vivere coi miei due figli: sui marciapiedi di Bombay? E’ incredibile, veramente un gioco ai dadi. Da sempre ci preoccupiamo per te, sembarva che la vita fosse stata così crudele con te, ed ecco che proprio tu sei (con voluta enfasi) l’illuminato di casa.

MARCO     (ignorando l’ironia dell’altro) Padre Mathias sostiene che la religione induista è simile alla nostra: tante immagini, raffigurazioni, santini, devozione spesso ingenua e popolare, proprio come noi. File di persone che non posseggono nulla, eppure se hanno un piatto di riso, o dello  zucchero, qualsiasi cosa, ne lasciano un po’, la mettono da parte per offrirla al tempio, la portano a un piccolo altarino, che magari si son fatti da sé, in casa o per strada, come le nostre Madonnine sui palazzi o in mezzo alla campagna, dove ancora c’è chi porta un cero, fiori, piccoli anelli o qualunque altra offerta.

ANDREA   Che poi il prete di turno può prendere per arricchirsi.

MARCO     Beh, forse succede anche così, ma non vedere solo il peggio negli atti dei tuoi fratelli, nei comporatmenti sbaglati.

ANDREA   Lascia stare la fratellanza, che di fratello mi basti tu, e mi avanzi abbondantemente.

MARCO     Andrea, c’è tanto amore nel mondo, tanta gente che dà.

ANDREA   Per ognuno che dà c’è qualcuno pronto a ricevere, ed approfittarne. Perché? Cosa ti dice Padre Mathias, che quella è opera del Diavolo?

MARCO     Non c’è nessun diavolo, non quello che c’hanno insegnato, almeno.

ANDREA   Bizzarro questo prete.

MARCO     E poi, se anche c’è chi ne approfitta, cosa importa? Quello che hai dato resta nel tuo atto, dentro di te e nel mondo che hai reso migliore.

ANDREA   Beato te che hai tutte queste certezze.

MARCO     “Tiro l’acqua dal pozzo e raccolgo la legna. Quale soprannaturale meraviglia, e cha miracolo è questo!”

ANDREA   Sarebbe?

MARCO     Un epigramma zen.

ANDREA   Anche lo zen, adesso? Già, mancava! Ma che mi fai, un excursus mondiale di religioni comparate?

MARCO     Questa non è religione, è una filosofia, un modo di vivere e di pensare… tutto, anche le cose più normali sono belle, sempre nuove, speciali, se solo sai viverle come qualcosa di tuo, di positivo, di unico: un miracolo!

ANDREA   Anche andare in banca a parlare col direttore che minaccia di dichiarare il fallimento della tua azienda se non rientri subito del debito?

MARCO     Beh, non lo so. Ma forse sì, forse vuol solo dirti che non dovevi trovartici, in quella situazione, o forse è l’inizio di una nuova, grande opportunità, e adesso è l’ora di mollare tutto!

ANDREA   Mollare: te l’ho già detto che non è così facile, non per me, almeno, non per le mie responsabilità!

Marco prende a girare su se stesso colle braccia allargate, in senso orario, mentre Andrea lo osserva senza espressione, fino a crollare a terra.

ANDREA   Marco, cos’hai?

MARCO     Faccio come i Sufi, sai? Girano su se stessi anche per ore, fino a perdersi, si collegano con l’Infinito. Gira, gira anche tu.

ANDREA   Piantala, non mi va di girare.

MARCO     Gira invece, fai girare te stesso, il tuo mondo, la maniera di vederlo, la tua visione.

ANDREA   Guarda che mi stai facendo girare solo le palle, così: alzati!

MARCO     Tutti cerchiamo qualcosa, ciascuno in un modo suo, personale, tutti lo cerchiamo: perché tu no? (attende; nessuna risposta) Perché tu no? (come prima) Tu, cos’è che cerchi, tu?

Andrea gli tende la mano per farlo alzare; Marco invece gli cinge il polso con un braccialetto di stoffa.

MARCO     Metti questo, esprimi un desiderio mentre te lo stringo pronunciando una preghiera: esprimi un desiderio, adesso, e credici fortemente!

ANDREA   Così poi si avvera.

MARCO     Non è detto, ma intanto lo porti con te, dentro di te, e al tempo stesso te ne liberi riponendolo fuori, appunto qui.

ANDREA   Senti, ora basta, o mi fai impazzire.

MARCO     Allora prendi questo rosario.

ANDREA   Adesso pure questo? Sembri zia Caterina, te la ricordi, le estati in campagna, lei sulla sedia in strada sempre a recitare il rosario? E noi le facevamo certi scherzi…

MARCO     E’ solo un rosario, vedi? Può servirti per pregare, o per fare i conti, rammentarti qualcosa.

ANDREA   Infatti, mi fa ricordare quella volta che si era addormentata, con la gonna nera che le scendeva fino a terra, e noi le andiamo piano piano a mettere quel grosso gatto rosso, proprio là sotto!

Marco ripete una preghiera snocciolando i grani della corona del rosario, mentre Andrea è perso nel ricordo.

ANDREA   A lei sta per prendere un colpo, a sentirsi quella cosa sotto la gonna, in mezzo alle gambe, comincia a scalciare, lui terrorizzato miagola come un ossesso, graffiandola a tutto spiano, lei inizia ad urlare, che scena surreale. Papà fece davvero bene a suonarcele, quella volta.

MARCO     (porgendogli il rosario) Prendilo.

ANDREA   Perché?

MARCO     Per proteggerti.

ANDREA   Da cosa?

MARCO     Da te. Perché sento che stai per fare qualcosa di male.

ANDREA   Devo parlare con Padre Mathias. Quando ti abbiamo affidato a lui non pensavamo che ti avrebbe indottrinato così.

MARCO     Lo sai che non è vero: questo sono io, è quello che penso io.

ANDREA   E questo pensi tu, di tuo fratello: che voglia farti qualcosa di male?

MARCO     No, non a me.

ANDREA   E a chi?

MARCO     A papà.

Pausa. Marco si alza e Andrea passeggia un po’ avanti e indietro, nervoso. Si ferma.

ANDREA   Adesso ascoltami, ti racconto io una storia. C’era una volta un Ragazzo che sembrava non avere problemi, era bravo a scuola, studioso ma anche vivace, bravo nello sport, diligente in casa. Però questo Ragazzo aveva un fratello tutto particolare, e doveva spesso badare a lui, specialmente perché se gli altri lo prendevano in giro lui non reagiva, mai, neanche se i compagni lo sfottevano, a se addirittura lo picchiavano. Sempre il Ragazzo doveva controllarlo. Una volta, in campagna, d’estate, un gallo gli saltò sulla testa, al fratello intendo, e questi non faceva nulla, neanche una mossa per mandarlo via. Era pieno di sangue sul collo e sulla schiena ma neanche urlava. Il Ragazzo per fortuna anche quella volta era lì, e intervenne a scacciare quel gallo aggressivo, come sempre faceva quando vedeva suo fratello in difficoltà coi compagni, con una bicicletta o un compito. Poi questo Ragazzo crebbe, studiò tantissimo anche se controvoglia, perché in famiglia tutti riponevano tutte le speranze in lui: “Eh, tu sarai la nostra colonna, tu avrai in mano la famiglia, tu…” Il Ragazzo si laureò, mentre già aiutava il padre nell’azienda di famiglia. Per completare il quadro, e accontentare la madre che tanto voleva un nipotino, vederlo ‘sistemato’, sposò una bella ragazza di buona famiglia. Poi conobbe una ragazza danese, se ne innamorò, decise di cambiare vita. Fece quello che non aveva mai osato fare: ragionare con la propria testa e agire in base a ciò che gli diceva il cuore! Visse libero per molti mesi, leggendo tantissimo, la cosa cui teneva di più, lavorando poche ore spensierate insieme alla sua compagna. Proprio la vita che voleva! Aveva solo i panni che portava addosso, i soldi del suo stipendio a fine mese, il passaporto e qualche libro da leggere, non da tenere in libreria, perché la casa era così piccola che, in due, anche un vestito in più, o troppi libri, avrebbero tolto aria. Si sentiva così libero che spesso scoppiava a ridere, così, senza un perché. (breve pausa) Fu richiamato: la madre morì, all’improvviso. Si sentì in colpa verso di lei, per non essere stato presente, e questa colpa la sentì anche verso il fratello, pensava a lui e cosa avrebbe fatto ora senza la madre, col padre oltretutto sempre in azienda. Viste le sue tendenze mistiche lo mandò in un’associazione religiosa. Non sapeva che avrebbero girato il mondo, ma quando lo fecero ne fu contento. Poi, pensò a suo padre. Neanche il tempo di stargli un po’ vicino, almeno i primi tempi, che il padre si ammalò. In pochi mesi si ridusse ad un’ameba, una specie di vegetale: ora è una specie di cadavere vivente, non sa comporre una frase compiuta, non ricorda chi è, quale sia il proprio nome. Allora il Ragazzo pensò che fosse tutta una punizione, sì, anche lui in fondo credeva a Destini e Provvidenze: tornò da sua moglie, soprattutto per essere vicino ai suoi figli. Lasciò il piccolo lavoro, e la fidanzata danese. Si occupò della Azienda, del Padre, della Moglie, dei Figli, ma non di Se Stesso. Non ricevette nessun premio per i suoi sacrifici, e l’azienda addirittura fu sull’orlo del fallimento: debiti, licenziamenti, scioperi, tutto quello che credeva di far di buono, gli si ritorceva contro.

Pausa. I due si guardano, Marco aspetta che Andrea continui, ma non parla.

MARCO     Ora sei tu che ti stai inventando tutto. Questo è un film, somiglia un po’ alla trama di un film danese, l’ho visto, l’ho visto, perciò non mi freghi!

ANDREA   Marco, ragiona Marco, cosa dici? Potrà anche essere la storia raccontata in mille films, ma sai che è la mia storia, anzi la nostra, perché ora tutti e due abbiamo, di là, lo stesso padre che c’impedisce di vivere!

MARCO     A me no, a me non me l’impedisce!

ANDREA   Sì, te lo impedisce: perché ora smetto di occuparmene io, è questo che sto cercando di farti comprendere da quando sei tornato! Io devo riprendere la mia vita, e quindi con papà la notte devi starci tu. E forse anche durante il giorno, perché non credo che riuscirò a pagare la badante ancora per molto. Per stare male ci vogliono i soldi, soldi, tanti soldi! E siamo pieni di debiti, l’azienda è piena di debiti, in crisi: fallimento, la riesci a capire questa parola? Lo comprendi questo?!

Andrea afferra il fratello per le spalle, con ambedue le braccia, fissandolo negli occhi.

ANDREA   Ecco, di cosa ti devo parlare. Nostro padre, l’avevi intuito, no?

Marco fa cenno di sì con la testa.

ANDREA   Questa casa, questa casa completamente spoglia: non ti sei chiesto perché? No, a te tutto ciò che è pratico, materiale, non interessa. Infatti, però, li do io a Padre Mathias i soldi per il tuo mantenimento. Sotto forma di donazione alla Comunità, certo, magari sennò si offenderebbero! 

MARCO     Tu non sai com’è laggiù, potrei vivere con un dollaro al giorno.

ANDREA   E allora comincia a guadagnartelo quel dollaro, laggiù. Io qui ho dovuto vendere tutti i mobili, quelli di famiglia, antichi: tutti via, uno per uno. Tanto, a cosa servirebbero? Nostro padre non si alza, non potrà alzarsi mai più.

MARCO     Portalo a casa tua.

ANDREA   Conosci casa mia: chi me la dà un’altra stanza per lui, e un’altra anche se piccola per la badante? E i miei figli, sempre a urlare e sparare musica, come giustamente fanno quelli della loro età, che atmosfera gli creerei? Così, qui c’è rimasto solo il letto suo, quello per la badante,  una sedia per lei accanto al letto, un’altra per me se vengo quando c’è lei, ma ovviamente ci diamo sempre il cambio, per esempio la Domenica, suo giorno di riposo. Allora sono io che devo stare qui. Già, il mio giorno di riposo, lo passo per gran parte qui. E l’estate la ragazza va in ferie, ferie pagate, e da più di un anno io non ho i soldi per prendere una sostituta, pagare anche lei. Però, qualche giorno di vacanza, l’Estate, devo prenderlo anche io, e allora sai cosa ho inventato? L’azienda resta aperta ad Agosto, perché dove potrei andare io? Chi lo accudirebbe? Mi stai seguendo?

MARCO     Sì.

ANDREA   Nessun problema, chiudiamo a Luglio! I problemi sono altri. Per salvare l’azienda e non perdere tutto, a questo punto, devo andare a recuperare dei soldi che papà portò all’estero, oh, è inutile che ti spieghi certe cose, vero?

MARCO     Vero.

ANDREA   Lo so che a te non interessano, giusto?

MARCO     Giusto.

ANDREA   Dovevamo andarci insieme, con papà, doveva farmi solo mettere la firma sul conto, appena morta mamma dovevamo recarci lì, ma lui è rimasto totalmente svuotato, rimandava di settimana e settimana, a volte troppo amore non fa bene, o magari è più un fatto di abitudine, chissà… fatto sta che si è ridotto così. Io con quei soldi risanerei il debito, ma potrò ritirarli solo come eredità, dopo che lui... insomma, quando nostro padre…

MARCO     Debito, soldi, che c’entrano i soldi con l’affetto di un padre, un padre che ci ha dato tanto!

ANDREA   Sapevo che non avresti capito, ma tu vai in giro per il mondo: stai tu qui con papà, allora, no? Ci stai? (non attende risposta, prosegue con impeto) Vendendo questa casa potrei avere i mezzi per ristrutturare l’azienda, renderla di nuovo competitiva, evitare il licenziamento di tante persone, ho un grosso piano di rilancio, ho tutte le premesse e l’operatività necessaria, magari anche solo per poterla cedere, sì, magari cederla ed avere il denaro per condurre la mia esistenza, senza gettare sul lastrico la mia famiglia, compreso te, capisci? Capisci ora perché papà deve… deve…

MARCO     Morire? Morire? Papà deve morire?!?

ANDREA   Schhh, abbassa la voce, smettila di urlare!

MARCO     (ancora più forte) Papà deve morire?

ANDREA   Smettila, ci sentiranno tutti!

Andrea mette una mano sulla bocca di Marco, scuotendolo con l’altra mano per un braccio, con vigore, forza, e anche rabbia.

ANDREA   Zitto, ti dico: stai zitto!

Marco  è preso da un fremito, dapprima leggero, poi sempre più insistito ed inquietante.

ANDREA   Marco, non giocare adesso, non ora!

Andrea insiste per qualche istante a scuoterlo, poi smette, continuando a tenergli le spalle ma in modo affatto diverso, preoccupato.

ANDREA   Marco, Marco, cos’hai?

Marco è ormai scosso da un fremito sempre maggiore, incontrollabile, fino a cadere in terra scosso da convulsioni. Andrea s’inginocchia al suo fianco.

ANDREA   Scusami, non volevo scuoterti, non… Marco, Marco! Dai Marco, tutto bene, tutto bene.

Andrea cerca di tenerlo fermo, gli pulisce la bava dalla bocca col suo fazzoletto, abbracciandolo appena il fremito è un po’ scemato. Ora quasi lo culla, come si fa con un bambino.

ANDREA   Marco, Marco, fratellino mio, quanto tempo che non ti tengo più così, tra le braccia? E’ bello, vero? Anche se tu stai male, è bello riabbracciarci. Io non so cosa provi in questi momenti, certo è una sofferenza, ma… ne soffriva anche Dostoevskij, no, anche il suo principe Myskin, no, “L’idiota”, il personaggio infinitamente buono… e allora? Era anche lui troppo semplice, ingenuo, candido, non reggeva il peso del mondo. Tu sei come lui? Come sei, tu? Candido, sì, sei candido, però quelle gocce a papà erano troppe, troppe, il suo cuore non potrà reggerle… ma forse sì, te l’ho detto io di metterle, sì, ho sbagliato a dirtelo, magari ho voluto sbagliare. Ma se anche lo scoprissero, nessuno se la prenderà con te… il tuo male… la tua fragilità è anche il tuo scudo, non lo è sempre stato? Sì, è così: la tua debolezza è la tua forza, sembra un paradosso ma non lo è, è la tua realtà, è la verità, così evidente, sì, così, così…lo è sempre stato, e lo sarà… per tutti gli anni della tua vita, e anche dopo… perché c’è un dopo, vero, tu lo sai più e meglio di me, vero? Cosa c’è, dopo? L’Eterno, oppure un’altra reincarnazione? E’ questo che tu credi, no? E anch’io… anche se Padre Mathias, chissà se lui è d’accordo? Io non so a cosa credo, Dio, non so neanche se credo, io, però lo invoco, Dio, lo invoco, non so perché, se è un mio modo di dire, se è un appellativo di comodo, o un sentire profondo… perché anch’io ho tanti pensieri, tanti dubbi, e se l’autopsia dirà che è morto per quelle gocce, perché così tante… mi chiederanno perché ho lasciato che te ne occupassi tu, ma che dovevo fare io, dopo tutti questi anni, non avevo diritto ad una pausa, a un mio momento, un mio periodo di stacco, di pace, di quiete… ora papà sarà finalmente in quiete, avrà smesso di soffrire, papà, col suo corpo già morto, inutile, fragile, piagato. Papà è morto, morto: nostro padre non c’è, non c’è più! Avrà finito di farsi umiliare dal cambio della biancheria sporca, dall’incapacità di compiere anche gli atti più naturali… tu, non entrare in quella stanza: il suo cuore avrà già smesso di battere, è certo. Tornerò stasera, chiameremo il medico, constaterà l’inevitabile. Doveva succedere, e che importa un anno prima, o dopo, o due anni prima, o dopo, o tre? Non era già morto, così?! Cazzo che cosa ho fatto? Cosa ho fatto!?! Ma devo pur vivere io, no?!? Ora sistemerò ogni cosa, e penserò anche a te, te lo giuro, non avrai mai nulla di cui preoccuparti, il tuo fratellone ci sarà sempre, sempre! L’azienda riprenderà i suoi ritmi, nessuno sarà licenziato, pensa quanto bene avrà fatto ancora una volta il nostro grande papà! Tutto a posto, a posto finalmente! O forse no, forse venderò tutto e me ne andrò con te in giro per il mondo, sì: verrò con te, tu mi insegnerai a pregare, senza spiegarmi niente, perché ho letto che un Dio comprensibile non è un Dio: come si può spiegare l’Infinito a parole? Dio è dentro di noi, oppure non è. Troverò me stesso, o Dio, Allah, God, Dieu, Brahma, il Nirvana, Manitù o come diavolo vogliamo chiamarlo… così ho nominato anche il Diavolo: c’è pure lui, allora, c’è il male, ma noi lo sconfiggeremo insieme il Male, il Diavolo. Mi capisci Marco, mi stai sentendo, mi ascolti, sì, comprendi?

Andrea lo guarda negli occhi e Marco risponde al suo sguardo, muto ma ormai completamente calmo, quasi rasserenato: è come se volesse tranquillizzare l’altro, rassicurarlo di stare bene.

ANDREA   Allora ciao, Marco, torno stasera. Non ti agitare, non uscire, stai qui. Faremo tutto, tutto, tutto per bene. E comincerà una nuova vita, una seconda vita, donataci per la seconda volta da nostro padre… non serve che tu vada di là, nessuno t’incolperà, tieni, (gli mette in mano una boccetta) queste sono le gocce, la medicina, tienila tu, tanto noi sappiamo, lo sappiamo… il rimorso, di sicuro, sarà tutto mio… chissà se riuscirò a prendere sonno facilmente, non lo so, so però che non c’erano alternative, no, proprio nessuna, ne avevo… ora ciao, Marco, ciao fratello: ti voglio bene. (lo abbraccia, stavolta in completo abbandono, con le lacrime agli occhi) Sii forte, tu, almeno tu: perché io sono il debole, lo so: perdonami.

Andrea afferra la sua valigetta ed esce. Marco si guarda intorno. Apre la boccetta, la soppesa, la annusa, ne assaggia qualche goccia. Poi si guarda attorno, come non sapendo cosa fare. Va a frugare nel suo zaino, ripescando il riproduttore sonoro che aveva rimesso dentro. In un attimo ricerca un nuovo brano, che fa esplodere una musica techno modernissima, assordante, che appare completamente spiazzante e fuori contesto. Marco ricomincia coi suoi sussulti, ma pian piano si comprende che è una specie di movimento sul ritmo della musica, e poi si trasforma in un attacco di riso sfrenato, liberatorio, finché improvvisamente spegne con uno scatto della mano l’apparecchio. Come acceso da un’idea, un’ispirazione, con uno scatto s’inginocchia in proscenio e recita con voce ispirata, ma come un poco ‘scordata’, ‘stonata’, ’estranea’.

MARCO     Fratello, oh, fratello, ma di che ti preoccupi? Perché piangi così, e soffri, e ti tormenti? Sai forse dov’è il giusto, la verità, la vita? Davvero tu  lo sai cos’è, la vita? E la morte? “Egli ottenne quel che voleva,  perse però ciò che già aveva”. Ma nostro padre non è morto, è di là, vive, e così nostra madre, né noi mai moriremo! E’ vero, ho le prove: ho visto coi miei occhi una volta un santone, tanto lontano da qui, un uomo con una grossa barba, lunghi capelli, e un candido vestito bianco, attorniato da una grande folla, e seguito da numerosi apostoli, gridare un ordine davanti ad un sepolcro dove un uomo era morto da quattro giorni: “Lazzaro, vieni fuori!”; e Lazzaro, bianco com’era, con i piedi e le mani avvolte da fasce, e il volto coperto da un sudario, uscì fuori sulle sue gambe, vivo, tornato a vivere!!! E c’era anche Padre Mathias, con me, lui può confermarlo, non è una bugia: perché tanto si sa, tutti torniamo a vivere! Mamma, e papà, e i padri dei nostri padri, e delle nostre madri; e noi, e i figli, e i figli dei nostri figli! Perciò, Andrea, di che ti preoccupi, fratello mio, perché piangevi, perché piangi? Lo vedi, io non piango più, no, io ti voglio bene, dunque: di cosa ti preoccupi, di che cosa, fratello!?!

SIPARIO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

Il testo nasce dal connubio tra il mio vissuto di incontri, viaggi, accadimenti personali (ovviamente rivisitati) e la figura letteraria che da sempre occupa lo spazio più grande nel mio cuore: “L’idiota”, ossia il principe Miskyn creato dal genio effervescente ed a volte morboso (per ipersensibilità) di Dostoevskij.

Due fratelli, Marco ed Andrea, si ritrovano dopo circa un anno, in casa del loro padre morente, anzi no: vivente, ma in una condizione che alla morte assomiglia, immobilizzato nel letto da quattro anni, con un cervello ormai incapace di riconoscere perfino i figli, praticamente poco più che un oggetto che necessita di tutto, nell’umiliante condizione di dipendenza giorno e notte da una badante, e dal figlio maggiore che si prende cura di lui quando lei deve assentarsi. Mentre Marco, il più piccolo, gira il mondo al seguito di un’organizzazione umanitaria, forse un modo di sentirsi vivo e in minore sofferenza rispetto al suo malessere, che l’ha visto fin da piccolo preda di disturbi e crisi epilettiche.

La scommessa della scrittura è stata quella di riuscire a parlare di simili temi in maniera ‘dolce’: infatti la commedia si apre con il ricongiungimento dei fratelli che sembrano regredire in alcuni momenti alla loro infanzia, e coi racconti reali o immaginari di Marco che parla dei suoi incontri straordinari in India, Africa, o altri luoghi che probabilmente ha mitizzato, in un incrocio tra realtà e fantasia che mette a dura prova la pazienza di Andrea.  Nel fluire della storia, anche quest’ultimo racconterà la propria, in tal modo progressivamente dipanando le loro personalità e quella dell’ombra incombente dietro la porta, ponendo infine il fratello di fronte all’accettazione di un terribile presente.

Dunque tematiche forti e delicate, in un miscuglio di comico e drammatico, di cinismo e passionalità, con lo scopo di riuscire a fare riflettere sul senso profondo della vita pur lasciando momenti di gioia, di calore, di vero amore a riscaldarne il senso riposto, con un sentimento religioso del sentire che non è mai ortodosso o restrittivo ma sempre aperto, possibilista, carico di sofferenza, amore, e gioia verso l’universo mondo.