I puntigli domestici

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Carlo Goldoni

I puntigli domestici


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: I puntigli domestici

AUTORE: Goldoni, Carlo

TRADUTTORE:

CURATORE: Ortolani, Giuseppe

NOTE:

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza

specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/

TRATTO

DA: "Tutte le opere" di Carlo Goldoni; a cura di Giuseppe Ortolani; volume 4, seconda edizione; collezione: I classici Mondadori; A. Mondadori editore; Milano, 1955

CODICE ISBN: informazione non disponibile

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 30 maggio 2004

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it

REVISIONE:

Vittorio Bertolini, vittoriobertolini@inwind.it

PUBBLICATO DA:

Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it

Alberto Barberi, barberi.a@e-text.it

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I PUNTIGLI DOMESTICI

di Carlo Goldoni

Commedia di tre atti in prosa rappresentata per

la prima volta in Milano l'Estate

dell'anno 1752,

A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

ANTONIO CONTARINI

PATRIZIO VENETO

Vostra Eccellenza mi ha onorato della sua protezione senza conoscermi, per certa compiacenza che le Opere mie le recavano, ed io ammiratore sono stato del di lei merito e della di lei Virtù, per quello che da più parti ragionarne intesi. Il Conte Orazio Arrighi Landini Fiorentino, Uomo di Lettere, mio caro amico, godendo egli la grazia e la protezione di V. E., mi ha procurato l'onore di essere io in persona a ringraziarla della benignità sua, e supplicarla a volermi di essa continovare gli effetti, congratulandomi io con me medesimo d'aver conosciuto più da vicino un Cavaliere, i di cui pregi sorpassano la fama che li decanta. Quai sieno questi, non è sì facile che io sappia dirlo, né d'uopo è che io lo dica in una Città, che conosce perfettamente l' E. V. e l'ammira, e pruove magnanime aspetta di quella Virtù, che in età verde ancora la fa risplendere.

Fortuna è nascere con quella docilità di animo e chiarezza di mente, che in lei si ammirano. Fortuna l'avere dinanzi agli occhi un esemplare vicino, che ecciti alle virtù. L'Eccellentissimo Signor Simeone Contarini Procurator di San Marco, Padre amorosissimo dell'E. V., è quel modello che a tutti gli uomini nobilmente nati può servire di regola, e molto più a quelli che sono nei gradi, e negli onori, e nei pesi della Repubblica iniziati; e quanto maggiore è l'attaccamento che per natura ha con esso lui l'E. V., tanto più forte nel di lei animo farà impressione l'esempio suo.

Principiò Egli a sagrificar se medesimo a pro della Patria nell'età verde ancora, e unendosi in lui perfettamente il genio ed il talento, militando ancor giovanetto nelle Provincie della Dalmazia e dell'Albania, nell'aspra guerra co' Turchi, sotto il comando del Serenissimo Doge Sebastian Mocenigo suo zio, gli fu da quello addossato l'onorevole carico di Luogotenente Generale, onde coraggiosamente condottosi agli assedi di Antivari e di Dulcigno, diè pruove tali del suo valore, e tanto mostrò coraggio, ancorché tinto del proprio sangue, per grave ferita sparso, che fu dall'ammirazione e dalla gratitudine dell'eccelsa Patria con estraordinario esempio Senatore eletto nell'anno vigesimoterzo dell'età sua. Ciò servì a lui di stimolo per maggiormente accendersi del vero amore di Cittadino, non risparmiando fatica a pro della Repubblica, e questa gareggiò sempre coi esso lui nel caricarlo di onori. Resse due volte la Città di Padova, ed una quella di Brescia. Provveditore alla Sanità in Dalmazia, assicurò ben presto la salute comune, estirpando affatto colà ogni contagioso malore. Alla Porta Ottomana, Bailo per la Repubblica Serenissima, quai prove non ha egli date del suo sapere e della sua ammirabile condotta? E alla suprema carica eletto di Provveditor Generale nella Terra Ferma, dopo aver conseguita la veste insigne Procuratoria, con qual zelo, con qual merito e con qual vigilanza non sostenne egli un tale onorevole peso?

Tutto ciò basta per ravvisare quali e quante sieno le di lui virtù, perché senza di esse né si merita tanto, né tanto si conseguisce. Che però, torno a ripetere con fondamento, che un esemplare sì grande, sì interessante,. e sì prossimo all'E. V., non può che animarla ad operare e a risplendere, additandole quel sentiero, per cui a tanta gloria si arriva. Bella felicitò di un Genitore magnanimo,

mirar sì ben disposti ad imitarlo i figli suoi, e certamente l'E. V. forma la di lui maggiore speranza e la più perfetta consolazione. Di questa a parte sono gli amici e ì servidori tutti della di lei Eccellentissima Casa, ed io che mi lusingo di essere nel numero di questi ultimi, riconosco nell'E. V. un mio amorosissimo Protettore.

La fiducia che io ho nella di lei benignissima protezione, mi anima ad offerirle un miserabile parto della mia penna, ponendo in fronte a questa Commedia mia il venerabilissimo nome dell'E. V., gloria per me essendo che un tanto onore mi si conceda, siccome quello di potermi qui sottoscrivere con venerazione ed ossequio

Di V. E.

Umiliss. Divotiss. ed Obbligatiss. Serv.

Carlo Goldoni


L'AUTORE A CHI LEGGE

Habent sua sidera lites, sogliono dire i Forensi: io dirò lo stesso delle Commedie. Alcune che meriterebbero miglior fortuna, sono sgraziate nell'esito, ed altre lo hanno più felice di quello che al merito loro promettere si poteva. Questa che ha per titolo I Puntigli Domestici, è una di quelle che chiamerò sfortunate, poiché fatto io le aveva un più felice presagio, e con mio rammarico l'ho veduta meno applaudita di altre Commedie mie, le quali, secondo me, meritavano meno. Parmi che l'argomento sia interessante, la condotta semplice e naturale, il dialogo proporzionato agli Attori, e gli accidenti non solo verisimili, ma che si possono creder veri. Con tutto ciò pochissima accoglienza le venne fatta. Ma perché mai? Il perché parmi di averlo rilevato. I caratteri sono mediocri, leggieri e comuni. Ecco il motivo, per cui la Commedia risalta poco. Or dove sono coloro, che quando veggono un carattere un poco troppo forzato, esclamano: È troppo forte, eccede il verisimile, è caricato? Signori miei, come la volete? Calda o fredda? Voi mi fareste impazzire, se vi dessi retta. Ma, grazie al Signore, ho un paio di buonissime orecchie. Fo il fatto mio, e in verità non mi voglio confondere. La necessità di far molte Commedie in un anno mi obbliga a variare nella maniera di scriverle. Così a chi una non piace, l'altra soddisfa meglio. Questa mi basta sia esaminata e compatita da quei che della Commedia s'intendono, e spero la ritroveranno più regolare di molte altre.

Personaggi

Il conte OTTAVIO

La contessa BEATRICE vedova, sua cognata.

La contessina ROSAURA figliuola della Contessa.

Il conte LELIO figliuolo della Contessa.

Il marchese FLORINDO destinato sposo della Contessina.

PANTALONE de' BISOGNOSI mercante veneziano, amico del conte Ottavio.

Il dottore BALANZONI avvocato.

BRIGHELLA servitore del conte Ottavio.

CORALLINA cameriera della contessa Beatrice.

ARLECCHINO servitore del marchese Florindo.

Un GARZONE di scuderia.

Un MESSO della curia.

Un SERVITORE d'Ottavio.

La Scena si rappresenta in Napoli.

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ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Appartamento del conte Ottavio.

Brighella ad un tavolino, che sta rapando un bastone di tabacco;

poi Corallina colla rocca, filando.

BRIGH. Vardè cossa che i s'ha inventà per far sfadigar la povera servitù! Grattar el tabacco! Invece de pestarlo, grattarlo! Quel che doveria far i facchini, l'ha da far i poveri servitori. (va rapando)

COR. Brighella, la padrona vi domanda.

BRIGH. Se la me domanda, no vedì cossa che fazzo?

COR. Lasciate di rapare[1], e andate a vedere che cosa vuole.

BRIGH. El padron el vol una scatola de tabacco.

COR. E intanto che la padrona aspetti: siete pure incivile!

BRIGH. Corallina, mi ve voio ben; ma sto perderme el respetto, farà che ve perda l'amor.

COR. Già me l'ha detto la padrona. Vedrai che colui non verrà. (filando)

BRIGH. L'ha dito colui?

COR. È un pezzo che la signora contessa Beatrice vi ha in mala opinione. In questa casa vi vedo e non vi vedo.

BRIGH. Donca gh'averessi gusto che andasse via. Bell'amor! Brava! Me confido che ella no comanda. Comanda el conte Ottavio, che l'è el me padron.

COR. Comanda anch'ella. È sua cognata, è stata moglie di suo fratello. È madre del conte Lelio e della contessina Rosaura: sarebbe bella che ella non comandasse.

BRIGH. Basta: a mi no la me comanda. Vôi finir de rapar. (rapando)

COR. Lo dirò al conte Ottavio, e la verrete a servire. (fila)

BRIGH. Eh via! (rapando)

COR. Oh, se ci verrete. (fila)

BRIGH. Signora no, non ci verrò.

COR. No? basterebbe che io volessi. La mia padrona fa più conto di me, che di suo cognato.

BRIGH. E el me padron el fa più capital de mi, che de tutta la so fameia.

COR. Io ho persuaso la mia padrona a contentarsi che la sua figliuola si sposi al marchesino Florindo. Non lo voleva fare per niente; anzi aveva intenzione di darla al marchese Riccardo, e quasi quasi gliel'avea promessa; ma per me ha cangiato opinione.

BRIGH. Col me padron avesse volsudo, el gh'ha una testa che fa far a so modo.

COR. Anche la mia padrona non burla. Quando dice voglio, ha da essere.

BRIGH. Sì ben; per ostinazion no gh'è un par suo.

COR. Quel vostro satiro del conte Ottavio, non è la cosa più odiosa di questo mondo?

BRIGH. Lo vorressi metter colla vostra padrona, che l'è nata quando el diavolo se pettenava la coda?

COR. E il vostro è stato concepito col tuono, e partorito fra le saette.

BRIGH. Brava! Oh che bei concetti! Oh che signora de garbo!

COR. Certo che non sono una ignorante come siete voi.

BRIGH. Cossa voleu cara fia, tutti gh'avemo i nostri difetti. Mi ignorante, e vu pettegola.

COR. Se foste ignorante, sarebbe poco. (fila con rabbia)

BRIGH. Gh'è de pezo[2]?

COR. Una piccola bagattella. Avete dell'asino.

BRIGH. Tutti avemo la nostra parte. Mi aseno, e vu...

COR. Portatemi rispetto. Sono una fanciulla dabbene.

BRIGH. Le fanciulle da ben no le parla cussì coi omeni onorati della mia sorte.

COR. Lo dirò alla padrona.

BRIGH. E mi lo dirò al padron.

COR. E vi farò mandar via.

BRIGH. Poderia esser che zoghessimo de briccòla.

COR. Ecco lì non rapa, non fa niente, e non vuol venire dalla padrona.

BRIGH. La vaga a far i fatti soi, e la me lassa far quel che ho da far. (rapa)

COR. Servitori? Nemici dei padroni. (fila)

BRIGH. Serve? Pettegolezzi de casa. (rapa)

COR. Non sono buoni che a mangiare. (fila)

BRIGH. No le sa far altro che far l'amor. (rapa)

COR. Son bravi a burlare. (fila)

BRIGH. El so forte l'è far le mezzane. (rapa)

COR. Parla di me, signore?

BRIGH. E ella parlela de mi, padrona?

COR. Se non mi vendico, possa io essere filata come questo lino. (fila)

BRIGH. Se no me reffo, che sia grattà come sto baston de rapè. (rapa)

COR. Villano! (fila)

BRIGH. Insolente! (rapa)

COR. A me insolente? Giuro al cielo! non so chi mi tenga, che non ti salti al collo, e non ti strappi la lingua. Ma senti, qualche brutto giuoco ti farò. A me insolente? Voglio vendicarmi, se credessi di perdere la casa, il pane e la vita. (parte)

SCENA SECONDA

Brighella, poi il conte Ottavio.

BRIGH. Pettegola maledetta! Tolè su, questo è quel che s'avanza a far l'amor con ste sporche. Le se tol confidenza, e le strapazza.

OTT. Hai mai finito di rapare questo tabacco?

BRIGH. Sior... se la savesse... Più che se gh'ha voggia de far ben a sto mondo, e più se vien perseguitadi.

OTT. Che cosa è stato?

BRIGH. Son qua che gratto el tabacco, e vien Corallina a insolentarme... (rapando con rabbia)

OTT. Ho pur detto che la gente di mia cognata non ha da venire nelle mie camere.

BRIGH. E mi, lustrissimo, oi da lassar de rapar el tabacco per servir la lustrissima siora Beatrice?

OTT. Tu servi me, e non lei. Come ci entra la contessa a comandare alla mia servitù?

BRIGH. Se ghe l'ho dito. I m'ha tolto per el facchin de casa. (rapando)

OTT. Che cosa è stato?

BRIGH. Ghe dirò, signor, era qua che fava i fatti mii, per servizio del me padron; vien Corallina, e la dise che la signora contessa me vol mandar in t'un servizio. Digo: aspettè; sior no. Lassè che fenissa de rapar, sior no. Vegnirò adess'adesso; sior no. In somma la dis cussì che tutti i servitori i è al so comando. Che l'è padrona, e che s'ha da lassar tutto per servirla ella.

OTT. Lasciar tutto per servir lei? (con caricatura) Finisci di rapare.

BRIGH. La servo. (rapando) Certo, se no la giera ella, no se faceva sto matrimonio. (con ironia)

OTT. Che matrimonio?

BRIGH. Eh niente, lustrissimo! Rido de una certa espression de Corallina.

OTT. Che cosa ha detto?

BRIGH. Eh, l'è una donna; non occorre badarghe. (rapando)

OTT. Ma dimmi, che cosa ha detto?

BRIGH. Ghe dirò. La pretende che la so padrona ghe voggia ben, e che la fazza tutto a so modo. E cussì, circa al matrimonio che i ha stabilido tra la signora contessina e 'l sior marchese Florindo, la dis Corallina: se non era io, la padrona non lo faceva. Digo mi: bastava che foss contento el padron; lu l'è quel che comanda. Certo, la dis: la mia padrona comanda, il vostro padrone è un ravano. Maledetta! (va a rapare)

OTT. Con costei è un pezzo che io ce l'ho. Averà finito.

BRIGH. La m'ha po onorà de titoli propri...

OTT. Ecco mio nipote. Vattene.

BRIGH. Bastelo, lustrissimo, sto tabacco?

OTT. Sì.

BRIGH. Vorla che lo bagna?

OTT. Bagnalo.

BRIGH. Me raccomando, lustrissimo...

OTT. Vattene.

BRIGH. (Oh, questo el gh'ha poche parole, e assae fatti! L'ho chiappà in bona luna). (da sé, parte)

SCENA TERZA

Il conte Ottavio ed il conte Lelio.

OTT. Mia cognata se ne vuol prendere più di quel che conviene. Stia ne' termini, se non vuole che si rompa.

LEL. Son servo, signore zio.

OTT. Buon giorno, nipote.

LEL. Sono a domandarvi un piacere, per parte di mia madre.

OTT. In che cosa la posso servire?

LEL. Desidera che licenziate Brighella.

OTT. Che cosa le ha egli fatto?

LEL. Le ha perduto il rispetto.

OTT. In qual maniera?

LEL. Lo ha mandato a chiamare, e non ha voluto muoversi per servirla.

OTT. Era impiegato per me.

LEL. Rapava del tabacco. Faceva veramente una gran cosa!

OTT. Faceva quello che io gli aveva ordinato di fare.

LEL. Già il signore zio ha sempre fatto più conto dei suoi servitori che de' suoi parenti.

OTT. Io ho sempre fatto conto della giustizia.

LEL. Questa giustizia tutti credono di conoscerla, ma pochi la conoscono.

OTT. Voi la conoscete meno degli altri.

LEL. Mia madre ha da essere rispettata.

OTT. Niuno le perde il rispetto.

LEL. E ha da essere obbedita.

OTT. Sì, dalla sua servitù.

LEL. I servitori di questa casa mangiano tutti ad una tavola e per questa stessa ragione...

OTT. Io li pago.

LEL. Non li pagate del vostro.

OTT. Non li pago del mio?

LEL. No, signore. Vi è la mia parte, vi è la dote di mia madre e quella di mia sorella.

OTT. Voi non sapete che cosa vi dite.

LEL. È vero: non so nulla; ma da qui innanzi i fatti miei li vorrò sapere ancora io.

OTT. Sciocco!

LEL. Signore zio, non sono un ragazzo.

OTT. Temerario!

LEL. La discorreremo. (Lite, divisione, risarcimento. Me l'ha detto il dottor Balanzoni. Così non si può vivere. Egli è un buon procuratore; mi assisterà). (da sé, parte)

SCENA QUARTA

Il conte Ottavio, poi Brighella.

OTT. Impertinente! Ti farò pentire d'avermi perso il rispetto.

BRIGH. Illustrissimo, el signor Pantalon de' Bisognosi vorria riverirla.

OTT. Padrone! Che cosa hai, che sembri spaventato?

BRIGH. So sior nevodo m'ha fatto un poco de paura.

OTT. Che cosa dice?

BRIGH. El m'ha vardà con do occhi de basilisco. E po el m'ha dito sta bagattella: Se mio zio non ti manda via, ti romperò le braccia.

OTT. Se lo farà, sarà peggio per lui.

BRIGH. Sarà pezo per mi, e no per lu. Lustrissimo, piuttosto che abbia da succeder sto caso, no so cossa dir, anderò via.

OTT. Fa che venga il signor Pantalone.

BRIGH. La servo. Se el me rompe i brazzi...

OTT. Finiscila.

BRIGH. (Cospetto del diavolo, avanti che el me rompa i brazzi, l'averà da parlar con mi). (da sé, parte)

SCENA QUINTA

Ottavio e Pantalone.

OTT. Rompere le braccia al mio servitore? Potrebbe darsi che io rompessi la testa al suo.

PANT. Servitor umilissimo, sior conte mio paron.

OTT. Signor Pantalone, vi riverisco. (con cera brusca)

PANT. Xela in collera?

OTT. Ho ragione di esserlo.

PANT. Con mi no, nevvero?

OTT. Voi siete un buon amico.

PANT. M'ha dito qualcossa sior conte Lelio.

OTT. Egli è un pazzo.

PANT. Cossa vorla far? No la gh'ha altri al mondo che sto nevodo.

OTT. Sarebbe meglio che io non l'avessi.

PANT. Bisogneria po che la se maridasse ella, per conservar la casa.

OTT. Che cosa importa il conservare la casa? Morto io, morti tutti. La mia roba so a chi lasciarla.

PANT. Ogni tanto sento sti manazzi de lassar la roba fora de casa. Sta cossa no la posso sentir.

OTT. Della roba mia posso fare quello che io voglio.

PANT. Xe vero: de la so roba la pol far quel che la vol; ma i omeni de giudizio i sacrifica la so volontà alla giustizia e alla convenienza. Per che rason voravela privar i nevodi, per beneficar dei stranieri? Per paura fursi che i nevodi sia ingrati, e no i se recorda del benefattor? Per l'istessa rason, se pol desmentegar più presto del testator chi no xe del so sangue.

OTT. Sapete che cosa mi ha mandato a dire mia cognata pel suo figliuolo? Che vuole che io licenzi Brighella mio servitore.

PANT. No l'averà dito che la vol, ma che la desidera.

OTT. Come ci entra ella con i miei servitori?

PANT. Finalmente una cugnada xe qualcossa più de un servitor.

OTT. Dovrei dunque mandar via un uomo che mi serve bene, per contentare una femmina senza giudizio?

PANT. No digo mandarlo via, ma darghe qualche sodisfazion. Per la pase convien qualche volta far dei sacrifizi.

OTT. Mia cognata è una donna irragionevole.

PANT. Desgrazia per chi nasse cussì. Chi xe de bon temperamento, se consola e compatisse i cattivi. Ma chi no sa compatir i difetti dei altri, gh'ha un difetto che supera tutti.

OTT. Mio nipote vuol romper le braccia a Brighella.

PANT. El l'ha dito in atto de collera.

OTT. Io sono il padrone di questa casa, e voglio che mi si porti rispetto.

PANT. La gh'ha rason. Xe giusto.

OTT. Se non vuole dipendere, se ne vada a stare da sé. Io non ho bisogno di lui.

PANT. No femo, sior conte, no parlemo de ste cosse. Le case, co le se divide, le se indebolisse.

OTT. Se mi vorranno amico, sarà meglio per loro.

PANT. Ela contenta che mi ghe diga a lori qualche cossa su sto proposito?

OTT. Siete un uomo discreto. Saprete le mie convenienze.

PANT. La lassa far a mi. Voggio andar adesso da siora contessa Beatrice.

OTT. Ditele che, quando vuole qualche cosa, verrò io da lei, e non mandi quella testa calda di suo figliuolo.

PANT. Circa sto servitor... me permettela de far gnente?

OTT. Niente affatto. Brighella mi serve.

PANT. Se poderia licenziarlo per un zorno.

OTT. Nemmeno per un'ora.

PANT. Caro sior conte, qualche volta bisogna ceder. So pur che l'anno passà la ghe n'ha mandà via un altro, per compiacer una cantatrice.

OTT. Sì, è vero. Perché le aveva perso il rispetto.

PANT. E no la vol dar sodisfazion anca a so cugnada?

OTT. Parlatele. In grazia vostra qualche cosa farò.

PANT. Grazie alla so bontà. So che l'è un cavalier prudente, e son seguro che el se remetterà alle cosse giuste. La più bella qualità dell'animo xe la docilità. Tutti semo soggetti alla collera; ma chi ascolta i boni amici, la modera e se correzze. Quel che rovina i omeni per el più, xe i pontigli; e i pontigli che nasse tra i parenti, i sol esser i più feroci. No bisogna ingrossar el sangue; bisogna remediarghe presto, e considerar che el più bel tesoro delle fameggie, xe la bona armonia, la concordia e la pase (parte)

OTT. Io sono l'uomo più dolce della terra. Non vi è cosa che più mi piaccia della concordia e della pace. Ma se mi provocano niente niente, piuttosto morire che cedere. (parte)

SCENA SESTA

Camera di Beatrice.

Corallina, poi Beatrice.

COR. Brighella me l'ha da pagare sicurissimamente. Briccone! Dirmi insolente? Dirmi mezzana? Anderà via di questa casa. La padrona ha detto che anderà, e deve andare.

BEAT. Mio cognato così mi tratta?

COR. Che cosa vuol dire, signora padrona?

BEAT. Fa più conto di un servitore, che di sua cognata?

COR. Il signor conte Ottavio non vuol mandar via Brighella?

BEAT. No, non lo vuol mandar via.

COR. Cospetto di bacco, se io fossi in lei, questa volta vorrei mettermi al punto. In verità, se cede, vi va del suo decoro.

BEAT. Mi negherà questa piccola soddisfazione di licenziare un servitore?

COR. Un servitore che le ha perso il rispetto?

BEAT. Questo è troppo.

COR. Andar a dire, che la mia padrona è ostinata?

BEAT. Temerario!

COR. Che è nata quando il diavolo si pettinava la coda?

BEAT. Anco di più?

COR. Sicuramente.

BEAT. E mi ho da vedere tra i piedi codesto scellerato?

COR. Prenderà maggiore ardire, e le riderà in faccia. In verità, perché andasse via Brighella, pagherei il salario d'un anno.

BEAT. Ha fatto anche a te delle impertinenze?

COR. Non lo dico per me, signora. Se si trattasse di me soffrirei tutto, piuttosto che metter sossopra la casa. Ma mi preme il decoro della mia padrona; non posso sentire che si parli male di lei, che le si perda il rispetto. La mia padrona? così buona? così adorabile? Sentirle dire ostinata? Metterla colla coda del diavolo? Mi sento ardere dalla rabbia.

BEAT. Via, cara Corallina, non ti riscaldare cotanto. Vedi chi è; sento gente.

COR. (Eh, non dubiti, che non mi riscaldo per lei. Mi ha detto insolente. Non gliela perdono mai più). (parte)

SCENA SETTIMA

Beatrice e Corallina con Pantalone.

BEAT. Che buona ragazza è costei! È tutta zelo per la sua padrona.

COR. Signora, è qui il signor Pantalone.

PANT. Servitor obbligatissimo a siora contessa, padrona mia stimatissima.

BEAT. Serva, signor Pantalone.

PANT. La perdona se vegno a incomodarla.

BEAT. Mi fa grazia.

COR. Ha saputo, signor Pantalone?

PANT. Cossa, fia?

COR. Brighella ha perso il rispetto alla mia padrona.

BEAT. E il conte Ottavio non lo vuol mandar via. Vi pare questo un tratto da cavaliere?

COR. È una cosa che fa drizzare i capelli.

PANT. Adasio un poco. Siora contessa, cossa gh'ha dito Brighella?

COR. Le ha detto un fascio d'insolenze, una peggio dell'altra.

PANT. Mi no parlo con vu. A ella cossa gh'alo dito? (a Beatrice)

BEAT. Con me non ha parlato. Se avesse avuto ardire di dirmi qualche cosa in faccia, meschino di lui.

PANT. Donca...

COR. Donca, donca... Ha parlato con me.

PANT. E vu sè quella che ha reportà alla vostra padrona?

COR. La sarebbe bella che io stessi cheta; che sentissi maltrattar la padrona, e non dicessi nulla!

PANT. Vardè che donna de garbo! Vardè che serva piena de zelo e de bontà! Vualtri servitori no fe altro che dir mal dei padroni; vu, siora, con tanta pontualità reportè quel che ha dito i altri, e averè dito pezo de lori.

COR. Io? Mi maraviglio.

PANT. Siora contessa, ghe domando perdon. Mi son omo vecchio, son omo sincero, parlo col cuor in bocca. Me despiase sti desordeni, e spero d'averghe remedià.

BEAT. Avete parlato con mio cognato?

PANT. Gh'ho parlà longamente, e tutto se giusterà.

BEAT. Manderà via Brighella?

PANT. Se nol lo manderà via...

COR. Se non lo manda via, non si aggiusta.

PANT. Tasè, siora, che vu no gh'intrè. Sior conte gh'ha tutta la stima de ella, e ghe despiase che la sia desgustada. A primo intro, sentindose dir da sior conte Lelio, cussì a sangue freddo, de cazzar via un so servitor, gh'ha despiasso un pochetto, e credo che gh'abbia despiasso, perché el ghe l'ha dito con un poco de caldo. A quel servitor el ghe vol piuttosto ben, xe un pezzo che el lo gh'ha, ghe despiase a mandarlo via.

BEAT. Dunque non lo vuol licenziare?

PANT. Vederemo...

COR. Se non lo licenzia, non si fa niente.

PANT. La me missia tutto el sangue.

BEAT. Chetati, e lascialo parlare.

PANT. Sior conte Ottavio xe pronto a far che Brighella ghe domanda perdon.

COR. Eh!

PANT. El farà anca che el se cava la livrea...

COR. Eh!

PANT. El vegnirà senza livrea a domandarghe scusa.

COR. Freddure!

PANT. (Debotto no posso più!) (da sé) Se la comanda, el lo farà star tre o quattro zorni fora de casa...

COR. Mi vien da ridere.

PANT. El se raccomanderà a ella, perché la lo fazza tornar a torlo.

COR. Oibò, oibò.

PANT. Coss'è sto oibò? Cossa gh'intreu? Cossa ve storzeu? Siora contessa, la me perdona, no so come che la sopporta un'insolenza de sta sorte.

BEAT. Animo, va via di qua. (a Corallina)

COR. Ma signora...

BEAT. Va via, dico.

COR. La vostra riputazione vuole...

BEAT. Giuro al cielo, sai?

COR. Vado. (Vecchio del diavolo, me la pagherai!) (da sé, parte)

SCENA OTTAVA

Pantalone e Beatrice.

PANT. Manco mal, no podeva più. E cussì, siora contessa, cossa me disela? Èla contenta de recever sti atti d'amor e de respetto de so cugnà?

BEAT. Orsù, mi rimetto in voi. Che Brighella sia spogliato della livrea, che venga a chiedermi scusa, che stia fuori di casa a mia discrezione, e vi prometto che io stessa pregherò il signor conte a ripigliarlo. Giacché voi mi assicurate che mio cognato ha della stima di me, io voglio avere della condescendenza per lui.

PANT. Bravissima! Xe ben che la cossa se giusta subito.

BEAT. Quando viene colui a domandarmi perdono, voglio che ci sia tutta la famiglia, tutti i servitori.

PANT. Benissimo: ghe sarà tutti. A bon reverirla.

BEAT. Serva, signor Pantalone.

PANT. (Sta volta ghe son, ghe stago; ma un'altra volta, avanti de intrigarmene, ghe penserò). (da sé, parte)

SCENA NONA

Beatrice, poi Corallina.

BEAT. Questo signor Pantalone è un galantuomo. Sempre cerca di metter bene, di pacificare, di accomodare le differenze. In grazia sua faccio quello che non farei.

COR. (Questi vecchi non li posso soffrire). (da sé)

BEAT. Che cosa c'è?

COR. Niente, signora.

BEAT. Brighella sarà mortificato. Verrà senza livrea a domandarmi perdono.

COR. Basta; per me, dove ci è colui, non ci sto sicuro. S'egli resta, io, signora padrona, vi domando la mia licenza.

BEAT. Ma che cosa ti ha fatto?

COR. Che cosa mi ha fatto? Ha strapazzato la mia padrona.

BEAT. Tocca a me a castigarlo.

COR. Bel castigo! Non la posso soffrire.

BEAT. Chetati.

COR. Ci mancava quel vecchiaccio.

SCENA DECIMA

Il conte Lelio, il dottore e dette.

LEL. Ecco qui il signor dottore.

DOTT. Faccio riverenza alla signora contessa.

BEAT. Già mio cognato è disposto a soddisfarmi, ed io sono contenta della sua buona disposizione.

LEL. Disposto a soddisfarvi? Ha detto un monte d'improperi.

BEAT. Contro chi?

LEL. Ha detto che egli è il padrone, e che non vuole mandar via il servitore per contentar la cognata.

BEAT. Così ha detto?

COR. Eh sì, signora, ha tutta la stima, tutto il rispetto!

LEL. Ha detto che siete puntigliosa, ostinata.

BEAT. A me questo?

COR. Via, andatelo a pregare che non licenzi il suo servitore. (a Beatrice)

LEL. Ed ha avuto l'ardire di dirmi ch'io sono un pazzo.

BEAT. Figliuolo mio, siamo offesi, pensiamo a vendicarci.

LEL. Il signor dottore mi ha dato un buon consiglio.

BEAT. Parli il signor dottore. Che cosa ci consiglierebbe di fare?

DOTT. Io dico che quando tra le famiglie comincia a entrare il diavolo, non vi è mai più pace, onde l'unico rimedio è separarsi, e fare una divisione.

BEAT. Facciamola.

LEL. Io sono dispostissimo.

BEAT. Ma questa divisione non è una vendetta che basta. Voglio qualche cosa di più.

DOTT. Se poi ella vuol far girar la testa a suo cognato, il modo è facile.

BEAT. Come?

LEL. Questo è un uomo di garbo.

DOTT. Non vorrei che dicessero poi, che io sono stato l'autore del consiglio.

BEAT. Non vi è pericolo.

LEL. Avete a far con noi. Non dubitate.

DOTT. Il consiglio è di fargli render conto della sua amministrazione; e siccome egli è stato un uomo piuttosto generoso nello spendere, che ha fatto delle fabbriche inutili, e altre cose che non erano necessarie, lo faremo sudare.

LEL. Dice benissimo. Lo faremo sudare.

BEAT. La mia dote!...

DOTT. Vi s'intende. La dote, il frutto della dote, un rendimento di conti universale, uno spoglio di tutto: una lite terribile.

LEL. Per bacco, se n'accorgerà.

DOTT. Vi è la dote della contessina...

BEAT. A proposito. Vada a monte il contratto col marchesino Florindo.

LEL. Perché questo?

BEAT. Perché lo ha trattato il conte Ottavio.

COR. Sì signore, e Brighella ha detto che, quando vuole il suo padrone, basta; ch'egli è il capo di casa, e gli altri non contano per niente. LEL. Bene, bene, lo vedremo.

BEAT. Io intendo per ora di vendicarmi così. Rosaura non sarà più del marchesino Florindo. Ripiglierò il trattato col marchese Riccardo. (parte)

LEL. Andiamo, signor dottore, a stendere il primo atto per la divisione. Non vedo l'ora d'esser padrone del mio. (parte col dottore)

SCENA UNDICESIMA

Corallina, poi Arlecchino.

COR. Ecco qui quel dottoraccio: per guadagnare, ha messo in capo ai padroni di fare una lite. Che cosa importa a me che si dividano? Se non va via Brighella, non guadagno il mio punto.

ARL. O de casa! (di dentro)

COR. Questo è Arlecchino. Lo conosco alla voce. Il servitore del marchese Florindo.

ARL. Gh'è nissun? Se pol vegnir? (di dentro)

COR. Venite, ci sono io, venite.

ARL. Fazzo reverenza alla più bella cameriera che sia in sto paese.

COR. Ed io riverisco il più grazioso servitore di Europa.

ARL. E cussì, tornando sul nostro proposito, el me padron el vorria far una visita alla so sposa.

COR. Anche io, per seguitare il filo del ragionamento, vi dirò che in casa vi sono dei torbidi, e ho paura che queste nozze non si faranno più.

ARL. Perché mai me cóntela sta gran cossa?

COR. Tutto il male proviene da Brighella; egli mette degli scandali, e per causa sua i padroni si fanno scorgere. Se il conte Ottavio cacciasse via Brighella, tutte le cose anderebbero bene e il vostro padrone dovrebbe obbligare il mio a scacciarnelo prestamente, se non vuole che si vada di male in peggio.

ARL. Cara siora Corallina vu me fe restar attonito e stupefatto, parlando cussì de Brighella, che so che ghe vulì ben.

COR. No, no, v'ingannate. L'odio, l'abborrisco, non lo posso vedere.

ARL. Siora Corallina, vu burlè adesso. Savè che gh'ho per vu dell'inclinazion. Savè che Brighella me fa paura, e per torve spasso, me dè un pochetto de lazzo.

COR. No certo, credetemi, ve lo giuro. Non amo Brighella, anzi l'ho in odio; e se voi... Basta, non dico altro.

ARL. Se fusse la verità... ma no me fido.

COR. Voi mi offendete, Arlecchino; non sono capace di dirvi una cosa per un'altra.

ARL. Co l'è cussì... no so cossa dir. Intendème per discrezion.

COR. Sì, v'intendo. Voi mi volete bene, ed io voglio bene a voi; e per farvi vedere che dico davvero, son pronta a darvene ogni riprova.

ARL. Vardè che v'impegnè assae.

COR. Che serve? L'ho detta e la mantengo.

ARL. Animo donca, deme la man e destrighemose.

COR. Sì, ve la darò; ma voglio un patto da voi.

ARL. Che patto?

COR. Se volete che io sia vostra, avete prima da vendicarmi per un affronto che ho ricevuto da quell'asino di Brighella.

ARL. Co no volè altro, lassè far a mi. Che affronto v'alo fatto?

COR. Mi ha detto delle parole offensive.

ARL. No vorave che...

COR. Che serve? mi ha detto male di voi.

ARL. Tocco de desgrazià. L'averà da far con mi.

COR. Soprattutto procurate che egli vada via di questa casa.

ARL. Stè sora de mi, che senz'altro de sta casa l'anderà via.

COR. Come farete?

ARL. L'ammazzerò.

COR. No, non pretendo tanto. Ammazzarlo poi...

ARL. Vedeu? Ho paura che ghe voggiè ben.

COR. No, caro Arlecchino. Sono tutta per voi. Non vorrei che a voi accadesse qualche disgrazia. Mortificatelo ma non lo ammazzate.

ARL. Lassè far a mi, che troverò un invenzion per mortificarlo.

COR. Come farete?

ARL. Lo bastonerò. (parte)

COR. O in un modo, o nell'altro, voglio vendicarmi sicuramente. Mi ha detto pettegola, mi ha detto insolente. Voglio che me la paghi, se credessi di maritarmi a posta per questo. (parte)

SCENA DODICESIMA

Camera di Rosaura.

Beatrice e Rosaura.

BEAT. Venite qui, Rosaura, ho da parlarvi.

ROS. Eccomi, signora, che comandate?

BEAT. Sono sospese le nozze col marchese Florindo.

ROS. Sospese? Per qual motivo?

BEAT. Voi non avete domandato perché si sono stabilite, e non avete da chiedere perché si sieno sospese.

ROS. Quando le avete stabilite, io poteva essere indifferente; ma ora, signora madre...

BEAT. Ora siete innamorata, non è vero?

ROS. Non mi vergogno a dirlo, signora sì.

BEAT. Con quanta facilità vi siete accesa, con altrettanta ve ne scorderete.

ROS. Questo secondo passo non l'ho mai provato.

BEAT. È necessario che proviate anche questo.

ROS. Ah no, signora...

BEAT. Vi troverò un altro sposo.

ROS. Cara signora madre, noi altre fanciulle siamo soggette a prender marito senza vederlo, e spesso ci tocca averlo odioso, anzi che amabile. Io sono stata fortunata, trovandone uno di genio; perché volete pormi a rischio di cambiare in peggio?

BEAT. Le figlie savie prendono quel marito che loro assegna la madre.

ROS. Bene; voi me lo avete assegnato.

BEAT. Ed ora ve lo ritolgo.

ROS. Oh, questa poi non la so intendere!

BEAT. L'intendo io, e tanto basta.

ROS. Ma perché una simile novità?

BEAT. Il perché lo so io.

ROS. Ed io non l'ho da sapere?

BEAT. Signora no.

ROS. Son peggio di una schiava. Meglio per me, che fossi nata una serva. (piange)

BEAT. Florindo non è partito per voi.

ROS. Perché dunque me lo avete proposto?

BEAT. N'è causa quel pazzo di vostro zio.

ROS. Mio zio mi vuol più bene di mia madre. (piangendo)

BEAT. Avvertite di non andar più nelle camere di vostro zio; se ci anderete, povera voi!

ROS. Via, cacciatemi in sepoltura.

BEAT. Anche per voi verrà la buona giornata. Siete giovane, vi è tempo. Non vi mancherà uno sposo giovane e aggradevole. Il marchese Riccardo vi brama e vi sospira.

ROS. Se non ho il mio Florindo, non ne voglio altri.

BEAT. Il vostro?

ROS. Sì signora, è mio. Me lo avete dato voi.

BEAT. Chi ve lo ha dato, ve lo toglie.

ROS. Non mi leverete tutto.

BEAT. Come?

ROS. Niente, signora.

BEAT. Spiegatevi.

ROS. Non mi leverete dal petto il suo cuore, dalla memoria il suo volto.

BEAT. Oh, queste sono cose che se ne vanno un poco per volta.

ROS. Oh cielo! voi mi volete veder morire.

BEAT. Scioccherella! Non si muore, no, per queste freddure.

ROS. Questa sera doveva essere sposa, e ora mi veggo precipitata. Ma perché mai? Ma che cuore avete di tormentarmi?

BEAT. Io lo faccio per tuo bene. Avrai uno sposo miglior di questo.

ROS. Ma io son contenta... Io che ci devo stare, non lo cambierei con un re di corona.

SCENA TREDICESIMA

Corallina e dette.

COR. (Signora, è qui il signor marchesino). (piano a Beatrice)

BEAT. Ritiratevi. (a Rosaura)

ROS. Cara signora madre...

BEAT. Andate nelle vostre camere.

ROS. Non mi date un così gran dolore.

BEAT. Andate subito, vi dico.

ROS. Obbedisco. (Le preme molto che io vada, voglio osservar dalla porta). (da sé, parte)

BEAT. Fallo venire.

COR. Non sapete? Brighella ride e si burla di voi. (parte)

BEAT. Briccone!

SCENA QUATTORDICESIMA

Beatrice e Florindo.

BEAT. Vedrà il signor cognato, se io conto nulla in questa casa. Vedrà chi sono.

FLOR. Servo umilissimo, signora contessa.

BEAT. Serva divota.

FLOR. Dov'è la mia sposa?

BEAT. È ritirata nelle sue camere.

FLOR. Si sente male?

BEAT. Non lo so precisamente; ma la ragazza è confusa.

FLOR. In giorno di tanta allegrezza, donde nasce la sua confusione?

BEAT. Nasce dal non esser contenta.

FLOR. Le manca qualche cosa? Contentiamola.

BEAT. Ma! Queste ragazze parlano tardi.

FLOR. Io non vi capisco.

BEAT. Signor marchese, mi spiace dovervi dire una cosa; ma la mia sincerità vuole che io non la tenga celata. Rosaura non è contenta di queste nozze.

FLOR. Come! Se mi ha ella mostrato di essere contentissima?

BEAT. È ragazza, non ha fermezza. Ora piange, accostandosi l'ora del sacrifizio.

FLOR. Oimè! che ella abbia accesa qualche novella fiamma nel petto?

BEAT. Chi sa? Potrebbe anche darsi.

FLOR. Voi, che siete sua madre, non lo sapete?

BEAT. Io non l'ho sempre alla cintola. Stando alla finestra per voi, può esserle piaciuto qualchedun altro.

FLOR. Dunque, signora, che si ha da fare?

BEAT. Sospendiamo le nozze.

FLOR. Permettetemi che io le parli.

BEAT. Per ora no. Io voglio lasciarla in libertà di pensare.

FLOR. Può darsi che ella più non mi ami?

BEAT. Non è cosa difficile.

FLOR. Rosaura ingrata, Rosaura infida! Così mi lascia, mi tradisce così?

SCENA QUINDICESIMA

Rosaura e detti.

ROS. Non è vero...

BEAT. Vattene.

ROS. Non è vero...

BEAT. Taci.

FLOR. Parlate.

BEAT. Temeraria! obbedisci.

ROS. Vi amo, vi adoro: siete l'anima mia. (fugge)

BEAT. Indegna!

FLOR. Ah signora, voi mi ingannate!

BEAT. Colei me ne renderà conto; e voi sappiate, signor marchese, che Rosaura non può essere

vostra sposa.

FLOR. Per qual ragione?

BEAT. Io l'ho impegnata con altri, prima che il conte Ottavio a voi la promettesse.

FLOR. Perché non l'avete detto per tempo?

BEAT. Promise il conte Ottavio, che mi avrebbe disimpegnata. Egli non lo ha fatto, ed io deggio mantenere la parola data al marchese Riccardo.

FLOR. Il conte Ottavio me ne renderà conto.

BEAT. Sì, egli è cagione di tutto. Lamentatevi unicamente di lui, e staccatevi dalla memoria la mia

figliuola. (parte)

FLOR. A me un tale insulto? A me un'azione sì nera? Sarò la favola di tutto Napoli? Sarò burlato? Sarò deriso? Cara Rosaura, ti dovrò perdere così vilmente? Ah, che l'amore e lo sdegno combattono nel mio cuore ugualmente! Sono amante, e cerco ristoro; sono offeso, e voglio vendetta. Rosaura è mia; non sarà vero che io l'abbandoni. Se il conte mi manca, non lascerò invendicata l'offesa.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Sala che corrisponde a diversi appartamenti.

Brighella solo.

BRIGH. Oh! cossa me despiase aver desgustà Corallina! È tanti anni che semo insieme, ho sempre avù per ella dell'inclinazion, e adess per una freddura de niente semo in rotta. Ma! avemo crià dell'altre volte, e l'avemo giustada; l'aggiusteremo anca adesso. L'averia da passar de qua. A st'ora brusada, che tutti dorme, se la capita, da galantomo vôi far un sforzo e giustarla, se credesse de remetterghe tre o quattro mesi de salario. La sol andar a sta ora in te la so camera: aspetterò che la passa. Zitto, i averze la porta della siora contessa, la doverave esser ella. Da galantuomo che l'è ella.

SCENA SECONDA

Corallina dalla camera davanti, e detto.

COR. (Che cosa fa colui in questa sala? Mi dispiace avergli da passar dinanzi). (da sé)

BRIGH. (Par che la gh'abbia suggizion). (da sé)

COR. (Quando lo vedo, mi si rimescola il sangue).

BRIGH. (Se savesse come far).

COR. (Or ora torno in camera della padrona).

BRIGH. (Tira fuori una scatola d'argento e prende tabacco)

COR. (Ha la tabacchiera d'argento! Se non fosse in collera, potrei sperare d'averla).

BRIGH. (Sternuta)

COR. La testa.

BRIGH. Obbligatissimo alle so grazie.

COR. (Maledetto! A me insolente!)

BRIGH. (Tira fuori un fazzoletto di seta, e mostra volersi con quello soffiare il naso)

COR. (Che ti venga la rabbia! Con quel fazzoletto si soffia il naso? Se lo avessi io, me lo metterei sulle spalle).

BRIGH. (Sospira)

COR. (Sospira! È buon segno).

BRIGH. (Mostra di fare un atto di disperazione e getta il fazzoletto verso Corallina)

COR. Chi vi ha insegnato le creanze?

BRIGH. La compatissa.

COR. Colle fanciulle onorate non si tratta così. (guardando il fazzoletto)

BRIGH. Non ho preteso d'offenderla.

COR. Perché gettar così questo fazzoletto? BRIGH. Per la mia maledetta fortuna.

COR. Un fazzoletto di questa sorta gettarlo via? Si vede che siete un pazzo.

BRIGH. L'aveva tolto per donarlo via; el diavolo gh'ha messo la coda. No ghe ne vôi saver; che el vada.

COR. Non so chi mi tenga, che non gli metta i piedi sopra.

BRIGH. La se comoda pur.

COR. (È peccato, è tanto bello!) (da sé)

BRIGH. Za, a chi l'aveva da dar, no gh'ho più coraggio de darghelo; la ghe zappa suso, la lo taggiain tocchi, che no ghe penso.

COR. È un signor grande vossignoria. Butta via un fazzoletto che costerà un ducato.

BRIGH. In quanto a questo po, el costa un felippo.

COR. E lo butta via?

BRIGH. Cossa m'importa a mi? Che el vada.

COR. Doveva averlo destinato per qualche signora di merito.

BRIGH. L'aveva destinà per una persona che merita; ma sta persona con mi l'è in collera, e mi lo butto via.

COR. L'avete buttato via, ma poi lo piglierete.

BRIGH. Ghe farò véder a trarlo zoso dalla fenestra. (vuol riprenderlo)

COR. Lasciatelo lì. (lo ferma con collera)

BRIGH. No son miga un puttelo.

COR. I filippi non si trovano per le strade.

BRIGH. Mi per un pontiglio butterave via tutto quel che gh'ho.

COR. Tutto?

BRIGH. M'intendo quel che se pol buttar.

COR. Bisogna che siate pazzo.

BRIGH. Quando son in collera, son cussì.

COR. Peccato! Gettare un fazzoletto di quella sorta in terra, che è piena di polvere.

BRIGH. Eh! la sala è netta, no gh'è polvere.

COR. Guardate, da questa parte è impolverato.

BRIGH. La va via subito.

COR. È rovinato. (si abbassa per prenderlo)

BRIGH. No la s'incomoda. (vuol prenderlo)

COR. Lasciate. (si china a prendere il fazzoletto)

BRIGH. Farò mi. (si china a prendere il fazzoletto)

COR. Guardate; è tutto polvere.

BRIGH. Se la lo sbatte, la va via.

COR. (Lo pulisce bene, poi lo piega come nuovo) Tenete. (lo vuol dare a Brighella)

BRIGH. Eh! via.

COR. Tenete il vostro fazzoletto.

BRIGH. Cossa vorla che ghe ne fazza?

COR. Fatene quello che volete.

BRIGH. Lo butterò zoso dalla fenestra.

COR. Datelo a chi lo avete destinato di dare.

BRIGH. Benissimo. (accennando che ella lo tenga)

COR. Via.

BRIGH. Eccolo. (come sopra)

COR. Come?

BRIGH. A lei.

COR. A me?

BRIGH. Sì signora.

COR. E lo gettate per terra?

BRIGH. Ma!

COR. Non lo voglio. (mostra buttarlo via, ma lo ritiene per un lembo)

BRIGH. La prego.

COR. Vi vuole altro per iscontare le impertinenze che mi avete detto. (lo mette via)

BRIGH. Se bastasse una lira de sangue, ghe la offeriria volentiera.

COR. Che cosa volete che io faccia del vostro sangue?

BRIGH. Vôi mo dir che la xe padrona de tutto.

COR. Datemi una presa di tabacco.

BRIGH. La servo. (tira fuori la scatola d'argento, e le dà tabacco)

COR. La tabacchiera non la buttate via?

BRIGH. Me despiaseria de maccarla.

COR. La vostra collera è giudiziosa.

BRIGH. Ma se la se degna, senza che la butta via, la xe padrona.

COR. Oh, mi maraviglio. Io non tendo a queste cose; ho preso il fazzoletto perché l'ho ritrovato in terra.

BRIGH. La veda, la fazza conto de trovar sta scatola in terra. (pone in terra la scatola)

COR. Io non sono una, che vada cercando le spazzature.

BRIGH. Eh, una scatola d'arzento l'è una spazzadura che se pol tor suso.

COR. Vi ricordate che mi avete detto insolente? (avanzandosi con calore verso Brighella; e resta fra lui e la scatola)

BRIGH. Eh! in atto de collera.

COR. Non mi è mai stato detto tanto.

BRIGH. Via, giustemola con una presa de tabacco. Tolè mo su quella scatola.

COR. Vada al diavolo anche la scatola. (con un calcio la getta in qualche distanza dalla sua parte)

BRIGH. Piuttosto mo che buttarla via... (vorrebbe andare a prenderla)

COR. La padrona, la padrona. (lo ferma)

BRIGH. La torrò suso mi.

COR. Andate via, che non vi veda.

BRIGH. La torreu suso vu?

COR. Signor no, presto, andate via.

BRIGH. (Ho da perder una scatola d'arzento cussì miseramente? Sior no. La torrò su co no ghe sarà più nissun). (si ritira)

COR. È andato via. Ora prenderò la tabacchiera. Ho piacere d'averla, ma senza obbligo di ringraziarlo. (la prende)

BRIGH. Brava! (si fa vedere)

COR. Che cosa fate qui?

BRIGH. Niente. Ho gusto che la scatola...

COR. Eccola, eccola... (mostra volergliela dare)

BRIGH. No la la vol?...

COR. Eccomi, signora. Sentite? La padrona...

BRIGH. Vado via.

COR. Presto, presto.

BRIGH. Vado, vado. (È andà el fazzoletto, è andà la scatola; ma fin adesso ho avù poco gusto), (da sé, parte)

SCENA TERZA

Corallina, poi Beatrice.

COR. Povero Brighella! È pentito d'avermi ingiuriata, e ha pagato la pena con un fazzoletto di seta e con una tabacchiera d'argento. Non vi è male; a questo prezzo mi lascerei strapazzare una volta il giorno.

BEAT. Che cosa fai qui in sala? Perché non vai nella tua camera?

COR. Ho levato da terra certe spazzature.

BEAT. Hai fatto male, non tocca a te.

COR. (Ne venissero spesso di quelle spazzature!) (da sé)

BEAT. Tocca ai servitori del conte Ottavio, e quel temerario di Brighella non vuol far nulla.

COR. Egli bada alla camera del suo padrone; la sala tocca a spazzarla ai lacchè.

BEAT. Serva pure il suo padrone, lo servirà per poco.

COR. Dice davvero?

BEAT. Ho ritrovato il modo di farlo andar via, non solo da questa casa, ma da questa città.

COR. Anche dalla città? Come?

BEAT. Ho saputo che egli era soldato, e che ha disertato. Il conte Ottavio lo protegge; ma io farò che lo sappia chi l'ha da sapere, e sarà rimandato al suo reggimento in ferri.

COR. Poveruomo! Perché gli vuol far questo male?

BEAT. Poveruomo tu dici ad un briccone, che mi ha perduto il rispetto?

COR. È vero, ha fatto male; ma un tal castigo mi pare un poco troppo.

BEAT. Per quel che vedo, ti è passato quel gran zelo che tu avevi per la tua padrona.

COR. Sono così anche nelle cose mie. Nel primo impeto vorrei conquassare il mondo; ma poi ci penso sopra, e mi passa.

BEAT. Se passa a te, a me non succede il medesimo. Brighella mi ha offesa, e voglio che me la paghi.

COR. Non ha detto il signor Pantalone, che egli è pronto a levarsi la livrea, e venirvi a dimandar perdono?

BEAT. Tu stessa hai detto che sono freddure.

COR. Avete promesso al signor Pantalone di riceverlo.

BEAT. Ci ho pensato sopra e non lo voglio ricevere.

COR. Oh, questa è bella! Quando io ci penso, divento buona; quando voi ci pensate, diventate cattiva.

BEAT. Tu non ti devi metter con me.

COR. (Mi dispiacerebbe ora che il povero Brighella se ne andasse via). (da sé)

BEAT. Orsù, Corallina, va a chiamare due de miei servitori.

COR. Ora non ci è nessuno, signora: questa è l'ora che ciascheduno va a desinare a casa.

BEAT. Abbasso ci sarà qualcheduno. Voglio due uomini.

COR. Per che fare, signora?

BEAT. Voglio far levare quel quadro, e portarlo nelle mie camere. Il ritratto di mia madre non lo voglio in sala.

COR. Sa pure quante contese ci sono state per quel quadro.

BEAT. Sì, per compiacere il conte Ottavio, l'ho lasciato metter qui: ma ora non ce lo voglio più.

COR. So che diceva che l'aveva fatto far egli stesso.

BEAT. S'egli lo ha fatto far lui, è il ritratto di mia madre, lo voglio io. Vuoi trovar questi uomini, sì o no?

COR. Adesso, signora, li cercherò. (parte)

SCENA QUARTA

Beatrice, poi Corallina con un garzone di stalla, poi Brighella.

BEAT. Questa volta si ha da rompere certamente! Si pentirà d'avermi perduto il rispetto. Tutto quello che posso immaginarmi gli rechi dispiacere, tutto voglio far per dispetto.

COR. Ho trovato il garzone di scuderia, e in mancanza... non trovando altri... verrà a servirla questo galantuomo.

BRIGH. Se la comanda...

BEAT. Va via di qua, disgraziato.

COR. Senta, signora padrona...

BEAT. Mi maraviglio di te, che hai avuto l'imprudenza di farmelo venire dinanzi.

COR. Ma senta, in grazia, una parola.

BEAT. Briccone! Che cosa vuoi dirmi? (a Corallina)

COR. È pentito di quello che ha detto.

BEAT. Vada al diavolo.

COR. Tiene da lei...

BEAT. Non gli credo.

COR. Ha da dirle delle belle cose del signor conte Ottavio.

BEAT. Che cosa ha da dirmi?

COR. Parlate, galantuomo. Dite tutto alla mia padrona; ella è una dama di buon cuore, vi perdonerà. (Portatevi bene, se non volete andare al reggimento). (piano a Brighella)

BRIGH. Lustrissima, ghe domando perdon. Se ho dito qualche cossa, se no son vegnudo a servirla, l'è stà per causa del me padron.

BEAT. Ti ha proibito di servirmi?

BRIGH. Lustrissima sì.

BEAT. Che cosa dice di me?

BRIGH. El dis cussì che l'è altiera, ustinada...

COR. (Aggiungete qualche cosa). (piano a Brighella)

BRIGH. Che l'è collerica...

BEAT. E non altro?

COR. Non avete detto a me, che egli ha detto che ella non ha giudizio?

BRIGH. È vero.

BEAT. Indegno!

COR. Che alleva male la sua figliuola? Che le dà dei cattivi esempi?

BEAT. Così ha detto?

BRIGH. Me par de sì.

COR. Non occorre fingere, bisogna dire la verità. L'ha detto, o non l'ha detto? (Dite di sì). (piano a Brighella)

BRIGH. El l'ha dito, siora sì.

BEAT. Sempre più mi accendo di collera.

COR. Raccontatele quello che ha fatto stamattina di quei due vasi di garofani.

BRIGH. (Quei che el vento ha buttadi zo?) (piano a Corallina)

COR. Perché erano vostri, il signor conte li ha gettati nella strada.

BEAT. Presto, levate quel quadro, e portatelo nelle mie camere.

BRIGH. La servo.

BEAT. Corallina, vieni meco. Voglio fargli tagliare tutti i frutti del suo giardino. (parte)

COR. Vedete? Per causa mia siete tornato in grazia. Sappiatevi mantenere. (parte)

SCENA QUINTA

Brighella, il garzone di stalla, poi Ottavio.

BRIGH. La m'ha fatto dir tre o quattro busie, senza voggia. Animo, amigo, tiremo zoso sto quadro.

GARZ. Vi vorrà una scala.

BRIGH. Oibò, el se tira zo benissimo; vegnì qua. (si accostano, e levano il quadro)

OTT. Che cosa fai di quel quadro?

BRIGH. (Oh diavolo!) (da sé) L'è pien de polvere, voleva nettarlo.

GARZ. Lo portiamo dalla signora contessa.

OTT. Dalla contessa? (a Brighella)

BRIGH. Mi no so gnente.

OTT. Non saresti già tu d'accordo con lei?

BRIGH. Lustrissimo, no gh'è pericolo. Son un galantomo. (Caro camerada, agiuteme per carità). (piano al Garzone)

OTT. Come c'entri tu a levar questo quadro?

BRIGH. Sto zovene m'ha dito che ghe daga una man, n'è vero?

GARZ. Illustrissimo sì, è vero. (Qualche volta mi dà della minestra). (da sé)

OTT. Dove lo devi portare?

GARZ. Dalla padrona; lo vuole in camera.

OTT. Bene. (dà un calcio nella tela e la sfonda) Portalo da parte mia alla contessa.

BRIGH. Sior sì, porteghelo alla siora contessa. (con caricatura)

GARZ. Così rotto non glielo porto.

OTT. Portalo, o ti rompo il ventre come ho fatto del quadro.

GARZ. Aiutami. (a Brighella)

BRIGH. Mi servo el me padron, no me n'impazzo.

GARZ. Sia maledetto! Che cosa dirò alla padrona?

OTT. Dille che io l'ho fracassato.

GARZ. Questa volta o da una parte, o dall'altra, ho da esser bastonato. (parte col quadro)

OTT. Si è piccata che non vuole quel quadro in sala? Sarà contenta.

BRIGH. Lustrissimo, bisogna che ghe avverta una cossa.

OTT. Che cosa?

BRIGH. L'ha dito cussì la siora contessa, che la vol far taiar tutti i frutteri del so zardin.

OTT. Per qual motivo?

BRIGH. Perché stamattina el vento ha buttà zo do vasi de garofoli, e la crede che vussustrissima ghe li abbia rotti per dispetto.

OTT. Toccarmi le mie frutte? L'unico mio diletto? Giuro al cielo, non anderebbe esente dalla mia collera! Fa che il giardino sia ben chiuso, e avvisa il giardiniere che invigili con attenzione.

BRIGH. Vado subito. (Corallina m'ha imbroià colla siora contessa, ma mi me preme el padron). (da sé, parte)

SCENA SESTA

Ottavio e Pantalone.

OTT. I miei frutti? Le mie pere? La mia spalliera? Si provi, e se ne avvedrà.

PANT. Sior conte, son qua da ella; la perdona se son stà un pochetto tardi a vegnir. Gh'aveva un interesse de premura. L'ho fatto, ho disnà, e adesso son qua co la resposta de siora Beatrice.

OTT. M'immagino sarà una risposta piacevole. (con ironia)

PANT. In verità, che no ghe xe mal.

OTT. Vi ha detto che vuol farmi tagliare i frutti del mio giardino?

PANT. Eh! chi gh'ha contà ste fandonie?

OTT. Lo so di certo. Ma giuro al cielo, non lo farà.

PANT. Mi ghe digo, che no la gh'ha sti sentimenti.

OTT. E il quadro di sala, il ritratto di sua madre che sapete averlo fatto far io per accompagnare quegli altri, lo vuole in camera

PANT. A mi no la m'ha dito sta cossa.

OTT. Sapete quante volte si è conteso per questo.

PANT. Xe vero. Me l'arrecordo.

OTT. Ora non si contenderà più.

PANT. No? per cossa?

OTT. Io stesso gliel'ho mandato in camera.

PANT. Bravo! l'ha fatto ben.

OTT. Ma fracassato nel mezzo.

PANT. Oimei! l'ha fatto mal.

OTT. Pretende di voler tutto a suo modo? S'inganna.

PANT. Mo me despiase; me despiase assae. Mi l'aveva ridotta a contentarse de poco. Un atto de respetto de Brighella, una parola de bon amor de sior conte, bastava a metterla a segno, e tutto giera giustà. Vardè cossa fa la collera, cossa fa i trasporti. Adesso tutto xe sconcertà, bisogna tornar da capo, e far una fadiga da bestia.

OTT. Sono arrivato in tempo che faceva levare il quadro.

PANT. Chi sa per cossa che la lo fava levar? La m'ha dito una volta, che la ghe ne voleva un piccolo da tegnir in camera; e ho visto stamattina che la parlava con un pittor. Pol giusto darse che la volesse farlo copiar. (Vôi véder se podesse tacconar anca questa). (da sé)

OTT. Se voleva farlo copiare, doveva parlare con me.

PANT. Finalmente el xe el retratto de so siora madre; no la xe mo sta gran colpa. Cossa dirà el mondo de sta bella scena? Credela de esser lodà per sta bravura? I trasporti de collera fa sempre mal, e quell'omo che xe capace de frenar el primo impeto, el xe l'omo più felice del mondo. Non ostante, co s'ha fatto el mal, bisogna, se se pol, remediarghe; anderò mi da siora contessa, dirò che el xe stà un accidente, che el quadro xe cascà, lo faremo giustar, metteremo la cossa in taser. Do parole d'un bon amigo xe l'acqua più attiva e più valida per stuar el fogo tra do persone irritade.

OTT. Ma caro signor Pantalone, spicciamola una volta. Venghiamo a qualche dichiarazione. O mia cognata vuole la mia amicizia, e son pronto ad accordargliela; o si è posta meco in puntiglio, ed io lo sosterrò sino all'ultimo sangue.

PANT. No, sior conte, la vederà che siora Beatrice fa stima de ella. Qualche paroletta xe stada reportada. Ma la lassa far a mi, che tutto se giusterà.

SCENA SETTIMA

Florindo e detti.

PANT. Sior marchese, ghe son servitor... Me consolo.

FLOR. Schiavo suo. (bruscamente)

PANT. (Cossa gh'alo?) (da sé)

OTT. Marchesino, siete sollecito.

FLOR. Ho piacere d'avervi ritrovato.

OTT. Che cosa avete da comandarmi?

FLOR. Siccome non mi son servito di terza persona per chiedervi la signora Rosaura, così vengo io stesso a protestarvi, che se mi si mancherà di parola, saprò farmene render conto.

OTT. Che linguaggio è questo? Intendesi mancar di parola dandovi questa sera la sposa?

FLOR. Vostra cognata non parla come parlate voi.

OTT. Che dice ella?

FLOR. Che la contessina non sarà mia, ch'ella altrui l'ha promessa, e che non vale il nostro posteriore contratto.

PANT. (Adesso stemo freschi). (da sé)

OTT. Ah, mia cognata è una pazza! Pretende ella vendicarsi meco, opponendosi a queste nozze da me a voi promesse, e con voi stabilite.

FLOR. Voi siete cavaliere, tocca a voi a farmi render ragione.

OTT. Sì, ve lo prometto. O Rosaura sarà vostra sposa, o darò un esempio, che sarà degno di me.

PANT. (Strepiti, precepizi, cosse grande!) (da sé)

OTT. Vedete, signor Pantalone? Sono ben fondate le vostre speranze di un facile accomodamento?

Mia cognata ha della stima per me?

PANT. No so cossa dir; me par ancora impussibile...

FLOR. Mettereste in dubbio quello che io dico? Mi maraviglio di voi.

PANT. No digo in contrario, sior marchese, sarà vero tutto; ma delle volte se pol equivocar.

FLOR. Ella mi ha detto chiaramente...

PANT. Se contentela d'aspettar un momento, tanto che vaga a parlar mi co siora Beatrice?

OTT. Sì, andate. Raccogliete i suoi sentimenti, e ditele per parte mia, che se non avrà giudizio, perderò io la prudenza; ditele che non guarderò di precipitare me stesso, per rovinar lei e tutti quelli che le aderiscono.

PANT. La lassa far a mi. So cossa che gh'ho da far. Torno subito. (Oh se podesse giustar anca questa! Ma la vedo difficile). (da sé, parte)

SCENA OTTAVA

Ottavio, Florindo, poi Brighella.

OTT. Come vi ha parlato la contessa?

FLOR. Voleva ella darmi ad intendere, che la contessina non fosse di me contenta.

BRIGH. Lustrissimo, è stà portà sta polizza con premura.

OTT. Chi l'ha portata?

BRIGH. Corallina, la cameriera.

OTT. Quella disgraziata ha l'ardire di entrare nelle mie camere? La caccerò giù dalla scala.

BRIGH. Poverazza, no la ghe n'ha miga colpa.

OTT. Tu la difendi?

BRIGH. Ho scoverto tutto. Corallina no ghe n'ha colpa.

OTT. Trattienla fin che io leggo il viglietto.

BRIGH. (Magari fusselo un viglietto longo!) (da sé; parte, poi torna)

OTT. Compatite.

FLOR. Accomodatevi.

OTT. Sarà un viglietto di mia cognata. Sentiremo che cosa sa dirmi. (apre)

FLOR. Voi non vi lascerete sedurre.

OTT. Marchesino? il viglietto non è di mia cognata, ma di mia nipote.

FLOR. Sentiamo... se mi è permesso.

OTT. Sì, leggiamolo. (legge)

Amatissimo signore zio. La mia signora madre è meco in collera, né so perché: ella non acconsente più alle mie nozze, e minaccia di mettermi in un ritiro. Ricorro a voi, amabilissimo signore zio, siccome a quello che ha sempre avuto dell'amore per me, e che avendo stabilito li miei sponsali col marchesino Florindo, ha tutto il diritto di pretenderne l'esecuzione. Dal canto mio sono disposta a far tutto ciò che voi mi consiglierete di fare. Mi getto nelle vostre braccia, e vi supplico di soccorrermi, prima che la disperazione giunga ad impossessarsi dell'afflitto cuor mio.

FLOR. Povera giovine! non l'abbandonate.

OTT. No, non l'abbandonerò. Chi è di là?

BRIGH. (L'ha finio de lezer molto presto). (da sé) La comandi.

OTT. Corallina è ancora nelle mie camere?

BRIGH. Lustrissimo sì. No m'ala dito che la trattegna?

OTT. Falla venir qui.

BRIGH. La me creda, lustrissimo, che l'è innocente.

OTT. Falla venir qui. Io non voglio gridare.

BRIGH. (Poverazza! no vorria che el me la spaventasse). (da sé, parte)

SCENA NONA

Florindo, Ottavio, poi Corallina.

FLOR. Che cosa rispondete alla signora Rosaura?

OTT. Or ora, lasciatemi parlare colla cameriera.

COR. (Se la padrona mi vedesse, povera me!) (da sé, spaventata)

OTT. Vieni avanti.

COR. Signore, ho paura.

OTT. Di chi?

COR. Della padrona.

OTT. Non temere di nulla. Il padrone sono io.

COR. L'ho sempre detto. La padrona è collerica, un giorno o l'altro mi manda via. Ma il padrone,

che è tanto buono, non mi abbandonerà.

OTT. Dimmi, la contessina ti ha detto di dirmi nulla in vece?

COR. Poverina! se la vedeste! Fa compassione. Ha scritto quel viglietto, bagnando la carta colle lacrime. Mi ha detto che compatite se ha scritto male. Ha chiesto alla padrona di poter desinare nella sua camera, e invece di mangiare, poverina, scriveva con un occhio sul tavolino e l'altro alla porta, per timore di non esser sorpresa.

OTT. Ci rimedierò io. Permettete che vada a rispondere al viglietto di mia nipote.

FLOR. Sì, fatelo, ma con qualche risoluzione.

OTT. Lasciate il pensiero a me.

FLOR. Posso io sapere?...

OTT. Saprete tutto opportunamente. Attendimi colla risposta. (a Corallina, e parte)

SCENA DECIMA

Florindo e Corallina.

COR. Meschina me, se la padrona sapesse che io fossi qui!

FLOR. Fidatevi del conte Ottavio.

COR. E poi, quello che io faccio, lo faccio per l'amore che porto alla signora contessina, che mai nessuno si può vantare che io abbia portato un viglietto di ragazze, né fatta un'ambasciata amorosa. Il cielo me ne liberi, morirei piuttosto che fare una cosa simile.

FLOR. Vi supplico, Corallina, dite alla signora Rosaura che seguiti ad amarmi, e soffra pazientemente.

COR. Ma, signore, ho pur detto che di queste ambasciate io non ne faccio.

FLOR. Se amate tanto la signora Rosaura, non ricuserete di dirle queste mie innocenti parole.

COR. Via, gliele dirò, perché sono innocenti.

FLOR. E poi, Corallina mia, vi regalerò.

COR. Oh, io non mi lascio allettare dalle promesse.

FLOR. Dalle promesse no, ma dai regali forse sì.

COR. Dai regali? Non so, perché non ne ho mai avuti.

FLOR. Vorreste provare?

COR. Dicono che, prima di morire, è bene provare un poco di tutto; cioè che non offenda il buon costume.

FLOR. Eccovi un piccolo regaletto di due zecchini.

COR. (Li prende sorridendo)

FLOR. Che effetto vi fanno?

COR. Non saprei: un certo movimento interno, che mi fa ridere.

FLOR. Bisognerebbe che comunicaste un poco della vostra allegria alla signora Rosaura.

COR. Mi proverò.

FLOR. Che cosa le direte per rallegrarla?

COR. Le dirò che il signor marchesino l'adora, che sia fedele, e non dubiti che sarà contenta.

FLOR. Non le direte altro?

COR. Le dirò... Sentite che spirito mi ha messo in capo quel picciolo regaletto. Le dirò che, in caso di disperazione, si fidi di me, che mi basterà l'animo di farle sposare il signor Florindo, anco a dispetto di sua madre.

FLOR. Bravissima. Ecco altri due zecchini.

COR. In verità, voi mi fate giubilare a segno, che or ora vi travesto in qualche maniera, e vi conduco alle sue camere.

FLOR. No, Corallina, non venghiamo per ora a questi passi. Attendiamo le risoluzioni del conte Ottavio.

COR. Ma io, quando mi ci metto, non mi ci metto per poco.

SCENA UNDICESIMA

Ottavio e detti.

OTT. Tieni, portale questo viglietto.

COR. Come volete che io glielo dia?

OTT. Cautamente.

COR. Voglio dire, allegra o malinconica?

OTT. Come tu vuoi.

FLOR. Se volete che lo porti con allegria, donatele qualche cosa.

COR. Bravo: egli sa le buone regole.

OTT. Tieni, eccoti un testone.

COR. (Vogliamo star poco allegri). (da sé)

OTT. Portalo subito, e non tardare.

FLOR. Via, che io poi ti farò brillare.

COR. Che siate benedetto! Voi sapete che cosa ci vuole a far brillare le donne. (parte)

SCENA DODICESIMA

Florindo, Ottavio, poi Pantalone.

FLOR. Ebbene, signor conte, come vi siete voi contenuto?

OTT. Ho detto che si fidi di me; che se le nozze si differiranno, non per questo tramonterà il trattato. Che sentirò sua madre, e quando ella voglia persistere...

PANT. Son qua.

OTT. Che ci recate di nuovo?

PANT. Comoderemo tutto.

FLOR. Lo voglia il cielo.

OTT. Voi fate tutto facile, signor Pantalone.

PANT. La me permetta che diga tutto, e po la vederà se le cosse va ben. Siora contessa ha confessà d'aver dito a sior marchese, che no la vol più darghe so fia. Ma sala per cossa che la l'ha fatto?

FLOR. Perché mai?

PANT. Per una frascheria da gnente.

OTT. Per vendicarsi di me.

PANT. Oh giusto! l'ha crià colla putta, e la xe andada in sto boccon de contrattempo. La sa de che temperamento caldo che la xe. In quel momento capita el sior marchese. La vol dir, e no la sa cossa dir; orbada dalla collera, la principia a metterghe in desgrazia la putta; la s'ha inventà d'averla a un altro promessa, tutto per superar el so punto; tutto per sti maledetti pontigli, che intra in te le fameggie, che se cazza in tel sangue, e che fa che i parenti più stretti deventa tra de lori i più crudeli nemici.

OTT. Se la cosa fosse così, si accomoderebbe facilmente.

FLOR. Io spero che sarà così senz'altro. Non vi ricordate che nel viglietto diceva: la mia signora madre è meco in collera?

PANT. Ghe digo che la xe cussì; la se fida de mi. (Ghe n'ha volesto a ridur siora contessa; ho fatto una fadiga da can; ma spero che tutto sarà giustà). (da sé)

FLOR. Come abbiamo da contenerci?

PANT. Vorle che andemo da siora contessa?

OTT. Andar da lei ci ho le mie difficoltà.

PANT. Via, sior conte, la lassa i pontigli, e andemo.

OTT. Ha detto nulla del quadro?

PANT. La xe persuasa che el sia stà un accidente.

OTT. E i frutti che voleva farmi tagliare?

PANT. La l'ha dito in atto de collera. La sa che el vento ha buttà zoso i pitteri; no gh'è pericolo de altro.

OTT. Del servitore parla più niente?

PANT. Anca per questo la xe giustada. El gh'ha domandà scusa, e la xe fenia.

OTT. Senza mio ordine ha domandato scusa? Lo caccerò via.

PANT. Ma, caro sior conte, per carità, no la me daga in ste debolezze. No la destruza el merito delle mie fadighe. Ho fatto tanto, grazie al ciel ghe ne son riuscio. Andemo da siora contessa, e destrighemose.

OTT. Marchese, andiamo.

FLOR. Vi seguo con tutto il giubilo.

SCENA TREDICESIMA

Brighella, un messo della curia, e detti.

BRIGH. La veda sto omo de Palazzo, el vorave darghe una carta.

OTT. Cosa volete?

MES. Perdoni, illustrissimo, questo foglio viene a lei.

OTT. (Lo prende e legge piano)

FLOR. Signor Pantalone, voi siete un uomo di garbo.

PANT. Mi no son bon da gnente: ma per i amici me desfarave. Son amigo della pase, e dove che pratico, procuro che la ghe sia.

FLOR. Sperate dunque che tutte le dissensioni di questa casa sieno accomodate?

PANT. Tutto xe giustà.

OTT. Signor Pantalone, ecco tutto accomodato  Con questo foglio, mio nipote m'intima la divisione; mia cognata domanda la sua dote, e son chiamato a render conto della mia amministrazione.

PANT. Come? Coss'è sta cossa?

OTT. (Al Messo) Si faccia subito un precetto alla contessa Beatrice ed al conte Lelio, che debbano immediatamente evacuare questo palazzo, per essere di ragione della primogenitura, che è mia.

PANT. No, caro sior conte...

OTT. Lasciatemi stare. Tenete uno scudo; prendete l'ordine e fate l'intimazione a dovere.

MES. Sarà immediatamente servita. (parte)

BRIGH. (Costori i xe come el vento traverso, che fa andar le barche da una banda e dall'altra). (da sé)

FLOR. Signor conte, questa cosa sconcerta.

OTT. Mia cognata vuol la rovina di questa casa.

PANT. Vardemo da dove che deriva sto desordene.

OTT. Deriva dall'altrui malizia, dalla vostra credulità, e dall'aver io prestato fede ai vostri consigli. (parte) FLOR. Giuro al cielo, adopreremo la spada. (parte)

PANT. Tolè, questo xe quel che se avanza a far ben. Rimproveri e male grazie. Ma pazenzia, no me pento de quel che ho fatto, e vôi seguitar a operar. No son persuaso che l'abbia d'andar cussì. Siora Beatrice giera placada, e qualchedun ha intorbià l'acqua sul più bello. Vôi scoverzer la verità, e vôi che se veda che son un omo onorato, un bon amigo, che gh'ha cuor, che gh'ha testa, e che gh'ha fin de reputazion. (parte)

SCENA QUATTORDICESIMA

Brighella, poi Arlecchino.

BRIGH. Vado osservando che le cosse in sta casa le va pezo che mai. No vorria che se tornasse da capo a parlar de mi. I strazzi va all'aria: no vorave mi tor de mezzo. Me despiase per Corallina; ma se no fusse per ella, anderave via a drettura. Ma ghe voio ben: ella me par che la me ne voia a mi. No vorave lassarla.

ARL. (L'è qua Brighella. Adesso sarave el tempo de servir Corallina; ma per farlo ben, no bisognerave aver paura). (da sé)

BRIGH. O paesan, ve saludo.

ARL. (Bisogna farse coraggio).

BRIGH. Coss'è? No se me responde? Voleu qualcossa?

ARL. Sior sì. Vôi qualcossa.

BRIGH. Da chi?

ARL. Da vu.

BRIGH. Son qua, disè su cossa che volè. ARL. Se sè galantomo, ve sfido co la spada a la man.

BRIGH. Me sfidè co la spada a la man? Se pol almanco saver la rason?

ARL. La rason te la dirò, quando che t'averò mazzà.

BRIGH. Caro amigo, allora sarà troppo tardi. Feme el servizio de dirmela adesso.

ARL. (El vien co le bone, è segno che l'ha paura). (da sé)

BRIGH. E cussì? se pol saver?...

ARL. Sior sì. Ve la dirò. V'ho da cavar el cuor per parte de Corallina.

BRIGH. Adesso capisso. Vu sè campion de Corallina. Volè combatter per ella.

ARL. Sior sì e in premio del mio valore, Averò la sua destra ed il suo cuore.

BRIGH. La so man? el so cuor? a vu? Corallina me vol morto? Se vol vendicar? Ah desgraziada! femena ingrata! traditora! sassina! (passeggiando e smaniando fra sé medesimo)

ARL. (Se vede che el gh'ha una paura de mi terribile. Bisogna farse coraggio). (da sé) Animo, se ti è galantomo, vien a combatter con mi.

BRIGH. No me degno de batterme con un omo de la to sorte.

ARL. Perché ti gh'ha paura.

BRIGH. Mi paura?

ARL. Sì, ti è un aseno. L'ha dito anca Corallina.

BRIGH. Corallina ha dito che son un aseno?

ARL. La l'ha dito in presenza mia.

BRIGH. (Ah, donna senza amor, senza cuor, senza fede, senza gratitudine, senza pietà!) (smania da sé, passeggiando)

ARL. (El gh'ha paura, el trema). (da sé)

BRIGH. (Me vien voggia de chiappar costù, e scannarlo co le mie man). (da sé)

ARL. Animo. Alle  curte. Viente a far ammazzar.

BRIGH. Caro ti, làsseme star.

ARL. No gh'è remedio. Ti gh'ha da morir per le mie man.

BRIGH. Paesan, va via.

ARL. No gh'è remedio.

BRIGH. Va via, che sarà meggio per ti.

ARL. Ti gh'ha paura, ti.

BRIGH. Quel che ti vol; gh'ho paura, va via de qua.

ARL. Se ti ti gh'ha paura, mi son coraggioso, e me voio batter, e te voio mazzar.

BRIGH. E mi te digo...

ARL. No gh'è né digo, né desdigo; se ti è galantomo, vien fora de qua.

BRIGH. Arlecchin, te torno a dir: làsseme star.

ARL. Sangue de mi, vien fora de qua.

BRIGH. Ti vol che vegna?

ARL. Sì.

BRIGH. A batterme? con ti?

ARL. Sì, se ti è galantomo.

BRIGH. Son galantomo. Aspetteme qua. (parte, e torna subito)

ARL. (Corallina sarà vendicada).

BRIGH. Son qua. Ti vol che me batta con ti?

ARL. Sior sì, con mi.

BRIGH. Con ti me batto cussì. (lo bastona e parte)

ARL. Manco mal, Corallina sarà vendicada. (parte)

SCENA QUINDICESIMA

Camera di Rosaura.

Rosaura e Corallina.

ROS. Vieni qui, vieni qui, che nessuno ti veda.

COR. Eccovi il viglietto del signor zio, e poi vi ho da dire delle belle cose per parte di un altro.

ROS. Per parte di chi?

COR. Leggete, e poi ve lo dirò.

ROS. Dimmelo, cara Corallina.

COR. Per parte del signor marchesino.

ROS. Che dice? Mi ama? È sdegnato? Procura di avermi?

COR. Vi vuol bene, sarà vostro. Leggete, prima che venga alcuno.

ROS. Povero marchesino! (apre e legge) «Nipote carissima. Ho appreso con senso di tenerezza le vostre giuste doglianze».

COR. Vostro fratello.

ROS. Misera me! (nasconde il viglietto)

SCENA SEDICESIMA

Lelio e dette.

LEL. Che vuol dire, signora sorella, perché sono venuto io, ha tralasciato di leggere? Sarà qualche viglietto, che io non potrò vedere.

ROS. Ecco cosa è, osservate. La regola del nuovo giuoco francese, intitolato la cometa. (tira fuori una carta, che parla di tal giuoco)

COR. (Brava davvero! Stimo la prontezza!) (da sé)

LEL. Questa carta, signora mia, non è quella che leggevate, quando io son venuto.

COR. Oh! è quella, in coscienza mia!

LEL. Vattene; tu non ci entri.

COR. Ma io parlo per la verità.

LEL. Chi sa che non fosse un qualche viglietto amoroso, che tu le avessi portato?

COR. Andate là, che siete spiritoso. Pare che non mi conosciate. Non sapete che sono l'esempio della fedeltà? (e la madre della drittura?) (da sé, parte)

SCENA DICIASSETTESIMA

Lelio e Rosaura.

LEL. Favorite lasciarmi vedere quel viglietto.

ROS. Qual viglietto?

LEL. Quello che avevate nelle mani poc'anzi.

ROS. Non so che cosa vi diciate.

LEL. Giuro al cielo, me lo darete per forza.

ROS. Oh piano, signor fratello; vossignoria non ha l'autorità di usar meco la forza.

LEL. Io, mancando il padre, fo le sue veci. Siete sotto la mia custodia.

ROS. Avete bisogno di esser voi custodito.

LEL. Fraschetta.

ROS. Non mi perdete il rispetto.

LEL. Voglio essere obbedito.

ROS. Avete finito di comandarmi.

LEL. Perché, signorina?

ROS. Perché mi mariterò.

LEL. Oh, per adesso no.

ROS. Siete anche voi d'accordo colla signora madre?

LEL. Sì signora, per servirla. Il marchesino non lo vedrete più.

ROS. Avrete cuore di dare a me una pena sì grande?

LEL. Orsù, voglio vedere questo viglietto.

ROS. Lasciatemi stare.

LEL. Vi dico che lo voglio vedere.

ROS. Io non entro ne' fatti vostri, e voi non entrate ne' miei.

LEL. Chiamerò vostra madre.

ROS. Chiamatela. È molto tempo che ho voglia di parlarle di voi.

LEL. Che cosa le potete dire di me?

ROS. Che avete una chiave finta del burò, e le portate via i denari.

LEL. Chi vi ha detto questo? Non è vero.

ROS. Eh, so tutto, e so anche dei dieci sacchi di grano che avete rubato la settimana passata.

LEL. È roba mia.

ROS. La roba vostra l'avete mangiata ch'è un pezzo. Questa roba è della signora madre.

LEL. A voi che cosa importa?

ROS. Niente; ma tacete voi, se volete che taccia ancora io.

LEL. Le fanciulle non parlano di queste cose.

ROS. E i fratelli non tradiscono le sorelle.

LEL. Rosaura, il viglietto. Sono impuntato, lo voglio.

ROS. Io non so che cosa vi diciate.

LEL. Volete giuocare, che ve lo prendo dalla tasca?

ROS. Vorrei vedere anche questa.

LEL. Voglio vederlo. Mi preme l'onore della mia casa.

ROS. Io sono una figlia onorata. Se vi premesse l'onore non trattereste di sposare la figlia di quel bracciere.

LEL. (Oimè! come lo ha saputo?) (da sé) Chi vi racconta simili falsità?

ROS. So tutto, vi dico, e taccio; ma oramai parlerò.

LEL. Rosaura, non parlate di ciò a mia madre.

ROS. Questa non è cosa che io possa dissimulare; a me pure preme l'onore della casa, e sarò costretta a parlare.

LEL. Cara Rosaura...

ROS. Cara Rosaura, eh...

LEL. Credetemi, ve lo giuro sull'onor mio. Mi prendo giuoco di colei; non son capace di una simile debolezza.

ROS. Ma se nostra madre lo sa...

LEL. Non glielo dite, vi prego.

ROS. Meritereste...

LEL. Via, non parliamo più del viglietto.

ROS. (Ho trovata ben io la maniera di farlo tacere). (da sé)

LEL. (Ma! Quando si è in difetto, bisogna soffrire). (da sé)

SCENA DICIOTTESIMA

Beatrice e detti.

ROS. (Si mostra piangente)

BEAT. Che cosa ci è? Piangete? (a Rosaura)

ROS. Signora, non ho occasione di ridere.

BEAT. Via, rasserenatevi. Questa sera vedrete il marchesino Florindo.

ROS. Oh cielo! Dite davvero?

LEL. Che vuol dire? Avete mutato pensiero?

BEAT. Me ne ha dette tante quel buon uomo del signor Pantalone, che non ho potuto resistere.

ROS. Sia ringraziato il cielo!

LEL. E voi, signora, vi lascerete dirigere da quel vecchio?

ROS. (Lelio fa sempre la parte del diavolo). (da sé)

BEAT. Mi ha fatto toccar con mano il precipizio di tutta la nostra casa per un simile impegno.

LEL. Che precipizio? Abbiamo noi paura del marchese Florindo?

ROS. Bei sentimenti di uomo onesto, di galantuomo!

LEL. Voi non ci entrate.

ROS. Ci entro benissimo. Si tratta di me.

LEL. E per una fraschetta si cederà vilmente ad un puntiglio di questa sorta?

ROS. E per un giovane senza giudizio, che cerca rovinar la casa con un matrimonio...

LEL. Orsù, non so che dire, signora madre. Voi siete la padrona, fate voi.

BEAT. Quando trovo le mie convenienze, non ricuso la pace.

SCENA DICIANNOVESIMA

Dottore e detti, poi Corallina con un messo della curia.

DOTT. Umilissimo servitor di loro signori.

BEAT. Oh signor dottore, avete fatto bene a venire. Bisogna sospendere gli atti contro il signor conte Ottavio.

DOTT. La citazione è corsa.

BEAT. Così presto avete fatto?

LEL. Il signor dottore è diligentissimo.

BEAT. Mi dispiace infinitamente.

ROS. Ma io in queste cose non ci entro.

LEL. È rotto tutto.

ROS. Anche il mio matrimonio? (a Beatrice)

BEAT. Non crederei; ma bisogna rimediarvi.

COR. Signora. Un ministro della curia; eccolo qui.

BEAT. Venga avanti.

COR. Favorisca, signor mangiacarta. (Gli si vedono nel viso le maledizioni che ha avute). (da sé, parte)

MES. Favorisca. (dà il foglio a Beatrice, e parte)

DOTT. Sarà la notizia della intimazione che abbiamo fatta al signor conte Ottavio.

BEAT. Come? A noi quest'affronto? In termine di tre giorni ce ne dobbiamo andare da questa casa?

LEL. Chi lo dice?

BEAT. Una intimazione del conte Ottavio.

LEL. Il palazzo non è nostro?

BEAT. No, è del primogenito.

LEL. Signor dottore, a voi.

DOTT. Lascino fare a me. Danari, e niente paura.

LEL. Danari quanti volete.

BEAT. Ora sono agli estremi. Questo affronto termina di irritarmi. Rosaura, tu anderai nel ritiro. (parte)

LEL. Signora sì, nel ritiro, e vi starete tutto il tempo di vita vostra. (parte)

DOTT. (E la sua dote faremo andar nella lite). (da sé, parte)

ROS. Povera sventurata! Tutto sopra di me. Io che colpa ne ho? Perché ho da essere sacrificata? Ma no, in ritiro non ci anderò. In una casa di pazzi, non sarà gran cosa se anche io dovrò fare una qualche pazzia.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Notte. Camera del conte Ottavio, con lumi.

Il conte Ottavio, Brighella, poi il dottore di dentro.

OTT. Hai detto al dottore Balanzoni, che io gli voglio parlare?

BRIGH. Lustrissimo sì. Ghe l'ho dito. No gh'era caso che el volesse vegnir; ma finalmente el m'ha dito che el vegnirà.

OTT. Perché non voleva venire?

BRIGH. Per causa de quelle citazion. El gh'ha paura che vussustrissima sia in collera.

OTT. In fatti meriterebbe che una parte del mio sdegno si sfogasse sopra di lui. Ma voglio condur la cosa diversamente. L'hai tu assicurato che ei sarà accolto placidamente?

BRIGH. Me son inzegnà de farlo, e ho superà tutto el so timor.

OTT. Quando verrà?

BRIGH. Stasera. El sarà qua a momenti.

OTT. Mia cognata è in casa?

BRIGH. Lustrissimo no, l'è andada in carrozza dalla marchesa Flaminia.

OTT. Che sì, che ella è andata a risvegliare il trattato di sua figliuola col marchese Riccardo? Ma non riuscirà certamente. Femmina sciocca, femmina indemoniata!

BRIGH. Eh, lustrissimo, so mi da dove vien el mal!

OTT. Da dove?

BRIGH. Quella pettegola de Corallina l'è causa de tutti sti desordeni. Ella l'è quella che mette su la padrona, la la fa far a so modo, e la la conseggia sempre a far mal. (Desgraziada me vôi vendicar). (da sé)

OTT. Bricconcella! Averà quel che merita.

BRIGH. (T'imparerà a burlar i omeni della mia sorte).

DOTT. (Di dentro) O di casa.

BRIGH. El sior dottor.

OTT. Introducilo.

BRIGH. La servo. (Buttar via una scatola e un fazzoletto? Mo son stà un gran matto!) (da sé, parte)

SCENA SECONDA

Il conte Ottavio e il dottore.

OTT. Farò che mia cognata e mio nipote si distruggano in questa lite. Sottoscriverò volentieri la rovina della mia casa, prima che dare ad essi la menoma soddisfazione.

DOTT. Fo riverenza a V.S. illustrissima.

OTT. E così, signor dottore, voi siete il mio avversario; voi favorite mia cognata e mio nipote, e in nome loro mi avete mossa una lite?

DOTT. Caro signor conte, confesso la verità colle lacrime agli occhi; ella sa che il signor conte Lelio è un prepotente; egli mi ha violentato a far questo passo che non voleva fare, perché io sono servitore antico della casa...

OTT. Dunque sarò io obbligato a render conto della mia amministrazione?

DOTT. Oh, pensi lei! Nemmeno per ombra. Con tutti gli atti che potessero fare i suoi avversari, l'assicuro io che facilissimamente ella si può esimere da questa cosa.

OTT. Volete voi l'impegno di difendere le mie ragioni?

DOTT. Il cielo volesse che io lo potessi fare! Ma ella vede bene, avendo per mia disgrazia fatto quella citazione io farei una cattiva figura a Palazzo.

OTT. Bene, mi provvederò di un altro.

DOTT. Se ella comanda, io ho un mio nipote, che è un giovine di esperienza, di gran dottrina e di buona coscienza. Io non dovrei dirlo, ma egli è un uomo che può stare a petto di chi si sia.

OTT. E voi proseguirete a difendere i miei avversari?

DOTT. Se ella mi comanda che non lo faccia, non lo farò. Ma ella mi ascolti: se vanno da un altro, si può dare che trovino uno di quelli che fanno eternare le liti, per eternare il guadagno. Io darò mano all'aggiustamento, e l'assicuro che averà un avversario, che le farà poco male.

OTT. Basta! ci penserò.

DOTT. Vuole ella che mandi mio nipote? Lo senta solamente parlare.

OTT. Mandatelo pure, lo sentirò. Ma zio e nipote difensori avversari, non cammina bene.

DOTT. Ne abbiamo avuti di que' pochi di questi esempi. La sarebbe bella! L'amicizia e la parentela non hanno che fare coll'esercizio. Ella si lasci servire.

OTT. Vi ho detto che ci penserò.

DOTT. Le manderò mio nipote.

OTT. Mandatelo.

DOTT. Le faccio riverenza. Quanto mi dispiace di non poterla servire io. Ma non si dubiti, che se non la servo direttamente, la servirò indirettamente. Ella mi capisce. Mi raccomando alla sua protezione. (parte)

SCENA TERZA

Ottavio, poi Pantalone.

OTT. Costui lo conosco. Mi varrò di lui fino ad un certo segno, e non mi fiderò certamente di suo nipote.

PANT. Con so bona grazia...

OTT. Che cosa ci è, signor Pantalone? Venite voi a parlarmi dolcemente per mia cognata?

PANT. No, sior conte, son qua con ella. Fogo al pezzo. Chi la pace non vuol, la guerra s'abbia. I n'ha mosso lite? femo lite. I vol guerra? femo guerra. Mi, per leze de bona amicizia, son a parte dei torti, dei affronti che ghe vien fatti, e son qua a sostener la so rason, se bisogna. El mio scrigno xe a so disposizion. Vaga tutto, ma sostegnimo el nostro ponto d'onor. (Adesso bisogna secondarlo, a so tempo procurerò raddolcirlo). (da sé)

OTT. Ho considerata la materia, e credo avrò tanto in mano da farli disperare.

PANT. Sì? Come, cara ella? Con chi s'ala conseggià?

OTT. Col dottor Balanzoni.

PANT. Mo se el defende siora contessa e so fio.

OTT. Lo fa per forza, e mi ha suggerito un suo nipote.

PANT. Sior conte, mi no digo mal de nissun; ma no posso soffrir sti caratteri indegni. No la se ne fida, la me ascolta mi, l'ascolta un amigo de cuor. Vardemo se se podesse vegnir a un aggiustamento...

OTT. Non mi parlate di aggiustamento. (alterato)

PANT. Via, via, no digo altro, la gh'ha rason. (Bisogna torlo a poco alla volta). (da sé)

SCENA QUARTA

Brighella e detti.

BRIGH. Lustrissimo.

OTT. Che cosa c'è?

BRIGH. La signora contessina Rosaura vorria parlar con vussustrissima.

SCENA QUINTA

Rosaura e detti.

OTT. Venite, nipote mia; non abbiate riguardo alcuno. Non vi prendete soggezione del signor Pantalone.

PANT. Gnente, zentildonna, la sa che son servitor antigo de casa.

ROS. Compatitemi, signore zio, se vengo ad importunarvi; sono angustiata, non so che cosa abbia da esser di me. Mia madre, irata non so perché, sfoga sopra di me la sua collera. Mio fratello dichiarasi mio nemico e si fa lecito d'insultarmi. Tutti due mi protestano lo scioglimento di ogni trattato col marchesino Florindo, e minacciano di seppellirmi fra quattro mura. Voi colla vostra lettera mi consolate. Voi mi date animo a sperare, a confidare, a risolvere. Eccomi qui, eccomi nelle vostre braccia. Amorosissimo signore zio, abbiate pietà di me; difendetemi da un periglio che può decidere della mia vita; porgetemi quel soccorso che merita l'innocente amor mio, il mio povero cuore, la mia infelice miserabile gioventù. (piange)

PANT. Propriamente sento che la me move.

OTT. Io, contessina, son la cagione de' vostri guai, ma io saprò ancora rimediarvi. Per odio che ha meco la vostra genitrice, vuole sciogliere questi sponsali, che io per vostro bene ho trattati; ma non temete, che io medesimo...

SCENA SESTA

Corallina e detti.

COR. Signora...

OTT. Che cosa vuoi?

COR. Se torna la padrona...

OTT. Vattene, temeraria.

COR. A me, signore?

OTT. Sì, a te; e se domattina non sarai fuori di questa casa, ti farò dare uno sfregio.

COR. A me?

OTT. A te disgraziata; sai chi sono: o vattene, o ti manterrò la parola. La contessa non ti leverà lo

sfregio, quando lo avrai avuto.

COR. Io resto di sasso. Ma... signore...

OTT. Giuro al cielo! (va poi parlando piano a Rosaura)

COR. Vado, vado. (Brighella, che cosa vuol dire?) (piano)

BRIGH. (Vol dir, padrona, che cussì me vendico delle so impertinenze). (piano a Corallina)

COR. (Come!)

BRIGH. (Arlecchin ghe dirà el resto).

COR. (Ho capito). Povera me! Maledetto Arlecchino, me la pagherai. (parte)

OTT. Che dite, nipote, siete voi disposta a secondarmi?

ROS. Il signore zio non può che consigliarmi per il meglio.

PANT. Un zio de sta sorte no xe capace de farghe far nissun passo falso. Sior conte xe pien de prudenza e de bona condotta; el ghe darà delle ottime insinuazion. Me fala degno mi de esser a parte dei so disegni? (a Ottavio)

OTT. Sì, giustamente. Vattene. (a Brighella)

BRIGH. (Anderò a dir el resto a Corallina; se podesse recuperar almanco la mia scatola). (da sé, parte)

SCENA SETTIMA

Ottavio, Rosaura e Pantalone.

OTT. Ho pensato di far così. Condurrò la contessina dalla marchesa Virginia mia sorella, e sotto la sua custodia, sotto la sua direzione, si concluderanno gli sponsali col marchesino Florindo.

ROS. Il signore zio non dice male.

PANT. E la vol far sto affronto alla madre? (al conte)

OTT. Lo merita. Una madre crudele, che vuol sacrificare la figlia, non può dolersi che di se stessa, se dalla figlia medesima viene delusa.

ROS. Eh! il signore zio sa quello che dice.

PANT. Ma i parenti de siora contessa Beatrice cossa dirali?

OTT. Dicano ciò che vogliono. Essi non le danno la dote.

ROS. Sentite? Io non ho altri parenti, che il signore zio.

PANT. La varda, sior conte, che sta cossa no fazza nasser qualche scena.

OTT. Tant'è, in questo, compatitemi, non ascolto consigli. Ho stabilito così. Farò attaccar la carrozza, e anderemo da vostra zia. Starete con lei quindici o venti giorni; indi vi sposerete col marchesino.

ROS. Quindici o venti giorni? Mi rincrescerà darle un incomodo sì lungo.

PANT. In fatti no la gh'averà troppo gusto quella dama de aver in casa la suggizion de una novizza.

OTT. Mia sorella è compiacentissima; per me lo farà volentieri.

ROS. Ma! non si potrebbe minorarle l'incomodo?

OTT. Come?

ROS. Spicciarsi in tre o quattro giorni?

PANT. (El ripiego no xe cattivo). (da sé)

OTT. Basta. Circa a questo, discorreremo. Permettetemi che io vada a dare alcuni ordini.

PANT. Ma! sta putta...

OTT. Vi supplico, signor Pantalone, tenetele compagnia fino che io torno.

PANT. E se vien so siora madre?...

OTT. In queste camere non verrà.

PANT. E se la vien a casa, e che no la la trova?

OTT. Risponderò io. Prendo la cosa sopra di me. Nipote, non vi perdete di animo. Ora sono da voi. (parte)

SCENA OTTAVA

Rosaura, Pantalone, poi Florindo di dentro.

ROS. (Venga pur la signora madre, qui non mi fa paura). (da sé)

PANT. (No vedo l'ora de destrigarme. Ho paura de qualche imbrogio). (da sé)

ROS. Caro signor Pantalone, possibile che non abbiate compassione di me?

PANT. Siora sì, la me fa peccà. Vorria poderla agiutar, ma con bona maniera, senza che el mondo avesse da rider de nu.

ROS. Non vorrei far rider di me, ma non vorrei nemmeno aver io motivo di piangere.

PANT. Tutto se comoda. No la gh'abbia paura.

ROS. Sono nelle mani del signore zio.

PANT. El sior zio xe orbà dalla collera. La gh'abbia prudenza.

ROS. Che cosa mi consigliereste di fare?

PANT. Tornar in te le so camere.

ROS. Obbligatissima del buon consiglio.

PANT. No la gh'abbia tanta pressa de maridarse.

ROS. Signor Pantalone, che cosa dice di questo caldo?

PANT. Digo cussì, che le putte de giudizio no le mette sottosora la casa.

ROS. (Se non fosse vecchio, gli risponderei come va). (da sé)

FLOR. (Di dentro) Chi è qui? Non vi è nessuno?

ROS. Il marchesino! (con allegria)

PANT. Oh diavolo! Andemo, siora contessina.

ROS. Dove?

SCENA NONA

Florindo e detti.

FLOR. O di casa... Oh! perdonino (entrando rimane sospeso)

ROS. Di che?

PANT. Servitor umilissimo.

FLOR. Non vi è nemmeno un servitore nell'anticamera.

PANT. Se la vol parlar col sior conte, el sarà in quelle altre camere; la pol restar servida de là.

ROS. Or ora tornerà qui.

FLOR. Come, signora Rosaura, nelle camere di vostro zio?

ROS. Sì signore, non vi è mia madre, sono venuta a raccomandarmi.

FLOR. Vi è qualche novità?

ROS. Certamente, e non piccola.

FLOR. Deh raccontatemi...

PANT. La vaga da sior conte, che el gh'ha da parlar: el ghe conterà tutto.

FLOR. Non deve egli ritornar qui?

ROS. Dà alcuni ordini, e poi ritorna subito.

FLOR. Dunque l'attenderò. Cara signora Rosaura, raccontatemi.

PANT. (Adesso son in t'un bell'intrigo). (da sé)

ROS. Mia madre non vuole che siate mio.

FLOR. E voi che dite?

ROS. Che morirò prima di non esser vostra.

FLOR. Cara Rosaura.

ROS. Adorato Florindo.

PANT. (Eh poveretto mi!) Sior marchese, no la perda tempo; avanti che vegna siora contessa, la vaga a parlar co sior conte Ottavio. (passa vicino a Florindo)

FLOR. Sì, vado...

ROS. Il signore zio ha rimediato a tutto.

FLOR. Come?

ROS. Mi condurrà dalla marchesina di lui sorella, mi terrà da essa fintanto che voi sarete mio sposo.

PANT. La risoluzion de sior conte xe bella e bona, ma se se podesse concluder sto matrimonio in casa...

ROS. Non vi è pericolo.

PANT. Se se podesse piegar siora contessa Beatrice...

ROS. Non faremo niente. Mia madre è ostinata, e se le diamo tempo, impedirà che mi possa soccorrere il signore zio; mi caccerà nel ritiro, e morirò disperata.

FLOR. No, cara, non piangete. (passa vicino a Rosaura) Darò mano anch'io a difendervi dalla madre. Sarete mia, ve lo giuro, ve lo protesto; via, idolo mio, non piangete.

PANT. (Passa vicino a Rosaura) Via, no la pianza. Tutti semo per ella.

ROS. Voi mi tormentate. (a Pantalone)

PANT. Quel che fazzo, fazzo per ben.

ROS. Il vostro bene non mi accomoda niente affatto.

PANT. No so cossa dir. (Sto sior conte no se vede a vegnir). (da sé)

FLOR. Signora Rosaura, siete voi disposta ad una onesta risoluzione?

ROS. Dispostissima.

PANT. (Oh poveretto mi!) Cossa gh'ali intenzion de far?

FLOR. Null'altro che darci la mano in presenza vostra.

PANT. In presenza mia?

ROS. Favorirete servirci di testimonio.

PANT. La me compatissa... Mi no vôi esser presente a ste cosse... Anderò via... (Ma no vôi gnanca lassarli soli). Me maraveggio de ella, sior marchese, che la voggia far sta cossa, senza el consenso de sior conte Ottavio.

FLOR. Caro signor Pantalone, fatemi un piacere.

PANT. La comandi.

FLOR. Andate a sollecitare il conte Ottavio.

PANT. La me compatissa... Oh, xe qua Brighella.

SCENA DECIMA

Brighella e detti.

PANT. Andè subito...

BRIGH. Signori, è venuda a casa la siora contessa.

ROS. Oh me infelice!

PANT. Chiamè subito sior conte. (a Brighella)

BRIGH. (Volemo sentir delle belle cosse). (da sé, parte)

ROS. Mia madre!... Oimè!...

FLOR. Ah, il conte Ottavio non viene.

ROS. Noi abbiamo perduto i più felici momenti per causa vostra, signor Pantalone.

FLOR. Sì, per causa vostra.

PANT. Mi son un omo d'onor.

FLOR. Ma saremo ancora a tempo.

ROS. Due parole si dicono presto.

FLOR. Porgetemi la mano. (passa da Rosaura)

PANT. Patroni. (entra in mezzo) Coss'è sta cossa? Coss'è sto precepizio? Per amor del cielo, no le perda el respetto al sior conte, alla so casa, al so sangue.

ROS. Ecco il signore zio.

PANT. Manco mal.

FLOR. Facciamoci animo.

SCENA UNDICESIMA

Ottavio e detti.

PANT. Ghe renunzio el posto. Servitor umilissimo.

OTT. Dove andate?

PANT. A muarme de camisa per la fadiga che ho fatto. (parte)

OTT. Io non lo capisco.

ROS. Ah, signore zio, è venuta la signora madre!

OTT. Non temete. Andiamo.

FLOR. Dove la volete condurre?

OTT. Seguitemi, marchesino.

ROS. Ci volete condurre insieme?

OTT. Seguitemi, e non pensate altro. (parte)

ROS. (Fin che sono con voi, non ho paura di niente). (piano al marchese, e partono)

SCENA DODICESIMA

Sala oscura senza lumi, con varie porte.

Brighella, poi Corallina.

BRIGH. Non ho possudo ancora sfogarme a me modo con quella desgraziada de Corallina. No gh'ho gnancora possudo parlar. Ma la troverò, ghe dirò le belle parolette turchine. Adess la sarà drio a despoiar la so padrona, da resto vorria farme sentir, e poderia darse che la vegnisse in sala, per véder se ghe fusse da tor su qualche spazzadura. Vôi provarme. Chi sa? Eh, ehm. Ehm. (si spurga)

COR. (Apre la porta di una camera)

BRIGH. I averze una porta; vôi retirarme, e osservar chi è.

COR. Parmi aver sentito Brighella. Zi, zi.

BRIGH. L'è Corallina... Ma sento zente a vegnir su dalla scala, chi diavol sarà? (si ritira)

COR. Zi, zi, Brighella. Non ci è più. Mi dispiace. Voleva sincerarlo. Ora che la padrona sta discorrendo coll'avvocato, e non sa niente ancora della figliuola, aveva comodo di parlargli e accomodarla. Se l'aggiusto con lui, l'aggiusterò anche col suo padrone. Noi, per quel che vedo, facciamo fare i padroni a nostro modo. Maledetto Arlecchino! Ha detto a Brighella che io voleva essere vendicata? Se mi capita colui fra le ugne, vuole star fresco. Sento gente. Dovrebbe esser Brighella.

SCENA TREDICESIMA

Arlecchino, Corallina e Brighella nascosto.

ARL. L'è miracol che no me romp el collo. El me padron nol vien mai. Vôi véder se trovass Corallina.

BRIGH. Questo l'è Arlecchin. El vegnirà a trovar quella desgraziada. Ma el giusterò mi. (si ritira) ARL. Mi no so dove diavol che vaga. Vardè che casa! Gnanca un lume in sala.

COR. Ehi! zi, zi.

ARL. Zi, Zi. (sempre sottovoce)

COR. Siete voi?

ARL. Son mi.

COR. Venite qui, caro, voglio sincerarvi.

BRIGH. (Maledetta!) (da sé)

ARL. Son qua.

COR. Desiderava tanto di parlarvi.

ARL. Anca mi.

COR. Io vi voglio tanto bene, e voi mi trattate così?

ARL. No ve tratto ben? La vendetta l'è fatta.

BRIGH. (Adessadesso i coppo tutti do).

COR. Perché mi volete far scacciare di questa casa?

ARL. Mi?

BRIGH. (Zitto). (si pone in maggiore attenzione)

COR. Non credeva mai che Brighella avesse questo cuore.

BRIGH. (Olà!)

ARL. Cossa t'alo fatto?

COR. Bella carità! Farmi cacciar via come una briccona! Caro il mio caro Brighella.

ARL. Caro Brighella!

BRIGH. (Ho inteso, gh'è dell'equivoco). (da sé)

COR. Sì, sei il mio caro. Ti voglio bene.

ARL. Mo se ti me vol ben, perché parlistu...

BRIGH. (Si accosta, trova Arlecchino, gli dà una spinta e lo caccia via)

COR. Che cosa è stato?

BRIGH. Gnente; un can che m'ha dà in te le gambe.

ARL. Vento cattivo. (parte, cercando la porta)

SCENA QUATTORDICESIMA

Brighella e Corallina.

BRIGH. Seguitè mo el vostro descorso.

COR. Voi dunque siete quello che ha messo male di me col padrone, per farmi scacciar di casa?

BRIGH. E vu sè quella che ha messo su Arlecchin, che el vegna a farme delle impertinenze?

COR. Vi dirò. Voglio confessarvi la verità. Io sono un poco pontigliosa. Voi mi avete strapazzata, mi avete detto delle insolenze, ed io arrabbiata mi sono sfogata con Arlecchino; non gli ho però detto che vi faccia verun insulto, ma egli, credendo di farsi merito, ha preteso forse di vendicarmi. Caro Brighella, compatitemi, sentirsi strapazzare da una persona che si ama, è un dolor troppo grande. Voi mi avete fatto piangere tre ore d'orologio, e da ieri sera in qua nella mia gola non è entrato un gocciolo di acqua.

BRIGH. Perché averè bevudo del vin.

COR. No, Brighella mio, perché dalla passione non ho potuto né mangiare, né bere.

BRIGH. Se me volessi ben, no me tratteressi cussì.

COR. E voi, se mi voleste bene, non cerchereste che fossi scacciata di questa casa.

BRIGH. Certo che quel che v'ha dito el padron, el ve l'ha dito per causa mia. Nol move una paia senza de mi.

COR. Se anch'io avessi detto alla mia padrona che non vi voglio in casa, non ci stareste. Non vi ricordate che cosa ho fatto per voi? Se non era io, povero voi! Vi avrebbero mandato al reggimento in ferri. E dite che non vi voglio bene? Povero disgraziato!

BRIGH. Basta... Vederemo... Vien zente, zitto.

COR. Stiamo fermi, già allo scuro non ci vedono.

SCENA QUINDICESIMA

Pantalone e detti.

PANT. (E pur no posso far de manco. Bisogna che vaga dalla contessa Beatrice). (s'incammina verso la porta della contessa)

COR. Alle pianelle mi pare il signor Pantalone. (a Brighella)

BRIGH. Quel vecchio sempre el zira. (a Corallina)

PANT. (Me par de sentir zente. Vôi ascoltar). (si ferma sulla porta)

COR. È andato via.

BRIGH. El sarà andà a far qualche altro manizzo.

COR. Già non farà niente.

BRIGH. Val più una delle nostre parole, che tutti i so conseggi.

COR. Noi facciamo fare i padroni a nostro modo.

BRIGH. Sti nostri padroni i fa i furbi, e i è i più gran allocchi del mondo.

COR. La mia padrona poi si lascia menare per il naso come una bambina.

PANT. (Se son a tempo, la fazzo bella). (parte per l'istessa porta)

BRIGH. Ma in sostanza, Corallina, me vulì ben?

COR. Mi fate torto a domandarmelo.

BRIGH. Per Arlecchin aveu nissuna premura?

COR. Pare a voi, che io mi volessi perdere con quello scimunito?

BRIGH. Se me podesse fidar...

COR. Vi posso dare una sicurezza.

BRIGH. Come?

COR. Col farmi vostra consorte.

BRIGH. E dopo che sarì mia consorte, chi me fa la sigurtà, che no me tornè a burlar?

COR. Se tutti dicessero così, non si farebbero matrimoni.

BRIGH. Orsù, sposemose, e andemo via de sta casa. Qua no se pol più viver. Sempre i cria, sempre in lite, no i la vol finir in ben.

COR. Io ne sono stufa, che non ne posso più. E quando la padrona saprà della figliuola, allora vuole sbuffar davvero!

SCENA SEDICESIMA

Pantalone e Beatrice sulla porta, e detti.

PANT. La staga qua, se la vol aver gusto. (piano a Beatrice)

BRIGH. Mi credo per altro, Corallina, che nu semo causa de tutti sti desordini.

COR. È vero, e per questo è meglio che ce ne andiamo.

BRIGH. Vardè! da quella nostra poca de collera de stamattina, che boccon de fogo che s'ha impizzà.

COR. Certamente: io per rabbia sono andata dalla padrona, e ho detto quello che mi è venuto alla bocca di voi e del vostro padrone.

PANT. (Fa cenno alla contessa che stia zitta; poi si cava le pianelle, e corre all'appartamento del conte Ottavio)

BRIGH. E mi ho fatto l'istesso col me padron. Ho dito roba de vu e della vostra padrona.

COR. Tanto è vero, che ella subito ha mandato suo figlio a chiedere al signor conte che vi licenziasse.

BRIGH. Tanto è vero, che el gh'ha resposto con sussiego, i se son taccadi de parole, e i s'ha quasi strapazzà.

SCENA DICIASSETTESIMA

Pantalone ed Ottavio sulla porta, e detti.

PANT. Vôi che godemo una bella scena. (piano ad Ottavio)

COR. Guardate! chi l'avesse mai detto, che per causa nostra i padroni avessero da diventar nemici?

BRIGH. Mi ho raccontà al padron quel che avì dit vu che dise de lu la padrona, e l'è andà in bestia.

COR. E sì, se vi ho da dire la verità, la padrona non ha detto tutto quello che ho detto io.

BRIGH. Gnanca el me padron nol parla mal della siora contessa. Ma quel che ho dito, l'ho dito per farve rabbia a vu, che defendevi la vostra padrona.

COR. E quando ho trovata l'invenzione dei vasi dei garofani?

BRIGH. Vardè, andarghe a dir che el padron li aveva rotti per dispetto!

COR. Io sono stata, che le ha suggerito di portare il quadro in camera.

BRIGH. E mi ho suggerì al padron de sfondarlo.

COR. Oh, questa è da ridere! Fanno tutto quello che vogliamo noi.

BRIGH. Ma no bisogna tirar avanti. Se i ne scoverze, poveretti nu!

PANT. (Senza pianelle va via per la porta di mezzo, correndo)

COR. E il matrimonio della contessina? Io l'ho fatto fare e l'ho fatto disfare.

BRIGH. E adesso mo cossa sarà?

COR. Sia quello che esser si voglia, non me ne importa.

BRIGH. Volì pur tanto ben alla vostra padrona.

COR. Oh, noi altri servitori e serve amiamo i nostri padroni per interesse.

BRIGH. E sì in sta casa gh'è poco da far ben.

COR. È vero. Tutte spilorcie.

BRIGH. Zente rabbiosa.

COR. Fastidiosissima.

SCENA DICIOTTESIMA

Pantalone e un Servo con lumi, e detti.

Ottavio e Beatrice si avanzano per sorprendere i servi; ma vedendosi fra di loro, per non aver occasione di parlare insieme, fanno de' passi indietro. Brighella e Corallina ammutiscono.

PANT. Bravi, siori, bravi! V'avè scoverto da vostra posta. I padroni ha sentìo tutto, e aspetteve la bona man.

BRIGH. Sia maledetto quando ho parlà! (parte)

OTT. Scellerato! me la pagherai.

COR. (Ecco qui; la prima volta che ho detto la verità, mi ha pregiudicato). (da sé, parte)

BEAT. Indegna! aspettami.

PANT. Furbazzi! L'ho sempre dito, che costori giera causa de tutto. Xe un pezzo che ghe fazzo la ronda. I ho chiappai da galantomo. Ma tolè: i padroni, illuminai della verità, in vece de rimproverar quei baroni, i se retira, e per pontiglio no i parla. Mo quando finirali sti maledetti pontigli?

OTT. Signor Pantalone, sono fuori di me stesso.

PANT. Anzi la doveria consolarse. L'ha sentìo in fatto quel che mi tante volte gh'ho dito. Sta zentildonna xe de bone viscere, no la xe capace de perder el respetto a nessun, e molto meno a un cugnà de sta sorte, al qual tutta la casa ghe protesta infinite obbligazion.

OTT. Sa il cielo il buon cuore che io ho per tutti. Amo questa famiglia come se fosse mia propria, e mi rincresce di non esser corrisposto.

PANT. Sentela, siora Contessa?

BEAT. Io non sono una donna irragionevole. Conosco il merito, e so esser grata. Ma se mi sento poi strapazzare...

PANT. Ala sentìo chi l'ha strapazzada? I servitori.

BEAT. Perfidi! anderanno impuniti?

OTT. No certamente. Va subito (al Servitore) dal bargello, e di' che per ordine mio si catturino Corallina e Brighella.

SERV. (Maledetti! l'ho caro. Parevano essi i padroni di questa casa). (da sé, parte)

BEAT. Sicché dunque quanto prima ci converrà andar via di questo palazzo.

OTT. Ciò non succederà, se non proseguisce la lite che mi è stata mossa.

PANT. Che lite? che andar via? Xe giustà tutto; xe fenìo tutto. Pase, pase. Sia benedetta la pase.

OTT. E il matrimonio della contessina si concluderà?

BEAT. Io non ho niente in contrario.

OTT. Quando è così, signora...

SCENA DICIANNOVESIMA

Lelio e detti.

LEL. Signora madre, dov'è Rosaura?

BEAT. Sarà nelle sue camere.

LEL. L'ho cercata per tutto; sicuramente non vi è.

BEAT. O cielo! Misera me! presto... (vuol partire)

OTT. Fermatevi, signora cognata.

BEAT. Mia figlia...

PANT. La se ferma, la troveremo.

BEAT. Come?...

LEL. Giuro al cielo! Dov'è mia sorella?

OTT. Vostra sorella è da me custodita.

LEL. Ecco l'accettazione del ritiro. Domattina anderà a rinserrarsi.

OTT. Vostra sorella è maritata.

PANT. E no la se serra più. (a Lelio)

LEL. Come! Senza di me? Giuro al cielo!

OTT. Fermatevi. Venite. Rosaura, col vostro sposo.

SCENA ULTIMA

Rosaura, Florindo e detti; poi un servitore.

LEL. Quali soverchierie sono queste?

OTT. Nelle mie camere, mi maraviglio che abbiate tanto ardire. (a Lelio)

LEL. Mi maraviglio di voi, che vi usurpiate il diritto sovra una mia sorella.

BEAT. Figlio, acchetatevi, ed ascoltatemi. Il signor conte Ottavio non è nostro nemico...

SERV. Illustrissimo.

OTT. Che cosa c'è?

SERV. Brighella e Corallina sono fuggiti di casa.

OTT. Ah, mi dispiace...

SERV. Ma il bargello da me avvisato li ha ritrovati, e son condotti in carcere.

OTT. Saranno castigati.

SERV. (Imparerò anch'io a non dir male dei padroni, a non metter male nelle famiglie). (da sé, parte)

BEAT. Ecco, figlio mio, lo scandalo di casa nostra. Quelli scellerati hanno seminate le discordie della nostra famiglia. Con queste orecchie ho sentita io stessa la verità. Io sono stata da Corallina irritata contro il conte Ottavio; egli fu da Brighella irritato contro di noi. Siamo sincerati, siamo tornati amici; non vogliate voi solo distruggere un'opera così bella, di cui il maggior merito lo ha il signor Pantalone.

PANT. Siori sì; mi ho fatto tanto per stabilir sta pase, e grazie al cielo, ghe ne son riuscìo con onor. Caro sior conte, la prego, la me fazza anca ella parer bon.

ROS. Signora madre, vi domando perdono...

BEAT. Non ne parliamo più. Son pronta a scordarmi di tutto.

FLOR. Signora, se vi contentate, le darò in vostra presenza la mano.

BEAT. Sono contentissima.

SERV. Illustrissimo, è il signor dottor Balanzoni con suo nipote.

LEL. Il dottor Balanzoni da voi? (ad Ottavio)

OTT. Sì. Quel buon uomo voleva mettersi in mezzo. Digli che se ne vada, e in casa mia non ardisca più metter il piede.

LEL. Diglielo anche da mia parte. (Servitore parte)

PANT. Bravi, i fa benissimo. In sta maniera spero che i goderà la so pase, e mi averò la consolazion d'averla promossa e stabilida. I pontigli domestici i xe i più fieri, i più crudeli che se daga a sto mondo. Per el più i nasse da cause liziere, da principi deboli, da cosse de gnente, e ordenariamente la servitù xe quella che ghe dà eccitamento. I adulatori fomenta, e i boni amici li accomoda e li destruze. Brighella e Corallina i ha promossi, el dottor Balanzoni i ha fomentai, Pantalon de' Bisognosi li ha accomodai. Scazzadi i nemici de casa, no ghe sarà più pontigli, regnerà la pase, e la so fameggia sarà benedia dal cielo e respettada dal mondo.

Fine della Commedia


[1] Rapare non è parola italiana, ma è un francesismo in Italia comunemente adottato.

[2] Evvi ancora di peggio?