I figli

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I FIGLI

Commedia in tre atti

di RENATA MUGHINI

PERSONAGGI

I "RAGAZZI":

ROBERTO INDANI(Robbi)

ELISABETTA DEZZA

LANTELME (Titti)

CARLA ARCANGELI

LOUISINE BIOTTA

GIU­LIO BALBI

ENZO ed ERNESTO LAGHI

I GENITORI DI ROBBI:

MARIA INDANI - Pro­fessor PAOLO INDANI

LA MAMMA della TITTI:

donna ALBERTA DEZZA

Due Alpini ex combattenti - Un Giova­notto 

Il Controllore - Viaggiatori - La Cameriera

Il primo e il secondo atto in uno stesso giorno dell'Anno XIII ; il terzo atto nell'Anno XIV. A Milano o in qualsiasi città italiana prossima a campi di neve

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(Lo scompartimento di un vagone di terza classe, vuoto. Nel fondo il finestrino, da cui si scorgono i cartelloni-reclame della stazione. Ai lati le due porte mobili del vagone. Colpi carat­teristici sulle ruote del treno. Tramestìo. Rumore di sportelli. Vociare. Richiami. Sibilo delle val­vole di scappamento della locomotiva. In per­fetto sincronismo con la velocità risultante dal rumore delle ruote, rumore che soverchierà le voci soltanto al passaggio sotto le gallerie e, naturalmente, eccetto che nelle fermate, passe­ranno dinanzi al finestrino pali telegrafici. I macchinisti avranno cura di abbassarne o alzar­ne i fili per dare, come nella realtà, la sensazione dei dislivelli del terreno. Questo fino al passaggio sotto la seconda galleria dalla quale il treno uscirà nella notte stellata. Qualche fondale mo­bile nell'immediata vicinanza delle stazioni ed ogni altro elemento veristico che potesse affac­ciarsi nella attuazione della scena. E' l'ora del tramonto).

Scena I.

Il Controllore - Titti, poi Robbi - Giulio - Carla - Louisine - Ernesto ed Enzo Laghi.

(I «Ragazzi » tutti in costume da ski).

Il Controllore                - (attraversa frettolosamente la scena).

Titti                               - (vent’anni. Parrebbe un ragazzo adole­scente se, ad onta dei suoi atteggiamenti, non trasparisse dai gesti delle mani e da un leggero vezzo di abbandonare di quando in quando la testa, una soavità femminile. In questi fugacis­simi atteggiamenti di grazia, è tutta una luce di tenerezza spontanea, gioiosa e pur contenuta e raccolta in una volontà sempre lucida, ma­schile. Affannata, entra con gli ski, a ruota col controllore. Visto lo scompartimento vuoto, tor­na sui suoi passi. Evidentemente i compagni non l'hanno seguita su quel vagone. Rientra a precipizio, va al finestrino chiamando a gran voce).

Titti                               - Robbi! Luisaaaaaaaa! Qui... Qui... Presto, è vuoto...

Robbi                            - (ventidue anni. Abbronzato, esube­rante, bellissimo. E' in lui una rude volontà di dominio. Ha l'aspetto generoso dei forti. Entra anch'esso, nel vagone, con gli ski).

Gli altri « Ragazzi »      - (dall’esterno, passano pel finestrino gli ski che Titti e Robbi rice­vono. Poi, di furia, urtandosi, entrano nel va­gone. A soggetto sistemazione degli ski, dei sacchi da montagna, degli indumenti e assestamento nel vagone. Si capisce che han corso ventre a terra per arrivare a tempo).

Robbi                            - (sedendo) Auffa! A momenti perde­vamo anche questo!

(Lentamente, mentre i « Ragazzi » prendono possesso del vagone, tra lo sferragliare delle ruote, il treno incomincia a muoversi. Lo scenario dei cartelloni-reclame scompare con la stessa lentezza).

Louisine                        - (meno di vent'anni. Un vero ma­schiaccio. Anche quando sta ferma, si vede che non sta nella pelle. Guardandosi alla cintura dove è infilato un solo guanto, ha uno scatto. Fa alzare quelli che son già seduti, poi si preci­pita al finestrino. Cerca con gli occhi. Gridando) Oh, il mio guanto... lì... lì: vicino alla pompa...

Titti ed Enzo                 - (alle sue spalle, seguono l'a­zione di ricupero).

Gli altri                          - (chi cava le sigarette, chi ride, chi va a dare un'occhiata nello scompartimento vicino).

Lousine, Titti, Enzo      - (si ritirano dal fine­strino. Qualcuno da fuori è riuscito a gettare il guanto nello scompartimento. Dei « Ragazzi », chi riesce, l'afferra).

Louisine                        - (s'impossessa del guanto e lo agita fuori dal finestrino, allegramente) Grazie... grazie...

Enzo                              - (dodici, quindici anni. Ripetendo le parole di una nota poesia scolastica. Declamatorio) « Fu visto un guanto trasvolar dal palco »...

Louisine                        - (nel riprendere posto, dà una gomi­tata a Giulio).

Giulio                            - Ahi!

Louisine                        - Eh, scusa! Il mio guanto nuovo… mi seccava!

Giulio                            - Perché? L'altro era vecchio?

(Ridono. Nota: Nelle battute di aspetto e nelle brevi pause dell'azione tutti, a soggetto, dovran­no, pur con la vivacità degli anni, conservare quell'aspetto vago di immobilità e di compo­stezza che si assume, automaticamente, in treno. Saranno attratti dalla visione del paesaggio e il finestrino rimarrà un punto d'orientamento in­cosciente).

Carla                             - (coetanea alla Titti. Bionda, grassoccia, gattina. Evidentemente, molto coccolata. Parla con l'erre. Si alza per cercare qualcosa nel sacco da montagna. Quando fa per risedersi, s'accorge che s'era seduta sopra un paio d'occhiali da sole. Non può trattenere una risata) Guarda, guar­da... di chi sono?

(Si ride, ma nessuno mostra di esserne il pro­prietario).

Robbi                            - Andiamo... Hai il callo? Non sentivi un corpo estraneo?

Carla                             - (guarda gli occhiali con meraviglia e confusione) Macché corpo estraneo! Sono i miei!... (Si regge male su di un piede).

Ernesto                          - (biondo, baffettini. Epicureo. Fra le risa di tutti) La Carla ci è nata, con gli oc­chiali...

Carla                             - (stizzita) Che spirito!

Louisine                        - (preoccupata) Chissà cosa dice mio papà, se è venuto in stazione all'altro treno!?

Giulio                            - (coetaneo a Robbi. Magrissimo. Lo di­resti stretto dalla gabbia dei suoi stessi nervi. Chiuso. Metallico) Glielo conti che c'è stata battaglia, sul campo!

Carla                             - (scattando e con sussiego) Be'? L'a­vete con me? Uno può anche non essere sempre in forma, no? Del resto, non era una competi­zione ufficiale... E poi son partita che non mi sentivo bene... (scoppia in pianto).

Tutti                              - (attorno a Carla. La vezzeggiano scher­zosamente per consolarla).

Titti                               - Su, Carla! Io è la prima volta che arrivo a un buon posto, tu sei campionessa!

Carla                             - (asciugandosi gli occhi) No... è... è... Robbi che m'ha demoralizzata in partenza. Fa sempre così... Sono arrivata ultima, mi son mezzo slogata una caviglia... E' una crudeltà! Abbiam perso il treno per litigare, e ancora la fate lunga!...

Robbi                            - Contalo a mammà! (Cerca nel sacco, ne trae una fiaschetta che porge a Carla) Bevi, va' là...

Carla                             - (cupa) No...

Robbi                            - (autoritario) No? Be', con noi, non ci vieni più.

Enzo                              - (alla Titti) Guarda... (Visto che non si interessa la Titti, invita Louisine a guardare fuori qualche cosa che lo ha colpito, a soggetto).

Carla                             - (prende finalmente la fiaschetta. Alla Titti) Alla tua salute! (Le due ragazze si ab­bracciano. Carla beve e porge la fiaschetta alla Titti, che beve a sua volta).

(Il treno entra rombando in una galleria. Lo scompartimento rimane al buio. Rumore assor­dante delle ruote. Pausa).

Ernesto                          - (gridando) Ehi! Ehi! (Strilli delle ragazze. Escono dalla galleria. Luce. Due uomini vengono a vedere che cosa succede).

Ernesto                          - (asciugandosi i capelli) Chi è che m'ha rovesciato l'anisetta in testa?

Titti                               - Ho perduto l'equilibrio... Ne sarà sal­tata via qualche goccia.

Il Controllore                - (entrando) Favoriscano bi­glietti... Signori, biglietti...

(Operazione rapida di controllo, intanto che la fiaschetta passa di mano in mano. Aprono il finestrino. Il convoglio rallenta. Si ode, da un paese, salire un suono di banda: l’Inno a Roma di Puccini).

Luisa ed Enzo               - (guardando fuori e seguendo le ultime note dell’Inno) « ...maggior di Roma ...maggior di Roma »...

Tutti i « Ragazzi »        - (guardano fuori, pensie­rosi, nella sera che scende con rapidità).

Titti                               - (si volta verso i compagni, sedendo sulla tavoletta che ha fissato lestamente al sostegno, intonando il canto con gravità e con giocondità, al tempo stesso) « Sole che sorgi libero e gio­condo, - sui colli nostri i tuoi cavalli doma... ».

Tutti                              - (con naturalezza, attaccano a cantare) « ... tu non vedrai nessuna cosa al mondo - maggior di Roma... »- (ripetendo, affascinati, le ultime parole dell'Inno).

Ernesto                          - (starnuta forte. Riprende subito a cantare)

(Il treno si ferma in una stazione. Stesso tramestìo che alla partenza, ma assai più attenuato. Le azioni si svolgeranno con molta rapidità, es­sendo la fermata di pochi minuti).

I « Ragazzi »                 - (smettono di cantare).

Titti                               - (si affaccia per leggere il nome della stazione) Dove siamo?

Tutti                              - (asserragliati al finestrino. Chiamando)

—Panini! Paniniiiii!

—Tu, dammi delle lirette spicciole...

—Qua!

—Aspetta!

—Levati...

Robbi                            - (voltandosi a Carla) Cosa vuoi?

Carla                             - Io cioccolato.

Robbi                            - (al venditore) Cioccolato, qua... e due aranciate. (Senza averla interpellata, porge una delle due aranciate alla Titti e getta il cioccolato a Carla che, zoppicando, s'è rimessa a sedere).

Louisine                        - (impaziente, alle spalle di Robbi) Anch'io, con le nocciole!

Enzo e Louisine            - (escono insieme dallo scom­partimento: non sono riusciti a farsi ascoltare dal venditore).

Carla                             - (massaggiandosi la caviglia e riprovan­do ad appoggiarvisi con il peso del corpo, se­guita da P interessamento affettuoso dei « Ra­gazzi ») E' terribile... (Trae dalla tasca dei cal­zoni U necessario per il trucco. Rinfresca la pro­pria toilette, poi mangia compostamente il suo cioccolato, ripetendo, fra un boccone e l’altro) E' terribile...

Alcuni Viaggiatori        - (entrano a cercar posto. Escono subito).

Tutti                              - (hanno gridato in una volta) Tutto preso!

Louisine                        - (rientra rosicchiando un grosso pezzo di mandorlato e canticchiando a bocca chiusa).

Ernesto                          - (a Louisine) E mio fratello, dov'è?

Louisine                        - (voltandosi) Ma?... Era qui...

Enzo                              - (rientra con un panino per mano. Ne porge uno alla Titti).

Carla                             - Chiudi, Robbi, ti prego, non fa mica caldo!

Robbi                            - (chiude).

(Segnale di partenza. Il treno si rimette in moto. Qualche momento di silenzio. Sugli animi incombe fugacemente la malinconia dell’ora).

Louisine                        - (stiracchiandosi e alzandosi, quasi a ribellarsi a quella malinconia) Io deambulo... (Alla Titti) Vieni? Hai visto che bella signora che c'è di là?

Titti                               - Io, no.

Louisine e Titti              - (escono e rientrano precipi­tosamente ridendo e guardandosi fra loro senza dir nulla).

Gli altri                          - (chi legge, chi sonnecchia, a sog­getto).

Robbi                            - (si alza a sua volta).

Ernesto                          - (s'aggiusta la cravatta e segue Robbi che s'avvia ad uscire dallo scompartimento).

Titti e Louisine              - (ridono).

Giulio                            - (s'alza per andare a vedere la signora, vinto dal contagio).

I tre « Ragazzi »           - (tornano e riprendono po­sto con aria delusa).

Ernesto                          - Son tutti uomini...

Titti                               - Naturale! Ora, noi, quando parliamo di un giovanotto, per tagliar corto alle code scandalistiche, diciamo che è una signora!

Robbi                            - (quasi severo) E qual è, se è lecito, la signora che v'ha fatto scomodare?

Titti                               - (seria) La signora vicino allo spor­tello, coi baffettini biondi!

Ernesto                          - (a Robbi, come ad invocarne il con­senso) Dove diavolo si caccia il gusto delle donne!

Robbi                            - (invece, addita Ernesto, caricaturale) Lui sì che li porta bene. Guardate come sono corruschi! E tu, Carla, non vai a vedere?

Carla                             - Io, no: certe cose, una ragazza, non sta bene.

Louisine                        - Oh, Dio, contessa... Di' che ti fa male il piede!...

Titti                               - (divertita) La sai anche tu?

Louisine                        - Cosa?

Titti                               - (si avvicina a Louisine e le parla per qualche momento all'orecchio).

Louisine                        - (esplode in una risata).

Carla                             - (arricciando il naso) Potevate aspet­tare che me ne fossi andata...

Louisine                        - (sempre ridendo) Cosa capisci? E' una barzelletta che non si può dire forte da­vanti a tanta gente! (Ha un moto dal quale si può arguire che si riferisca al pubblico).

Titti                               - (riprendendo la battuta di Carla, ma ancora distratta dal pensiero comico) ...E, se­condo te, cos'è che sta bene a una ragazza?

Carla                             - (sufficiente) Prima di tutto, un po' di contegno, mi parrebbe...

Titti                               - (con tracotanza fanciullesca) Sai, tu che ci tieni tanto a seguir la moda, il tuo con­tegno non usa più. Non sei neanche snob!

Carla                             - A me hanno insegnato così.

Titti                               - (con forza, quasi con ira) A me non avranno mica insegnato a fare la svergognata, per esempio, ma a me, certi residui di ipocrisia mi dàn l'urto di nervi; perché tu hai più voglia di noi di guardarle le signore, e noi lo facciamo per ischerzo!

Carla                             - (salta su, pestando i piedi) Questo è troppo... troppo...

Giulio                            - Ti sfasci il piede! Sta brava!

Louisine                        - L'han diviso apposta in due il mondo, perché, altrimenti, sai, che barbe?!

Carla                             - (scandalizzata) Hai un modo di par­lare che se non sapessimo chi sei...

Louisine                        - Ma sì... non scocci, contessa, che poi i suoi concetti moraloni fanno il giro del nostro rispettabile parentado, e finisce che poi diventa un'impresa anche andare a skiare!

Titti                               - (a Carla) Tutte le volte che si vedono mia mamma con tua mamma, c'è sempre qual­che novità e, allora, a me perché, per esempio, anche la Carla negli abiti da ballo, non porta scollature davanti, mi tocca mostrar le scapole e...

Giulio                            - (serio) Anch'io, col décolleté dietro, sto così male...

Louisine                        - A me mi vengono fuori muscoli da tutte le parti. Mi son fatta fare una mantel­lina di chiffon. Quando mi osserva mia mam­ma, me la metto, perché lei dice che le faccio orrore; quando mi sbircia mio papà, fuori i bi­cipiti... (fa il gesto caratteristico dei lottatori che fanno i muscoli delle spalle).

Carla                             - (ha un piccolo gesto di regina tediata).

Scena II.

Gli stessi - Il Giovanotto dai baffetti.

Il Giovanotto                - (entra fumando e sbirciando le ragazze).

Louisine                        - (quasi ad alta voce, alla Titti) C'è la signora...

Carla                             - (s'aggiusta istintivamente i riccioli)

Titti                               - (scoppia in una risata in faccia al gio­vanotto).

Il Giovanotto                - (aggressivo) Be', ragazzino, che c'è da ridere?

Titti e gli altri                - (lo guardano sbalorditi).

Robbi                            - (al giovanotto) La contessina Dezza non può certamente aver riso di Lei, perché non ha il bene di conoscerLa.

Il Giovanotto                - (rivolgendosi mezzo alta Titti, mezzo a Robbi) Ma io... scusi... credevo che fosse un ragazzo. Diamine... Complimenti. Ri­verisco. (Se ne va).

Scena III.

Gli stessi, meno II Giovanotto.

Bobbi                            - (alla Titti) Sei proprio un salame!

Gli altri                          - (ridono) Questa è bella! Che fi­gura! Chi?

Titti                               - (riavendosi dalla confusione) Com­plimenti, cosa?

Louisine                        - Che abbia sentito che lo chia­mavamo signora e che si sia voluto vendicare?

Bobbi                            - Macché, era convinto! Non hai visto che faccia? Brava, Titti! Bel successo!

Titti                               - Tu taci, (rivolta agli altri) perché lui, a Cortina, l'anno scorso, un professore l'ha preso per una signorina, e giù scappellate...

Bobbi                            - Questa è una tua fissazione, e poi, se non altro, portava gli occhiali, ma questo...

Carla                             - lo sarei morta.

Enzo                              - Di che?

Titti                               - Ma di vergogna! Non si domanda! Di che cosa può morire una ragazza che non è un uomo? No... davvero, Carla, senza scherzi...

Louisine                        - ...non fare sempre la verecondona...

Titti                               - ... altrimenti ci rovini tutto e mandi all'aria la compagnia a metter le pulci nelle orecchie al parentado! Si spaventano subito; e poi bisogna lavorarli un mese intero, per ri­durli di nuovo! Mia mamma, ormai, non ci pensa più, per esempio, se uno spettacolo è o non è adatto per signorine ; e si va alle « prime » e mi lascia leggere tutti i libri senza aspettare le critiche dei giornali...

Louisine                        - Io, guai se non leggessero i gior­nali in casa mia! Sai, che effettone i ministri, i gerarchi che si spostano da un capo all'altro della penisola per presenziare delle competi­zioni sportive? Io gli faccio una statua, a Ricci! Sarei sempre cucita in casa a sentir la radio. Io, a teatro, ci vado per mio conto, se no, fra la preoccupazione delle manovre con la man­tellina e le salutazioni distinguide da fare ai conoscenti, non mi godo neanche lo spettacolo. Dico che vado in palestra...

Titti                               - Ho ragione io. Vedi? Bisogna lavo­rarli!... Be', dicevo di mia mamma... sai che se non sto attenta a non condurla a vedere qualche spettacolo romantico, è un guaio: al domani, è ritornata ai suoi tempi e va a cer­care le critiche di tutte le commedie che ab­biamo già viste; perché, siccome è molto reli­giosa, le vengono tutti gli scrupoli. E' inutile, bisogna sorvegliarli! Sorvegliare le loro letture, le loro amicizie...

Giulio                            - ... tenerli in un campo di concen­tramento... (Si appisola).

Carla                             - Questo è il « Mondo a Sovescio » del « Marc'Aurelio »!

Titti                               - Se si vuole andare d'accordo... per forza. Il dovere lo abbiamo di allontanargli...

Ernesto                          - Bell'italiano! Allontanare da chi?

Titti                               - Oh, mio Dio, voialtri di lettere, che barbe! Parlando si dice così... Di allontanare cosa? Sta sicuro che avevano capito tutti, e tu, con la tua grammatica, fai perdere il filo... sì... le ragioni d'inquietudine. Cosa facciamo di male, alla fine? Eppure dobbiamo muoverci come Car­bonari perché loro non riescono a capire che i nostri divertimenti son fatti di niente. I loro fantasmi sono così corpulenti, che, per tener­glieli lontani, devi sudare sette camicie!

Ernesto                          - (ha un moto di disapprovazione).

Titti                               - Cosa? Tu, no? In casa tua è tutt'olio?

Ernesto                          - Macché olio: la grammatica!

Titti                               - Ho belle e capito! Sei tu che li sevizi.

Ernesto                          - Senti, la letteratura non fa mo­rire, ma voialtri di Medicina... alla larga. Ap­pena t'ho detto che mia zia aveva l'appendi­cite, sei piombata a casa nostra come un corvo. A momenti, sveniva di sfiatamento per rispon­dere alle tue domande!

Giulio                            - (ad occhi socchiusi) Sissignore... Non si possono lasciare con la briglia sul collo! Ti prendono la mano per tornare indietro: loro, indietro, ci han lasciato la gioventù...

(Entrano con fragore in un'altra galleria. Fon­dale nero. Il rumore soverchia tutte le voci. Questa volta, la luce di notte ha funzionato. Pausa brevissima. Il treno sbuca nella notte stellata).

Enzo                              - (si va a sedere sulle ginocchia della Titti per farsi coccolare) Io, per mamma, vorrei la Titti!

Titti                               - (accarezzandolo) Oh, sarei più cat­tiva io della tua mamma...

Bobbi                            - La Carla sarebbe andata bene ai tempi della Monaca di Monza!

Carla                             - (ha una mossetta di dispetto).

Bobbi                            - Ora non ci son più drammoni: siamo tutti più concilianti. Io, di mio papà, non mi posso proprio lagnare. Capisce. (Fa un gesto come a dire: « Quello è un uomo!... »).

Louisine                        - Vorrei farti sentire dietro un uscio la conciliazione di mio papà soltanto se tardo dieci minuti al pranzo!

Robbi                            - Va bene, ma è roba passeggera. Vuoi mettere? Prima erano sempre cuciti. Hai vo­ glia Per andare in villeggiatura, stavan dei mesi in diligenza, coi canarini, col gatto, col cantero... E le nonne? In un viaggio lungo? Ora vanno in aeroplano col « pool-ower »!

Enzo                              - Eh, ero io a Taliedo che è arrivato un aeroplano pieno di nonne!...

Giulio                            - Sì: venivano dal campo di con­centramento per nonne.

Robbi                            - Pensa che fregata se Mussolini non fosse anche uno sportivo!

Titti                               - Io, se gli dovessi parlare...

Robbi                            - ... tartaglieresti, salame!

Titti                               - (accendendosi) Lo dici tu... Io posso parlargli quando voglio, se vuoi saperlo! (Chi crolla le spalle, chi sbotta: « Ma va', Bum, Come? » e simili espressioni rumorose di dubbio).

Titti                               - Basta che faccia qualcosa di grosso: mi iscrivo ai campionati internazionali di ski e li vinco, e Lui mi riceve; scopro il mezzo per guarire qualche morbo tremendo, e poi mi riceve.

Robbi                            - (allegro, sufficiente) Sei grande! Tutto facile! Si iscrive: vince. Cerca: trova...

Titti                               - Sentilo! E tu che vai raccontando con gran pompa e smargiassamenti che appena diventi ingegnere vinci subito un concorso e col premio che ti danno ci fai una casa alla tua mamma perché si novecentizzi?

Robbi                            - Prima di tutto l'ho detto a te, in con­fidenza, e poi, per questo, non ho la pretesa di scomodare il Duce!

Giulio                            - (soprappensiero) Io son sicuro che mi riceverà! Fammi prendere il brevetto di pilota...

Robbi                            - Be', cosa aspetti, di aver la gotta? Hai vent'anni, ohi!

Giulio                            - Finché non mi son laureato in terra, dice mio papà, « in cielo non ci vai ». Spera sempre di riuscire a incantarmi con la sua fabbrica. Cosa vuoi che ci faccia? Finché posso lo lascio sperare. Lui c'è attaccato perché c'è andato dentro bambino. Farò come vuol lui fino alla laurea e allora avrò sufficiente perizia e autorità per imporgli del personale in gamba che non mandi a balino tutto il suo lavoro e io... tela!

Louisine                        - E allora?...

Giulio                            - Niente... così!

Ernesto                          - Sembri il professor Cosmi che, ogni tanto, quando cambia tempo, si dimentica di concludere!

Titti                               - (a Giulio) Avanti, di'... Cosa, quando hai il brevetto di pilota?

Giulio                            - (secco, bisbetico) Niente!

Tutti                              - (ammutoliscono).

Giulio                            - (improvvisamente, non potendo re­sistere al bisogno di comunicare la sua idea agli amici) ... ma, non ditelo, altrimenti mi sca­lognate tutto: appena ho il brevetto di pilota vado a fare un volo su Pietroburgo, come D'An­nunzio ha fatto su Vienna.

Robbi                            - (con entusiasmo, battendosi il pugno sul ginocchio) Questa è un'idea! Sul serio?

Tutti                              - (interessatissimi a Giulio).

Giulio                            - Ho un amico a Grado che ha l'ap­parecchio suo e siamo già d'accordo. Ma l'ap­parecchio voglio pilotarlo io.

Carla                             - Quanti posti c'è?

Giulio                            - Eh, due!

Titti                               - (seria, come fosse cosa pacifica che tutti i « Ragazzi » della brigata debbano dislo­carsi sempre insieme) Tutti non ci stiamo!

Ernesto                          - Invece di uno, si può andare in tre o in quattro apparecchi. Non c'è gusto a rifare le cose come le han fatte gli altri, tale e quale! Io farò il servizio giornalistico.

Enzo                              - Io il pilota!

Carla                             - Anch'io! Mi compro un aeroplano Piccolino, bello...

Titti                               - Io vengo a rimettere insieme le teste che si scuciono.

Giulio                            - Che brava massaia che sei!

Titti                               - (senza badare a Giulio) Che gioia, allora ci riceve in blocco!

Louisine                        - Io farò la passeggera distin­guila

Robbi                            - (pensieroso, guarda l'orologio) Mia mamma sarà già sulle spine. Titti, tu vieni da me, no?

Titti                               - Sì, sì, poi da casa tua telefoniamo a mia mamma.

Robbi                            - Giulio, tu?...

Giulio                            - Io, bisogna che vada a casa.

Louisine                        - (a Giulio) Pensa che bello, tutta la batteria che vola!

Robbi                            - Peccato! Era bello finire la gior­nata insieme!

Titti                               - Ma, domani siete tutti da me, no? Io termino alla una. Dalla una in poi sono a casa.

Ernesto                          - (meditativo) Bisogna studiarla bene questa faccenda del volo! Ma, mosca, ehi, ragazze....

Giulio                            - (fa un gesto di approvazione).

Louisine                        - Le sapremo distinguere le idee serie da quelle balorde!

Robbi                            - Bravo Luisotto!

Enzo                              - A momenti ci siamo!

Carla                             - Già!

(Chi tira giù dal portabagagli il sacco da montagna, chi gli ski, le ragazze s'aggiustano).

Titti                               - (a Robbi accennando a un paio di ski) Me li dai, allora?

Robbi                            - (le alza un braccio come si fa per mi­surare la lunghezza degli ski) No, son lunghi per te, e poi, perché te li devo dare?

Titti                               - E tu tienteli! Però me li avevi pro­messi. E' vero, Carla?

Carla                             - Sicuro, sicuro! Uomo senza parola!

Titti                               - « Un mazzolin di fiori... ».

Robbi                            - (interrompe, intonando di prepotenza) « Sul cappello, sul cappello che noi por­ tiamo... ».

Louisine                        - (dà il tono al coro a pieni polmoni). I « Ragazzi » (attaccano con trasporto a can­tare).

Scena IV.

Due Alpini ex-combattenti - Gli stessi.

Due uomini                   - (entrano dallo scompartimento vicino. Si fermano. Uno dei due tentenna il capo in segno di disapprovazione. Poi, con natura­lezza, fa un gesto che interrompe il canto) Ma no, l'è nen parei, còntacc!

Robbi                            - (con la stessa naturalezza) Ma guarda un po'! L'abbiamo sempre cantata così...

Primo uomo                  - Volete insegnarcelo a noi che l'abbiamo inventato, còntacc? Lassù si cantava così: «Sul cappello che noi portiamo...».

I « Ragazzi »                 - (per compiacenza, lo seguono in coro, dapprima guardandosi e sorridendo. Poi il canto prorompe con entusiasmo, tanto che, senza accorgersene, i « Ragazzi » si sono stretti, cantando, ai due Alpini).

(Il treno rallenta. I « Ragazzi » si riscuotono: « Ci siamo », « Milano... », « Siamo arrivati », ecc. Imbracciano gli ski disponendosi a scendere. I « Ragazzi » e gli Alpini si salutano con spon­tanea fraternità, mentre cala la tela).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Lo stesso giorno del primo otto. Tinello bor­ghese, nell’abitazione del prof. Paolo Indani. Quadri, ritratti di famiglia e del Duce. Radio. Telefono. Mensole con libri. Fioretti e maschere attaccati a una parete. Pochi minuti dopo l’arrivo del treno che portava i « Ragazzi »).

Scena I.

Maria Indani - Paolo Indani, poi la Cameriera.

Maria Indani                 - (sulla quarantina. Bellezza stanca, appesantita dal grigiore della vita do­mestica piuttosto che dal peso degli anni. Ras­setta degli indumenti seduta presso una grande tavola su cui si trovano oggetti da cucito, una bottiglietta di ammoniaca, un vasetto di fiori. Con rancore contenuto) ...eh, va bene. An­diamo pure avanti così.

Prof. Indani                  - (cinquantina. Figura ancora vigorosa. Seduto in una poltrona presso la radio. Giornali sulle ginocchia. Riprende la lettura. Più addolorato che infastidito).

Maria Indani                 - (dopo una pausa. Incalzando, irritata pel silenzio del marito) Guarda, guarda che ora è! Van via all'alba e tornano che è notte. E mai, mai una volta che sia qui all'ora giusta. Bisogna star sempre in agita­zione, per tutto. E poi la roba che diventa fredda... uno spreco: il gas che va... Poi arriva fresco come una rosa, tutte le volte con una scusa nuova e non gli puoi dir niente che ha sempre ragione lui. Non sai se viene, se non viene... Metti, prepari, fai, sfatichi, che in una casa lo sappiamo solo noi cosa c'è da fare... per niente. E tu ti ci adatti! Ora sono i figli che comandano. Ma, già... con te è inutile parlare. Per te esiste tutto, meno casa tua. Neanche tuo figlio esiste. Per te non esistono che i figli degli altri, i problemi collettivi...

Prof. Indani                  - (con pazienza) Sai cosa? Te l'ho detto tante volte; per farsi meno cattivo sangue bisognerebbe ricordarsi come eravamo noi, da ragazzi...

Maria Indani                 - Io, da ragazza, non c'era pericolo...

Prof. Indani                  - Tu, intanto sei una donna...

Maria Indani                 - Andiamo!... E la Titti, anche lei, cos'è, che fa come l’altro?

Prof. Indani                  - (prima serio, poi canzonatorio, infine irascibile) Tutti, quando parlano di sè da ragazzi, non c'era pericolo... Tutti i giorni la stessa storia! Andrò a caffè a far venire l'ora di cena! Si capisce... Poi, vi lamentate.

Maria Indani                 - (amara, deponendo un abito che sta smacchiando) Naturale... La casa è diventata come l'Albergo Diurno, come la Casa del Viaggiatore: si stirano i calzoni, si levano le macchie, e poi, ripuliti, si tira via, al caffè, al tennis, a marciare, a cantare, a vivere, fuori, in piazza. C'è la calamita nelle piazze...

Prof. Indani                  - (esplodendo) ... c'è la vita nelle piazze, che scoppia da tutte le case dove c'è della gioventù! Oh, come non vuoi capire!

Maria Indani                 - (con rassegnazione irosa) E io devo scoppiare in casa! Sempre pronta, a tutte le ore, ad aspettare. Aspettare che? Che mio figlio venga a mangiare, e... basta, e che tu mi venga a parlare dei figli degli altri.

Prof. Indani                  - Hai finito?

La Cameriera                - (entra. Estrae da un tiretto della credenza tovaglia e tovaglioli. Alla si­gnora) Metto tavola?

Maria Indani                 - (presa dalle responsabilità do­mestiche, dimentica per un momento il suo cor­ruccio. Guarda l'ora. Solerte) Si, aspetta.... (Sbarazza la tavola dagli oggetti che la ingom­brano. Va ad aprire la finestra per far uscire l'odor di ammoniaca).

La Cameriera                - (mentre stende la tovaglia) Ci sarà anche la signorina Titti?

Maria Indani                 - (di nuovo con rancore) Ah, lo sai, tu? Nemmeno io. Ad ogni modo, metti giù il suo posto....

La Cameriera                - (apparecchia).

Maria Indani                 - (leva dal suo abito alcuni fili che le son rimasti attaccati dal cucire. Al ma­rito) Vedrai in che stato arrivano!....

Prof. Indani                  - (muove le leve della radio per cercare l'onda. Guarda l'orologio) Vediamo un po' cosa c'è di nuovo...

Maria Indani                 - (richiude la finestra. Esce. Torna subito dopo, rassettata per il pranzo).

Prof. Indani                  - (nella pausa, scuote il capo pen­sieroso, ascoltando la radio).

Maria Indani                 - (rientrando, sempre fissa nel suo pensiero) E poi c'è un'altra cosa, con la Titti. Van via soli con degli altri scatenati e sabato scorso han dormito in un rifugio alla rinfusa giovanotti e signorine. Gli altri, se la vedan come vogliono: Novecento... Ma loro, la Titti e lui, cuciti. E' una bella responsabilità, alla fine. Loro non sono innamorati, neanche per ombra: si picchiano, si insolentiscono ogni cinque minuti, ma uno è un maschio, l'altra una femmina, e se dovesse succedere qualche scioc­chezza, con che viso potrei guardare Alberta? Perché lui, sta pur sicuro che non la sposa.

Prof. Indani                  - Ma se son cresciuti insieme... Robbi lo portavi in casa dei Dezza quando c'era ancora il povero conte Dezza, che aveva ancora le sottanine? Cosa ti metti in mente?

Maria Indani                 - (che non può frenare una ri­sata) Cosa? Chi aveva le sottanine? (Sembra un poco rasserenata). Quando non puoi negare i fatti dici che mi metto in mente... Quasi quasi, guarda, preferirei che fosse innamorato della Titti, che si volessero bene, piuttosto che do­vermi accorgere ogni giorno, che non ci vuol più bene, che non vuol bene a nessuno. Io non so... Nessuno vuol più bene a nessuno (resta acca­sciata su di una sedia).

Prof. Indani                  - (le si avvicina. Con bontà. Ha chiusa la radio) Su, mamma, non ti far cat­tivo sangue... (Sempre a soggetto le sfumature dell'insofferenza maschile alle lamentele delle donne).

Maria Indani                 - Sì, sì, mamma... La piazza c'è! Musica, bandiere; e marciare, marciare... tutti eguali che non li conosci più neanche uno dall'altro. Settari poi... Ora, con le sanzioni (illumi­nandosi, con un fervore inspiegabile dato il tono dei suoi discorsi) che vede le acrobazie, che si fa per tener duro. (Ritorna al tono consueto) Hai sentito ieri sera?  Ti dice che lui i disfattismi non li tollera, che c'è ancora un po' di gente visio­naria che vede fantasmi apocalittici dappertutto, ma che loro spazzeranno via tutto, che riedifi­cheranno come va fatto, sa lui come.

Scena II

Robbi poi la Titti e gli stessi.

(Dall'anticamera, rumore di cristalleria che si infrange con molto rumore cadendo dall'alto).

Robbi                            - (dall'anticamera) Sei sempre lo stesso salame!... (Entrando, abbraccia in fretta la ma­dre) E' quella stupida della Titti (ai genitori che si precipitano per andare a vedere) che ha rotto il lampadario con gli ski.

Titti                               - (entra, confusa, tenendosi le due mani sulla schiena. Sta per scoppiare in lacrime) M'ha dato un pugno proprio sulla spina dorsale...

Prof. Indani                  - (a Robbi, severamente) Senti, ragazzo, che sia l'ultima volta che metti le mani addosso alla Titti.

Robbi                            - Ma è un salame, papà! Entra con gli ski come fosse sulle alte vette...

Titti                               - (senza badare a Robbi, alla signora Indani) Signora, mi scusi. La mamma le cer­cherà un lampadario uguale, ugualissimo. Abbia pazienza!

Maria Indani                 - Ma non pensare a questo... Ti fa male ancora? Siedi. Avrete appetito.

(Tutti siedono attorno alla tavola. Evidente la confidenza sorta dalla lunga consuetudine tra la famiglia Indani e la Titti).

Prof. Indani                  - (mentre la moglie e la Titti scam­biano queste battute, a Robbi) E che sia l'ul­tima volta che ti fai aspettare e che non dai conto di quello che hai in mente di fare.

Robbi                            - (rimane un attimo in silenzio, poi d'im­peto) Mamma, ho vinto la traversata e la Titti... (Voltandosi a lei) Pace?

Titti                               - (ancora corrucciata ma subito raddol­cita) Pace.

Robbi                            - (allegro, distraendosi) Mamma, vuoi sentirne una bella?

Magia Indani                - Cosa?

La Cameriera                - (nel frattempo serve la cena).

Robbi                            - (mangiando) La Titti l'han presa per un ragazzo!

Titti                               - E a te non t'han preso per una signo­rina?

Maria Indani                 - Per la differenza che c'è...

Robbi                            - (offeso) Mamma!

Prof. Indani                  - Titti, metti la cravatta nel brodo.

Robbi                            - Ah, ma dovresti vederla lassù, qui fa la spitinfia, quello che mangia, quello che beve, altro che signorina, un alpino sembra! (Suffi­ciente, con autorità) Ma quello che è, è: le ha lasciate tutte indietro, la Mimmi, la Bice, la Louisine, l'Arcangeli, sai, la Carla, quella che ha vinto il campionato l'inverno scorso. Una tra­versata, mamma, fantastica. Un sole, un sole! (Battendo la mano sulla spalla della Titti) Oggi son contento di te.

Titti                               - (con una piccola smorfia come a dire: « Che degnazione », poi con grazia) Allora facciamo il cambio?

Robbi                            - Neanche in sogno.

Prof. Indani                  - Che cambio?

Titti                               - Gli siti.

(Squilla il telefono).

La Cameriera                - (accorre. Parlando nel micro­fono) Sì, signora, casa Indani... subito, eccola. (Alla Titti) Signorina, la sua mamma.

Titti                               - Scusate. (All'apparecchio)... Sì, son qui. Sono arrivata adesso... (carezzevole) ma no, mammina, stavo per telefonarti... Sto benone... ho vinto io!... Non so, credo che m'accompagni

Robbi                            - (voltandosi a lui).

Robbi                            - Io me ne vado in letto dritto filato, cara mia! Domani mattina debbo alzarmi alle cinque...

Titti                               - (all'apparecchio) Se vuoi, vieni, ma non occorre, lo sai bene. Sì... va bene. (Rise­dendo a tavola) Mi viene a prendere (le è ca­duto il tovagliolo).

Robbi                            - (istintivamente, fa l'atto di raccoglierlo poi, quasi confuso, si distrae, si ricompone).

Titti                               - (non s'è accorta di nulla perché s'era già chinata, agilmente, a raccoglierlo).

La Cameriera                - (serve la pietanza).

(A soggetto battute dei commensali).

Robbi                            - (s'alza da tavola. Va adaprire la radio. L'atmosfera di incomprensione e di sospensione di poc'anzi è come spazzata via dalla ventata d'aria sana dei nevai. Alla Titti) Salame, ma sta attenta, metti la cravatta nel sugo!

Maria Indani                 - (al figlio) Perché, ogni volta che rivolgi la parola alla Titti, devi dirle salame?

Titti                               - Oh, signora

Maria                             - (alzando le spalle) quando s'è amici non conta...

Prof. Indani                  - Bella! Quando s'è amici ci si deve rispettare di più.

Maria Indani                 - (alla Titti) ... e farsi rispet­tare di più. Andiamo, oramai sei una ragazza da marito!

Titti                               - (arrossisce, confusa, guardando un po' tutti. Di scatto) Io?

Robbi                            - (divertito, burlesco, additandola agli altri) Va' com'è diventata rossa!

Titti                               - (riprendendosi) Oh, hai poco da far lo spiritoso, tu. Cosa credi che sia proprio un'oca? Io le cose le so.

Maria Indani e Prof. Indani    - (si guardano stu­piti).

Robbi                            - (provocante, guardando i genitori, alla Titti) Sentiamo, fuori, cos'è che sai?

Titti                               - (esultante per aver preso il sopravvento. Con ostentata generosità) Niente, ho scherzato per farti rabbia.

Robbi                            - (alzandosi in piedi, aggressivo, con Vin­dice teso verso la Titti) Nò, che non hai scher­zato. Lo vedi, mamma, che fa l'occhio storto di quando s'arrabbia. E ora parla.

Titti                               - (queste battute un po' spinte le pronun-zierà con un grande candore, come fossero ripe­tute non concepite) L'Arcangeli, non te la vo­levano rifilare, fin da l'anno scorso? Sua madre ci s'era messa con un impegno che faceva persin vergogna, tanto ti si strusciava addosso per cac­ciar l'articolo.

Robbi                            - (ridendo largamente) E tu credevi che la signora Arcangeli ci tenesse a darmi la figlia?  Santa ingenuità! ... batte insieme le mani).

Prof. Indani                  - (fa lo stesso gesto senza ridere, crollando la testa).

Makia Indani                - Vi paion discorsi da fare? Ma quello che mi meraviglia è di te, Titti, che parli... io non so...

Robbi                            - ... come un omaccio, còntacc! Guar­dala lì la signorina da marito! Ma va' là, a chi vuoi piacere, tu?

Titti                               - (tranquilla, ingenuamente) Ma io non voglio piacere a nessuno. Sto così bene così!

Maria Indani e Prof. Indani    - (s'alzano da ta­vola).

Prof. Indani                  - (fa una rapida carezza sul capo alla Titti. Va a sedere sulla sua poltrona).

Maria Indani                 - (aiuta a sparecchiare).

Titti                               - (s'alza ad aiutare anche lei).

Robbi                            - (alzandosi) Come mi fai ridere...

Titti                               - E tu non guardarmi!

Robbi                            - (lasciandosi cadere sul divano) lo son stanco come un cavallo.

Titti                               - Anch'io, morta.

La Cameriera                - (entra col caffè).

Titti                               - (va a sedere accanto a Robbi).

Scena III.

Donna Alberta Dezza-Lantelme e gli stessi.

Donna Alberta              - (vicino ai cinquanta. Occhia-lino. Gran signora. Un po' caricaturale. Entran­do) Buona sera, Maria. Buona sera, profes­sore!

{Saluti).

Titti                               - Ciao, mammina. Ho fatto una traver­gata stupenda, dal Passo del Pellegrino al Pian di Sevi. Robbi è arrivato primo, poi io Titti Dez­za-Lantelme, poi Ciulio Balbi... Rannuvolan­dosi) Sai... Mamma... poi, ho rotto la lampada in anticamera, di là.

Donna Alberta              - (crolla il capo, guardando Fornica, poi fissa severamente la figlia attraverso l’occhialino).

Maria Indani                 - Siedi, siedi, Alberta, poco male...

Prof. Indani                  - Se avessimo saputo che la Titti veniva qui e che lei rimaneva sola...

Donna Alberta              - Grazie, grazie, Indani. Chi Io sa mai cosa faranno, dove saranno questi « Ra­gazzi » da un'ora all'altra! Ma stavolta ero un po' più tranquilla perché sapevo che andavano in treno.

Titti                               - (stanca, assonnata) Adesso... adesso... Vedrai, mamma. Sa, signora Maria, che è già la seconda volta che do un thè, che ricevo i miei amici?

Robbi                            - (scoppia a ridere).

Donna Alberta              - (a Maria Indani) Beata te che non hai la casa grande. Si son chiusi nel salone, una ventina...

Robbi                            - (dà una gomitata di intesa alla Titti. Ridono sotto i baffi).

Donna Alberta              - Cosa facciano i ragazzi d'oggi giorno, quando stan soli fra di loro, non riesci a capirlo. Intanto, parlano un gergo che non li capisci, ma capisci che è meglio non capire...

Prof. Indani                  - Io che vivo da vent'anni in mezzo alla gioventù, ore ed ore insieme, a ve­derli pensare, a vederli incantarsi sui poeti che traducon male perché li amano troppo per ra­gionarci su, cosa volete che vi dica, io credo nella saggezza della gioventù.

Robbi                            - Verissimo! (Ha un sobbalzo che scuote la Titti mezzo addormentata) Giustis­simo, altro che storie!

Donna Alberta              - Beato voi che almeno ve lo godete un po' il profumo della gioventù...

Maria Indani                 - (toccata sul vivo. Al marito) Il tuo se lo godono gli altri. (A donna Al­berta, additando la Titti che s'è addormentata) Quella bambina è stanca morta. Portala a casa, povera anima!

Prof. Indani                  - (quasi fra se, attaccando dopo la battuta della moglie « il tuo se lo godono gli altri ») La gioventù esiste e basta. Quello che si fa per i figli degli altri lo fai per prepa­rare quella che sarà la generazione in cui tuo figlio dovrà muoversi; e se troverà dei galan­tuomini, delle menti evolute, sarà tanto di gua­dagnato per lui. I figli, i nostri figli son già la parte migliore di noi, li abbiamo già perfezio­nati col nostro amore, ma domani...

Maria Indani                 - Fossero tutti come te, ma...

Prof. Indani                  - E, nel dubbio, vorresti non fare a tuo figlio quel po' di bene che puoi?...

Maria Indani                 - (a donna Alberta) La società, la collettività! (ha un gesto di impotenza e di dolore).

Robbi                            - (fuma badando di non svegliare l'amica. Gli sguardi di tutti, come ipnotizzati da quella corrente di purissimo amore, si posano sui due ragazzi).

{Una pausa. Nessuno parla. Ma si sente tutto l’amore dei genitori per le loro creature).

Donna Alberta              - (raccogliendo la borsa, con un sospiro) Che bella età! (Intenerita, a Maria Indani) Non sembra un angelo, la Titti?

Maria Indani                 - Davvero!

Robbi                            - (guarda la Titti, curiosamente, come la vedesse per la prima volta. A donna Alber­ta) Che idee, donna Alberta! Più si va avanti e più la vita diventa bella! (Alla Titti, sottovoce, con delicatezza) Titti! (Cambiando repentina­mente tono, infastidito, impaziente) Su...

Titti                               - (scuotendosi) ... Eh?

La Cameriera                - (pronta con la giacca a vento, davanti a Titti).

Titti                               - (mugolando, reclina di nuovo la testina sulla spalla di Robbi, vinta dal sonno).

Donna Alberta              - Titti, andiamo...

Robbi                            - (alzandosi, prende la giacca dalle mani della cameriera). Su, sveglia! (Pianta la giacca sulle spalle alla Titti).

(Gli uomini baciano la mano a donna Al­berta).

Maria Indani                 - (a donna Alberta) Vieni do­mani?

Donna Alberta              - Ma... mi pare che la Titti dia il suo thè... io ho paura che mi dian fuoco alla casa! Buona notte, buona notte.

(« Arrivederci, grazie, ci telefoniamo ». Esco­no dal tinello meno i ragazzi).

Robbi                            - (tirando la Titti per una mano) Davvero t'ho fatto male?

Titti                               - (distratta, intontita dal sonno) A me?

Robbi                            - (la guarda con disappunto come quan­do si saluta qualcuno che non ci ha visti) Be', se li vuoi... pigliali.

Titti                               - (c. s.) Cosa?

Robbi                            - (gridando) Gli ski!

(Tutti si affacciano alla porta. Commenti di­versi, brevissimi).

Titti                               - Va bene. Ma stasera li lascio qui.

Maria Indani                 - Roberto, donna Alberta sta aspettando. Cosa c'è ancora?

Robbi                            - (a Titti) Stasera te li carichi sulle spalle come fa uno sciatore che si rispetta. Una novità! Da quando in qua si lasciano gli ski a mezza strada?

Titti                               - (esce).

Maria Indani e Prof. Indani    - (rientrano).

Robbi                            - (che è rimasto solo sulla scena) Buona notte. (Sta per ritirarsi nella sua came­ra, ma, risovvenendosi di qualche cosa, affac­ciandosi alla finestra, alla Titti) Cosa avete do­mattina?

Titti                               - (dalla strada) La solita zuppa del lunedì: anatomia... fino all'una, e tu?

Robbi                            - lo fisica, dopopranzo. Domani mattina siamo al campo Giuriati. Ciao, ci vediamo da te nel pomeriggio, ciao.

Titti                               - (c. s.) Ciao, Robbi. (Si sente il ronzio del motore avviato).

Robbi                            - (alla cameriera) Domattina sveglia alle cinque e mezzo' e la divisa... (Esce).

Scena IV.

Maria Indani                 - Hanno ancora il boccone in bocca che dormono già. Si capisce! Fra studiare e no tui, quando è sera non ne possono più. (Ostinata) Cosa ne verrà fuori da questa gene­razione in serie...

Prof. Indani                  - (chiudendo la radio) [Sai perché tutto ti urta? Perché rimani indietro, cara mia! Macché a serie! Cosa, settarii? Sol­tanto la minoranza è settaria, per impotenza o per incomprensione. (Esaltandosi) E poi, sì, son tutti eguali, per fortuna, i nostri ragazzi che quando li vedi che si muovono, pare che si sposti una macchina da guerra. Appunto (battendo sulla spalliera di una seggiola) appunto perché si vedono eguali, per distinguersi, cer­cano di essere uno più forte, più fiero dell'altro e tu li vedi che tutt'insieme non toccano più terra... E ci potrei giurare che Mussolini, quan­do vede questa gioventù sfilare... eh, cara mia... (afferra la spalliera della sedia e la scuote con forza).

Maria Indani                 - (lo guarda un po' sconcertata. Poi riprendendo il filo del pensiero che la do­mina con amarezza) Ah, su questo, non c'è dubbio: ora son suoi. Ma, una volta i nostri fi­gli erano nostri e venivano su secondo le tradi­zioni della famiglia. Guarda, anche la Titti, va in piazza, come una cavallona, anche lei! Se ci fosse il povero conte Lantelme!...

Prof. Indani                  - Se ci fosse il povero conte Lantelme, sta pur sicura che sarebbe più ragio­nevole di te. (Con forza) Questa sì che è vera­mente una fantasia, credere che i figli siano di chi li ha fatti! Sai chi te l'avrebbe portato via tuo figlio? Una canzonettista, un baro, chiun­que, bene o male, avesse nel sangue lo spirito d'avventura. Avresti dovuto disputarlo, tuo fi­glio, con l'ultimo venuto. Ma il Paese, perbacco, non è l'ultimo venuto! Tutte le sere la stessa musica... (Avviandosi a dormire) Ma... facciamo punto su queste cose (rude) perché ne abbiamo abbastanza. (Esce sbattendo l'uscio).

Maria Indani                 - (si incammina lentamente a dormire, dopo aver spenta la radio, mentre cala la tela).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (Sala da pranzo 900. Alcuni oggetti che si vede­vano nella scena del 2" atto. Ritratto del Duce, radio, fioretti, ecc. Il telefono, provvisoriamente messo su di una seggiola. Sul tavolo bottiglie di spumante, coppe, vassoi di dolci. In un angolo della stanza, bauli, valigie, una cesta da viaggio).

Scena I.

Titti - Giulio Balbi - Enzo ed Ernesto Laghi.

(Fumano. Giulio Balbi passeggia avanti e indietro concitatamente. Tutti hanno nei gesti qualcosa di compassato, di non naturale, come di chi vuol dominare una grande emozione).

Titti                               - (sentenziando e seguitando un discorso) Per me, ha fatto benone così. Il dente è sem­pre meglio cavarlo in un colpo solo. (A Giulio Balbi) Fermati, perdinci! Mi fai girare gli occhi!

(Tutti gli sguardi si volgono a Giulio, poi i ra­gazzi, ripresi dal loro pensiero, si ricompongono, ciascuno in silenzio).

Giulio                            - (irascibile, rallentando il passo) Ah, per questo, tu ci tagli dentro alla carne degli altri che è una bellezza!

Titti                               - (calma, senza raccogliere la cattiveria) Vedrai se non ti trovi più male a tirarla in lungo, tu! Intanto, è una distrazione la casa nuova, dopo tanti anni che non s'era mossa di là! In questi due o tre giorni che son stati da noi intanto che preparavano qui, la signora Maria, fuori del giro delle solite abitudini, sembrava un'altra. Sol­tanto, in certi momenti, ci guardava tutti in una maniera così strana come se presentisse che le nascondevamo qualcosa... Poveretta, ma non lo sa nemmeno lei il bene che le vuole Roberto. Appena vinto il concorso non ha pensato che alla casa per la sua mamma. E poi non ha voluto che si affaticasse, che toccasse nulla, perché en­trasse qui come una regina... (Una pausa).

Enzo                              - Bello, Titti, quel fiore! E' di pelle? Stai bene pettinata così!

Titti                               - (ingenua) Sì? Taci m'ha bruciato mezzo rullò con la furia che gli mettevo... (Distraendosi brevemente) Non riesco a farceli stare per nessun verso con la messa in piega all'acqua!

Enzo                              - Evviva la messa in piega!

Ernesto                          - Beviamo o no?

Titti                               - Ma sì... (s'avvia al tavolo, con infa­tuazione).

Enzo                              - Aspettiamolo lui.

Giulio                            - Ma, va là, non sgonfiare, almeno ci trova allegri!

Ernesto                          - (soprappensiero) Forse ha ragione la Titti. La distrazione della casa nuova... tutto chiaro, tutto allegro.

(Sturano una bottiglia. Chi è seduto sulla ta­vola, chi in piedi).

Giulio                            - (levando il bicchiere. Emozionato, ma con forza) Bevo al nostro Robbi che spero di poter....

(Sulla porta è comparsa, con una valigetta da viaggio in mano, seguita dall'amica Alberta e dalla cameriera, Maria Indani, che, alla vista dei ragazzi, rimane irrigidita sull'ingresso, presaga).

Giulio                            - (che dà le spalle alla porta d'ingresso, capisce che è entrato qualcuno dal viso dei com­pagni e si volta, senza finire la frase, con il bic­chiere levato).

Maria Indani                 - (avanza, senza posare la vali­getta, guardandosi attorno tra smarrita e feroce).

Donna Alberta              - (non le riesce di sfilare i guanti e di trovar l'occhialino).

(Tutti son rimasti con le coppe a mezz'aria che riappoggiano sulla tavola senza saper dir nulla).

Giulio                            - (facendosi forza. Rivolto a Maria In­dani d'impeto. Con devozione e con fierezza) Bevo alla salute del nostro Robbi...

Titti                               - (pronta con un bicchiere, presso Maria Indani).

Giulio                            - ... che spero di poter raggiungere fra poco in Africa Orientale.

Maria Indani                 - (scuote appena la testa in un gesto disperato e con la mano che non abban­dona la valigia e che la fa sembrare una mendi­cante, accenna come dicesse: «E’già andato?))).

(Tutti attorno a Maria Indani, a soggetto: « Adesso sarà qui », « Verrà subito », ecc.).

Titti                               - (riesce a liberare a fatica della valigia Maria Indani che ne stringe spasmodicamente la maniglia. La fa sedere. Accosta a quella di lei una seggiola per sua madre).

Maria Indani                 - (mentre beve, assente) La sua camera... del ragazzo?...

(/ ragazzi si precipitano per accompagnarla).

Titti                               - (entra ad aprire la finestra della stanza di Robbi).

Maria Indani                 - (rimane per un momento affac­ciata sulla porta della camera del figlio).

Scena III.

Robbi, Maria Indani, Titti, Donna Alberta, Giulio Balbi, Enzo ed Ernesto Laghi.

Robbi                            - (in tenuta coloniale, appare sulla soglia, diritto, sull'attenti).

(I ragazzi hanno il moto di precipitarglisi in­contro, ma fanno largo all''incontro con la madre).

Donna Alberta              - (intanto accosta l’occhialino agli occhi, ma le lacrime non le permettono di vedere e si dà un gran daffare). ,

Maria Indani                 - (s'è voltata).

Robbi                            - (batte i talloni, portando la mano al berretto, rigido come davanti a un generale, ma le sue labbra con tenerezza infinita dicono in un soffio) Mamma...

Maria Indani                 - (è come paralizzata. Gli fa cenno di avvicinarsi a lei).

Robbi                            - (se la stringe fra le braccia. Chinandosi a sollevarle il viso. Con l'intonazione di prima) ... Mamma... ti piace qui? Sei contenta del tuo ingegnere? (Riprendendo la sua calma, quasi al­legro) Ci mancano ancora delle rifiniture, qual­che cosa... ma bisogna che tu abbia pazienza. Al mio ritorno... (Guardandosi attorno) E la Titti? (Intanto saluta donna Alberta e i ragazzi).

Maria Indani                 - (rimane confusa, intimidita, quasi non fosse in casa sua).

Giulio                            - (a Robbi) T'aspettavamo più tardi... sei venuto prima che avessimo il tempo di...

Robbi                            - (in disparte a Giulio) Mi son sbri­gato prima. L'ho vista entrare. Non ho potuto aspettare - (terge la fronte col dorso della mano). E la Titti?

Titti                               - (esce dalla camera di Robbi. Facendosi forza) Evviva i nostri soldati!

Robbi                            - (la saluta militarmente, poi cingendole con un braccio le spalle, la trascina vicino al tavolo, discosto dagli altri).

Maria Indani                 - (parla sottovoce con Giulio Balbi. Gli rivolge delle domande).

Giulio                            - (le siede accanto, paziente, affettuoso e le spiega. Ma la donna non riesce a seguire il discorso del giovane. Ogni tanto si volge alFa-mica, crollando il capo, senza dir nulla, interro­gativamente).

(Titti e Robbi sono impacciati. Intanto scam­biano queste battute)

Titti                               - Senti, Robbi, io... in questo momen­to... son quasi un medico... abbi delle precau­zioni per la tua salute (abbassa il capo confusa).

Robbi                            - (rialzandole il viso. Tagliando corto, autoritario) Senti, quasi-medico, mi farai il santo piacere di non far la stupida ora che non ci son più io, ad andare attorno a far la caval­lona, perché da sola è diverso stare in mezzo alla gente, e verrete qui la sera, le feste, ad aspet­tarmi, con mia mamma. Capito?

Titti                               - (riabbassa il capo, come fulminata, mor­morando) Va bene.

Rabbi                            - (la lascia bruscamente per avvicinarsi a sua madre che contempla con tenerezza). (Tutti a soggetto, commossi).

Robbi                            - (fa alzare la madre) Non hai ancora vista la casa? Vieni a vedere se va bene così, la tua stanza... (Escono per una porta laterale). (Un silenzio).

Titti                               - (vicino a sua madre). (I ragazzi fan circolo intorno a loro).

Donna Alberta              - (a Giulio Balbi) E tu, lo sa la tua mamma che vai?...

Giulio                            - No, signora Alberta. Non è una cosa molto facile. Ma, penso che farò come Robbi. E' meglio tutto in una volta. Tanto non cambia nulla. A meno che non lo venga a sapere prima da qualche collega che mi telefona dal campo d'aviazione.

Titti                               - (irrequieta) Sapete cosa vi so dire? (Levandosi, forte, spavalda, tutta luce). Che par­to anch'io. (Intenerita, materna) Se no chi ve le ricuce le vostre teste, chi ve le benda se vi ci fate uno strappo? Cosa faccio io qui da sola, ora che andate via tutti? La Luisa a Orvieto, la Carla che vola, e io a tagliare i morti in ospedale?

Donna Alberta              - (spaventata) Tu diventi matta.

Titti                               - (grave) No, mamma.

Giulio                            - E tu credi che me la farei ricucire da te la testa? Questa qui è capace di rompertela lei per il gusto di rimetterla insieme. (Rientrano Maria Indani e il figlio).

Maria Indani                 - (con tenera riconoscenza) Bello, bello.... tutto bello, bello...

Enzo                              - (a Robbi) Sai che vuol partire anche la Titti?

Robbi                            - A far che?

Titti                               - Con la Croce Rossa.

Robbi                            - Ma va' là... (Guarda donna Alberta preoccupato) Questa qui è capace di partir sul serio! Ma sei una donna! Salame! Le donne stanno a casa.

Titti                               - Non tutte le donne sono fatte per stare a casa. (Spavalda) Ho dato in ismanie, ho piagnugolato perché tu andavi in Africa; t'ho detto, io, non andare?

Robbi                            - Ci mancava anche quella. Che esagerazione! Invece di farlo qui un po' di soldato, lo faccio là. Ma tu è un'altra cosa.

(Prof. Indani                 - (entra. Padre e figlio si abbrac­ciano).

Maria Indani                 - Tutti lo sapevano, meno io che sono la mamma.

(Si scambiano brevemente i saluti)

Prof. Indani                  - (piano a Robbi, preoccupato) E la mamma?

Robbi                            - (stringendosi dolorosamente nelle spal­le) E' la mamma.

Prof. Indani                  - (vincendosi) Su, ragazzi! (si avvicina al tavolo).

Robbi                            - (suona alla cameriera) Giuseppina, ti saluto. Versaci il vino e bevi anche tu, oggi è festa!

La Cameriera                - (esegue, serve, poi un po' esi­tante, commossa, alza il bicchiere come gli altri).

Prof. Indani                  - (a Robbi) Bevo alla tua sa­lute e... ti invidio. Fatti onore. (Con orgoglio) Tuo padre una medaglia se l'è guadagnata.

Maria Indani                 - (scoppia in lacrime).

Robbi                            - (le va accanto, con un braccio la stringe a sé. Allegro) Vedrai che ce la sbrigheremo presto, e che torno presto, e che dovrai cac­ciarmi a pedate, perché non ti lascerò più, ma­mma. Su, sei la mamma di un soldato.

Maria Indani               - (come svegliandosi) Sì, sì, sì...

Robbi                            - (guardando l'orologio) Ohi, ragazzi, debbo essere in caserma alle sei. (Con energia) Ci salutiamo tutti qui. Non voglio nessuno dietro.

(Un silenzio).

Robbi                            - (saluta donna Alberta che se lo stringe al petto contenendo a stento le lacrime. Poi si ferma un momento dinanzi a Titti).

Titti                               - (porge la mano a Robbi, pallidissima, rigida e gliela stringe con forza) Arrivederci, Roberto. In montagna sei sempre stato il primo.

Robbi                            - (saluta militarmente. Una pausa) Ciao, Titti. (Abbraccia il padre, poi, sorreggen­dola, trascina via la mamma con sé nella camera d'ingresso).

(Tutti li lasciano un momento soli poi li se­guono. Solo i ragazzi si dispongono ad accompagnare Robbi. Si odono gli ultimi saluti d'ad­dio dall'anticamera).

Scena IV.

Prof. Indani, Maria Indani, Donna Alberta, Titti e la Cameriera.

(Rientrano e corrono al balcone a salutare. I ragazzi, nella strada, cantano).

Maria Indani                 - (è sbigottita).

Prof. Indani                  - (le sta accanto premuroso) Su, mamma, coraggio, anch'io quando sono partito per la guerra nel '14, mia mamma era disperata così, eppure son tornato sano e salvo... e sì che sul Podgora fioccavano... (Con fede) I « Ragazzi  di Mussolini » nessuno li toccherà;

Donna Alberta              - (che vuole come di consueto ti servirsi dell'occhialino, ci piange su, non ci vede ci e si dà un gran daffare).

Titti                               - (è rimasta alla finestra a guardar fuori. ù Si volta e ali improvviso, con un urlo, si getta fra le braccia di Maria Indani) Mamma, mamma, il mio Roberto, il mio Robbi...

Donna Alberta              - (balza in piedi trasecolando Le cade l'occhialino). p,

Maria Indani                 - (allontana da se la Titti, le solleva il viso rigato di lacrime) Tu, sei innamorata di... lui e l'hai salutato così?...

Titti                               - (fra le lacrime che non può più contenere) Non c'eravamo mai baciati, menava gramo, ora...

Maria Indani                 - (la stringe a sé senza parlare).

Titti                               - (verso la madre, smarrita) Sì, mam­ma.;, ma l'ho capito oggi.

Prof. Indani                  - E Robbi, cosa t'ha detto?

Titti                               - (sempre fra le lacrime, come una bim­ba) Stupida, m'ha detto, e ora che non c'è più. lui di non andar più da nessuna parte e di far compagnia a sua mamma... e... basta.

Maria Indani                 - (rianimandosi, la fa sedere accanto a sé, esaltandosi, mano a mano che parla. Accarezzando la Titti) Che tu sia benedetta, figliola! (Guardando il marito che annuisce, commosso) Riavrai un papà e quando vi sposerete, sarà come quando avete fatta la prima comunione che sembravate due sposini, ti ricordi, Alber­ta, com'erano belli?

Titti                               - Ah, no, Robbi sarà vestito in divisa... con le sue belle medaglie e io... chissà... se riesco a partire...

Donna Alberta              - Senti, Titti, per oggi basta, con le sorprese.

Titti                               - Perché, mamma? Anche di noi c'è! bisogno laggiù.

Maria Indani                 - (destandosi dal breve sogno, an­gosciata. Come gridi strozzati) La guerra... le bende... con quei capelli così fini, così morbidi... quella pelle fresca come il pane... (si copre il volto, singhiozzando. All'improvviso, balza in  piedi, come morsa da una serpe. Con i pugni  chiusi, davanti al marito) Questo no, questo volevate?! (Tragicamente caricaturale) No tui, noi tui... (Si atteggia come se marciasse) Mio figlio, mio figlio, capisci, mio figlio    (nello stesso atteg­giamento, rapidissima, s'è voltata al ritratto del Duce, disperata) Mio figlio... (Rimane, è un ba­leno, con i pugni chiusi come stesse per dire qualcosa di tremendo, ma piomba a terra, sulle ginocchia, schiantata, in atto di suprema accet­tazione, come miracolata) Ci ha mandato an­che i suoi.

(Dal di fuori, in lontananza ma percettibili, intanto giungono le note dell'« Inno al Piave » ).

FINE