I fratelli

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I FRATELLI

Terenzio

         

            

       

      

      DIDASCALIA

      

      Incomincia I fratelli di Terenzio, rappresentata ai giochi funebri

      celebrati in onore di Lucio Emilio Paolo da Quinto Fabio Massimo e Publio

      Cornelio Africano. Rappresentazione diretta da Lucio Atilio Prenestino e

      Lucio Ambivio Turpione. Musicata da Flacco, liberto di Claudio, con flauti

      sarrani per tutta la commedia. Originale greco di Menandro. Sesta in

      ordine di composizione, sotto il consolato di Marco Cornelio Cetego e

      Lucio Anicio Gallo.

      

     

      RIASSUNTO DI CAIO SULPICIO APOLLINARE

      

      Demea, siccome aveva due figlioli,

      Eschino lascia al fratello Micione

      perché lo adotti, mentre Ctesifone

      se lo tiene per sé; ma questi,

      benché la tutela paterna sia severa,

      preso dai vezzi di una suonatrice,

      è salvato da Eschino, il fratello,

      che i pettegolezzi nati dagli amori di quello

      riversa su di sé, giungendo al punto

      di rapire al ruffiano la ragazza.

      Il medesimo Eschino, peraltro,

      aveva violentato una ragazza

      povera ma di Atene cittadina,

      cui aveva promesso di sposarla.

      Demea s'infuria e se la prende a male;

      quando, però, la verità vien fuori,

      Eschino prende in moglie la ragazza

      e Ctesifone ha la sua suonatrice.

    

 

     

      PERSONAGGI

             

      (PROLOGO)

      MICIONE VECCHIO

      DEMEA VECCHIO

      SANNIONE RUFFIANO

      ESCHINO GIOVANE

      BACCHIDE PROSTITUTA

      PARMENONE SCHIAVO

      SIRO SCHIAVO

      CTESIFONE GIOVANE

      SOSTRATA MATRONA

      CANTARA VECCHIA

      GETA SCHIAVO

      EGIONE VECCHIO

      DROMONE SCHIAVETTO

      STEFANIONE SCHIAVETTO

      PANFILA RAGAZZA

      (CANTORE)

      

PROLOGO

             

      Il poeta ha capito che quel che scrive viene scrutato da gente prevenuta e che i suoi nemici mettono in cattiva luce la commedia che sta per rappresentare; perciò sarà egli stesso ad accusarsi e voi giudicherete se quel che ha fatto debba essere lodato o biasimato. Difilo ha composto i $ÓõíáðïèõÞóêïíôåò$: Plauto ne ha cavato i Commorientes. Nella commedia greca, nella prima scena, c'è un giovane che strappa via una prostituta a un ruffiano: Plauto questo brano lo ha tralasciato integralmente, e proprio questo brano il nostro poeta ha utilizzato negli Adelphoe, riproducendolo alla lettera. Stiamo appunto per rappresentare questa novità: valutate se si tratta di un furto o della ripresa di quel che era stato deliberatamente tralasciato. Se poi le malelingue affermano che ci sono dei nobili che collaborano abitualmente col poeta e compongono insieme con lui, quella che essi ritengono un'accusa formidabile, egli la ritiene la più grande delle lodi, visto che gode del favore di coloro che godono del favore di voi tutti e del popolo e che della loro opera ciascuno si è avvalso in guerra, in pace, in affari al momento opportuno senza umiliazioni. Non vi attendete adesso che vi esponga l'argomento della commedia; a introdurlo in parte ci penseranno i vecchi che compariranno in scena per primi, e in parte ve lo faranno capire con le loro azioni. Fate in modo che il vostro giudizio sereno accresca nel poeta il desiderio di scrivere.

      

     

ATTO PRIMO

      

      

      MICIONE

       MICIONE  (esce di casa gridando verso l'interno)

        Storace! Eschino stanotte non è ancora rientrato da cena, come pure nessuno degli schiavetti che gli erano andati incontro. È proprio vero quel che dicono: sei andato da qualche parte? Hai fatto tardi? Allora è meglio che ti capiti quel che ti augura o che pensa in cuor suo tua moglie quando ce l'ha con te, piuttosto che quello che temono i genitori che ti vogliono bene. Tua moglie, se fai tardi, pensa che       sei innamorato, o che qualcuna è innamorata di te, o che stai sbevazzando e ti fai i fatti tuoi e pensi a spassartela da solo, mentre lei sta male. Ma a me, siccome è mio figlio che non torna, che razza di pensieri vengono, e che paure! Che abbia preso freddo, o che sia caduto da qualche parte, o che si sia spaccato qualcosa. Guarda se si deve far posto nel proprio cuore o andarsi a cercare qualcuno da amare più di se stessi! Che poi non è figlio mio, ma di mio fratello, il quale fin da ragazzo aveva un'indole del tutto diversa dalla mia: io ho condotto una tranquilla e agiata vita cittadina e non ho mai preso moglie, cosa che la gente reputa una fortuna. Lui tutto al contrario: vita in campagna, economia attenta e rigorosa, matrimonio, due figli. Io ho adottato il maggiore, l'ho allevato fin da bambino, l'ho considerato e amato come se fosse mio, è tutta la mia gioia e consolazione. Faccio di tutto perché mi contraccambi: gli concedo, lascio correre, non ritengo necessario che faccia tutto come voglio io e poi, quelle ragazzate che gli altri fanno di nascosto dal padre ho abituato mio figlio a non nascondermele. Perché chi avrà l'abitudine di mentire a suo padre, o avrà il coraggio di ingannarlo, tanto più lo avrà con gli altri. Sono convinto che sia meglio frenare i figli col rispetto e con l'indulgenza piuttosto che con la paura. Su questo mio fratello non è d'accordo con me, non gli va. E spesso viene da me e grida: «Che fai, Micione? Perché mi rovini quel ragazzo? Perché fa l'amore? Perché si ubriaca? Perché favorisci tutto questo spesandolo? Perché sei così generoso nel vestirlo? Sei davvero una pappamolla!» Lui come padre è troppo severo, al di là del giusto e del lecito, e, a mio avviso, si sbaglia di grosso se crede che l'autorità basata sulla forza sia più salda e sicura di quella ottenuta con l'affetto. Io la penso così (e mi regolo di conseguenza): chi fa il proprio dovere per timore di un castigo, finché pensa che la cosa si verrà a sapere, sta attento; ma se spera di farla franca, torna a seguire la propria indole. Quello che ti sei conquistato trattandolo bene, agisce spontaneamente, cerca di contraccambiarti: che tu ci sia o no, si comporterà allo stesso modo. Questo è il compito di un padre, abituare suo figlio ad agire onestamente da solo, anziché per paura degli altri: è questa la differenza che c'è tra il padre e il padrone. Chi non ci riesce ammetta di non saper comandare ai figli. (scorge Demea che si avvicina) Ma questo qui che arriva non è proprio l'uomo di cui parlavo? Si, sì è proprio lui, lo vedo con l'aria piuttosto scura: credo che, come al solito, mi pianterà delle grane. (ad alta voce) Mi rallegro di vederti in buona salute, Demea.

      

    

      DEMEA  MICIONE

      DEMEA

      Capiti al momento giusto: stavo proprio cercando te.

      MICIONE

       Perché così scuro in volto?

      DEMEA

      A me, che ho Eschino per figlio, vieni ancora a chiedere perché sono scuro in volto?

      MICIONE  (a parte)

      Non l'avevo detto? (a voce alta) Che ha combinato?

 DEMEA

 Cosa può aver combinato? Lui che non si vergogna di nulla, che non ha paura di nessuno, che   ritiene di non      dover rispettare alcuna legge. Lasciamo perdere quel che ha combinato in passato: adesso ha veramente superato il  limite!

      MICIONE

      Che diamine è accaduto?

      DEMEA

     Ha fatto irruzione in casa altrui dopo aver buttato giù una porta; ha pestato a sangue il padrone e i suoi schiavi; ha rapito la donna di cui era innamorato: gridano tutti che è roba dell'altro mondo. In quanti, caro Micione, me l'hanno detto, lungo la strada! È sulla bocca di tutti. Ma insomma, se è un esempio che bisogna dargli, non lo vede suo fratello? Si occupa degli interessi di famiglia, vive semplicemente e sobriamente in campagna e non ha mai combinato niente di simile. Questo, Micione, mentre lo dico a lui, lo dico anche a te: sei tu che lasci che si rovini.

      MICIONE

      Non c'è persona più ingiusta dell'inesperto, che ritiene che sia ben fatto solo quel che fa lui.

      DEMEA

      A che proposito dici questo?

 MICIONE

 Perché tu, Demea, sbagli nel giudicare queste cose. Andare a donne e ubriacarsi, quando si è giovani, non è un delitto, credimi, proprio non lo è; e neppure buttar giù una porta. Se tu ed io non l'abbiamo fatto, è solo perché non ne avevamo la possibilità. Adesso non verrai mica a dirmi che quel che hai fatto perché eri povero torna a tuo vanto? Sarebbe ingiusto; perché, se ne avessimo avuto i mezzi, lo avremmo fatto anche noi. E se tu fossi un essere umano, lasceresti che lo facesse anche il figlio che hai con te, adesso che l'età glielo consente, invece di dover attendere di averti sotterrato, per farlo poi ugualmente quando non è più l'ora.

      DEMEA

      Perdìo! Essere umano, vuoi farmi diventare pazzo! Fare questo quando si è giovani non è un delitto?

      MICIONE

      Ooh, sentimi; così non mi seccherai più oltre sull'argomento: tu mi hai affidato tuo figlio in adozione; lui ne   assumo io la responsabilità maggiore. Gozzoviglia, si ubriaca, olezza di profumi: lo fa con denari miei; è innamorato: gli darò soldi finché gli serviranno; se non ne avrà, forse lo chiuderanno fuori. Ha buttato giù una porta: sarà rimessa a posto ha lacerato un abito: sarà ricucito grazie al cielo ho di che provvedere e finora non mi dispiace farlo. Insomma o la fai finita, oppure prendi chi vuoi come giudice: ti dimostrerò che in questa faccenda chi sbaglia di più sei tu.

      DEMEA

      Ahimè! Impara a fare il padre da quelli che sanno esserlo davvero!

      MICIONE

      Tu gli sei padre perché lo hai messo al mondo, io perché gli insegno a stare al mondo.

      DEMEA

       Perché, sei forse in grado d'insegnare qualcosa, tu?

      MICIONE

       Senti, se continui, me ne vado.

      DEMEA

      Ah, è così che mi tratti?

      MICIONE

      Secondo te, invece, dovrei stare a sentire un sacco di volte la stessa canzone?

      DEMEA

      Sono io che devo occuparmene.

 MICIONE

Ma io pure. Comunque, Demea, dividiamoci equamente i pensieri: tu pensi a uno e io all'altro; voler pensare a entrambi da parte tua è come chiedermi indietro quello che mi hai affidato.

      DEMEA

      Senti, Micione!

      MICIONE

      Io la vedo così.

 DEMEA

 Che devo dirti a questo punto? Se a te va bene così, sperperi, rovini, si rovini; la cosa non mi riguarda. Ma se d'ora in avanti dirò una sola parola...

      MICIONE

      Di nuovo in collera, Demea?

 DEMEA

 Non mi credi? Ti chiedo forse indietro quello che ti ho affidato? È dura; non sono un estraneo; se mi oppongo... va be', basta! Tu desideri che io pensi a uno solo: d'accordo, e grazie al cielo lui è come voglio che sia. Il tuo se ne accorgerà in seguito... non voglio andar giù troppo pesante sul suo conto. (si allontana). Non è tutto sbagliato quel che dice: la faccenda mi secca alquanto; ma non ho voluto far vedere che mi dava fastidio. Lui è fatto così: se voglio calmarlo, devo essere pronto a contrastarlo e a distoglierlo dai suoi timori; tuttavia essere comprensivo gli riesce difficile; ma se gli dò corda e alimento la sua collera, finirò coll'impazzire insieme con lui. Echino però in questa faccenda qualche

torto me lo ha fatto. Non c'è puttanella qui con cui lui non abbia fatto l'amore o a cui non abbia fatto regali. Da ultimo, poco tempo fa,gli erano venute a noia tutte credo, m'ha detto che voleva sposarsi. Io m'illudevo che gli ardori della gioventù fossero sbolliti; ero contento.Ed eccoci invece daccapo. Comunque sia, però, voglio sapere da lui e parlargli, se è in piazza. (si allontana)

      

 MICIONE

 Non è tutto sbagliato quel che dice: la faccenda mi secca alquanto; ma non ho voluto far vedere che mi dava fastidio. Lui è fatto così: se voglio calmarlo, devo essere pronto a contrastarlo e a distoglierlo dai suoi timori; tuttavia essere comprensivo gli riesce difficile; ma se gli do corda e alimento la sua collera, finirò coll'impazzire insieme con lui. Eschino però in questa faccenda qualche torto me lo ha fatto. Non c'è puttanella qui con cui lui non abbia fatto l'amore o a cui non abbia fatto regali. Da ultimo, poco tempo fa (gli erano venute a noia tutte, credo), m'ha detto che voleva sposarsi. Io mi illudevo che gli ardori della gioventù fossero sbolliti; ero contento. Ed eccoci invece daccapo! Comunque sia, però, voglio sapere da lui e parlargli, se è in piazza. (si allontana)

      

  

ATTO SECONDO

      

      

      SANNIONE ESCHINO  PARMENONE (BACCHIDE)

      SANNIONE (gridando)

      Vi prego, gente, aiutate un povero innocente, soccorrete un misero.

      ESCHINO (a Bacchide)

      Tranquilla: adesso fermati lì. Che guardi? Non c'è alcun rischio: finché

      ci sarò io, questo qui non ti sfiorerà neppure.

      SANNIONE

      Io questa qui contro il volere di tutti....

      ESCHINO (a Bacchide)

      Anche se è un delinquente, oggi non si metterà a rischio di prenderle

      un'altra volta.

      SANNIONE

      Sentimi bene, Eschino, così poi non potrai dire che non conoscevi le mie

      abitudini: io sono un ruffiano.

      ESCHINO

      Lo so.

      SANNIONE

      Ma quale non ce n'è mai stato uno più leale. Del fatto che tu poi ti

      scuserai dicendo che non volevi recarmi offesa non m'importa nulla. Fidati

      di me: farò valere i miei diritti fino in fondo, e tu non potrai ripagare

      a parole i danni arrecati nella sostanza. La conosco io la vostra canzone:

      «Non volevo farlo: sosterrò sotto giuramento che non meritavi di essere

      offeso così»; intanto però sono stato offeso come non meritavo.

      ESCHINO (a Parmenone)

      Coraggio, va' avanti! Apri la porta.

      SANNIONE

      Allora non te ne importa niente?

      ESCHINO (a Bacchide)

      Va' dentro, ora.

      SANNIONE (afferrando Bacchide)

      Non lo permetterò davvero!

      ESCHINO (a Parmenone)

      Avvicinati là, Parmenone (ti sei allontanato troppo da lui), fermati qui

      accanto a lui: ecco, così. Ora sta' bene attento a non staccare i tuoi

      occhi dai miei; se ti faccio segno, non aspettare: mollagli subito un

      pugno in faccia.

      SANNIONE

      Vorrei proprio vedere anche questa!

      ESCHINO

      Guarda allora.

      PARMENONE (assestandogli un pugno)

      Lascia andare la ragazza!

      SANNIONE

      Che indegnità!

      ESCHINO

      Se non stai attento, arriva il bis.

      SANNIONE (nuovamente colpito da Parmenone)

      Ahi, miseriaccia! (lascia andare Bacchide)

     

     ESCHINO (a Parmenone)

      Veramente non ti avevo fatto segno; ma in questo senso esagera pure. Ora

      va'. (Parmenone entra in casa con Bacchide)

      SANNIONE

      Ma che cavolo fai? Chi credi di essere, Eschino, il re?

      ESCHINO

      Se lo fossi, saresti sistemato come meriti.

      SANNIONE

      Ma cosa abbiamo da spartire noi due?

      ESCHINO

      Niente.

      SANNIONE

      E allora? Lo sai chi sono io?

      ESCHINO

      No, e non voglio saperlo.

      SANNIONE

      Ho mai toccato niente di tuo?

      ESCHINO

      Se ci avessi provato, avresti passato i tuoi guai.

      SANNIONE

      Perché a te dovrebbe essere permesso di prenderti una donna mia, che ho

      comprato con moneta sonante? Rispondimi!

      ESCHINO

      Sarebbe meglio non fare questo bordello proprio qui sotto casa; se

      continui a scocciare, ti faccio portare dentro e coprire di legnate fino a

      quando tiri le cuoia.

      SANNIONE

      Legnate a un uomo libero?

      ESCHINO

      Proprio così.

      SANNIONE

      Brutto sporcaccione! Ma non dicono che in questo paese la libertà è uguale

      per tutti?

      ESCHINO

      Se hai finito di fare il matto, ruffiano, adesso ascoltami, per favore!

      SANNIONE

      Sono stato io a fare il matto, o non tu piuttosto?

      ESCHINO

      Piantala, e vieni al dunque.

      SANNIONE

      Quale «dunque»? Dove devo venire?

      ESCHINO

      Vuoi che ti dica una buona volta cosa c'entri tu?

      SANNIONE

      Non aspetto altro, purché sia secondo giustizia.

      ESCHINO (ironico)

      Ma guarda, il ruffiano non vuole che io parli contro giustizia.

      SANNIONE

      D'accordo, sono un ruffiano, la classica rovina della gioventù, sono uno

      spergiuro, una carogna; però a te non ho mai torto un capello.

      ESCHINO

      Accidenti, non ci mancherebbe che questa!

      SANNIONE

      Per favore, ricomincia daccapo, Eschino.

      ESCHINO

      L'hai comprata per venti mine (magari te ne venisse un malanno!) e tanto

      ti sarà dato.

      SANNIONE

      E se io non volessi vendertela? Mi ci costringerai?

      ESCHINO

      Neanche per sogno...

      SANNIONE

      Era questo che temevo.

      ESCHINO

      ... perché son convinto che una donna libera non si può vendere, perché

      io, in un pubblico processo, dichiaro che lei è libera. Ora vedi tu cosa

      preferisci, se prendere i soldi o pensare al processo. Pensaci su, finché

      torno, ruffiano. (si allontana)

      

      SANNIONE

      Per Giove ottimo massimo! Non mi sorprende che la gente impazzisca per

      un'offesa. Mi ha trascinato fuori casa, mi ha bastonato; mi ha portato via

      la ragazza contro la mia volontà (e in cambio di simili misfatti pretende

      che gliela venda al prezzo di acquisto); mi sono anche buscato, poveretto

      me, un migliaio di schiaffoni. (con amara ironia) Ma già, visto che se l'è

      guadagnato, sia pure: reclami i suoi diritti. Su, ormai lo desidero

      anch'io, purché mi renda i miei soldi. Ma io dò i numeri: appena dirò che

      gliela vendo a questo prezzo, porterà subito chi testimonia che gliel'ho

      già venduta; quanto ai soldi... fantasie: «Presto; torna domani». Potrei

      accettare anche questo, purché me li renda, anche se è un'ingiustizia. Ma

      pensa a come stanno realmente le cose: quando ti metti a fare questo

      mestiere, devi essere pronto a subire le offese dei giovanotti e... acqua

      in bocca! Ma non prenderò un soldo... è inutile che stia a fare tanti

      conti.

       

      SIRO SANNIONE

      SIRO (esce di casa rivolgendosi a bassa voce a Eschino che sta dentro)

      Zitto, adesso ci vado io incontro a lui: farò in modo che desideri

      prendersi i soldi e riconosca addirittura di essere stato trattato bene.

      (ad alta voce, a Sannione) Che affare è questo, Sannione? Sento che hai

      avuto non so che disputa col mio padrone.

   

      SANNIONE

      Non ho mai visto un combattimento più impari di quello che c'è stato oggi

      fra noi: io a prender botte, lui a bastonare, fino allo sfinimento di

      entrambi.

      SIRO

      La colpa è tua.

      SANNIONE

      Cosa dovevo fare?

      SIRO

      Dovevi accontentare il giovanotto.

      SANNIONE

      Potevo fare di più che offrirgli anche l'altra guancia?

      SIRO

      Dai, sai bene cosa intendo: a volte non curarsi dei soldi, quando è il

      momento, è il più grande dei guadagni. Pff! Da quel gran cretino che sei

      hai avuto paura che se ora gli avessi ceduto un pochino del tuo e avessi

      accontentato il giovanotto, lui poi non ti avrebbe ripagato con gli

      interessi?

      SANNIONE

      Io speranze non ne compro.

      SIRO

      Non diventerai mai ricco: vattene, Sannione, non sai proprio come si

      prende la gente all'amo.

      SANNIONE

      Meglio così, credo; ma non sono stato mai tanto furbo da non scegliere di

      arraffare subito tutto quello che potevo.

      SIRO

      Su, su, so bene come sei fatto: come se per te venti mine contassero

      qualcosa se vuoi fargli un piacere, a questo qui; tra l'altro dicono che

      sei in partenza per Cipro...

      SANNIONE

      Ehm, ehm.

      SIRO

      ... che hai comprato qui molta merce da portare laggiù e che hai già

      noleggiato la nave: è per questo, lo so, che sei in dubbio. Però quando

      tornerai di laggiù, come mi auguro, concluderai questo affare.

      SANNIONE (a parte)

      Non devo allontanarmi di un passo! Accidenti, sono rovinato: era questo

      che speravano quando si sono messi in questo affare!

      SIRO (a parte)

      Ha paura: gli ho messo la pulce nell'orecchio.

      SANNIONE (a parte)

      Che mascalzonata! Mi ha colto proprio nel punto debole. Ho comprato

      parecchie donne e anche altra merce che da qui porto a Cipro. Se non vado

      al mercato laggiù, ci rimetto un sacco. Adesso se trascuro questa faccenda

      qui... quando tornerò di laggiù i giochi saranno fatti; la cosa si sarà

      raffreddata: «Adesso te ne arrivi? Perché non te ne sei interessato?

      Dov'eri?» ... È meglio rimetterci che rimanere adesso un sacco di tempo

      qui, oppure fargli causa dopo.

      SIRO

      Allora, hai fatto i conti di quel che pensi di guadagnarci?

  

      SANNIONE

      È un comportamento degno di lui, questo? Era questo che doveva

      architettare Eschino, cercare di strapparmela con la forza?

      SIRO (a parte)

      Ci sta cascando. (ad alta voce) Posso farti solo quest'ultima proposta.

      Vedi se ti va: invece di correre il rischio di avere tutto o di rimetterci

      tutto, fagli metà prezzo, Sannione: dieci mine da qualche parte riuscirà a

      rastrellarle!

      SANNIONE

      Povero me! Dovrò temere anche per il mio capitale, adesso, disgraziato che

      sono; ma non si vergogna di nulla? Mi ha spaccato tutti i denti e inoltre

      mi ha ridotto la testa a una patata a suon di sberle. E per di più mi

      vuole ancora truffare? Non vado da nessuna parte.

      SIRO

      Come vuoi; ti serve qualcosa, prima che me ne vada?

      SANNIONE

      Come no, accidenti, Siro, ti prego di questo: comunque siano andate le

      cose, piuttosto che dover star dietro a un processo, restituitemi almeno

      quel che l'ho pagata, Siro. So che tu prima d'ora non hai avuto prove

      della mia amicizia; vedrai: sono uno che si ricorda ed è riconoscente.

      SIRO

      Provvedo subito. Ma vedo Ctesifone: è contento per la sua amante.

      SANNIONE

      Allora che ne dici di quel che ti ho chiesto?

      SIRO

      Aspetta un momento.

     

      CTESIFONE SANNIONE SIRO

      CTESIFONE

      Quando ne hai bisogno, ricevere del bene fa piacere, da chiunque ti venga.

      Ma alla fin fine ti fa più piacere se a beneficarti è la persona giusta. O

      fratello, fratello, come potrò celebrare le tue lodi, adesso? Sono sicuro:

      mai potrò rivolgerti un elogio che non sia inferiore ai tuoi meriti. E

      così io ritengo di avere una sola cosa straordinaria rispetto agli altri:

      un fratello, di cui nessuno può eguagliare il primato...

      SIRO

      Salute, Ctesifone.

      CTESIFONE

      Salute, Siro. Dov'è Eschino?

      SIRO

      Eccolo, ti aspetta in casa.

      CTESIFONE

      Ehm.

      SIRO

      Che c'è?

      CTESIFONE

      Vuoi sapere che c'è? Ora, grazie a lui, vivo, Siro. È un tesoro; ha

      addirittura rimandato tutte le sue faccende per far piacere a me; s'è

      accollato le maledizioni, la cattiva reputazione, le mie difficoltà e i

      miei errori. Non poteva fare di più. Ma perché la porta fa rumore?

      SIRO

      Aspetta, aspetta: è lui che sta uscendo.

      

      ESCHINO CTESIFONE SIRO SANNIONE

      ESCHINO

      Dov'è quella carogna?

      SANNIONE (a parte)

      È me che cerca. Cosa vuole ancora? Sono morto: non vedo un soldo.

      ESCHINO

      Ehilà, arrivi al momento giusto: cercavo proprio te; (vedendo il fratello)

      come va, Ctesifone? È tutto a posto: piantala con le malinconie.

      CTESIFONE

      La pianto sì, accidenti, visto che ho un fratello come te, caro Eschino. O

      fratello caro! Ma ho paura di farti pubblicamente altre lodi di persona;

      non vorrei che pensassi che lo faccio per adularti e non perché ti sono

      riconoscente.

      ESCHINO

      Suvvia, sciocco, come se tra di noi non ci conoscessimo, Ctesifone! Mi

      spiace soltanto di averlo saputo tanto tardi e che la cosa fosse quasi

      arrivata al punto che, anche volendo, non ti si poteva più aiutare.

      CTESIFONE

      Avevo vergogna.

      ESCHINO

      Questa è scempiaggine, non vergogna! Per una cosa tanto piccola, poco

      manca che te ne vai dal tuo paese! C'è da vergognarsi a dirlo. Che il

      cielo ce ne scampi!

      CTESIFONE

      Ho sbagliato.

      ESCHINO (a Siro)

      Allora, cosa dice il nostro Sannione?

      SIRO

      Ormai si è calmato.

      ESCHINO

      Andrò in piazza a saldare il conto; tu va' dentro da lei, Ctesifone.

      SANNIONE (a Siro)

      Stagli addosso, Siro.

      SIRO (a Eschino)

      Andiamo; perché questo qui ha fretta di andarsene a Cipro.

      SANNIONE

      Non così presto come vorresti: me ne resto ancora qui tranquillissimo.

      SIRO

      I soldi ti saranno restituiti; non aver paura.

      SANNIONE

      Purché mi restituisca tutto.

      SIRO

      Ti renderà tutto; sta' solo zitto e seguimi.

      SANNIONE

      Ti seguo. (si allontanano)

      CTESIFONE (richiamando lo schiavo)

      Ehi, ehi, Siro!

      SIRO

      Allora, che c'è?

      CTESIFONE

      Te ne scongiuro, accidenti, saldate al più presto il conto a questo

      sporcaccione, per evitare che, se è troppo in collera, faccia sapere in

      qualche modo la cosa a mio padre; che, in tal caso, io sarei morto per

      sempre.

      SIRO

      Non succederà, sta' tranquillo; tu, nel frattempo, spassatela là dentro

      con lei e da' ordine che sistemino i letti e preparino il resto. Io,

      concluso l'affare, me ne andrò a casa con le provviste.

      CTESIFONE

      Sì, te ne prego. Visto che è andato tutto bene, oggi spassiamocela!

      

     

     

ATTO TERZO

      

      

      SOSTRATA CANTARA

      SOSTRATA

      Dimmi, cara balia, te ne prego, che succederà ora?

      CANTARA

      Vuoi sapere che succederà? Mi auguro che vada tutto bene per la miseria!

      Le doglie, cara mia, cominciano appena ora: e tu hai già paura, come se

      non avessi mai assistito a un parto o non avessi partorito anche tu!

      SOSTRATA

      Povera me! Non ho nessuno (siamo sole; Geta non è qui), nemmeno qualcuno

      per chiamare la levatrice, o per far venire Eschino.

      CANTARA

      Almeno lui fra poco sarà qui, accidenti; non lascia passare giorno senza

      venirti a trovare.

      SOSTRATA

      È l'unico conforto alle mie disgrazie.

      CANTARA

      Dati gli inizi, una volta che aveva subito violenza, la cosa non poteva

      risolversi meglio, padrona, specialmente per quanto riguarda lui, una

      persona di stirpe e indole così nobile, generata da una famiglia così

      ragguardevole.

      SOSTRATA

      Hai ragione, accidenti: prego il cielo che ce lo conservi.

       

      GETA SOSTRATA CANTARA

      GETA

      Adesso siamo al punto in cui, se anche tutti offrissero i loro consigli

      per cercare di rimediare a questo guaio, non sarebbero di alcun aiuto né a

      me, né alla padrona, né alla figlia della padrona. O me infelice! D'un

      tratto si accavallano tante avversità, che non si riesce a venirne fuori:

      violenza, povertà, ingiustizia, abbandono, disonore. È questa la nostra

      generazione? Che mascalzonate, che razza di carognate, che delinquente!

      SOSTRATA

      Povera me, quale sarà il motivo per cui vedo Geta avvicinarsi così pieno

      di paura e di fretta?

      GETA

      Non lo hanno trattenuto o piegato né la promessa, né il giuramento, né la

      pietà, né il fatto che era imminente il parto della poveretta a cui aveva

      fatto indegna violenza.

      SOSTRATA

      Non capisco bene quel che dice.

      CANTARA

      Avviciniamoci, Sostrata, te ne prego.

      GETA

      O me infelice! Riesco appena a trattenermi, tanto sono fuori di me. Il mio

      più grande desiderio adesso sarebbe quello di incontrare tutta la sua

      famiglia, così da vomitare fuori contro di loro tutta questa rabbia a

      botta calda. Sarebbe punizione sufficiente se solo potessi vendicarmi di

      loro. Prima di tutto toglierei la vita al vecchio che ha generato quel

      mascalzone; poi Siro, l'istigatore, aah, come lo farei a brani. Prima lo

      solleverei a mezz'aria e gli farei battere la testa per terra, così da

      fargli schizzare fuori il cervello per la strada; a lui poi, al

      giovanotto, gli caverei gli occhi e poi lo farei precipitare; gli altri li

      assalirei, li spingerei, li afferrerei, li pesterei, li stenderei a terra.

      Ma quando mi decido a informare la padrona di questo guaio?

      SOSTRATA

      Chiamiamolo: Geta!

      GETA

      Uffa! Chiunque tu sia, lasciami in pace!

      SOSTRATA

      Sono io, Sostrata.

      GETA

      Ma dov'è? (vedendola) È proprio te che cerco.

      SOSTRATA

      Io ti sto aspettando: sei capitato sulla mia strada proprio al momento

      giusto.

      GETA

      Padrona...

      SOSTRATA

      Che c'è? Che paura hai?

      GETA (sfinito dalla corsa)

      Ahimè!

     

      CANTARA

      Perché così trafelato, Geta? Riprendi fiato!

      GETA

      Siamo del tutto...

      SOSTRATA

      «Del tutto» cosa?

      GETA

      ...rovinati; è finita.

      SOSTRATA

      Spiegami di cosa si tratta, te ne prego.

      GETA

      Ormai...

      SOSTRATA

      «Ormai» cosa, Geta?

      GETA

      ...Eschino...

      SOSTRATA

      E allora?

      GETA

      ...per noi è un estraneo.

      SOSTRATA

      Aiuto, sono morta! Perché?

      GETA

      Si è innamorato di un'altra.

      SOSTRATA

      O me infelice!

      GETA

      E non lo tiene certo nascosto; lui stesso alla luce del sole l'ha portata

      via al ruffiano.

      SOSTRATA

      Ma ne sei sicuro?

      GETA

      Sicurissimo; l'ho visto io, con questi occhi, Sostrata.

      SOSTRATA

      O me infelice! Cosa credere ormai, o a chi credere? Il nostro Eschino, la

      nostra vita, l'uomo in cui erano riposte tutte le nostre speranze e le

      nostre fortune? Lui che giurava che non sarebbe vissuto un sol giorno

      senza di lei? Che affermava che avrebbe posto il bimbo in braccio a suo

      padre per ottenere così da lui di poterla sposare?

      GETA

      Smetti di piangere, padrona, e pensa piuttosto a quel che bisogna fare:

      dobbiamo rassegnarci, o raccontarlo a tutti?

      CANTARA

      Ehi, ehi, tu, sei forse impazzito? Ti sembra questa una faccenda da

      raccontare in giro?

      GETA

      A me, comunque, non va. In primo luogo la situazione stessa rivela che

      Eschino ci è ostile. Se ora rendiamo noto il fatto, dirà che non è vero,

      lo so bene; metterai a repentaglio la tua reputazione e la vita di tua

      figlia. Anche se confessasse, non è conveniente dargliela in sposa, visto

      che ama un'altra. Perciò in ogni caso bisogna tacere.

     

      SOSTRATA

      Assolutamente no! Non lo farò.

      GETA

      E che farai?

      SOSTRATA

      Lo racconterò in giro.

      CANTARA

      Senti, cara Sostrata, pensa a quello che fai.

      SOSTRATA

      Non è possibile che la cosa si metta peggio di come sta adesso. In primo

      luogo non ha dote; inoltre quella che sarebbe stata la sua seconda dote

      non l'ha più: non si può darla in sposa spacciandola per vergine. Se lui

      negherà, resta un solo appiglio: ho con me come prova l'anello che aveva

      inviato. Alla fine poi, siccome sono consapevole di non avere colpe e che

      non sono intervenute questioni di soldi, o altre faccende non degne di lei

      o di me, gli intenterò un processo, caro Geta.

      GETA

      Come sarebbe? Su, spiegati meglio.

      SOSTRATA

      Tu va' più in fretta che puoi da Egione, il suo parente, e spiegagli la

      faccenda, per filo e per segno; era il più caro amico del mio Simulo e ha

      sempre avuto per noi il massimo rispetto.

      GETA

      Già, nessun altro baderà a noi, accidenti.

      SOSTRATA

      Tu affrettati, Cantara, corri, fa' venire la levatrice, in modo da non

      perdere tempo quando verrà il momento.

      

      DEMEA SIRO DROMONE

      DEMEA

      Sono davvero perduto! Ho sentito dire che mio figlio Ctesifone ha

      partecipato al rapimento con Eschino. Manca soltanto che, se ci riesce, mi

      porti alla perdizione anche lui, che non è uomo dappoco. Dove posso

      cercarlo? L'avrà trascinato in qualche postribolo, penso: quello

      sporcaccione lo ha convinto, lo so bene. Ma ecco che vedo arrivare Siro:

      saprò da lui dov'è. Però, accidenti, anche lui fa parte del branco: se

      capirà che lo cerco, non me lo dirà mai, quel boia. Non darò a vedere che

      voglio saperlo.

      SIRO (rivolto a Dromone)

      Abbiamo raccontato al vecchio per filo e per segno come è andata tutta la

      faccenda: non ho mai visto una persona più contenta.

      DEMEA (a parte)

      Perdìo, che razza di imbecille!

      SIRO

      Ha esaltato le qualità del figlio; mi ha ringraziato per averlo

      consigliato.

      DEMEA

      Scoppio!

      SIRO

      Ha pagato la somma pronta cassa; ci ha aggiunto mezza mina per le spese;

      questa naturalmente l'abbiamo distribuita come volevo io.

    

      DEMEA

      Ecco, se vuoi qualcosa di ben fatto, affidala a questo qui.

      SIRO (scorgendo il vecchio)

      Oh, Demea, non ti avevo visto. Che si fa?

      DEMEA

      Che vuoi che si faccia? Il vostro sistema di vita non mi riesce davvero di

      approvarlo.

      SIRO

      Se vogliamo essere sinceri, è privo di senso, accidenti, e scriteriato.

      (rivolgendosi all'altro schiavo) Pulisci tutto il pesce, Dromone; questo

      enorme grongo lascialo giocare per un po' nell'acqua: le spine le

      toglieremo quando arrivo io; prima non voglio.

      DEMEA

      Che mascalzonate!

      SIRO

      A me, per la verità, non stanno bene e spesso protesto. (rivolto a un

      altro schiavo ancora) Questi in salamoia, Stefanione, falli macerare per

      bene!

      DEMEA

      In nome del cielo, ma per lui rovinare mio figlio è un impegno, o pensa

      che gli possa procurare gloria? Poveretto me! Mi sembra già di vedere il

      giorno in cui, povero in canna, se ne andrà via da qui per andare da

      qualche parte sotto le armi.

      SIRO

      O Demea, questo significa esser saggio: non vedere soltanto quello che hai

      sotto il naso, ma presagire anche il futuro.

      DEMEA

      Ma, senti, questa suonatrice ormai è a casa vostra?

      SIRO

      Eccola là dentro.

      DEMEA

      Ehi, ma intende tenersela in casa?

      SIRO

      Credo di sì, pazzo com'è.

      DEMEA

      Combinare una cosa simile!

      SIRO

      La bontà del padre è stupida e la sua indulgenza colpevole.

      DEMEA

      Mi vergogno e mi rincresce davvero per mio fratello.

      SIRO

      Tra voi due, Demea, (e non lo dico perché sei qui) ci passa molto, anzi

      moltissimo. Tu, grande quanto sei, sei tutto saggezza, lui tutto fantasie.

      Ma tu, a tuo figlio, gli lasceresti fare cose simili?

      DEMEA

      Gli lascerei? O non avrei piuttosto annusato con buoni sei mesi di

      anticipo che aveva in mente qualcosa?

      SIRO

      Vuoi raccontare a me come lo sorvegli?

      DEMEA

      Speriamo che resti così com'è ora.

     

      SIRO

      Le cose vanno come uno vuole che vadano.

      DEMEA

      Che mi dici di lui? Oggi l'hai visto?

      SIRO

      Tuo figlio, dici? (a parte) Questo qui adesso lo mando in campagna. (ad

      alta voce) Credo che già da un pezzo stia facendo qualcosa in campagna.

      DEMEA

      Sei sicuro che sia lì?

      SIRO

      Certo, ce l'ho accompagnato io.

      DEMEA

      Molto bene: temevo che qui ci avesse piantato le tende.

      SIRO

      Ed era parecchio in collera.

      DEMEA

      E perché?

      SIRO

      In piazza ha avuto una lite col fratello, a proposito di questa

      suonatrice.

      DEMEA

      Dici sul serio?

      SIRO

      O bella, non gli ha risparmiato nulla. È capitato per caso tutt'a un

      tratto mentre si contava il denaro: ha cominciato a gridare «Eschino,

      proprio tu fai queste mascalzonate! Non è degno della nostra famiglia che

      tu compia certe cose!»

      DEMEA

      Ah, piango di gioia!

      SIRO

      «Non è il denaro che getti via, ma la tua vita».

      DEMEA

      Che il cielo lo conservi! Buon sangue non mente, mi auguro.

      SIRO

      Come no!

      DEMEA

      Quello è ricco di buoni principi, Siro.

      SIRO

      A chi lo dici! L'esempio ce l'aveva in casa.

      DEMEA

      Io mi do da fare: non trascuro nulla; lo abituo; insomma gli impongo di

      guardare dentro la vita di tutti come in uno specchio e di prendere

      esempio dagli altri: «Fa' questo...

      SIRO

      Giustissimo.

      DEMEA

      ... evita quello...

      SIRO

      Ben trovato.

      DEMEA

      ... questo ti fa onore...

   

      SIRO

      Proprio così.

      DEMEA

      ... quello ti procura biasimo».

      SIRO

      Benissimo.

      DEMEA

      Inoltre poi...

      SIRO

      Accidenti, ora non ho tempo per starti a sentire. Mi sono procurato dei

      pesci proprio come dico io; devo stare attento che non mi si guastino. Per

      me, caro Demea, questo sarebbe un delitto grande come per voi non fare

      quel che hai appena finito di dirmi; e, per quanto posso, istruisco i miei

      compagni di schiavitù allo stesso modo: «Questo è salato, questo è troppo

      cotto, questo è lavato male; quello va bene: la prossima volta ricordalo».

      Sono pronto a consigliarli per quanto è possibile in base alla mia

      esperienza: insomma, Demea, gli impongo di guardare dentro i piatti come

      in uno specchio e gli consiglio quel che è utile fare. Capisco che quel

      che facciamo sono sciocchezze, ma che vuoi farci? Ognuno ha le sue

      inclinazioni. Ti serve altro?

      DEMEA

      Che diventiate più furbi.

      SIRO

      Ora te ne vai in campagna?

      DEMEA

      Immediatamente.

      SIRO

      Hai ragione, cosa staresti a fare qui, dove, per quanto bene tu gli

      insegni, nessuno ti dà retta? (si allontana)

      DEMEA

      Io vado via da qui perché quello per cui ero venuto se n'è andato in

      campagna: io mi curo solo di lui, lui è affar mio: dal momento che mio

      fratello vuole così, a quell'altro ci pensi lui. Ma chi vedo laggiù? Non è

      Egione, il mio compaesano? Se non mi sbaglio è proprio lui, accidenti! Ma

      tu guarda, è mio amico da quando eravamo piccoli (buondìo, che carenza

      abbiamo di cittadini del suo stampo), un uomo coraggioso e leale, come

      quelli di un tempo! Da lui non puoi certo aspettarti che nascano guai per

      lo stato. Ma come sono contento!

      Guarda, quando vedo che esistono ancora persone del genere, la vita torna

      a piacermi. Gli andrò incontro per salutarlo e fare due chiacchiere.

      

      EGIONE DEMEA GETA (PANFILA)

      EGIONE

      Per gli dèi, che mascalzonata, Geta! Cosa mi racconti!

      GETA

      È andata così.

      EGIONE

      Un'azione così ignobile da una famiglia come quella! Eschino, Eschino, un

      gesto simile non è certo degno di tuo padre.

      DEMEA (a parte)

      Deve aver saputo della suonatrice: lui, che è un estraneo, se ne dispiace,

      il padre invece non se ne fa nulla. Ahimè! Magari fosse qui adesso e

      sentisse!

      EGIONE

      Se non faranno quello che va fatto, non la passeranno liscia.

      GETA

      Tutte le nostre speranze sono riposte in te, Egione: abbiamo solo te, tu

      sei il nostro padre e il nostro patrono; il vecchio morendo ci affidò a

      te: se ci vieni a mancare tu, siamo perduti.

      EGIONE

      Non lo dire neanche: non vi abbandonerò, né credo in coscienza che ci

      riuscirei.

      DEMEA (a parte)

      Gli vado incontro. (ad alta voce) Ti porgo i miei saluti più cari, Egione.

      EGIONE

      Oh, cercavo proprio te: salute, Demea.

      DEMEA

      Perché mi cercavi?

      EGIONE

      Il tuo figlio maggiore, Eschino, che hai affidato in adozione a tuo

      fratello, non si è davvero comportato da galantuomo.

      DEMEA

      Che faccenda è questa?

     

      GETA

      Conoscevi Simulo, il nostro amico e coetaneo?

      DEMEA

      Come no?

      EGIONE

      Eschino ha fatto violenza a sua figlia, che era vergine.

      DEMEA

      Eh!

      EGIONE

      Aspetta: non hai ancora sentito il peggio, Demea.

      DEMEA

      Ah, perché, c'è di più?

      EGIONE

      Proprio di più; perché questo in qualche modo si poteva giustificarlo: lo

      avevano indotto la notte, la passione, il vino, l'età: è umano. Come si

      rende conto di quel che ha commesso, va spontaneamente dalla madre della

      ragazza e piange, prega, scongiura, promette, giura che la porterà a casa

      sua. Viene perdonato, non si dice nulla, gli si dà fiducia. La ragazza in

      seguito alla violenza è rimasta incinta (ora è al nono mese); e quel

      gentiluomo, a dio piacendo, si è trovato come compagna una suonatrice, e

      quella l'ha lasciata.

      DEMEA

      Sei sicuro di quello che dici?

      EGIONE

      Possono testimoniarlo la madre della ragazza, la ragazza, la gravidanza

      stessa e poi il nostro Geta che, per quanto sia uno schiavo, non è un

      cattivo soggetto e non sta con le mani in mano: è lui che, da solo,

      mantiene e nutre tutta la famiglia: fallo condurre qui, fallo legare e

      interrogalo sulla vicenda.

      GETA

      Anzi, torturami pure, Demea, se le cose non stanno così, accidenti.

      Insomma non potrà negare: mettimi a confronto con lui.

      DEMEA (a parte)

      Che vergogna! Non so cosa fare né cosa rispondergli.

      PANFILA (da dentro)

      Povera me! Sono straziata dai dolori! Soccorrimi Giunone Lucina, salvami,

      te ne scongiuro!

      EGIONE

      Ehilà, sta forse partorendo?

      GETA

      Sì, Egione.

      EGIONE

      Be', adesso, Demea, lei implora la vostra lealtà: ottenere spontaneamente

      da voi quel che dovreste fare comunque. Prima di tutto prego gli dèi che

      le cose vadano come è degno di voi. Ma se avete intenzioni diverse, Demea,

      io difenderò lei e quel morto con la massima decisione. Era mio parente:

      siamo stati allevati insieme da piccoli, siamo sempre stati insieme, sotto

      le armi e in tempo di pace; abbiamo patito insieme una dura povertà.

      Perciò farò ogni sforzo, le proverò tutte, magari ci lascerò l'anima, ma

      non le abbandonerò. Che mi rispondi?

      DEMEA

      Andrò a trovare mio fratello, Egione; quel che lui mi consiglierà di fare,

      io farò.

      EGIONE

      Sì, Demea, ma tu vedi di riflettere su questo: quanto più avete libertà

      d'azione, quanto più siete potenti, ricchi, felici, nobili, tanto più è

      necessario che voi riconosciate con giustizia quel che è giusto, se volete

      aver fama di galantuomini.

      DEMEA

      Torna: quel che è giusto fare, sarà fatto, tutto.

      EGIONE

      È un comportamento degno di te. Geta, fammi entrare da Sostrata. (entrano

      in casa)

      DEMEA

      Non si può dire che non l'avessi previsto! E magari finisse tutto qui! Ma

      l'eccessiva libertà procura sempre qualche grosso guaio. Andrò a cercare

      mio fratello e mi sfogherò con lui.

      

      EGIONE

      EGIONE (uscendo di casa)

      Sta' tranquilla, Sostrata, e vedi di rassicurarla per quanto ti riesce.

      Andrò incontro a Micione, se è in piazza, e gli racconterò la storia per

      filo e per segno: se intende comportarsi come si deve, bene; se invece la

      pensa diversamente, me lo dica, così saprò al più presto cosa fare.

      

ATTO QUARTO

      

      

      CTESIFONE SIRO

      CTESIFONE

      Vuoi dirmi che mio padre se n'è andato in campagna?

      SIRO

      Da un bel pezzo.

      CTESIFONE

      Dimmi, te ne prego.

      SIRO

      È alla fattoria: ora penso che sia impegnato in qualche grosso lavoro.

      CTESIFONE

      Magari! Purché non gli faccia male, vorrei che si stancasse talmente da

      non potersi alzare dal letto per i prossimi tre giorni.

      SIRO

      Speriamo, se possibile, che vada anche meglio.

      CTESIFONE

      Bene; perché questo giorno desidero maledettamente trascorrerlo in

      continua allegria, come ho cominciato. Se la detesto, quella campagna, è

      solo perché è tanto vicina: se fosse più distante, la notte lo coglierebbe

      prima che potesse far ritorno qui. Adesso invece, appena vedrà che non ci

      sono, correrà subito qui, lo so bene: mi chiederà dove sono stato: «Oggi

      non ti ho visto in tutto il giorno». Cosa gli racconterò?

      SIRO

      Non hai nessuna idea in testa?

      CTESIFONE

      Manco l'ombra.

      SIRO

      Sei proprio un buono a nulla. Non avete un cliente, un amico, un ospite?

      CTESIFONE

      Sì, e allora?

      SIRO

      Non puoi aver fatto un piacere a questa gente?

      CTESIFONE

      Ma se non l'ho fatto? No, non regge.

      SIRO

      Regge, invece.

      CTESIFONE

      Di giorno, ma se passo qui la notte, che scusa troverò, Siro?

      SIRO

      Aah, come vorrei che ci fosse l'abitudine di fare un piacere agli amici

      anche di notte! Ma tu sta' tranquillo: so benissimo com'è fatto quello.

      Quando va su tutte le furie, lo faccio tornare mansueto come un agnello.

      CTESIFONE

      In che modo?

     

      SIRO

      È tutto contento di sentire le tue lodi: io ti faccio diventare un dio ai

      suoi occhi; espongo le tue qualità.

      CTESIFONE

      Le mie?

      SIRO

      Le tue, sì: gli vengono le lacrime agli occhi per la gioia, come a un

      bambino. Ma eccotelo qua.

      CTESIFONE

      Che diamine c'è?

      SIRO

      Si parla del lupo e il lupo appare.

      CTESIFONE

      È mio padre?

      SIRO

      In persona.

      CTESIFONE

      Che facciamo, Siro?

      SIRO

      Tu pensa a scappar dentro; me la vedrò io.

      CTESIFONE

      Se ti chiederà qualcosa, non mi hai visto da nessuna parte; hai capito?

      SIRO

      Vuoi farla finita?

      

      DEMEA CTESIFONE SIRO

      DEMEA (giungendo dalla strada)

      Sarò sfortunato io! Prima non riesco a trovare mio fratello in nessun

      posto; inoltre, mentre lo cercavo, ho incontrato un operaio che veniva

      dalla fattoria: mi assicura che mio figlio non è in campagna. Non so che

      fare.

      CTESIFONE (a bassa voce)

      Siro!

     

      SIRO

      Che c'è?

      CTESIFONE

      È me che cerca?

      SIRO

      Sì.

      CTESIFONE

      Sono rovinato.

      SIRO

      Ma stattene tranquillo.

      DEMEA (fra sé)

      Che disgrazia è mai questa, maledizione? Non riesco a capire; a meno di

      pensare che io sia venuto al mondo solo per sopportare disgrazie. Sono il

      primo a presentire i nostri guai, il primo a venirne pienamente a

      conoscenza, e il primo a darne notizia; se succede qualcosa, sono l'unico

      a soffrirne.

      SIRO (a parte)

      Mi fa proprio ridere: dice di essere il primo a sapere e invece è l'unico

      a ignorare tutto.

      DEMEA

      Ora torno a vedere caso mai mio fratello fosse tornato.

      CTESIFONE (a bassa voce, dall'interno)

      Siro, te ne scongiuro, fa' in modo che non entri qui all'improvviso.

      SIRO

      Ma vuoi star zitto? Ci penserò io.

      CTESIFONE

      Non permetterò che ti occupi tu anche di questo, accidenti; ora mi

      chiuderò in qualche ripostiglio con quella là: è la cosa più sicura.

      (entra definitivamente in casa)

      SIRO

      Fa' pure; io, comunque, lo caccerò via di qui.

      DEMEA

      Ma ecco quel disgraziato di Siro.

      SIRO (fingendo di parlare da solo ad alta voce)

      Se continua così, non c'è nessuno che possa resistere, accidenti! Vorrei

      davvero sapere quanti sono i miei padroni: che vita di schifo!

      DEMEA (a parte)

      Cosa starnazza? Cosa vuole? (ad alta voce) Senti un po', galantuomo, è in

      casa mio fratello?

      SIRO

      Di quale «galantuomo» vai parlando, miseria? Sono rovinato.

      DEMEA

      Che ti è successo?

      SIRO

      E me lo domandi? Poco manca che Ctesifone faccia fuori a pugni questo

      povero disgraziato e la suonatrice.

      DEMEA

      Eh? Ma cosa mi racconti?

      SIRO

      Guarda qua come mi ha spaccato il labbro.

      DEMEA

      E perché?

      SIRO

      Diceva che questa qui è stata comprata dietro mia istigazione.

      DEMEA

      Ma non mi avevi detto di averlo spedito poc'anzi in campagna?

      SIRO

      Proprio così; ma poi è tornato fuori di sé: non ha avuto la minima pietà.

      Non si è fatto scrupolo di bastonare un vecchio! E pensare che quand'era

      piccolo così me lo portavo in braccio!

      DEMEA

      Bravo, Ctesifone, hai preso da tuo padre: va' pure, ormai sei un uomo.

      SIRO

      «Bravo»? Se avrà un po' di sale in zucca, sta' pur certo che in futuro

      terrà le mani a posto!

      DEMEA

      Ben fatto!

      SIRO

      Eccezionale! Visto che ha avuto la meglio su una povera donna e un povero

      schiavo che non aveva il coraggio di rispondere alle percosse: bravissimo davvero!

      DEMEA

      Non poteva far meglio. Anche lui, come me, ha capito che dietro tutta la

      faccenda ci sei tu. Ma, mio fratello è in casa?

      SIRO

      No.

      DEMEA

      Mi chiedo dove posso trovarlo.

      SIRO

      Io lo so, ma oggi da me non lo saprai mai!

      DEMEA

      Ehi, ma cosa stai dicendo?

      SIRO

      Proprio così!

      DEMEA

      Vuoi finire con la testa rotta.

      SIRO

      Ma non lo so come si chiami quel tizio, il posto però so dov'è.

      DEMEA

      Dimmi il posto, allora.

      SIRO

      Conosci il portico giù verso il mercato delle carni?

      DEMEA

      Perché non dovrei conoscerlo?

      SIRO

      Continua diritto su dalla piazza; quanto arriverai là, svoltando c'è una

      discesa: buttati giù di lì. Poi da quella parte c'è un tempietto: lì

      vicino c'è un vicolo.

      DEMEA

      Quale?

      SIRO

      Quello dove c'è anche una grossa pianta di fico selvatico.

      DEMEA

      Lo conosco.

      SIRO

      Continua di là.

      DEMEA

      Ma è un vicolo senza uscita.

      SIRO

      Hai ragione, accidenti! Aah, lo sai che anch'io sono un essere umano? Mi

      sono sbagliato: torna di nuovo al portico; per questa strada sarai

      certamente molto più vicino e hai meno possibilità di sbagliare. Conosci

      la casa di Cratino, quel riccone?

      DEMEA

      Sì.

      SIRO

      Quando l'avrai oltrepassata, va' dritto a sinistra dalla piazza, quando

      arriverai al tempio di Diana, prendi a destra; prima di giungere alla

      porta, proprio vicino al fossato, c'è un piccolo mulino e, di fronte, la

      bottega di un falegname: è lì.

      DEMEA

      E che cavolo ci fa?

      

      SIRO

      Gli ha ordinato dei letti - per stare all'aria aperta - con i piedi di

      rovere.

      DEMEA

      Dove voi possiate ubriacarvi: benissimo! Ma cos'aspetto ad andare da lui?

      (si allontana in fretta)

      SIRO (a parte)

      Va', va': oggi ti sistemerò come ti meriti, vecchio catafalco. Ma Eschino

      è schifosamente in ritardo, il pranzo va male, Ctesifone poi è tutto preso

      dall'amore. Io penserò a me stesso: adesso me ne andrò a spilluzzicare

      tutti i bocconcini migliori e trascorrerò la giornata a sorseggiarmi con

      calma le mie coppe di vino. (entra in casa).

      

      MICIONE EGIONE

      MICIONE (discorrendo per strada con Egione)

      In questa faccenda non riesco a capire perché mi si lodi tanto, Egione:

      faccio il mio dovere e cerco di porre rimedio perché la colpa, in origine,

      è nostra. A meno che tu non creda che io appartenga a quella categoria di

      uomini che si ritengono offesi se gli chiedi di riparare a un'offesa che

      ti hanno arrecato e, anzi, sono loro ad accusarti. Mi stai ringraziando

      perché non mi sono comportato così?

      EGIONE

      Niente affatto: non ho mai pensato che tu fossi diverso da come sei. Ma ti

      prego di venire con me dalla madre della ragazza, Micione, e di ripetere

      tu stesso a quella donna quel che hai detto a me: il sospetto è nato per

      la faccenda di suo fratello e della suonatrice.

      MICIONE

      Se ritieni che sia giusto o che si debba farlo, andiamo.

      EGIONE

      Bravo! Darai sollievo a lei, che si macera nel dolore e nella povertà, e

      farai il tuo dovere. Ma, se la pensi diversamente, le riferirò io stesso

      quel che mi hai detto.

      MICIONE

      No, no, verrò anch'io.

      EGIONE

      Fai bene. Tutti quelli che hanno dei guai, sono, non saprei come dire, più

      sospettosi; prendono tutto in mala parte; data la loro debolezza, si

      sentono sempre bloccati. Perciò sarà più facile calmarla, se sarai tu

      stesso a scusarti pubblicamente davanti a lei.

      MICIONE

      È vero quello che dici, hai ragione.

      EGIONE

      Allora seguimi dentro, per di qua.

      MICIONE

      Volentieri. (entrano in casa)

      

      ESCHINO

      Mi strazio e mi tormento: tanti guai mi sono piovuti addosso tutt'a un

      tratto, che non so proprio cosa fare né cosa decidere! Ho le membra

      infiacchite dalla paura; la mente instupidita dal timore; in cuor mio non

      riesco a concretare nessun piano. Aah! Come uscirò fuori da questo casino?

      Mi sono caduti addosso grossi sospetti, e non a torto: Sostrata pensa che

      questa suonatrice io l'abbia comprata per me; me lo ha confidato la

      vecchia. Siccome è capitato che avessero mandato lei per la levatrice,

      come la vedo, subito mi avvicino, le chiedo come sta Panfila, se il parto

      è ormai prossimo e se è per questo che va a chiamare la levatrice. Quella

      blatera: «Vattene lontano, Eschino, ci hai prese in giro a sufficienza e a

      sufficienza hai tradito la nostra fiducia». «Ma, ti prego, che cavolo stai

      dicendo!», chiedo. «Stammi bene, goditi quella che ti piace». Ho capito

      subito che loro avevano quel sospetto, ma comunque mi son ripreso per non

      lasciarmi sfuggire qualcosa su mio fratello con quella pettegola e rendere

      la faccenda di dominio pubblico. Ma adesso che farò? Dirò che è la donna

      di mio fratello? Che si sappia in giro è l'ultima cosa di cui c'è bisogno.

      Ma lasciamo perdere: può darsi che la cosa non trapeli: quello che temo è

      che loro ci credano. Ci sono tante coincidenze: sono io che l'ho rapita,

      io che ho versato il denaro, è stata portata a casa mia. E poi confesso

      che io una colpa ce l'ho: quella di non aver spiegato a mio padre come

      erano andate le cose. Dovevo scongiurarlo che me la lasciasse sposare.

      Invece ho atteso finora: orsù, Eschino, sveglia! Adesso la prima cosa da

      fare è andare dalle donne a scusarsi. Mi accosterò alla porta. Sono

      perduto! Mi vengono sempre i brividi quando comincio a bussare qui. Ehi,

      di casa, sono Eschino: qualcuno venga subito ad aprire la porta! Non

      compare nessuno: aspetterò qui.

      

      MICIONE ESCHINO

      MICIONE (uscendo dalla casa di Sostrata)

      Fate come vi ho detto, Sostrata; io andrò a cercare Eschino perché sappia

      come sono andate le cose. Ma chi ha battuto all'uscio?

      ESCHINO

      Accidenti, è mio padre: sono perduto!

      MICIONE

      Eschino...

      ESCHINO (a parte)

      Che ci fa qui?

      MICIONE

      ... sei tu che hai bussato? (a parte) Sta zitto. Perché non divertirsi un

      po' alle sue spalle? Gli starebbe bene, visto che questa cosa non ha mai

      voluto confidarmela. (ad alta voce) Non mi rispondi?

      ESCHINO (rispondendo alla prima domanda di Micione)

      Non certo a questa porta, per quanto ne so.

      MICIONE

      Davvero? Mi domandavo, infatti, che affari potevi trattare qui. (a parte)

      È arrossito: siamo a posto.

      ESCHINO

      Ma tu, padre, di grazia, qui cosa ci fai?

      MICIONE

      Io niente. Un amico mi ha portato qui adesso dalla piazza... come

      consulente.

      ESCHINO

      Perché?

      MICIONE

      Te lo dirò: qui abitano certe povere donne; non le conosci, credo, anzi ne

      sono sicuro, perché non è da molto che si sono trasferite qui.

 

      ESCHINO

      E allora?

      MICIONE

      C'è una ragazza che vive con la mamma.

      ESCHINO

      Va' avanti.

      MICIONE

      La ragazza è orfana di padre; questo mio amico è un suo parente prossimo:

      le leggi gli impongono di sposarla.

      ESCHINO (a parte)

      Sono perduto!

      MICIONE

      Che c'è?

      ESCHINO

      Niente; tutto bene, continua.

      MICIONE

      È venuto per portarla via con sé, perché vive a Mileto.

      ESCHINO

      Intendi per portare con sé la ragazza?

      MICIONE

      Per l'appunto.

      ESCHINO

      Fino a Mileto, dici?

      MICIONE

      Sì.

      ESCHINO (a parte)

      Sto male. (ad alta voce) E loro? Cosa dicono?

      MICIONE

      Cosa pensi che dicano? Nulla. La madre ha raccontato che la ragazza ha

      avuto un bambino da un altro, uno sconosciuto, ma non ne dice il nome.

      Sostiene che la priorità spetta a lui, che non bisogna sposarla con

      questo.

      ESCHINO

      Ma, senti, questa proposta non ti sembra giusta alla fin fine?  

      MICIONE

      No.

      ESCHINO

      Come sarebbe? Dovrebbe forse portarsela via, padre?

      MICIONE

      E perché no?

      ESCHINO

      Siete stati crudeli, senza pietà e, se posso esprimermi liberamente,

      padre, senza generosità.

      MICIONE

      Perché?

      ESCHINO

      E me lo chiedi? Cosa pensate che proverà quel poveretto che è stato per

      primo con la ragazza, quello sfortunato che forse l'ama ancora

      perdutamente, quando, lì presente e in presenza di lei, se la vedrà

      sottrarre e portare via sotto i suoi stessi occhi? È una mascalzonata,

      padre!

     

      MICIONE

      A che titolo dici questo? Chi gliel'ha promessa in sposa? Chi gliel'ha

      concessa? Quando e con chi si è sposata? Chi ha dato il consenso? Perché

      si è preso una donna non sua?

      ESCHINO

      Una ragazza della sua età doveva forse starsene in casa ad aspettare che

      venisse di laggiù un parente? Questo, padre mio, mi sembrava giusto

      dirtelo per difendere quella causa.

      MICIONE

      Mi fai ridere! Avrei dovuto parlare contro la persona la cui causa ero

      venuto a perorare? Ma, senti, Eschino, a noi che importa? Che cosa abbiamo

      a che fare con loro? Andiamocene. (vedendolo esitante) Che c'è? Perché

      piangi?

      ESCHINO

      Ti prego, padre, ascoltami.

      MICIONE

      Ho sentito tutto e so tutto, Eschino; ti voglio bene, perciò quello che

      fai mi sta a cuore.

      ESCHINO

      Io vorrei che tu mi volessi bene finché vivi, padre mio, ma perché lo

      merito, che tu mi amassi tanto quanto io sono profondamente addolorato di

      essere responsabile di questa colpa, di cui mi vergogno davanti a te.

      MICIONE

      Ti credo, per la miseria, perché conosco la tua indole generosa; ma ho

      paura che tu sia un gran pasticcione. Ma, insomma, dove pensi di vivere?

      Hai fatto violenza a una vergine che non ti era lecito toccare. Era già

      una grossa colpa, ma almeno umanamente comprensibile: l'hanno commessa

      spesso anche altri, onesti come te. Ma dopo che era successo, dimmi, ti

      sei guardato un po' intorno? Ti sei chiesto che cosa poteva succederti o

      come sarebbe andata? Se ti vergognavi a parlarmene di persona, come potevo

      venirlo a sapere? E mentre eri incerto sul da farsi, sono trascorsi nove

      mesi. Per quanto stava in te hai tradito te stesso, quella poveretta e tuo

      figlio. Ma, senti un po', aspettavi che la soluzione piovesse dal cielo,

      mentre tu dormivi? Che te la portassero a casa tua, in camera da letto,

      mentre stavi con le mani in mano? Non vorrei che tu fossi così pigro anche

      nel resto. Sta' tranquillo, la sposerai.

      ESCHINO

      Ma...

      MICIONE

      Sta' tranquillo, ti dico.

      ESCHINO

      ... babbo, ti scongiuro, mi stai prendendo in giro, adesso?

      MICIONE

      Io prenderti in giro? E perché?

      ESCHINO

      Non so: tanto più maledettamente desidero che sia vero, tanto più provo

      paura.

      MICIONE

      Va', a casa, e prega gli dèi che ci portino tua moglie: va!

      ESCHINO

      Come? Già mia moglie?

    

      MICIONE

      Sì.

      ESCHINO

      Di già?

      MICIONE

      Di già, per quanto le è possibile.

      ESCHINO

      Che il cielo mi stramaledica, babbo, se ora non ti amo più dei miei occhi.

      MICIONE

      Senti, e lei?

      ESCHINO

      Anche lei.

      MICIONE

      Benissimo.

      ESCHINO

      Ma, dimmi, dov'è quello di Mileto?

      MICIONE

      È morto, se n'è andato, s'è imbarcato. Ma cos'aspetti?

      ESCHINO

      Va', babbo, pregali tu gli dèi; sono sicuro che daranno più volentieri

      ascolto a te, che sei molto migliore di me.

      MICIONE

      Io entro per far preparare il necessario: tu fa' come ti ho detto, se hai

      sale in zucca. (entra in casa)

      ESCHINO

      Che faccenda è questa? Essere padre o essere figlio significa questo? Se

      fosse un fratello o un amico, come avrebbe potuto assecondarmi di più? Un

      uomo simile non va forse amato e coccolato? Mah! Generoso com'è mi fa

      nascere la paura di compiere, magari senza saperlo, qualcosa che gli

      dispiace: siccome lo so, ci starò attento. Ma cos'aspetto a entrare, per

      non essere proprio io a ritardare il mio matrimonio?

      

      DEMEA

      Sono sfinito a forza di camminare: che Giove ti strafulmini, Siro, te e la

      tua spiegazione! Sono andato vagando praticamente per tutta la città: alla

      porta, al fossato, dove non mi sono spinto? Non c'era traccia di bottega

      da falegname, né qualcuno che mi dicesse di aver visto mio fratello. Ma

      adesso ho deciso di cingere d'assedio casa sua finché non torna.

      

      MICIONE DEMEA

      MICIONE (tra sé)

      Andrò a dire alle donne che da parte nostra non perderemo tempo.

      DEMEA (scorgendolo da lontano)

      Ma eccolo, è lui! (ad alta voce) È un pezzo che ti cerco, Micione.

      MICIONE

      E perché?

      DEMEA (ironico)

      Vengo a raccontarti altre belle prodezze di quel bravo ragazzo!

      MICIONE

      Eccoci alle solite!

      DEMEA

      Fresche fresche, roba da pena di morte.

      MICIONE

      Ehilà!

      DEMEA

      Aah, tu non sai che razza di uomo è.

      MICIONE

      Invece sì.

      DEMEA

      Bravo sciocco, ti illudi che io mi riferisca alla suonatrice: stavolta ha

      messo nei guai una vergine di nascita libera.

      MICIONE

      Lo so.

      DEMEA

      Ah, lo sai e lo accetti?

      MICIONE

      Perché no?

      DEMEA

      Ma, senti un po', non gridi? Non dai i numeri?

      MICIONE

      No, preferirei davvero...

      DEMEA

      Hanno avuto un figlio.

      MICIONE

      Auguri!

      DEMEA

      La ragazza non possiede nulla.

      MICIONE

      L'ho sentito.

      DEMEA

      Deve sposarla senza dote.

      MICIONE

      È chiaro.

      DEMEA

      Che si può fare ora?

      MICIONE

      Esattamente quel che la cosa richiede: la ragazza verrà a vivere qui.

      DEMEA

      Perdìo, è questa la soluzione?

      MICIONE

      Che posso fare di più?

      DEMEA

      Cosa puoi fare? Se veramente non ti dispiace, almeno fa' finta.

      MICIONE

      Anzi, ormai gli ho promesso la ragazza; la cosa è sistemata; faremo il

      matrimonio; ho fugato ogni paura: questo è comportarsi da uomini.

      DEMEA

      Ma, insomma, questo fatto a te sta bene, Micione?

      MICIONE

      Non mi starebbe bene, se potessi modificarlo; ma siccome non posso, mi ci

      rassegno. La vita degli uomini è come una partita a dadi: quando,

      gettandoli, hai assoluta necessità di fare un certo punteggio, e non lo

      fai, devi destreggiarti col punteggio che è saltato fuori.

     

      DEMEA

      Guardatelo, quello che si destreggia! Grazie alla tua abilità le venti

      mine per la suonatrice sono andate in fumo: e di quella bisogna

      sbarazzarsi al più presto vendendola a qualcuno, al limite

      regalandogliela.

      MICIONE

      Manco per sogno! Non ci penso neppure a venderla.

      DEMEA

      Cosa farai, allora?

      MICIONE

      La terrò in casa.

      DEMEA

      Santo cielo! Una puttana e una madre di famiglia insieme sotto lo stesso

      tetto?

      MICIONE

      Perché no?

      DEMEA

      Ma pensi di essere a posto con la testa?

      MICIONE

      Io credo proprio di sì.

      DEMEA

      Che il cielo mi protegga! A giudicare da quanto sei stupido, devo pensare

      che lo fai per avere chi ti accompagna quando canti!

      MICIONE

      Perché no?

      DEMEA

      E la sposina imparerà le medesime canzoni?

      MICIONE

      Naturale.

      DEMEA

      E tu, ballando in mezzo a loro, guiderai la danza?

      MICIONE

      Ben detto.

      DEMEA

      Ben detto?

      MICIONE (ironico)

      Anche tu sarai della ghenga, se occorre?

      DEMEA

      Accidenti a me! Non ti vergogni?

      MICIONE

      Adesso però piantala con le tue sfuriate, Demea, e mostrati allegro e

      felice, come è giusto per tuo figlio che si sposa. Io vado loro incontro,

      poi torno qui. (si allontana)

      DEMEA

      Perdìo. Ma è così che si vive? È così che ci si comporta? Questa è pazzia!

      Ci prenderemo una moglie senza dote; dentro abbiamo già una suonatrice;

      una casa che costa un occhio; un giovane debosciato; un vecchio pazzo. Una

      famiglia così nemmeno la dea Salute in persona potrebbe salvarla, se mai

      ne avesse voglia.

      

ATTO QUINTO

      

      

      SIRO DEMEA

      SIRO

      Ti sei proprio trattato coi guanti, caro Siruccio, per la miseria, e hai

      assolto con larghezza ai tuoi doveri: puoi andartene. Ma, visto che ho la

      pancia piena come un uovo, ho voglia di fare due passi qui fuori.

      DEMEA (commenta ironico, senza farsi vedere)

      Ma guardàtelo, ve ne prego: ecco un modello di comportamento!

      SIRO (scorgendolo)

      Ma ecco che arriva il nostro vecchio. (ad alta voce) Che succede? Perché

      sei scuro in volto?

      DEMEA

      Che delinquente!

      SIRO

      Ehi, basta ora! Sei qui a sproloquiare, signor Sotutto?

      DEMEA

      Se tu fossi schiavo mio...

      SIRO

      Saresti ricco, caro Demea, e consolideresti il tuo patrimonio.

      DEMEA

      ...ti riserverei un trattamento esemplare per tutti.

      SIRO

      Perché? Cos'ho fatto?

      DEMEA

      E me lo chiedi? Nel pieno del casino, di fronte a un fatto gravissimo al

      quale si è posto a stento rimedio, voi brindate, delinquente, come per

      festeggiare una prodezza.

      SIRO (a parte)

      Era meglio se non uscivo qui fuori.

      DROMONE SIRO DEMEA

      DROMONE (sulla porta di casa)

      Ehi, Siro, Ctesifone ti prega di tornare dentro.

      SIRO (a voce bassa)

      Sparisci! (Dromone rientra)

      DEMEA

      Di che Ctesifone parla questo qui?

      SIRO

      Niente.

      DEMEA

      Ehi, boia, Ctesifone è mica dentro?

      SIRO

      No.

      DEMEA

      E allora perché questo qui fa il suo nome?

      SIRO

      Si tratta di un altro, un piccolo parassita da strapazzo: non lo conosci?

      DEMEA (dirigendosi verso l'interno della casa)

      Ora vedremo.

      SIRO

      Che fai? Dove vuoi andare? (lo trattiene)

      DEMEA

      Lasciami.

      SIRO

      Non andare, ti dico.

      DEMEA

      Vuoi tenere giù le mani, schiena da frustate? O preferisci che ti spappoli

      il cranio qui, subito.

      SIRO (lasciandolo andare)

      È andato. (Demea entra in casa) Brutto compagno di bagordi, miseria,

      specialmente per Ctesifone! Che posso fare ora? L'unica è che me ne vada

      in un angoletto tranquillo a smaltirmi la sbornia, finché il casino si

      placa: farò così. (si allontana verso un vicolo)

      

      MICIONE DEMEA

      MICIONE

      Ho fatto preparare, come ti avevo detto, Sostrata: quando vuoi... (si

      sente un gran colpo alla porta) Ma chi cavolo è che batte con questa

      furia?

      DEMEA

      Povero me! Che fare? Come comportarmi? Cosa gridare o lamentare? «O cielo,

      o terra, o mari di Nettuno»!

      MICIONE

      Eccotelo qua! Ha saputo tutto, perciò grida, adesso: è chiaro; si prepara

      una discussione: bisogna provvedere di corsa.

      DEMEA (vedendo uscire Micione)

      Eccolo, sta arrivando il pubblico corruttore dei nostri figli.

      MICIONE

      Placa la tua collera una buona volta, e torna in te.

      DEMEA

      L'ho placata e son tornato, e ti invio ogni maledizione possibile:

      esaminiamo la realtà. Non abbiamo concordato (e l'idea è stata tua) che tu

      non ti saresti occupato di mio figlio, né io del tuo? Rispondimi.

      MICIONE

      Certo, non dico di no.

      DEMEA

      Allora perché adesso sta ubriacandosi da te? Perché accogli mio figlio in

      casa tua? Perché gli paghi l'amante, Micione? Ti sembra giusto che io

      abbia meno diritti di te? Che abbiamo da spartire noi due? Visto che io

      non mi occupo del tuo, non occuparti del mio.

      MICIONE

      Non è giusto quel che dici.

      DEMEA

      Ah no?

      MICIONE

      Un vecchio proverbio dice: «Tra amici si divide tutto».

      DEMEA

      Spiritosa questa! Peccato che questo adagio ti nasca in mente solo ora!

      MICIONE

      Stammi un po' a sentire, Demea, se non ti dispiace. In primo luogo, se

      quel che ti tormenta è lo sperperare dei tuoi figli, ti prego di

      riflettere un momento: tu una volta li tiravi su tutti e due secondo le

      tue possibilità, perché pensavi che i tuoi mezzi bastassero per entrambi,

      e, naturalmente, eri convinto che io mi sarei sposato. Tienti pure quella

      tua vecchia convinzione: metti da parte, fa' economia, risparmia, vedi di

      lasciargli il massimo che puoi: tienti pure questo motivo di vanto. Ma

      consenti che usino i miei denari che gli sono piovuti dal cielo

      inaspettati. Dal tuo patrimonio non mancherà un soldo: tutto quello che ti

      verrà da me consideralo guadagnato. Se ci penserai su bene, Demea, la

      smetterai di scocciare me, te e loro.

      DEMEA

      Lasciamo stare il patrimonio: ma il modo di vivere di entrambi...

      MICIONE

      Aspetta: lo so, ci stavo arrivando. Negli uomini, Demea, si possono

      cogliere molti segnali che consentono facili previsioni, per cui, quando

      due fanno spesso la medesima cosa, si è in grado di dire: «Questo il tale

      può farlo senza danno, il talaltro no», non perché sia diversa la cosa che

      hanno fatto, ma perché è diverso chi l'ha fatta. E io questi segnali li

      colgo in loro; perciò ho fiducia che saranno come vogliamo noi. Vedo che

      hanno sale in zucca, sono intelligenti, sono rispettosi, quando è il

      momento si vogliono bene: si capisce che sono generosi d'animo e di

      indole; in qualunque momento potrai ridurli al buon senso. Potrai forse

      temere che al denaro non siano molto attaccati. Caro Demea, noi che

      abbiamo un'altra età siamo certamente più saggi in tutto; la vecchiaia

      porta con sé il solo grosso difetto che badiamo tutti al denaro più del

      necessario: ma questo ci penserà l'età a svilupparglielo.

      DEMEA

      Io temo soltanto che questi tuoi bei ragionamenti e questa tua liberalità

      ci mandino del tutto in malora, Micione.

      MICIONE

      Sta' zitto: non succederà. Piantala con questa lagna; affidati a me oggi:

      rasserena il tuo volto.

      DEMEA

      D'accordo, le circostanze lo richiedono: dovrò farlo. Ma domani, appena

      farà giorno, me ne andrò in campagna con mio figlio...

      MICIONE

      Nel cuore della notte, se ti conosco; però oggi mostrati allegro.

      DEMEA

      ...e insieme con me porterò via di qui anche questa benedetta suonatrice.

      MICIONE

      Avrai da combattere: certo in questo modo tuo figlio puoi trattenerlo lì.

      Bada soltanto di tener d'occhio lei.

      DEMEA

      A questo baderò io: farò in modo che a forza di cucinare e macinare si

      ricopra di cenere, di fumo e di farina; inoltre a mezzogiorno in punto la

      spedirò a raccogliere le stoppie: la farò abbrustolire e diventare nera

      come il carbone.

      MICIONE

      Bene: mi sembra che adesso tu ragioni. Se fossi in te poi, tuo figlio, lo

      costringerei a dormire con lei, anche se non vuole.

      DEMEA

      Che fai, sfotti? Beato te che sei fatto così. Io ho la sensazione...

     

      MICIONE

      Aah, intendi continuare?

      DEMEA

      Basta, basta, la smetto.

      MICIONE

      Vieni dentro, dunque, e trascorriamo come si deve questo giorno di festa!

      

      DEMEA

      A conti fatti, nessuno nella vita è stato tanto bravo che la realtà, la

      vecchiaia, l'esperienza non gli abbiano insegnato qualcosa di nuovo; al

      punto che quel che credevi di sapere non lo sai e quello che mettevi al

      primo posto, alla prova dei fatti, lo scarti. Così è successo a me: la

      vita spiacevole che ho vissuto finora, a traguardo ormai vicino,

      l'abbandono. E questo perché? In realtà ho scoperto che per l'uomo non c'è

      niente di meglio della condiscendenza e della comprensione. Che sia vero

      può facilmente capirlo chiunque, guardando me e mio fratello. Lui ha

      trascorso tutta la sua vita nel dolce far niente, nelle feste, sereno,

      comprensivo, senza offendere nessuno, sorridente con tutti; si è goduto la

      vita e i soldi: tutti ne parlano bene, tutti lo adorano. Io, il selvatico,

      il duro, il cupo, il parsimonioso, il tetro, l'ostinato, mi sono sposato:

      quanti stenti ho conosciuto allora! Ho avuto due figli, altre

      preoccupazioni. Eh, via, mentre mi dannavo per fare il massimo per loro,

      ho consumato la mia vita e i miei anni a risparmiare: adesso, alla fine

      dei miei giorni, il frutto che ricavo da loro in cambio delle mie fatiche

      è l'odio; quell'altro senza faticare si gode i vantaggi che spettano a un

      padre. Lui, lo adorano, a me mi schifano: a lui confidano ogni loro piano,

      gli vogliono bene, stanno entrambi a casa sua, io sono stato abbandonato;

      lui, si augurano che viva, naturalmente; quanto a me, invece, aspettano

      che muoia. Io li avevo tirati su con una fatica enorme, lui se li è

      guadagnati con poca spesa: io mi prendo tutte le disgrazie, lui si gode

      tutte le gioie. Su, su, visto che mi sfida, proviamo a vedere invece cosa

      riesco a combinare con una lusinga o con un gesto benevolo. Anch'io

      desidero essere amato e stimato dai miei cari: se questo si ottiene con la

      generosità e con la compiacenza, non resterò indietro. Mi mancherà il

      denaro? Vecchio come sono non me ne importa nulla.

      

      SIRO DEMEA

      SIRO

      Ehi, Demea, tuo fratello ti prega di non allontanarti troppo.

      DEMEA

      Chi è? O Siro carissimo, salute; che si fa di bello? Come va?

      SIRO

      Bene.

      DEMEA

      Sono proprio contento. (a bassa voce) È la prima volta che contro la mia

      indole ho aggiunto queste tre formule «carissimo, che si fa di bello? Come

      va»? (ad alta voce) Ti riveli uno schiavo non indegno della libertà e

      sarei contento di esserti utile.

      SIRO (stupefatto)

      Te ne ringrazio.

      DEMEA

      Devi credermi, Siro, è vero, e ne avrai le prove concrete quanto prima.

      

      GETA DEMEA (SIRO)

      GETA (rivolto verso l'interno)

      Padrona, vado da questi qua per sapere quando vengono a prendere la

      ragazza. Ma ecco Demea. (andandogli incontro) Salute!

      DEMEA

      Chi mi chiama?

      GETA

      Sono Geta.

      DEMEA

      Geta, oggi in cuor mio ti ho valutato uomo di grandi qualità. Per me uno

      che si occupa del suo padrone come ho capito che fai tu, Geta, è

      certamente uno schiavo di tutto riguardo. Perciò, all'occasione, sarei

      contento di esserti utile. (a bassa voce) Mi propongo di essere cordiale e

      sto andando bene.

      GETA

      Sei buono a pensarla così.

      DEMEA (a bassa voce)

      Adagio adagio per prima cosa mi conquisto la bassa forza.

      

      ESCHINO DEMEA SIRO GETA

      ESCHINO (tra sé)

      Fanno di tutto per rendere solenne questo matrimonio e intanto mi fanno

      morire: perdono l'intera giornata in preparativi.

      DEMEA

      Come va, Eschino?

      ESCHINO

      Oh, eri qui, babbo mio?

      DEMEA

      Sono davvero babbo tuo, accidenti, per cuore e per natura, e ti amo più

      dei miei occhi. Ma perché non fai venire tua moglie in casa?

      ESCHINO

      Io vorrei; ma la flautista e quelli che cantano l'imeneo sono in ritardo.

      DEMEA

      Ehi, vuoi dar retta a questo vecchio?

      ESCHINO

      In che senso?

      DEMEA

      Lascia perdere questa roba: imeneo, cortei, fiaccole, flautiste, e fa

      demolire al più presto questo muretto in giardino: falla passare per di

      qua, forma una sola casa e porta qui da noi anche la madre e tutta la

      famiglia.

      ESCHINO

      Splendida idea, babbo amabilissimo.

      DEMEA (a bassa voce)

      Evviva! Mi chiama già amabile. La casa di mio fratello diventerà un porto

      di mare, ci porterà un sacco di gente, spenderà un'infinità di soldi, ma a

      me che importa? Io sono amabile e mi conquisto simpatie. E adesso ordina

      pure a quel Sibarita di scucire le venti mine. (ad alta voce) Siro,

      cos'aspetti a metterti in azione?

      SIRO

      Che devo fare?

      DEMEA

      Demolisci il muro. (a Geta) E tu va' dalle donne e portale qui.

      GETA

      Che il cielo ti protegga, Demea; vedo che desideri di vero cuore il bene

      della nostra famiglia. (Siro e Geta si allontanano)

      DEMEA

      Penso che se lo meritino. Tu che ne pensi?

      ESCHINO

      Sono d'accordo.

      DEMEA

      È molto meglio che far passare dalla strada la puerpera ancora sofferente.

      ESCHINO

      Niente di più opportuno, babbo caro.

      DEMEA

      Io sono abituato così. Ma ecco Micione che sta uscendo.

      

      MICIONE DEMEA ESCHINO

      MICIONE (verso l'interno con aria incredula)

      È un ordine di mio fratello? Ma dov'è? (scorgendo il fratello) È un tuo

      ordine, Demea?

      DEMEA

      È un mio ordine che in questa e in tutte le altre cose noi rendiamo questa

      famiglia il più unita possibile, la rispettiamo, la aiutiamo e la uniamo

      alla nostra.

      ESCHINO

      Facciamo così babbo, te ne prego.

      MICIONE

      Non sono affatto contrario.

      DEMEA

      Anzi, è giusto che lo facciamo, accidenti! Prima di tutto c'è la madre

      della sposa...

      MICIONE

      Sì. E allora?

      DEMEA

      ...è una donna onesta e riservata...

      MICIONE

      Così dicono.

      DEMEA

      ...piuttosto in là con gli anni...

      MICIONE

      Lo so.

      DEMEA

      ...data la sua età, figli non può più averne e non c'è nessuno che si

      occupi di lei: è sola...

      MICIONE (a parte)

      Dove vuole andare a parare?

      DEMEA

      ...sarebbe giusto che tu (indicando Micione) la sposassi e che tu

      (indicando Eschino) ti occupassi di questo matrimonio.

      MICIONE

      Sposarmi, io?

     

      DEMEA

      Tu.

      MICIONE

      Io?

      DEMEA

      Sì, proprio tu.

      MICIONE

      Sei diventato scemo!

      DEMEA (rivolto ad Eschino)

      Se sei un uomo, devi imporglielo.

      ESCHINO

      Padre!

      MICIONE

      E tu gli dai retta, pezzo d'asino?

      DEMEA

      Non ne esci: non si può fare diversamente.

      MICIONE

      Stai dando i numeri!

      ESCHINO

      Lasciati convincere, padre mio.

      MICIONE

      Ma sei impazzito: lèvati di torno!

      DEMEA

      Su, fa' questo piacere a tuo figlio.

      MICIONE

      Ma ti manca una rotella? A sessantacinque anni dovrei fare lo sposino e

      prendere in moglie una vecchia decrepita? È a questo che volete spingermi?

      ESCHINO

      Fallo: io gliel'ho promesso.

      MICIONE

      Gliel'hai promesso? Senti, ragazzo, fa' il generoso con le cose tue!

      DEMEA

      Suvvia, cosa faresti se ti chiedesse un sacrifico maggiore?

      MICIONE

      Come se questo non fosse il massimo.

      DEMEA

      Fagli questo piacere.

      ESCHINO

      Non farla cadere dall'alto.

      DEMEA

      Prometti che lo farai.

      MICIONE

      Ma volete piantarla?

      ESCHINO

      Non prima di averti convinto.

      MICIONE

      Ma questa è violenza!

      DEMEA

      Su, Micione, di buon grado!

      MICIONE

      Anche se mi sembra una fesseria, una stupidaggine, un'assurdità, una cosa

      che fa a pugni con il mio genere di vita, visto che insistete tanto, va bene.

      ESCHINO

      Saggia decisione. Ho ragione di volerti bene.

      DEMEA

      Tuttavia... (a bassa voce) E adesso che si è fatto quel che volevo, cosa

      posso escogitare?

      MICIONE

      Cosa c'è ancora?

      DEMEA

      Egione... è un loro parente stretto, che ora è anche nostro congiunto, è

      un pover'uomo: sarebbe giusto che facessimo qualcosa per lui.

      MICIONE

      E cioè?

      DEMEA

      C'è quel campicello in periferia che affitti a gente di fuori: diamolo in

      usufrutto a lui.

      MICIONE

      E quello sarebbe un campicello?

      DEMEA

      Anche se è grande, dobbiamo farlo: per lei è come un padre, è buono, è

      della famiglia; si fa bene a darglielo. Ma in fin dei conti non sto

      facendo mia una tua massima, Micione? Una volta mi hai detto molto

      saggiamente: «Il difetto che abbiamo tutti quando siamo vecchi è di essere

      troppo attaccati ai denari». Conviene che noi non ci macchiamo di questa

      colpa. Il tuo discorso è vero e deve essere messo in pratica.

      MICIONE

      Me ne rallegro. Cosa posso dire? Se a Eschino fa piacere, diamoglielo.

      ESCHINO

      Babbo carissimo!

      DEMEA

      Adesso mi sei davvero fratello, carnale e spirituale. (a bassa voce) Lo

      sto facendo morire con le sue stesse armi.

      

      SIRO DEMEA MICIONE ESCHINO

      SIRO

      Ho eseguito quanto mi avevi ordinato, Demea.

      DEMEA

      Sei un brav'uomo. (a Micione) Perciò, accidenti, se posso dire quello che

      penso, ritengo giusto che oggi Siro diventi un uomo libero.

      MICIONE

      Libero lui? E per qual motivo?

      DEMEA

      Per molti motivi.

      SIRO

      Demea carissimo, sei davvero un brav'uomo, accidenti! Io questi due

      ragazzi ve li ho allevati entrambi con cura fin da bambini; li ho

      istruiti, ammaestrati, educati sempre meglio che ho potuto.

      DEMEA (con inflessione ironica)

      Si vede. E inoltre gli hai insegnato anche a organizzare i pranzi con

      cura, a tirarsi in casa le puttane e a banchettare in pieno giorno: non

      sono mansioni di persona dappoco!

      SIRO

      Che burlone!

      DEMEA

      Oggi come ultima cosa si è adoperato per l'acquisto della suonatrice, se

      n'è occupato lui: è giusto ricompensarlo. Altri saranno indotti a fare

      anche meglio. E poi Eschino desidera che si faccia così.

      MICIONE (stupefatto, rivolgendosi a Eschino)

      Desideri così?

      ESCHINO

      Sì.

      MICIONE

      Se è questo che desiderate: ehi, Siro, avvicìnati; (ponendogli la mano sul

      capo) sei libero.

      SIRO

      È un atto generoso. Ringrazio tutti, ma soprattutto e in particolare te,

      Demea.

      DEMEA

      Sono proprio contento.

      ESCHINO

      Io pure.

      SIRO

      Lo credo. Magari, per completare questa gioia, potessi vedere libera anche

      Frigia, mia moglie!

      DEMEA

      Donna veramente di specchiati costumi.

      SIRO

      E poi oggi, è stata lei ad allattare per la prima volta, tuo nipote, il

      figlio di Eschino, qui.

      DEMEA

      Accidenti, se davvero è stata lei ad allattarlo per prima, non c'è dubbio

      che deve essere libera.

      MICIONE

      Per il fatto che lo ha allattato?

      DEMEA

      Per l'appunto. Del resto ti indennizzerò io per quello che vale.

      SIRO

      O Demea, il cielo possa esaudire sempre tutti i tuoi desideri!

      MICIONE

      Ti è andata bene oggi, Siro!

      DEMEA

      Se poi, Micione, vorrai fare la tua parte fino in fondo e gli metterai in

      mano una sommetta (indica un numero con le dita) per le prime necessità,

      te la renderà presto.

      MICIONE

      Sì, però meno di così.

      DEMEA

      È un galantuomo.

      SIRO

      Te la renderò, accidenti; ora però dammela.

      ESCHINO

      Su, babbo!

      MICIONE

      Ci penserò più tardi!

     

      DEMEA (con un gesto rassicurante per Siro)

      Lo farà.

      SIRO

      Quanto sei buono!

      ESCHINO

      Che padre simpatico!

      MICIONE (a Demea)

      Ma cos'è successo? Che cosa ti ha fatto cambiare d'un tratto le tue

      abitudini? «Che capriccio è mai questo? Cos'è quest'improvvisa

      generosità»?

      DEMEA

      Ti dirò: per dimostrarti che questi qua ti considerano generoso e

      simpatico non perché hanno una sana concezione della vita e meno che mai

      per giustizia e onestà, ma solo perché tu li lusinghi e li gratifichi,

      Micione. Ora però se questo è il motivo per cui odiate il mio modo di

      vivere, Eschino, siccome, giuste o ingiuste che siano, non amo le

      posizioni radicali, la faccio finita: spendete, spandete, fate quel che vi

      pare. Se però c'è qualcosa che, siccome siete giovani, vedete meno bene,

      desiderate troppo, non ponderate abbastanza, se vi fa piacere che io

      intervenga, vi corregga o, quando è opportuno, vi assecondi, eccomi qua a

      vostra disposizione.

      ESCHINO

      Ci rimettiamo a te, padre, tu sai meglio di noi quel che bisogna fare. Ma

      di mio fratello, che ne sarà?

      DEMEA

      D'accordo, se la tenga pure: ma che sia l'ultima.

      MICIONE

      Questo è giusto.

      CANTORE (agli spettatori)

      E voi applaudite.

CALA LA TELA