I nostri cari bambini

Stampa questo copione

I nostri cari

I NOSTRI CARI BAMBINI

Commedia in tre atti

di NICOLA MANZARI

PERSONAGGI

MARILDE, 38 anni, avvocato, madre di RIRI', 16 anni, studente

MARCO, 45 anni, ingegnere, padre di

GRAZIA, 15 anni, studentessa

IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DEI MINORENNI, 50 anni

GIU­LIETTA, 25 anni, cameriera.

Oggi, in una grande città. Nello studio-soggiorno di Ma­tilde. L'azione si svolge in un giorno di primavera dalle nove del mattino a mezzanotte.

ATTO PRIMO

(Salotto-studio in casa di Marilde, avvocatessa, Mobili di gusto che rivelano la contaminazione fra l'attività professionale di Marilde e le sue capacità domestiche. Libreria, scrivania da lavoro, macchina ia scrìvere, ma anche radiogrammofono, bar, ecc. Una scala di legno conduce alle stanze superiori. Sono le nove di un mattino di sole. Al levarsi del sipario sono in scena Marilde e Giulietta. Marilde è ancora una donna giovane e piacente, vigorosa, dinamica, energica; ma che sa anche essere dolce, comprensiva, umana. Giulietta è una giovane cameriera, in grembiule bianco e cresta. Giulietta è se­duta su di una sedia e piange. Marilde, in piedi, h osserva, perplessa).

Marilde                         - Adesso basta. Le lacrime sono inutili. Dovevi pensarci prima.

Giulietta                        - (frignando) Io ci ho pensato prima... Penso sempre a queste cose quando esco con un uomo. E' dopo, in quei cinque minuti che non ci penso più, e allora...

Marilde                         - Piccina mia, sai bene che per certe faccende il tempo non ha importanza. (Giulietta piange più forte) Su su. Adesso smettila. Ormai il male è fatto e bisogna riparare. Io ti aiuterò.

Giulietta                        - (con slancio) Oh, grazie, signora. Lei è così buona! (Le prende le mani).

Marilde                         - (liberando le mani) Ma esigo la ve­rità. Tutta la verità. Chi è il padre del piccino?

Giulietta                        - (candida) Non lo so.

Marilde                         - Come? Non conosci l'uomo con cui...

Giulietta                        - Per conoscerlo, lo conosco anche troppo. Ma non sono sicura che sia stato lui. Ecco.

Marilde                         - (scandalizzata) Vuoi dire che sei an­data con altri, oltre il tuo fidanzato?

Giulietta                        - (semplice) Per forza. Una povera ragazza come fa a fidarsi di un uomo solo al giorno d'oggi?

Marilde                         - Cosi, ne avevi uno di riserva?

Giulietta                        - Due.

Marilde                         - Due?

Giulietta                        - Sì. Volevo esser certa che qualcuno mi sposasse. Col mio fidanzato sono tre anni che faccio l'amore e non si decide mai a condurmi in chiesa. Dice che i tempi non sono maturi.

Marilde                         - Quali tempi?

Giulietta                        - La situazione internazionale. Guerra calda. Guerra fredda. Allora preferisce aspettare.

Marilde                         - E tu, intanto...

Giulietta                        - (frignando) Oh, povera me! Adesso lei non mi aiuterà più.

Marilde                         - Io, come avvocato, potrei anche costrin­gere il padre del bambino a fare il suo dovere. Ma se nemmeno tu sai chi è...

Giulietta                        - Un dubbio, veramente, ce l'ho...

Marilde                         - Con i dubbi non si imbastiscono cause. Ci vogliono prove per i giudici. Prove precise. Irre­futabili. Capisci?

Giulietta                        - Allora non posso far nulla.

Marilde                         - Qualche cosa faremo. Intanto man­derò a chiamare il tuo fidanzato e gli parlerò. Se lui ti vuole veramente bene...

Giulietta                        - Oh, per questo, sì...

Marilde                         - Gli prometterò un aiuto finanziario; se ti sposa subito.

Giulietta                        - (grata) Oh, signora...

Marilde                         - Dove lavora?

Giulietta                        - Al gas.

Marilde                         - Conosco l'amministratore delegato. Ve­dremo di migliorare il suo stipendio.

Giulietta                        - Lo sapevo che m'avrebbe aiutata. Perciò le ho confessato tutto. Lei è così buona.

Marilde                         - Sì, ma non fino al punto di tenerti ancora qui.

Giulietta                        - Come? mi licenzia?

Marilde                         - Per forza. Non vorrai che tenga una nelle tue condizioni accanto al mio bambino...

Giulietta                        - Ma il signorino... non è un bambino.

Marilde                         - E' un ragazzo. E' lo stesso. No, Giu­lietta, su questo punto sono irremovibile. Dovrai andartene. Oggi stesso.

Giulietta                        - Non mi dà nemmeno gli otto giorni?

Marilde                         - Te li pago. Ma qui non puoi restare. Rirì è un ragazzo semplice, ingenuo. Ma a lungo andare potrebbe intuire qualche cosa... Ieri, quando sei svenuta in cucina e hai rotto tutti quei piatti, lui s'è spaventato, povero piccolo. Voleva sapere assolutamente perché ti eri sentita male. Gli ho inventato che avevi preso un colpo di sole in ter­razza nello stendere i panni... e s'è calmato. Ma la prossima volta che gli racconterò?

Giulietta                        - La prossima volta starò più attenta... e non romperò i piatti.

Marilde                         - Non dipende da te, svenire o meno. No, Giulietta, la sola idea che mentre io sono in tribunale al mattino, tu giri per casa sotto gli occhi di Rirì, adesso mi fa rizzare i capelli. Rirì è tutto per mc. sono gelosa del suo candore, della sua fresca innocenza di ragazzo. Me n'è costata però di fatica, sai... Ho dovuto sorvegliare le sue ami­cizie, le sue letture, persino le telefonatc. sono stata la sua compagna di giochi, la sua confidente, la sua amica... Ma oggi posso essere soddisfatta. Rirì non somiglia a nessuno dei ragazzi della sua età... E solo chi ha, come me, consuetudine con le aule giudiziarie, sa di che cosa sono capaci i ragazzi d'oggi. Ne ho difesi tanti al Tribunale dei minorenni. E spesso gratis, perché in ognuno di quegli sciagurati mi pareva di difendere un po' l'innocenza di mio figlio.

Giulietta                        - Oh, il signorino è un ragazzo serio.

Marilde                         - L'hai detto.

Giulietta                        - Nelle altre case dove sono stata, i signorini, prima o poi, venivano a bussare alla mia camera la notte.

Marilde                         - Giulietta!

Giulietta                        - E' la verità. Io li ho messi sempre a posto, perché di fidanzati, sì, ne prendo finché ce n'è, ma dai figli dei padroni neppure un pizzi­cotto. Tanto lo so come andrebbe a finire...

Marilde                         - Perciò, perché non vada a finire come tu pensi, è meglio che tu te ne vada. Aspetta­la ad un cassetto della scrivania, prende del da­naro, lo conta) Ecco. Qui ci sono due mesi di sa­lario. E sai che puoi contare sempre su di me... Anzi, lasciami il nome del tuo fidanzato.

Giulietta                        - Mario Ravelli. Società del gas.

Marilde                         - (scrivendo) Società del gas. Gli scri­verò oggi stesso.

Giulietta                        - Non lo spaventi. Altrimenti non lo vedo più.

Marilde                         - Sta' tranquilla. So come parlargli.

Giulietta                        - (con sincera ammirazione) Oh, lei è così brava. Tutti lo dicono. Ieri il giornale par­lava tanto di lei. Solo cinque anni alla cassiera che uccise suo marito...

Marilde                         - (semplice) Sì. Le ho fatto riconoscere la provocazione grave. Tutta una vita di lavoro avvelenata dall'incomprensione e dai' maltrattamenti di un uomo: se, alla fine, i nervi cedono e la donna spara un colpo di rivoltella, chi è il vero colpevole? Lei o lui che l'ha quasi costretta a quel gesto? (Giulietta sta per rispondere, ma è interrotta da una freccia che viene a conficcarsi sulla parete, al centro di un calendario a muro. "La freccia è stata scoccata dall'alto della scala. Ma non si vede nessuno).

Marilde                         - (senza adirarsi, come abituata a tali scherzi, indica la freccia a Giulietta) Rirì.

Giulietta                        - (calma) Sì. Il signorino si è alzato.

Marilde                         - (togliendo la freccia dal calendario) Rirì, è questo il buon giorno che dai a tua madre? Dove sei? Rispondimi.

Rirì                                - (senza mostrarsi) Cucù!

Marilde                         - Avanti, scendi. La colazione è pronta.

Rirì                                - (c. s.) Cucù.

Giulietta                        - (sottovoce) Signora, posso almeno restare fino a stasera?

Marilde                         - (sottovoce) Se proprio non sai dove andare... Ma stanotte, no. Intesi?

Giulietta                        - Sì, signora. (Si avvia) Grazie.

Marilde                         - (chiamando) Rirì.

Rirì                                - Cucù. (Appare sulle scale. E' un ragazzo sui sedici anni, sveglio e simpatico. Indossa pan­taloni sportivi con i calzettoni sotto il ginocchio e camicia aperta sul petto. Ha in mano un arco e una bandoliera di frecce a tracolla. Fermo in cima alle scale, fa il gesto di scoccare una freccia mentre grida): Attenzione, Giulietta, ti trafiggo! (Giulietta dà un grido quasi isterico e fugge via).

Marilde                         - (inquieta, a Rirì) Sei pazzo?

Rirì                                - (sganasciandosi dal ridere) S'è spaventata la sciocca! Ah! Ah! (Inforca la ringhiera delle scak e vien giù a cavalcioni fino quasi ad investire Marilde) Urrà! Il nemico è in fuga.(Indica la porta da cui è fuggita Giulietta) Che scema!

Marilde                         - Smettila! L'hai spaventata veramentc. sai che può essere pericoloso?

Rirì                                - (stupito) Pericoloso? Perché?

Marilde                         - (confondendosi) Perché Giulietta... In­somma non voglio che tu dia confidenza alla ca­meriera...

Rirì                                - Che c'è di male? Al massimo le buco il popò. (Fa l'atto di scoccare la freccia).

Marilde                         - Rirì, che parole son queste?

Rirì                                - Senti, mammina, se m'hai comprato l'arco e poi non ci posso giocare... allora riprendilo.

Marilde                         - (rabbonita) Non dico questo... L'im­portante è che tu non scambi la casa per un « ranch » del Far West.

Rirì                                - Nelle istruzioni sull'uso dell'arco è scritto che bisogna esercitarsi su bersagli mobili. Ora di bersagli mobili qui non ci siete che tu e Giu­lietta. Te, devo escluderti...

Marilde                         - Grazie, caro.

Rirì                                - Come vedi, resta Giulietta. (Dà un bacio).

Marilde                         - (ricambiando il bacio) Ragazzaccio! Fatti vedere. (Lo scruta) Hai dormito bene?

Rirì                                - (lirico) Come una gazzella nella prateria!

Marilde                         - IL tuo linguaggio a fumetti... Che or­rore! Beh, adesso fa' colazione mentre io faccio un salto in tribunale. Mi sbrigo subito. Oggi ho soltanto un furterello, un borseggio in tram. Poi torno e andiamo da zia Lilli. (Lo fa sedere e gli allaccia un tovagliolo al collo).

Rirì                                - (deluso) Da zia Lilli? Oh, mamma...

Marilde                         - Perché non ti va? Zia Lilli è molto gentile con te!

Rirì                                - Anche troppo. Mi sbaciucchia come un cagnolino e mi asfissia con le sue premure.

Marilde                         - (spalmandogli un panino di marmellata) Zia Lilli è la sorella del povero babbo. E' sola al mondo e tu sei il suo unico nipote.

Rirì                                - (cominciando a mangiare) Insomma tu speri che crepi e mi lasci i suoi soldi!

Marilde                         - (gridando) Rirì!

Rirì                                - Non contare su zia Lilli. Ci seppellisce tutti, quella Befana.

Marilde                         - Va bene. Non andremo da zia Lilli. Ti condurrò al Museo delle Terme.

Rirì                                - Sono stufo di Musei.

Marilde                         - Andremo allo Zoo. C'è l'elefantino che proprio ieri hanno svezzato.

Rirì                                - Me ne infischio degli elefanti.

Marilde                         - Ma, bimbo mio, cosa faremo allora? Vuoi che ti accompagni al pattinaggio?

Rirì                                - No.

Marilde                         - Al tennis?

Rirì                                - No.

Marilde                         - Al Luna Park?

Rirì                                - No.

Marilde                         - Scegli tu. Io faccio quello che vuoi...

Rirì                                - Voglio uscire solo.

Marilde                         - (sbigottita) Da solo? Con tutte le macchine che sono in giro? Senza di me?

Rirì                                - Sì.

Marilde                         - Perché? Ti annoi con la mamma?

Rirì                                - No, non è per questo.

Marilde                         - E allora?

Rirì                                - Non voglio più che i miei amici mi ri­dano dietro.

Marilde                         - Ridono di me?

Rirì                                - Di tutti e due.

Marilde                         - (delusa) Oh, se le cose stanno così...

Rirì                                - Non te la prendere, mammina. E' da tanto tempo che volevo dirtelo... Sai come mi chiamano a scuola?

Marilde                         - No.

Rirì                                - Cocco di mamma.

Marilde                         - (colpita) Oh!

Rirì                                - E a te... la balia!

Marilde                         - La ba... Oh, Rirì, ti prendono in giro. Monellacci! Ma perché, perché non me lo hai mai detto?

Rirì                                - Oh, tante cose dovrei dirti...

Marilde                         - Tu a me?...

Rirì                                - Sì. (Serio) Mamma, devo parlarti.

Marilde                         - (lo scruta) Non ti senti bene?

Rirì                                - Sto benissimo.

Marilde                         - Ma allora...

Rirì                                - E' un discorso serio.

Marilde                         - Mi spaventi, piccino mio... Non mangi più?

Rirì                                - No. (Si alza).

Marilde                         - Avanti, dimmi tutto. Di che si tratta?

Rirì                                - (intimorito) Non è facile.

Marilde                         - Perché tanti misteri? Su. Non hai più confidenza con la tua mammina? Aspetta. Forse indovino. Sì. Vuoi che ti compri quel bigliardino che vedemmo l'altro giorno...

Rirì                                - Se cominci così...

Marilde                         - Va bene. Non parlo più. Dimmi tutto.

Rirì                                - (con uno sforzo) Ecco. Devi sapere che io...

Marilde                         - (con ansia) Che tu?...

Rirì                                - Io... (Squilla il telefono).

Marilde                         - Scusa un momento. (Al telefono) Pronto. Sì, sono io... Come, l'udienza è già iniziata? Ma che ore sono? (Guarda l'orologio) Oh, le nove e mezzo... No, no, vengo subito. Preghi il giudice... Sì, sarò lì fra dieci minuti... avverta l'imputato. Grazie. (Depone il microfono. Chiama) Giulietta!

Giulietta                        - (apparendo) Signora.

Marilde                         - La toga, per favore. Presto. (Giu­lietta esce. A Rirì) Avevo dimenticato quel poverac­cio del mio difeso. E' vero, che è al suo diciotte­simo borseggio in tram. Uno specialista. Figurati che lo chiamano «Mani di fata»... (Mettendo dei fogli in una borsa d'avvocato) Ma non è una buona ragione che io lo pianti lì... (In fretta) Ma tu dovevi parlarmi... Bene, fra mezz'ora sono di ritorno e sarò a tua disposizionc. se si tratta di un regalo, non farti scrupolo... Purché sia una somma ragionevole, ti compro quello che vuoi...

Giulietta                        - (tornando con la toga) Ecco, signora.

Marilde                         - (prendendo la toga e buttandosela sul braccio) Grazie, Giulietta. Ciao, Rirì. Sta buono. E vestiti che poi usciamo. (Esce in fretta. Rirì prende una statuina e la scaraventa in terra dove va in mille pezzi).

Giulietta                        - (con un grido) Signorino!

Rirì                                - (a Giulietta) Va al diavolo!

Giulietta                        - (chinandosi a raccogliere ì pezzi) Povera signora, una statuina cui teneva tanto.

Rirì                                - Me ne infischio!

Giulietta                        - Non sta bene parlare così. La mamma fa tanti sacrifici per lei.

Rirì                                - Tutte le mamme ne fanno. Ci provano gusto.

Giulietta                        - Forse. Ma la sua mamma è ancora giovane potrebbe uscire da sola, divertirsi...

Rirì                                - Magari!

Giulietta                        - E invece se ne sta qui tutto il giorno a sgobbare dietro le cause o a farle com­pagnia. E tutto quello che guadagna spende per lei.

Rirì                                - Di che t'impicci tu? Pensa ai tuoi soldati.

Giulietta                        - (sbalordita) I miei soldati?

Rirì                                - Credi che non mi sia accorto che la notte quando la mamma dorme, tu esci a spasso con l'esercito?

Giulietta                        - (piccata) Scusi, e lei come fa a saperlo?

Rirì                                - T'ho vista sui prati...

Giulietta                        - Segno che anche lei la notte non dorme.

Rirì                                - Sono affari miei.

Giulietta                        - Ho sempre sospettato che lei non fosse quell'angioletto che sua madre crede. Ma fino a questo punto...

Rirì                                - Sei una povera grulla. Io sono un uomo. E da un pezzo.

Giulietta                        - Affari suoi. Ma accetti un consi­glio. Non lo dica a sua madre, se non vuole che le venga un colpo, povera signora!

Rirì                                - So regolarmi da me. E adesso fila! La tua presenza mi indispone!

Giulietta                        - Vado! Vado! E se vuol saperlo, me ne vado per sempre. (Si avvia).

Rirì                                - (calmo) Lo so: aspetti un bambino.

Giulietta                        - (lasciando cadere i pezzi della sta­tuetta) Cosa?

Rirì                                - (c. s.) Ma sì, è chiaro. E' una settimana che boccheggi come un pesce. E svieni ogni cinque minuti. Puoi imbrogliare mamma, ma non me.

Giulietta                        - (sgomenta) Oh, santo cielo! Ma lei... lei è un mostro! (Si allontana spaventata).

Rirì                                - (calmo) Sono un uomo. Te l'ho detto. (Un suono di campanello).

Giulietta                        - Hanno suonato.

Rirì                                - E' per me. Vado io. Tu raccatta tutto e fila. (Esce in fretta).

Giulietta                        - (raccattando i pezzi della statuina) Anche questa doveva capitarmi. Un ragazzo! Due sculaccioni gli darei... (Ma si arresta perché sulla soglia è apparso Rirì con Grazia, una ragazzina sui quindici anni che ha dei libri sotto il braccio. E' vestita da bambina, le trecce lunghe, le calze corte).

Rirì                                - (a Giulietta) Hai finito?

Giulietta                        - Ecco. Un momento.

Rirì                                - Fila!

Giulietta                        - - Ma se la signora sa... (Indica Grazia).

Rirì                                - Avanti. Non farmi spazientire. (Giulietta lentamente si avvia. Sulla soglia si ferma, per­plessa. Ma Rirì la spinge fuori e chiude la porta. Quasi subito la porta sì riapre e si affaccia Giu­lietta).

Giulietta                        - Almeno lasci la porta aperta! (Rirì prende un calammo e fa il gesto di scagliarglielo contro. Giulietta esce precipitosamente, richiudendo la porta).

Rirì                                - Ecco fatto. Adesso siamo tranquilli.

Grazia                           - Ho pochi minuti. Babbo mi crede a scuola.

Rirì                                - (va verso il bar) Bevi qualcosa?

Grazia                           - Figurati! A quest'ora... Piuttosto hai una sigaretta?

Rirì                                - Sì, devo averne giusto una. (Si fruga nelle tasche).

Grazia                           - Fumare distende i nervi. E io ne ho bisogno dopo le emozioni della giornata.

Rirì                                - Com'è andata con tuo padre

Grazia                           - Un disastro. Ti racconterò... Allora ce l'hai questa sigaretta

Rirì                                - (che finalmente l'ha trovata) Eccola.

Grazia                           - Ne hai una sola?

Rirì                                - Non importa. Fuma tu. (Le dà la sigaretta che Grazia accende con dei fiammiferi che trae dalla cartella di scuola).

Grazia                           - Dopo te la passo.

Rirì                                - Fa' pure.

Grazia                           - E tu hai parlato con tua madre?

Rirì                                - Ho tentato. Avevo appena cominciato, quando è stata chiamata in tribunale.

Grazia                           - Come, non le hai ancora detto nulla? Ma se eravamo d'accordo.

Rirì                                - Sì: lo so. Ma, vedi, con mia madre non è facile parlare di certe cose.

Grazia                           - Perché, credi che con mio padre Io sia? Eppure io gliel'ho detto. (Passeggiando nervosa) Adesso siamo in un bel pasticcio.

Rirì                                - (impressionato) Perché?

Grazia                           - Perché mio padre viene qui.

Rirì                                - (spaventato) Qui?

Grazia                           - Ma certo. Cosa t'aspettavi? Che lasciasse correre? C'è stata una scena terribile. M'ha per­sino picchiata. Mai l'aveva fatto. Sono i primi schiaffi che prendo da lui. Ho la testa come un pallone.

Rirì                                - Oh, povera Grazia!

Grazia                           - E bastasse questo. E' furente contro di te. Ha detto che se ti prende...

Rirì                                - Dio mio!

Grazia                           - Coraggio, Rirì. Io la mia parte l'ho avuta. Adesso tocca a te, ma dopo, tutto si acco­moderà.

Rirì                                - Speriamo.

Grazia                           - Certo, il colpo è stato duro, povero papà. Per lui io ero un giglio. (Indifferente) Ma si ras­segnerà. Tieni la cicca. (Gli fossa il mozzicone di sigaretta).

Rirì                                - Grazie. Non ne ho più voglia. (Comincia a sua volta a passeggiare nervoso) Hai detto che viene qui?

Grazia                           - Sì. Voleva venirci subito. Poi ha cam­biato idea. Vuol prima consultarsi con il suo avvo­cato.

Rirì                                - (sgomento) L'avvocato? E perché?

Grazia                           - (calma) Credo che voglia denunciarti.

Rirì                                - (c. s.) La prigione? Io non voglio andare in prigione...

Grazia                           - Tua madre non è avvocato?

Rirì                                - Sì. E con ciò?

Grazia                           - Ti difenderà lei. E poi mi sono infor­mata. Tu sei minorenne. Come me. Non potranno farti nulla.

Rirì                                - Sei sicura?

Grazia                           - Sì. Basta che io dichiari ai giudici che non c'è stata violenza da parte tua. E quello che abbiamo fatto l'abbiamo fatto d'amore e d'accordo. Ma vedrai che in tribunale non ci arriveremo. Mio padre teme troppo lo scandalo! E' così borghese poveruomo. (Ridendo) Avessi sentito come stril­lava: "l'onore... la dignità... il nome... la famiglia!". E si riempiva la bocca con queste grosse parole senza senso.

Rirì                                - In che pasticcio ci siamo cacciati. Ah, se potessi tornare indietro!

Grazia                           - Sai bene che non si può. Ormai biso­gna lasciare che le cose vadano per il loro verso. (Volubile) Sai che hai una casa mica male?

Rirì                                - Ti piace?

Grazia                           - (con un mugolio) Uhm. Solo butterei via tutti quei libri. (Indica la libreria) Stonano.

Rirì                                - Mamma ci tiene tanto. Sono libri giuri­dici. Li legge sempre.

Grazia                           - È' straordinario l'attaccamento dei vecchi per le cianfrusaglie! Anche papà, guai a toc­cargli i suoi compassi!

Rirì                                - Mamma, non è vecchia.

Grazia                           - (indifferente) No? Meglio così. Vuol dire che incasserà il colpo con meno storie di papà. (Indicando il radiogrammofono). Di', ce l'hai il disco di « Rock and Roll »?

Rirì                                - No.

Grazia                           - Peccato. E' fantastico. Non trovi?

Rirì                                - Sì.

Grazia                           - Io lo suono sempre. A papà invece dà sui nervi. A lui piace Wagner, quella "lagna"... Be', adesso vado. Se papà telefona a scuola e sa che oggi è vacanza, figurati che strazio! (Dalla porta fa capolino Giulietta, a spiare).

Rirì                                - (irritato, a Giulietta) Che vuoi?

Giulietta                        - (confusa) Niente. Niente.

Rirì                                - E allora sparisci. (Giulietta si ritira).

Grazia                           - (a Rirì) Sai che è una bella « pizza » quella donna? Perché la tieni?

Rirì                                - Proprio oggi l'ho licenziata.

Grazia                           - Hai fatto bene. E' un'impicciona. (Si avvia) Ciao.

Rirì                                - Ciao.

Grazia                           - E fammi sapere subito com'è andata con tua madre.

Rirì                                - Ti telefono.

Grazia                           - Sì. Al solito. Prima due squilli, poi riaggancia e rifà il numero.

Rirì                                - D'accordo. (Grazia esce. Rimasto solo Rirì si aggira inquieto per la stanza. Poi va allo spec­chio e inizia la prova del discorso che terrà a sua madre) Mamma, preparati ad una grave notizia. Sarà meglio che ti siedi perché potresti svenire... Dunque, devi sapere che io non sono io... Voglio dire che non sono più un ragazzo. (Smontato) No, non va. (Va al har, si versa un bicchierino di cognac) Ecco. (Lo beve dì colpo; tossisce) Adesso va meglio. Ricominciamo. (Viene al centro della scena e, ri­volto al divano) Mamma, nella vita di ogni uomo giunge il momento in cui bisogna assumere le pro­prie responsabilità... (Marilde appare sulla porta. Rirì di spalle, non la vede. Marilde ha sempre la toga sul braccio. Rirì, con foga, continuando) Ogni colpa può essere riscattata dal pentimento. Perciò. io voglio dire...

Marilde                         - (con un grido di gioia) Rirì!

Rirì                                - (confuso, per la presenza della madre) Mamma, sei qui!

Marilde                         - (avanza esultante) Che gioia, Rirì caro. Bravo! T'ho sentito. Immaginavi di essere in tribu­nale alla tua prima arringa. Oh, il mio sogno! Av­vocato, anche tu! L'ho sempre sperato. Ma non osavo dirtelo. Erediterai il mio studio, continuerai l'opera mia, sarai un celebre penalista un giorno. Lascia che ti abbracci, bimbo mio! « Ogni colpa può essere riscattata dal pentimento!». Bella frase! D'ef­fetto. Oh, Rirì. (Lo abbraccia quasi soffocandolo).

Rirì                                - (tentando di svincolarsi) Mamma.

Marilde                         - (baciandolo) Piccolo mio. Aspetta. (Gli butta sulle spalle la toga) Indossala. Voglio vedere come stai.

Rirì                                - (c. s.) Ma no, mamma.

Marilde                         - Perché? Un giorno l'indosserai anche tu. Prima comincerai dalla pretura. Si comincia sempre di lì. Ma è in Corte d'assise che ti voglio vedere!

Rirì                                - (con un brivido) In Corte d'assise!

Marilde                         - Sì. In Corte d'assise. Ci arriverai, lo sento.

Rirì                                - (cupo) Se lo dici tu...

Marilde                         - Ma certo. (Indicandogli la toga) A-spetta che ti aiuto. Ecco. (Gliela riassetta) Così. Ma­gnifico. Lasciala ampia sul petto. E adesso cam­mina. Dà questa soddisfazione a tua madre! (Rirì fa qualche passo di malavoglia. Marilde chiamando) Giulietta! Giulietta, vieni a vedere.

Rirì                                - No, Giulietta no. (Si toglie la toga).

Marilde                         - Perché no? Vorrei che tutti ti ammi­rassero. Ma da qualche giorno sei così ombroso, Rirì...

Rirì                                - Chiamami « Riccardo ».

Marilde                         - Riccardo? Che idea!

Rirì                                - Il mio nome è Riccardo.

Marilde                         - Ma t'ho sempre chiamato Rirì. Per­ché dovrei chiamarti Riccardo?

Rirì                                - Perché sono un uomo.

Marilde                         - Un uomo, tu? (Ride divertita).

Giulietta                        - (affacciandosi) Ha chiamato, si­gnora?

Marilde                         - (a Giulietta) Scusami, non ho più bisogno. (Giulietta fa per ritirarsi).

Rirì                                - (a Giulietta) Aspetta, tu. (Giulietta si fer­ma) Chi c'era qui poco fa?

Giulietta                        - (perplessa) Qui?

Rirì                                - (minaccioso) Sì. Qui. Rispondi?

Giulietta                        - (c. s.) Ma io...

Marilde                         - Insomma, che storia è questa? Chi è'venuto, Giulietta?

Rirì                                - Una ragazza. (A Giulietta) Vero?

Giulietta                        - Sì. Ma io, signora non volevo la­sciarla entrare. E' stato il signorino...

Marilde                         - Una ragazza? Chi è? La conosco?

Rirì                                - No. Non la conosci. (A Giulietta) Adesso puoi andare.

Giulietta                        - Io, signora, non volevo. Mi sono anche affacciata alla porta.

Rirì                                - (spingendo Giulietta) Fila, scema!

Giulietta                        - Ehi, che modi! (Rirì spinge fuori Giulietta e chiude la porta).

Marilde                         - (a Rirì) Adesso mi spiegherai...

Rirì                                - (deciso) Certo che ti spiegherò. E' tutta la mattina che cerco di dirtelo. Però prima siedi.

Marilde                         - Perché?

Rirì                                - Potresti svenire. (Tenta di condurla verso il divano).

Marilde                         - Sto benissimo in piedi. Avanti, raccontami questa tua ultima birichinata.

Rirì                                - Chiamala birichinata!

Marilde                         - Cos'è allora?

Rirì                                - In piedi m'intimidisci. Ti prego: siediti.

Marilde                         - (sedendo) E va bene. Ma sbrigati. Altrimenti faremo tardi ad uscire.

Rirì                                - Non credo che avrai più voglia di uscire, quando avrai saputo. (Una pausa) Dunque, sta' a' sentire... Aspetta, bevo prima qualcosa. (Va verso il bar).

Marilde                         - No, Rirì. Lo sai che io non voglio che tu beva i liquori.

Rirì                                - Solo un goccino, mamma. Ti prego. Ho un nodo proprio qui. (Indica la gola).

Marilde                         - Solo un dito. Bada. Altrimenti non cresci!

Rirì                                - Sì. (Si versa da bere. Tracanna di colpo, Poi avanza verso il divano) Ecco. Va meglio. Ades­so ho più coraggio. Dunque... sai chi era la ragazza che è venuta qui, stamattina?

Marilde                         - Una tua compagna di scuola.

Rirì                                - Sì. Ma è anche la mia... (S'interrompe perché appare Giulietta).

Giulietta                        - C'è un signore che desidera parlarle, signora.

Marilde                         - (a Giulietta) Lo sai che i clienti li ricevo il pomeriggio. Digli di ripassare.

Giulietta                        - Dice che è urgente.

Marilde                         - Fallo aspettare. Avanti, Rirì: ti ascolto.

Rirì                                - (a Giulietta) Un momento. E' un tipo piut­tosto alto, magro, bruno?

Giulietta                        - Sì, proprio così. Sembra molto ner­voso.

Rirì                                - (agitatissimo) Oh, mio Dio. E' lui. Così presto.

Marilde                         - Calmati, Rirì. Chc. succede?

Rirì                                - (sempre più agitato) E' lui. Il padre!

Marilde                         - Quale padre? Fermati. Rispondi!

Rirì                                - (c. s.) Il padre! Mandalo via. Io non ci sono. Non voglio vederlo. (E corre via salendo precipito­samente le scale fino a scomparire).

Marilde                         - (gridando) Rirì!

Rirì                                - (tornando ad affacciarsi in cima alle scali) Non mi chiamare. Io sono uscito. Fuggito. Morto. (Scompare).

Marilde                         - (resta un attimo perplessa, poi a Giulietta) Fallo passare.

Giulietta                        - Sì, signora. (Esce. Marilde va m sedersi dietro la scrivania. Prende un atteggiamento professionale).

Marco                            - (d. d.) Permesso?

Marilde                         - Avanti.

rilde..

Marco                            - (entra. E' un uomo di circa quarantacinque anni, dall'eleganza sobria e un po' severa, ma dal viso aperto e simpatico) Mi scusi, se ho insistito... (Si arresta di colpo, stupefatto).

Marilde                         - (levandosi dalla scrivania con la stessa espressione di stupore) Ma lei è...

Marco                            - (con voce soffocata dall'emozione) Ma­rilde... sei proprio tu?...

Marilde                         - (con voce spenta, dolorosa) Marco! (L'emozione soffoca entrambi. Si guardano ancora. Una pausa).

Marilde                         - Marco, tutto avrei potuto supporre... mai che tu fossi in città.

Marco                            - Ci vivo. Da due anni.

Marilde                         - Da due anni! E non ci siamo mai in­contrati!

Marco                            - La vita è bizzarra a volte! Si diverte a creare situazioni come queste... Mai avrei immagi­nato venendo qui... Oh, adesso tutto diventa più difficile, tremendamente più difficile!

Marilde                         - Si direbbe che ti penta di avermi rivista!

Marco                            - Dio solo sa se sono felice! Ho sempre sperato di rincontrarti un giorno! T'ho anche cer­cata appena ritornato in Italia. Ma nessuno ti co­nosceva.

Marilde                         - Ho cambiato città dieci anni fa. E adesso faccio l'avvocato col mio cognome di ragazza.

Marco                            - Ah, è per questo... Chi poteva imma­ginare che tu avessi cambiato cognome!

Marilde                         - Non ho cambiato cognome. Ho sem­plicemente ripreso il mio. Dopo la disgrazia, non ho voluto nulla dalla famiglia di mio marito. Nemmeno il loro cognome. Erano stati così ingiusti con me. Perciò ho voluto rifare la mia strada da sola. Non è stato facile. Ma ci sono riuscita.

Marco                            - (guardandosi intorno) Vedo, vedo...

Marilde                         - E tu? (Con uno sforzo) Tua moglie?

Marco                            - (con pena) Mia moglie non è più con me. Abbiamo divorziato alcuni anni fa. Ora vive in America. E si è anche risposata.

Marilde                         - (sincera) Oh, povero Marco. Mi di­spiace.

Marco                            - (brusco) A me, no.

Marilde                         - (con comprensione) Capisco.

Marco                            - Ho sbagliato tutto, Marilde. (Con in­tenzione) Tutto. Oggi posso dirlo.

Marilde                         - (dolce) Si sbaglia sempre, Marco. La vita non è che una catena di errori. Bisogna rasse­gnarsi!

Marco                            - (con uno scatto) Io non mi rassegno. Avrei potuto essere felice, solo se tu avessi voluto. E invece...

Marilde                         - Perché parlare ancora di quello che avrebbe potuto essere e non è stato? A che serve ormai? A farci soffrire ancora?!

Marco                            - Dimmi solo questo: sei stata felice?

Marilde                         - (semplice) No, Marco.

Marco                            - (commosso) Grazie. (Una pausa).

Marilde                         - (come rievocando) Mi sono tuffata nel lavoro fino a stordirmi. Ho cercato di essere forte, di dimenticare... A volte, proprio quando mi pareva di esserci riuscita, un giornale, una notizia, una fo­tografia tornavano a parlarmi di te... Ed ero al punto di prima. Finché tu sei partito per l'Ame­rica. Da allora un gran silenzio è sceso in me. E son vissuta più tranquilla.

Marco                            - Proprio per te mi decisi a partire.

Marilde                         - (sorpresa) Per me?

Marco                            - Sì. Quando vidi che ogni mio tenta­tivo di rivederti, urtava contro il tuo rifiuto, capii che non mi restava che andarmene. E partii, spe­rando di rifarmi un'esistenza laggiù... ma non ci sono riuscito.

Marilde                         - (con ansia) Non t'è andata bene?

Marco                            - Benissimo se alludi al danaro. Ho co­struito non so più quante brutte case per americani ricchi! Ma per il resto... quello che più conta... un disastro!

Marilde                         - Povero Marco!

Marco                            - Giusto. Povero me! Ti farò ancora più pena quando saprai perché sono venuto.

Marilde                         - Già. Non me l'hai ancora detto. Vo­levi rivedermi?

Marco                            - Non sapevo di trovarti qui. No. Si trat­ta di ben altro. Una cosa grave. Molto grave.

Marilde                         - Mi spaventi.

Marco                            - Hai ragione di spaventarti. Si tratta di tuo figlio.

Marilde                         - Rirì? Che c'entra il mio bambino?

Marco                            - Bambino? Cara, se tutti i bambini si comportano come lui, siamo a posto... Il tuo Rirì, come lo chiami tu, ha messo... nei guai mìa figlia!

Marilde                         - Nei guai? Non capisco! L'ha picchiata? Oh, è così vivace. Talvolta nemmeno io riesco a tenerlo.

Marco                            - Santo cielo, possibile che tu non ca­pisca? Insomma il tuo marmocchio ha sedotto mia figlia!

Marilde                         - Sedotto? Che intendi dire?

Marco                            - (in fretta) Che mia figlia aspetta un bambino.

Marilde                         - (alzandosi) Marco, che scherzo è que­sto? Io non tollero che tu...

Marco                            - Come?... Ah, sei tu che non tolleri?... Ah, questa sì che è bella! Io sono venuto qui per dare una lezione a tuo figlio, per fare il finimondo, per costringerlo a compiere il suo dovere... e tu mi rispondi aggredendomi. (Alzandosi) Fammi par­lare con tuo figlio!

Mamlde                         - (sgomenta) Rirì! Ma non è possibile. Rirì è ancora un bambino. E' puro come un angelo, ne sono certa. Figurati, crede ancora che ibambini li porta la cicogna!

Marco                            - Ah, sì... e lui che fa? Collabora con la cicogna?

Marilde                         - (voce di fiorito) Marco, t'hanno im­brogliato. Non può trattarsi di Rirì. (Con la dispe­rata convinzione della madre che difende la sua illusione) Figurati, gioca ancora con l'arco e le frecce! E dorme come una gazzella nella prateria! Tu non lo conosci...

Marco                            - (furente) Appunto. Voglio conoscerla questa gazzella! Chiamalo!

Marilde                         - No, Marco. Perché turbare la sua innocenza?

Marco                            - (esplodendo) Insomma, vuoi capire che è tutto vero? Spaventosamente vero? Mia figlia mi ha raccontato tutto. (Dolorosamente) Ed è stato lui, lui, quel mascalzone di tuo figlio. (Con le mani si nasconde la faccia) Lui a rovinare la mia bambina! (Siede affranto. Un singulto gli scuote il fetta).

Marilde                         - (improvvisamente, con un grido acutis­simo) Oh, per questo voleva parlarmi. (Così un lamento) Rirì! (Si accascia sulla sedia svenuta).

Marco                            - (impressionato) Marilde! Marilde! (La scuote) Rispondimi! Guardami! Sono Marco. Oh, Dio... (Prendendo le mani di Marilde sempre sve­nuta) Perdonami, amor mio! (Rirì dalla cima delle scale si affaccia a spiare sbigottito, stringendo in pugno l'arco e le frecce come a difendersi).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (La stessa scena del primo atto. Lo stesso giorno, primo pomeriggio. Grazia e Rirì sono seduti sulla stesso divano, nell'atteggiamento rassegnato- di due imputati. Di fronte a loro, in piedi, Marilde e Mar­co li stanno interrogando. Marco e Marilde si par­lano con il « lei » quando ì ragazzi li ascoltano. Al­trimenti si danno del «tu».

Marilde                         - (a Rirì) Allora vuoi rispondere? (Rirì non parla) A chi è venuta l'idea della gita?

Grazia                           - (pronta) A tutti due.

Marilde                         - (a Grazia) Tu risponderai quando sarai interrogata. (A Rirì) Dov'eravamo rimasti? Ah... dunque, dicevate che sulla soglia della scuola, in­vece di mettervi in fila con gli altri ragazzi, avete fatto in modo di restare ultimi e nascondervi dietro le colonne. Esatto?

Rirì                                - Sì.

Marilde                         - Per far questo, è segno che vi eravate messi d'accordo prima. E' così? (Rirì non risponde).

Marco                            - (a Marilde sottovoce) Scusa, che im­portanza può avere ormai se si sono messi d'accordo prima o... dopo?

Marilde                         - (a sua volta, sottovoce) Molta importanza. Si tratta di accertare se c'è stata premedita­zione o no.

Marco                            - (c. s.) Beh, credo che ormai dopo quello che è accaduto...

Marilde                         - (c. s.) E' necessario stabilire la respon­sabilità di ciascuno. (Forte a Rirì) Chi fu di voi due a fissare l'appuntamento?

Grazia                           - Io.

Marilde                         - (a Marco, forte) Sente?

Grazia                           - Ma fu Rirì a chiedermelo.

Marco                            - (a Marilde) Vede?

Marilde                         - (a Marco) Un momento. (A Rirì) Quando tu la invitasti, lei accettò subito?

Rirì                                - Sì.

Marilde                         - (a Marco) Una ragazza per bene non accetta di andare nel bosco con un ragazzo.

Grazia                           - Ma Rirì mi disse che andavamo a rac­cogliere i funghi.

Marco                            - (a Marilde) Un ragazzo per bene non inganna una ragazza col pretesto dei funghi.

Grazia                           - Ma, papà, i funghi nel bosco c'erano

veramente.

Marilde                         - Allora inganno non ci fu.

Marco                            - (a Grazia) E ne raccoglieste?

Grazia                           - Nemmeno uno.

Marco                            - (a Marilde) Dunque, inganno ci fu.

Marilde                         - (a Marco) Un momento. (A Grazia) Giunti nel bosco che faceste?

Grazia                           - Il bagno.

Marilde                         - Il bagno?

Rirì                                - Sì, mamma. Faceva tanto caldo che ap­pena vedemmo un torrente che scendeva a formare un laghetto, subito dicemmo...

Grazia                           - (continuando) ... che ne pensi di una bella rinfrescatina?

Rirì                                - Buona idea. Hai il costume?

Grazia                           - Come faccio ad averlo, se esco da scuo­la? E tu?

Rirì                                - Nemmeno io. Ma io faccio presto. Mi ten­go le mutandine.

Grazia                           - Ed io resto in sottoveste. Allora voltati che mi spoglio.

Rirì                                - (voltandosi) Non temere: non ti guardo.

Grazia                           - Resta lo stesso di spalle, finché non ti  dico «voltati».

Rirì                                - (gesticolando come se si spogliasse) Vediamo chi fa prima?

Grazia                           - (stessi gesti) Bella scoperta. Tu sei uomo.

Rirì                                - Che vuol dire? Ho più bottoni di te, io... (Si volta).

Grazia                           - (cow uno strillo) No! (Fa il gesto di coprirsi) Maleducato!

Rirì                                - (tornando a voltarsi) Scusami, l'ho fatto senza intenzione.

Grazia                           - Non ti credo.

Rirì                                - Figurati! Per quel che me ne importa

Grazia                           - Allora non te ne importa?

Rirì                                - Di che?

Grazia                           - Di me.

Rirì                                - Non ci ho mai pensato. E tu?

Grazia                           - Non ci ho mai pensato nemmeno io.

Rirì                                - Sei pronta? Io mi tuffo. Oplà. (Fa il gesto di tuffarsi).

Grazia                           - Aspettami, vengo anch'io. (Stesso gesto di tuffarsi) Brrr! Com'è fredda.

Rirì                                - Sì. Ghiacciata. .

Grazia                           - Nuotiamo?

Rirì                                - Sì.

Grazia                           - Vediamo se mi batti.

Rirì                                - Figurati. Ti dò anche il vantaggio. Guarda.

(Grazia e Pari gesticolando come se effettivamente nuotassero camminano fino a raggiungere Vangalo della stanza, mentre Marco e Marilde sono rimasti immobili, sbalorditi, senza fiato).

Rirì                                - (forte, come per scuotere i genitori) Dob­biamo continuare?

Marilde                         - (stordita) A nuotare?

Grazia                           - Rirì domanda se dobbiamo continuare

il racconto.

Marilde                         - (pronta) No, no.

Grazia                           - Peccato. Adesso viene il bello

Marco                            - Ti proibisco di darci i dettagli.

Rirì                                - (a Marco) Se vuole, riassumiamo.

Marco                            - (con un urlo) No. Sudo già freddo. (Siede affranto) Non si può dire che come racconto non sia stato realistico.

Marilde                         - Anche troppo.

Marco                            - Se questo è l'inizio, figuriamoci il se­guito.

Rirì                                - Il seguito comincia con il granchio.

Marilde                         - Il granchio? Quale granchio?

Grazia                           - Questo. (Dà un grido) Ahi!

Rirì                                - Il grido che Grazia dette quando si sentì pizzicare.

Marco                            - Da te?

Rirì                                - Ma no. Dal granchio.

Grazia                           - (raffigurando la scena, si curva) Oh, Rirì, guarda cos'ho al piede. Mi hanno dato un morso. (Lamentandosi) Ahi! Ahi!

Rirì                                - (chinandosi) Fa' vedere.

Grazia                           - E' stata una bestia. Forse un polipo.

Rirì                                - Non ci sono polipi nei laghi.

Grazia                           - Allora, una vespa.

Rirì                                - Una vespa, sott'acqua? (Ride).

Grazia                           - Ti dico che mi duole. E' gonfio.

Rirì                                - Non vedo nulla. Vieni fuori dall'acqua.

Grazia                           - Sì. Ma piano. Non posso poggiare il piede.

Rirì                                - Appoggiati a me.

Grazia                           - (esegue) Sì.

Rirì                                - Ecco. Così. Ti reggo io. (Rirì regge Gra­zia che si appoggia a lui. Muovono qualche passo).

...

Grazia                           - (uno strillo) Ahi!

Rirì                                - Su, coraggio. Ci siamo. Aggrappati a quell'arbusto... (Indica un paralume) ... e siediti sulla roccia... (Indica una poltrona).

Grazia                           - (siede faticosamente sulla poltrona) Oh, mi pareva di non farcela più ad uscire dall'acqua.

Rirì                                - (inginocchiato dinanzi a lei) Sciocchezze. Non è nulla. E' solo un po' arrossato! Dev'essere stata una « telfusa ».

Grazia                           - Cos'è, un pesce?

Rirì                                - Ma no, grulla. Telfusa lacustre. E' un granchiolino. Della famiglia dei crostacei. Si trova a volte nei fondi limacciosi dei laghi. Perciò «la­custre ».

Grazia                           - Sei bravo, tu. (Gli poggia la mano sulla spalla).

Rirì                                - (osservandola) E tu sei bella.

Grazia                           - (civetta) Credi?

Rirì                                - Sì. Meno quelle orribili trecce.

Grazia                           - E' un'idea di papà. Tu non sai com'è

lui!

Rirì                                - Com'è?

Grazia                           - Un uomo all'antica. Ho detto tutto. E tu perché non porti i calzoni lunghi?

Rirì                                - Tu non sai com'è la mamma!

Grazia                           - Com'è?

Rirì                                - Una donna all'antica. (Le alza le trecce scoprendone la fronte) Vediamo come stai ora. (/ due ragazzi sono ora vicinissimi, sembra che stiano per baciarsi).

Marilde                         - (con uno strillo) Basta, così. (I due ragazzi subito si allontanano).

Grazia                           - Volevamo spiegarvi quello che è suc­cesso... dopo...

Marco                            - Lo immaginiamo.

Marilde                         - (a Marco) Per me ce n'è abbastanza per pronunciare il verdetto.

Marco                            - Contro chi?

Marilde                         - Contro di lei. (Indica Grazia) C'è la seduzione grave e persistente. E ti assicuro che in tribunale Rirì verrebbe assolto.

Marco                            - Qui non siamo in tribunale. E dob­biamo decidere con il cuore e non con il codice, per il bene dei nostri ragazzi.

Marilde                         - Che vuoi dire?

Marco                            - Te io spiegherò quando saremo soli.

Marilde                         - Va bene. (Forte) Ragazzi, uscite un momento. (Grazia e Rirì si avviano insieme).

Marilde                         - Non insieme. Tu, Rirì, fila in ca­mera tua.

Rirì                                - (rassegnato) Sì, mamma.

Marco                            - (a Grazia) E tu aspetta di là, in anti­camera.

Grazia                           - Sì, papà. (I ragazzi si dividono ed escono nelle direzioni indicate. Marco e Marilde atten­dono in silenzio che escano).

Marilde                         - (si lascia cadere su di una poltrona) E' stato il peggior quarto d'ora della mia vita. Mi sembra di essere invecchiata di colpo.

Marco                            - A vederti, non si direbbe.

Marilde                         - Felice te che hai la forza di fare dello spirito.

Marco                            - Sono sincero... E poi ormai che il male è fatto, si tratta solo di correre ai ripari.

Marilde                         - (in guardia) Cioè?

Marco                            - Non c'è che una soluzione. E al tuo acuto senso giuridico non dovrebbe sfuggire.

Marilde                         - Non capisco.

Marco                            - Andiamo, che hai capito benissimo. I ragazzi devono sposarsi.

Marilde                         - (scattando) Il matrimonio? Sei pazzo? Rirì ha solo sedici anni a luglio. E' ancora un bambino.

Marco                            - Un bambino però che si comporta da uomo.

Marilde                         - Senti. Io non voglio accusare nes­suno, ma devi ammettere che tua figlia con quell'aria di santarellina, la sa lunga!

Marco                            - Marilde, ti prego: non prendere quel tono aggressivo. Io non sono qui per giustificare mia figlia. Al contrario. Forse Grazia ha la sua parte di colpa in quanto è accaduto.

Marilde                         - Meno male che lo ammetti.

Marco                            - Lasciami finire. Può anche darsi che il maggior responsabile sia io.

Marilde                         - Tu?

Marco                            - Forse non ho saputo educare Grazia. Adesso me ne accorgo. Mi sono preoccupato di non farle mancare nulla, di soddisfare ogni suo capriccio, ma non le ho dato quello di cui una bimba ha più bisogno: l'affetto della madre.

Marilde                         - Ma se tua moglie ha preferito la li­bertà!

Marco                            - Dovevo trattenerla. Subire forse anche la sua condotta, ma non consentire al divorzio.

Marilde                         - Se la bimba è stata affidata a te, è segno che i giudici hanno ritenuto che eri più degno di tua moglie di allevarla.

Marco                            - Infatti. Ma sono convinto che se Gra­zia fosse cresciuta vicino a sua madre, oggi forse non dovrei vergognarmi di lei.

Marilde                         - Forse ti vergogneresti di tua moglie. (Marco la guarda ferito) Scusami.

Marco                            - Forse hai ragione. Ma io non avevo ugualmente il diritto di far prevalere il mio egoi­smo di marito sui miei doveri di padre. Un padre, per quanto faccia, non riesce a conquistare intera la confidenza di sua figlia... almeno su certi rap­porti. Perciò ora sono qui, ridotto a mendicare la carità di una riparazione che mai avrei immaginato di dover chiedere un giorno.

Marilde                         - (intenerita) Marco, non così.

Marco                            - Perché usare tanti eufemismi? La verità è quella che è. E non possiamo cambiarla né io né tu. E siete voi due in posizione di van­taggio. Lo riconosco.

Marilde                         - Pensi che io voglia approfittarne?

Marco                            - Io non penso nulla. Dico solo che il danno è esclusivamente dalla nostra parte. E se mi rivolgessi ai tribunali sarebbe peggio. Lo scan­dalo si allargherebbe e Grazia probabilmente ne uscirebbe anche con le beffc. senza dire che fir­merei la mia condanna morale di padre fallito. Sai che trionfo per mia moglie!

Marilde                         - Povero Marco, vuoi che cerchiamo insieme una soluzione?

Marco                            - Insomma ti ostini a difendere sino in fondo il tuo ragazzo?

Marilde                         - Devo farlo. Tu non sai, cosa rap­presenti per me, Rirì. Io sono vissuta solo per lui. E non posso impegnare sin d'ora il suo avve­nire. Non posso bruciare tutte le sue possibilità legandolo per sempre a questa brutta avventura.

Marco                            - E' giusto. Ma, pensa anche a me, Ma­rilde. Ho sempre sognato di condurre Grazia all'altare, al mio braccio, vestita di bianco. (Una pausa. I due si guardano).

Marilde                         - (con tenerezza) Non angustiarti, Mar­co. Non è colpa nostra se i nostri figli ci hanno deluso! Tu ed io abbiamo la coscienza di aver sacrificato tutto per loro. (Con intenzione) Anche la felicità.

Marco                            - (colpito) Vuoi dire che fu per tuo figlio che rifiutasti di sposarmi?

Marilde                         - Sì. Per lui.

Marco                            - (sorpreso) Ma, allora tu mi volevi bene?

Marilde                         - (semplice) Sì, Marco. E dovetti lot­tare a lungo con me stessa per non dirti di sì. Adesso posso dirtelo.

Marco                            - Perché, adesso?

Marilde                         - Perché adesso è troppo tardi.

Marco                            - Perché è tardi?

Marilde                         - Perché non possiamo fare i fidanzati se dobbiamo fare i nonni.

Marco                            - Nonni? Ecco un aspetto della faccenda che non avevo considerato.

Marilde                         - Come? Non hai chiesto a tua figlia i per quando... sì, insomma, per quale mese attende la... cicogna?

Marco                            - Quale cicogna?

Marilde                         - Quale cicogna? Diamine! Il bebé. Il piccino.

Marco                            - Oh, no. Non ho approfondito l'argomento. Come si fa a discutere di certe cose fra padre e figlia?

Marilde                         - Ma, scusa, allora come sai che tua figlia e Rirì... hanno fatto quello che hanno fatto?

Marco                            - E' stata Grazia a dirmelo: « Sai, papà, un compagno di scuola mi ha sedotta! ».

Marilde                         - Così?

Marco                            - Così!

Marilde                         - E tu?

Marco                            - Prima non le ho creduto. Poi, quando l'ho vista piangere, l'ho schiaffeggiata. Infine le ho chiesto il nome, e son venuto qui.

Marilde                         - E non le hai domandato i particolari?

Marco                            - Quali particolari?

Marilde                         - Il bosco... il granchio... il resto!

Marco                            - Un po'... poi ho smesso perché mi ver­gognavo.

Marilde                         - Ah, ti vergognavi tu! (Decisa) Marco, voglio parlare con tua figlia.

Marco                            - Ancora?

Marilde                         - Da sola, questa volta. A me dovrà dir tutto.

Marco                            - Non la spaventerai?

Marilde                         - Oh, non credo che sia tipetto da spa­ventarsi. Comunque la mia professione mi ha inse­gnato come trattare i ragazzi.

Marco                            - Dai risultati che hai ottenuto con tuo figlio, non si direbbe.

Marilde                         - A capire i nostri figli ci fa velo l'af­fetto. Ci ostiniamo a vederli bambini anche quando non lo sono più. Perciò, ti prego, interroga tu Rirì. Fra uomini v'intendete meglio.

Marco                            - Se proprio lo vuoi... Ma t'avverto che se seguissi il mio istinto, sarei piuttosto incline a picchiarlo il tuo Rirì.

Marilde                         - No, non infierire su di lui. Dolcezza ci vuole, altrimenti non ne ricavi nulla.

Marco                            - (si avvia) Va bene. Ci vado. (Sale le scale).

Marilde                         - Dolcezza! Mi raccomando.

Marco                            - (in cima alle scale grida in tono violento) Rirì!

Marilde                         - Non così...

Marco                            - (dolcissimo) Rirì! (Marco scompare).

Marilde                         - (rimasta sola, sta un attimo pensierosa, fot) A noi due, ora, miss granchiolino! (Va alla porta e chiama) Grazia!

Grazia                           - (appare sulla soglia, si guarda intorno dif­fidente) E papà?

Marilde                         - L'ho pregato di lasciarmi sola con te.

Grazia                           - (chiusa) E perché?

Marilde                         - Così. Per fare due chiacchiere fra donne!... (Grazia non risponde) Vieni. Siedi qui, vicino a me. (Indica il divano).

Grazia                           - Grazie. (Siede lontano sulla poltrona).

Marilde                         - Vedo che mi serbi rancore per le parole di poco fa. Scusami. Ero fuori di me. Con­fesso che ti ho odiato per quello che hai fatto a Rirì.

Grazia                           - Io, a lui?

Marilde                         - Cerca di capirmi. L'idea che mi ero fatta della prima... avventura di Rirì, era proiettata in un futuro tanto lontano che non ci pen­savo quasi mai. E anche quando me la figuravo, non aveva il tuo volto di bambina. Con te... la faccenda diventa tremendamente più grave ed im­pegnativa.

Grazia                           - (calma) Chi le dice che io sia... la prima avventura di Rirì?

Marilde                         - Cosa? Vuoi dire che... oh, Dio!

Grazia                           - Rirì non è il moccioso che lei crede, per fortuna. Non mi piacciono i mocciosi.

Marilde                         - Ma allora... è un mostro!

Grazia                           - E' un uomo. Che lei si ostina ancora a vestire con i pantaloni corti. Come me, ecco qua, che mi mandano in giro con le trecce. Capisce, ora?

Marilde                         - Anche troppo. (Osservandola) Ma tu, bambina mia, non sei quell'angelo di purezza che tuo padre crede.

Grazia                           - Tutto sta ad intendersi sull'espressione « purezza ».

Marilde                         - (trionfante) Volevo ben dire io!

Grazia                           - Un momento. Se crede di avermi nel sacco, si sbaglia. Rirì è proprio il primo ragazzo con cui sono stata. Questo è un fatto.

Marilde                         - Ah, metti fuori le unghie?

Grazia                           - Non si spaventi. Potrei far valere que­sto privilegio, ma non ci penso nemmeno. E sa perché? Perché di Rirì a me non importa niente.

Marilde                         - Cosa? Non gli vuoi bene?

Grazia                           - Lo trovo simpatico, e basta. Ma da que­sto a sposarlo... Fossi matta! Solo a quel romanticone di mio padre poteva saltare in mente un'idea simile! Io prima voglio divertirmi, viaggiare, avere le mie esperienze, e poi un giorno, quando sarò proprio stufa, scegliermi un marito, magari brutto, anziano, ma ricco. Non come Rirì che non ha nemmeno i soldi per pagarsi un taxi.

Marilde                         - (piccata) Ti prego di credere che Rirì fa la sua buona figura...

Grazia                           - Lo so. Lei fa il possibile. (Con sprezzo) Ma anche lei è una donna che lavora.

Marilde                         - Tutti lavoriamo, oggi...

Grazia                           - C'è gente che fa lavorare gli altri. La preferisco.

Marilde                         - (smontata) Tuo padre conosce le tue idee?

Grazia                           - No. E perché dirgliele? E' un uomo all'antica, gliel'ho detto. E se lei gli è amica, come credo di capire, lo lasci nelle sue illusioni, pove­ruomo!

Marilde                         - (con uno scatto) Tuo padre non è un pover'uomo. Ma un uomo di cuore che ha lavorato e s'è sacrificato per te.

Grazia                           - Io non gliel'ho chiesto. Dunque, non gli devo nulla.

Marilde                         - Sei cinica ed impudente. Non per­metterò mai che Rirì ti sposi.

Grazia                           - (alzandosi) Sono io che non voglio spo­sarlo. Non ha sentito? (Si avvia).

Marilde                         - (raggiungendola) No, aspetta. Non dobbiamo lasciarci così. Io voglio esserti amica, aiutarti in questo momento difficile.

Grazia                           - Grazie. Me la cavo da sola.

Marilde                         - Non essere orgogliosa. Dobbiamo pen­sare al piccolo.

Grazia                           - A Rirì?

Marilde                         - Ma no... A quello.., più piccolo. Sì, insomma... al bebé. (Grazia scoppia a ridere) Per­ché ridi?

Grazia                           - Lei crede che io aspetti un bambino'? No. Nessun bebé in vista. Non sono così sciocca. E nemmeno Rirì. Siamo stati prudenti.

Marilde                         - (soffocando) Eh?! Siete stati prudenti...

Grazia                           - Sì. Non mi piacciono i bambini. E nemmeno a Rirì. Perciò ci siamo messi d'accordo prima.

Marilde                         - (sconvolta) Ah, vi siete messi d'ac­cordo prima? (Esplodendo) Ma che ragazza sei?

Grazia                           - (calma) Niente di speciale. Come le altre.

Marilde                         - Non dirmi che anche le tue compa­gne di scuola sono come te!

Grazia                           - Pressa poco. Meno le oche che non contano.

Marilde                         - Che ambiente! Ed. io che lo credevo il migliore istituto della città. Ho assunto infor­mazioni prima di iscrivervi Rirì.

Grazia                           - Oh, sull'istituto non c'è nulla da dire. Infatti prima del nostro non c'è stato nessuno scandalo.

Marilde                         - Cosa?... All'istituto sanno già di... voi due?

Grazia                           - Non lo sanno. Ma lo sapranno. E' fatale.

Marilde                         - (agitatissima) Ma bisogna impedirlo. A tutti i costi. Bisogna far qualcosa. Prima che sia troppo tardi.

Grazia                           - E' inutilc. siamo stati visti nel bosco.

Marilde                         - Siete stati visti? E da chi?

Grazia                           - Da un nostro compagno. Un maledetto pettegolo. Prima o poi parlerà. E saremo espulsi.

Marilde                         - (con orrore) Espulsi?

Grazia                           - Sì. Per indegnità. E' il regolamento.

Marilde                         - (c. s.) E lo dici con quella calma?

Grazia                           - Che ci posso fare? Del resto, se pro­prio vuol saperlo, della scuola io me ne infischio.

Marilde                         - Non importa a te. Ma a Rirì, sì.

Grazia                           - A Rirì? (Ride).

Marilde                         - Perché ridi?

Grazia                           - Niente. Penso a quello che mi dice Rirì sulla sua mania di fargli fare l'avvocato.

Marilde                         - Rirì farà quello che voglio io!

Grazia                           - Se lei ci riesce...

Marilde                         - Ci riesco. Intanto bisogna soffocare lo scandalo. Come si chiama quel tuo compagno? I

Grazia                           - Lello. Ma è inutile parlargli. Lui conosce solo un argomento. (Fa il gesto di chi conta i il danaro).

Marilde                         - (sbalordita) Danaro?

Grazia                           - Sì. E' un mese che ci ricatta. Giorno per giorno. Per pagarlo, Rirì ed io abbiamo ven­duto quello che avevamo. Ma da ieri non abbiamo più niente da dargli. E' per questo che stamattina mi sono decisa a dire tutto a papà. Ho pensato: meglio che lo sappia da me che dal preside.

Marilde                         - (sgomenta) Il preside?

Grazia                           - Sì. Quella spia di Lello andrà a dire I tutto al preside se non riceve il danaro entro le quattro di oggi. Scusi, che ora è?

Marilde                         - (consultando l'orologio) Le tre e tren­tacinque.

Grazia                           - Venticinque minuti. Non c'è più niente da farc. siamo nelle sue mani.

Marilde                         - Ma quanti anni ha questo gangster?

Grazia                           - Quindici.

Marilde                         - (con un balzo) Eh?!

Grazia                           - Lei non lo conosce. E' un uomo spietato. Violento.

Marilde                         - Ma io lo denuncio. Lo faccio arrestare. Io lo Sculaccio quest'uomo violento!

Grazia                           - Faccia purc. suo padre è il presidente del tribunale.

Marilde                         - (soffocando) Eh?

Grazia                           - Sì. Si chiama Cangiullo. Lello Cangiullo.

Marilde                         - (c. s.) Non dirmi che è il figlio di sua eccellenza il presidente del tribunale dei minorenni!

Grazia                           - Proprio lui.

Marilde                         - Oh, Dio! Sua eccellenza! Ancora ieri ho difeso una causa dinanzi a lui! (Cade a sedere, sfinita) Poveruomo! E lui naturalmente non immagina nemmeno che suo figlio... (Aggressiva) Ma che ragazzi siete?

Grazia                           - Se non lo sa lei che ne difende tanti in tribunale...

Marilde                         - (smarrita) E' vero... Ne ho difesi! tanti... credevo di conoscervi. E invece, ecco qua, Tu sei andata con mio figlio. Rirì seduce le minorenni. E il figlio del presidente del tribunale ricatta  tutti e due...

Grazia                           - (traendo di tasca un pacchetto di sigarette)!

                                      - Posso fumare?

Marilde                         - Cosa hai detto?

Grazia                           - Ho chiesto se posso fumare. Per distendere i nervi.

Marilde                         - Ma sì, fuma. Stendi quello che ti pare. Tanto, ormai... i fiammiferi sono qui. (In­dica il tavolo).

Grazia                           - Grazie. Ho i miei. (Accende la siga­retta).

Marilde                         - (osservandola) E tuo padre che per te ha rinunciato a... tante cose! Ed io che...

Grazia                           - (fumando) Scusi, che ora è?

Marilde                         - Le tre e quaranta.

Grazia                           - (c. s.) Fra cinque minuti Cangiullo esce di casa per andare dal preside. Fra venti minuti scoppia la bomba.

Marilde                         - Ma bisogna fermarlo! Presto!

Grazia                           - E come? Ci vogliono cinquantamila lire.

Marilde                         - Cinquantamila?

Grazia                           - Già. E' la somma fissata da quella spia. Io avrò in tutto cento lire...

Marilde                         - Aspetta. Bisogna dargli quel danaro. Non deve parlare. Dobbiamo evitare lo scandalo. (Decisa) Il danaro te lo dò io.

Grazia                           - Lei?

Marilde                         - Sì. Telefona a Cangiullo. Presto! Fer­malo. Digli che abbiamo la somma. (Va alla scri­vania, apre un cassetto) Ecco qua. (Contando) Cin­que... dieci... quindici... venti... telefona!

Grazia                           - Speriamo che non sia già uscito. (Va al telefono, forma un numero).

Marilde                         - (contando) Trenta, trentacinque... Sconti non ne fa, vero?... Quaranta, quarantacin­que, cinquanta.

Grazia                           - (c s.) Pronto?... Casa Cangiullo?... Ah, è lei eccellenza? Sono Grazia. Come sta? Per fa­vore, potrei parlare con Lello?... Grazie. Buon giorno, eccellenza. (A Marilde) Ce. E' andato a chiamarlo.

Marilde                         - Sua eccellenza che va a chiamare il gangster!

Grazia                           - (al telefono) Sei tu, Lello?... Sì. (Un tono più basso) Ho con me il «morto».

Marilde                         - (impressionata) Il morto?

Grazia                           - (coprendo il microfono, a Marilde) Nel nostro gergo, vuol dire «danaro».

Marilde                         - Ah! Avete anche un gergo.

Grazia                           - (a Marilde) Per carità, non parli così forte. Potrebbe sospettare. (Al telefono) Sì. Tutta. Come?... In biglietti di piccolo taglio? (A Marilde) Li vuole in tagli da mille. (Al telefono) Va bene. Li cambierò. Dove mi aspetti?... Sul Ponte Nuovo? Fra dieci minuti?... Ma certo che vengo sola. Sta' tranquillo. Se c'è qualcuno con me? No, non c'è nessuno. Di dove telefono?... Da un bar. Sto pren­dendo un caffè. Senti il rumore del piattino? (In­dica a Marilde una tazza con piattino che Marilde si affretta a prendere e ad agitare vicino al micro­fono) Mi credi, adesso? Sì, tutto a posto. Okey. By. By. (Riaggancia. Poi, a Marilde) Ecco fatto.

Marilde                         - Perché vuole che tu vada sola?

Grazia                           - Perché è un «dritto». Vuol coprirsi le

spalle.

Marilde                         - Un «dritto»? Che significa?

Grazia                           - Un furbo.

Marilde                         - Ah, è sempre il vostro gergo.

Grazia                           - Sì. Allora, questo danaro?

Marilde                         - Eccolo. (Le dà il danaro).

Grazia                           - (lo conta, poi lo mette in tasca) Bene. Io vado. E' meglio non farlo aspettare. E' un tipo diffidente che si impazientisce presto. (Si avvia).

Marilde                         - Aspetta. Se gli dai questo danaro, non tornerà alla carica domani o dopo? Che ga­ranzie hai?

Grazia                           - Eh, no, non può. Abbiamo studiato un piano Rirì ed io. Furbo lui? Più furbi noi. Guardi. (Le mostra un foglietto che trae di tasca).

Marilde                         - (stupita) Una cambiale?

Grazia                           - Sì. Una cambiale. E' un'idea di Rirì, Ogni tanto suo figlio ne ha delle buone. Legga cosa c'è scritto. (Le batte sulla spalla).

Marilde                         - (sobbalza al colpo, poi legge) « Pa­gherò per questa cambiale lire cinquantamila al signor Riccardo Mantovani, detto Rirì ». E pen­sate di farla firmare a Lello? Ma che valore ha la firma di un ragazzo?

Grazia                           - Appunto. E qui sta il bello. Lello fir­merà, ma con il nome di suo padre.

Marilde                         - (inorridita) Una firma falsa? (Spa­ventata) Ridammi quel danaro. Subito!

Grazia                           - Perché?

Marilde                         - Non voglio essere complice di tanti reati. Truffa, falso in atto pubblico, estorsione. Ce n'è per dieci anni.

Grazia                           - Scusi, lei che c'entra? Dirò che il da­naro l'ho trovato io. E poi non si preoccupi. Ba­sterà la minaccia per Lello. Non è uno stupido!

Marilde                         - (con angoscia) Nemmeno tu lo sei. E nemmeno Rirì. Noi lo siamo!

Grazia                           - Bisogna difendersi, caro avvocato. Vi­viamo in una giungla! Bye, bye. (Esce rapida).

Marilde                         - (quasi a se stessa) Bye, bye. (Resta immobile, disfatta, annichilita) Rirì, perché sei cresciuto così in fretta?... Non dovevi. Non ero preparata.

Marco                            - (si affaccia in cima alle scale) Pss! Pss!

Marilde                         - (sobbalzando) Chi è? Ah, sei tu?

Marco                            - (sottovoce) Se n'è andata, Grazia?

Marilde                         - Sì.

Marco                            - Preferisco non incontrarmi con lei dopo quello che mi ha detto tuo figlio!

Marilde                         - Sentirai cosa m'ha detto tua figlia! (Allarmata) Ma che hai?

Marco                            - (barcollando) Aspetta. Fammi prendere fiato. Mi tremano le gambe. (Scende appoggiandosi alla ringhiera).

Marilde                         - Rirì ti ha picchiato?

Marco                            - Ci mancherebbe anche questa! Lascia­mi arrivare al divano. Hai qualcosa di forte da bere? (Si lascia cadere sul divano).

Marilde                         - (va al bar) Gin o wisky?

Marco                            - Cognac. Doppio.

Marilde                         - (porgendogli il cognac) Avanti. Parla. Non tenermi in ansia. Rirì s'è sentito male?

Marco                            - Il tuo Rirì sta benissimo. Siamo noi che stiamo male con due figli simili! (Beve).

Marilde                         - Sbrigati. Dimmi.

Marco                            - E' presto detto. Tuo figlio mi ha chie­sto cinquantamila lire.

Marilde                         - Anche a te?

Marco                            - Perché, le aveva già chieste a te?

Marilde                         - Va' avanti.

Marco                            - Gli serviranno per tacitare un ricatta­tore. Un certo Lello.

Marilde                         - E tu gliel’hai date?

Marco                            - Naturalmente. Volevi far nascere uno scandalo? Quel tizio aveva minacciato di spiffe­rare tutto.

Marilde                         - Al preside.

Marco                            - Come lo sai?

Marilde                         - Niente. Continua.

Marco                            - Sono sconvolto. Mai prima d'ora m'ero dovuto difendere da un ricatto con un altro im­broglio.

Marilde                         - Una cambiale.

Marco                            - Ma allora sai tutto!

Marilde                         - Per garantirsi contro il ricattatore i nostri ragazzi hanno pensato di fargli firmare una cambiale falsa.

Marco                            - Esatto. Eccola. (Trae di tasca una cam­biale).

Marilde                         - (sbalordita) Cosa? Fa' vedere. (Leg­gendo) « Pagherò per questa cambiale al signor Riccardo Mantovani lire cinquantamila. Firmato: Aristide Cangiullo».

Marco                            - E' la firma del padre di quel Lello. Pare che si tratti di un pezzo grosso al tribunale. Naturalmente è falsa. L'ha imitata Lello. Capi­sci, che roba? Ma io cosa potevo fare? L'ho presa. Così, almeno, abbiamo un'arma contro di lui.

Marilde                         - Ma tu... tu non puoi avere quella cambiale.

Marco                            - Perché? Dal momento che ce l'ho...

Marilde                         - Come l'hai avuta?

Marco                            - Rirì, appena gli ho dato le cinquanta­mila lire, m'ha detto: «Non si muova di qui. Fac­cio un salto da Lello a portargli il danaro. E' al caffè all'angolo che aspetta. In dieci minuti vado e torno con la cambiale firmata. Non ha voluto che l'accompagnassi. Infatti, dopo dieci minuti è tornato.

Marilde                         - Ma se non l'ho visto uscire. Deve passare di qui. Non c'è altra via.

Marco                            - Così credi tu. Ma il tuo rampollo cono­sce un'uscita segreta. La finestra.

Marilde                         - (con un grido) La finestra? Ma siamo al terzo piano!

Marco                            - Se credi che questo impressioni tuo figlio! Dalla finestra della sua stanza è sgusciato sul cornicione...

Marilde                         - (ancora più spaventata) ...ma è stretto così! (Va il gesto).

Marco                            - Oh, lui ci sta benissimo. Di lì è saltato sul balconcino accanto, ha raggiunto la grondaia ed è sceso giù tranquillo e veloce. Al ritorno, e qui sta il difficile, ha fatto la stessa strada. Ma in senso inverso.

Marilde                         - (c. s.) Oh, povera me! A rischio di sfracellarsi.

Marco                            - Non preoccuparti. E' bravissimo.

Marilde                         - Ma allora non è la prima volta.

Marco                            - La prima volta? Da quello che ho po­tuto capire, tutte le notti, mentre tu credevi che dormisse sognando le gazzelle nella prateria, lui se la filava di lì.

Marilde                         - Senti: non gliel'ho mai date... ma questa volta lo picchio. (Si avvia).

Marco                            - Dove vai? Non è più in camera sua. Appena consegnatami la cambiale, m'ha detto. «Tutto a posto, vecchio mio. Bye, bye». Ed è uscito ancora.

Marilde                         - Dalla finestra?

Marco                            - Dalla finestra. Va e viene di lì meglio che con l'ascensore.

Marilde                         - Non capisco più nulla. (Osserva la cambiale) Questa firma.. A meno che... (Corre d telefono).

Marco                            - A chi telefoni?

Marilde                         - Lasciami fare. Devo sapere. (Forma il numero) Casa Cangiullo?... Vorrei parlare con Lello... Ah, non c'è? E' uscito? Da quanto tempo?... Due ore?... Sono la madre di un suo compagno di scuola. No, nulla d'importante. Grazie. (Riaggancia. A Marco) Hai capito?

Marco                            - Niente.

Marilde                         - Era un trucco.

Marco                            - Che cosa?

Marilde                         - La telefonata di Grazia.

Marco                            - Grazia ha telefonato?

Marilde                         - Ha «finto» di telefonare e di par­lare con Lello. Ma non c'era nessuno dall'altro capo del filo. Lello è uscito da due ore. Hai sen­tito.

Marco                            - E perché Grazia avrebbe mentito?

Marilde                         - Per portarmi via cinquantamila lire

Marco                            - Anche a te?

Marilde                         - Anche a me. Così adesso dispongono di centomila lire. E possono andare abbastanza lon­tano. Oh, Marco, ho paura. Dove sono? Cosa fanno?

Marco                            - Non agitarti. Perché pensare al peggio?

Marilde                         - Perché adesso finalmente vedo «chi» sono i nostri cari bambini. (Solenne) Marco, ab­biamo messo al mondo due gangster.

Marco                            - Non esageriamo.

Marilde                         - Oh, è inutile farsi illusioni. Sono pratica di delinquenza minorile. E due ragazzi che a sedici anni non solo sono amanti, ma organizzano un colpo simile per portarci via il danaro, sono ca­paci di tutto. E quello che più mi impressiona è la tecnica con cui hanno agito. La freddezza con la quale hanno mentito fino ad inventare il ricatto da parte di quel povero Lello!

Marco                            - Credi che non sia vero?

Marilde                         - Figurati! Il figlio del presidente. Con l'educazione che gli ha dato suo padre. sono si­cura che quel piccino non sa nulla. Del resto, guarda la firma di questa cambiale. Ti pare che sia la firma del presidente?

Marco                            - Io non l'ho mai vista.

Marilde                         - Tu non la conosci, ma io, sì. L'ho vista tante volte in calce alle sentenze e ti dico che è imitata male. Adesso me ne accorgo. Marco, mi si stringe il cuore, ma questa mi sembra la cal­ligrafia di Rirì.

Marco                            - Sei sicura?

Marilde                         - Sì. Ecco perché ha impiegato solo dieci minuti ad andare e tornare con la cambiale. se tu l'avessi seguito, avresti visto che non c'era nessun Lello ad attenderlo al caffè all'angolo.

Marco                            - Infatti m'è parsa strana la velocità con cui era riuscito a strappare un documento simile al suo ricattatore.

Marilde                         - Ci hanno imbrogliato. E adesso chissà cos'altro ci preparano. Perché sento che non si fer­mano qui. Oh, no. Questo somiglia stranamente al caso Olbein.

Marco                            - Olbein. E chi è?

Marilde                         - Chi «era», puoi dire. Perché la ve­dova Olbein è morta. Strangolata. (Fa il gesto).

Marco                            - (con un grido, cadendo a sedere) No!

Marilde                         - Sì. La poveretta aveva dato ospitalità pei la notte a due ragazzi. Lui, sedici anni; lei, quindici. Proprio come i nostri. S'erano fermati per un guasto alla macchina davanti alla sua fattoria. Almeno così raccontarono al processo.

Marco                            - (con un brivido) L'ammazzarono. E perché?

Marilde                         - Per cinque litri di benzina!

Marco                            - Non capisco.

Marilde                         - Riparata la macchina, vollero ripren­dere il viaggio. Ma s'accorsero di non avere più benzina. La chiesero alla vecchia, ma questa ri­fiutò perché le serviva per il trattore. Allora deci­sero di rubarla. La vecchia li sorprese e minacciò di denunciarli. Così la strangolarono. Con una calza di seta.

Marco                            - (sgomento) Ti prego!

Marilde                         - In Corte d'Assise feci l'impossibile per strappare la seminfermità mentale. Non vi riu­scii. Presero vent'anni. Fra vent'anni li rivedremo!

Marco                            - Non drammatizziamo. I nostri ragazzi non hanno nemmeno l'automobile. (Con un sus­sulto) Un momento. Adesso che ci penso... (Va al telefono).

Marilde                         - Che c'è?

Marco                            - Voglio telefonare al garage. (Alza il microfono) Ma no! Che sciocchezza! Grazia non sa nemmeno guidare. (Si allontana dal telefono).

Marilde                         - Qual è il numero del garage?

Marco                            - Perché?

Marilde                         - Telefona.

Marco                            - Ma no. Non facciamoci prendere dall'orgasmo.

Marilde                         - Ti dico di telefonare.

Marco                            - E va bene. Così ti convincerai che sei vittima della tua psicosi professionale. (Forma il numero) Pronto?... Chi parla?... Sono l'ingegner Berdini. Chiamatemi il custode. Ah, siete voi, Gio­vanni?... Volevo pregarvi di far domattina il la­vaggio della macchina, perché... (Si interrompe) Cosa?... Mia figlia? Quando?... Ma non dovevate. No, non ho dato nessun permesso... C'era anche un ragazzo? Dove sono andati?... Accidenti! (Riag­gancia) L'hanno presa!

Marilde                         - Lo sentivo.

Marco                            - Un quarto d'ora fa. Hanno detto che li avevo autorizzati io.

Marilde                         - Il processo Olbein. Identico.

Marco                            - Ma no. Hanno fatto il «pieno» di benzina.

Marilde                         - Il pieno? Ma allora hanno deciso di andare lontano. (Lamentandosi) Oh, Rirì, Rirì! (Di scatto) Ma è tutta colpa di Grazia. E' lei che lo trascina. Lui è un tontolone. sono sempre le donne.

Marco                            - Non ricominciamo con le polemiche. Bisogna agire prima che sia troppo tardi. Avver­tiamo la polizia. Li fermeranno.

Marilde                         - Aspetta. Grazia ha la patente?

Marco                            - A sedici anni? Come può averla?

Marilde                         - Nemmeno Rirì. Se li fermano li ar­restano.

Marco                            - Meglio in prigione che il caso Olbein, come dici tu.

Marilde                         - Hai ragione. Meglio in prigione. Te­lefona. (Marco forma il numero ma è interrotto dall'ingresso di Giulietta).

Giulietta                        - C'è un signore di là, per lei.

Marilde                         - Mandalo via. Non ho tempo.

Giulietta                        - Dice che è il presidente del tribu­nale dei minorenni.

Marilde                         - Sua eccellenza?

Giulietta                        - Ha urgenza di vederla.

Marilde                         - Fallo entrare. Presto. (Giulietta esce) Oh, Dio, Marco, stammi vicino. Un giudice non va mai in casa di un avvocato se non per motivi gravissimi.

Marco                            - Sta' calma. Adesso sentiremo. (Appare il presidente. E' un uomo prestante sui cinquanta anni, dall'aspetto severo. Ma è troppo accasciato per ricordarsi della sua autorità).

 Il Presidente                 - Permesso?

Marilde                         - (andandogli incontrò) Eccellenza, pre­go. E' un onore per me.

Il Presidente                  - Mi scusi, avvocato, se giungo senza preavviso. Ma devo parlarle subito. (Tace scorgendo Marco).

Marilde                         - Un mio vecchio amico, l'ingegner Berdini.

Il Presidente                  - Berdini? Forse il padre della signorina Grazia?

Marco                            - Precisamente.

Il Presidente                  - Allora posso parlare anche in sua presenza.

Marilde                         - (spaventata) Si tratta dei nostri ra­gazzi?

Il Presidente                  - (avvilito) E di... Lello! Marilde e

Marco                            - (insieme) Lello?

Il Presidente                  - Mio figlio. Non chiedo indul­genza per lui. Oh, no. (A Marilde) Avvocato, lei sa quante volte dal mio seggio di presidente della Corte ho rivolto ai genitori degli imputati parole di biasimo e di ammonimento. Il destino vuole che oggi sia io a meritare quei rimproveri. Perciò mi condanno da me. Ed eseguo io stesso la sentenza. Domani presenterò le mie dimissioni dalla magi­stratura.

Marilde                         - Eccellenza, di che cosa può essere col­pevole lei?

Il Presidente                  - Siamo sempre colpevoli noi, i genitori. Ma non sono venuto per questo. Meglio abolire i preamboli. Son qui per la cambiale di mio figlio.

Marilde                         - Lo sa?

Marco                            - Di già?

Il Presidente                  - Purtroppo. (Mette mano al por­tafogli).

Marco                            - In tal caso... (Mette la mano in tasca e porge la cambiale al presidente. Contemporanea­mente il presidente porge a Marco una cambiale che ha tratto dal portafogli. I gesti dei due uomini si incrociano. Sono sbalorditi).

Il Presidente                  - (stupito) Che cos'è?

Marco                            - La sua cambiale.

Il Presidente                  - Ma la cambiale di cui parlo, l'ho io. Eccola. (La porge a Marco).

Marco                            - (come inebetito) Non capisco.

Il Presidente                  - (prendendo la cambiale che Marco gli porge ed osservandola) Ma questa è la mia firma. Falsa! Chi l'ha contraffatta?

Marco                            - (osservando la cambiale che gli ha dato il presidente) Ma qui c'è la mia firma. Falsa! Chi l'ha falsificata?

Marilde                         - (osservando la cambiale che Marco ha in mano) C'è anche la mia!

Marco                            - (A Marilde) Sì, anche la sua, avvocato

Marilde                         - Ma io non ho mai messo quella firma. Lo giuro.

Il Presidente                  - (osservando la cambiale datagli da Marco) Chi ha osato contraffare la mia firmai!

Marco                            - Eccellenza, ma lei non è venuto pei ri­tirare la cambiale a sua firma?

Il Presidente                  - No. Io sono venuto per resti­tuire la loro.

Marilde                         - Oh, queste troppo.

Il Presidente                  - Io agirò contro chiunque ha contraffatto la mia firma. Falso in atto pubblico. Dal tre a cinque anni di reclusione!

Marco                            - Ma lei, eccellenza, nemmeno sospettava l'esistenza di questa cambiale?

Il Presidente                  - Assolutamente. Ne dubita forse!

Marco                            - Oh, no. Ma il suo discorso di poco fai sulle responsabilità dei genitori... le sue dimissioni... e quel voler parlare anche in mia presenza!

Il Presidente                  - Ma io alludevo al modo conici Lello s'è procurato il danaro di quella cambiale! Nientemeno che cinquantamila lire!

Marco                            - E' la tariffa. Non lavorano per me»

Marilde                         - Ma questa cambiale perché porta ti nostra firma? Che c'entrano i nostri ragazzi? Presidente, la prego, ci dica tutto.

Il Presidente                  - Sono venuto apposta. Ecco... é stata mia moglie.

Marco e Marilde           - (storditi) Sua moglie?

Il Presidente                  - No, no. Cosa pensate? Voglio dire che è stata mia moglie a farsi intenerire e al sborsare il danaro. Mia moglie stravede per Lei! L'unico figlio! Perciò il ragazzo s'è rivolto a lei Con me il colpo non gli sarebbe riuscito!

Marilde                         - Ma perché quella cambiale con nostre firme?

Il Presidente                  - Oh, è una storia bene architettata. Da strappare le lacrime. Ascoltatela. Dunque il padre di Grazia, l'ingegner Berdini...

Marco                            - Sarei io...

Il Presidente                  - Sì. Lei si trova sull'orlo del fallimento.

Marco                            -lo?!

Il Presidente                  - Sì. Speculazioni sbagliate ili borsa.' Ma non basta. Sta per essere sfrattato d casa.

Marco                            - Anche?

Il Presidente                  - Son sempre parole di Lello! Dunque, lei sta per essere sfrattato. E' la vergogna Il disonore. soprattutto per Grazia, povera innocente che paga il fio di colpe non sue. Cinquantamila lire basterebbero ad allontanare, almeno per il momento, la minaccia dello sfratto. A ridare un po' di serenità ad una famiglia sconvolta. Li ne­gheresti tu, mamma?

Marco                            - Dice Lello.

Il Presidente                  - Dice Lello. « L'ingegnere ti fir­merà una cambiale. E' già d'accordo. Ma poiché la sua firma in questo momento vale poco, firmerà la cambiale anche la madre di Rirì, che è un avvo­cato conosciuto e solvibile». (A Marilde) E così ha firmato anche lei!

Marilde                         - Io?!

Il Presidente                  - Per avallo. E a dar maggior cre­dito alla storiella sono intervenuti i vostri figlioli che hanno convalidato le bugie di Lello dichia­rando che parlavano a nome vostro. Perché voi vi vergognavate troppo per venire personalmente a chiedere i soldi. E così mia moglie s'è commossa e ha dato il danaro.

Marco                            - Così ora posseggono centocinquantamila lire.

Il Presidente                  - E adesso vogliono spiegarmi fi­nalmente come mai questa cambiale a mia firma è finita nelle loro mani?

Marilde                         - Subito, eccellenza. Dunque... (Si in­terrompe perché squilla il telefono) Mi scusi... (Va a rispondere) Pronto... (Con un grido) Rirì, sei tu... (Affannosamente) Dove sei? Di dove telefoni? Oh, Rirì cattivo... (Subito autoritaria) Torna im­mediatamente a casa. Te l'ordino. (Supplice) Oh, no... Sono la tua mammina. Torna, ti scongiuro; non tenermi più. in ansia. (Il presidente e Marco si sono avvicinati ansiosi al telefono).

Marco                            - (a Marilde) E Grazia?

Il Presidente                  - (c. s.) E Lello?

Marilde                         - (al telefono) E Grazia? E Lello? Di' a Grazia che suo padre vuol parlarle. E anche il presidente a Lello. Sì, sono qui, tutti due. sono preoccupatissimi. (A Marco) C'è Grazia al tele­fono. (Gli porge il microfono).

Marco                            - (al telefono) Grazia, bambina mia! (Su­bito severo, perché il presidente disapprova coi ge­sti) La tua condotta è inqualificabile e devo dirti che se non torni immediatamente a casa, io... (Su­bito mutando, con tono dolcissimo, querulo) No, no, non badarci. Scherzavo... Figurati, sono sempre il tuo babbino. Ma sì, ti capisco benissimo. Non preoccuparti per i soldi. Cosa vuoi che siano cin­quantamila lire in più o meno?

Il Presidente                  - (a Marilde) Incredibile. Un'in­dulgenza colpevole e incosciente. Polso fermo ci vuole!

Marilde                         - (sottovoce) Eccellenza, i papà per le figlie... Lei ha un maschio!

Marco                            - (al telefono) Dove andate?

Marilde                         - Dove vanno?

Marco                            - (al telefono) Non puoi dirmelo?

Marilde                         - (come un'eco) Non può dirlo!

Marco                            - (al telefono) E quando tornate?

Marilde                         - Quando tornano?

Marco                            - (al telefono) Non lo sapete?

Marilde                         - (come un'eco) Non lo sanno!

Marco                            - (al telefono) Grazia, io non ti dico nulla. Tu sei una donna ormai,.. Ma non farmi stare in pensiero. Lo sai che ti raffreddi facilmente. Com­pera dell'aspirina. I soldi li hai.

Il Presidente                  - (tono di rimprovero) Ingegnere!

Marco                            - (senza badare al presidente, sempre al te­lefono) Cosa? Rirì vuol parlarmi? Va bene. Pas­samelo. (Tono serio) Signor Riccardo, io affido mia figlia al suo onore di gentiluomo... (Tono normale) Rirì, ti prego, non fate sciocchezze. Cosa?... C'è Lello? (Ai! presidente) Eccellenza, c'è suo figlio al telefono. (Il presidente è sconvolto, combattuto fra la coscienza di dover dare un esempio di autorità a Marco e Marilde, e il suo affetto di padre. si av­vicina perciò ostentatamente senza fretta al tele­fono. I due lo guardano ansiosi).

Il Presidente                  - (al telefono, tono distaccato, geli­do) Pronto. Ah, sei tu. Ascoltami bene. No. Pri­ma parlo io. Se credi che io sia della stessa stoffa di tua madre, ti sbagli... (Col tono di un giudice che emette una sentenza) Dovunque tu sia, ti dò trenta minuti per tornare, chiedermi perdono e at­tendere il castigo che t'infliggerò. Ma sin d'ora t'avverto che tu per me... (Subito mutando, con tono in cui affiora un'angoscia crescente) Cosa? Non torni più? Ci abbandoni per sempre? La Le­gione straniera? Io spero che tu voglia scherzare per impressionarmi... Eh?! Parli sul serio? Hai de­ciso? Ma, ragazzo mio, rifletti. Vuoi uccidere tua madre dal dolore? Ah, infatti ti dispiace solo per lei! Ed io?... No, no, aspetta, non togliere la co­municazione. Lasciami spiegare. Lello, sei in errore. sì. Ti voglio bene anch'io! Te lo giuro. Forse non riesco a dimostrartelo. Ma non è colpa mia. Sono fatto così... Va bene. Cercherò di cambiare. Te lo prometto. (Marco e Marilde si guardano si­gnificativamente) Ma sì, ci spiegheremo. Da uomo a uomo. Farò quello che vuoi. D'accordo. Ma torna, torna, Lello! Ti supplico. Cosa? Che io ti'domandi perdono? (Guarda imbarazzato Marco e Marilde che gli voltano le spalle per lasciarlo a suo agio) Va bene. Lo farò. Come? Subito? Ma adesso qui c'è gente... E sia. (Sottovoce) Ti domando perdono... (più forte) ...di non averti saputo' dimostrare il mio affetto. Sei contento? Non mi credi? (Con foga) Ma io sono il presiden... voglio dire, sono il tuo papà, mi devi credere. (E' commosso. Sta per pian­gere) Ti voglio bene. Ma torna, piccolo mio. Non resisterò se te ne vai. (Improvvisamente allegro) Ah, sì? Torni? Davvero? (Ormai fuori dì sé dalla gioia) Sì, sì, quando vuoi. Fa' pure il tuo comodo. Sì, ti aspetto. Ciao, Lello, tesoro. Ti mando un bacio, cento baci. (Soffia dei baci nel microfono. Riag­gancia. Poi, esultante, grida a Marco e Marilde) Torna! Ha detto che torna!

Marco e Marilde           - (insieme) Eccellenza, e i nostri ragazzi?

Il Presidente                  - (senza badare loro, come impazzito) Torna! Corro a dirlo a sua madre. (Si avvia. Ma prima dì uscire si ferma) Tornano tutti e tre. L'ha detto Lello. (Esce. Marco e Marilde si guardano sbalorditi ma commossi).

Marco                            - Tornano. L'ha detto Lello.

Marilde                         - Sì. L'ha detto Lello.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(La stessa scena degli atti precedenti. E' sera ormai. Nelle stanze le luci sono accese. Marco e Marilde sono seduti nella stessa posizione in cui lì abbiamo lasciati alla fine del secondo atto. Marco fuma ner­vosamente. Marilde è immersa nei suoi pensieri. Ogni tanto sospira mentre macchinalmente acca­rezza una delle frecce dì Rirì che tiene in grembo. Silenziosamente entra Giulietta con due tazze di tè).

Giulietta                        - Signora! (Marilde non risponde. Giulietta, più forte) Signora, il tè.

Marilde                         - (come svegliandosi) Eh?!! Ah, sì. Po­salo lì.

Giulietta                        - Non lo lasci raffreddare. sono tante ore che non prende niente. (A Marco) E anche lei.

Marco                            - Grazie. (Giulietta depone il vassoio con le tazze e silenziosamente esce. Né Marco né Ma­rilde toccano le tazze. Una pausa. Un orologio in qualche parte suona le ore).

Marilde                         - Le dieci.

Marco                            - Sì.

Marilde                         - In questo momento chiudono il por­tone.

Marco                            - Beh, lo apriremo.

Marilde                         - (con subita ansia) E se non tornassero?

Marco                            - Hai sentito il presidente? Hanno pro­messo.

Marilde                         - Già. Ma tu credi ancora in quel che dicono i nostri ragazzi?

Marco                            - Mi sforzo di crederci. E' meglio.

Marilde                         - Io mi domando come siamo arrivati a questo punto. E' tutto il giorno che mi tormento chiedendomi quando Rirì ha incominciato ad in­gannarmi. E non riesco a trovare un episodio che mi illumini su quel momento che pur deve esserci, anche se mi è sfuggito.

Marco                            - Che vale tormentarsi col passato? E' l'avvenire che mi preoccupa.

Marilde                         - Che vuoi dire?

Marco                            - Ora che mi hai spiegato che Grazia non intende sposare Rirì, che avverrà di lei? Non potrò più trattarla da bambina. Devo lasciarla libelli come una donna? O dovrò sorvegliarla? Farò bendi Farò male? Dio solo lo sa. E giungo alla conclu­sione che forse sarebbe stato meglio che non mi avesse detto nulla.

Marilde                         - E' mostruoso quello che dici.

Marco                            - Forse. Ma non posso fare a meno di pensarlo. (Entra Giulietta. É vestita per uscirei! porta in mano una valigia).

Giulietta                        - Signora, io vado.

Marilde                         - (stordita) Dove vai?

Giulietta                        - Vado. Lascio il servizio.

Marilde                         - (c. s.) Perché?

Giulietta                        - Stamattina lei mi ha licenziata. Noni ricorda? E ha detto che non devo passare la notte in casa.

Marilde                         - Ma, Giulietta, da stamattina sono. accadute tante cose!

Giulietta                        - Cosa devo fare? Rimango?

Marilde                         - Se vuoi, s'intende.

Giulietta                        - (senza entusiasmo) Va bene, allori! rimango.

Marilde                         - (colpita) Ma se non sei contenta...

Giulietta                        - Non lo so più. Non so più niente, Da stamattina accadono tante cose in questa casa che la mia testa è come un mulino. Credo anche di non sentirmi bene.

Marilde                         - Va' a letto, allora.

Giulietta                        - Chi aprirà il portone al signorino!

Marilde                         - Ci pensiamo noi. Tu va' a letto si non ti senti bene.

Giulietta                        - Non lo so se sto bene o no. Non so più niente. succedono tante cose qui! (Sì avvia)!

Marilde                         - (improvvisamente, con un grido) Giulietta!

Giulietta                        - (fermandosi) Che c'è signora?

Marilde                         - Niente. Niente. Va' pure. (Giulietta esce. Marilde guarda come allucinata la porta M cui è uscita Giulietta).

Marco                            - (impressionato) Marilde! (Marilde non risponde. Marco, più forte) Marilde!

Marilde                         - (scuotendosi) Eh?!

Marco                            - (porgendole una tazza di tè) Prendi il tè.

Marilde                         - Grazie, no.

Marco                            - Vuoi che te lo faccia riscaldare?

Marilde                         - No.

Marco                            - Non puoi andare avanti così. Hai uno sguardo che fa spavento.

Marilde                         - (senza badargli) Sai che Giulietta spetta un bambino?

Marco                            - Anche lei?...

Marilde                         - Sì.

Marco                            - Beh, e a noi che cosa importa?... (Con un balzo) Ma forse tu pensi che...

Marilde                         - Sì, lo penso...

Marco                            - Oh, fino a questo punto? Ma allora, Rirì è un...

Marilde                         - (prevenendolo) ... un uomo. (Sotto­lineando) Un uomo!

Marco                            - (irritato) Eh, no. Ci sono uomini e uo­mini. Io, per esempio, quando ero fidanzato, non sono mai andato a letto con la serva.

Marilde                         - Ti prego: non essere volgare!

Marco                            - (scattando) Ah, sì? Sono volgare io che le dico, non tuo figlio che le fa certe cose? Scu­sami cara, ma questo sorpassa ogni limite! Hai un figlio che a sedici anni seduce le compagne di scuola, firma cambiali false, estorce quattrini e per giunta rende incinte le serve, senza alcun rispetto per sua madre che vive sotto lo stesso tetto, e tu invece di togliere dalla circolazione un mostro si­mile, te la prendi con me! Ma tuo figlio è un peri­colo pubblico. E va rinchiuso. Subito!

Marilde                         - Hai finito?

Marco                            - Sì. Scusami, ma avevo proprio bisogno di sfogarmi. E' da stamattina che accumulo veleno. E quello che mi fa più rabbia è che lui fa soffrire te sino a ridurti in questo stato. Se ti vedessi!

Marilde                         - Per quel che me ne importa! ,

Marco                            - Ma importa a me. Perché io ti voglio bene. Ancora. Più di prima. (Il telefono squilla. Marco e Marilde si precipitano insieme al telefono ma nessuno dei due ha il coraggio di alzare il mi­crofono) Prego.

Marilde                         - Vuoi rispondere tu?

Marco                            - No, no. Rispondi tu. (Il telefono con­tinua a squillare) Presto!

Marilde                         - (sollevando cauta il -microfono) Pronto. (Subito delusa) No. Oggi l'avvocato non riceve. E'morto. (Riaggancia) Un cliente. (A Marco, con an­sia) Che ora è?

Marco                            - Le dieci e un quarto.

Marilde                         - Soltanto?

Marco                            - Marilde, non possiamo star qui a con­tare i minuti. Finiremo coll'impazzire. (Altro tono) Hai le carte?

Marilde                         - Quali carte?

Marco                            - Le carte da gioco.

Marilde                         - Figurati se mi metto a fare la parti-tina, adesso!

Marco                            - Vuoi che ti racconti delle barzellette?

Marilde                         - Marco, ma allora tu sei un incosciente!

Marco                            - Lo faccio per distrarti.

Marilde                         - Non voglio distrarmi.

Marco                            - Bene. Continuiamo a tormentarci. Co­me se questo potesse affrettare il ritorno dei ragazzi.

Marilde                         - (che segue un suo pensiero) Quello che non capisco è il posto che occupa Lello nel terzetto.

Marco                            - Che vuoi dire?

Marilde                         - Grazia e Rirì sono amanti, l'hanno ammesso. Ma Lello che ci sta a fare?

Marco                            - (sgomento) Pensi forse... a un «menage» a tre?

Marilde                         - Io non penso a nulla. Ma ammetterai che la figura di quel Lello che si aggrega senza apparenti ragioni ad una coppia che dovrebbe fare a meno di testimoni, è molto strana.

Marco                            - Ma Lello è un socio, in affari. Un complice.

Marilde                         - Ah, la ganga! (Una pausa. Si sente il suono delle ore).

Marco                            - (di colpo) Marilde, mi vuoi sposare?

Marilde                         - Che tempista! No!

Marco                            - Posso almeno bere?

Marilde                         - Il bar è là. (Marco va al bar e si versa da bere. Beve. Poi torna a riempire il bic­chiere).

Marilde                         - Attento! Ti ubriachi.

Marco                            - Magari. Ma m'è riuscito una sola volta. La sera in cui mia moglie mi piantò.

Marilde                         - Il dolore?

Marco                            - La vergogna.

Marilde                         - Credevo che fossi stato tu a piantarla.

Marco                            - Oh, no. Ti pare che io sia il tipo che pianta le donne?... Io appartengo alla rarissima spe­cie degli uomini eternamente fedeli. Forse se l'aves­si ingannata qualche volta... lei non se ne sarebbe andata.

Marilde                         - Non capisco.

Marco                            - Lidia è una donna vivace ed esube­rante che concepisce la vita come un compromesso fra il melodramma e un film western. Disgrazia­tamente io non sono né un tenore né un « pisto­lero». E non le ho mai offerto emozioni o sorprese. Così ha finito con il trovarmi noioso. E a me ha preferito un altro.

Marilde                         - Chi?

Marco                            - Sei curiosa?

Marilde                         - Un po'... ma se preferisci non ricor­dare...

Marco                            - Figurati! E' un modo come un altro per ingannare l'attesa... (Con uno sforzo) E' scappata con uno del cinema.

Marilde                         - Un attore? bello?

Marco                            - Oh, no.

Marilde                         - Un regista?

Marco                            - Tu non conosci Lidia.

Marilde                         - Evidentemente.

Marco                            - Con un « gagman ».

Marilde                         - Cos'è?

Marco                            - Un tizio che passa la vita ad inventare situazioni comiche.

Marilde                         - Un clown?

Marco                            - Molto meno. Quando una sceneggia­tura di film è finita, chiamano il « gagman » e lui mette qua e là i suoi «gag».

Marilde                         - Ah!

Marco                            - Lidia è una donna dagli interessi culturali molto limitati. Accanto a lui si divertiva. Ri­deva di tutti i suoi scherzi. Anche i più banali. Litigavamo spesso per questo. Finché una sera uscì col « gagman » per assistere alla « prima » di un suo film... Non tornò più... L'indomani lessi sui gior­nali che li avevano arrestati per ubriachezza mo­lesta... Così di mia moglie non mi rimasero che i debiti da saldare, alcuni cappelli di carta vinti ad un tiro al bersaglio e... naturalmente Grazia... Ma fino a ieri, se osservavo Grazia, non pensavo' mai a Lidia, tanto mi pareva che la bimba non le somigliasse... Per ricordarmi d'essere stato sposato con Lidia, do­vevo guardare quei cappellini di carta... In quei lu­strini falsi e in quella carta argentata e inconsistente c'era tutta Lidia... Da oggi, un pensiero mi osses­siona: che d'ora innanzi anche Grazia mi ricorderà sua madre!

Marilde                         - Povero Marco!

Marco                            - Puoi dirlo forte. (Va al bar) E poi mi domandi perché bevo! (Beve. Una pausa).

Marilde                         - (di colpo, scattando in piedi) Hanno suonato!

Marco                            - Non ho sentito nulla.

Marilde                         - (agitatissima) Ti dico che hanno suo­nato.

Marco                            - Sta' calma. Se hanno suonato, apriranno.

Marilde                         - Chi? Giulietta è andata a dormire.

Marco                            - Andrò io.

Marilde                         - (c. s.) Sbrigati!

Marco                            - Un momento. E' bene non farsi vedere impazienti. Calma e dignità. (Ma è agitato anche lui).

Marilde                         - Scendi, presto! Se cambiano idea e tornano indietro?

Marco                            - Figurati! Ormai sono qui. (Lentamente si avvia, ma si ferma) Sei sicura che abbiano suo­nato?

Marilde                         - Sicurissima. Ecco, suonano ancora.

Marco                            - (scrutandola) Strano! Nemmeno questa volta ho sentito! Marilde, sei vittima di una alluci­nazione.

Marilde                         - (gridando) Se non ti muovi, vado io. (Appare Giulietta. E' in camicia da notte, vestaglia e bigodini).

Giulietta                        - Signora, c'è quel signore di oggi.

Marilde                         - Quale signore?

Giulietta                        - Il presidente del tribunale. E' di là che aspetta.

Marilde                         - (a Marco) Che ti dicevo? Hanno suo­nato.

Giulietta                        - Sì. Ho aperto io. Visto che qua nes­suno si muoveva!

Marilde                         - Il presidente? Oh, Dio, che altro sarà successo?

Marco                            - (a Giulietta) I ragazzi sono con lui?

Giulietta                        - No. E' solo.

Marilde                         - (con un grido) Solo? (Sulla porta appare il presidente. E' stranamente euforico, sorri­dente. Giulietta esce).

Marilde e Marco           - (al presidente) E i ragazzi?

Il Presidente                  - Stanno bene.

Marilde                         - Dove sono?

Il Presidente                  - A casa mia.

Marco                            - E perché non tornano?

Il Presidente                  - Sono pronti a tornare, ma pri­ma pongono delle condizioni.

Marco                            - Loro a noi?

Il Presidente                  - Sì.

Marco                            - Inaudito.

Marilde                         - Invece di invocare il nostro perdono!

Il Presidente                  - Anch'io ho accettato le condi­zioni poste da Lello. Una motocicletta da corsa, il completo da sci, il biliardino da salotto. E se me ne avesse posto delle altre, le avrei accettate ugual­mente. Mia moglie ha un vizio cardiaco, io mi sono sposato tardi, Lello è il nostro unico figliolo. Quel­lo che abbiamo sofferto in queste poche ore, non potremmo sopportarlo una seconda volta. (Una pau­sa) Sì, capisco quello che loro pensano di me... (Marilde e Marco fanno un timido gesto di protesta) No, no, non mi offendo. Anch'io avevo un'alta re­putazione di me stesso. Mi credevo un uomo forte, un padre giusto, ma intransigente. E questa coscien­za di me, mi rendeva agevole giudicare gli altri ra­gazzi e punirli. Adesso d'improvviso è crollato tutto e mi son visto dentro come sono... Perciò oggi po­meriggio ho presentato al Primo Presidente la mia lettera di dimissioni dalla magistratura.

Marilde                         - (protestando) No!...

Il Presidente                  - Sì. Così avrò più tempo per stare vicino a Lello. E non mi capiterà più di non capirlo. Almeno spero! Ma non parliamo di me. sono qui per assolvere una missione. E ambascia­tore non porta pena. Ecco qua. (Trae dalla tasca un foglio) Cominciamo da lei avvocato. (Legge) Suo figlio chiede: primo, niente più Zoo; secondo, nien­te Luna Park; terzo soprattutto niente zia Lilli. Esige: A, la chiave di casa; B, libera uscita nei giorni dispari, fino alle undici di sera, la domenica fino a mezzanotte, con mezz'ora di tolleranza in caso di pubblici spettacoli; C, stipendio settimanale per i minuti piaceri: lire duemila, più un supple­mento del venticinque per cento nelle feste civili e religiose. Veniamo a lei, ingegnere...

Marco                            - (interrompendolo) Signor presidente, la prego!

Il Presidente                  - (deciso) Le richieste di sua figlia sono: abiti da signorina; permesso di truccarsi; nes­sun controllo sulle telefonate e iscrizione all'Acca­demia di recitazione.

Marilde                         - Attrice?

Il Presidente                  - Pare che ne abbia la vocazione e l'ingegnere si opponga.

Marco                            - (abbattuto) Sua madre. Il « gagman »

Il Presidente                  - La carriera d'attrice è una profes­sione come un'altra. Basta esercitarla con dignità. E se la sua figliola è nata per recitare, non vedo perché lei debba contrastarla.

Marilde                         - (come un'eco) E' nata. E' nata.

Il Presidente                  - I ragazzi vanno lasciati liberi di seguire le proprie tendenze. Lello, per esempio, io> sognavo di avviarlo alla magistratura che è tradi­zione nella nostra famiglia... Oggi m'ha informato che preferisce fare il meccanico di automobili. Le ossa dei miei antenati fremeranno nelle loro tombe, ma Lello sarà felice... E, in fondo, è questo solo, die conta. (Matilde e Marco si guardano stufiti).

Marco                            - Ma, signor presidente, la posizione dei nostri figli è diversa da quella di Lello.

Il Presidente                  - Non capisco. Sono complici in ugual misura. Il trucco delle cambiali l'hanno esco­gitato tutti e tre insieme. Infatti, a scuola, i banchi di Lello, di Grazia e di Rirì sono vicini...

Marilde                         - (cenno d'intesa, a Marco) Ma forse il signor presidente non sa!

Marco                            - Evidentemente.

Marilde                         - (insistendo nei cenni) Ma è inutile raccontargli...

Il Presidente                  - C'è qualcosa che ignoro? (Li scruta) Qualche altra birichinata?

Marilde                         - Infatti. Nulla d'importante.

Il Presidente                  - Meglio così. In fondo sono ragazzi. Magari un po' vivaci...

Marilde                         - Ecco. Vivaci. E' la parola.

Il Presidente                  - Ah, dimenticavo... Mi scusino. Oggi ho un po' di confusione nella testa dopo tutto quello che è accaduto. (Trae una busta dalla tasca) I ragazzi mi hanno dato anche una lettera.

Marilde                         - Per noi?

II Presidente                 - Sì. Si sono raccomandati che la leggiate insieme.

Marilde                         - (prendendo la lettera) E' chiusa.

Il Presidente                  - Naturalmente. (Sorride). Imma­gino che vi domandino perdono.

Marilde                         - (passando la lettera a Marco) - Perdono per corrispondenza? Troppo comodo.

Marco                            - (restituendo, dopo un'occhiata, la busta a Marilde) Devono venire a chiedercelo. Non pretendiamo che si mettano in ginocchio. Ma vogliamo sentirlo dalle loro labbra.

Marilde                         - (ridando la busta a Marco) Non ac­cettiamo domande d'indulto in assenza degli im­putali...

Il Presidente                  - (come fosse in tribunale) Avvo­cato, non ci formalizziamo su questioni di proce­dura. L'importante è che i colpevoli siano pentiti...

Marilde                         - (a Marco) Ma che fa? Perché non apre la busta?

Marco                            - (rida la busta a Matilde) Preferisco che sia lei a leggerla. (Al presidente) Con i nostri « cari » bambini c'è da aspettarsi di tutto. E non resisterei ad una seconda emozione.

Marilde                         - (apre la busta. Legge e resta senza fiato).

Marco                            - (le corre vicino) Avvocato! (Marilde gli tende la lettera. Marco legge, e resta a sua volta annichilito). Questa poi...

Il Presidente                  - Brutte notizie?

Marco                            - (nascondendo la lettera in tasca) Sì e no.

Marilde                         - (a Marco) Un po' di cognac, per favore.

Marco                            - Subito. (Va al bar) Ne ho bisogno anch'io. (Porge un bicchiere a Matilde che beve).

Marco                            - Signor presidente. Anche lei? (Indica il bar).

Il Presidente                  - Grazie,  sono astemio. (Una pau­sa). La mia missione è terminata. Allora cosa dico ai ragazzi?

Marilde                         - (come destandosi) Eh?!!

Il Presidente                  - Possono tornare?

Marilde                         - Certo. Li aspettiamo.

Il Presidente                  - Sta bene. (Salutando). Buona notte. (Si avvia. Sulla soglia, sorridendo) Stasera Lello m'insegna il poker.

Marco                            - Auguri. (Il presidente esce. Una pausa).

Marilde e Marco           - (si guardano; Marco trae di tasca la lettera e la legge in silenzio) Ha tutta l'aria di esser vero.

Marilde                         - (convinta) Certo che è vero. E non sei contento?

Marco                            - (debolmente) Sì, E' una storia meravi­gliosa. Ma devo abituarmici. Prima, tutto quello che è accaduto aveva un senso preciso... Adesso mi con­fondo.

Marilde                         - (tenera) Ma è chiarissimo, Marco. Le parole dei ragazzi non lasciano dubbi... (Legge) « Non è vero niente. Non è accaduto niente. E non ci vogliamo nemmeno bene. Abbiamo inventato tut­to per convincervi a non trattarci più da bambini». E ora che mi sono rimessa dal primo « choc » devo ammettere che non m'ero sbagliata sul conto di Rirì... In fondo è ancora un bambino.

Marco                            - (scoppiando) Senti, non ricominciare a dirmi che è innocente come una gazzella e deve gio­care con le frecce come i pellerosse.

Marilde                         - Questo, no. Forse è un po' precoce. For­se Un po' discolo. Ma non è un piccolo delinquente. E' un soggetto « recuperabile » come diciamo noi avvocati. Lo si può ancora indirizzare al bene. Rin­graziamo il cielo che sia andata così.

Marco                            - No. Forse è peggio se non è accaduto nulla.

Marilde                         - (con uno scatto) Non bestemmiare.

Marco                            - Sì... Prima potevo giustificarli. Ci sono tante parole: il destarsi improvviso dell'istinto, un impulso irrefrenabile dell'adolescenza... l'amore! Era umano, anche se riprovevole. Ma adesso la « cosa » diventa molto più sporca. Montare a freddo una simile commedia e recitarla sino in fondo, senza un attimo di smarrimento costi quel che costi... Ma que­sto è peggio che criminale. Avevi ragione tu: abbiamo messo al mondo due gangster!

Marilde                         - Fumetti. Fumetti. Su, vieni qui. Siedi.

Marco                            - Non posso sedermi. Sono troppo agitato. Giulietta         - (entra di corsa, affannata. E' sempre in vestaglia, camicia da notte) Signora, signora, sono qui...

Marilde                         - Rirì...

Marco                            - Grazia!

Giulietta                        - Sì, li ho visti dalla finestra della mia camera. Sono scesi dalla macchina. Come stanno bene insieme! (Esce dì corsa com'è entrata).

Marilde                         - Oh, Dio, che cosa dobbiamo fare? Marco (smarrito) E lo domandi a me?

Marilde                         - Devo abbracciarlo o devo aspettare che sia lui a farlo? Devo sorridergli o no?

Marco                            - Non lo so, Non lo so. Darei chissà che cosa per andarmene in questo momento.

Marilde                         - Per carità, non lasciarmi sola.

Marco                            - Non ti lascio. Non ho la forza di muo­vermi.

Giulietta                        - (affacciandosi, emozionatissima) Ec­coli! (Scompare).

Marilde                         - (a Marco) Coraggio!

Marco                            - Anche a te. (Appaiono sulla porta Grazia e Rirì. Sono vestiti da « adulti». Grazia non ha più le trecce, è truccata e indossa un tailleur da signo­rina, borsa da viaggio, cappello, eccetera. Rirì ha un completo da passeggio «principe di Galles», cal­zoni lunghi, cravatta, eccetera. Sembrano due spo-sini di ritorno dal viaggio di nozze. L'imbarazzo della situazione fra i quattro si traduce in un lungo silenzio). E così siete tornati...

Marilde                         - Già...

I Ragazzi                       - (insieme) Sì. (Rirì trae dalla tasca del danaro che porge a Marco).

I Genitori                      - (insieme) Cos'è?

Rirì                                - Il resto delle centomila lire. E qui ci sono segnate tutte le spese. (Porge un foglio) Anche l'a­spirina!

Marco                            - Ah, sì... l'aspirina? Volete prenderci in giro? (Grazia starnutisce). Ti sei preso un bel raffreddore. sono contento. (Rirì starnuta).

Marilde                         - (a Rirì) Ti sta bene. se ti ammali ti mando all'ospedale. (1 ragazzi si scambiano un'oc­chiata. Poi rapidi escono dicendo).

I Ragazzi                       - (insieme) Non muovetevi!

Marilde                         - (a Marco) E adesso?

Marco                            - Mah...

Marilde                         - (sottovoce) Cerca di essere più gen­tile con Grazia.

Marco                            - (sottovoce) Proverò. (I due ragazzi tor­nano fonando due pacchi che porgono ai genitori).

 I Genitori                     - (impressionati) Cosa sono?

Rirì                                - Apriteli! (Marilde comincici a disfare ili proprio pacco).

Marco                            - (a Marilde) Piano. Può esserci bomba.

Grazia                           - (tono di rimprovero) Papà!

Marco                            - Da voi c'è da aspettarsi di tutto.

Marilde                         - (l'ha aperto. Tira fuori una borsa di cuoio con un bigliettino che legge): « A mamma, Rirì ».

Rirì                                - (a Marilde) Coccodrillo autentico. Sai che figurone in tribunale?

Grazia                           - E tu, papà, che aspetti ad aprire il tuo?

Marco                            - (comincia a disfare lentamente il pacco) Se credi di conquistarmi con dei regali comprati coni i miei soldi...

Marilde                         - Ingegnere, è il pensiero che conta. Edi è bello che in una giornata così movimentata, siano ancora ricordati di noi! (Marco trae dal pacco  una cravatta e una pipa) Quanta roba.

Marco                            - Per forza. Grazia deve farsi perdonarsi di più.

Marilde                         - (non badandogli) Tutta roba di buongustai (Esaminandola) Non sapevo, ingegnere, che fumasse la pipa...

Grazia                           - (birichina) A casa, sempre. Certe volti non si respira dal fumo. Dovrà abituarcisi.

Marilde                         - Chi?

Grazia                           - (c. s.) Lei.

Marilde                         - Non capisco. Ingegnere, che vuol dir Grazia?

Rirì                                - (tranquillo) Vuol dire che è inutile che chiami «ingegnere».

Marilde                         - E come dovrei chiamarlo? E' inge­gnere?!

Rirì                                - Dagli del « tu », come fai quando siete soli.

Marilde e Marco           - (sbalorditi) Eh?!

Grazia                           - (calmissima) Ma sì, paparino, sappiamo tutto...

Marco                            - (balbettando) Tutto, che cosa?

I Ragazzi                       - (insieme) Che vi amate. (Marilde e Marco sono annichiliti dalla sorpresa).

Grazia                           - (autoritaria) Ed ora sedete- (Indicai divano).

Rirì                                - (stesso tono) Sì. Sedete. (Marco e Marilde ubbidiscono come suggestionati. D'ora innanzi l’attteggiamento dei ragazzi nei confronti dei genitori sarà identico a quello dei genitori nel secondo atto quando conducevano l'interrogatorio. Le posizioni si sono invertite). E adesso discutiamo.

Marco                            - Di che?

Grazia                           - Ma della vostra situazione, diamine. Vero, Rirì?

Rirì                                - Ho capito subito stamattina quando ho via lei., ingegnere che teneva stretta la mano di mamma mentre le diceva: «Perdonami, amor mio!...»

Marilde                         - (debolmente) Io non ho sentito. ,

Rirì                                - Sfido, tu eri svenuta! Ma io ero in cima alle scale; l'ingegnere era di spalle. Non poteva ve­dermi.

Marco                            - (a Rirì) Ci spiavi?

Grazia                           - Papà, che importanza ha ormai?

Rirì                                - Oh, com'eravate buffi mentre stavate attenti a non chiamarvi mai per nome... (Rifacendo il verso ai due) Avvocato...

Grazia                           - (stesso verso) Ingegnere...

Marilde                         - Smettetela.

Marco                            - Un po' di rispetto!

Rirì                                - (affrontando Marco) E adesso, ingegnere, mi dica: che intenzioni ha con mammà?

Marco                            - (sbalordito) Eh?!!

Rirì                                - Sì. Ha intenzioni serie?

Marilde                         - (a Rirì) Non ti riguarda.

Grazia                           - Oh, Rirì, te l'ho detto: papà è un uomo serissimo. Non è il tipo che illude le donne.

Marco                            - (a Grazia) Non ti permetto!

Grazia                           - Papà, perché tanti misteri? Ormai...

Marilde                         - Sia ben chiaro che non accettiamo di discutere la... faccenda con voi due...

Rirì                                - E con chi vorresti discuterla? Siamo noi i vostri figli e dobbiamo essere noi a dire se ci an­date bene come papà e mamma. Vero, Grazia?

Grazia                           - Per me va benissimo. La tua mamma è ancora giovane... e piuttosto simpatica...

Marilde                         - (ironica) Grazie.

Rirì                                - Anche l'ingegnere mi sembra in gamba.

Grazia                           - Oh, sì. In gambissima!

Marco                            - (a Grazia) Puoi risparmiarti il fastidio. Mi ha già rifiutato.

Grazia                           - Come? Ti ha detto di no?

Rirì                                - E quando?

Marco                            - Oggi stesso.

Rirì                                - Mammà, è vero?

Marilde                         - Lasciami in pace.

Grazia                           - (aggressiva). E perché? Cos'ha contro il mio papà, lei? Mi spieghi.

Marilde                         - Insomma, basta. Tutto questo è ridi­colo.

Pimi                               - No, mamma, devi dircelo. Se gli vuoi bene, perché non vuoi sposarlo?

Marco                            - Per voi due.

Grazia                           - Noi due? E che c'entriamo noi?

Marco                            - Sì. (A Rirì) Vuol dedicarsi a te. Come ha sempre fatto sinora. Perché già tanti anni fa mi respinse perché tu eri troppo piccolo.

Rirì                                - Come? E' una cosa che dura da un pezzo?

Grazia                           - Oh, questa poi, non l'immaginavo...

Marco                            - Sì, sono almeno dieci anni che ci voglia­mo bene. Dieci anni.

Rirì                                - E avete aspettato tutto questo tempo?...

Grazia                           - (completando il pensiero di Rirì) ... senza mai...

Marilde                         - (scattando, indignata) Certo. Cosa credi che sia io... Una ragazza d'oggi?

Marco                            - (stesso tono) Ed io? Sono un gentiluomo, io!

Rirì                                - Noi non vogliamo sacrifici di questa specie. Ognuno deve vivere la sua vita. E ha diritto, come dice un film... d'impiccarsi all'albero che preferisce.

Grazia                           - Bravo Rirì.

Marilde                         - (alzandosi) Basta! Io vado in camera mia. Mi sembra di essere nuda. Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia!

Grazia                           - (trae dì tasca un pacchetto di sigarette, ne prende una e la offre a Marco) Papà, una siga­retta? Ti tira su.

Marco                            - (la prende macchinalmente, poi ci ripensa e la butta via) Tu fumerai quando io non ti vedo. (Un orologio suona dodici colpi).

Rirì                                - Mezzanotte... l'ora dei delitti.

Grazia                           - (stesso tono) ... e dell'amore. (Marco e Marilde sono vicini alla scrivania).

Marco                            - (imbarazzatissimo, a Marilde) E' tardi. E' ora di andarcene.

Marilde                         - (anch'essa confusa) Di già?

Grazia                           - (mende Rirì per un braccio e lo tira in disparte. Poi sottovoce) Lasciamoli soli. (Restano sulla soglia a spiare divertiti i genitori).

Marco                            - (a Marilde, con imbarazzo crescente) Domattina alle sette e mezzo devo essere in cantiere.

Marilde                         - (con tenerezza) Così presto?

Marco                            - Per forza. Gli operai arrivano alle otto.

Marilde                         - Tutti i giorni così?

Marco                            - Tutti i giorni. (Marco siede istintiva­mente sul divano come volesse prolungare il dia­logo. Marilde è vicinissima a lui, in piedi. Ormai i due commossi non badano più ai ragazzi che li spiano. A Rirì viene da ridere. Ma Grazia gli tappa la bocca con la mano soffocandogli il riso).

Marco                            - (a Marilde) E tu?

Marilde                         - Alle otto e mezzo. Alle nove iniziano le udienze in tribunale.

Marco                            - Tutti i giorni così?

Marilde                         - Tutti i giorni. (Siede accanto a lui sul divano. 1 due si comportano con il pudore di due innamorati al primo incontro. Su di loro giunge improvvisa squillante la risata dei ragazzi).

Grazia                           - (ridendo, a Rirì) Poveretti. Sono tanto timidi! (Marco e Marilde sobbalzano, scossi e si voltano mentre Grazia e Rirì fuggono via).

 

FINE