I figli del marchese Lucera

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PERSONAGGI:

I figli del Marchese Lucera

Commedia in tre atti di Gherardo Gherardi

PERSONAGGI

IL MARCHESE LUCERA anni 55-60

ERMANNO anni 30

SALVATORE anni 29

SALVATORE VENTURA anni 31

VIGNA anni 55

MATTEO TORTORELLI anni 60

ZELINDA TORTORELLI anni 50

GIANNINA anni 25

SOAVE, cameriera anni 25

Un cameriere che non parla

In una città qualunque, ai giorni nostri


ATTO PRIMO

Appare una camera da pranzo moderna, elegante con sobrietà, ma comoda, ricca, sof­fice e allegramente intima. La finestra che è a sinistra lascia entrare la luce del sole, gial­la, tremula, leggera. Al fondo una porta che serve di comune e un'altra porta a destra dello spettatore, V'è una tavola nel mezzo, dì stile moderno, sedie con imbottitura di cuoio ed alta spalliera, un telefono, poltrone, nel rialzo della cnstalliera uno specchio che aumenta la luminosità dell'ambiente.

Quando si alza il sipario il marchese Cri­stoforo Lucerà, di cinquantuànque anni, alto, elegantissimo nel suo tout-de-meme grigio, sta prendendo la sua colazione mat­tutina sotto gli occhi inquisitori delia came­riera, Soave, che va e viene per faccende. Il Marchese è avvolto al collo da un ampio to­vagliolo bianco, come si fa coi bambini per­ché non si imbrattino coi cibi, legato alla nuca da un grosso nodo.

CRISTOFORO              - (alla cameriera Soave, che sta preparando un'altra colazione) Soave. (Più forte) Soave, (Più forte) Soave! ( Soave si volta verso di lui) Non fatemi urlare il vostro nome, cara, che è fatto per essere sussurrato. Datemi un'altra  focaccina.

SOAVE                         - Non ce n'è più.

CRISTOFORO              - Le hanno mangiate tutte i miei figlioli?

SOAVE                         - Signor marchese, non posso darglie­ne, ecco. Perché le fanno male. Due sole. Ho questi ordini.

CRISTOFORO              - Ma io sto benissimo.

SOAVE                         - Non è una buona ragione per gua­starsi la salute.

CRISTOFORO              - (soffiando tenta di levarsi il to­vagliolo ma non riesce a slacciarselo die­tro la nuca) Ma come si fa qui?

SOAVE                         - Un momento... Ecco fatto. Sì dice!

CRISTOFORO              - Vorrei sapere che bisogno c'era di questa organizzazione difensiva con quel tovagliolo... Ho mangiato per tanti anni cosi… genuino...

SOAVE                         - Ma aveva sempre le macchie all'oc­chiello della giubba. Perché si tocca la fronte?...

CRISTOFORO              - Io?

SOAVE                         - Lei non si sente bene.

CRISTOFORO              - Io mi sento benissimo, vi ripe­to, non mi seccate. Del resto avrei tutte le ragioni per ammalarmi, con tutta l'igie­ne che mi si mette addosso. E poi non posso, non posso abituarmi a questa vi­ta... Io non posso dormire di notte e fare colazione... Tutta questa luce... Chiudete le finestre, fatemi il piacere... Che almeno mi goda un po' di luce elettrica...

SOAVE                         - Non posso. Il marchesino Salvatore ha detto che lei ha bisogno di raggi ultra­violetti.

CRISTOFORO              - Ma che? Come fa a saperlo? Credevo che fosse un mio segreto. (Ac­cende una sigaretta).

SOAVE                         - E fuma! E già la seconda questa mattina...

CRISTOFORO              - È la prima. Del resto non è il caso di andare a fare la spia.

SOAVE                         - Ma il marchesino Salvatore...

CRISTOFORO              - Lascialo stare. È uscito?

SOAVE                         - E’ domenica oggi... È andato a nuo­tare alla piscina.

CRISTOFORO              - Già, Per chi è quella colazione?

SOAVE                         - Il marchesino Ermanno... Eccolo.

ERMANNO                  - Buon giorno papà, come ti senti ?

SOAVE                         - Si toccava la fronte.

ERMANNO                  - (impressionato) Ti toccavi la fronte? Perché ti toccavi la fronte? Chiamiamo il medico subito...

PRIMO

CRISTOFORO              - Per carità, non complichiamo le malattie..

ERMANNO                  - Fa vedere h lingua. Non c'è male. (A Soave) No, grazie, troppa roba, Non ho fame. Un po' di latte, basta.

CRISTOFORO              - Fai male a rinunciare alle focaccine. Sono squisite.

ERMANNO                  - (porgendo il vassoio al padre) Prendine.

SOAVE                         - Ne ha già mangiate due.

ERMANNO                  - (ritirando il piatto prima che il pa­dre abbia avuto il tempo dì prenderne) Allora basta. Soave, è rientrato coso?

SOAVE                         - Il signorino Salvatore? Non ancora, ma non può tardare. (Esce),

CRISTOFORO              - Coso. Bel modo di parlare. Coso. Ma è tuo fratello...

ERMANNO                  - Sì va bene. Ma avevo la testa al­trove e non mi veniva il nome. Salvatore... Salvatore...

CRISTOFORO              - Sei di cattivo umore? Hai delle preoccupazioni.

ERMANNO                  - Credo di si.

CRISTOFORO              - Confidati.

ERMANNO                  - Con chi?

CRISTOFORO              - Ma con me! Non sono tuo pa­dre? Tante cose può insegnare ai giovani l'esperienza dei vecchi.

ERMANNO                  - Lascia andare. Ogni epoca ha la sua esperienza. La sua tecnica.

CRISTOFORO              - Tuttavia...

ERMANNO                  - No. Non mi farai mai credere che un conduttore di tram a cavalli abbia qualche cosa da insegnare ai piloti degli autobus.

CRISTOFORO              - Ma io non sono un conduttore di tram a cavalli.

ERMANNO                  - Comunque scusami se francamente ti dico che in fatto di consigli non ho molta fiducia in te. Prima di trovarmi.... anzi di trovarci... hai fatto una vita...

CRISTOFORO              - Io non voglio difendere la vita che ho fatto, per quanto la dissipazione e il disordine siano la conseguenza dell'af­fanno morale. Ma fino a partecipare alle tue preoccupazioni credo di poterci arri­vare. Che cos'è, il negozio che va male?

ERMANNO                  - Sicuro.

CRISTOFORO              - Strano. Eppure le scarpe sono un oggetto di prima necessità.

ERMANNO                  - Scarpe... Che modi di parlare! Calzature...

CRISTOFORO              - -Hai ragione, scusa. Infatti ieri nella vetrina di destra ho veduto due capolavori del genere. Giusta per la mia mi­sura. Dovresti regalarmeli per il mìo giorno...

ERMANNO                  - (eludendo la stoccata) Quando sei passato dal mio negozio?

CRISTOFORO              - Ieri, verso le sei.

ERMANNO                  - Verso le sei? Ma, dico, scherzi? Tu giri da solo per la città a quelle ore, con tutto quel frastuono, quel traffico... Ma se vuoi finire sotto una automobile, dillo.

CRISTOFORO              - No, io non voglio finire sotto una automobile. Tanto è vero che prima di attraversare la strada faccio l'occhietto al vigile.

ERMANNO                  - E si può sapere perché non sei entrato a salutarmi? Con una scusa o con l'altra, tu non sei mai entrato nel mio ne­gozio. Ti vergogni forse? Credevi di tro­vare un figlio prìncipe? Non lo sapevo io che ero marchese di Lucerà. Se l'avessi saputo avrei nell'attesa rinunciato volen­tieri a mangiare...

CRISTOFORO              - Che discorsi... Io non sono en­trato mai nel tuo negozio per timore di disturbarti. Hai da fare. Ma se ci tieni...

ERMANNO                  - Dunque, fuori i consigli... Sen­tiamo. Non mi dovevi dare dei consigli?

CRISTOFORO              - Ma io credo che questa crisi passerà... L'importante poi non è tanto che passi la crisi, ma la tua crisi. Un poco di pazienza e di attenzione e troverai an­che tu l'articolo della fortuna che salva tutto. C'è chi ha trovato una limonata fortunata, chi un'acqua minenale felice, chi un bottone, chi un ago... Pensaci, Se fossi in te, cosi, per scaramanzìa, toglie­rei anche la scritta che si legge sull'in­gresse del negozio. Folchi. Che cosa si­gnifica Folchi? Niente. Folchi un pove­ro trovatello, che ha avuto la fortuna di trovare suo padre, Folchi è morto.

ERMANNO                  - E credi che dovrei mettere sul­l'insegna le parole: Marchese Lucerà? Starebbero bene, di sera, illuminate al neon. Ma via, papa... Non scherzare. Prima di tutto quando una ditta si è impo­sta col nome di Folchi...

CRISTOFORO              - Imposta? Allora va bene?

ERMANNO                  - Insomma, papi, non fare il di­spettoso. Folchi è come un’impresa, una bandiera, per la mia ditta. Lucerà che si­gnificherebbe?...

CRISTOFORO              - Lucerà è il nome di una fami­glia assai più gloriosa di qualsiasi ditta. Fin dal mille...

ERMANNO                  - Lo so, fin dal milleduecentoquaratanta, il capostipite della casa Aldobrandino di Lucerà, detto Boccadoro perché aveva una parola sola, tagliò la testa a nove longobardi messi in fila. Ma que­sto che impressione può fare a uno che viene a comperare delle scarpe? Fossero stati nove marocchini, pazienza... E poi, scusami se esprìmo un sentimento cheavresti dovuto avere tu prima dì me: io non abbasserò mai il nome della mia fa­miglia al livello di una ragione commer­ciale. Ci mancherebbe altro! Non ne ho abbastanza delle ironie, dei sorrisi, con questo marchesato... Come se fosse una colpa essere marchese...

CRISTOFORO              - Come? C'è qualcuno che osa irridere alla mia famiglia?

ERMANNO                  - Non ti riscaldare... Già io ti confesso che mi ci vedo poco io stesso dietro il banco di un negozio...

CRISTOFORO              - Figlio mio, non esagerare...

ERMANNO                  - Ma via! Che lo capisci benissimo anche tu! Ma tutto il nostro albero genealogico rabbrividisce quando mi metto a difendere i miei prezzi fissi dagli assalti delle mie clienti... (rifacendo la scenadel negozio) «Prego, non posso, meno di tren­ta è impossibile. Ventisette? oh, signora, lei non mi farà l'offesa... facciamo ventinove e cinquanta... ». Là. È ridìcolo e turpe...

CRISTOFORO              - Brutta giornata.

ERMANNO                  - Oh, non è da oggi che ho questi pensieri e sopra tutto non è da oggi che il mio carattere si altera al pensiero che l'umorismo della mia situazione non sfug­ge nemmeno ai servitori. « Mi dà quel­l'involto, marchese, che lo porto alla mia padrona? Quanto, marchese? ».

CRISTOFORO              - Ma non ti lasciare prendere dalla fantasia! Tu devi pensare al prati­co... Pensa che il tuo lavoro E’ quello, che il tuo pane è quello di tuo padre è lì….

ERMANNO                  - Oh... a proposito; Dimenticavo che oggi è la fine del mese. (Estrae il portafoglio) A te, guarda se va bene.

CRISTOFORO              - (prendendo a volo il denaro che il giovane gli porge) Alla cieca. Io non conto mai. Ma su, figlio mio, stai allegro. Non voglio vederti con questo carattere. Sei giovane, innamorato...

ERMANNO                  - Oh, faresti meglio a non parlar­ne, tu...

CRISTOFORO              - Perché?

ERMANNO                  - Perché per causa tua anche que­sta, che dovrebbe essere una gioia, diven­ta un pensiero, un'angoscia...

CRISTOFORO              - il fatto che io non approvi il tuo matrimonio non ti impedisce di essere innamorato...

ERMANNO                  - In dieci mesi, non sono riuscito a persuaderti che è tuo dovere fare visita alla famiglia della mia fidanzata... per co­noscere ì suoi genitori e anche lei... Dove­re, capisci? Perché quando tu sei venuto al mondo io ero già fidanzato….

CRISTOFORO              - Ma se non si trattasse che della fidanzata, pazienza. Quella te la tieni tu. Ma ì parenti chi se li gode? Quelli me li dovrei godere io. Ora quel signor Tortorelli, pare sia un maniaco, un pazzo. No, no, io sono contrario a questo matrimo­nio. Voglio essere odiato dalla famiglia della tua fidanzata per non dovere allar­gare il cerchio delle mie relazioni. Accet­terò il fatto compiuto e questo ti deve ba stare.

ERMANNO                  - Ma tu metti in pericolo anche il mio amore. Non capisci che io quella casa si stanno domandando se questo assen­teismo del marchese Lucerà significa osti­lità o disprezzo?

CRISTOFORO              - Va là, va là, che non ti molla­no. Quando sì trova un individuo dispo­sto a fidanzarsi... Uh... E poi, ti autoriz­zo a dire che io sono anche più matto del signor Tortorelli, se ti pare...

ERMANNO                  - Ma tu mi guasti tutto.

CRISTOFORO              - Senti, figlio mìo, da quando ci conosciamo ho fatto tutto quello che hai voluto. Lasciami in pace. Sei perfino riu­scito a farmi leggere un romanzo educa­tivo di Giulio Verne...

ERMANNO                  - Per quanto posso, cerco di am­mobiliare il tuo cervello...

CRISTOFORO              - Sono un ignorante?...

ERMANNO                  - No, sei un vergine, cóme tutti gli scapestrati. Hai cominciato il libro della Genesi?

CRISTOFORO              - Sì! Ma dovresti farmi un piacere di dire a tuo fratello che la fi­nisca con la ginnastica da camera...

ERMANNO                  - Nemmeno per sogno. Bastelli ha ragione...

CRISTOFORO              - Perché lo chiami Bastelli? Mi fai male. Bastelli non c’è più... Bastelli come Folchi non esiste più…..

SALVATORE               - (entrando) Chi è che si permet­te di nominarmi a quel modo? (A Ermanno) Tu, al solito, vero?

ERMANNO                  - Perdonami. Ma ti ho sempre co­nosciuto con quel nome fin da quando si andava a scuola insieme ed ora non so abi­tuarmi all'idea che ti chiami in un altro modo...

SALVATORE               - Pero ti sei abituato all'idea che anche tu non ti chiami più come prima... Se mai, dovrei essere io a trovare delle difficolti a tuo riguardo, dato che sono il primogenito...

ERMANNO                  - E dalli! Ma se hai un anno e mezzo meno di me.

SALVATORE               - Ma sono stato riconosciuto pri­ma io. Dunque...

ERMANNO                  - Oh, vorrei vedere se avevi obbli­ghi di leva.

SALVATORE               - Che c'entra? Il Ministero della guerra può ignorare quello che è accaduto in questa casa, tu no.

CRISTOFORO              - Ma insomma! Perché bisticcia­te sempre cosi?

ERMANNO                  - No, papà, no... -Guarda, ci ab­bracciamo. (Si abbracciano, infatti, dopo di che ERMANNO batte amichevolmente sulla spalla di Salvatore) Caro Bastelli... Scu­sa... Salvatore... Vedi papà? Sono bisticci di affiatamento. Anche i figli legittimi che crescono insieme in una stessa casa debbono superarli... Noi abbiamo inco­minciato un po' tardi... e senza Vie di fatto, finora...

SALVATORE               - Se credi che le vie dì fatto siano utili, ti posso consacrare tutti i pomeriggi domenicali. Papà, come vai? Hai fatto il tredicesimo esercizio ginnastico? Davvero? Proprio? Non dici bugie? Bene. Do­mani mattina verrò in persona ad assi­stere...

CRISTOFORO              - No, senti... Te ne prego. Mi sento male a tutte le giunture...


SALVATORE               - Benìssimo... Quello che ci vuole... I muscoli si muovono, si sgranchiscono. Tu hai bisogno di svelenarti il corpo...

ERMANNO                  - E anche l'anima, gjiel'ho dettò. Sto anzi pensando di presentarti un mio caro amico, un conferenziere dottissimo, un filosofo... Don Malusardi... Un caro amico, lo conosci? Ecco l'uomo che può indirizzarti...

CRISTOFORO              - Ma dico, figlio mio... Non pen­serai, spero, che io abbia bisogno di un. precettore...

ERMANNO                  - Precettore non è la parola... Ma, insomma, non devi dimenticare che tre dei nostri progenitori morirono alle cro­ciate.

CRISTOFORO              - Oh... Sentì... È meglio che vada in camera mia... (Esce).

ERMANNO                  - Fa le bizze— Eh, ce ne darà del pensieri quello li...

SALVATORE               - Ma tu lo ossessioni con la tua anima...

ERMANNO                  - E tu? Che lo ammazzi a forza di ginnastica!..

SALVATORE               - Ma se sapessi come gli fa benel' Che caro... Vero?

ERMANNO                  - Simpatico. Poi intelligentissimo... Naturalmente io lo tengo un po' a freno per via del carattere... Ma è un amore...

SALVATORE               - E’ forte come un leone. Sai che ha un torace cosi?... Diventerà un atleta... Non vedo l'ora di non avere pensieri d'al­tro genere, per non pensare che a lui...

ERMANNO                  - Eh, si... Quando non ci sono si sente un gran vuoto. Questa è la verità. E allora che importa se danno qualche ,preoccupazione?

SALVATORE               - Dì chi parli?

ERMANNO                  - Dei genitori.

SALVATORE               - A proposito di preoccupazioni, niente di nuovo per te?

ERMANNO                  - Niente. La notizia che cedo il negozio è già corsa, ma nessuno si è presentato ancora. Il tuo amico L'ha visto?

SALVATORE               - Sì, poco fa sono passato da casa sua. Niente da fare. Trova che il tuo ne-,gozio non vale il prezzo che chiedi.  

ERMANNO                  - Non vale centomila lire? Oh, al­lora! No, senti, digli che non se ne parla più. Quello cerca di tirare, ma io non posso svendere, in fondo non sono ancora alla fame….

SALVATORE               - Beato te, io la vedo che si av­vicina, si avvicina...

ERMANNO                  - Non ti hanno pagato là liquida­zione di licenziamento dalla banca?

SALVATORE               - Sì, ma che vuoi che siano ventiseimilasettecentocinquanta lire e trenta­cinque centesimi?

ERMANNO                  - Ma non potevi aspettare un mo­mento? Se aspettavi che superassi la crisi io, dopo si sarebbe risolta più facilmente la mia.

SALVATORE               - Bel discorso! Se credi che il di­rettore della banca mi abbia interpellato sulla data del mio licenziamento, ti sba­gli, E ringraziare il destino, che il pugno . che ho dato al capo ufficio non ha avuto conseguenze legali. Guaribile in tre giorni.

ERMANNO                  - Ma taci col babbo. Si, preoccuperebbe e poi vorrebbe sapere tante cose!

SALVATORE               - Figurati! Finchè avrò la possi­bilità di dargli la sua mesata non saprà mai quello che faccio o non faccio. A pro­posito, l'ho qui pronta. Vado a dargliela perché ha sèmpre bisogno di soldi.

ERMANNO                  - Aspetta. Gliela darai domani. Non è bene lasciargli troppo danaro in ta­sca. Si abitua male.

SALVATORE               - Hai ragione, tanto più che non li sa mai che cosa ne faccia. E; dimmi, che cosa dice la tua fidanzata della tua decisione?

ERMANNO                  - Oh, Giannina è un angelo. È con me per la fortuna e per la sventura. Si è incaricata di persuadere i suoi e non sarà facile perché quel signor Tortorelli ha un carattere... Ma ci riuscirà, credo...

SALVATORE               - Tuttavia, in questo momento sarebbe stato meglio per te non avere im­pegni di questo genere.

ERMANNO                  - Perché? Ma se è lei la mia con­solazione, il mio coraggio... Ma fammi il piacere!... Tanto cara, quanto bella... No? Non è bella forse?

SALVATORE               - Oh, io l'ho veduta di sfuggita una volta o due... E’ bella, si, ma ce n'è tante...

ERMANNO                  - Non farmi la storia del papà, sai! Di Giannina ce n'è una sola... E poi non ci rinuncio. Troppe cose mi legano a lei... Troppe. A cominciare da certe affinità di nascita...

SALVATORE               - Che c'entra? Mi hai detto che sua madre l'ha conosciuta...

ERMANNO                  - Si, ma per poco... Ma anche lei ha dovuto riscaldarsi a un altro focola­re... Hai mai notato che quelli che sono come noi, o quasi come noi, si sentono nella vita, si chiamano, come gente della stessa razza che cerca di riunirsi per di­fendersi e incoraggiarsi?...

SALVATORE               - Infatti. Tu mi sei sempre stato antipatico fino al giorno che ho saputo che anche tu eri come me...

ERMANNO                  - Perché poi ti ero antipatico?

SALVATORE               - Perché eri bello...

ERMANNO                  - Come ero...

SALVATORE               - Lascia andare. È un fatto che noi dovremmo organizzarci in una grande società nazionale...

ERMANNO                  - Incominciamo noi due intanto...

SALVATORE               - Noi tre...

ERMANNO                  - No, lei non è proprio... Ma in­somma... Vedrai che se risolvo la mia.posizione brillantemente, sarai contento anche tu... Ma non insistere troppo con quel so­fisma della primogenitura...

SALVATORE               - Mi offri forse il piatto di len­ticchie?... (Ride).

SOAVE                         - (entrando) C'è una signorina. Credo che sia la sua fidanzata, signorino Ermanno.

ERMANNO                  - Giannina? Giannina qui? Oh, mio Dio!

SALVATORE               - Perché ti agiti cosi?

ERMANNO                  - Ma perché Giannina osi venire qui, bisogna... Falla entrare. (Via Soave) Mio Dio! Resta, per piacere... Mi darai un consiglio... Giannina, (Giannina entra) Giannina... come mai?...

GIANNINA                  - Siamo in un imbroglio... È questo tuo padre?

SALVATORE               - Non è gentile.

ERMANNO                  - No..: È mio fratello...

GIANNINA                  - Piacere... Come somigliate...

ERMANNO                  - Via!... Dimmi...

GIANNINA                  - Ma se arriva tuo padre...

ERMANNO                  - Usciamo.

GIANNINA                  - Non possiamo farci vedere fuori per istrada..

ERMANNO                  - Come si fa allora?...

SALVATORE               - Aspetta... (Suona il campanello) Ho un'idea...

ERMANNO                  - Giannina, siediti.

GIANNINA                  - Grazie.

SOAVE                         - (compare)

SALVATORE               - Senti, Soave, sali dal marchese e , avvertilo che c'è qui quell'amico dì Ermanno, don Malusardi... Se vuole cono­scerlo... (Via Soave) Vedrai che non scen­de fino a stasera...

GIANNINA                  - Caro... I cari genitori non approvano la tua decisione di andare alla miseria.

ERMANNO                  - Ma perché? E’ una cosa tanto semplice... Hai spiegato bene come stan­no le cose? Sei stata abile?

GIANNINA                  - Abile, non so. Ma quando sono arrivata a casa ieri sera mi sono decisa. Erano due settimane che tentennavo... Ci si stanca anche di tentennare... Alla fine del pranzo ho detto a mio padre che tu avevi decìso di cambiare lavoro... Ma poi non ho saputo rispondere quando mi ha chiesto che cosa ti saresti messo a fare. Avevi dimenticato di dirmelo.

ERMANNO                  - Ma che dimenticato! Non lo so. Non si possono mica fare dieci cose in una volta...    

GIANNINA                  - Va bene. À questo punto mìo padre ha cominciato col gettare via il tovagliolo e ha continuato gridando come un'aquila...

ERMANNO                  - Che cosa diceva?

GIANNINA                  - Chi lo sa? Quando lui grida forte, lo fa apposta perché nessuno capisca niente... Ma mi pare dì avere intuito che egli accusa tuo padre di avere ordito que­sta manovra per stancare la pazienza del­la mia famiglia, già troppo trascurata...

ERMANNO                  - Ma che c'entra mio padre?...

GIANNINA                  - Caro mio... Vai a ragionare con un uomo che ha la mania di persecuzione... Ma insomma pare che papà si sia deciso ad affrontare a viso aperto tuo pa­dre e di bastonarlo con una canna d'India...

SALVATORE               - Con una canna d'India? Ingè­nuo! è molto meglio la malacca.

GIANNINA                  - Non l'ha...

ERMANNO                  - Non hai saputo fare, non hai sa­puto fare...

GIANNINA                  - Ma che cosa avrei dovuto dire secondo te?

ERMANNO                  - Una parola oggi, una domani... Fare in modo insomma che il consiglio di liquidare il mio negozio e di cambiare mestiere venisse da loro.

GIANNINA                  - Impresa inutile. Papà ha detto che un uomo che ha in mano un pane si­curo e lo butta via, o è un cretino, o è un criminale... in ambo i casi è un uomocol quale una ragazza che sì rispetti non deve avere rapporti di sorta, nemmeno scritti... Ecco perché! con la scusa, della Messa, io ho dovuto decidermi a venire qui... Tuo padre dirà certo che non è di stile...

ERMANNO                  - Per niente... Adesso vengo io da tuo padre e...

GIANNINA                  - Per carità... Cerca di evitare l'irreparabile... Se tu mi rapisci si può riparare, ma se rompi la testa a mio padre o lui ti schiaccia un occhio, tutto è irrimediabilmente finito...

ERMANNO                  - E come si fa? Io non rinuncio a te, intendiamoci bene... Puoi tu rinuncia­re a me?...

GIANNINA                  - Ohi... Caro... Mai!...

ERMANNO                  - Amore... Tutte le difficoltà di questo mondo non la vinceranno sul mio cuore... (Si baciano) Cara...

GIANNINA                  - Amore...

SALVATORE               - (si alza e se ne va).

ERMANNO                  - Dove vai? Ci lasci qui nei pasticci….

SALVATORE               - Ma... non mi parevano pastìcci...

ERMANNO                  - Ma bisognerà consolarsi un po­co, no?

GIANNINA                  - Allora?...

SALVATORE               - Qui, bisogna ricorrere a papà... Se papà si decidesse oggi a fare quella famosa visita ai suoi genitori, credo che tutto si appianerebbe...

GIANNINA                  - No, per carità... Mia padre è furibondo

SALVATORE               - Vado col babbo io stesso, Vedrà che se è matto, scusi, mette giudizio... Non sarà mica il gigante Golia... In due...

ERMANNO                  - E poi, in questi frangenti papà non conta nulla, Papa è per le cose piane, tranquille... Che ne sa lui della vita? Sempre in mezzo alle bische, ai circoli notturni... È un ingenuo...

GIANNINA                  - E’ poi non bisogna usare la vio­lenza... Bisogna perdonare a papà... Ha tanto sofferto e il suo carattere va compa­tito. Piuttosto io ho due progetti. Il pri­mo è questo; tu mi rapisci... restiamo na­scosti una settimana. In una settimana il carattere di mio padre cambia. I nostri parenti si avvicinano per confondere le loro preoccupazioni, imparano a cono­scersi, ad amarsi... Poi noi ritorniamo e troviamo una gran pace fra le famiglie, gioia di rivederci, necessità di riparare. Tutti felici...

ERMANNO                  - Eh? (A Salvatore) Mica male...

SALVATORE               - Sentiamo l'altro.

GIANNINA                  - lo affronto oggi stesso tuo pa­dre, gli do due ceffoni.

SALVATORE               - Ma ce l'hanno proprio con luì...

GIANNINA                  - Aspetta... Due ceffoni. Egli mi scaccia. Vado a casa, racconto a mio pa­dre l'accaduto. Egli si sente sollevato e mi abbraccia e dice; Hai fatto bene. E per far dispetto, al signor marchese, tu spo­serai Ermanno a tutti i costi.

ERMANNO                  - Eh? Anche questo...

SALVATORE               - Sono due soggetti, non due progetti…..

GIANNINA                  - E allora non c'è che da seguire il metodo comune  detto del  «come tipartì». Io vado a casa e non dico niente. Tu domattina mi fai avere una lettera nella quale mi dichiari che hai cambiato parere, che quando uno ha un pane si­curo non se lo fa scappare, se no è un delinquente o un cretino che me ne avverti perche' io non faccia parola dì una stupida sciocchezza che ti era stata suggerita da tuo padre...

ERMANNO                  - Ma perché mettere in mezzo papà?...

GIANNINA                  - Perché è necessario. Poi tu vai avanti per la tua strada come se niente fosse. Il solo modo di persuadere la gente a lasciarci fare quello che vogliamo, è di fare quello che vogliamo prima che la gente lo sappia... È doloroso, ma è cosi...

ERMANNO                  - Ma senti...

SOAVE                         - C’è il signor Vigna per il mar­chese...

ERMANNO                  - Ci mancava anche questo. Non voglio vederlo...

SALVATORE               - Perché? Un uomo che ha delle qualità... Senza di lui non avremmo avuto la gioia...

ERMANNO                  - Ma adesso non ho tempo. Fallo passare in salotto.

SOAVE                         - Ci sono i palchi dei muratori per i restauri.

ERMANNO                  - Nostro padre restaura sempre. Allora vieni, Giannina, andiamo in giardino... Fileremo dopo... Ma non toccare le gardenie, se no papà... (Escono in fretta tutti e tre),

VIGNA                          - (entra con Soave) Sentite, angelica visione mattutina, credo che il vostro pa­drone abbia intenzione di offrirmi qual­che cosa da ingurgitare...

SOAVE                         - Cosa?

VIGNA                          - Oh, io direi che avrebbe molto pia­cere che ìo prendessi un bel latte caldo corretto con un poco di cognac, molto zucchero e una squadriglia di sommergi­bili ovverossia focaccine da imbibire.

SOAVE                         - (andando via) Va bene, signore...

CRISTOFORO              - (fa capolino) C'è per caso don Malusardi?

VIGNA                          - Buon giorno vecchia talpa.

CRISTOFORO              - Respiro... Ci doveva essere qui don Malusardi.

VIGNA                          - Chi è?

CRISTOFORO              - Non lo so e voglio essere im­piccato se lo saprò mai!

VIGNA                          - Oh, dico, sei di cattivo umore, mi pare. Che cosa hai?

CRISTOFORO              - Ho due figli e mi domandi che cosa ho?

VIGNA                          - Allora è vero che la famiglia agita i centri nervosi. Mi siedo, se non ti dispiace. Sono stanco morto. Figurati che ho giuncato dieci lunghe ore di seguito all’écarté.

CRISTOFORO              - (commosso) Come è andata?

VIGNA                          - - Che vuoi? Da pollo. Hai un bel cinquecento da darmi?

CRISTOFORO              - (va alla tasca e gli dà un biglietto di banca) A te.

VIGNA                          - Ti vorrei più scorrevole. Sei cigo­lante come una bicicletta da nolo.

CRISTOFORO              - Lasciami stare, non mi irritare...

VIGNA                          - Ma che c'è? Sarebbe forse vero che...

CRISTOFORO              - Che cosa? (Soave entra con un vassoio. Durante la scena mentre Vigna mangia, CRISTOFORO, farà la corte alle focaccine fin che non si decide a prenderne e mangiarne facendo presto piazza pulita.

CRISTOFORO              - (uscita Soave) Vero che?

VIGNA                          - Ma... chiacchiere... Sai, al circolo si impara tutto, specialmente ciò che non è vero affatto. (Mangia).

CRISTOFORO              - (ingoiando una focaccina con ir­ritazione) Ma spiegati!

VIGNA                          - Hai fame?

CRISTOFORO              -No, mangio per spirito di ven­detta.

VIGNA                          - Fai bene, fin che ci sei.

CRISTOFORO              -Ma dunque, mi vuoi dire?

VIGNA                          - Ecco qua. Pare che Ermanno abbia deciso di cedere il negozio e che SALVATORE sia stato licenziato dalla banca...

CRISTOFORO              - Cosa?

VIGNA                          - Voci, Voci fioche... Pare che uno si sìa troppo persuaso di essere un nobiluomo e l'altro abbia percosso con vio­lenza il vice direttore perché rideva chia­mandolo marchese....

CRISTOFORO              - Non è possibile... Senza dir­mi nulla...

VIGNA                          - Appunto. Perciò credo che siano fandonie. Non ne parliamo più. Se vuoi facciamo un ecartè... Tengo banco di cin­quecento e se la va la va... Ecco le carte. (Pone le carte sulla tavola).

CRISTOFORO              -Ma dico. Lascia stare le carte un momento... Chi ti ha detto?...

VIGNA                          - Un amico... Non so più chi... Mè parso, almeno. Perché giuocavo e perdevo. Sai, in questi casi si sentono le voci co­me in sogno.

CRISTOFORO              - Vigna, ho paura che sia vero...

VIGNA                          - In tal caso hai ragione di avere un umore bituminoso. Perché è come se avessi rubato un pollo da mettere nella pentola e poi ti accorgi che è impagliato...

CRISTOFORO              - Ma lascia andare. Tu non pensi che a delle volgarità... Oh, poveri ragazzi... Li ho rovinati, capisci?

VIGNA                          - Ah, pensi a loro... Eh, già, un padre...

CRISTOFORO              - Oh, via, non fare dell'ironia, sai ? Ma alla fine non solo li ho ingannati col tuo aiuto, ma ho anche spezzata la loro vita.

VIGNA                          - Quando te li garantii per ragazzi pieni di buon senso non potevo prevedere... Ma vedrai che tutto si accomoda...

CRISTOFORO              - Oh, tu, tutto facile, tutto sem­plice... E queste sono le tue belle idee, le tue belle iniziative...

VIGNA                          - Mie? Ohe, vecchio, ti prego di ra­cimolare i resti della tua memoria frantumata... Fosti tu...

CRISTOFORO              - Tu...         

VIGNA                          - Erano le cinque del mattino e usci­vamo insieme da! circolo dopo aver perduto tutto quello che avevamo in tasca... Tu incominciasti...

CRISTOFORO              - Ma si... Si hanno i nervi a fior di pelle a quell'ora, e ci si sente soli e spregevoli... e poi la memoria diventa co­me una allucinazione...

VIGNA                          - Vero, vero, vero. E lo dici bene anche... M. pacata a pale, tu tirasti in ballo so che donna ti pareva di avere amato...

CRISTOFORO              - Ti, prego, quando tocchi certi tasti sii leggero. Non fare l'elefante. Non si trattava tanto di quella povera donna, che tic! resto non esiste più, ma di una creatura che forse esiste ancora... Tu dice­vi; cercala...Ma tu volevi che dicessi: cercala.

CRISTOFORO              - Ma poi incominciasti a parlare tu. L'idea di sfruttare commercialmente la cosa fu ma...

VIGNA                          - Dicevi: E se mia figlia fosse ricca?

CRISTOFORO              - Ma non lo dicevo per me...

VIGNA                          - Insomma, lo dicevi.

CRISTOFORO              - Ma a pensare alla possibilità di ingannare dei figli di nessuno, al solo scopo di farsi mantenere, fosti tu...

VIGNA                          - Adesso non tirerai fuori che io ti ho obbligato a questo trucco sentimentale, Io sono stato un amico. Mi è ve­nuto in mente che ci sono dei poveri ra­gazzi che non cercano altro...

CRISTOFORO              - Un consiglio da amico... disin­teressato anche...

VIGNA                          - Le spese, le spese vive... Credi che sia facile trovare della gente in queste con­dizioni e poi avvicinarla, conoscerla, farsi conoscere, indurla a parlarci... Ce n'è di quelli che appena ti vedono ti guardano in faccia come se vi leggessero la loro fe­de di nascita, ma la più parte son duri, hanno il pudore della loro situazione e quelli a farli parlare ce ne vuole. E tutto ciò costa... caro mio, costa...

CRISTOFORO              - Troppo, forse,

VIGNA                          - Troppo? Non mi pare. Ho fatto le cose a mòdo, credo. Sono stato modestis­simo. Ci ho messo gratis l'opera personale, la forza di seduzione e tutto il resto.

CRISTOFORO              - Non dico questo. Dico che il codice penale vorrà dire la sua...

VIGNA                          - - il CIPI? Che cosa vuoi che dica il CIPI? Il CIPI troverà la cosa perfetta. In fondo non hai rubato niente a nessuno. Hai riempito il cuore di quei due ragazzi, hai dato loro una, illusione che cercavano eccetera eccetera... Non sono tuoi figli, va bene: ma è molto verosimile che lo siano. In fondo accade la stessa cosa in tante famiglie meno singolari della tua e nessuno vi trova nulla da ridire... Piuttosto loro tono degli ingrati, mi pare, che sotto sotto ti sospingono un'altra volta verso la fame...

CRISTOFORO              - Oh, poveri ragazzi! Un po' esigenti con la loro morale e con la loro ginnastica, ma buoni, affettuosi... E quan­do mi danno la buona notte baciandomi la fronte...

VIGNA                          - Sulla patriarcale fronte...

CRISTOFORO              - Mi sento un poco commosso...

VIGNA                          - Perdiana, sei un artista!

CRISTOFORO              - Ma no, tu non puoi capire! Io e te non abbiamo più niente di comune... Tu non puoi capire che penso a certe cose ora più insistentemente che mai... Venti­cinque anni…. Una donna oramai... Vi­va?- Morta?... A chi dì la buona notte?...

VIGNA                          - (commosso)  Vecchio manigoldo...Smettila. Anch'io, alla fine, tono un rude­re d'uomo, con molte vite possibili alle spalle...

SOAVE                         - C'è un signore che insiste per il signor Vigna...

VIGNA                          - Diregli, bellezza, che ora vengo... (Vìa Soave) CRISTOFORO sai chi è l'uomo che sta in anticamera ? Un giovane capace di fare la felicità dei suoi genitori appena li avrà trovati...

CRISTOFORO              - Ah, no... Basta! Ci hai preso gusto!

VIGNA                          - Pensaci! Hai due Agli sventati, di­soccupati, acapti... In una famiglia un figlio di giudizio ci vuole... Dietro un mo­desto compenso anticipato...

CRISTOFORO              - Ma no! Ti dico di no...

VIGNA                          - Vile! Tu vuoi la rovina di quei due ragazzi! Si, essi si rovinano forse per te e tu non vuoi far nulla per loro... Pensa. Questo è milionario... Un uomo che tocca la pietra e diventa oro... Trentun anni. Felice, grandi affari, vince a tutti i giuo­chi con una costanza indecente... Sei mai stato a Brescia?

CRISTOFORO              - Perché?

VIGNA                          - Questo qui e nato a Brescia. Tolto dal Brefotrofio da due ricchissimi piemontesi che lo hanno adottato e lasciato erede di una ingente sostanza che egli ha triplicato... Sei mai stato a Brescia?

CRISTOFORO              - Ma, sì... mi pare di si... Alla stazione...

VIGNA                          - Basta. Lo vuoi vedere?

CRISTOFORO              - Un momentol Come corrì! Tutto preparato, vero?

VIGNA                          - Il demone del genio.

CRISTOFORO              - Scommetto che hai già fatto sperare a questo disgraziato...

VIGNA                          - No, è lui che spera da quando ha l'uso della ragione. Sono tutti cosi. Ma io non gli ho detto niente, te lo giuro. Ma con l'aria che tira, con le chiacchiere che ho udito, ho pensato di mettere questo fagiano in cantiere, Se ti va, bene, se non ti va...

CRISTOFORO              - (giù metto conquistato al pro­getto) E... costui cerca suo padre?

VIGNA                          - No, veramente parla sempre di sua madre. Dei padri in generale non ha una buona opinione. Ma io credo che un padre alta fine non sia da buttarsi via. In ogni modo lascia fare a me. Lo chiamo.

CRISTOFORO              - Aspetta. Vigna, non mi hai già combinato qualche pasticcio?

VIGNA                          - Ma ti dico di no! Stai tranquillo, che non ti rubo l'onore di essere un malandrino. Ti porto della materia grezza. Se vuoi lavorarla, è tua. Piuttosto stai at­tento: io parlerò al momento opportuno di Brescia. Non fare la faccia meravi­gliata. Bisogna creare l'aria della possi­bilità... (Andando alla comune) Salva­tore!

CRISTOFORO              - Si chiama SALVATORE anche que­sto! (Compare un giovane grosso, faccia bonacciona e gaia).

VIGNA                          - (a CRISTOFORO) Permetti? Il signor SALVATORE Ventura.

VENTURA                    - Sono mortificato... Lei mi aveva detto di aspettarla...

CRISTOFORO              - Prego, si accomodi... Uh li­quore?

VENTURA                    - No, grazie. Ho giuocato qui con l'amico tutta notte e sono stanco... Oggi non potrò dormire per via degli affari. Dormirò stasera o domani sera... Ma non posso bere senza il pericolo di schiattare. Sa? La portinaia mi ha salvato la vita. M'ero appoggiato allo stipite e schiaccia­vo un pisolino in piedi, come i cavalli. Si vede che oscillavo da qualche tempo, per­ché la portinaia è arrivata giusto in tempo a impedire la caduca. (Ride).

CRISTOFORO              - Mi perdoni lei... La ricevo in camera da pranzo in confidenza perché sa, la casa nuova è ancora sossopra...

VENTURA                    - Bella davvero. Nuova?

CRISTOFORO              - Tutta rinnovata. Oh, siamo or­ganizzati  da pochi  mesi soltanto...

VENTURA                    - E prima dove stava?... (Colpo di tosse di Vigna e imbarazzo di CRISTOFORO) Scusi, ho detto una cosa sconveniente?

CRISTOFORO              - No, no, non si spaventi... Gli e che soltanto da pochi mesi ho potuto coronare il sogno della mia vita che era quello di raccogliere i frammenti della mia famiglia...

VIGNA                          - Sì... Il marchese ha trovato due fi­gli che credeva perduti...

VENTURA                    - Oh... Davvero? Bello! Due figli,. Se non fosse ardito da parte mia e se non fosse inopportuna l'ora... vorrei che lei me raccontasse... Vado matto, io, per le storie di questo genere,

CRISTOFORO              - Eh, una storia lunga...

VENTURA                    - Perché non viene una sera con noi al circolo? Si fa un écarté, si diventa sentimentali...

CRISTOFORO              - No, non posso... Non posso uscire di sera.

VENTURA                    - La questura?

CRISTOFORO              - Ma no... I figli... Capisce? I figli si sono messi in testa di completare l'educazione del padre.

VENTURA                    - Oh, che pretese! Ma se si diverte, povero babbo... Quanti figli aveva...

VIGNA                          - Ne ha trovati due...

VENTURA                    - Eh... (Pausa) niente... Sono stan­co... (Sì alca) Molto lieto, marchese... Mol­to lieto... Sono felice per lei e per i suoi fi­glioli. Dica loro che hanno avuto una for­tuna ineguagliabile. Una fortuna che non tocca a tutti. Ma... Andiamo, Vigna?

VIGNA                          - Sì Ciao, CRISTOFORO. Quando hai detto che vai a Brescia?

CRISTOFORO              - Ma...

VENTURA                    - (con subitaneo interesse) Forse il marchese ha consuetudini a Brescia?

CRISTOFORO              - Consuetudini...

VIGNA                          - Amicizie antiche. (Fa l'occhietto a VENTURA).

VENTURA                    - Strano... E, scusi.... Niente: so­no molto stanco. Eh, peccato che lei non venga qualche volta con noi. Vero? Sì starebbe allegri... To', che vedo? Un mazzo di carte? Marchese, lo vuol fare con me un écarté di consolazione?

VIGNA                          - Bell'idea, bell'idea, punto anch'io.

CRISTOFORO              - Qui no, non è possibile... Po­trebbe arrivare qualcuno da un momento all'altro.

VENTURA                    - Ma non sarà mica un delitto.

CRISTOFORO              - Quante cose lecite, signor mio, si debbono fare di nascosto! Andiamo in camera mìa.

VENTURA                    - E quanto giochiamo?

VIGNA                          - Un bel cinquecento. Va bene?

VENTURA                    - Io mi giuocherei un'altra cosa. Sentiamo se il signor marchese ci sta. Se vìnco io lei mi racconta tutto...

CRISTOFORO              - Cóme tutto?

VENTURA                    - Tutta la sua vita...

CRISTOFORO              - Ma dico, ho cinquantacinque anni.

VENTURA                    - Le concedo di pagarmi a rate.

CRISTOFORO              - Ma perché questa curiosità?

VENTURA                    - Perché sono solo al mondo e la mia vita non mi basta.

CRISTOFORO              - Corne vuole... Ma se Vinco io non vorrà raccontarmi la sua vita?

VIGNA                          - (Magari) Dovresti vìncere tu. È me­glio che cominci lui... Una vita piena dì particolari interessanti, istruttivi. Fatti di­re come fece il primo milione...

CRISTOFORO              - (in fretta) Andiamo, andiamo...

VENTURA                    - Ma, dico, senza vergognarsi di niente, vero? No, perché alle volte il pudore fa dimenticare la parte più interes­sante. Non si vergogni! Mi raccomando.

VIGNA                          - Stia tranquillo. Lo conosco bene.

VENTURA                    - Ho un presentimento...

CRISTOFORO              - Presto presto, non perdiamo tempo. (Via tutti e tre).

 (un attimo di scena Vuota).

ERMANNO                  - (a Giannina che è dentro) Aspet­ta che guardo se si può passare. (Cerca:una carta da giuoco gli cade sottomano) ,To! Che significa? Una carta? Ah, bene. (A Giannina) Vieni.

GIANNINA                  - Non c'è l'orco?  

ERMANNO                  - No, non c'è. Ma ora mi sente.

GIANNINA                  - Che è accaduto?

ERMANNO                  - Gìuoca, capisci? Gìuoca ancora. Ho trovato una carta sulla tavola.

GIANNINA                  - E lascialo gìuocare. È la sua età.

CRISTOFORO              - (entrando) Ma dove.. Cerca un poco ma poi vede i due che restano imbarazzati della sua presenta).

ERMANNO                  - Papà...

CRISTOFORO              - Che vuol dire questo?

ERMANNO                  - Ti presento la mia fidanzata.

CRISTOFORO              - Non voglio conoscere fidanza­te io! Non è 'questo il momento delle fidanzate... Quando si ha una testa pazza come la tua non ci si fidanza...

ERMANNO                  - Ma che hai?

CRISTOFORO              - Che ho? Lo sa, signorina mia, che cosa vuol fare il suo fidanzato? Lo, sa?

GIANNINA                  - Si, signore da un pezzo,

CRISTOFORO              - Io invece da un minuto. Per­ché sono l'ultimo io a sapere che cosa fanno i miei figli.

ERMANNO                  - lo sono maggiorenne. Per te poi più che per altri. Ho fatto sempre il mio dovere, mi sono fatto una posizione nella vita, senza bisogno dei consigli di nes­suno.

CRISTOFORO              - Ma adesso ci sono io.

ERMANNO                  - E’ una preoccupazione dì più per me, niente altro.

CRISTOFORO              - Ma senti che tono! Come se io fossi minorenne. Signorina, lei, approva la condotta dì Ermanno?

GIANNINA                  - Una donna che vuole essere la buona compagna d'un uomo non deve ostacolarne le decisioni.

CRISTOFORO              - Ma ì suoi di casa, che cosa dicono?

GIANNINA                  - Naturalmente la  pensano come lei,CRISTOFORO. Meno male. Allora siamo alla rottura di questo fidanzamento. Intesi?

GIANNINA                  - Ma quando mai lei lo ha appro­vato?

CRISTOFORO              - Mai. Si vede che presentivo questa catastrofe..

 

ERMANNO                  - Oh, che parole!

CRISTOFORO              - Insomma...

ERMANNO                  - Insomma, papà, basta! Fare quel­lo che ho deciso e Giannina è con me! (A Giannina) Sei con me?

GIANNINA                  - Sì caro, sempre...

ERMANNO                  - Amore!

CRISTOFORO              - Mi insomma! Non ho proprio alcuna autorità io in questa casa... Si fan­no le carezze sotto i miei occhi! Vergo­gnatevi! Specialmente lei, si vergogni! Verrei oggi io stesso da suo padre.

GIANNINA                  - Finalmente!

CRISTOFORO              - Verrà a dirgli che bisogna fa­re il possibile per dividervi. Ermanno adesso ha da pensare a se stesso.

GIANNINA                  - No, per carità…. non vada da mio padre!.

CRISTOFORO              - Ci andrò.

GIANNINA                  - Non vada. Vuol bastonarla, per­ché dice che'è stato lei a indurre Erman­no a cedere il negozio. E non sente ra­gioni.

CRISTOFORO              - Vuol bastonarmi? Lo ha det­to lui?

GIANNINA                  - Sì,

CRISTOFORO              - (A Ermanno) Lo vedi a che pe­ricoli esponi tuo padre? Insomma, io ci devo andare.

GIANNINA                  - (irritata) Ma insomma, la fini­sca, iti Ma che cosa avete tutti contro dinoi? Tanto è inutile, se? lo metta bene in testa, è inutile; io,sposerò Ermanno, perche lo amo e mi ama. Alla fine io sono libera, libera. So quel che dico, ha capito; Lo sposo calzolaio o marchese. E’ lo stes­so. E non me ne importa dì nessuno.

CRISTOFORO              - Signorina !

ERMANNO                  - Ha ragione! Ma ora basta, Giannina, basta...

CRISTOFORO              - Mi pare che ne abbia déette ab­bastanza, per non essere in casa sua.

GIANNINA                  - Ma che casa mia, casa sua... Mi sono tenuta fin che ho potuto, ma alla fi­ne si scoppia, è tutta colpa sua, sa? Se non veniva lei a guastare tutto all'improv­viso, noi saremmo già sposati e felici... Ma è venuto lei... È entrato in casa tutte un albero genealogico e tutto è andate all'aria. Sa che cosa devo dire io? Che quando si vuole che il figlio non sposi una povera ragazza come me, ci. si fa vivi prima... Ha capito? Glìel'ho detta e sto meglio... Buona sera, (Via).

CRISTOFORO              - (pausa) E tu vuoi sposare una donna con un carattere cosi?

ERMANNO                  - Papà, mi dispiace che si sia la­sciata trasportare ma anche tu, riconosci….

CRISTOFORO              - Insomma hai deciso di cambia­re mestiere...

ERMANNO                  - Deciso.

CRISTOFORO              - E che cosa farai?

ERMANNO                  - Non lo so.

CRISTOFORO              - Bel programma..: Ma per for­tuna ci sono qua io. Ora so quel che devo fa­re. Perché, in fondo, ha ragione quella ragazza... Se non c'ero, io... (Cristoforo si rimette a. cercare).   

ERMANNO                  - Oh, papà...           

CRISTOFORO              - Mi farei turco per sapere dove è andata a finire quella carta. Era qui sulla tavola...

ERMANNO                  - Ah... A proposito, Noi cerchia­mo di redimerti e tu...

CRISTOFORO              - Oh, figlio mio... Lascia andar la redenzione... Quello che è fatto è fatto... Anzi, ti direi che qualche cosa ancora mi resta a fare, prima di chiudere il mio li­bro nero...- Dammi... E lasciami fare...

ERMANNO                  - Ma che cosa?

CRISTOFORO              - Oh, una partitìna innocente. Però, da questa partitìna innocente qual­che cosa può nascere. È la parola giusta; nascere, (Va alla porta e si ferma) Di' un po'... Come si chiama quella ragazza?

ERMANNO                  - Giannina.

CRISTOFORO              - Un po' impetuosa, però è ca­rina...'Non avrei creduto... Le starà bene il titolo di marchesa... Complimenti, (Esce).

ATTO SECONDO

Aria di festa. Fiori dovunque. Sulla tavola stoviglie, bicchieri, bottìglie scintillanti per un lunch. Tende alte porte e tendine nuove alla finestra. La sala da pranzo è stata sfon­dala, un poco, con l'allargamento delta porta di fondo, che, quando le luci saranno ac­cese, dimostrerà di dare adito da una parte ai salotti, dall'altra a una uscita. Tramonto. La luce del sole, rossa, batte elle finestre. Verso la metà dell'atto sarà necessario ac­cendere le lampade.

SOAVE e un cameriere faranno il servizio ve­nendo a prendere la roba dalla tavola e re­candola ai salotti.(Quando si apre la tela sono in scena CRISTOFOROe VIGNA che consultano un orario ferroviario).

VIGNA                          - Il treno parte alle otto e arriva alle due dopo la mezzanotte alla frontiera.

CRISTOFORO              - Tutto pronto? Passaporti, bi­glietti?

VIGNA                          - Tutto, Ma mi dici che cosa ti ha preso tutto in una volta?

CRISTOFORO              - Tu puoi fare quello che vuoi. Io, però, ti consiglierei di seguirmi. E io me la batto.

VIGNA                          - Ma se le cose vanno benissimo!

CRISTOFORO              - Troppo bene,troppo bene. Del resto, te lo avevo detto: sistemata la posizione di quei due ragazzi, eclissarti Ora, grazie a quel tuo VENTURA che Dio lo benedica, tutto è a posto. Io sono con­tento e felice ma capisco che ora incominciano le difficolta. Io non oso ricono­sceee VENTURA .

VIGNA                          - Poveretto! Che piange a parlarne... M perché?

CRISTOFORO              - Perchè a insistere sulle cose, ti rompono. Un milionario, un uomo conosciuto da tutta la citta. Uno scandalo, una meraviglia generale. Troppa pubbli­cità. Se arrivo a tanto di riconoscere anche VENTURA, il trucco si scopre. Troppi figli e troppo comodi sopra tutto. Cè la galera, capisci?... E tu sei mio complice. Mio procuratore...

VIGNA                          - Ma bisognerebbe che la denuncia venisse da loro...

CRISTOFORO              - E chi lo sa quel che può ac­cadere? Un sospetto oggi, un pettegolez­zo domani, una calunnia poi... Lenta­mente, insensibilmente penetra nell'animo di quei ragazzi la persuasione d'essere stati gabbati...

VIGNA                          - Sarebbero degli ingrati, se prote­stassero.

CRISTOFORO              - L'ingratitudine è la caratteri­stica dei figli legittimi. Figurati questi... E poi, vuoi che ti dica? Non è solo que­sto. È che voglio loro un po' di bene e non sono tranquillo, non sono tranquillo. Vorrei dir loro la verità e che mi perdonassero. Speranza pazza. Ma io sono certo che, te resto accanto a loro, una volta all'altra spiattello tutto e tutto va all'aria... Ora si può rubare un portafogli, ma un scotimento no. Non c'è speranza di per­dono...

VIGNA                          - Sei illogico, vecchio mio. Non ti ri­conosco più

CRISTOFORO              - La logica, la logica... Ma que­sto imbarazzo che sta fra la paura della punizione e il disagio della cosa malfatta, dove la metti? Io ho giuocato l'anima mia, ho dissipato, ho condotto una vita da zingaro, tutto quello che vuoi, ma, alla fine, non ho mai scherzato con la vita de­gli altri...

VIGNA                          - Qualche volta... No?

CRISTOFORO              - (tristemente) Una volta sola... Con la vita di una povera donna... Ma poi, mai più... Ecco. E lascia andare certi discorsi che mi danno fastidio. E poi que­sti ragazzi sono troppo buoni, troppo one­sti. Fossero delle canaglie, pazienza, ma quando i figli sono virtuosi, per i genitori è un bell'imbarazzo. Perché non hanno più niente da insegnare, o hanno troppo da imparare... Io poi...

VIGNA                          - Ma se fuggi, come giustifichi?

CRISTOFORO              - Tutto preveduto, tutto calco­lato. Vedi questa busta? Rossa. Dà nel­l'occhio. Ecco qua : « Mìei cari, perdona­temi se vi lascio, ma la famiglia non è fatta per me. Ci scriveremo qualche volta. Ho risolto la questione economica e non vi preoccupate di ciò... ».

VIGNA                          - L'hai risolta? Come?.

CRISTOFORO              - Non so ancora, ma la risolverò. Troveremo qualche cosa... « Non cer­cate di farmi ritornare, non mi inseguite, ve ne prego. Lasciatemi essere quello che sono, un papà bastardo ». Carina, eh? Questa l'attacco allo specchio con una mi­ca di pane.

VIGNA                          - Ma, e VENTURA            ? Quello schiatta.

CRISTOFORO              - No. A lui dirò qualche cosa di tranquillizzante. Tutto calcolato. Poi, quando sarò scomparso ed essi mi crede­ranno morto, VENTURA      non avrà che da rimpiangermi, più degli altri. Si riuniran­no tutti e tre, di sera, in questa stanza e parleranno di me e avranno dei nipoti che saranno fieri di questo nonno avventu­riero.

VIGNA                          - Ma tu sei pazzo... Ma non puoi aspettare ancora un poco? Proprio oggi, in una giornata di festa familiare?...

CRISTOFORO              - La confusione mi giova. Del testo, meglio oggi che domani... Non so più che cosa dire per frenare gli entusia­smi filiali di VENTURA... Che buon ragaz­zo anche lui... Ma perché sono tutti cosi buoni?

VIGNA                          - Colpa mia... Dovevo cercarne d'al­tra specie, ma ti confesso che... non erano convenienti...

CRISTOFORO              - Capisco. Ma adesso filo. Ho fatto fare questa uscita proprio per i gentiluomini come te.

VIGNA                          - Ti telefono allora?

CRISTOFORO              - Fra un'oretta. Se risponde un altro di che sei il capo mastro. Vieni. (Escono).

(SOAVE e un cameriere sono entrati a pren­dere delle stoviglie).

ERMANNO                  - (entra A Soave) Nessuno an­cora?

SOAVE                         - Hanno suonato alla porta ora... Ma non è tardi... (Via col cameriere).

ERMANNO                  - (si siede).

SALVATORE               - (entrando con una carta in mano). Ti pesco finalmente. Leggi qua.

ERMANNO                  - Ma lasciami stare! Sei ossessio­nante col tuo dovere. Oggi è la mia festa, non voglio noie.

SALVATORE               - Ma non v'è nessuno. La tua bel­la si stara mettendo ora il minio sulle labbra. Hai tutto il tempo di decidere. Questo qui vuole fare quell'affare del Fragonard...

ERMANNO                  - Bene, avanti.

SALVATORE               - Ma e falso.

ERMANNO                  - Come sei noioso. Vuoi fare il commercio dei quadri antichi senza i fal­si? Sono cose che le sanno anche gli ame­ricani.. Anzi... Per tua regola i buongu­stai non cercano che delle falsificazioni, adesso. Dicono che non c'è niente da mera­vigliarsi che Tiziano sappia comporre una bella tela. Ma che un anonimo qualunque riesca a passare per Tiziano è meraviglio­so... Del resto senti anche da VENTURA ...

SALVATORE               - Buona notte. Quello li non fa niente, non viene mai in ufficio, si disinteressa della cosa completamente. Paga e basta.

ERMANNO                  - Bene, meglio cosi.

SALVATORE               - Ma io non ci capisco più niente. Gli uomini d'affari me li immaginavo in un altro modo. Credevo che si occupasse­ro degli affari loro. Invece...

ERMANNO                  - Ti fermi alla superficie, caro. In realtà nei primi tre mesi della nostra società anonima per il commercio delle opere antiche cè già un movimento che fa presagire bene... Dunque vedi che VENTURA li fa, i suoi affari...

SALVATORE               - Eppure quando penso che se non ci fosse stato lui saremmo affondati senza misericordia e che lui ci è venuto incontro come la befana, carico di doni... Non capisco, non mi rendo conto. Noi potremmo derubarlo che non si accorge­rebbe mai, mai! La sua sola preoccupa­zione è che io consenta a farmi chiamare Totò.

ERMANNO                  - E tu fatti chiamare Totò.

SALVATORE               - Ma nemmeno per sogno! Sì chiami lui Totò se non vuole due SALVATORE nell'azienda.

ERMANNO                  - Sei poco carino con un uomo che è stato tanto gentile con noi.

SALVATORE               - Lo vedi che dici anche tu che è stato gentile. Gentile non è una parola del gergo affaristico.

ERMANNO                  - Ma che hai.

SALVATORE               - Ma insomma: sono tre mesi che filiamo su un treno di vita che non avremmo mai sognato. Tu hai comprato la macchina, io mi sono costruito una pa­lestra per il babbo, i genitori della tua fi­danzata si sono ricreduti nel tuoi riguardi e i! babbo ha potuto andare a fare quella benedetta visita che ci permette oggi di festeggiare il tuo fidanzamento...

ERMANNO                  - Hai visto i salotti? Magnifici..

SALVATORE               - Ma lasciami finire!

ERMANNO                  - Ho capito, ho capito. Ma è un amico del babbo.

SALVATORE               - Non è vero. Scommetto che non sa nemmeno da che parte si comincia a giuocare a récarté...

ERMANNO                  - E allora? Perché avrebbe fatto questo?

SALVATORE               - Non riesco a indovinarlo. Mi so­no rivolto anche a una agenzia dì informazioni segrete ed ecco la risposta: «Fi­glio di ignoti ».

ERMANNO                  - Tutto qui?

SALVATORE               - Tutto qui

ERMANNO                  - Ma questo non spiega niente.

SALVATORE               - Appunto.

ERMANNO                  - Che cosa hai pagato per questa informazione?

SALVATORE               - Cinquanta lire. Se me ne vuoi dare venticinque...

ERMANNO                  - Ma nemmeno per sogno! Questi sono affari sbagliati! Altro che quel falso Fragonard! (Colpito da un'idea) Salva­tore!

SALVATORE               - Eh?

ERMANNO                  - Non capisci ?

SALVATORE               - Voglio essere fulminato...

ERMANNO                  - Figlio di... Come nói... Come me, come te...

SALVATORE               - (intuendo qualche cosa) Santis­simi numi! (Cadono tutti e due a sedere),

ERMANNO                  - Ma insomma, dico io... Un uomo che ci arriva addosso nel momento più critico della nostra vita, preleva la mia bottega per una somma che non avrei mai sognato di prendere, costituisce una società per noi due e se ne disinteressa to­talmente, stipendi, prebende...

SALVATORE               - Pareva che dicessi delle scioc­chezze poco fa.

ERMANNO                  - Ma come non avere pensato a tutto questo prima? Mi spieghi come va che non ci abbiamo mai pensato? La cosa è talmente assurda...

SALVATORE               - Lo pensi adesso che è assurda?

ERMANNO                  - Caro mìo: quando uno è in pe­ricolo trova troppo naturale che qualcuno lo salvi. E dopo che interviene la rifles­sione...

SALVATORE               - Se non c'ero io, però, tu morivi senza avere avuto questo sospetto... Ma insomma, ci sei arrivato...

ERMANNO                  - Oh... Ma è evidente...

SALVATORE               - Ecco perché vuole chiamarmi Toto a tutti i costi...

ERMANNO                  - Ecco perché del mio negozio ha fatto un magazzino...

SALVATORE               - Deve essere cosi...

ERMANNO                  - È cosi... (Pausa) È strano. Provo la sensazione che deve provare un figlio regolare quando la mamma sta per dare alla luce un altro membro della famiglia...

SALVATORE               - Vorrei sentirla questa emozione del primo vagito...

ERMANNO                  - Però... Che tipo, nostro padre...

SALVATORE               - A proposito... Ma se cosi fosse perché non te avrebbe detto? Non fece tanti complimenti con me, quando nasce­sti tu.

ERMANNO                  - Credo che papà incominci a ver­gognarsi. Noi siamo cresciuti, capisci?...

SALVATORE               - Pero bisogna riconoscere che quando in una famiglia ci sono molti figli e una mamma, perché non andranno mica tutti a fondò e allora...

ERMANNO                  - C'è un proverbio che mi faceva venire un nodo alla gola in altri tempi... Quattro fratelli, quattro castelli.

SALVATORE               - Caro Ermanno, (lo abbraccia) io e te siamo due castellucci... Ma il terzo è un maniero...

ERMANNO                  - E vuoi che ti dica? Vedrai che questa faccenda non sì ferma qui.

SALVATORE               - No, adesso basta...

ERMANNO                  - No, no. Vedrai che non si ferma qui... Perché sì vede che era un'abitudine... Uno, due, va bene... Incidenti, di­sgrazie... Ma tre? La cosa diventa lunga. Qui si finisce alla mezza dozzina si e no. Scommetta che salterà fuori un medico... un autista, un contadino!...

SALVATORE               - È il colmo. Non è sopportabile tutto ciò.

ERMANNO                  - Bisogna tagliare la testa al toro...

SALVATORE               - Un toro, un toro davvero...

ERMANNO                  - Lo chiamo da parte e gli faccio la predica, Basta con gli errori giovanili. Tutte sì può ammettere e perdonare. Ma che uno non faccia altro che andare in giro per il mondo a sedurre delle povere signorine, per poi costringerle a separarsi dalle loro creature, questo non è ammis­sibile. O la smette e noi...

SALVATORE               - Ma a quest'ora avrà anche smesso...

ERMANNO                  - Ma fino a quando dovremo esse­re esposti al pericolo di incontrare dei fratelli nuovi? Qui ne nasce uno ogni momento. Avremo anche il diritto di si­stemarci, in qualche modo...

SALVATORE               - Lascia fare a me. Lo prendo nell'ora della ginnastica, quando ha fatto tutti gli esercizi sotto il mio controllo. È il momento più adatto per sapere la verità. Non ha più resistenza. Gli domando sem­plicemente; quanti? Se risponde: tre, be­ne, paziènza. Se risponde quattro io me ne vado.

ERMANNO                  - Hai ragione. Per me la cosa è an­che più facile... Prendo moglie... Ma per ora, silenzio... (È interrotto da CRISTOFORO e da SALVATORE VENTURA che entrano).

CRISTOFORO              - Guardi come ho allargato lasala da pranzo... Le piace?

VENTURA                    - Molto bene, molto elegante... Oh, caro Ermanno, buon giorno...

ERMANNO                  - Carissimo

VENTURA                    - Salvatore, sempre con delle carte in mano... Scommetto che è un bilancio... (Ride) Scusi la bazzecola eh?... Ma sa­pete che il babbo ha sistemato molto bene questa casa? Molto, molto, molto... Ha l'anima del costruttore. Strano che non abbia nessun figliolo con queste tenden­te... Ma non è un po' pìccola per loro questa casa?

CRISTOFORO              - Piccola, piccola no, ma certo bisogna rinunciare...

ERMANNO                  - A che cosa? Due salotti, due sale da pranzo, quattro camere da letto... Due studi, una palestra... Che d vuoi fare?

VENTURA                    - Oh... Non è moltissimo... io per esempio ci vedrei una piscina, una sala per le proiezioni cinematografiche, una biblioteca e una piccola sala da esposizione che sarebbe molto utile a certi fini...

ERMANNO                  - Già... Ci si potrebbe tenere quei pochi pezzi autentici e farti vedere ai clienti più fini come delle cose proibite...

VENTURA                    - Appunto, appunto... Bene, ci penseremo... Oramai questa casa è tutta vostra. Non c'è che da prendere l'ala set­tentrionale, sfondare, ricostruire... In sei mesi è una residenza degna dei marchesi di Lucerà... Volete che me ne incari­chi io?

CRISTOFORO              - Ma no, perché?... Più avanti se mai... Si vedrà...

VENTURA                    - Aspettate. A me piace di fare le cose in fretta... Posso telefonare?...

ERMANNO                  - Ma via, domani...

VENTURA                    - Domani non esiste nel mio voca­bolario... Pronto? Parlò col commendatore Pierini? SI? Molto bene... Grazie, sen­ta un poco... (CRISTOFORO si incammina verso la luce che piene dal salotto mentre ERMANNO e SALVATORE si avvicinano l'ano all'altro).

ERMANNO                  - Sai che cosa ho notato?

SALVATORE               - Che cosa?

ERMANNO                  - Che, carne a parte, ti somiglia...

SALVATORE               - No... Invece somiglia a te. Guar­da l'occhio...

VENTURA                    - Ho comperato la casa….. Scusate la bazzecola... Ora telefono all'architetto che venga domani a prendere le sue mi­sure... (Come sopra),

ERMANNO                  - Mi pare che non ci sia più dubbio...

SALVATORE               - No. Ma è preoccupante...

ERMANNO                  - Pensare che lui non pensa nem­meno che noi sappiamo tutto... Quasi quasi, mi viene voglia di abbracciarlo... Gli vuoi bene tu?

SALVATORE               - Ma... bene, poi...

ERMANNO                  - Come a me, insomma...

SALVATORE               - No... Non ancora... Ne voglio più a te,

ERMANNO                  - Caro, anch'io. Se poi non avessi certe manie te ne vorrei di più Con te ho già vissuto un poco... sofferto... E qué­sto che fa i fratelli...

VENTURA                    - Fatto... Già tutto sistemato con l'architetto. Sospenderà qualsiasi lavoro per non dedicarsi che a questo...

ERMANNO                  - Ma per il capriccio di nostro pa­dre lei...

VENTURA                    - Caprìccio? No, no... E pi non siamo soci? Le vuol molto bene, sa, suo padre. Mi ha parlato della sua fidanzata con molta simpatia. Ha detto che è pro­prio la ragazza che ci vuole per un caro giovane come lei.

ERMANNO                  - Mi fa piacere... Sa che non la voleva conoscere? Ma si! Se non avessi avuto quella alzata di testa e non avessi scandalizzato l'universo, cedendo il negozìo... saremmo ancora in istato di guerra subacquea. E poi c'è stato lei... Lei è stato la nostra salvezza, veramente...

SALVATORE               - Ah... Sì! Non ci poteva trattare cosi che un fratello...

VENTURA                    - Sì? È vero? Vi pare?... Ebbene, miei cari... (Pausa, Pentimento e altra core) Perché non ci diamo del tu?

ERMANNO                  - Volontìerì.

SALVATORE               - Con tutto il piacere... (Strette di mano calorose e silenziose con sorrisi intensi).

VENTURA                    - E adesso godiamoci questi brevi istanti di solitudine... Sei contento di sposarti?...

ERMANNO                  - Puoi immaginartelo... Mi pare mill’anni...

VENTURA                    - A te. (Trae di tasca un astuccio) Per te... Come ricordo di questo giorno...

ERMANNO                  - Oh, ma è magnifica... Ma non è possibile, non posso accettare. Ma come faccio... Magnifica...

VENTURA                    - Scusami la bazzecola, eh... La ter­rai come dimostrazione del mio affetto, del mio vero affetto. (Si commuove).

ERMANNO                  - Che hai?

SALVATORE               - Che c'è?

VENTURA                    - Niente... Niente... Sai... Quando si è soli al mondo... Basta cosi... Parliamo d'altro...

SALVATORE               - D'affari...

VENTURA                    - No. Bella giornata eh?...

CRISTOFORO              - (comparendo al fondo guarda con tenera commozione il gruppo e allar­ga le braccia come a benedire, poi chia­ma) Ermanno. Vieni. C'è il parentado... Tanta gente...

ERMANNO                  - Giannina... Scusate...

VENTURA                    - Vai pure... (A Salvatore) Anche tu, vai anche tu...

CRISTOFORO              - Sei un angelo caro, un ange­lo. (Lo abbraccia).

VENTURA                    - Papi... Sono felice.... (Piange).

CRISTOFORO              - Su, su, adesso niente commo­zioni. C'è gente...

VENTURA                    - Ma quando potrò... vederti in santa pace. Ho da piangere almeno per due ore.

CRISTOFORO              - Calma, calma...

VENTURA                    - Poco fa stavo per tradirmi...

CRISTOFORO              - Per carità... Silenzio...

VENTURA                    - Ma perché?...

CRISTOFORO              - Te l'ho detto... Ci sono diverse questioni... Il nome prima di tutto...

VENTURA                    - Non vuol lasciarsi chiamare To­te... Ma cambio io... Il mio secondo nome è Artemide... È difficile, ma...

CRISTOFORO              - E la primogenitura? Tu sare­sti il primogenito. C'è già una questione tra loro. Troppi primogeniti in questa casa...

VENTURA                    - Ma allora...

CRISTOFORO              - Col tempo, col tempo. Senza contare che è tanto difficile dire ai propri figli che hanno un fratellino...

VENTURA                    - Ma accade così in tutte le fami­glie. Quando nasce un bambino gli altri frignano, ma poi si abituano...

CRISTOFORO              - Bene, vedremo. Ma adesso ascoltami. Stasera o domani io faccio uno scherzo ai miei figlioli. Tu devi essere con me. Parto. Dico loro che sono stanco della vita di famiglia. Sono zingaro, ca­pisci?

VENTURA                    - Te ne vai?

CRISTOFORO              - Per qualche tempo. Il tanto che basta a far sentire la mia assenza e a farli ragionare circa il mio tenore di vi­ta. Troppa disciplina, capisci?

VENTURA                    - Hai ragione. Ma quando sarò io il primogenito».

CRISTOFORO              - Naturalmente, ti manderò il mio indirizzo...

VENTURA                    - Benissimo. Ma torna presto. Hai soldi con te?

CRISTOFORO              - Sì per quindici giorni...

VENTURA                    - No, no, non bastano... Fammi stare tranquillo. Sai, alle volte... A te... No, no, fammi star tranquillo... (CRISTOFORO incassa).

GIANNINA                  - (entrando)- Marchese, buona sera.

CRISTOFORO              - Buona sera, cara signorina... Questo è il mìo amico VENTURA ...

GIANNINA                  - Lei è un grande amico di Er­manno...

VENTURA                    - Amico? Amicissimo... Non avrei potuto mancare a questa festa. Anzi, signorina, se permette... Un pìccolo ri­cordo... (Trae un altro astuccio).

GIANNINA                  - Oh... Molto gentile... (Guarda) Ma è un gioiello stupendo... Mamma, mamma... Permette?...

CRISTOFORO              - Resti, signorina, resti... Li chiamo io...

GIANNINA                  - Come devo ringraziarla... Un gusto squisito...

ERMANNO                  - (entra seguito da Salvatore, Mat­teo  TORTORELLI E ZELINDA  TORTORELLI).

GIANNINA                  - Guardate che magnificenza... Il si­gnore... Il signor VENTURA, i miei genitori...

ZELINDA                     - Uhm... Magnifico... Veramente magnifico... Guarda, Matteo.

Matteo - Non me ne intendo, ma deve es­sere bellissimo.

SALVATORE               - Perbacco: è celliniano...

VENTURA                    - Vedo che ti fai una competenza... Bravo... Faremo delta strada insieme...

GIANNINA                  - Me lo posso mettere? (È un anello).

VENTURA                    - Sarà meno bello, nelle sue mani...

ERMANNO                  - Ohe, dico, non comincerai a fare la corte a mia moglie?

(Andirivieni del cameriere).

GIANNINA                  - (ammirando l'anello) Attento che è geloso. Non voleva nemmeno che fuggissi con lui...

MATTEO                       - Che discorsi... Una ragazza)

GIANNINA                  - Uh, il papà nero... Papà nero... Lo chiamo papà nero perche" è di buon umore soltanto alla mattina dalle otto e un quarto alle otto e venti, quando pren­de il caffè col rum...

ZELINDA                     - Non le credano... È di buon umo­re circa tre o quattro giorni all'anno.

VENTURA                    - Oggi come andiamo?

MATTEO                       - Oggi? Risponderò fra mezz'ora... Devo parlare col signor marchese e quan­do avrò parlato vedremo...

CRISTOFORO              - Con me? Ma non siamo noi i fidanzati...

MATTEO                       - Lo spero bene.

GIANNINA                  - Papà nero e papà bianco parle­ranno insieme. L'importante è che questo romanzo sia definitivamente chiuso. Si­gnore, ha mai sentito lei una storia d'a­more cosi complicata?

VENTURA                    - Eh, signorina... Ve n'è di più lunghe... per lo meno...

GIANNINA                  - Per me, ne ho abbastanza così. Ora sono felice. Felice. E tu, Ermanno? Ti ricordi quando volevo andarmene con te perche' eri un miserabile senza fissa oc­cupazione e tuo padre non voleva saper­ne di me? (Al Marchese) Oh, lei, ha un conto con me... La nuora vendicherà la povera fidanzata misconosciuta e disprez­zata...

CRISTOFORO              - Diavolo! Che cosa mi vuol fa­re? Per la ginnastica c'è già Salvatore, per l'educazione morale c'è già Er­manno...

GIANNINA                  - Benissimo. Io le insegnerò a suo­nare il pianoforte...

CRISTOFORO              - Ma come? Lei suona il piano­forte?

GIANNINA                  - SI... Premio dell'Accademia... (Orrore degli astanti) So certi pezzi che fanno venire la nevrastenia a un bue...

MATTEO                       - È vero, è vero... Guardi come sono ridotto!

ZELINDA                     - Ma non vedi che scherza, il mar­chese?

MATTEO                       - Lui scherza, ma io no...

GIANNINA                  - Silenzio eh? Se no questa sera ti obbligo a sentirti il concerto di Bach.

VENTURA                    - È carina, è carina... (A Ermanno) Bevo alla salute dei fidanzati... Belli, gio­vani, innamorati e felici... Bevo alla sa­lute dei parenti tutti che in quest'ora go­dono il palpito caldo delle grandi giornate d'una famiglia... Bevo alla salute del mar­chese, che ha ormeggiato il suo vascello al porto della letizia, dopo avere attraver­sato vittoriosamente le bufere d'alto mare. Bevo ai nipoti che nasceranno i quali avranno la fortuna di...

TUTTI                            - (interrompendolo) Evviva!

ERMANNO                  - Un po' di musica... Venite... Ab­biamo una nove valvole che riceve anche dalle stazioni dell'altro mondo...

GIANNINA                  - Bene... Lasceremo questi vecchi barbogi alle loro misteriose conversazio­ni... Mi raccomando, papà... Cerca di per­suaderti che le cose potrebbero anche an­dar peggio... (TUTTI escono meno Matteo, Zelanda e CRISTOFORO).

MATTEO                       - Spero che oggi il signor marchese abbia meno fretta di quando mi fece l'onore della sua prima ed unica visita...

CRISTOFORO              - Sa... Avevo fretta perché...

MATTEO                       - Oh... C'è sempre una spiegazione pronta... Lo so. Ma a me è meglio non dirla...

ZELINDA                     - Sì, è vero, perché ci ricama sopradelle fantasie...

CRISTOFORO              - Dovrebbe scrivere dei libri gialli...

MATTEO                       - Anche l'ironia... Benissimo... Me l'aspettavo... È tarma della nobiltà... Se lei avesse avuto la compiacenza di ascol­tarmi l'altro giorno le avrei volentieri parlato del lato-pratico della cosa.

CRISTOFORO              - Per carità, non ne voglio sape­re nulla. Se GIANNINA  - ha dote, bene, se non ne ha, bene lo stesso... Non desidero parlare di queste cose- Quanto alla posi­zione di ERMANNO l’hanno veduto. È bril­lantissima e non teme scosse...

MATTEO                       - GIANNINA ha una piccola dote, ma non gliela regalo io... Ecco il fatto... Se le dicessi o se lei venisse a sapere che io ho consegnato a GIANNINA una dote di sedicimila ducccntotremacinque lire e ctnquift-ta centesimi lei forse penserebbe che io sono pazzo. Mentre invece non sono paz­zo. TUTTI fanno a gara per farmi diven­tare, e anche lei signor marchese ha fatto quello che ha potuto, per parecchi mesi. Ma io non sono pazzo e vado coi piedi dì piombo. Potrei dare tutto a mia figlia senza tante preoccupazioni, ed era questa l'o­pinione di mia moglie che considera tutte le cose di questo mondo leggermente. Ma io la somma di sedicimila dueccntotrentacìnque lire e cinquanta centesimi l'ho ricevuta in amministrazione. Era originariamente di lire novemìlaottocentotrenta e quaranta...

CRISTOFORO              - Caro signor Tortorelli, lei è molto gentile a mettermi a parte dì que­ste cose. Penso si tratti di ima dotazione di qualche istituto benefico... Basta cosi... Non se ne parli più... Io la prego dì cre­dere che la cosa non mi interessa...

MATTEO                       - Interessa a me, E lei mi deve ascol­tare...

CRISTOFORO              - Senta un po'... Quei figlioli stanno domandandosi che cosa accada di grave e forse sono in pensiero... Se lei vuole, io verro domani al suo studio e po­tremo parlare liberamente...

MATTEO                       - (alzandosi) Ha sempre fretta... Come vuole...

CRISTOFORO              - Oggi è giorno di gioia... Gioia per tutti... (A Zelinda elle piange) Fa piangere la gioia, non È vero?

ZELINDA                     - Non è per questo... Sa... Penso... Se ci fosse qui la mia mamma...

CRISTOFORO              - (che sì era avviato ritorna indie­tro) La mamma di chi?

ZELINDA                     - Di Giannina.

CRISTOFORO              - (torna indietro; -a Matteo) Oh, non sapevo che lei fosse vedovo...

MATTEO                       - Ma io non sono vedovo affatto.... Ma, scusi, ERMANNO non le ha raccontato la storia di Giannina?

CRISTOFORO              - No... Ma la prego... Non mi pare il momento...

MATTEO                       - Ma quando viene allora il momento? Bene, senta, io le consegno questo li­bretto dì risparmio che sua madre ha la­sciato alla mia custodia... Lo consegno a lei perché GIANNINA farebbe una tragedia; ERMANNO ha perduto la mia stima, perchénon è un uomo pratico. A lei... Se lovuote bene, se no... Faccia lei...

CRISTOFORO              - In sostanza... loro per GIANNINA non sono che...

MATTEO                       - GIANNINA è mia figlia, perché le ho dato il mio nome, una educazione e tutto il resto... Ecco Mia figlia!

ZELINDA                     - Del resto è stata mia cugina... Sua madre...

MATTEO                       - Il marchese non ha tempo da per­dere...

CRISTOFORO              - Anche il padre è morto?...

MATTEO                       - Se è morto ben gli sta... Non ne parliamo.. Se avessi saputo chi era giuro che l'ammazzavo io...

CRISTOFORO              - (si è seduto e ha aperto il libret­to. Guardandolo ha avuta uno moto di interesse intenso e quindi un accasciamen­to improvviso).

MATTEO                       - Cosa c'è adesso? Non verrà mica fuori a dire che sì oppone al matrimonio per questa bazzecola...

ZELINDA                     - E’ stata la nostra consolazione, la nostra vita per tanti anni... (Si commuove),

MATTEO                       - Ah, naturale! Tutte le scuse sono buone... Vero? Ma lo dica, lo dica franca­mente... Non faccia conto di pensarci su, di meditare... Meditare che cosa? Io capi­sco benìssimo quello che pensa lei... Ecco una buona ragione per mandare all'aria questo matrimonio che non ho mai potuto soffrire... Lei non l'ha mai potuto soffrire...

CRISTOFORO              - (china la testa sul petto).

ZELINDA                     - Ma che ha? Sta male?

MATTEO                       - Adesso finge anche; di morire.

ZELINDA                     - Chiama qualcuno! Un bicchiere d'acqua, qualche cosa...

MATTEO                       - Tutto a rovescio, tutto a rovescio...

CRISTOFORO              - (fa cenno con la mano) Aspetti, non e niente. Un piccolo capogiro. Fa un gran caldo qua dentro... Benissimo, ho capito; benissimo. Lei vuole che io conse­gni a sua figlia questo libretto... Va be­ne... Ci penso io...

MATTEO                       - Perché, come vede, è intestato alla madre. Bisogna fare le pratiche per la successione... Tutta una storia di docu­menti e dì vidimazioni che se non si è proprio di buon umore non si fanno. Le faccia lei... Io me ne lavo le mani... Na­turalmente lei mi farà una ricevuta... A suo tempo...

CRISTOFORO              - Va bene... Va bene... Tutto be­nissimo...

GIANNINA                  - (entrando) Ma via! Mi pare che esageriate. Siamo TUTTI in pensiero.

ZELINDA                     - Perché, cara?

GIANNINA                  - Perché quando in una festa due o tre si mettono a parlottare fra loro TUTTI gli altri smettono di divertirsi. Andiamo, C'è VENTURA che vuole organizzar una festa in campagna allo scopo di far sor­ridere papà.

(CRISTOFORO  evita gli occhi dì GIANNINA e sta a disagio).

MATTEO                       - Che spiritoso! Ne ho una bella vo­glia, di sorridere...

GIANNINA                  - Oh, per questo, sì fa presto. (Gli si mette a sedere sulle ginocchta) Papà, guardami...

MATTEO                       - Ma no, qui, no...

GIANNINA                  - Ti vergogni forse? Chi sono io? Risponderei Chi sono io?

MATTEO                       - (come sì fa eoi bambini) Tu set la rondinella (A CRISTOFORO con altra fo­ce) Bisogna sapere che è una vecchia sto­riella di quando era bambina...

GIANNINA                  - E tu chi sei?

MATTEO                       - (col vociane grosso) Babbo ca­stagno...

GIANNINA                  - (oscillando un poco e facendo o-saltare anche il padre) La rondinella di­ce buon giorno, dice buon giorno a bab­bo castagno.

MATTEO                       - Buon giorno... Buon giorno...

GIANNINA                  - Babbo castagno, ogni mattina ti cade addosso un poco di brina. (Lo scuote forte alle spalle) Scrolla la rama fin che ci stanco. Non cade : babbo, & un capello bianco...

MATTEO                       - (tenendo abbracciata Giannina) -Rondinella, rondinella...

CRISTOFORO              - (seccato) . Bene, adesso mi pare che...

GIANNINA                  - Ha visto? Sorride. Anche le cose stupide hanno la loro utilità.

CRISTOFORO              - (nervoso) Va bene, ma non vor­rete lasciare gli altri per star qui a giuo-care a rondinella...

GIANNINA                  - Non le piace? Perché non sa che essa racconta la storia di un babbo e di una figlia che si sono accompagnati nella vita per anni e anni volendosi tanto be­ne... Non sa che questa è. la storia dì TUTTI ì capelli bianchi che io ho veduto crescere sul capo di mia padre... Bisogna capirle, certe scemenze che si dicono..: E se lei avesse voluto bene a qualcuno, saprebbe che se ne dicono, oh, se se ne dicono... E si ricordano, anche... E sono le cose che fanno più male, quando non si possono ripetere più... Ne troveremo anche per lei... Suocero! (Ere trascinandosi ì due vecchi e lasciando solo CRISTOFORO, Voci dal di'dentro salutano festosamente Gian­nina. CRISTOFORO va allo specchio e si toc­ca la testa grigia. Pòi improvvisamente è preso dalia fretta e va e viene dalla scena).

CRISTOFORO              - Ah, il libretto, (Esce e rientra sudilo dopi) con cappello, pastrano e va­ligetta. Incolla la busta rossa sulla spec­chiera. In questa la voce di GIANNINA sì fa adire cantare una canzone. CRISTOFORO non riesce a vincere la tentazione di ascol­tare. Poi ritorna mogio mogio nella sua (amerà dalla quale riuscirà subito come era prima. Va alla porta del salotto e fa un cenno all'interno).

ERMANNO                  - (si presenta sulla soglia) Vuoi me?

CRISTOFORO              - Questo libretto è di Gianni­na... Glielo darai-il giorno delle sue nozze come regalo di sua madre...

ERMANNO                  - Ah... Bene... Ma perché io?...

CRISTOFORO              - Perché... Perché... E poi mi ta­ci dei' particolari interessanti.

ERMANNO                  - Di Giannina? Te lo avrei detto, papà, ma volevo, prima, che tu le volessi bene... Del resto cose senza importanza, per noi...

CRISTOFORO              - Dici?

ERMANNO                  - Ma papi, che hai? Per una scioc­chezza simile...

CRISTOFORO              - Non c'entra questo... Non c'en­tra... Chiama tuo .fratello...

ERMANNO                  - SI.'.. (Va mila porta del salotto e fa un cenno).

CRISTOFORO              - Tra pochi minuti, ti prega, non dimenticare che avrei 'potuto continuare nel mìo giuoto tranquillamente e senza alcun pericolo...

ERMANNO                  - Giuoco? Ma che dice?'

SALVATORE               - Ecco, che c'è?

ERMANNO                  - Ma, non so. Papà è mai» strano.

CRISTOFORO              - Siete qui TUTTI e due? Chiudete l'uscio. Ecco... Dunque...

ERMANNO                  - Ma che c'è?

SALVATORE               - (guardando m faccia ai due) -Dunque?

CRISTOFORO              - Ascoltatemi bene... Non inter­rompetemi, perché ciò che sto per dirvi' esige molta for?a e io ho paura dì non averne abbastanza. Voi siete stati ingan­nati.

ERMANNO                  - Da chi?

CRISTOFORO              - Da me. Io vi ho finto credere... e voi avete creduto molto facilmente... ma il fatto è che non è vero niente, lo non sono vostro padre. Non sono vostro padre, ecco.

ERMANNO                  - Cosa?

CRISTOFORO              - Mi pare dì essere stato chiaro... Non sono...

ERMANNO                  - E chi è?

CRISTOFORO              - Ah, questo poi...

ERMANNO                  - Ma, dico... parola d’onore. Salvatore , ci capisci niente tu?

SALVATORE               - Ah non sei…. Confessi di averci beffati!

CRISTOFORO              - Io ho detto ingannati. Ecco. Arrivato all'estremo delle mie ritorse eco­nomiche, disperato del demani, solo tome un cane...

ERMANNO                  - Ho capito... Ti sei deriio a fasti una famiglia... Capisco... Non eri piò in tempo a prendere moglie... E in mancan­za 'di figli veri...

CRISTOFORO              - Ecco... Ero un avanzo di tante miserie... Ma poi che parole vado cercan­do? Voi due potevate dignitosamente provvedere ai mici ultimi anni di vita. Vi ho venduto il mio nome...

ERMANNO                  - (ancora stupefatto) . Oh, ma noti è possibile... non e 'possibile...

SALVATORE               - (scagliandosi cóntro il padre) -Oh, ma...

CRISTOFORO              - (trattenendo lo teatro <fV.Salva­to») Mi pare che il momento meriti qualche rispetto. Ho detto la verità. Il vo­sero buon cuore, il desiderio di conoscere le vostre orìgini, vi hanno fatto accettare abbastanza facilmente un inganno che evidentetaente non faceva meno piacere a voi che a me. fe tutto. Ora, potete denun­ciarmi alla giustizia se volete, lo non ne potevo più...

ERMANNO                  - Ah... Benissimo... È cosi... Oh, che vergogna, che vergogna! Mi sento ora due volte figlio di nessuno...

CRISTOFORO              - Ermanno, ti prego... Battimi piuttosto, come voleva fare lui... Ma non piangere, te rte prego...

SALVATORE               - Io domando se si può esserepeggio di così! Un ladro, un. tradi­tore, un parricida non hanno un'anima abbastanza nera per. concepire un simile trucco...

ERMANNO                  - E’ obbrobioso... Vile, iniquo!... Senti, papa... Uhm) Senta, marchese.»

SALVATORE               - (ridendo «moramente) .Ma lo è poi, marchese?

CRISTOFORO              - (si dm) Ragazzo! Bisogna cre­dere ciecamente alia coofeutoae di Un mariuolo.

ERMANNO                  - Oh, le belle parole atn ti man­cano... Lo sappiamo... Ma non eri tanto delicato quando si trattava di rovinarci... Perché per causa tua ani ci siamo quasi rovi ria ri .„

SALVATORE               - E’ vero! Chi ce le ha messe in testa certe idee?

ERMANNO                  - Per te, un poco ancora ed era­vamo alla fame, come eri tu e noi non avevamo nemmeno b punibilità di cer­carci un padre «fi nostro gusto...

SALVATORE               - Ho mandato all'aria tutta tuia carriera, kit..

CRISTOFORO              - RisfModirjiL. Ne set pentito?

SALVATORE               - No M»u.

CRISTOFORO              - ( Ermanno) E tu sei pentito di non avere pia il tuo negozio di calza­ture?

ERMANNO                  - Che ragionamenti! Ma se non era per qud_

SALVATORE               - Per «ne, per me... Ah... Non voglio che la eeJpa che ho commesso nei vostri riguardi diminuiira nemmeno <li un grammo, bu.c sono stato la causa wvoiorJtaria delia vortra ratina sono «a» anche la rama «Uh vostra salvezza... to eoa lo aanmeèw nrmmmn di ròta qdel «Htm mwalr che -vi coprirebbe d'oro datti «Mai ai piedi— Eppure lbo tnrfa-Utt t'ho CMnriMp—

ERMANNO                  - 1.1» ingannato      hai inganna» nuL_Cainoreio Per 3 vostro vantaggio...

SALVATORE               - Befia,' questa... Gli è che la fa­ine ti ha tatto paura dì nuovo...

CRISTOFORO              - Avete ragione... Credete quel che vi pare... Ora, lasciatemi andar via... Sapete dove trovarmi quando avrete biso­gno di me... Quello che ho detto a voi sono pronto a ripetere al giudice....

SALVATORE               - Dieci anni dì galera!...

CRISTOFORO              - Non inverò a farli tutti, ma pazienza...

ERMANNO                  - Fermati... Ma mi spieghi per­ché... (Si disine, data la folla dei pensie­ri) È inaudito... Non riesco ancora a ca­pirla bene...

CRISTOFORO              - Non c'è nessuna fretta.

ERMANNO                  - Ma perché hai confessato?... Una ragione ci deve' essere!... Tutto in una volta sei venuto fuori con questa confes­sione che nessuno ti chiedeva... Oso dire che nessuno desiderava... Che non era ne­cessaria... Oh, senza dubbio la confessione ha la sua nobiltà per la quale è sempre giustificata... Ma tu non sei un uomo, scu­sa, da crisi di coscienza!.. Non ti debbono essére abituali le crisi di coscienza... E al­lora domando, perché... Per quale ragione contingente, per quale pericolo imrnediato sei stato indotto a vuotare questosacco di nequizie innominabili... Me lodici? Perché? Oggi poi;., proprio oggi...

CRISTOFORO              - Perché non ne potevo più... Perché si ' possono ingannare le, persone che non si amano, ma quelle che si ama­no no, non si' può... Ed è forse perché mi sento adesso un poco vostro padre per davvero che vi dico che non lo sonò...

ERMANNO                  - Questo qui ci mette nel sacco con i sentimenti... io dico che ci deve es­vere una ragiohe...

SALVATORE               - Ma è inutile insìstere sulla ra­gione. Qualunque essa sia niente può can­cellare quest'azione, disonesta !

CRISTOFORO              - Ma perché mi sottoponete a questa tortura?... Per quasi un anno io sono stato vostro padre, avete portato il mio nome, mi avete curato, educato, sve­lenato... Ora che vi dimostro che i vostri cornigli, la vostra educazione mi hanno migliorato al punto di distruggere in un minuto la fatica e l'astuzia di dodici mesi, mi domandate perché?

ERMANNO                  - Non mentire... La necessita del­la tua confessione è collegata a certi par­ticolari... (Legge il nome siti libretto)Giorgina Vallardi,-. Non ti dice niente- questo nome?... Un nesso c'e, un legamec'è... È inutile che tu neghi... Ora Gian­nina.          ;

CRISTOFORO              - (con angoscia) No... Lasciala stare... Te ne prego... Non dirle nulla... Me ne vado, solo... Scompaio dalla vostra vita... Se volete il mio nome ve lo lascio...

ERMANNO                  - E che ce ne facciamo?... Ripren­deremo il nostro povero nome dì bastardi che non è una beffa, cerne il tuo, ma un dolore...

SALVATORE               - Tutto va in pezzi... 'Ritornere­mo dei solitari... Degli estranei a tutti...

CRISTOFORO              - Lasciatemi andare...

ERMANNO                  - Ah, no! Quel che faremo non so... Vedremo... Credo di aver capito... E se è come credo io... Sé è... A costo, guar­da, di frantumare il mio cuore per terra, ma nemmeno l'amore;,. Non voglio vede­re più nessuno!...

VENTURA                    - (entra. ERMANNO gli ti getta fra le braccia) Oh... Caro... (Va ad abbracciare Salvator che non_ ne ha alcuna voglia) Grazie... (Va ad abbracciare anche CRISTOFORO che si ribella debolmente) Grazie... Finalmente... Era tanto tempo che attendevo questo, momento!

TUTTI                            - felici, TUTTI        - felici...

ERMANNO                  - Ma, disgraziato, che cosa credi?

SALVATORE               - (a VENTURA) Una falsa partenza, una. truffa colossale...

VENTURA                    - Chi?

SALVATORE               - Quello !!!

ERMANNO                  - (esce).

VENTURA                    - Papi...

SALVATORE               - (ride) Come siamo stati ridicoli per tanto tempo! Papi di chi? Ma basta, vieni Via, vieni yia...

VENTURA                    - Ma allora?...

SALVATORE               - Ora ti diremo...

ERMANNO                  - (rientra) Ho detto a Giannina—

CRISTOFORO              - (scattando) Che cosa? Ma tusci palio!

ERMANNO                  - Lo spero. Ora GIANNINA verrà qui. Mi auguro che dal vostro colloquio risulti che non c'è nulla di comune fra voi...

CRISTOFORO              - Ma va!

ERMANNO                  - E se fosse...

CRISTOFORO              - Oh, se fosse, spero che... Ma si può sapere come ti 4 venuta in km» que­sta pazzia?...

ERMANNO                  - Ricordo tante cose... Ora capisco perché non là volevi vedere, non volevi il nostro matrimonio...

CRISTOFORO              - Ma se non sapevo nemmeno come era fatta?... Mai vista...

SALVATORE               - Qui, credo che abbia ragione lui... Èra contrario semplicemente perché temeva che tu poi l'avresti trascurato co­me fanno TUTTI i figli quando non hanno più bisogno dei genitori...

CRISTOFORO              - Ecco... QucsU è la verità (A Ermanno) Ascolta tuo fratello... Cioè... Coso... Coso ha ragione...

VENTURA                    - Ma scusi, marchese... Allora sa­rebbe falso anche quello che ha detto a me a proposito... si, dico, del suo passag­gio a Brescia...

ERMANNO                  - (ride aspro) Che cosa grottesca! Ma hai creduto a qualche cosa tu, di quel lo che ri ha detto costui? Ma è tutta men­zogna, tutta menzogna... Ha creato una rete di finzioni...

VENTURA                    -Con voi, non dico. Ma con me anche? Perche mi ha detto... delle cose (Si commuove) delie cose che....

SALVATORE               - Vieni via, vieni via...

VENTURA                    - (uscendo) Mi riservo, marchese... Ci rivedremo. Oh, se ci rivedremo...

ERMANNO                  - E adesso vediamo! (Esce. Suona il telefono).

CRISTOFORO              - Sei tu, Vigna? Pronto, SI. Be­ne, ma vedL, Tutto all'aria... Catastrofe, SI. Sono stato costretto a confessare tutto, SI, SÌ. Perché? Ah, perché? Perché vera­mente non lo so nemmeno io... A un cer to punto, m'è venuto un impeto... Tutto all'aria... No, non sono pazzo. Non lo so... Ti dirò... Devo mettere ordine nella mìa testa... SÌ, questo «5, sono contento-Felice, anzi... Ceno, andrò anche in ga­lera... Ma felice! (Va a sedersi alla sua poltrona voltando le spalle all'uscio dal quale entra lentamente Giannina.

GIANNINA si avvicina a CRISTOFORO),

GIANNINA                  - ERMANNO mi ha detto tutto...

CRISTOFORO              - (ha un momento di debolezza è tende una mano che subito ritira) Pre­go... Un momento... Aspetti!...

GIANNINA                  - Oh, si, ho tanto aspettato!...

CRISTOFORO              - (scattando) Oh, ma che cosa avete tutti! Qui si creano romanci, qui si fabbricano castelli in aria... Signorina Giannina, lei non dia retta a quello scemo del suo Sdamato. Gli è balenato in testa un sospetto assurdo, ecco tutto...

TELA

GIANNINA                  - Oh... Così? M allori... Eppure alcune parole che io ricordo di mia madre.

CRISTOFORO              - Non voglio sapere niente... Ba­sta cosi. Signorina, sarebbe molto facile per me continuare con lei un giuoco che mi è familiarissimo. Molto probabilmente questa volta salverei oltre al pane quoti­diano anche la liberti personale... Ma francamente sono stanco di tutte queste macchine... Basta, Domani ì mici ex-figlinoli mi denunceranno al giudice... Fi­nirò come devo finire... Non si preoccupi di me„. Non avrebbe alcun interesse ad avere qualche rapporto con la mìa perso­na, lo sono sempre stato un rompicollo, un disordinato, un perduto...

GIANNINA                  - Mai che cosa importa?... 11 cuore di Una figlia non giudica...

CRISTOFORO              - Ma che pazzie, che assurdità, mi lasci stare... Se ne vada. Io non so nemmeno ehi sia tei... Pensi a voler bene a Ermanno, a farlo felice e soprattutto a non perderlo... Perche' giovani come quel­lo lì, cara signorina, se ne trovano pochi...

GIANNINA                  - Ma mi lasci parlare... (Piange).

CRISTOFORO              - No, se ne vada, Lei mi faccia il piacere di andarsene.... Se ne vada... E non pianga, sa, perche' a me le donne che piangono mi fanno proprio ridere... Se ne vada, se ne vada, se ne vada... (Uscita

GIANNINA                  - si smonta di colpo. Va a stacca­re la busta attaccata «Ilo specchio, se la mette m tasca e si siede, affranta).

La scena come la precedente. Quando si alta la lek la camera da pranzò è immersa inuna semioscurità intima. Una sola lampadi­na appoggiata allo stipo del caminetto illu­mina la figura dì Giannina, che legge un li­bra davanti al fuoco.

SOAVE                         - (che termina di sparecchiare la tavola) Posso andare a ietto, signora?

GIANNINA                  - Hai preparato il vestito da viag­gio di mio marito che domani parte?

SOAVE                         - Si, signora.

GIANNINA                  - Che cosa è accaduto oggi nel­l'appartamento del marchese? Ho udito del rumore.

SOAVE                         - La cameriera del marchese ha lascia to cadere un vassoio e ha rotto tutto. Bi­sognerebbe cambiaria. È una sventata e serve assai male. Il signor marchese ha delle abitudini...

GIANNINA                  - Ci penseremo...

SOAVE                         - Se tei me lo permettesse, andrei qualche volta a dare un'occhiata io, che l'ho servito per tanto tempo,

GIANNINA                  - Guardatene bene. Tu sai che mio marito rtern ha piacere.

SOAVE                         - Ma è li suo babbo.

GIANNINA                  - SI, ma non bisogna forzare le cose. Non van d'accordo fra padre e figlio e tu servì il figlio. Devi obbedire al figlio.

ATTO TERZO

SOAVE                         - Si, signora marchesa. Dicevo... L'ap­partamento dei marchese è freddo...

GIANNINA                  - Va bene. Provvederemo a farlo riscaldare. Ma non siamo ancora in ot­tobre...

SOAVE                         - Il marchese ha freddo.

GIANNINA                  - Chi te lo ha detto? Sri stata di là, vero?

SOAVE                         - Ma, .signora marchesa...

GIANNINA                  - Tu sai che nessuno di noi deve oltrepassate quell'uscio. Il marchese è provveduto dì tutto: ha servitù a sua di­sposizione e non ha certo bisogno di te. Vai a dormire...

SOAVE                         - Buona notte, signora marchesa. (Esce).

(Appena uscita Soave, Giannina si rimette a leggere. Dopo un istante si alza e in punta di piedi facendo bene attenzione a che nessuno la veda, va in fondo alla sce­na, entra verso sinistra, rientra subito do­po facendo cenno a qualcuno che Sta per entrare).

GIANNINA                  - (sottovoce) Piano... Non far ru­more...

CRISTOFORO              - (entrando) Fuori tutti? Bene...

GIANNINA                  - Sì, ma fai attenzione, che la ca­meriera si è appena ritirata. (CRISTOFORO in punta dì piedi ostentando cautela va ac­canto al fuoco).

CRISTOFORO              - Cara la mia nuora Voglioprovarmi dì scrivere un racconto inritoiato: La nuora caritatevole... Un soggetto originale,

GIANNINA                  - Scrivi invece: I! suocero goloso...

CRISTOFORO              - Perché goloso?

GIANNINA                  - Perché vieni qui di nascosto a prendere il punch, che ti faccio io.

CRISTOFORO              - Bisogna avere indulgenza per­le debolezze dei vecchi.

GIANNINA                  - Bella scusa anche la vecchiaia...

CRISTOFORO              - Hai avuto gente a pranzo stasera, eh?

GIANNINA                  - Sì. Sono venuti SALVATORE e VENTURA...

CRISTOFORO              - Bene. La società contìnua a funzionare, eh?

GIANNINA                  - SI. E pare che vada anche bene. Domattina ERMANNO parte per un viaggio d'affari molto importante-

CRISTOFORO              - Bene, Sono andati a teatro?

GIANNINA                  - Sì. All'opera, Anzi, aspetta che sentiamo come va, perché non si sa mai... (Telefona) Pronto? Teatro dell'opera? Per favore, a che punto e la rappresenta­zione? Incominciano il secondo atto? Be­ne, grazie. (Deponendo il ricevitore) Così siamo sicuri che non è stata rimandata all'ultimo momento.

CRISTOFORO              - E tu perché non ci tei andata?

GIANNINA                  - Non ne avevo voglia. Hanno in­sistito perché ci andassi, ma io...

CRISTOFORO              - Oh, tu sei una sposa poco pre­occupante. Non esci mai di sera.

GIANNINA                  - Preferisco restare in casa a leg­gere.

CRISTOFORO              - Brava. Cosi ci guadagno io che posso venire a farti un po' di compagnia di nascosto... Sai, è insopportabile un ap­partamento da scapolo.

GIANNINA                  - Eppure ci devi essere abituato.

CRISTOFORO              - Non ci ero più abituato. Un appartamento da scapolo è il paesaggio più desolato che sia in natura.

GIANNINA                  - Eh.... Se le cose fossero andate peggio? Io sono stata molto contenta del­la soluzione,

CRISTOFORO              - SI, ma, vedi... Essere a un pas­so, a un muro da questa casa e non pote­re entrare, credi... è la tortura peggiore... Sento le vostre voci, le vostre risate... il tintinnare dei bicchieri...

GIANNINA                  - (in ascolto) Taci... No, niente. Mi pareva dì sentire qualcuno per le scale.

CRISTOFORO              - L'altra sera, mettendo l'orec­chio alla parete, ho sentito che discutevate intorno alla mia persona...

GIANNINA                  - Si? Oh, sciocchezze...

CRISTOFORO              - Ho sentito che tu mi difen­devi... Non devi farlo, non devi. Anche se senti che quei due dicono male dì me, tu fingi di non udire. Lo so, tu non sei tanto severa verso di me e ti rendi conto del mio sentimento. Non dico del mio pentimento perche' non so che cosa dire, ma io non riesco a pentirmi. Ma se tu insisti a difendermi e a rimproverarti del modo come mi trattano, da rodino dome­stico, è peggio... è inutile, e anche perico­loso. Sai che

ERMANNO                  - è sospettoso. Chi sa che cosa potrebbe credere...

GIANNINA                  - Oh, creda quel che vuole. Certe cose non le ho mai potute sopportare...

CRISTOFORO              - Potresti farlo un pò abbon­dante quel grog?

GIANNINA                  - Eh dìcol La nuora è caritatevole, m» non permette gli eccessi.

CRISTOFORO              - Non è per me. Sai, alla dispe­rata, invito qualche volta il mio vecchio

VIGNA                          - Credo che lo bcrrebbe volentieri. É freddo, stasera.

GIANNINA                  - Bel mobile quel Vigna.

CRISTOFORO              - SI, è ari vecchio ribaldo, ma dì la svolta.

GIANNINA                  - Come, la svolta?

CRISTOFORO              - TUTTI coloro che passano la vi­ta spensieratamente a un certo punto dan­no la svolta. Da quel momento non tro­vano più nulla di divertente. E allora so­no cinque, dieci, venti anni di torture che nessuno può conoscere né consolare... Cre­dimi. Rimorsi, disperazioni, ribellioni. Tutte le preoccupazioni vengono addosso ìn una volta... Brutto momento, che ge­nera spesso il crimine o l'atto disperato. Se fossi nel governo terrei d'occhio gli spensierati, per cacciarli dentro per moti­vi di igiene pubblica appena arrivano alla svolta.

GIANNINA                  - Dunque VIGNA incomincia a di­ventare pericoloso.

CRISTOFORO              - Uri poco. Già è diventato bron­tolone. Niente gli va a verso. Secondo lui non funziona bene nemmeno il calen­dario e l'altra sera ha trovato una mezza lite eoo un bigliettaio del tram perché aveva un sistema di staccare il biglietto che non corrispondeva alle vedute di Vi-gna circa la tecnica di quel mestiere. Va d'accordo solo eoo me. Mi invidia vele­nosamente, ma bonariamente. Non si spie­ga come mai io na andato a finir bene.

GIANNINA                  - Forse c'è stato qualcuno che ha pregato per te.

CRISTOFORO              - Forse.

GIANNINA                  - Chiamalo, allora.

CRISTOFORO              - SJ, vuoi? Davvero?

GIANNINA                  - Ma rune le volte è qu«ta storia... (CRISTOFORO esce e rientra subito dopo con Vicna. Si odono in quest'attimo di silen­zio dei siiSi di Millo fuori).

VIGNA                          - Buona sera, marchesa...

CRISTOFORO              - Eh, «h.

GIANNINA                  - Buooa aera.

VIGNA                          - Dite a mio suocero che è inutile che faccia la coro-media tuta le volte che vuole farvi invi. tare a prendere il grog.

CRISTOFORO              - Commedia? Dico, se non haipiacere. Dato che si tratta di un can­chero...         .  .

VIGNA                          - (sedendosi «eco/ito al fuoco) Oh, un po' di fuoco per un povero cane.

GIANNINA                  - Fa freddo stasera?

VIGNA                          - - Freddo non unto, ma il vento bat­te bone. Sentite? É una maledizione tro­varsi per U strada con questo vento. E poi dicono che àsino in settembre. Buf­foni!

GIANNINA                  - Ci uà gna disordine nella na­tura, veto?

VIGNA                          - . Nella natura? Siamo noi che andia­mo a contrattempo. I vecchi calendari hanno ammucchiato un tale sacco di er­rori che et troveremo un bel giorno a cre­dere in buona fede di essere in agosto e ci meravigiicremo che cada la neve. Sare­mo in dicembre senza che nessuno lo so­spetti.

CRISTOFORO              - Si su bene qui, non è vero?

VIGNA                          - Altro che! Benone!

GIANNINA                  - (ironica) Peccato che non si pos­sa giuocare!

CRISTOFORO              - (ipoeriu) Giuocare? Ah, io no... Per conto mio...

GIANNINA                  - Bravo. Ho piacere che ti abbia fatto bene l'educazione morale di Erman­no. E la ginnastica la fai ancora?

CRISTOFORO              - Qualche cosina... Ma, visto che non debbo andare alle olimpiadi, preferi­sco fare due chiacchiere con Vigna...

VIGNA                          - - Chiacchiere spirituali... No, non vor­rei che credesse a partite di éearré...

GIANNINA                  - Anche voi non amate più il giuoco?

VIGNA                          - Lo amo, ma come un'amante infida.

GIANNINA                  - Avete perduto molto?

VIGNA                          - Peggio. Ho vinto.

GIANNINA                  - E allora?

VIGNA                          - - Ma io non ci capisco niente. La contabilita dell'entrata e della uscita di ungiuocatorc deve essere un mistero... Perché più si perde e più sì ptrde... E più si vin­ce e più si perde... E una stranezza che ho studiato per venticinque anni...

GIANNINA                  - E avete rinunciato al vostro studio?

VIGNA                          - SI. Per mancanza di mezzi...

CRISTOFORO              - È doloroso dovere interrompe­re una ricerca dopo tanto lavoro...

VIGNA                          - Dovrebbero creare delle borse di studio. Perché alla fine la vita che abbia­mo fatto noi per tanti anni non l'ha fatta nemmeno il più solerte impiegato, il pro­fessionista più laborioso... Signora... Dic­ci, dodici ore, anche quindici ore di ser­vizio al giorno...

CRISTOFORO              - E con delle emossiooi che non sono paragonabili che a quelle dei mari­nai nei giorni di tempesta.

VIGNA                          - E c'è forse qualcuno che ti dica, grazie? Eccoci qui...

CRISTOFORO              - Già... Eccoci qui...

VIGNA                          - Tu puoi tacere.

CRISTOFORO              - Già... Ma io ho avuto qualche misteriosa protezione.

VIGNA                          - (Pausa) Buono, questo grog. Ce ne sarebbe un'altra lacrima owerossia goccia? Distilliamo da quel recipiente...

CRISTOFORO              - Senti? Si sveglia la bestia... Sento dallo stile. Coriandoli e stelle filan­ti. Allegri I (Bevono).

VIGNA                          - Oh... È delizioso... Hai visto il fuo­co com'è curioso?

CRISTOFORO              - Bello eh? Incanta... Le fiamme sono sempre diverse. Un miracolo di tra­sformismo,' di improvvisazione, di inspira­zione... Di', sei buono a fare i cerchietti sulla cenere con le molle?

VIGNA                          - (interessatissimo) Come?

CRISTOFORO              - Così... Guarda... Piano... Ah... Ecco, prova.

GIANNINA                  - (sì allontana asciugandosi una ra­pida lacrima).

CRISTOFORO              - Ma noi Hai guastato tutto.

VIGNA                          - Ma quello i un giuoco dì pazienza. Prova a dare un colpo al tizzone. Prova.

CRISTOFORO              - (ridendo) Bello! Fuochi artifi­ciali! Giannina, hai visto? Fuochi artifi­ciali... Dove sei andata?

GIANNINA                  - Sono qui, Mi dà noia il fuoco.

CRISTOFORO              - È vero. Anch'io sento che gli occhi mi bruciano... (A Vigna) Ma stai lontano, tu. Mi soffi in faccia l'essenza di quello che hai bevuto in questi ultimi quìndici anni... Se ti avvicini alla fiamma saltiamo

TUTTI                            - in aria! Cosa c'è? T'addor­menti?

VIGNA                          - Io? Nemmeno per sogno. Chiudo gli occhi e ho l'impressione di spampa­narmi come un rosolaccio, quando piove.

CRISTOFORO              - Oh, bella questa! Hai sentito, Giannina? Non su nemmeno che cosa sia­no i rosolacci! Giuro che non hai mai vi­sto un rosolaccio...

VIGNA                          - Anche nella natura non c'erano un tempo... Poi nacquero...

CRISTOFORO              - Ti disturba, Giannina, costui? Vuoi che lo cacci via?

GIANNINA                  - Ma no, perché?

CRISTOFORO              - Vedo che ti sei appartata... Per­ché non stai qui, vicino a... vicino a noi?...

GIANNINA                  - Vi lascio fare le vostre scoperte in, pace. Avete «coperto il fuoco, le fiamme, i rosolacci...

CRISTOFORO              - Peccato che siamo vecchi, no? Perché io mi sentirei capace, oramai, di arrivare anche alla «coperta del mondo!

GIANNINA                  - Non lo conosci? Hai viaggiato tanto...

CRISTOFORO              - Sì, ma si vede che il mondo si scopre con uri altro sistema di naviga­zione—

VIGNA                          - Uh... Entriamo nel difficile... Un al­tro atomo, prego, un altro atomo sia pure indivisibile dì quel prezioso benefico li­quore...

GIANNINA                  - Ma se vi fa male?

VIGNA                          - Niente paura. A me nulla può fai male, per Ja semplicissima ragione che nulla mi fa bene... Grazie... (Gianninaversa altro grog a Vigna).

GIANNINA                  - Se vi lascio soli un momento, mi lascerete spegnere il fuoco?

CRISTOFORO              - Dove vai?

GIANNINA                  - I miei doveri di massaia mi im­pongono di pensare che esiste anche il do­mani...

CRISTOFORO              - Già, i vero. C'è il domani...

VIGNA                          - Un'altra scoperta!... Domani... Puah...

GIANNINA                  - Un momento solo... (Bice),

VIGNA                          - (stendendoti) Senti. Che ne diresti se cantassimo in coro sottovoce « Vieni vieni morettina »?

CRISTOFORO              - Ma fammi il piacere di star quietò! Non sei mica in casa tua sai? Ci vuole un pezzente delta tua specie per cre­dere che si possa intonare qui una can­zone da caserma...

VIGNA                          - Povero merlol lo ti ho detto di «ta­tare uni canzone così proprio per sentirti rispondere come hai risposto. L'avrei giù-rato. Ti sei messo a parlare come un padre guardiano. Mi fai pena. E poi fai ridere con la tua convinzione di essere un gran­de artista. Credi che non si capisca che-è tua figlia?,

CRISTOFORO              - No, non si capisce. Guarda, prima di tutto l'ho trattata in un modo... E poi, dico, lo sai che tuta le ho mai dato un bacio nemmeno sulla fronte?... Sono gelido, ti assicuro...

VIGNA                          - Ma appena puoi vieni a coccolarti... Mi pare che appena puoi...

CRISTOFORO              - Allora sei suo padre anche tu...

VIGNA                          - Ma dove devo andare, me lo dici? Io vado dove vai tu.

CRISTOFORO              - Fammi il piacere... Certe cose non te le deve sentire nemmeno l'aria...

VIGNA                          - E seguiterai un pezzo a fare questa vita da recluso domestico in quell'appar­tamentino che pare una garsonniere senza avventure e a contentarti di questa chiac­chierata clandestina?

CRISTOFORO              - Caro mio... Ma mi dici dove vuoi arrivare?

VIGNA                          - Voglio arrivare ad essere invitato tutte le sere a cena da te tranquillamente... Perdio, mi devo contentare di un po' di grog di quando in quando. Mai un cappo­ne, mai un cefalo, mai il

SOAVE                         - profumo dei tartufi sulle costolette...

CRISTOFORO              - , Ah, quanto a questo, levatelo dalla testa, lo qui, non sarò mai più in casa mia.

VIGNA                          - E invece questa è casa' tua. L'hai fabbricata tu. È tua. Sto per dire che è mia, guarda. E fremo all'ingiustizia! Ma animo, un poco d'energia. Oramai

ERMANNO                  - l'ha sposata e il pericolo di mandare al­l'aria questo matrimonio non c'è più. Ve­drai che, se si è rassegnato a restare tuo figlio,, si rassegnerà ad essere anche tuo genero.

CRISTOFORO              - Ma se mi tratta cosi comE’ pa­dre, figurati che cosa mi fa se divento suo suocero...

VIGNA                          - Un padre finto fa meno paura di un suocero vero.

CRISTOFORO              - Insomma... La verità no, no, no...

VIGNA                          - Ma perché?

CRISTOFORO              - Perché non ho nessuna ragione per rinnegare i miei figli. Toccava a loro sei mesi fa di rinnegarmi, se volevano. Hanno avuto pietà di me...

VIGNA                          - Bella pietà... Hanno voluto evitare lo scandalo. A maggior ragione io dico the hai in pugno la situazione. Tu sci il pa­triarca più potente che si sia mai Visto. Fatti crescere la barba.

CRISTOFORO              - No, no e no... Lasciami stare. Va bene così...

VIGNA                          - Se fossi in te, io... Adesso? Li farci girare TUTTI su un quattrino... Be', come vuoi. Però io credo che lei, almeno, lei, lo sospetti...

CRISTOFORO              - Nemmeno per sogno. Ti dico che sono 'gelido...' Neanche una carezza, nemmeno un bacio...

VIGNA                          - E dalli. Tu insisti su dei particolarida dilettante... Il fatto è che quel giorno,almeno a quanto mì hai dettò. Ermannoespresse chiaramente i suoi sospetti.... E il sospetto, una volta entrato, esce dìfrfctmente dalia testa di una donna...

CRISTOFORO              - No, no... Non è possibile... Le ho anche dimostrato che venticinque acini fa andai in Germania e ci rimasi non so quanti anni...

VIGNA                          - Sei uri pazzo imbroglione. Io devo ancora capire perché hai confessato ai figli se poi non volevi...

CRISTOFORO              - Ma vuoi tacere? Ho confessato perché non ne potevo più... É stato un momento cosi... Capirai... Con quel col­po... Ho perduto l'equilibrio... Ecco tut-. to... E poi corrie avrei potuto continuare... sotto i suoi occhi...

VIGNA                          - Dal momento che non & tua figlia...

CRISTOFORO              - Ma i suoi occhi... I suoi occhi-Sai che «ej cretino?

VIGNA                          - Si? La cosa ha un mediocre interes­se... Però adesso che sci un galantuomo, ì tuoi occhi...

CRISTOFORO              - Chi te l'ha detto che sono un galantuomo?...

VIGNA                          - A me fai quest'effetto, un po' triste...

CRISTOFORO              - Niente affatto, Galantuomini non sì diventa... agli occhi di coloro che ci amano. Perché... Non so dire per­ché... Forse perché coloro che ci amano ciperdonano, ecco... Non lo so... Ma la ve­rità no, no... Ma non vedi come è beila, pura, gentile?... E io?..'. Io?... Eccomi qua...

VIGNA                          - Meglio qui che in galera...

CRISTOFORO              - Chi lo sa?... In galera forse avrei avuto la disperazione che ci vuole per buttare

TUTTI                            - i miei stracci all'aria e mostrarmi come sono... a lei e a tutti... Ma poi i inutile parlare con te... Guarda... Ora s'è spento il fuoco... Bella figura che facciamo... Aiutami a riattizzarlo... Sof­fia... (Si mettono carponi davanti al fuoco) Soffia! Piano, accidenti, mi getti la cene­re negli occhi, Soffia!... (Si mettono TUTTI e dm a taf fare).

GIANNINA                  - (enim ridendo) Ah, ah... Sem­brate due selvaggi delia Papuasia.

CRISTOFORO              - Ho paura che lo siamo, un poco...

VIGNA                          - S'era sperato

GIANNINA                  - Lasciate fare me... (Riaffitta il fuoco che risplende di nuovo con soddisfazione di tutti).

TUTTI                            - (al vedere che la fiamma risplendé) Oh...

GIANNINA                  - E adesso «arartene che incomin­ciate a rassegnarvi all'idea di andarvene...

CRISTOFORO              - Come? Col presi»? Ma scom­metto che il secondo atto non è ancora fi­nito. C'è tempo. Tu, animale, telefona al teatro dell'opera e domanda a che punto siamo,

VIGNA                          - Che opera è? (Ma non fi tampone).

CRISTOFORO              - Be', lo faccio io. (Sì muove per andare al telefono ma i arrestato da un cenno, di Giannina),

GIANNINA                  - (andando alla finestra) Zitti... Ma come? Possibile? Son qui di nuovo TUTTI e tre...

CRISTOFORO              - Vieni via, vieni via...

VIGNA                          - (si alea a malincuore) E. andiamo pure...

GIANNINA                  - No, non arrivate in tempo. Li incontrereste per le scale... Andate m cu­cina...

CRISTOFORO              - - Ma, Giannina, dalla cucina non potremo muoverei fino a domani.

GIANNINA                  - Ma se ne andranno, no? Verri io a liberarvi al momento opportuno.

CRISTOFORO              - Oh, come mi dispiace... Gian­nina...

GIANNINA                  - Niente, niente... Dopo tutto-Ma non perdete tempo- Chiudetevi in cucina—

VIGNA                          - Signóra... Qualunque cosa accada, io sono a sua disposizione. Ella può con­tare su dì me... (Ree trascinato da CRISTOFORO),

GIANNINA                  - (rimessa in ordine la stanza si ri­mette a sedere accanto al fuoco),

ERMANNO                  - (entrando) Sei ancora alzata? Ma non volevi andare a letto presto? Be­rte, meglio cosi., (All'interno) Avanti, avanti... (Accende le lai»pade) Entrate. (ventura e SALVATORE entrano) Qui sì sta meglio. Che scrutacela con questo vento

VENTURA                    - Ci scuserà la signora, non è vero?

GIANNINA                  - Un piacere anni... L'opera non. vi divertiva?

SALVATORE               - Non ci .siamo andati.

EnHttfxo - Siamo stati sedotti, strada facen­do, da un cinematografo.

VENTURA                    - Anzi da un titolo.

GIANNINA                  - Che titolo era?

ttMANxo - « Un pò" di fuoco per un povero cane».

GIANNINA                  - Strano,

EnuAfsjo» - Ma che scemenza! Quando gli americani ci si mettono a mettere insieme delle banalità, non lì batte nessuno. Vole­te bere qualche cosa? Penso io... (Va a prendere bottiglie e bicchieri).

GIANNINA                  - Insomma, avete dovuto lasciare il campo.

SALVATORE               - Per fona. Come si fa a sop­portare la «olita storia del padre che ri­trova la figlia perduta, dopo venticinque anni ?

VENTURA                    - SÌ... Il vecchio disperato che ritro­va la figlia principessa.

SALVATORE               - Bella fantasia I

VENTURA                    - Però era commovente qua e là... Ma ERMANNO ha voluto uscire a TUTTI i costi.

ERMANNO                  - Ma si... Non sono temi che mi divertano.

VENTURA                    - Perché? Che c'entra il tema?

ERMANNO                  - Dovrei dirlo propria a te che sei stato quasi mio fratello?

VENTURA                    - Ma questo non ha a che vedere... Cioè si... a che vedere... TV, non si pensa mai a se stesso quando si va al cinema­tografo. Ma è diverso il nostro caso, cioè il vostro caso... Be'... insomma oso portia­mone più.

SALVATORE               - Brava Consolari die l'hai «cam­pata bella e basta.

VENTURA                    - Pachi poi?

ERMANNO                  - Perché tu almeno potrai dire dì avere avuto un nome solo, che noi...

VENTURA                    -  Non ha alcuna importanza...

ERMANNO                  - Non ne ha? Moltissima invece. Il nome significa qualche cosa. Dai modo come ce lo appioppano a noi altri, pare non debba essere che una segnalazione, un numero. Ma poi, bastano due settimane di vita perché diventi qualche cosa... Lo credi che al pensiero dì non poter piò chiamarmi Falchi come una volta mi vie­ne la malinconia?

SALVATORE               - E io penso al povero Bastclli che ero, come a un caro scomparso.

VENTURA                    - Ah, cosi la intendete? Io no. Io vi confesso che sono ancora qui a moder-taì le dita. Non ero mai stato cosi disgra­ziato. Bastava che il marchese aspettasse cinque minuti a fare quel voltafaccia per­ché anch'io fossi dei vostri.

ERMANNO                  - Non hai che chiederlo... Per me, sarei felicissimo.

SALVATORE               - Anch'io... Più si è, meglio è.

VENTURA                    - Eh, chi lo sa? E forse per quan­to mi riguarda la cosa non sarebbe tanto assurda, perché mi disse delle cose... (Commovendosi) delle cose...

ERMANNO                  - Su, su, coraggio. Bevi.

SALVATORE               - . Guarda un po'... come si è di­versi a questo mondo! lo darei qualche cosa per non avere mai incontrato quel...

ERMANNO                  - Anch'io. (Guarda Giannina).

GIANNINA                  - Oh, Ermanno, bastai Sapete che questi discorsi mi dispiacciono.

ERMANNO                  - E perché? Dopo tutto siamo qui in famiglia. Non è mica nostra colpa se siamo stati gabbati. E poi ridere delle no­stre manchevolezze è un po' liberarsi dal ridicolo almeno per noi stessi.

GIANNINA                  - Ma non c'è cariti. Basta!

ERMANNO                  - Ma che hai? Sei molto nervosa...

GIANNINA                  - Ma si. Intanto dimenticate che tutto ciò che è accaduto non è stato pre> diamente la vostra rovina.

ERMANNO                  - Grazie a VENTURA... Se non c'era questo uomo, questo cuore d'oro...

VENTURA                    - (commosso) Net, Ermanno, non mi dire niente...

GIANNINA                  - Ma non avreste mai incontrato VENTURA se non ci fosse stato quel caso. E poi non avete carità nemmeno per voi stessi. Se tanto vi pesa portare il nome di quell'uomo, perché non avete rinunciato a tutto coraggioiamrme?

ERMANNO                  - Ma. caia, che hai? Noto che quando si parb di queste cose tu insorgi a difendere quell'uomo...

GIANNINA                  - io ora difendo quell'uomo... lo difendo meri. Anche voi.

ERMANNO                  - Le iole parole vivaci che abbiamo avuto io questi sei mesi dì matrimonio «ooo sempre nate da questo solo argo­mento...

GIANNINA                  - iE allora si potrebbe anche evi-larlu» ttof

VENTURA                    - Via, via, non vi bisticciate. La si­gnora Giannina ha ragione,

SALVATORE               - Ma bisogna che pensi che sia­mo stati nani molto offesi da quel signo­re... Anche tu. VENTURA...

VENTURA                    - Oh, io... Lasciamo andare. E’ una cosa atta quale bisognerà arrivare in fondo...

SALVATORE               - Ma un poco ancora e quello diventava padre di tutto l'universo...

GIANNINA                  - Ma si, ora si, avete ragione da vendere. Ma non dovete abusarne, ecco quello che dico io. Un uomo rovinato, senza risorse, vecchio, solo, può fare cose anche peggiori di quella di adottare dei figli al solo scopo di farsi mantenere... Non esageriamo.

SALVATORE               -  Le donne giudicano col cuore.

GIANNINA                  - E voi con che cosa giudicate? Colla testa, credete? Ma nemmeno per so­gno! Se fosse per il vostro modo di pen­sare a quest'ora avreste la soddisfazione di chiamarvi ancora come prima e di ca­pere che quel vecchio sta in prigione a scontar la sua pena e

TUTTI                            - allegri... Che allegria!

ERMANNO                  - Come sarebbe a dire? Spiegati, Giannina, tu fai discorsi che sunno sem­pre sul filo del rasoio... Riesci a non of­fenderci, ma manca un velo...

GIANNINA                  - Ma no, Ermanno... La verità di­ciamola... Affrontiamo in famìglia le no­stre manchevolezze, come dici tu. Ma che voi vi sentiate irritati soltanto d'essere sta­ti presi nella trappola del vostro interesse, è certo. Avete voluto evitare lo scandalo. Avete fatto benissimo. Avete temuto il ri­dicolo. Benissimo. Avete considerato anche la possibilità che i Vostri affari potes­sero riceverne un grave colpo. Tutto giu­sto, tutto giusto. Ma ir fatto è che avete dovuto subire il nome che avete e limitar­vi a condannare il marchese agli arresti in casa per salvare le apparenze con la gente. Ma allora, non fate le cose a metà e se dovete subire subite del tutto, con un poco di cuore, e perdonate. E’ il solo mo­do che vi resta per risolvere dignitosa­mente la questione. È il solo modo di ri­dare al vostro nome quella dignità che avete il cattivo, il pessimo gusto di cal­pestare in famiglia. Per conto mio vi di­chiaro che sono orgogliosa di portare il nome dei Lucerà. Perché, comunque, t il nome del mio legìttimo marito... E avrò dei figli, spero, per i quali, comunque, avrà un significato, (Collera e commozio­ne coloriscono queste ultime ferole che cadono nel silenzio di una lunga pausa).

ERMANNO                  - Giannina, scusami. Hai ragione. Meglio pensare all'avvenire... e dimenti­care tutto ciò che di falso, di bugiardo, di fittizio ha pervaso la nostra vita da tut­te le parti... SI, potremo anche perdona­re... Vero?

VENTURA                    - Ma sicuro... Oramai...

SALVATORE               - Soltanto, dimmi tu come potre­mo vedercelo intorno ogni momento. Per­ché perdonare vuol dire riaprirgli le brac­cia, la casa.

ERMANNO                  - Devi pensare che dovrai subirlo tu, soprattutto, che stai sempre in casa. Ti sentiresti di avere continuamente a che fare con un uomo che... non sai nemmeno chi sia alla fine?...

SALVATORE               - Già... È questo. Quest'uomo chi è?

GIANNINA                  - È un uomo che avrebbe potuto continuare ad ingannarvi e non l'ha fatto.

VENTURA                    - Ma, è questo che non ho mai ca­pito!

GIANNINA                  - Oh, si capisce benissimo. Perché in mezzo a TUTTI i suoi pasticci evidente­mente ha trovato qualche cosa di vero che gli ha impedito di andare avanti...

ERMANNO                  - Che cosa, per esempio?

GIANNINA                  - Ma, non so. Un sentimento... Un istinto... È la famiglia stessa, forse, che ha lavorato nel suo cuore...

ERMANNO                  - Bella famigliai

GIANNINA                  - Oh, Ermanno, non dirlo. La sentite così profondamente che voi tre non sapete più separarvi non ostante cono­sciate il segreto del trucco. È un istinto che non si sopprime. Voi desideravate una famiglia, non l'avevate, l'avete tro­vata e vi ci siete attaccati. Vogliate o no, quell'uomo, coll'inganno e, diciamolo pu­re, anche l'amore, una famiglia l'ha costi­tuita, e una volta e comunque costituita, la famìglia non si sopprime più. Diventa una fatalità, che pensa da sé a giustificarsi e purificarsi. (Pausa) Ma adesso basta, so­no stanca. (4 Ermanno) E tu ricordati che devi partire domattina.

VENTURA                    - (alzandoti) Signora Giannina... Devo dirle che sono del suo parere. Perfettamente del suo parere. Io non avrei saputo dire queste cose che confusamentesentiva... Ma esattamente è cóme dice tei. Noi tre, noi quattro se permette... Siamo un poto come fratelli ili latte... Scusi la bazzecola...

SALVATORE               - Una fantasia di più...

VENTURA                    - Questa sera vada a letto più leg­gero e (commosso) più contento... Buona notte... (Ride).

SALVATORE               -A domani, Giannina.

GIANNINA                  - Buona notte (ERMANNO che rimano solo in scena con lei) E noi andiamo a dormire….

ERMANNO                  - Giannina... Sei un grande avvo­cato...

GIANNINA                  - Non ricomincerai col dire che ho di leso ancora tuo padre...

ERMANNO                  - Mio padre... Be'... No, non dico questo... Dico che sei un grande avvocato. Le. osservazioni che hai fatto sono giuste. Tutto è giusto... Ma io dico che, per pen­sarle, ci voleva...

GIANNINA                  - Una donna.

ERMANNO                  - Ecco... Giannina... No... E pre­sto ancora per andare a dormire. Li ho lasciati anelare perché volevo restare solo con te... Voglio dirti una cosa... Non vo­glio più che discutiamo su questo argo­mento. In fondo, ini hai persuaso... Ora vado a chiamare di qua il marchese... vo­glio dire papà... (Cari iforso) papà... e chiuderemo questa parentesi triste e ridicola... Hai ragione tu... Avremo dei figli... aspetta...

GIANNINA                  - (turbata) Ora? No, non ora...Lascia andare, Ermanno... Ti prego. Sono molto nervósa...

ERMANNO                  - Itene, ti «limerai... Che c'entra? Alla fine non è che tuo suocero, non è vero?... E allora...

GIANNINA                  - (trattenendolo ancora) . 'No, no. te ne prego.- Ora sarà a letto...

ERMANNO                  - A letto? (Rìde) Impossibile, Ha profittato della situazione meglio che ha potuto. So tutto, io. So anche che riceve

TUTTI                            - « giorni Vigna...

GIANNINA                  - Che male fa, se riceve Vigna?...

ERMANNO                  - Prego, prego... Vedi come sei vi­vace?... Io non lo accusavo... Anzi... Do­po tutto... Be', aspetta...

GIANNINA                  - Senti, Ermanno... Devo dirti una cosa...

ERMANNO                  - No, non dirmi nulla... Vedrai che ho capito... (Esce in fretta).

GIANNINA                  - Dio mio... Come fate adesso? (Guarda verso la emina, fa per eoirem verso quella dirttsiont ma II minore della pernii che si apre in fa rtuocedefe e atten­dere),

ERMANNO                  - (rientrando) Ecco. Ora viene su­bito...

GIANNINA                  - Chi?

ERMANNO                  - Chi? Ma che hai? Sono andato a chiamare papà. Ha detto che viene subito. Non sono entrato nella sua camera, perche ho avuto l'impressione che ci fosse qualcuno. Scommetto che era VIGNA Me l'ero immaginato...

GIANNINA                  - E... ha detto che viene?

ERMANNO                  - Sì. Perché non dovrebbe? Ec­colo qua...

CRISTOFORO              - (entra infatti guardinga) Buona sera. Volete me?

ERMANNO                  - Sì, fammi il favore, entra... (GtisroFOao entra,. Fa l'occhietto a suo figlia).

CRISTOFORO              - Devo chiudere la porta?...

ERMANNO                  - Si, dobbiamo parlare... Ci penso io... Entra... (ERMANNO si allontana un mo­mento per chiudere la porta. CRISTOFORO ha il tempu per informare sua figlia).

CRISTOFORO              - Siamo scappati per la condut­tura dell'acqua piovana... Se ne sono ac­corti?

ERMANNO                  - Papi... Ascoltami, Non ti mcra-vìjr|iar« se ti chiamo papà. Posso farlo per­ché c'è un sewimento nel mio cuore che me lo consente stra.,i che in questa pa­rola ci sia frode, né da parte tua, né da parte mia... E in fondo sono i sentimenti i soli che contano... Ecco, volevo dirti che noi dimentichiamo, tutto quello die è sta­to è stato... Tu ritornerai a far parte della nostra famiglia...

CRISTOFORO              - Davvero? Potete dunque di­menticare quello che Ito fatto... Anche Salvatore, anche VENTURA?...

ERMANNO                  - Fortunatamente ci sono stati dei miracoli per i quali ogni male «s'è risolto in un bene... fi un caso raro...

CRISTOFORO              - Qualchcdun» ha pregato dav­vero...

ERMANNO                  - E adesso abbracciami.

CRISTOFORO              - (con entusiasmo) Oh... (Si ab­bracciano) Grazie... È un gran bene che mi fai...

ERMANNO                  - E adesso ti prego di abbracciare anche tua nuora...

CRISTOFORO              - Oh... non posso esigere tanto... No... No... Sarò contento, Giannina, se mi permetterai, di baciarti una mano... Sci sta­ta buona con me—

GIANNINA                  - Ecco la mano... (Olì tende la numi)),

ERMANNO                  - No., No... Non facciamo ceri­monie da salotto... Qui siamo nella nostra casa... Una pace fra noi non si conclude senza un abbraccio...

CRISTOFORO              - Ma...

GIANNINA                  - Ti faccio paura?...

CRISTOFORO              - No... Mi è venuto in mente che devo telefonare all'ospedale...

ERMANNO                  - Perché?CutóToKmo C'è di li VIGNA che s'è fatto male... E’ caduto da tre metri. Sai, facevamo della ginnastica... Io sono allenato gra­zie a Salvatore... Ma lui...

ERMANNO                  - Faccio, faccio io... (Va al telefo­no: mentre calta le spalle per telefonare dire) Suocero... Fate il vostro dovere... (CRISTOFORO e GIANNINA si gettano l'uno nelle braccia dell'altra senza parole. L'ab­braccio dura lungamente),

TELA