I poeti servono a qualche cosa

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I POETI SERVONO

A QUALCHE COSA

Commedia in tre atti

di NICOLA MANZARI

PERSONAGGI

GIULIA CLAUDINI, moglie di

PAOLO CLAUDINI, industriale

DARIO SI­LENTI, commediografo

MISTER PLANT

LUCIANA

LIDIA, segretaria di Silenti

GIOVANNI, domestico di Silenti

ANNETTA, cameriera dei Claudini

Oggi. In una grande città.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Lo studio di Dark» Silenti. E' ar­redato come un ufficio commerciale: macchine da scrivere, telefoni, ta­volo per la segretaria, scaffali, ecc. E' infatti, l'ufficio per il collocamento delle idee di Dario Silenti, commedio­grafo a successo. Un grande orologio alla parete segna le undici. E' mat­tina: Lidia, la segretaria, scrive a macchina. Trilla il telefono.

Lidia                                  - (al telefono) Pronto. Sì, casa Silenti. No, il commendatore ri­posa ancora... Con la segretaria... La sceneggiatura?... Sì, la sto copiando... ancora poche pagine... Sta bene, pren­do nota (scrive su dì una rubrica). Non dubitate, appena si alza. (De­pone il ricevitore, torna a scrivere a macchina. Entra Giovanni, il dome­stico, circa sessant’anni. Sembra un postino tant'è la corrispondenza che porta e rovescia sul tavolo).

Giovanni                            - La posta.

Lidia                                  - (senza voltarsi) Bene.

Giovanni                            - Ci sono molti tele­grammi.

Lidia                                  - E' naturale. Dopo il suc­cesso di ieri sera.

Giovanni                            - Eravate in teatro?

Lidia                                  - Che domanda. Non l'ho scritta forse io la commedia?

Giovanni                            - Voi?

Lidia                                  - Certo. Prima stenografata, poi copiata a macchina, poi le parti per gli attori. Al secondo atto ci sono persino due battute mie. Non vi dico l'effetto che m'ha fatto sentirle ripe­tere sulla scena. Ma, strano, sono pas­sate inosservate.

Giovanni                            - Erano molto impor­tanti?

Lidia                                  - Oh, no... Una diceva: « In voi tutto è amore, amica mia! »... e l'altra: «Spero di rivedervi ancora ».

 Giovanni                           - Tutto qui?

Lidia                                  - Beh, non è molto... Ma, sapete, è la prima volta che scrivo per il teatro.

Giovanni                            - Ma c'è o non c'è que­sto adulterio? Dai giornali non si ca­pisce.

Lidia                                  - Macché adulterio... Ci van­no vicino, ma quando sono al dun­que si mettono a parlare, parlare... (Cattedratica) Insomma c'è l'atmo­sfera del peccato, ma il peccato no.

Giovanni                            - Peccato!

Lidia                                  - Perché?

Giovanni                            - Eh, sì, adesso non c'è più gusto ad andare a teatro. Fai la fatica di uscire di notte, ti sacrifichi al buio per tre ore, perdi magari l'ul­timo tram e alla fine che te ne viene? Niente.

Lidia                                  - Dipende da quello che si rappresenta.

Giovanni                            - Macché, è sempre la stessa storia. I titoli mutano, ma il fatto è su per giù lo stesso. Io mi do­mando come i critici non impazzi­scano a sentire ogni sera la stessa cosa.

Lidia                                  - Cosicché voi non andate più a teatro?

Giovanni                            - No.

Lidia                                  - Nemmeno quando si danno i lavori del commendatore?

Giovanni                            - Perché dovrei fare una eccezione per lui?

Lidia                                  - Mah... siete il suo dome­stico.

Giovanni                            - Appunto per questo non ci vado. E' un accordo interve­nuto fra noi.

Lidia                                  - Un accordo?

Giovanni                            - Dacché dodici anni fa fischiai un suo dramma.

Lidia                                  - Voi osaste?

Giovanni                            - Si trattava d'un lavo­ro ignobile... Quella sera ci fu una lotta terribile in me. Come domestico dovevo applaudire... come uomo mi ri­bellavo... Vinse l'uomo e fischiai. Del resto non fui il solo.

Lidia                                  - E il commendatore lo seppe?

Giovanni                            - Fui io stesso a dirglielo l'indomani. Naturalmente mi licenziai. Ma il signore mi rispose che come domestico non aveva nulla da rimproverarmi. E allora stabilimmo che ad ogni sua prima sarei rimasto a casa. Da quel giorno siamo andati avanti benissimo. Permesso. (Esce).

Lidia                                  - (riprende a scrivere).

 (Entra Dario. 45 anni, è lo scrittore che giovanissimo, la critica salutò come una rivelazione. Afa, conosciuto il successo, è stato vinto dall'ansia del guadagno e con gli anni, di compromesso in compromesso, s'è ridotto a cavar quattrini d'ogni idea. E' il tipico industriale della penna. Insof­ferente d'ogni perdita di tempo, avvi­lito dalle continue stroncature, s'irrita ormai di fronte ad ogni « fatto » ar­tistico perché vi vede una manifesta­zione di debolezza dalla quale potreb­be essere « contaminato ». Scontento, ironico, è il primo a soffrire del ba­ratto della sua arte. Ma non lo dice. La scintilla che era in lui s'è ormai spenta. E solo a tratti ne vedremo, improvviso, il balenio).

Lidia                                  - (levandosi) Ben levato, commendatore. Rallegramenti vivis­simi per il successo di ieri sera...

Dario                                  - (interrompendola) Sì... sì, grazie... Dite un po' che aspetto ho questa mattina?

Lidia                                  - Avete una cera magnifica... sembrate...

Dario                                  - (c. s.) Ma no, ditemi la verità. E inutile che ripetiate la le­zioncina che vi ho insegnato. Oggi non serve.

Lidia                                  - Non volete lavorare?

Dario                                  - No.

Lidia                                  - Quand'è così, vi dirò...

Dario                                  - Siate sincera!

Lidia                                  - Sembrate un limone.

Dario                                  - (preoccupato) Imbecilli, farmi bere tutto quello champagne.

Lidia                                  - Avete fatto molto tardi?

Dario                                  - Per forza. La riunione era in mio onore. Non potevo certo svignarmela.

Lidia                                  - C'erano anche gli attori?

Dario                                  - Figuratevi se mancavano.

Lidia                                  - Beh, lo meritavano. Han­no recitato benissimo.

Dario                                  - Cani sono stati. A volerlo fare apposta non si può recitare peg­gio di così.

Lidia                                  - Eppure ci sono state sei chiamate per atto.

Dario                                  - Sfido! Con un lavoro di quella forza qualunque guitto è ca­pace di farsi applaudire.

Lidia                                  - Certo, il lavoro è magni­fico.

Dario                                  - E' molto umano. E' un genere che va sempre. Ma i giornali che dicono?

Lidia                                  - (imbarazzata) Veramente.»

Dario                                  - Ho capito. Al solito ne dicono corna. Dove l'avete messi?

Lidia                                  - Eccoli (glieli dà).

Dario                                  - (s'immerge nella lettura dei giornali mentre Lidia riprende a scri­vere. Dario man mano che procede nella lettura diventa sempre più ner­voso).

Dario                                  - (leggendo) Questo Bernstein italiano che specula sui più bas­si istinti della folla... (Scattando) Bernstein italiano. Questo non me l'aveva detto ancora nessuno. (Getta via il giornale. Ne legge un altro, pri­ma in silenzio, poi ad alta voce) Un autore che osa ancora portare sulla scena l'adulterio, non è degno di vi­vere nel clima di oggi... Adulterio?... Ma come si fa ad accusarmi di ciò che non ho scritto? (A Lidia) Signo­rina, non risulta chiaro che quei due non andavano a letto?

Lidia i                                - Chiarissimo.

Dario                                  - E allora! (Getta via il giornale. Leggendone un altro) Peggio ancora se c'è l'atmosfera del peccato e il peccato no... Clima, atmosfera... sembra di leggere un bollettino me­teorologico.

Lidia                                  - L'« Araldo » èl'unico che ne dice bene.

Dario                                  - (subita interessato) Ah sì? Dov'è? (Lo cerca. Legge) Lavoro a ricetta precisa... tanto di novità, tanto di sorpresa, tanto di commo­zione, ma sostenuto da un dialogo vivace, da una mano rapida ed esper­ta, da un robusto taglio dì scene (ri­petendo compiaciuto) una mano ra­pida ed esperta (non può fare a meno di guardarsi le mani. Ma, accorgen­dosi che Lidia l'osserva) Sì... non c'è male... Barra è un critico che sa il fatto suo... Sarà meglio ringraziarlo... Signorina, per favore, scrivete. (Det­tando) Mio carissimo Barra, la tua viva intelligenza ed il tuo nobile cuo­re... (Squilla il telefono, Dario rispon­de) Pronto, sì sono io... Sì, è stato un grande successo... Oh, ma la critica fa sempre qualche riserva... Anche nelle altre città è andata bene... Come soggetto per film?... E' molto adatto... Posso buttarlo giù subito... Chi ci ve­drei come protagonista?... No, no, è troppo vecchia... Ho io sottomano un temperamento eccezionale... Sì, molto fotogenica... Ventidue anni... No, fin ora solo qualche particina... Si po­trebbe farle un provino... Sta bene, glielo dirò... Arrivederci...(Depone il ricevitore. E' diventato allegro).

Dario                                  - (a Lidia) Signorina, la lettera a Barra continuatela voi.

Lidia                                  - Io?

Dario                                  - Sì. (Frugando in un cas­setto) Ispiratevi a questa lettera che scrissi a Laurenti tre anni fa dopo il successo della mia « Anime nella tormenta »... Tanto Laurenti è morto (le da una lettera).

 Lidia                                 - (prendendolo) Parò del mio meglio.

Dario                                  - Chi altro ha telefonato?

Lidia                                  - Li ho segnati tutti lì, nell'agenda.

Dario                                  - Grazie. (Leggendo) Che voleva Borghetti?

Lidia                                  - Dice che i dialoghi del film sono tutti da rifare.

Dario                                  - Perché?

Lidia                                  - Pare che... (consultando un taccuino) non aderiscono allo spi­rito dei personaggi.

Dario                                  - Personaggi? Ma li chiama personaggi quei quattro cretini? Io non rifaccio niente. Del resto quando si vogliono le cose in quarantott'ore, non si ha poi il diritto di reclamare. Se telefona, io sono partito.

Lidia                                  - Sta bene. (Prende nota).

Dario                                  - Qual è il nome di quel ragazzo che l'altro giorno venne ad offrirmi la riduzione cinematografica della mia commedia?

Lidia                                  - Martinelli (consulta il tac­cuino) Via Portuense 39.

Dario                                  - Telefono?

Lidia                                  - 48-5-27.

Dario                                  - (forma il numero) Pron­to... Martinelli?... Siete voi?... Par­la Silenti... Sì, volevo dirvi che pro­babilmente riesco a piazzare il vostro treatmen... Ma i produttori sapete come sono? fanno delle difficoltà... Dicono che se la riduzione cinemato­grafica non porta la mia firma, non se ne fa nulla... In questo caso non c'è che una soluzione. Che voi mi cediate la vostra... Naturalmente ne terrò conto... Vi procurerò altro la­voro... Oh, io non butto mai a mare i miei collaboratori... Bene, passate da me che ne parliamo... (Depone il ricevitore. A Lidia, convinto) Io la­voro troppo.

Lidia                                  - (senza ironia) Dovreste prendervi qualche giorno di riposo.

Dario                                  - E' proprio quello che pen­so di fare. E sapete dove andrò? In campagna. Sì, in un paese dove non ci sia il cinema nemmeno di dome­nica e l'unico teatro sia quello delle marionette.

Lidia                                  - Esiste questo paese?

Dario                                  - Lo troverò. Dovessi cer­carlo tutta la, vita. A proposito di teatro, prendete nota, stasera tre doz­zine di rose alla signorina Tonelli con questo biglietto. « Alla mia grande interprete, con infinita gratitudine. Dario Silenti ».

Lidia                                  - (scrivendo) Con infinita gratitudine.

Dario                                  - (di nuovo irritato) Ecco a quali compromessi un autore deve scendere per guadagnare quattro soldi e poi vengono a parlarmi di Bern­stein italiano che specula sui bassi istinti della folla... Mi fanno ridere.

                                           - (Entra Giovanni).

Giovanni                            - C'è una signora che insiste per essere ricevuta.

Dario                                  - Fatevi dare il nome.

Giovanni                            - Non ha voluto. Dice che si tratta di una cosa importante.

Dario                                  - Che tipo è? E' bella?

Giovanni                            - Direi di sì.

Dario                                  - Beh, fatela passare. E do­po dieci minuti, se non se n'è andata, venite a dirmi che mi chiamano ur­gentemente alla Radio. Non fate come l'altra volta che non vi presen­taste più.

Giovanni                            - Credevo di farvi pia­cere. (Esce).

Lidia                                  - Devo lasciarvi?

Dario                                  - No. Andate avanti con la sceneggiatura. Se volesse un auto­grafo, dove avete messo le mie foto?

Lidia                                  - Nel secondo cassetto a sinistra.

                                           - (Entra Giulia. È la donna che at­traverso le molte letture « s'è fatta » un'anima romantica. Parla a volte come l'eroina d'un romanzo, ma que­sti suoi atteggiamenti sono sempre sinceri e mai caricaturali. E' nel com­plesso semplice ed umana e la leg­gera esaltazione che vibra nelle sue parole non è altro che la disoccupazione sentimentale della donna pro­fondamente onesta).

Giulia                                 - Perdonatemi se ho insi­stito per essere ricevuta, ma si tratta di cosa molto grave.

Dario                                  - (incredulo) Grave?

Giulia                                 - Almeno per me.

Dario                                  - Sedete, prego.

Giulia                                 - Grazie, ma... (accenna a Lidia).

Dario                                  - (a Lidia) Signorina volete lasciarci un momento?

Lidia                                  - Subito. (Esce).

Giulia                                 - So dì farvi perdere del tempo. Ma quando avrò detto il mio nome, capirete. Ieri sera ero a tea­tro e se non avessi temuto di sem­brarvi una squilibrata, mi sarei pre­cipitata da voi dopo lo spettacolo. Ho passato una notte d'inferno.

Dario                                  - Non vi agitate così. Se posso èsservi utile in qualche cosa...

Giulia                                 - E' troppo tardi. (Con voce vibrata) Sono Giulia Claudini.

Dario                                  - Claudini?

Giulia                                 - Ma come, non vi dice niente questo nome? Claudini?

Dario                                  - Ah, sì, ora ricordo. La mia ammiratrice di Lugano, la di­vorziata.

Giulia                                 - Ma no, confondete. So­no la moglie di Claudini l'armatore.

Dario                                  - Armaiolo? (Fa il gesto di chi spara).

Giulia                                 - No... Navi, piroscafi...

Dario                                  - Scusate, mi scrivono tan­te donne.

Giulia                                 - Ma io non vi ho mai scritto. Tuttavia mi conoscete benis­simo. Riccardo v'ha detto tutto di me.

Dario                                  - E chi è Riccardo?

Giulia                                 - Ma il protagonista del vostro dramma! L'avete chiamato Ro­berto, ma il suo nome era Riccardo. E lo sapete benissimo. Come io mi chiamo Giulia e voi avete preferito chiamarmi Vilma. Non avevate però il diritto di portare sulla scena la nostra storia d'amore.

Dario                                  - Un momento, signora. Se questo discorso prelude alla richiesta d'una mia fotografia, v'accontento su­bito. Come la preferite? In piedi o seduto?

Giulia                                 - Macché fotografia!

Dario                                  - (offeso) Come?

Giulia                                 - Ma vi par bello dar spet­tacolo della sofferenza d'una donna? Lasciare che tutti frughino nel suo cuore? Come avete osato?

Dario                                  - Signora, ho capito. Vi siete riconosciuta nella protagonista del mio dramma. Ciò che io ho por­tato sulla scena voi l'avete vissuto. E" il dramma della vostra vita con qual­che variante...

Giulia                                 - No, nessuna variante...

Dario                                  - E' lo stesso. La coinci­denza vi ha commosso...

Giulia                                 - Si...

Dario                                  - E' il passato che ritorna, la ferita che si riapre, eccetera, ec­cetera... Signora, mi dispiace disil­ludervi... ma già altre quattro donne si sono riconosciute nella protagonista del mio dramma.

Giulia                                 - Impossibile.

Dario                                  - Sì. Una per ogni città in cui si è dato il lavoro, eccettuata To­rino dove si è avuta una percentuale più alta: due. Una contessa e la mo­glie d'un fabbricante di calzature.

Giulia                                 - Vi prendete gioco di me?

Dario                                  - Dio me ne guardi! Voglio solo dirvi che quanto più umane sono le favole che noi artisti inventiamo, tanto maggiore è il numero degli uo­mini che si riconoscono in esse. Son cose che sanno anche i bambini. Ec­co perché non mi meraviglia affatto ciò che mi dite. Anzi mi lusinga.

Giulia                                 - Non si tratta di coinci­denza, ma d'identità. Di una identità che né l'arte né la fantasia possono aver creato. E voi lo sapete.

Dario                                  - Vi dico che non so nulla e prima d'oggi non ho mai sentito il vostro nome.

Giulia                                 - Preferite negare. Solo perché altre donne vi hanno dichia­rato di aver vissuto il vostro dramma. Ma mentivano. Sì, mentivano. Io sono l'unica che Riccardo abbia a-mato. Le altre possono raccontarvi quello che vogliono, ma nessuna può dirvi: La lettera che voi fate scri­vere da Roberto a Vilma nel terzo atto è questa. Io l'ho ricevuta (mostra una lettera). Confrontate le parole scritte qui con quelle e v'accorgerete che sono le stesse. Dalla prima all'ultima.

Dario                                  - (dando un'occhiata alla let­tera e restituendola) Tutte le let­tere d'amore si somigliano.

Giulia                                 - Questa non è una let­tera d'amore ma d'addio.

Dario                                  - Scritta, però, da un uo­mo innamorato. E non c'è da stu­pirsi se press'a poco...

Giulia                                 - No, la stessa... La stessa­vi dico. Parola per parola. Sino alla firma che qui Riccardo e nella vostra - naturalmente - Roberto. Legge­tela, ve ne supplico (gliela rida).

Dario                                  - (a malincuore leggendo) ...Fate confessione di ciò nella let­tera che dovete scrivermi immedia­tamente e dite in essa tutto ciò che potete per consolarmi. Fatela ricca come una pozione di papaveri per inebriarmi, scrivete le parole più te­nere e baciatele...

Giulia                                 - (continuando a memoria) ...che almeno io possa posare le mie labbra dove furono le vostre.

Dario                                  - Sapete a memoria le pa­role del mio dramma?

Giulia                                 - No, di quella lettera.

Dario                                  - Ah, già. (Riprende a leg­gere) ...Quanto a me io non so come esprimere la mia adorazione per una creatura di tanta bellezza: ho biso­gno di una parola più splendida che splendido, più bella che bello... (Smet­tendo di leggere) Qui c'è una parola un po' sbiadita...

Giulia                                 - E' una lacrima.

Dario                                  - Ah! (Riprendendo a leg­gere) Quasi vorrei che noi fossimo farfalle...

Giulia                                 - (continuando a memoria)... e vivessimo tre soli giorni d'e­ state...

Dario                                  - (anche lui a memoria ora)... tre simili giorni con voi saprei colmarli con più delizia...

Giulia                                 - (c. s.)…che non rac­chiudano cinquanta dei soliti anni...

Dario                                  - (turbato) E' vero, diciamo le stesse parole. Le farfalle sono le stesse e i papaveri anche...

Giulia                                 - Non c'è dubbio. Ecco la busta. La stessa calligrafia. Si leg­ge nitidamente la data del timbro postale: 13 luglio 1929...

Dario                                  - Strano!

Giulia                                 - Non c'è nulla di strano, visto che avete conosciuto Riccardo.

Dario                                  - Ma che conosciuto! Vi ho già detto di no. (Dario è però visi­bilmente preoccupato e ogni tanto lancia delle occhiate a uno scaffale pieno di libri e di carte).

Giulia                                 - Ma perché non dite semplicemente la verità? (Ispirata) Sì, è stato Riccardo Sotis a raccon­tarmi questa storia d'amore. Io l'ho trovata bella ed ho voluto farne un dono agli uomini. Ecco le sole pa­role che attendo da voi.

Dario                                  - Se avessi tratto lo spuntodel mio dramma da un fatto di cro­naca, non esiterei ad ammetterlo.

Giulia                                 - No, voi temete di farmi soffrire con la conferma della morte di Riccardo.

Dario                                  - Ma quella morte è pura fantasia. Al terzo atto mi faceva co­modo toglierlo di mezzo e l'ho fatto. Ma il vostro Riccardo a quest'ora sa­rà vivo e vegeto.

Giulia                                 - E' inutile illudermi. Il dolore per la sua fine, io l'ho pro­vato ieri sera quando me l'annuncia­ste dalla ribalta. Ecco spiegato il suo silenzio di tutti questi anni. Ecco perché ultimamente la sua presenza in me - questa presenza che ho sem­pre avvertito come un'alacre fiamma - si era fatta più pesante. E il suo ricordo premeva ormai sul mio cuore con dita di pietra. Tanto che spesso dovevo fermarmi qualunque cosa fa­cessi e ripetermi piano: Riccardo... Solo allora lui allentava un po' la stretta ed io potevo riprendere a par­lare, se stavo parlando... a muovermi, se prima mi muovevo...

Dario                                  - (fra i denti) Guarda che imbroglio!

Giulia                                 - (dolcemente) Perché questo riserbo? Vi ho mostrato quella lettera che nessuno ha mai letto, vi ho parlato come all'amico dell'uomo che ho amato, e voi in cambio di tanta sincerità, vi chiudete nel si­lenzio.

Dario                                  - Quest'è il colmo. Per ac­contentarvi dovrei dirvi che quell'uomo è morto.

Giulia                                 - Come potete parlare co­si? Darei la mia vita per averlo qui vivo un attimo e gridargli l'amore che dieci anni fa non seppi dargli... Perché quella sera mio marito l'af­frontò a mia insaputa e gli impose di partire immediatamente senza nemmeno salutarmi... Riccardo non si difese... Non disse che quel nostro amore nato dalla vita in comune d'o­gni giorno nello studio di mio marito era stato purissimo e s'era alimentato solo di letture romantiche, di inno­centi passeggiate. No. Riccardo era un ragazzo troppo sensibile e fu il primo a soffrire di aver ripagata con l'ingratitudine la fiducia con la qua­le mio marito l'aveva accolto... E pagò così con la carriera spezzata ima colpa non commessa...

Dario                                  - (compiaciuto) Sì, ricono­sco che è una delle mie pagine più felici.

Giulia                                 - (non gli bada, continuando a parlare per suo conto) E lasciò che gli altri supponessero le cose più basse sui motivi del suo licenzia­mento, pur di non espormi ai pette­golezzi della gente.

Dario                                  - Sì, la figura di Roberto m'è riuscita molto bene. E il pubblico se n'è accorto. Gran giudice ilpubblico!

Giulia                                 - (c. s.) E Riccardo parti verso il suo triste destino e da lon­tano affidò il suo cuore a questa let­tera che m'è stata vicina in tutti questi anni...

Dario                                  - La Tonelli ci ha preso un applauso a scena aperta. L'avevo pre­visto. La lettera è troppo bella!

Giulia                                 - (quasi che solo ora abbia ascoltato Dario) E' vero che è bella? Degna d'un poeta.

Dario                                  - Beh, adesso mi adulate-Poeta.., quand'ero più giovane, forse...

Giulia                                 - E' molto triste che una così grande anima non sia più!

Dario                                  - (che ora capisce l'equivoco)Eh?!...

Giulia                                 - Certi uomini non do­vrebbero mai morire... Anche se la sua fine eroica lo innalza cosi come nemmeno il mio amore per lui sa­rebbe mai riuscito a fare...

Dario                                  - Ma in nome di Dio non accettate una verità nata dalla miafantasia.

Giulia                                 - Oh, no, voi sapete bene che se la mia verità umana coincide perfettamente con la vostra verità artistica in tutti i particolari, deve coincidere anche nel resto: la morte di lui. Perché se ne distaccherebbeproprio lì?

Dario                                  - E se io avessi immaginato che non morisse? Perché ero liberodi farlo.

Giulia                                 - No, non potevate.

Dario                                  - Figuriamoci; uno scrit­tore non è libero dì sopprimere o far vivere una sua creatura.

Giulia                                 - Nel vostro caso, non è libero. Tante vero che non l'avetefatto.

Dario                                  - Non l'ho fatto solo perché sentivo artisticamente che doveva mo­rire. Artisticamente.

Giulia                                 - No. Realmente.

Dario                                  - Bene. Se volete proprio saperlo, l'arte non c'entra affatto. Ho ubbidito a ragioni volgari. Il mio istinto di scrittore di teatro - fatto più di mestiere che d'arte - m'av­vertiva che se Roberto - per voi Ric­cardo - non moriva, io cadevo nell'adulterio. Ve l'immaginate voi i cri­tici con tutto il bene che mi vo­gliono? Allora mi son detto: Dario, attento... Ti puoi rovinare!... Perciò eliminiamo Roberto e non se ne parli più... Ma togliamolo in modo defi­nitivo che non ci sian dubbi... Fac­ciamolo morire. (Parla per suo conto quasi a giustificarsi e un po' rivolto verso il pubblico) Ma facciamogli fare una bella fine, poveraccio. Se la me­rita col suo grande amore che s'è portato in petto per tanti anni e gli ha troncato la carriera.

Giulia                                 - (per suo conto) E' vero...è vero... aveva tutte le qualità per riuscire... tutti lo dicevano...

Dario                                  - (c. s.) Prima, però, fac­ciamogli scrivere una bella lettera. Se la legge la Tonelli con quella sua voce di pianto ci cava un effettone, E poi spediamo questo ragazzo in Cina. Potevo mettere l'America, l'A­frica. Invece no. La Cina. Laggiù qualche guerricciola c'è. sempre e fa presto a buscarsi una bella pallottola di straforo... Ed ho immaginato - per il colore locale       - che morisse al tra­monto mentre intorno a lui più ferve la mischia e nessuno può portargli aiuto... e le ultime parole che le sue labbra mormorano sono: Vilma...Vilma...

Giulia                                 - Giulia... Giulia... L'ul­timo suo pensiero è stato per me!

Dario                                  - (sfiduciato) Addio, siamo al punto di prima,

Giulia                                 - Voi che gli foste vicino in quegli ultimi istanti - ditemi - fu forse lui a chiedervi di scrivere questo dramma? Volle così che qual­che cosa sopravvivesse del nostro amore?

Dario                                  - Signora, ho capito: a voi per vivere non basta più la realtà, ma occorre un'illusione.

Giulia                                 - Dite... dite.

Dario                                  - E va bene. Come volete. Quell'uomo è morto pronunziando il vostro nome...

Giulia                                 - (esaltata) Il mio no­me...

Dario                                  - Badate, potrebbe darsi che inventassi...

Giulia                                 - Sì... sì, capisco. Per di­fendere i vostri diritti di scrittore dovete dirmi che inventate... Ebbene, sì, state inventando. Fingerò di crederlo anch'io. Ma ora che la forma è salva andate avanti, per carità.

Dario                                  - Avanti?... Signora, io ho mille cose da fare. Fra l'altro devo parlare alla Radio... anzi mi mera­viglio che non mi abbiano già chia­mato.

Giulia                                 - Pochi minuti... cosa so­no per voi pochi minuti?

Dario                                  - Danaro... danaro, questo sono. Lo scrittore è un uomo come gli altri, mettetevelo in mente. Ha anche lui i suoi affari né più né me­no di qualunque mortale e una volta che ha prodotto qualche cosa, non può tener dietro a tutte le reazioni che la sua opera provoca. Ci man­cherebbe altro!

Giulia                                 - Sì... ma per me si tratta di aver notizie dell'uomo che ho a-mato e voi siete l'unico che potetedarmele...

Dario                                  - Un altro giorno... un al­tro giorno... oggi sono troppo occu­pato. (Gridando) Ma che fa questa Radio?... Quando vengono a chia­marmi?

(Entra Giovanni).

Giovanni                            - Signore, vi chiamano urgentemente alla Radio.

Dario                                  - La Radio doveva chia­marmi mezz'ora fa...

Giovanni                            - Si vede che se ne sono dimenticati.

Dario                                  - Questo capita un po' spesso... presto ci libereremo anche della Radio. (A Giulia) Signora, ve­dete? Debbo andare.

Giulia                                 - Sì... sì, vi lascio subito. Permettetemi però di tornare.

Dario                                  - La verità è che non so quando sarò un po' libero...

Giulia                                 - Oh, se volete, potete anche venire da me. Mio marito sta così poco in casa... potremo parlareliberamente...

Dario                                  - Vostro marito? Perché è anche lui al corrente della cosa?

Giulia                                 - Che dite?... Mio marito ha dimenticato completamente quell'episodio, tant'è vero che ieri sera ha assistito con me al vostro dram­ma senza tradire la minima emo­zione.

Dario                                  - Meno male...

Giulia                                 - Per forza. Non conosce quella lettera lui. L'ho sempre tenuta ben nascosta in tutti questi anni e siccome quella lettera è l'elemento che determina l'identità dei due drammi, lui se n'è potuto stare In­differente in poltrona. Ma doveva sempre intuire la mia sofferenza, di­nanzi a quell'uomo che lì - sulla scena - si spegneva vittima della sua violenza... Questo non gli per­dono.

Dario                                  - Meglio così...

Giulia                                 - Come?

Dario                                  - Eh, capirete... se vostro marito fosse un tipo come voi... vo­glio dire... impressionabile... io, sarei bell'e sistemato.

Giulia                                 - Domani avete qualche minuto da dedicarmi? Siate buono.

Dario                                  - Telefonatemi. Non posso promettere nulla.

Giulia                                 - Vi telefonerò... e son sicura che troverete un po' di tem­po...

Dario                                  - (accompagnandola verso la porta) Non lo so. Telefonatemi, signora... telefonatemi.

Giulia                                 - Grazie... Arrivederci (Esce).

Dario                                  - (a Giovanni) L'avete vi­sta bene?

Giovanni                            - Sì.

Dario                                  - Ricordatevi. Per costei io non sono mai in casa. Mai. Qua­lunque cosa vi dica.

Giovanni                            - Sta bene.

Dario                                  - E mandatemi la segre­taria.

 (Giovanni esce. Dario passeggia nervosissimo. Prende un libro fra quelli che prima guardava nello scaffale. Poi, indeciso, lo rimette al po­sto. Entra Lidia).

Dario                                  - Signorina, riprendiamo a lavorare.

Lidia                                  - Subito. (Va alla macchina da scrivere).

Dario                                  - Ecco qui. Ti capita in casa una squilibrata e ti fa perdere un'ora. A me quest'ora chi me la paga? E poi vengono a dirmi: Bernstein... melodramma... Scriviamo una lettera personale.

Lidia                                  - (scrive).

Dario                                  - (dettando) Spettabile So­cietà Argo Film. Sono a tutt'oggi vo­stro creditore dell'ultima rata del compenso spettantemi per la sceneggiatura da voi commessami. Voglio attribuire detto ritardo a vostra di­menticanza e pertanto...

                                           - (Entra Giovanni. E' imbarazzato).

Dario                                  - Beh, che altro c'è? Si po­trà concludere qualche cosa stamat­tina?

Giovanni                            - C'è un signore che insiste per essere ricevuto.

Dario                                  - Mandalo al diavolo.

Giovanni                            - Non ci riesco.

 (Entra Paolo. E' l'uomo deciso, che sa quello che vuole ed è abituato a farsi largo nella vita senza ecces­sivi scrupoli. Lo si direbbe venuto su dal nulla, anche se maschera la sua istintiva violenza sotto una patina di cortesia).

Paolo                                  - Scusatemi se entro così, ma è necessario.

Dario                                  - Signore!

Paolo                                  - Sì, avete ragione... ma il mio nome vi spiegherà tutto. Sono Paolo Claudini.

Dario                                  - (involontariamente) L'ar­matore.

Paolo                                  - Perfettamente. Come pre­vedevo mi conoscete.

Dario                                  - (riprendendosi) Vera­mente...

Paolo                                  - Oh, non c'è bisogno di giustificarsi. Se restiamo soli cinque minuti c'intenderemo perfettamente.

Dario                                  - Non potremmo riman­dare?... Perché - vedete - io...

Paolo                                  - Impossibile... ho lasciato in asso una importante assemblea per correre qui.

Dario                                  - Era bene. Ma non ca­pisco che cosa possiate volere da me.

Paolo                                  - Ve lo dirò in due parole. (Dario fa un cenno a Giovanni e Lidia che  si ritirano).

Paolo                                  - Dunque voi avete tratto una commedia da un episodio della mia vita.

Dario                                  - Anche voi?

Paolo                                  - Perché siamo in molti?

Dario                                  - No, volevo dire... Insom­ma chi vi dice che si tratti di voi?

Paolo                                  - Andiamo... il dubbio sa­rebbe forse possibile se non aveste fatto scrivere al vostro Roberto quella lettera che è identica a quella che mia moglie ricevette da Riccardo.

Dario                                  - Ma come, anche voi co­noscete quella lettera?

Paolo                                  - Eccola. (Mostra una let­tera).

Dario                                  - Ma è assurdo! Voi non potete avere quella lettera.

Paolo                                  - Perché?

Dario                                  - Ma... perché... insomma non può essere... come l'avreste?

Paolo                                  - Quest'è affar mio. Sono venuto per interrogar voi. Che cosa vi siete proposto scrivendo questo dramma?

Dario                                  - Io? Niente... di scrivere un dramma.

Paolo                                  - Eh, no... è troppo facile intuire che il vostro dramma ha in­tenti polemici... Altrimenti perché mi avreste descritto come un uomo ari­do, grossolano, tutto preso dagli af­fari, incapace di comprendere l'ani­ma romantica di mia moglie?

Dario                                  - Ma non si tratta di voi...

Paolo                                  - Già, voi dovete per forza negare... ma c'è la lettera che parla­vo! avete di proposito portato tutti e tre noi sulla scena... Avete certa­mente adempiuto così ad una volontà postuma di Riccardo. Avete voluto attribuire a me la colpa della sua morte?... E mettermi in cattiva luce presso mia moglie...

Dario                                  - Macché Riccardo!... Io non ho mai conosciuto questo uomo... Il Roberto del mio dramma non ha nulla a che fare con lui...

Paolo                                  - Non capisco perché vi ostiniate a negare visto che ho la prova. (Sventola la lettera).

Dario                                  - Intanto io mi rifiuto di rispondere ancora alle vostre do­mande se prima non mi dimostrate che codesta lettera non è trucco...

Paolo                                  - Se non si tratta che di questo... potete confrontarla.

Dario                                  - Insomma, non .vorrete darmi ad intendere che quell'uomo v'abbia mandato la copia della let­tera scritta a vostra moglie.

Paolo                                  - No, certo. Sono io che me la son procurata.

Dario                                  - Impossibile.

Paolo                                  - Perché?

Dario                                  - Perché... se l'avete voi non può averla vostra moglie... e se l'ha vostra moglie... come ho le mie buone ragioni per credere, non po­tete averla voi.

Paolo                                  - Ascoltatemi. Quando ob­bligai Riccardo a partire, credevo di aver sventato a tempo ogni pericolo e di poter ormai lavorare tranquillo. Invece non ebbi più pace. Cosa c'era stato fra quel ragazzo e mia moglie? Invano mi ripetevo che mia moglie era donna al di sopra d'ogni sospetto e che quel ragazzo mi stimava troppo. Il dubbio mi tormentava. E feci una cosa vile. Frugai fra le carte di mia moglie. Finché non trovai quella lettera. Allora solo fui tranquillo. Questa era lettera d'un innamorato, non d'un amante. Un amante non scrive: « Quasi vorrei che noi fossimo far­falle e vivessimo tre soli giorni d'e­state... ».

Dario                                  - A chi lo dite!

Paolo                                  - Ma dopo averla letta mi accorsi di non aver risolto nulla. Io mi conosco troppo bene. Non posso lavorare se non sono a posto col mio equilibrio interno. Avevo dunque bi­sogno di aver sempre con me questa lettera per calmarmi ogni volta che il dubbio m'assalisse. Non c'era che un mezzo. La feci fotografare e l'in­domani l'originale era al suo posto nello scrittoio di mia moglie.

Dario                                  - Come trovata non c'è male.

Paolo                                  - Vero? La riproduzione, fedele in ogni dettaglio, non mi ha abbandonato mai. Potete confrontare la lettera.

Dario                                  - (legge in silenzio un po'  la lettera).

Paolo                                  - Ed ora voi venite a rom­pere questo mio equilibrio e mi ricac­ciate nel buio. Da ieri sera non con­netto più.

Dario                                  - Non capisco di che cosa vi preoccupiate.

Paolo                                  - Come? Mi accusate della morte di un uomo e pretendete che stia calmo.

Dario                                  - Signore, non per il vostro equilibrio interno che mi è del tutto indifferente, ma per la verità torno a ripetervi...

Paolo                                  - Eh, no... Ora non potete più negare... Vi ho dato la prova: il vostro dramma attribuisce sia pure indirettamente al marito - che sarei io - la causa della morte del ragazzo, cioè di Riccardo... Ora immaginate lo stato d'animo di mia moglie nei miei confronti. E' questo che non mi dà pace... Figuriamoci come mi odierà ora.

Dario                                  - Odiarvi, poi...

Paolo                                  - Sì... perché ho sempre badato così poco a lei... tanto che ha finito col credermi un uomo gretto ed egoista... e si è rifugiata tutta nei libri che le danno quell'atmosfera che io non ho saputo mai crearle intorno. Ma questo è il colpo decisivo. Se mi crede responsabile della morte di quell'uomo è finita! Mia moglie sì allontanerà definitivamente da me...

Dario                                  - E voi parlatele... Spiega­tele i motivi che vi fecero allontanare Riccardo...

Paolo                                  - Magari, ma non posso... Non posso giustificarmi perché son prigioniero di questa lettera. E' un circolo chiuso... Se io parlo, mia mo­glie saprà che conosco la lettera di Riccardo, vale a dire che ho frugato tra le sue carte e la mia fede in lei di tutti questi anni poggia su un do­cumento.

Dario                                  - E che volete concludere?

Paolo                                  - Che dovete parlarle voi...

Dario                                  - Io?... Voi scherzate...

Paolo                                  - Solo voi potete cancellare la cattiva impressione che mia moglie s'è fatta ora di me...

Dario                                  - Ho ben altro da fare che consolare le signore io.

Paolo                                  - Ma si tratta semplice­mente di far capire a mia moglie che obbligando Riccardo a partire era il meno che potessi fare. Dovevo te­nermelo ancora in casa? Perché ac­cadesse quel che prima o poi sarebbe accaduto, anche se mia moglie era una brava donna, e quel poveretto l'uomo più timido che abbia mai in­contrato?

Dario                                  - Sono affari vostri.

Paolo                                  - Ci sono mariti che spa­rano. Io mi limitai a fargli fare le valigie... Un altro al suo posto avrebbe ringraziato Dio d'essersela cavata così a buon mercato... Lui no. Ne fa una malattia, tanto che finisce col morirne. E come se non bastasse, trova anche chi ci fa su un dramma. Boba dell'altro mondo. E va in Cina. Io domando poi che cosa sia andato a fare laggiù.

Dario                                  - Nel mio dramma è scritto: a lavorare.

Paolo                                  - E c'è bisogno d'andare in Cina per lavorare? Non ci sono posti più vicini?

Dario                                  - Pare di no.

Paolo                                  - E io devo ora scontare le sue pazzie? Devo trovarmi in questa situazione senza uscita? Perché que­sto è il problema. Che farà mia mo­glie? Io l'ho spiata durante tutto lo spettacolo. Ha sofferto moltissimo. E la mia pena maggiore è stata di non poterla confortare della morte di Riccardo che anche lei apprendeva in quel momento. Voi non immagi­nate forse cosa significhi veder sof­frire una persona cara e non poterle dire nemmeno-una parola... Ma mia moglie non è donna d'accettare così questa notizia. Vorrà conoscere par­ticolari, dettagli e verrà qui... Sì, da voi che siete l'unico in grado di dar­glieli. Ed ecco dove voi potete essermi utile.

Dario                                  - Ora basta. Se credete che possa perdere ancora tempo vi sba­gliate. Io non sono uno di quegli scrittori che goda di queste avven­ture e le desideri. No, io scrivo per vivere. Perciò, mi dispiace, ma non posso far nulla per voi... Tra l'altro, ora che mi ricordo, debbo anche partire... Sì, un lungo viaggio.

Paolo                                  - No. Voi non potete ab­bandonare proprio ora mia moglie.Che avverrà di lei? E' un'anima così sensibile!

Dario                                  - Beh, pensateci voi... E' vostra moglie infine, non la mia.

Paolo                                  - Partite per ragioni di la­voro?

Dario                                  - Certo.

Paolo                                  - Bene, vi offro il doppio della somma che contate guadagnare se rinunziate a questo viaggio.

Dario                                  - A che titolo?

Paolo                                  - Come diritti d'autore. Sì, vi pago a forfait, nella cifra che stabiliremo, i diritti per la favola che comporrete per mia moglie. S'intende che tenterete anche la mia riabilita­zione. Di solito scrivete le vostre sto­rie. Questa volta la racconterete. Na­turalmente a varie riprese...

Dario                                  - Ma vi pare che io possa accettare una simile offerta? Per chi mi prendete?

Paolo                                  - Per uno scrittore degno della massima stima, di cui in que­sto momento ho urgente bisogno. Solo, giacché questa volta tutto il vostro pubblico si ridurrà ad una sola persona, è giusto che quest'unica vi dia quanto vi darebbero tutti gli altri riuniti insieme.

Dario                                  - No, non posso accettare... E quanto durerebbe questa specie di romanzo?

Paolo                                  - Il tempo strettamente ne­cessario perché mia moglie si calmi e mi veda sotto una luce migliore.

Damo                                 - No... no... vi pare che io... e poi... senza un termine... Ci sono donne che non si stancano tanto presto di un bel romanzo.

Paolo                                  - Giusto. Fisseremo il ter­mine massimo di un mese... ma mia moglie si calmerà anche prima. Voi sarete a sua disposizione un'ora o due al giorno, al massimo. E poi sarete libero. Naturalmente v'impegnate a creare una favola molto romantica, adatta alla sua sensibilità. Una specie di commento al dramma, in cui a lei assegnerete una parte bellissima . e in quanto a me...

Dario                                  - A voi?

Paolo                                  - Cercherete semplicemente di giustificare il mio gesto di allora... E' tutto. Come vedete è un affare come un altro. Accettate?

Dario                                  - Non so... Devo pensarci... E il pagamento come avverrebbe?

Paolo                                  - Metà all'atto della vostra accettazione e metà a contratto ese­guito.

Dario                                  - Beh, vedremo... E nes­suno naturalmente saprà di questo accordo.

Paolo                                  - Solo voi ed io. Anche di­nanzi a mia moglie fingeremo di non conoscerci. Ed attenderemo che sia lei a presentarci. Perché Vedrete chevi telefonerà invitandovi a casa. Ci sta così poco...

Dario                                  - Ne siete sicuro? E se ci ripensasse?

Paolo                                  - No... no... siate tranquillo... Un uomo è morto per lei... questa storia la occuperà ormai tutta la vita... Vi telefonerò domani e ci ac­corderemo sulla cifra.

Dario                                  - E sia... Telefonatemi... Vi avverto però che i miei prezzi sono molto alti... Capirete, ho un certo credito sul mercato letterario e le ri­chieste non mi mancano...

Paolo                                  - Non vi preoccupate... Sono preparato a tutto... Arrivederci.

Dario                                  - Buongiorno.

Paolo                                  - (esce).

Dario                                  - (dapprima resta un attimo incerto, poi strappa velocemente alcune carte fra quelle che guardava spesso finora nello scaffale e, accesa una candela, le brucia. E resta così, preoccupato, a fissare la fiamma).

Fine del primo atto

ATTO  SECONDO

L'indomani in casa Claudini. Stu­dio-salotto. Ambiente signorile. Mo­bili eleganti. Intorno ad un tavolo con un paralume delle poltrone con l'evidente intensione di creare « un angolo intimo ». Libri sparsi un po' dovunque oltre che in alcuni scaf­fali ricavati nei mobili. Un radio­grammofono. Sul tavolo spicca il ri­tratto di Paolo. In un angolo il te­lefono. A sinistra e a destra della scena, entrate. Sul fondale una finestra.

Paolo                                  - (passeggia nervoso, va alla finestra, guarda giù nella strada. En­tra Anna) A che ora è uscita la signora?

Anna                                  - Alle tre.

Paolo                                  - Avete notato nulla di strano nell'atteggiamento della si­gnora?

Anna                                  - Era molto nervosa. Da stamattina non fa che sgridarmi. Mi ha anche dato gli otto giorni.

Paolo                                  - Vi ha licenziata?

Anna                                  - Alle undici, ma a mezzo­giorno s'è pentita e m'ha aumentato il salario.

Paolo                                  - A mezzogiorno?

Anna                                  - Sì, signore.

Paolo                                  - Potete andare. E vi rac­comando di non contraddire mai la signora. Qualunque cosa vi ordini.

Anna                                  - Si, signore. (Anna esce. Paolo passeggia ancora. Va al telefono. Sta per formare un numero ma poi ci rinunzia. Entra Luciana. E' vi­vace, parla velocemente, frivola, pet­tegola).

Luciana                              - Buona sera Paolo, non C'è Giulia?

Paolo                                  - No. L'aspetto anch'io.

Luciana                              - E dov'è andata?

Paolo                                  - Brava. Se lo sapessi! Ac­comodati.

Luciana                              - Mi sai dire che è ac­caduto a tua moglie? E? una setti­mana che abbiamo deciso di andare stasera a giocare dai Ravasio. Sta­mattina mi telefona per dirmi che non le va più di venire. Non vuole vedere gente... ha bisogno di star sola... insomma un mondo di scuse. Ne sai niente tu?

Paolo                                  - Mah...

Luciana                              - Io insisto, le faccio osservare che ormai ci aspettano e lei mi risponde: Beh, se vuoi saperlo, sono in lutto. Ma allora perché non dirlo subito? Chi vi è morto?

Paolo                                  - Credo che si tratti d'un parente... sì, di un parente lontano che Giulia non vedeva più da molti anni.

Luciana                              - Come... credo?... E' morto o non è morto?

Paolo                                  - Sai, Giulia ha tanti pa­renti... E cosi ogni tanto ne muore uno... Se dovessimo tener dietro a tutti...

Luciana                              - Ti burli di me?

Paolo                                  - Io?

Luciana                              - Ma sì. Non credo af­fatto a questa storia. Per me c'è sotto un mistero. Voi due mi nascon­dete qualche cosa.

Paolo                                  - Proprio a te?... No... no non pensarlo nemmeno: piuttosto cerca di stare molto vicina a Giulia in questo periodo... sei la sua mi­gliore amica e puoi aiutarla a supe­rare la crisi.

Luciana                              - C'è una crisi? Oh, povero Paolo.

Paolo                                  - Che c'entro io?

Luciana                              - Paolo, qualunque cosa t'abbiano detto di Giulia è falso. Giulia è la fedeltà in persona. Tu non devi minimamente dubitare di lei...

Paolo                                  - Ma perché la difendi?... Sono convintissimo dell'onestà di Giulia. Ho un'assoluta fiducia in lei….

Luciana                              - Scusa, sai... ma il solo pensiero che si possa dubitare di Giulia m'irrita...

Paolo                                  - Apprezzo il tuo slancio.Ma non si tratta di questo.

Luciana                              - E di che allora?

Paolo                                  - Ma di niente... ti dico.Si tratta d'impressioni... La vedonervosa, inquieta... perciò ho pensato che tu potresti esserle di con­forto... Tra voi donne vi compren­dete.

Luciana                              - Lascia fare a me.

Paolo                                  - Solo non dirle che sono io a consigliartelo... Mi raccomando.

Luciana                              - Fidati di me. Son fatta apposta per questi incarichi io! Ti renderò Giulia allegra in quarantott'ore.

Paolo                                  - Sì, ma senza chiederle nulla... Con discrezione.,.

Luciana                              - Si capisce... Tatto-garbo... è quello che ci vuole...

Paolo                                  - Ed ora sarà bene che non ti faccia trovare qui... Potrebbe sospettare... cercherò di farti tele­fonare io... Ma se non ricevi la tele­fonata, vieni lo stesso...

Luciana                              - Sì... le dirò che vengo per rinnovarle l'invito a nome dei Bavasio.

Paolo                                  - Ecco benissimo... Allora intesi. (Luciana esce).

Paolo                                  - (dopo un attimo di indeci­sione, va al telefono) Pronto? Casa Silenti? Siete voi Silenti?... Sì... Claudini... K venuta da voi mia mo­glie? No? Allora vi telefonerà. Aspet­terà che sia uscito io. Ne sono certo. Stanotte ha persino pianto. Allora, per la cifra? Benissimo. D'accordo. Vi manderò fra poco l'assegno. Si. E mi raccomando. Come vi dissi. (Depone il microfono. Si siede al tavolo, caccia il libretto degli asse­gni. Ne riempie uno. Entra Giulia. Paolo nasconde l'assegno).

Giulia                                 - Non sei uscito?

Paolo                                  - No, ho preferito aspet­tarti.

Giulia                                 - Perché?

Paolo                                  - Così. Dove sei stata?

Giulia                                 - Da quando t'interessi a quello che faccio?

Paolo                                  - Veramente.

Giulia                                 - Non importa. Ti ri­sponderò. Ho comprato un mondo di roba.

Paolo                                  - Bene... bene. (Allegro) Mi arriveranno molti conti?

Giulia                                 - No. Ho pagato tutto io.

Paolo                                  - (deluso) Ah! (Va inde­ciso, alla radio. L'apre. Si ode mu­sica da ballo).

Giulia                                 - Per favore chiudi quel­la radio.

Paolo                                  - Subito. (La chiude). Di solito la musica ti piace...

Giulia                                 - Oggi mi dà fastidio.

Paolo                                  - Hai bisogno di qualche cosa?

Giulia                                 - (scuote il capo).

Paolo                                  - Perché non telefoni a qualcuno...

Giulia                                 - A chi?

Paolo                                  - Non so... a qualche ami­ca... Fammi pensare... Ecco, a Luciana... per esempio telefoni a Luciana.

Giulia                                 - Perché?

Paolo                                  - Così fai due chiacchiere con lei e ti distrai un po'.

Giulia                                 - Da che cosa devo distrarmi?

Paolo                                  - Non so.

Giulia                                 - Lascia in pace Luciana. Se c'è una persona che mi è anti­patica è proprio lei. Una presun­tuosa convinta che tutti gli uomini le corrono dietro.

Paolo                                  - Come?... La tua amica più intima?

Giulia                                 - Macché amica... Io non ho amiche... Non ho nessuno...

Paolo                                  - (tentando di scherzare) E io?... Non ci sono io?...

Giulia                                 - (come se lo vedesse per la prima volta) Tu?... Già, tu.„

Paolo                                  - (non volendo rilevare l'iro­nia) Eppure proprio oggi mi son detto: Vediamo un po' cosa potrebbe piacere a Giulia per la sua festa?

Giulia                                 - Che festa?

Paolo                                  - Il tuo compleanno.

Giulia                                 - Se mancano sei mesi!

Paolo                                  - Beh e noi lo festeggiamo oggi. Vuol dire che fra sei mesi lo festeggeremo ancora.

Giulia                                 - Se credi di essere gentile a ricordarmi che invecchio.

Paolo                                  - Ecco! Qualunque cosa dico, tu l'interpreti male. Volevo farti un regalo. E non sapevo che pretesto trovare. Allora ho pensato: Fingiamo che sia il suo compleanno...

Giulia                                 - Scusami, ma sono ner­vosa. Forse non sto bene.

Paolo                                  - Vuoi che chiami il me­dico?

Giulia                                 - No... no... mi passerà.

Paolo                                  - E così, non sei curiosa di vedere il regalo? Non l'indovini? Non ricordi che cosa desideravi?... No?.., Chiudi gli occhi. In un mi­nuto il gioco è fatto. (Paolo passa alle .spalle di Giulia e le allaccia al collo un filo di perle, Giulia resta immobile) Uno, due, tre! La si­gnora è servita.

Giulia                                 - (senza entusiasmo) Le perle.

Paolo                                  - La signora non sente il desiderio di ammirarsi nello spec­chio? Di constatare il fascino che ha acquistato il suo graziosissimo collo? No? Ebbene visto che Mao­metto non va alla montagna sarà... lo specchio che andrà dalla signora. (Prende uno specchio dalla mensola e lo regge dinanzi a Giulia) Il gioiel­liere mi ha giurato che son degne del collo d'una regina. Allora mi son subito detto: son fatte per Giulia.

Giulia                                 - (si guarda distrattamente nello specchio).

Paolo                                  - Vedi ora su questo tuo abito scuro...

Giulia                                 - (scoppia in un pianto som­messo).

Paolo                                  - Ho detto qualche cosa che non va?...

Giulia                                 - (fa segno di no).

Paolo                                  - Tu sei triste e non vuoi confidarti con me. Se credi che non mi sia accorto che anche stanotte hai pianto...

Giulia                                 - (asciugandosi gli occhi) Non è niente... un po' d'emicrania... sarà questa pioggia...

Paolo                                  - Pioggia?... Ma se è da ieri che non piove più.

Giulia                                 - E' lo stesso... Quando piove d'autunno io la malinconia la sento l'indomani... Gli alberi che si spogliano...

Paolo                                  - E vuoi affliggerti perché gii alberi si spogliano?... Non è la prima volta che lo fanno...

Giulia                                 - L'inverno che si avvi­cina... Paolo, se io non dovessi es­sere più...

Paolo                                  - Non essere più... Che co­sa ti salta in mente?

Giulia                                 - Anch'io dovrò morire un giorno.

Paolo                                  - Ma se sei molto più gio­vane di me.

Giulia                                 - Che importa? Non si muore quando si è vecchi... ma quan­do non si è più utili a nessuno...

Paolo                                  - Tu intanto, sei utilis­sima a me, senza di te io...

Giulia                                 - Paolo devi farmi una promessa.

Paolo                                  - E' assurdo.

Giulia                                 - No. Promettimi.

Paolo                                  - Di che si tratta?

Giulia                                 - Vorrei... vorrei essere vestita con un kimono.

Paolo                                  - (agitato) Un kimono... perché proprio un kimono?

Giulia                                 - Cosi... Penso che mi stia bene... Tutti quei fiori...

Paolo                                  - Se non ne hai mai avuti? Come fai a saperlo?

Giulia                                 - Oggi ne ho comprato uno bellissimo.

Paolo                                  - (c. s.) Un kimono... che idea... (Comincia ad andar su e giù, molto agitato).

Giulia                                 - Non esci oggi?

Paolo                                  - Certo... ma mi trattenevo un po'... perché non stiamo mai in­sieme... Io gli affari... tu i libri... E cosi non ci conosciamo più...

Giulia                                 - Scegli male il momento per cominciare a conoscermi... Oggi desidero star sola... Non ci sono an­che per te giorni in cui non vuoi veder nessuno?

Paolo                                  - Forse...

Giulia                                 - Che ore sono?

Paolo                                  - Le cinque...

Giulia                                 - E' tardi.

Paolo                                  - Perché, aspetti qualcuno?

Giulia                                 - No... Dicevo così... Ho un bel libro da leggere... anzi dirò ad Annetta che non sono in casa per nessuno... Allora esci?

Paolo                                  - Sì... sì... vado... non ti occorre proprio nulla?

Giulia                                 - No... grazie...

Paolo                                  - Io non torno prima di sera... Puoi leggere quanto vuoi... Starò via parecchio...

Giulia                                 - Ho capito...

Paolo                                  - No, dicevo cosi perché tu non credessi che io possa tornare da un momento all'altro... No... hai molto tempo a tua disposizione... e prima di venire ti telefono... così sai quando sto per rientrare... ecco. (Esce).

Giulia                                 - (dopo essersi accertata alla porta che U marito sia uscito. Al te­lefono) Pronto? Siete voi Si­lenti?... Si, Giulia Claudini... Vorrei tanto parlarvi... Non ditemi di no... Posso venire?... Come?... Volete ve­nire voi da me?... Siete molto gen­tile... Quando?... Anche subito?... Sa­pevo che avreste riflettuto... Lo fate volentieri?... Oh, come siete mutato­vi sono grata!... Sì, al... vi aspetto.

Giulia                                 - (chiamando) Annetta.

Annetta                              - Signora.

Giulia                                 - Adesso verrà un signo­re... Palio passare... E dopo io non sono più in casa per nessuno... Chiun­que fosse...

Annetta                              - Che devo dire?

Giulia                                 - Quello che vuoi... Che son partita... morta... Insomma: non voglio veder nessuno.

Annetta                              - Sta bene. (S'avvia).

Giulia                                 - Aspetta... Ti piace la musica?

Annetta                              - Oh, signora!

Giulia                                 - Che significa: Oh? Sì o no?

Annetta                              - Si.

Giulia                                 - Bene. Mettiti li che ti faccio sentire un bel disco. (Disfa un involto che ha portato con sé, toglie un disco, lo mette sul radio­grammofono. Si ode una caratteri­stica musica cinese).

Giulia                                 - Non ti piace?

Annetta                              - Non so, signora.

Giulia                                 - Come? Non sai dire se una musica ti piace o no?

Annetta                              - Ma non so, signora...

Giulia                                 - Sei veramente sciocca... E' musica cinese...

Annetta                              - Si, signora.

Giulia                                 - Va... va... (Annetta esce mortificata).

 (La musica continua. Giulia trae dal petto la lettera di Riccardo e la legge, assorta. Entra Dario. Dario si ferma sulla soglia. China il capo,compreso dell'atmosfera. Poi avanza in punta di piedi. Ora solo Giulia l'ha scorto. Gli va incontro, gli ten­de la mano. Dario la bacia. Adesso la musica cessa. Pausa).

Giulia                                 - Amico mio!

Dario                                  - Signora.

Giulia                                 - Grazie d'essere venuto.

Dario                                  - Ho preso un tassi per far più presto.

Giulia                                 - Siete un'anima vera­mente sensibile.

Dario                                  - Ci sono argomenti ai quali nessun uomo saprebbe resi­stere.

Giulia                                 - Solo gli artisti sanno apprezzare la vita dello spirito e non esser sordi ai suoi appelli.

Dario                                  - Faccio del mio meglio.

Giulia                                 - Vi sarò eternamente ri­conoscente.

Dario                                  - Non è il caso. C'è già chi ci pensa.

Giulia                                 - Capisco: il pubblico. E' lui che vi compensa. E il pubblico l'altra sera ha pianto. Ho visto be­nissimo. Ha sentito che nel vostro dramma c'era un brano di vita au­tentica. Ha sentito ch'eravamo tutti e tre vivi sulla scena: Riccardo, mio marito ed io. E mi meraviglio che gli spettatori non ci abbiano rico­nosciuto... e rimanessero tutti calmi in poltrona... compreso mio marito. La sua indifferenza mi ha colpito più di quella degli altri. Stava li - quieto - come se la faccenda non lo riguardasse. Anzi una volta - scu­sate - ha sbadigliato. Educatamen­te, ma ha sbadigliato.

Dario                                  - Forse era stanco.

Giulia                                 - Ma no, solo che quell'episodio a cui io son rimasta ag­grappata carne e anima, per lui è niente. Tanto che ha potuto dimen­ticarlo. Ah, ieri ho veramente cono­sciuto mio marito!

Dario                                  - Signora, non mi sembra poi che vostro marito sia così col­pevole.

Giulia                                 - No? Un uomo che se ne sta calmo in poltrona, mentre sulla scena un disgraziato muore vit­tima della sua violenza? E pensare che accanto a quest'uomo ho vissuto degli anni.

Dario                                  - Ma siamo giusti. Ric­cardo amava voi, non lui. Perciò non c'è da stupirsi se siete voi a ricor­darlo e non vostro marito.

Giulia                                 - Lo difendete? Si vede che non lo conoscete. Per lui non c'è che il danaro. Vedete questa col­lana? Me l'ha regalata lui.

Dario                                  - E' un pensiero gentile.

Giulia                                 - No. S'è accorto che sof­frivo e allora senza preoccuparsi di scoprire la causa della mia sofferenza, m'ha fatto un regalo. E cosi per lui tutto è accomodato.

Dario                                  - (esaminando la collana) Vale molto.

Giulia                                 - E con questo?

Dario                                  - Certo... certo... non è il danaro che può sanare certe ferite. Ma non dovete dimenticare che vo­stro marito non conosce la lettera di Riccardo.

Giulia                                 - Oh, è stato molto bello da parte vostra trascriverla senza al­terare nemmeno una parola.

Dario                                  - Veramente, signora, que­sto un pedante lo chiamerebbe plagio.

Giulia                                 - Macché plagio. E' invece un segno di stima nell'opera di Ric­cardo. Avete riconosciuto in lui un poeta. Anche se gli altri non lo sa­pranno mai...

Dario                                  - E non devono saperlo...

Giulia                                 - S'intende... Ma parla­temi di lui... Ieri avevate appena co­minciato quando foste chiamato alla Radio... .

Dario                                  - Dov'eravamo rimasti?

Giulia                                 - Che lui moriva.

Dario                                  - Ah, lui moriva... Benis­simo... Ecco cercate d'immaginare la scena... un paese arido e selvaggio... da lontano l'eco di una fucileria... Vi­cino raffiche rabbiose di pioggia e un uomo solo, abbandonato in quell'angolo sperduto del mondo, riverso, col petto che sanguina, mormora del­le frasi d'amore... E intorno a quelle parole che viene pronunziando si fa a poco a poco la calma come se an­che la natura voglia rispettare que­sto mistero d'amore... L'uomo è solo, al centro di questa bufera e intorno a lui le parole vanno innalzando una inviolabile cortina...

Giulia                                 - Bellissimo.

Dario                                  - Sì, non c'è male.

Giulia                                 - E quest'uomo è morto per me.

Dario                                  - Si potrebbe dire di si.

Giulia                                 - Certo. Perché sarebbe andato proprio in Cina? Dove c'è sempre qualche guerricciola, come dite voi. Perché sarebbe andato in mezzo al pericolo? Evidentemente perché voleva farla finita. Perché si sarebbe esposto a quel modo? Perché non mi direte che non si esponesse...

Dario                                  - Si esponeva... si espo­neva...

Giulia                                 - Ecco: un uomo è morto per me. Quante donne possono dire altrettanto?

Dario                                  - Oh, molto poche. Sono finiti i tempi degli amori mortali.

Giulia                                 - Si, ma non lo sa nes­suno.

Dario                                  - Che intendete dire?

Giulia                                 - Nessuno sa che per ilvostro dramma vi siete ispirato alla vita. E precisamente a me. Lo sap­piamo solo voi ed io. E questo se­greto sparirà con noi. E" ingiusto.

Dario                                  - Ma non può essere altri­menti!

Giulia                                 - Ma quando ci saranno i commenti alla vostra opera, chi potrà poi scrivere che portaste sulla scena ciò che era realmente acca­duto? Quando voi, non ci sarete più...

Dario                                  - Signora, intanto spero che questa eventualità sia molto lontana. E poi, per esser franco, vi dirò che me ne infischio di quel che diranno di me quando non ci sarò più.

Giulia                                 - Ma interessa me. Perché in un certo senso io oggi entro nella storia letteraria. Di riflesso, ma... c'entro. Come Werter... Ortis... E se qualcuno, sospettando la reale esisten­za d'una donna dietro la vostra Vilma, scoprisse altre ispiratrici? O peggio snaturasse la mia personalità? La cri­tica storica pullula di questi errori. E' un affronto che io non devo a Riccardo. Perciò dovreste lasciar qual­cosa perché gli altri si orizzontino.

Dario                                  - Signora, io non so come questa storia andrà a finire. A poco a poco sorgono nuove complicazioni.

Giulia                                 - Dovreste pubblicare il vostro dramma con una prefazione. Shaw le fa sempre.

Dario                                  - Io non sono Shaw.

Giulia                                 - Potreste diventarlo.

Dario                                  - Oh, per me... Da giovane sognavo di diventar Shakespeare.

Giulia                                 - Io vi aiuterò. Non sono stata la vostra ispiratrice? Intanto se volete documentarvi, vi interesserà forse conoscere come Riccardo entrò nella mia vita. Volete prendere ap­punti?

Dario                                  - (rassegnato, secondandola) No, ho buona memoria.

Giulia                                 - Bene... Fu un pomerig­gio di un giorno come questo... Era in me l'irritazione che ci assale all'improvviso alla fine di una gior­nata consumata stupidamente... Per la prima volta mi sorprendevo a pensare alla vita che m'attendeva e che avevo immaginato migliore... Mi aggiravo inquieta per le stanze, dove tutto mi sembrava freddo, ostile... ep­pure accanto a quell'insofferenza co­minciavo ad avvertire un'ansia sem­pre più viva, simile a quella scossa interna che, come un presagio, pre­cede gli avvenimenti che avranno un peso nella nostra vita. Ad un tratto si apri quella porta e sulla soglia apparve lui. Timido, biondo, strin­geva fra le dita una lettera di pre­sentazione per Paolo. Ci guardammo. Fu un attimo, ma io sentii che era l'uomo del destino. Strano, mi ricordai    - non so perché - della prima volta che da bambina vidi il mare. Tutto quell'azzurro allora mi venne incontro così improvviso alla fine di una gita, che ne ebbi l'anima inon­data e per molti giorni dopo tutta l'acqua - anche quella della mia vasca da bagno - la vedevo azzurra.

Dario                                  - A me il mare la prima volta che lo vidi fece un altro effetto.

Giulia                                 - Quale?

Dario                                  - Eh!

Giulia                                 - Voglio dire che quando vidi Riccardo mi sentii improvvisa­mente più leggera... come se il mio corpo non pesasse più... non diver­samente deve vedere il mondo una farfalla... e ogni volta che fummo vi­cini fu sempre così.

Dario                                  - (fra i denti) La cosa non doveva essere molto allegra...

Giulia                                 - Che avete detto?

Dario                                  - Niente...

Giulia                                 - Il nostro fu... uno di quegli amori che è raro oggi tro­vare... Passeggiate... musei... concer­ti... e letture... letture... Abbiamo divorato intere biblioteche... La prefe­renza di Riccardo era per i poeti... Procedevamo a cicli.

Dario                                  - Cicli? (fa l'atto di chi pedala una bicicletta).

Giulia                                 - Cicli letterari... Aveva­mo divisi i poeti per epoche e per nazionalità... in modo che non ce ne sfuggisse nessuno... E' impressionan­te il numero di poeti che ha prodot­to l'umanità... Ne scoprivamo sem­pre dei nuovi.

Dario                                  - Per me i poeti tutta gen­te inutile. Aveva ragione Platone.

Giulia                                 - E un bel giorno ci ac­corgemmo che erano rimasti fuori i persiani.

Dario                                  - Santo Cielo!

Giulia                                 - Sono dei poeti squisiti.

Dario                                  - Non ne dubito... ma con tutto questo gran da fare che vi davate con la poesia... non pensavate mai... si, mi capite...

Giulia                                 - Per carità... Nel clima in cui vivevamo ogni pensiero im­puro ci infastidiva... i corpi non con­tavano più per noi... Riccardo era convinto che il possesso uccide l'a­more.

Dario                                  - Un bel tipo, il vostro Riccardo... Sì... ma ci sono anche poeti che... non scherzano... insom­ma non tutti sono... idilliaci... Ogni tanto capita anche il poeta che non s'accontenta di descrivere le grazie di una donna... ma vuol documentarsi sull'amore... Baudelaire, per esempio...

Giulia                                 - Ah no... II poeta ha bi­sogno di soffrire per essere poeta... cioè di desiderare l'oggetto amato... il giorno in cui lo possiede... è feli­ce... e allora non fa più il poeta... epoi, quando ci imbattevamo in qual­che brano un po'... sì... come dite voi... Riccardo mi proponeva: Sorvo­liamo? Sorvoliamo, rispondevo io.

Dario                                  - Sorvoliamo... Ora capisco l'affare delle farfalle!

Giulia                                 - Ed ecco perché il nostro amore, essendo immune da contatti fisici, continui a vivere anche dopo la sua morte. Anzi adesso che il suo grande spirito s'è liberato dal peso del corpo che tanto l'infastidiva in vita, m'è ancora più vicino. Tan­to che spesso lo sento aleggiare in­torno a me. Adesso, per esempio. Io parlo e so che lui mi sente.

Dario                                  - Vi sente?

Giulia                                 - E mi approva. Perché è qui. E noi ora ci comprendiamo co­me allora. Perché anche allora non avevamo bisogno di parlare per ca­pirci. Per due cuori che si amano non c'è che un linguaggio: il si­lenzio! (Giulia resta assorta, come se veramente avvertisse la presenza di Riccardo. Dario si guarda preoc­cupato in giro. Pausa). Di solito, da vivo, si sedeva In quella vostra pol­trona. (Riccardo precipitosamente si alza e si siede in un'altra poltrona). E di lui non mi rimane nemmeno una fotografia. Ditemi, almeno, era ancora biondo quando lo \7edeste?

Dario                                  - Biondo? Non ricordo. Sa­pete in quei momenti non potevo badare ai suoi capelli. C'era un po' di confusione (Pausa. Di dentro ru­more di voci: « No, la signora... non può ricevervi». Irrompe Luciana).

Luciana                              - Cara, come stai? Fi­gurati che la tua cameriera non vo­leva lasciarmi, passare. Mi diceva che eri malata. Se è malata - le ho ri­sposto - la mia presenza è più che mai necessaria... Oh, ma tu non sei sola.

Giulia                                 - (presentando) Il com­mediografo Dario Silenti... la signo­rina Luciana Antimi...

Luciana                              - Oh, maestro che for­tuna! Era tanto che desideravo co­noscervi. Sono una vostra ardente ammiratrice. Quando ho ascoltato il vostro ultimo lavoro: «La volpe az­zurra »...

Giulia                                 - Ma tu confondi. « La volpe azzurra » è di Herzceg.

Dario                                  - Non importa. Vorrei aver­la scritta io.

Luciana                              - Oh, scusate... io ho cosi poca memoria per i nomi... In­somma quando ho ascoltato il vostro ultimo lavoro...

Giulia                                 - (suggerendo) « Anime nella tormenta ».

Luciana                              - Ecco, sì. Proprio quel­lo... mi dicevo: Chissà che faccia avrà un uomo che sa tante cose belle sull'amore. Sarà giovane, vecchio, bello, brutto? Ed oggi vi co­nosco.

Dario                                  - E l'impressione?

Luciana                              - Deliziosa... Ma scusa­te, forse disturbo... Stavate parlando.

Dario                                  - (evidentemente infastidito delle chiacchiere di Luciana) No­no... stavo prendendo congedo dalla signora... Vi lascio quindi libere di farvi tutte quelle confidenze che noi uomini non dobbiamo ascoltare.

Luciana                              - Non vorrei essere lo a farvi scappare.

Darlo                                  - Che dite mai? (La sa­luta) Signorina...

Giulia                                 - Io vi accompagno.

Dario                                  - (avviandosi) Quando cre­dete io sono a vostra disposizione.

Giulia                                 - Anche domani? (Esce con lui).

                                           - (Luciana va al radiogrammofono, esamina il disco. Lo fa suonare. En­tra Giulia che, irritata, lo ferma).

Giulia                                 - Non c'è che dire, tu hai oltremodo sviluppato il senso dell'opportunità. Sai sempre cogliere i mo­menti più adatti.

Luciana                              - Caspita! Sembri un'i­strice... E dire che mi son precipitata qui per avere tue notizie dopo quella telefonata così strana... Ho persino lasciato in asso Alberto che era ve­nuto a rilevarmi.

Giulia                                 - Senti, non cominciare a parlarmi delle tue stupide avven­ture.

Luciana                              - Ma cos'hai?

Giulia                                 - Ho che sono stufa di sen­tire che tutti gli uomini cadono ai tuoi piedi, che vogliono uccidersi per te, che semini al tuo passaggio amore e morte... Le grandi passionali, le donne per cui veramente gli uomini muoiono non sono come te... Figu­rati! Ci vuol altro...

Luciana                              - Che ne sai tu?

Giulia                                 - Lo so... E non si van­tano come fai tu. No. Stanno zitte. E a vederle sembrano donnette qua­lunque... Eppure gli uomini hanno preferito morire che perderle... Que­ste sono le donne fatali.

Luciana                              - Ne hai forse conosciuta qualcuna?

Giulia                                 - Sì... e non si dava certo delle arie... anche se il fatto aveva eccitato la fantasia di uno scrittore... tanto era bello...

Luciana                              - Oh, raccontami, rac­contami... sai che adoro gli scan­dali...

Giulia                                 - Macché scandali... Sei veramente insopportabile... per te non ci può essere niente di puro...

Luciana                              - Beh, io non ti rico­nosco più... Altro che crisi... Tuo ma­rito s'illude...

Giulia                                 - Hai parlato con Paolo?... Quando?... Che t'ha detto?

Luciana                              - Oh, che stupida... non dovevo dirtelo...

Giulia                                 - Beh, adesso che hai co­minciato... continua...

Luciana                              - Non ho niente da dir­ti... ho visto Paolo per un momento stamattina e m'ha detto... sì... che tu attraversavi una crisi... Di starti molto vicina... perciò sono venuta... e tu mi accogli così...

Giulia                                 - Un momento... T'ha rac­comandato di starmi molto vicina?

Luciana                              - Si... non capisco che cosa ci sia di strano.., Un pensiero gentile... io trovo...

Giulia                                 - E non ha aggiunto altro?

Luciana                              - Oh, che magnifica col­lana!... E’ un regalo di Paolo?

Giulia                                 - Ma va avanti... Cerca di ricordarti...

Luciana                              - Aspetta... sai che non ho memoria... Ecco... quando io gli ho detto della tua telefonata... che eri in lutto... lui m'ha spiegato che era morto un tuo parente... e che sof­frivi... non mi pare che abbia aggiun­to altro... E adesso lasciami guardare la collana.

Giulia                                 - (dandogliela) Ecco.

                                           - (Luciana prima l'esamina, poi la mette al collo e va a guardarsi netto specchio mentre Giulia, decisa, va al telefono).

Giulia                                 - (al telefono) Società di Navigazione?... Signorina datemi mio marito... Grazie... Sei tu Paolo?... Vor­rei parlarti... No, vieni subito... Ti dirò quando sarai qui... Fa presto...

Luciana                              - Ma che fai?... Che vuoi dire a Paolo? Bada, che m'ha fatto promettere...

Giulia                                 - Sì, sì, sta tranquilla... (Passeggia nervosamente). Ecco perché m'ha regalato la collana.

Luciana                              - Perché?

Giulia                                 - Smettila di farmi tutte queste domande.

Luciana                              - Scusa, fra te e tuo ma­rito mi sembrate due matti... Si cerca di esservi utili e voi...

Giulia                                 - Tu non puoi far nulla, ma saresti felicissima se potessi sa­pere qualcosa da raccontare in giro... Ti conosco...

Luciana                              - Adesso sragioni... E pen­sare che t'ho anche difesa con Paolo.

Giulia                                 - Tu?... Ho proprio biso­gno di essere difesa io...

Luciana                              - Io non ti capisco.

Giulia                                 - Meglio cosi... Bada che se non vuoi incontrarti con Paolo bi­sogna che scappi... Lui ha la mac­china e fra un minuto sarà qui.

Luciana                              - Mi mandi via? Benis­simo. Ritornerò quando starai un po' meglio... T'avverto però che se i Ravasio domanderanno tue notizie, dirò che sei impazzita.

Giulia                                 - Di' quello che ti pare, soltanto è inutile che tu faccia delle indagini,: tanto non scopriresti nulla.

Luciana                              - Preferisco non rilevare l'insinuazione, ma sai benissimo che se io indago... scopro sempre... Addio. (Esce).

Giulia                                 - (suona il campanello. Ap­pare Annetta) Ti ha detto nulla il signore?

Annetta                              - Di che?

Giulia .                               - Per esempio... di essere ubbidiente con me., o cose simili?

Annetta                              - Ah, sì... di non con­traddirvi mai... e anche...

Giulia                                 - (interrompendola) Basta così. Va pure. (Annetta esce. Entra Paolo in fretta).

Paolo                                  - Che è successo?... Ho in­contrato sulle scale Luciana che mi ha gridato: Giulia è impazzita! E se ne è andata senza voltarsi.

Giulia                                 - Bravo. Parliamo di Lu­ciana. E' stata lei ad aprirmi gli oc­chi. Se tu non avessi avuto la pere­grina idea di raccomandarti a lei, a quest'ora io avrei continuato ad igno­rare. Ma hai scelto male la tua con­fidente. Luciana se non parla, scop­pia. E così ho scoperto tutto.

Paolo                                  - Tutto che cosa?

Giulia                                 - Via... fra noi è inutile questa commedia... Tu sai benissimo che il dramma che ascoltammo l'altra sera non è altro che la storia mia e di Riccardo... Negalo, se puoi...

Paolo                                  - (esita, poi) Non lo nego.

Giulia                                 - Ecco... hai il buon gusto almeno di ammetterlo. Questo sem­plifica molte cose... Perché fra noi due, ormai, non c'è più posto che per la verità, dovunque ci conduca...

Paolo                                  - Che vuoi dire?

Giulia                                 - Che « arrivato il mo­mento di guardarci in faccia come realmente siamo senza inutili finzio­ni... e di dirci quello che ognuno pensa dell'altro.

Paolo                                  - Giulia, ti prego... oggi sei troppo irritata per discutere...

Giulia                                 - Eh, no... Caro mio, sa­rebbe troppo comodo! Questa volta non eviterai con futili pretesti che si vada in fondo. Pino a ieri appena intuivamo che qualcosa poteva divi­derci, le mettevamo sopra una bella etichetta: « Pericolo di morte » e la seppellivamo perché il nostro amore non ne soffrisse... Oggi basta... Perché a forza di coltivare ognuno per proprio conto gusti, idee, amicizie, se qualcosa è morto fra noi due è pro­prio l'amore!

Paolo                                  - Ma scusa, Giulia, è as­surdo quello che dici... io...

Giulia                                 - Vorresti forse dire che mi ami? Se tu m'amassi non avresti dubitato di me...

Paolo                                  - Io non ho mai dubitato di te. Se allontanai quel ragazzo fu perché...

Giulia                                 - Non parlo d'allora. Non è quel gesto che io ti rimprovero. Erail tuo diritto. Ma è la viltà che hai commesso dopo che non sopporto. Di' la verità, hai frugato nelle mie carte. Hai letto la lettera di lui... Hai avuto bisogno della prova... del documento... per credermi...

Paolo                                  - E’ vero.

Giulia                                 - Oh!

Paolo                                  - L'ultima sera che vi sor­presi insieme mi parve di cogliere negli occhi di Riccardo una luce nuo­va, improvvisa e per la prima volta mi sentii estraneo fra voi due. Do­vevo capire che fra voi c'era un mondo esclusivamente spirituale che non presentava pericoli per me... In­vece decisi di separarvi... E se di qualche cosa mi sono pentito in que­sti anni è proprio di aver allontanato quel ragazzo.

Giulia                                 - Cosa stai inventando?

Paolo                                  - La verità. Sai quando hai cominciato ad amare Riccardo? Da quando lo costrinsi a partire... E con il mio gesto brutale gli assegnai la parte di vittima, richiamando su di me tutto il tuo disprezzo. Se invece io fossi stato più furbo, te l'avrei la­sciato vicino e avrei lavorato per presentartelo sotto una luce diversa. Avrei dovuto a poco a poco mostrarti i lati meno belli del suo carattere. Oh! Non ti offendere, ogni uomo ne ha.

Giulia                                 - Riccardo, no.

Paolo                                  - E' giusto... Tu lo vedi così perché non hai avuto tempo di ve­derlo diversamente... Riccardo è ri­masto per te un idealista... Ti parlava di poesia... di evasioni... come ogni uomo a vent'anni. Ma c'era il fondo del suo carattere che tu non cono­scevi. Riccardo amava il danaro. Del resto, chi non lo ama?

Giulia                                 - Se credi che io debba star qui a sentirlo insultare...

Paolo                                  - Dio me ne guardi! Sarei sciocco a farlo. Finiresti con l'odiarmi. Ah, quando l'assunsi, parve anche a me un sognatore, e pensai che c'era poco da cavarne. Invece Riccardo aveva il senso degli affari e alla pri­ma occasione me lo provò. Gli affidai delle trattative per un importante contratto di trasporto.... condusse l'af­fare con grande abilità., e quando gli dissi che oltre lo stipendio gli spet­tava una percentuale, i suoi occhi brillarono... Notai che il suo sguardo non era meno luminoso di quando leggeva ituoi poeti.

Giulia                                 - Parli così perché ti trovi di fronte all'irreparabilità della sua morte.

Paolo                                  - Ti capisco Giulia e so quello che pensi; ma nessuno può chiamarmi responsabile della sua morte... L'altra sera a teatro, per quanto abbia finto indifferenza, ho sinceramente sofferto per la fine di quel ragazzo e forse per un sentimento di egoismo, perché, morendo, lui diventava veramente vivo... prima potevo sempre sperare che un giorno sarebbe tornato e tu l'avresti potuto rivedere in una luce diversa... Lui, morto, s'è piantato fra me e te, e tu hai cominciato ad amare la sua memoria. Ormai sono rassegnato e capisco che questo morto ci accompagnerà sempre.

Giulia                                 - Meno male che lo capi- I sci. Se hai delle difficoltà, sarà me- I gito, per evitare dissidi dopo, lasciarsi I subito... Ognuno per la sua strada.

Paolo                                  - Giusto...

Giulia                                 - E tanto per cominciare, t'avviso che Silenti io lo conosco. E1 stato qui anche poco fa... Abbiamo parlato di Riccardo ed io ho inten­zione di continuare a riceverlo. Se hai obiezioni da fare, falle!

Paolo                                  - Perché dovrei oppormi? So benissimo che tu hai bisogno di questa atmosfera spirituale. Prima ti veniva da Riccardo... ora dalla sua memoria... E io ti aiuterò Giulia.

Giulia                                 - Dici questo ora per cal­marmi... perché temi che io me ne vada.

Paolo                                  - No. Perché?... Cosa ri­schio?... Non mi credi?... Ebbene ti darò una prova. Che ti resta di Ric­cardo oltre quella lettera?

Giulia                                 - Oh, nulla.

Paolo                                  - Nemmeno una sua foto­grafia?

Giulia                                 - No.

Paolo                                  - Ma la desidereresti...

Giulia                                 - Puoi immaginarlo.

Paolo                                  - Te la dò io.

Giulia                                 - Tu?

Paolo                                  - Si... E' un'istantanea che facemmo insieme a tutti gli impie­gati della Compagnia.

Giulia                                 - Ma è un gruppo. Che mene faccio?

Paolo                                  - Ieri da quel gruppo ho fatto ricavare e ingrandire la testa di Riccardo.

Giulia                                 - (allegra) Tu hai fatto questo?... Davvero?

Paolo                                  - Guarda. (Le dà una foto in una cornice).

Giulia                                 - E' lui... oh, Paolo, questo gesto non l'avrei sospettato in te... tanta delicatezza...

Paolo                                  - Non t'ho detto che t'avrei aiutata?

Giulia                                 - (guardando sempre la foto) Caro Paolo... Come è vero che non ci si conosce mai abbastanza... caro... (bacia Paolo). (Pausa. Giulia guar­da ancora la foto. Paolo si tocca la guancia).

Paolo                                  - Sai che comincio a voler bene anch'io a Riccardo?

Giulia                                 - E' vero che era un caro ragazzo?

Paolo                                  - Carissimo.

Giulia                                 - E hai pensato anche al porta ritratto.

Paolo                                  - Servizi Giulia

Paolo                                  - Servizio completo.

Giulia                                 - Non ti dispiace se tengo questa fotografia?

Paolo                                  - L'ho fatta apposta.

Giulia                                 - E se la metto... (si guar­da in giro). Oh, Paolo sento di chie­derti troppo... ma se tu me la facessi tener qui in salotto... accanto alla tua.

Paolo                                  - Se ti fa piacere...

Giulia                                 - Oh, capisco cosa pensi... Trovi eccessiva...

Paolo                                  - Nemmeno per sogno... Me­glio tutti e due che lui solo... Dam­mela. (La prende, la posa accanto alla sua foto sul tavolo) Ecco, qui ti va? (indicando i ritratti) Vedi? Il sogno e la realtà una volta tanto hanno stretto alleanza. Certo lui è più bello... si capisce 11 sogno...

Giulia                                 - No, Paolo... comincio a credere che ci sono realtà che non fanno rimpiangere il sogno.

Paolo                                  - (allegro) Ascolta... io ho alla fabbrica degli appunti di Ric­cardo... sono conti... cifre... ma se vuoi te li dò... è sempre scrittura sua.

Giulia                                 - Paolo... tu mi confondi.

PaoIo                                 - Sono appunti tecnici... che non ti diranno nulla...

Giulia                                 - Non importa. Tutto può contribuire alla ricostruzione della sua personalità. Il suo spirito è anche nelle piccole cose...

Paolo                                  - Domani li avrai...

Giulia                                 - Paolo, credi che un gior­no si farà chiasso intorno al dramma di Silenti e si scoprirà che fui io la sua ispiratrice?

Paolo                                  - Tutto può accadere.

Giulia                                 - Sarà dunque bene che Silenti frequenti un po' la nostra casa... Sai, per gli occhi del mondo. E per cominciare stasera andremo a teatro. Che non si dica poi che man­cavamo alle repliche del lavoro. Pren­deremo un palco... che ci vedano bene i nostri amici. Capirai, questa per noi è una specie di celebrazione... Anzi ne approfitterò per presentarti Silenti.

Paolo                                  - Lascia andare...

Giulia                                 - . Perché? E' bene che tu lo conosca. Se dev'essere di casa...

Paolo                                  - Come vuoi. Ma prima del teatro, Giulia, non ti piacerebbe an­dare a pranzo come i primi anni del nostro matrimonio in una di quelle piccole trattorie col pergolato... fuori mano... e in cui una volta seduti sem­bra di essere isolati dal mondo...

Giulia                                 - (sorridendo al ricordo) E mentre si mangiava ogni tanto una foglia si staccava e cadeva sulla ta­vola, ma così adagio, così silenziosa­mente come se fosse trattenuta da un invisibile filo...

Paolo                                  - E la luna qualche volta si faceva avanti, timidissima a spiarci.

Giulia                                 - Allora noi ci divertivamo a giocare a rimpiattino con lei... malei sempre trovava tra il folto delle piante uno spiraglio per cui passare...

Paolo                                  - Allora andiamo?

Giulia                                 - Sì... (Fermandosi) Un momento... ma Riccardo è morto... non mi par bello...

Paolo                                  - Parleremo tanto di lui... Vedrai... su... adesso non starti a cam­biare...

Giulia                                 - Sì... il tempo di mettermi il mantello. (.Esce).

Paolo                                  - (s'avvicina al ritratto di Ric­cardo) C'è tutta una letteratura che vi fa passare come pericolosissi­mi,.. A me invece non dai nessun fa­stidio,.. Anzi finora mi sei stato molto utile e ti ringrazio., continua pure questa tua nobile opera di riconcilia­zione... e se tu non hai difficoltà a venire anche stasera con noi... per me sei un ospite gradito...

Giulia                                 - (tornando) Andiamo... Che dicevi?...

Paolo                                  - Niente. Non ti sembra che già sì guardino con maggiore cor­dialità?

Giulia                                 - Non scherzare...

Paolo                                  - Eppure è così... in fondo, forse pensano, visto che dobbiamo stare parecchio insieme è meglio farci buona compagnia... Buon divertimen­to! (Fa alle due foto un cenno di saluto ed esce trascinandosi per mano Giulia che dà un'ultima occhiata alla foto).

 (Per un momento scena vuota).

(Annetta entra, si guarda intorno, va per spegnere la luce, è sorpresa di trovare il ritratto di Riccardo accanto a quello del padrone. Resta a fissarlo. Si sente il suono d'un campanello. Annetta esce. Si ode la voce di An­netta e di un signore, che si avvici­nano).

Annetta                              - (d. d.) Ma se vi dico che il signore è uscito.

Plant                                  - (entrando. E' sui 35 anni, completamente calvo. Parla in fretta come chi non abbia tempo da per­dere. Ha ì modi sbrigativi dell'uomo d'affari e l'improntitudine tipica dei commessi viaggiatori) Non ne du­bito, piccina. Ma la mia diffidenza commerciale m'impone d'accertarme­ne. Il motto della mia Ditta è « Pri­ma verificare, poi credere! ». Staremmo freschi se in commercio dovessimo prestar fede a tutto quello che ci rac­contano. (Si guarda intorno).

Annetta                              - Adesso ci credete?

Plant                                  - Adesso sì. Benché sia ve­ramente contrariato di non averlo trovato.

Annetta!                            - Il signore v'aspettava?

Plant                                  - No... ma si tratta di un importante affare che interessa molto la mia Ditta. E nel quale credo non sarà difficile metterci d'accordo, giac­ché il vostro padrone si occupa di trasporti...

 Annetta                             - (con orgoglio) Il mio padrone è un grande armatore... i suoi piroscafi...

Plant                                  - Vi dispenso dall'informarmi sulla consistenza economica del vostro padrone. Ho già assunte le de­bite informazioni. Il motto della mia Ditta è « Prima verificare, poi cre­dere »... Arrivederci... (S'avvia per uscire).

Annetta                              - Quando tornerete?

Plant                                  - i Domani.... sì, ho molte faccende da sbrigare, ma troverò cin­que minuti da dedicare a quest'affare...

Annetta                              - Un momento. Che nome devo dire al signore?

Plant                                  - Il mio nome è quello della mia Ditta: Plant. Prima avevo un socio, poi il poveraccio è morto ed io sono diventato l'unico proprietario... La marca Plant in commercio è sino­nimo di garanzia. Ricordatelo... Arri­vederci. (Sta per uscire, ma sulla so­glia si ferma) Porse sarà meglio che diciate al vostro padrone il mio vero nome... Riccardo.

(Esce).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena del secondo atto. Il giorno dopo. Pomeriggio inoltrato. Verso la metà dell'atto annotterà. Paolo e Dario stanno interrogando Annetta.

Paolo                                  - (ad Annetta) E non ha aggiunto altro?

Annetta                              - No... stava anzi per andarsene senza nemmeno dirmi quel nome. E' stato nell'uscire che ha sog­giunto: « Forse sarà meglio che di­ciate al vostro padrone che mi chia­mo Riccardo ».

Paolo                                  - Riccardo! Ma com'è pos­sibile, se voi m'avete detto...

Dario                                  - Caro amico, se ben ri­cordate, io non vi- ho dato alcuna certezza. Io vi lasciai libero di cre­dere quel che più vi piacesse. Quin­di non rispondo delle conseguenze.

Paolo                                  - Eppure ammetteste...

Dario                                  - Eravate così convinto... che non c'era altra soluzione che am­mettere... Ma invece di star qui a discutere, giacché il vostro Riccardo ha tutta l'apparenza di essere ben vivo, dovreste far qualcosa per impe­dirgli di tornare...

Paolo                                  - Già... ma bisognerebbe sapere dove alloggia... (Ad Annetta) Vi ha detto il nome di qualche al­bergo?... cercate di ricordare.

Annetta                              - No. Ha parlato solo del suo commercio.

Dario                                  - Che razza di commercio sarà poi?

Annetta                              - Non l'ha detto...

Paolo                                  - E' questo che mi preoccu­pa... Che accadrebbe se qui si sapesse che Riccardo non solo non è defunto con l'aureola che gli abbiamo procu­rato, ma è tanto vegeto che... An­netta potete andare (Annetta esce).

Dario                                  - Io proporrei Innanzi tutto di cominciare a telefonare a tutti gli alberghi più importanti... Vedrete che lo troveremo... E una volta scovatolo, gli impediamo con tutti 1 mezzi, ma­gari con la violenza di metter piede qui...

Paolo                                  - Su questo non c'è dubbio... Qualunque motivo l'abbia spinto a tornare, per Giulia sarebbe un colpo troppo forte... si, si non c'è tempo da perdere... andiamo fuori a telefonare... di qui Giulia potrebbe sentirci...

Dario                                  - Sono a vostra disposizio­ne... benché preveda che questa av­ventura finirà male... (Stanno per uscire in punta di piedi. Ma Giulia che è entrata li ha scorti. Dapprima è stupita e sta un attimo senza parla­re, poi).

Giulia                                 - Dove andate così miste­riosamente?

Paolo                                  - Niente cara... uscivamo a fare un giretto.

Giulia                                 - Macché giretto... Adesso vi sedete e prendete una buona tazza di tè.

Paolo                                  - Veramente ne faremmo a meno...

Giulia                                 - Che novità è questa? Se sei stato tu stesso a chiederlo...

Paolo                                  - Già... ma adesso mi son ricordato che devo andare un mo­mento in ufficio... Una noia!

Giulia                                 - E conduci con te Silen­ti? Cosa vuoi che Interessino a lui 1 tuoi affari...

Dario                                  - Veramente, signora mi in­teressano molto 1 traffici internazio­nali... e sono stato io stesso a chie­dere a vostro marito di mostrarmi le linee di navigazione della sua com­pagnia. Voglio rendermi conto...

Giulia                                 - Beh, ve ne renderete conto più tardi... Adesso starete qui.

Paolo                                  - Già... c'è tempo... ma la verità è che io ho un appuntamento con un signore che viene apposta da Milano per parlare con me... sai, farlo aspettare...

Giulia                                 - E tu telefona che ri­tardi un po'... inventa una scusa-. Anzi, vuoi che telefoni lo? (va verso il telefono).

Paolo                                  - No, aspetta... E' Inutile telefonare... Potrebbe aversela a ma­ le... piuttosto... visto che ci tieni tan­to... prendiamo questo tè.

Giulia                                 - Ora sì che ragioni, vero, Silenti?...

Dario                                  - Già...

                                           - (Giulia comincia a preparare il tè).

Giulia                                 - Tanta premura per un signore qualunque.

Paolo                                  - Macché qualunque... è un pezzo grosso... se aspetta s'Irrita e addio affare...

Giulia                                 - Beh, affare più  - affare meno... l'importante è che tu prenda il tè accanto alla tua mogliettina. Dico bene Silenti?

Dario                                  - Oh, per me, signora...

Giulia                                 - Sì... perché... erano tanti anni che avevamo Interrotto questa cara abitudine che è poi un motivo come un altro per stare un po' In­sieme... Appena sposati, Paolo trova­va sempre modo di fare a quest'ora una corsetta a casa... magari per due minuti... un bacio... un pasticcino. e via... poi sempre più raramente e infine più niente...

Dario                                  - Male... male...

Giulia                                 - E' quello che dico anche io... Ma dopo una franca spiegazione che c'è stata fra noi In cui Paolo ha lealmente riconosciuto tutte le sue colpe...

Dario                                  - Bravo... è da forti esser spietati con se stessi...

Giulia                                 - Ci siamo trovati d'ac­cordo nell'Inaugurare un nuovo si­stema di vita; sempre vicini finché è possibile... e per cominciare, ieri siamo andati a cena in una di quelle rustiche trattorie della periferia... sa­pete, con il pergolato... l'oste che sembra Bacco...

Dario                                  - E il cameriere che non appare se non quand'è sicuro di non interrompere un Idillio... Conosco... conosco...

Giulia                                 - Ecco perché non potevo permettere che proprio oggi... lui se ne andasse... Vi pare?... (A Paolo che depone la tazza) Ne vuoi ancora, caro?

Paolo                                  - No, grazie...

Giulia                                 - Anzi, data la sua Insi­stenza, ho persino sospettato che ave­ste qualche cosa da nascondermi...

Dario                                  - Da nascondervi... oh, si­gnora...

Paolo                                  - Ma Giulia, come puoi pensare...

Giulia                                 - Già, appunto. Cosa po­trebbe esserci fra voi due ch'Io non debba sapere?  Vi siete appena cono­sciuti...

Dario                                  - E' da ieri sera.

Giulia                                 - (fa l'atto di versare dell'altro tè a Dario).

Dario                                  - Grazie, basta... sigarette? (E gliene offre. Giulia ne prende una. Dario si fruga per cercare i cerini ma non li trova. Paolo cava di tascaun accendisigari e premurosamente lo accende, porgendolo così a Giulia che si china con la sigaretta fra le labbra).

Giulia                                 - Caro, ma se non staifermo con la mano, come faccio adaccendere...

Paolo                                  - Scusa...

Giulia                                 - (ferma il polso di Paolo ecosì può accendere) Sai che nonavevo mai notato che ti tremassetanto la mano... Devi farti misurarela pressione...

Paolo                                  - (che non ne può più, s'asciuga il sudore).

Giulia                                 - Vedi?... Sudi anche. Questi sono tutti sintomi a cui bisogna stare molto attenti...

Dario                                  - (che suda freddo anche lui) Eh, no... che c'entra?... Allora lo che sto benissimo... (s'asciuga ti su­dore.

Giulia                                 - Anche voi?

Dario                                  - Sarà il caldo.

Giulia                                 - Il caldo? Ma se fuori piove...

Dario                                  - Ma no, volevo dire... il caldo del tè... si, il tè era molto caldo...

Paolo                                  - Bollente...

Giulia                                 - Davvero?... Eppure non m'è parso. (A Dario) Dicevate qualche cosa?

Dario                                  - Io? No, non parlavo.

Paolo                                  - (s'è girato più volte, verso la porta come se temesse l'arrivo di qualcuno).

Giulia                                 - (a Paolo) Caro, aspetti qualcuno?

Paolo                                  - Io no... Perché?

Giulia                                 - Eh, ti vedo così Impa­ziente! Ti guardi continuamente In giro.

                                           - (Squilla il telefono. Paolo e Dario scattano in piedi).

Paolo e Dario                     - (insieme) Il tele­fono! (Si guardano spaventati).

Giulia                                 - Ho sentito (s'avvia per rispondere).

Paolo                                  - (con un grido) No, lascia stare.

Giulia                                 - Mi hai spaventata.

Paolo                                  - Rispondo io (corre al te­lefono. Ma ancora non risponde. Il telefono continua a squillare).

Paolo                                  - (a Giulia con una mano sul microfono) Sai, potrebbe essere quel signore di Milano... Forse s'è stancato di aspettare... Perciò è me­glio che risponda io-

Giulia                                 - Ma rispondi... che aspet­ti? Pai diventar nervosa anche me.

Paolo                                  - Sì... (Ha ancora un mo­mento di esitazione poi al telefono con voce smorta) Pronto... Si... Chi?.-Ah! (Allegro, a Giulia) E' Luciana.

Dario                                  - (trae un sospiro di sollievo).

Giulia                                 - (a Paolo) Cos'altro vorrà  questa noiosa? (Al telefono) Pronto cara... si, sono io.

Paolo                                  - (a Dario) E' un'amica di mia moglie.

Dario                                  - Sì, lo so.

Paolo                                  - La conoscete?

Dario                                  - L'ho conosciuta qui.

Giulia                                 - (ai due) Per favore, vo­lete star zitti un minuto? Non si ca­pisce niente.

 (Mentre Giulia parla al telefono Paolo e Dario con gesti esprimono la preoccupazione che da un momento all'altro sopraggiunga Riccardo e la necessità di corrergli incontro; prima che sia troppo tardi).

Giulia                                 - (al telefono) Come di­ci?... Sì, benissimo, grazie... Sì, tutto passato... Paolo?... No è qui... (Vol­gendosi a Paolo) Luciana ti saluta. (Giulia ha scorto la mimica di Paolo e Dario. Ne è stupita. A Paolo) Cosa fai, la ginnastica? (Al telefono) No, non dicevo a te cara... L'avevo con mio marito...

Paolo                                  - Ho caldo e mi agito un po'  (continua ad agitar le traccia).

Giulia                                 - (al telefono) Ma no... Sì... Quando vuoi... Arrivederci (Posa il microfono). E' proprio insoppor­tabile!

Paolo                                  - Cosa voleva?

Giulia                                 - Figurati che s'è messa in mente che io covo un mistero... sono parole sue... e allora vorrebbe essermi utile, perché dice che con tutta la sua esperienza... insomma un mondo di sciocchezze... Non ca­pisco come una donna si possa mon­tare la testa così e senza che io le abbia fatto la minima confidenza...

Paolo e Dario                     - (sì guardano in mo­do significativo).

Giulia                                 - E' incredibile. Ci sono delle donne che vedono romanzi dap­pertutto. Luciana è una di quelle... Capacissima di costruire un castello su di una frase... un nome... senza nessuna prova... Una vera testolina romantica. (S'accorge che i due si scambiano ancora un'occhiata signi­ficativa) Beh, capisco cosa pensate... che anch'io mi monto la testa per nulla, vero? Eh, no... ci vuole altro per me... se non ho dati precisi, in­confutabili, delle prove... io non credo proprio nulla.

Dario                                  - (azzardando timidamente) Oh, le prove spesso sono così fallaci... E' proprio quando si è più convinti che si hanno le peggiori sorprese...

Paolo                                  - Esattissimo... C'è da aspet­tarsi di tutto nella vita... essere pre­parati a tutto.

Dario                                  - (facendosi coraggio) E’ proprio quello che capitò ad un mio amico... Non so come una volta si convinse che una persona cara, che non gli scriveva più da tanto tempo,dovesse esser morta e prese persino il lutto... Figuratevi come rimase il giorno che...

Giulia                                 - (interrompendolo) No, questo a me non accadrebbe... Certo però che sono emozioni terribili... C'è da morirne...

Paolo                                  - (si agita di più sulla pol­trona).

Giulia                                 - Hai ancora caldo?

Paolo                                  - No... no... ma debbo an­dare... è urgente (Dà un'occhiata a Dario).

Dario                                  - Sì, non c'è tempo da per­dere... signora vi salutiamo.

Paolo                                  - Sì, tornerò presto... arri­ vederci...;

                                           - (Escono molto in fretta. Giulia è stupita da questa improvvisa fuga di cui non sa spiegarsi la ragione, poi dopo un attimo di riflessione suona il campanello. Appare Annetta).

Giulia                                 - Sono andati via?

Annetta                              - Sì, signora.

Giulia                                 - Bene. Starò un po' soia… In questi giorni ne ho perso l'abi­tudine.

Annetta                              - Devo accendere?

Giulia                                 - No... la penombra favo­risce i ricordi... guarda se ha smesso di piovere.

Annetta                              - (esegue) No, signora…piove sempre. (Pausa).

Giulia                                 - Annetta... non credi che i morti sentano qualche volta il de­siderio di tornare?

Annetta                              - Al mio paese dicono di sì... c'è anche una leggenda.

Giulia                                 - Una leggenda?

Annetta                              - Sì... Quando il sagre­stano s'ammalò, la morte venne così improvvisa che nessuno pensò a do­mandargli come riuscisse a mettere tanta allegria nel suono delle cam­pane... E da allora nessuno riuscì a suonarle così bene come luì, per quanti ne cambiassero... Finché una sera, ecco che le campane riprendono a suonare proprio come prima... Su­bito tutti capirono che il vecchio Gio­vanni, indignato, era tornato a far vedere come si faceva... Infatti il ra­gazzo che aveva preso il posto di Gio­vanni, spiegò alla folla accorsa di aver sentito una mano che lo gui­dava... da allora non sbagliò più e Giovanni potè dormire in pace. (Pau­sa. Si fa sempre più notte).

Giulia                                 - Va pure, Annetta.

Annetta                              - Sì, signora. (Esce. Pausa).

Giulia                                 - Riccardo, dove sei?... Mi senti?... Anche tu te ne andasti all'improvviso... A quest'ora... ricordi... ogni sera venivamo qui a leggere... Non senti qualche volta il desiderio dì tornare?

                                           - (Ormai è quasi buio. Su la soglia è apparso Riccardo. Ha un impermeabile. Giulia che gli volge le spalle, ne avverte la presenza e gli parla sen­za voltarsi).

Giulia                                 - Sei tu Riccardo?

Plant                                  - Sì, sono io... Strano! Mi hai subito riconosciuto.

Giulia                                 - Perché non dovrei rico­noscerti?

Plant                                  - Sono passati tanti anni.

Giulia                                 - Questi anni sono stati così pieni di te... vieni... siediti... non riconosci la tua vecchia poltrona?

Plant                                  - Sì... certo... solo è un po' più logora sui braccioli. (Siede. Or­mai è quasi notte).

Giulia                                 - Non l'ho mai voluta cam­biare...

Plant                                  - Tu sei rimasta come al­lora... .

Giulia                                 - Grazie Riccardo di que­sta bugia... Ma qui è un po' buio... e a te posso dirlo... ho già tre capelli bianchi... ben nascosti...

Plant                                  - Ti son grato che non mi domandi di tutti questi anni...

Giulia                                 - Oh, io so già tutto... Il nostro dramma continua a replicarsi ogni sera... se vedessi com'è commo­vente... molti piangono quando ascol­tano la tua lettera...

Plant                                  - Che lettera?... Che dramma?

Giulia                                 - Ma quello che Silenti ha tratto dalla nostra storia d'amore... Possibile che lassù non sappiate que­ste cose?

Plant                                  - Lassù...

Giulia                                 - Oh, Riccardo... se tu sa­pessi come sempre vivo e presente sei tu in ogni ora della mia giornata!...

                                           - (Si odono delle voci. Si distingue quella di Paolo).

Plant                                  - Tuo marito!

Giulia                                 - Sì... adesso accenderà la luce e te ne andrai... addio, Riccardo. Addio! (E' ormai buio).

                                           - (S'accende la luce. Paolo e Dario sono fermi sulla soglia. Plant è a capo basso nella poltrona).

Giulia                                 - (con un grido) Riccardo ma voi non siete... (vorrebbe dire « morto» ma non osa).

Plant                                  - (mortiflcatissimo) Cosa?

Giulia                                 - (a Dario e Paolo) E voi d'accordo?... Vero?... Tutti d'accor­do?... Non c'è che dire, il trucco è riuscito benissimo.

Paolo                                  - Giulia, ti giuro che...

Giulia                                 - Zitto tu che non sei mi­gliore degli altri... tua moglie è una romantica, vero?... Un'esaltata e le si può far credere ciò che si vuole. E' questo che pensi dì me? E ti sei pro­curata la complicità di lui (indica Dario) per crearmi una favola su mi­sura.

Dario                                  - Io vi ho sempre detto...

Giulia                                 - Tacete anche voi... e pen­sare che vi stimavo... vi credevo unpoeta... invece siete come gli altri... Vi ha pagato, vero? (indica Paolo). Sì, tutto è ormai chiaro. (A Paolo che vuol parlare) Oh, non occorre che ti giustifichi... il denaro è la tua forza... e lui (indica Riccardo) s'è gentilmente prestato a fare il morto...

Plant                                  - Il morto? Io son venuto qui...

Giulia                                 - Zitto! Non vi credo più. Ed io che vi ho detto le cose più in­time... tutto... Sfido, credevo di par­lare col vostro fantasma!

Plant                                  - E io che ne sapevo?... Non m'avete dato tempo di parlare. Ap­pena sono arrivato sulla soglia m'a­vete chiamato per nome... non vi na­scondo che la cosa m'ha sorpreso ma poi mi son detto: Toh, m'ha ri­conosciuto... E prima che potessi spie­garvi il motivo della mia visita, mi avete fatto sedere ed avete cominciato a discorrere... eravate così calma, cor­diale... io invece so che quando qual­cuno vede gli spiriti, urla... chiama aiuto... sveglia i vicini...

Paolo                                  - Macché spirito. Non fate dello spirito!

Plant                                  - Dio me ne guardi! Cerco solo di spiegare... che non sono mor­to. (Si avvicina ai due quasi a giu­stificarsi e fa gruppo con loro. Ora i tre uomini sono disposti in fila un po' indietro).

Giulia                                 - (dapprima con voce spenta, poi sempre più viva) Io vi vedevo vivo perché il mio amore vi faceva cosi... Invece siete realmente vivo e dei vivi avete tutte le miserie, le ru­ghe... le borse agli occhi... e quella testa! Ed io che vi ho costretto ad ascoltare le mie stupide frasi d'amo­re... chissà come avrete riso dentro di voi di questa donnetta sentimen­tale che vi affliggeva con una stupida storia di tanti anni fa... ora certo non ne scrivete più lettere d'amore... non perdete più tempo con le donne... sì o no... si vede dalla faccia, dalla vo­stra placida faccia sulla quale le mie parole scivolano senza lasciare nep­pure un'ombra... Ora, per esempio, non attendete che il momento di an­darvene... e andate... chi vi trattiene? (S'abbatte sulla poltrona singhioz­zando. I tre uomini fanno un passo verso di lei, ma Giulia scatta).

Giulia                                 - No, non avvicinatevi... non voglio la vostra pietà.

Dario                                  - (a Plant sottovoce) E di­tele qualche cosa... Tocca a voi a par­lare. (4 Paolo) E' giusto?

Paolo                                  - (approvando) Certo...

Plant                                  - (fa un gesto per chiedere: Ma che le dico?).

Dario                                  - (c. s.) Non so... qualche cosa di gentile. (A Paolo) Permet­tete?

 Paolo                                 - (accenna di si e con la mano incita Plant a parlare).

Plant ,                                - (si schiarisce la voce) Si­gnora...

Dario                                  - (gli fa cenno di no).

Plant                                  - Giulia...

Paolo e Dario                     - (approvano con la testa).

Plant                                  - Vi giuro che io ignoravo tutto... E' vero... dieci anni possono trasformare il più candido dei poeti nel più gretto mercante... tant'è vero che io son venuto qui per incontrarmi con vostro marito e non con voi...

Dario                                  - Ma non così...

Plant                                  - Un momento... Sì... son venuto per trattare un affare con vo­stro marito, ma vi giuro che dal mo­mento in cui ho varcato quella soglia non ho pensato che a voi, alla mia giovinezza, alle belle ore trascorse in­sieme... ed un mondo che credevo se­polto per sempre è tornato a sorri­dermi.

Dario                                  - Adesso sì...

Plant                                  - E prima d'ora non ho mai visto vostro marito.

Paolo                                  - E' vero.

Plant                                  - Né questo signore che non so nemmeno chi sia.

Dario                                  - Silenti... il drammaturgo Silenti.

Plant                                  - Onorato... Quindi io sono estraneo al complotto.

Dario                                  - Piano... per quel che mi riguarda, la signora deve ammettere che le dissi subito di aver liberamente creato il mio dramma e di non aver mai conosciuto questo Riccardo... Ma la signora non mi credette.

Giulia                                 - Come potevo credervi se quella lettera era identica a quella che lui mi scrisse? Perché dopo ve­niste qui a raccontarmi della sua morte... (indica Plant) la Cina... le fucilate...

Dario                                  - Ah, per questo rivolgetevi a lui  (indica Paolo).

Giulia                                 - Dunque eravate d'ac­cordo.

Paolo                                  - Ma non come credi tu... anch'io quella sera in teatro ebbi la certezza della sua morte... anch'io come te ritenni che Silenti aveva portato la nostra storia sulla scena... (A Dario) Certo, senza quella lettera il vostro dramma sarebbe stato una qualunque storia d'amore valida per tutti... E anche ora il punto oscuro della faccenda è questo. Come mai le due lettere sono uguali? Uno di voi due l'ha copiata dall'altro. E tutto induce a credere che sia stato Silenti a copiarla da voi che la scriveste die­ci anni fa... mentre il suo dramma è di oggi...

Dario                                  - C'è una terza soluzione... e se nessuno di noi due ve l'ha an­cora detta è solo perché non ci mette in buona luce...

 Plant                                 - Perché dirlo?

Dario                                  - Egregio amico al punto in cui sono giunte le cose...

Plant                                  - Ma io vorrei evitare alla signora...

Giulia                                 - A me? Non vedo perché dobbiate preoccuparvi di me...

Paolo                                  - Insomma di che si tratta?

Dario                                  - Possibile che ancora non abbiate indovinato?... Eppure la spiegazione è semplice... Lui dieci anni prima... io dieci anni dopo... e senza naturalmente che l'uno sapesse del­ l'altro... abbiamo copiato tutti e due da Un terzo...

Paolo                                  - Non capisco.

Giulia                                 - Io temo di si... (A Ric­cardo) L'avete copiata?

Plant                                  - (tace).

Dario                                  - Non c'è altra soluzione... Infatti qualcuno scrisse quella let­tera molto prima di noi.

Paolo                                  - E chi è?

Dario                                  - Joan Keats.

Giulia                                 - (si copre la faccia) Che vergogna!

Paolo                                  - Lo conosci?

Dario                                  - Non vi preoccupate. E' morto.

Paolo                                  - Anche luì?

Dario                                  - Sì. Un secolo fa.

Paolo                                  - Un secolo?

Giulia                                 - Ma sì... Non capisci pro­prio niente. Joan Keats, il grande poeta inglese.

Dario                                  - Precisamente. E' una iel­le lettere che egli scrisse a Fanny Bawne... da Shanklin... isola di Whitht... 1° luglio 1819.

Giulia                                 - 1819... Centoventi anni fa...

Dario                                  - Precisamente. (A Plant) E' vero?

Plant                                  - E' vero.

Dario                                  - Ecco perché quel giorno che veniste da me, preferii tacere. Avevo scelto apposta un epistolario poco noto... ma non avevo previsto il caso che altri si fossero serviti della stessa lettera per spedirla ad una donna. Tacendo, ottenevo due scopi... non toglievo ad una donna la sua illusione e salvavo me... Era il partito migliore... Non vi pare? Mettetevi un po' nelle mie condi­zioni...

Paolo                                  - Forse dal vostro punto di vista... ma perché almeno a me non diceste la verità?

Dario                                  - Se credete sia facile con­vincere qualcuno che la verità non è quella che egli crede tale... E pen­sare che quel giorno giunsi persino a bruciare l'epistolario di Keats qua­si che fossi colpevole della sua mor­te  (indica Riccardo) e temessi una perquisizione.

Paolo                                 - Ma ce ne saranno altri in commercio!

Dario                                  - Certo e dopo risi della mia paura...

                                           - (Sembra che i tre uomini intenti a discutere abbiano dimenticato Giu­lia)

Giulia                                 - (con voce spenta a Ric­cardo che le è vicino) Dunque... le farfalle che vivono tre giorni d'e­state... non sono vostre...

Dario                                  - E nemmeno i papaveri, per la verità...

Giulia                                 - Vi siete servito delle parole di un altro per dirmi che mi amavate... se pure mi amavate...

Plant                                  - Si, Giulia, vi amavo al­lora e se presi la lettera di Keats fu solo perché non trovavo parole abbastanza belle per dirvi tutto quel­lo che sentivo per voi... Quante volte lacerai la lettera che avevo cominciato, finché non mi capitò sott'occhio quell'epistolario... Allora pen­sai: ecco l'unico modo degno di dirle il mio amore...

Dario                                  - Giustissimo. I poeti de­vono pur servire a qualche cosa! So­no poeti appunto perché dicono ciò che milioni di uomini sentono, ma non sanno esprimere. Ogni tanto nasce uno di loro e parla per tutti... e allora se un poveruomo (indica Plant) in un momento di bisogno chiama in soccorso uno di loro... è forse colpevole? Nessun ministro si vergogna di servirsi d'interpreti... Perché dovrebbe vergognarsi un po­veruomo di servirsi dei poeti che sono gli interpreti universali della verità? Anzi, per me, i poeti dall'altro mondo saranno contenti di veder utilizzata la loro opera, che altrimenti starebbe a dormire nelle biblioteche.

Plant                                  - Vi ringrazio di aver in­terpretato il mio pensiero.

Dario                                  - Un momento. Se quanto ho detto depone in vostro favore, c'è sempre qualche cosa, però, contro di voi.

Plant                                  - E cioè?

Dario                                  - Che prima di tornare dovevate chiedervi: E' accaduto qual­che cosa durante la mia assenza?... Per gli altri cosa sono diventato in questi dieci anni? Perché, caro si­gnore, dieci anni sono molti e può accadere un po' di tutto... anche d'esser morti e di non saperlo... Que­sto è il vostro torto.

Plant                                  - Sta a vedere che adesso la colpa è mia se non sono vera­mente morto.

Giulia                                 - Basta con queste inutili chiacchiere. (A Plant) Riccardo è morto.

 Dario, Paolo, Plant           - (insieme) Come?

Giulia                                 - Sì, quel Riccardo che io ho conosciuto non c'è più. Al suo posto c'è un signore che è venuto per concludere un affare. Prima ci abitueremo a questa realtà e più facili saranno d'ora innanzi i nostri rapporti. Avete obbiezioni da fare? (Pausa). E se non parla lui (Indica Riccardo) che è il principale inte­ressato...

Plant                                  - Sì... Riccardo... è vera­mente morto! Io sono troppo diverso da lui.

Dario                                  - Porse la colpa è della lettera di Keats che a distanza d'un secolo ha... fermentato... come quel chicco di grano - lo leggeste sul giornale? che, chiuso tremila anni fa nella tomba d'un faraone, dissepolto, generò una spiga...

Giulia                                 - Per favore vogliamo smetterla con questi discorsi? (A Plant) Voi non dovevate parlare d'affari con mio marito?

Plant                                  - Sì?

Giulia                                 - E che aspettate?

Plant                                  - (esitante) Veramente... signora...

Giulia                                 - Perché esitate? Sono sicura che qualunque attività eser­citiate, non è né stupida né volgare. L'antica fiamma non può essere del tutto spenta in voi... Siete nell'In­dustria?

Plant                                  - (c. s.) Ecco...

Giulia                                 - (interrompendolo)  Be­nissimo... L'industria mira ad allevia­re e perfezionare la vita... In un certo senso anche l'industriale è un ar­tista.

Dario                                  - Artista?

Giulia                                 - Certo. Non è torse un creatore? Nel mondo meccanico, ma creatore... (A Plant) Già vi vedo nel vostro laboratorio intento a strap­pare nuovi segreti alla natura, a far compiere nuovi prodigi alla tecnica...

Paolo                                  - Vedi, Giulia... io credo che Riccardo non sia nell'industria, ma piuttosto in commercio».

Giulia                                 - (delusa) Commercio?... (Esaltandosi ancora) Beh, anche nel commercio un uomo d'ingegno può lasciare la sua orma... (A Plant) Siete un assertore della libertà degli scam­bi?... Avete pubblicato qualche cosa in proposito?

Plant                                  - Oh, niente...

Giulia                                 - Non importa... è con la parola che combattete. Nelle assem­blee, nei congressi, già vedo, voi vi levate a difendere la libertà dei traf­fici... Oh, un artista non accetta vin­coli... E ditemi, avete ottenuto buoni risultati applicando le vostre idee?....In Oriente si seguono già le vostre teorie?

Plant                                  - Ecco.... nel genere che io tratto molto progresso non c'è...

Giulia                                 - Già... siete solo... contro la resistenza ottusa della maggioran­za... E' la sorte dei pionieri. Oh, di­temi, vi prego... parlatemi di voi...

Paolo                                  - (a Giulia) Se fossi in te non approfondirei...

Giulia                                 - Perché?

Dario                                  - Il mistero è più bello.

Giulia                                 - Macché mistero... (A Plant) Su via, parlate!

Plant                                  - (vago) Ecco... in estate...

Giulia                                 - Che c'entra l'estate?

Dario                                  - (pronto) Eh, già l'estate... la natura in festa... la terra coperta di fiori...

Giulia                                 - Fiori?... (A Plant) Fab­bricate profumi?... ecco un lavoro pie­no di poesia... Tanti fiori e voi in mezzo come un mago...

Paolo                                  - Ma Giulia in estate non si trovano soltanto fiori...

Plant                                  - ...Anche frutti...

Dario                                  - ...d'ogni specie...

Paolo                                  - ... alcuni molto utili...

Dario                                  - ...indispensabili...

Plant                                  - ... per esempio le solanacee...

Giulia                                 - Che roba è?

Plant                                  - Solanum lycopersicum.

Giulia                                 - Cioè?

                                           - (Un attimo d'attesa. Anche Paolo e Dario guardano con ansia Plant. Infine Plant decide dì parlare).

Plant                                  - Pomodori.

Giulia                                 - Pomodori?

Paolo                                  - Pomodori?

Dario                                  - Pomodori?

Plant                                  - (mortificatissimo) Pela­ti,., li esporto in tutto il mondo...

GroxiA                              - (è annichilita) Vi prego... lasciatemi... ho bisogno di star sola...

Plant                                  - (fa un passo verso di lei) Ascoltatemi...

Giulia                                 - No... non ditemi nulla... lasciatemi... (Gli volge le spalle e va a sedersi in una poltrona).

 (Dario si consulta con un'occhiata con Paolo, poi prende Plant sotto braccio e gli fa segno d'uscire con lui. Paolo approva con un cenno del capo. Plant e Dario escono in punta di pie­di, facendo un cenno di saluto a Pao­lo che resta sulla soglia guardando Giulia silenziosamente).

Giulia                                 - (che evidentemente si crede sola, trae la lettera di Riccardo dal petto e a mezza voce comincia a leg­gere) « Quanto a me io non so come esprimere la mia adorazione per una creatura di tanta bellezza. Ho bisogno d'una parola più splendida che splen­dido, più bella che bello...» (Con una smorfia di disgusto) Pomodori...

 (Straccia lentamente la lettera, men­tre Paolo sulla soglia, non visto, sor­ride ed emette un sospiro di libera­zione).

FINE