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I RAPACI

Commedia in tre atti

di GUGLIELMO GIANNINI

PERSONAGGI

STANLEY BANKS

ORSINI, romanziere

JOE FRASER, piantatore di gomma

JIM FRASER, suo figlio

WONG, cameriere giapponese

STE­VEN, sergente di Polizia in­glese

GUARANDO, medico della piantagione di gomma

WARD, comandante dello yacht dì Joe Fraser

MARTINEZ, direttore della pianta­gione

KERNAN, contabile di Joe Fraser

YVONNE KER­NAN

SILVIA, moglie di Jim

EVA, sorella dì Joe

JUNGA, piantatrice malese

STE­FANIA, cameriera di Eva

L'azione si svolge nell'isola di Banca, nell'arcipelago formato dalle Indie Olandesi. Epoca presente. Fra il primo e il secondo atto trascorrono tre ore; fra il secondo ed il terzo atto otto giorni.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(Sala a terreno nel villino che Joe Fra­ser s'è fatto costrui­re in una delle sue piantagioni di gom­ma nell'isola di Ban­ca, nelle Indie Olan­desi. A sinistra, a-vanti, una finestra praticabile che dà su un terrazzo. Più in­dietro un'uscita (si­nistra) che dà nelle altre stanze del pian­terreno. Nel fondo due porte: la prima verso sinistra, la se­conda verso destra. A destra, subito do­po il fondo, un'aper­tura, larga circa me­tà della parete, la­scia vedere parte di una veranda, la cui vetrata, partendo dalla fine del fondo, ne costituisce il pro­lungamento, fino a che piega ad angolo retto dopo qualche metro, formando un vano in cui, nei giorni di bel tempo, si pranza. Dal vano si va agli appar­tamenti superiori, e si può anche uscire dalla casa. Oltre i vetri della veranda il principio della piantagione di gomma. A destra, avanti, la parete arriva fino dove co­mincia l'estremo destro del vano. Nella parete una porta (destra). Le sette del mattino d'una giornata di prima­vera).

Joe                                 - (cinquantacinque anni, forte, energico, vestito di tela chiarissima, quasi bianca, senza giacca, camicia con maniche rimboccate fino al gomito, stivaloni. Fuma un sigaro, passeggiando per la scena).

Eva                                - (quarantacinque anni, elegante abito da mattino, con qualche pretesa, seduta sul divano davanti alla fine­stra. Ha in mano una rivista di mode e gestisce senza lasciarla) Questa è una ragione di più. Bisogna deci­dersi.

Joe                                 - (tranquillo) Io ho già deciso.

Eva                                - Viviamo da vent'anni in questo luogo disgu­stoso.

Joe                                 - Ci vivo io, non equivochiamo. Cinque anni fa tu eri ancora in Bretagna.

Eva                                - Ma sette anni fa ero ancora qui... E' la quarta volta che vengo nelle Indie Olandesi.

Joe                                 - Il che prova che non puoi dimenticare questa terra benedetta!

Eva                                - Io? Io aborro quest'inferno! Te l'avrò detto mille volte.

Joe                                 - Ti sbagli, cara. Me l'hai detto almeno... (si fer­ma, comincia un calcolo mentale) Dunque sei stata qui, in due o tre volte, sedici anni, circa seimila giorni... me l'hai detto in media venti volte al giorno... venti per seimila fa...

Eva                                - (seccandosi) Ma insomma, Joe, cos'altro devo fare per convincerti che ti voglio bene?

Joe                                 - Sono convintissimo che mi vuoi bene, e te ne dò la prova ascoltandoti senza ribellarmi mai...

Eva                                - Ma facendo il tuo comodo!

Joe                                 - Se non facessi il mio comodo non guadagnerei quello che guadagno...

Eva                                - Tu non pensi ad altro!

Joe                                 - (la guarda, si ferma, pensa, poi) Senti, Eva. Per non so quante migliaia di volte ho chiuso il dibattimento a questo punto e per non risponderti me ne sono andato stringendomi nelle spalle. Ma oggi non ho voglia di an­darmene. Aggiungo che, per quanto tu non te ne accorga, perché grazie a Dio il tuo carattere t'impedisce di preoc­cuparti degli altri, oggi non sto bene.

Eva                                - (lo guarda, poi) Non si direbbe. Cos'hai?

Joe                                 - Sono stanco.

Eva                                - (incredula) Tu?

Joe                                 - E su tutte le furie.

Eva                                - (lo guarda, poi, come chi ha capito che lo si vuol prendere in giro) Andiamo, non fare lo sciocco...

Joe                                 - (senza riscaldarsi) Sono su tutte le furie, in preda ad una collera feroce. Ti ricordi, nel venticinque, quando sparai su quei due giapponesi?

Eva                                - (ha un brivido, guarda per il vano a destra, verso la piantagione).

Joe                                 - (seguendo il suo sguardo) Ah, ah... non aver paura, non si muovono, stanno troppo comodi sotto quell'albero, senza più pensieri per la testa...

Eva                                - (rabbrividendo di nuovo al ricordo) Dio, che giornata spaventosa... Eri diventato una belva...

Joe                                 - Ebbene, in confronto a come mi sento oggi, quel giorno ero un agnellino, un martire cristiano. (Fuma e un lievissimo tremito gli agita la mano).

Eva                                - (con un certo spavento) Ma... cos'è successo?

Joe                                 - Solite storie della piantagione...

Eva                                - Avrai sempre storie, se continuerai a tenere le piantagioni. Sei ricco, che bisogno hai di avvelenarti la vita...? Ci sono tanti bei posti senza piantagioni di gom­ma, senza pirati cinesi, senza quei tipacci di Singapore, di Saigon, di Kinibal...

Joe                                 - (con lievissimo malumore) Smetti di tormen­tarmi... non costringermi a dirti che mi stai seccando...

Eva                                - (scandalizzata) Joe!

Joe                                 - (c. s.) Seccando, asfissiando, rompendomi l'ani­ma in un modo terribile!

Eva                                - (alzandosi) Ma Joe! Non t'ho mai trovato così villano... Domani stesso...

Joe                                 - ... te ne partirai, lo so, col mio yacht, per la Bretagna, per scrivermi fra un anno o due che sei stanca di viver sola e che mandi di nuovo la nave a prenderti... Quattro viaggi, due d'andata, due di ritorno, a centomila franchi l'uno sono quattrocentomila franchi, circa cin­quantamila sterline... Oltre la tua pensione...

Eva                                - (rigida) Mi rinfacci anche quelle poche bri­ciole...

Joe                                 - (quasi smarrendosi) Non dire sciocchezze, Eva, non dire sciocchezze per carità! Non leggere tanto... Va a cavallo, fa un po' di sport... (guardandola) ... ne avresti anche bisogno...

Eva                                - (sussulta al colpo, poi) Grazie... Sei d'una cor­tesia da far rabbrividire...

Joe                                 - Hai bisogno di distrarti... Hai la testa piena di romanticherie... Avresti bisogno... (Pausa, cambia tono, ridiventa affettuoso) Ecco: tu dovresti riprendere marito.

Eva                                - (aspra) Credi che sia facile?

Joe                                 - (la guarda: in un attimo comprende il dramma della sorella, le si avvicina, l'abbraccia, l'accarezza).

Eva                                - (piange).

Joe                                 - (tenero) Su... su... andiamo... perdonami...

Eva                                - (piangendo) No, no... sei tu che devi perdo­narmi... Io... lo so... me n'accorgo... ti secco sempre... (c. s.) ...ti tormento... (si preme sugli occhi il fazzoletto di Joe). Ma anche tu devi capire... che stare sempre qui... in una foresta d'alberi di gomma... o a Singapore, Sai­gon, Borneo fra quelle facce antipatiche... o in Bret­agna fra quelle facce cretine... (si soffia il naso nel faz­zoletto dì Joe e glielo rimette in tasca).

Joe                                 - (affettuoso) Me ne dimentico... E' vero, sono un egoista...

Eva                                - Oh, questo no, ma...

 Joe                                - Mi son fatta un'amante a vent'anni e non ho saputo più lasciarla...

Eva                                - (sbalordita) Hai un'amante?

Joe                                 - La gomma... 'La mia amante, la mia vita... Non vedo e non capisco altro...

Eva                                - Purtroppo!

Joe                                 - Ma riparerò. Fra una quindicina di giorni tor­neremo a Singapore...

Eva                                - Se non altro si andrà al cinematografo!

Joe                                 - E cercheremo di rifarci. Daremo qualche festa...

Eva                                - Oh!...

Joe                                 - Andremo a quelle degli altri...

Eva                                - Ecco...

Joe                                 - Poi faremo circolare la voce che ti dò cinque milioni di dote...

Eva                                - (sorridendo) Oh... non prendermi in giro, ora...

Joe                                 - Parlo sul serio. Ti farò rimaritare splendida­mente.

Eva                                - Me lo comprerai, il marito?

Joe                                 - Perché no?

Eva                                - Sai pure che i mariti che si comprano valgono poco!

Joe                                 - Se farà una cattiva riuscita lo imbarcheremo, lo porteremo qui a Banca e lo sotterreremo accanto ai due giapponesi.

Eva                                - (rabbrividendo) No... non scherzare su certe cose... non posso sentirti...

Wong                            - (cameriere giapponese, fra i trenta e i quaranta anni, piccolo, robusto, parco di parole e di gesti, giacca di rigatino, aperta, pantaloni di seta, lunghi, neri, strettì al malleolo, scarpe di panno nero con suola di feltro e sottilissima sottosuola di cuoio, calze bianche. Viene dal vano a destra, si ferma).

Eva                                - (lo vede, e fa un cenno a Joe).

Joe                                 - (si volge vivamente: a Wong) Dunque?

Wong                            - E' arrivato, signor Joe.

Joe                                 - (vivamente) Fa passare, subito.

Wong                            - (esce dal vano).

Eva                                - Chi è arrivato?

Joe                                 - Il sergente Steven.

Eva                                - Quante storie per un furterello senza impor­tanza...

Joe                                 - Non tanto senza importanza...

Eva                                - Una ragazzata...

Joe                                 - (guardandola) Chi ti dice ch'è una ragazzata?

Eva                                - Ma... quello ch'è stato rubato... quattro posate... un paio di libri...

Joe                                 - ... sei piatti d'argento...

Eva                                - » Ali, senti, per quello che valevano e per quanto erano brutti, vorrei proprio conoscerlo questo ladro, per dargli una medaglia al valore!

Joe                                 - Non è l'entità del furto che mi preoccupa, ma il fatto che qualcuno abbia osato entrare nel villino, di notte!

Wong                            - (entra per la destra, e si trae da parte per la­sciar passare).

Steven                           - (sergente di polizia coloniale inglese, in ser­vizio privato nella piantagione di Banca per conto di Joe Fraser. Uniforme kaki, copricapo cinese a cono al­largalo, rivoltella alla cintola, cordiale, ameno, sorridente, ottimista, amante della buona tavola e della buona bottiglia, quarant'anni in ottima salute) Ai vostri co­mandi, illustrissimo signor Fraser, ai vostri comandi!

Joe                                 - (fa un cenno di saluto a Steven).

Steven                           - Buon giorno, signorina Eva!

Eva                                - (fredda) Signora!

Steven                           - Ah già, sbaglio sempre.» Vedendola sempre sola e mai male accompagnata... non so abituarmi all'idea che non è signorina.

Eva                                - (guarda Joe).

Joe                                 - (stara guardando Eva e subito guarda Steven) Accomodatevi, Steven... (gli offre una sedia accanto al tavolo).

Steven                           - (depone il cappello su un mobile) Grazie… in questa casa si è accolti sempre con una liberalità che consola... Peccato che i proprietari ci vengano solo pochi giorni all'anno...

Joe                                 - Ho tanti altri affari nell'arcipelago, Steven.

Steven                           - Capisco, ma è un peccato... Quest'isola è un paradiso... mensa magnifica, cantina prelibata, paga da generale... e l'aria... che aria! Io mi ci sono rifatti i polmoni... Voi dimostrate quarant'anni...

Joe                                 - Molto gentile (porge la scatola dei sigari a Steven). .sigh

Steven                           - Grazie... (comincia a pescare con cura). La signorina Eva, poi., cioè, che dico?, la signora... è per­fino ingrassata!

Eva                                - (furiosa) Grazie! (Esce dalla sinistra).

Steven                           - (alza gli occhi stupito) Che? Non vuole ingrassare?

Joe                                 - (guardandolo, calmo) Nessuna donna vuole in­grassare.

Steven                           - Ah già, è vero... (Ha scelto un sigaro e lo mette in tasca cominciando a sceglierne un secondo). Io ho dimenticato le vere donne... (prova lo scricchiolio del nuovo sigaro scelto) ». da tre anni che vivo nell'isola... di donne... Queste dei piantatori sono cose, ecco... cose... E ogni tanto, ma proprio quando non se ne può più... Voi mi capite, signor Fraser.

Joe                                 - Eh, sì, capisco.

Steven                           - Cose, cose, nient'altro. (Riprova U sigaro, ne è contento, lo mostra a Joe) Questo, se non vi di­spiace, me lo metto in tasca...

Joe                                 - Accanto a quell'altro.

Steven                           - (si tocca la tasca, poi ride) Ah, già... Che di­stratto... Dunque, signor Fraser... Sono ai vostri comandi.

Joe                                 - Mi sembra che ci stiate poco, caro signor Ste­ven.

Steven                           - (Io guarda, non capisce subito, poi crede di comprendere e ride) Poco... oh, oh... Se sto qui da tre anni, senza mai chiedere un permesso di quindici giorni per andare almeno fino a Singapore... Un uomo ancora giovine», e, non faccio per dire, aitante... avrebbe anzi bisogno...

Joe                                 - Avete le cose.

Steven                           - Già, ma sempre cose... Voi mi capite, signor Fraser.

Joe                                 - Sì, anche troppo. Ho l'impressione che perdiate troppo tempo con le cose, Steven.

Steven                           - Io?

 Joe                                - (interrompendo) Questa notte è stato commesso un furto qui.

Steven                           - (sbalordito) Un furto?

Job                                - Qualcuno s'è introdotto nel villino, ha fatto un fagotto dell'argenteria e se n'è andato tranquillo e pa­cifico!

Steven                           - Ma è enorme!

Joe                                 - Direi anch'io!

Steven                           - E chi è stato?

Joe                                 - E' quello che chiedo a voi!

Steven                           - (confuso) Cercherò... vedrò... farò subito le indagini...

Joe                                 - Non basta. Dovete scoprire il ladro e portar­melo qui!

Steven                           - Si tratta di cercare fra cinquecento pianta­tori... non è facile»,

Joe                                 - Se fosse facile non stareste qui a guadagnare quindici sterline al mese, caro signor Steven.

Steven                           - A chi può esser venuta l'idea d'un furto così idiota...

Job                                - Idiota o intelligente, è lo stesso.

Steven                           - Ah no, scusate... Un furto si commette per goderne i benefizi...

Joe                                 - (non comprendendo) Be'?

Steven                           - E come potrà goderselo, il ladro, il bene­fizio di questo furto?

Joe                                 - Vendendo gli oggetti, mi pare!

Steven                           - A chi? Come può lasciare l'isola con dell'argenteria addosso?

Joe                                 - Non è detto che debba imbarcarsi proprio al porticciuolo! Una barca da pesca, una qualsiasi giunca può sempre approdare...

Steven                           - (sicuro di se) Nessuno s'esporrebbe ad un rischio simile per un po' d'argento.»

Joe                                 - (si morde le labbra) E' strano che non vediate altro che le difficoltà.

Steven                           - Le guardo per scartarle, scusate... per re­stringere la cerchia delle indagini... Non sono un genio, e lo so… ma il poliziotto lo so fare, signor Fraser.

Joe                                 - (freddo) Voglio crederlo.

Steven                           - Vediamo, dunque... Voi avete degli in­vitati».

Joe                                 - (seccato) Non vorrete sospettare mio figlio e mia nuora, spero?

Steven                           - No, ma c'è anche altra gente... Quel signore anziano, quell'altra signorina...

Joe                                 - (esasperato) Ah, stiamo bene... Quel signore anziano è mio parente e capo contabile della mia sede di Saigon... e quell'altra signorina è sua figlia...

Steven                           - (perdendosi) Scusatemi... ma, non avendoli mai visti qui a Banca...

Joe                                 - - Perché risiedono a Saigon... e da questa pian­tagione mancano da cinque anni... Siete male informato, signor Steven, molto male!

Steven                           - (intimidito) Dovevo informarmi anche sul conto delle persone che vengono qui con voi, sul vostro yacht?...

Joe                                 - Certo! Io vi pago perché sappiate e v'infor­miate, non per mantenervi in villeggiatura qui! Ah, non sono affatto contento, affatto, affatto! Un furto viene commesso in casa mia, sotto il naso del distaccamento di polizia, e quando denunzio il furto sento elevare sospetti su mio figlio, sui miei parenti, sugli amici miei...

Steven                           - (alzandosi, con dignità) Signor Fraser, se non siete contento del capo del distaccamento di polizia, potete liberarvene liquidandolo o non liquidandolo, perché, anche nella mia miseria, non sono il tipo d'andar piantando grane...

Joe                                 - State dicendo molte parole superflue, Steven.

Steven                           - No, signor Fraser, perché servono a fissare i fatti e mettere al sicuro la mia dignità che vale quanto quella di qualsiasi altro.

Joe                                 - (ironico) Ah.

Steven                           - Ed in quanto al sospettare i vostri parenti ed i vostri amici, tengo a dirvi che, dato il furto e le circostanze in cui è avvenuto, sono soltanto loro le per­sone sospettabili. Soltanto loro possono lasciare l'isola senza essere perquisiti: mentre nessun piantatore, nem­meno il signor Martinez, potrebbe farlo. Mi dispiace, ma è così.

Joe                                 - Allora bisogna pensare che fra mio figlio, mia nuora, il mio capo contabile, sua figlia, e il signor Banks, tutta gente in ottime condizioni finanziarie, si debba cer­care l'autore di un furto di poche centinaia di franchi!

Steven                           - Possono aver voluto fare uno scherzo...

Joe                                 - Sarebbe di cattivo genere.

Steven                           - Non dico il contrario.

Joe                                 - (si muove nervoso, poi) Alle corte: io voglio sapere la verità. Cercate, frugate, indagate... A voi spetta di scoprire il ladro... o l'autore dello scherzo.

Steven                           - Mi metto immediatamente all'opera  (ma non si muove).

Joe                                 - (gli sta volgendo le spalle, e lo saluta con la mano, poi si volge non sentendolo andar via) L’occorre altro?

Steven                           - L'elenco e la descrizione di ciò ch'è stato rubato.

Joe                                 - (pensoso) Ehm... (fa squillare il campanello sul tavolo).

Wong                            - (viene dalla destra).

Joe                                 - Hai pensato a fare un elenco di ciò che manca?

Wong                            - Sì, signor Fraser.

Joe                                 - Dammelo.

Wonc                            - L'ho nella mia stanza. (Esce per la destra).

(Dall’interno a destra viene improvviso un vocio al­legro, scoppi di risa femminili. Subito dopo irrompono dal vano Jim, Silvia, Stanley, Yvonne).

Jim                                - (venticinque-ventotto anni, abito da mattina, senza cappello, due archi da lanciar frecce in mano, una specie di turcasso pieno di frecce a tracolla; entra ridendo, schermendosi da)

Silvia                             - (ventidue-venticinque anni, tenuta sportiva, an­che lei con turcasso a tracolla, ma senza arco, insegue Jim fra seccata e ridente) No, no! Non ammetto questi scherzi, io!

Jim                                - (evitandola, ridendo) Non voglio mettere in pericolo la vita di nessuno!

Yvonne                         - (venticinque anni, abito dai mattina, arco, tur­casso sulle spalle, ride osservando la scena).

Stanley                          - (trentacinque anni, bruno, abito da mattina, stivaloni, arco e turcasso in mano, guanti di pelle, siga­retta, sorridente).

Silvia                             - (cercando d'afferrare l'arco) No! Non posso subir questa prepotenza... (Vede Joe, si ferma, tace, gli fa un inchino quasi cerimonioso) Oh... scusate, babbo.

Joe                                 - (guarda Silvia, poi sorride) Ch'è successo?

Silvia                             - Jim vuole portarmi via il mio arco!

Jim                                - Per prudenza... Ieri ha rotto un vetro, e per miracolo non ha infilato un occhio di Stanley...

Silvia                             - Non è vero! Non tiro bene come Yvonne, ma so far bersaglio anch'io!

Jim                                - Ah, per questo colpisci sempre, ma non a quello che miri!

Joe                                 - (sorridendo) Ragione di più per farla eser­citare.

Stanley                          - (« Jim) Vedi?

Silvia                             - (s'impadronisce di sorpresa dell'arco) Oh!

Jim                                - Ah... (fa per riprenderle l'arco).

Silvia                             - (aggiustando rapidamente una freccia sull'arco e prendendo di mira Jim) Lasciami, se no...

Joe                                 - Eh, non scherzate così, potreste farvi male...

Jim                                - (ridendo) Oh, basta che Silvia mi prenda di mira per esser sicuro che la freccia vada a finire do­vunque meno che su me...

Yvonne                         - (sorridendo) Smettila, ora, se no ti prendo di mira io...

Stanley                          - E in questo caso sei perduto perché la si­gnorina Yvonne è infallibile!

 (Risate generali. I quattro sopraggiunti s'accorgono della presenza di Steven, e lo salutano, con un lieve cenno della testa).

Joe                                 - (un po' seccato) Ah, il sergente Steven, del Corpo di polizia inglese di Singapore...

Steven                           - (s'inchina).

Joe                                 - Mio figlio Jim che già conoscete... Mia nuora... mia nipote Yvonne Kernan... Il signor Stanley Banks-Orsini...

Steven                           - (.fissa attentamente Stanley).

Stanley, Jim, Silvia e Yvonne            - (ripetono il breve in­chino).

Joe                                 - (ai quattro) State attenti, perché il sergente ha intenzione d'ammanettare qualcuno di voi...

Silvia                             - Ob? E perché?

Jim                                - Per tentato omicidio a mezzo di freccia...

Silvia                             - (mostra la lingua a Jim).

Stanley                          - (sorridendo) Cos'è successo?

Joe                                 - (serio) Oh, sciocchezze, non vale la pena di ri­mandare il vostro tiro a segno.

Steven                           - (rea sempre fissato Stanley) Scusate... siete parente al grande scrittore Banks-Orsini?

Jim                                - (ridendo, a Stanley) Oh?

Yvonne                         - (a Stanley) E vi lagnavate, ieri sera?

Stanley                          - Ciò dimostra che nessuno è profeta in pa­tria. Dovevo venire nelle Indie Olandesi per sentirmi chiamar grande!

Steven                           - (contentissimo) Ah, siete proprio voi?

Stanley                          - (sorridendo) Sì, ma, senza falsa modestia, non avrei sognato di essere conosciuto qui!

Steven                           - Io ho letto tutti i vostri libri...

Stanley                          - Come avete saputo che sono miei? Li stampo sotto un altro nome...

Steven                           - Tutta la polizia inglese sa chi è l'autore che si firma Eugenia Barret... Permettete ad un modesto collega di congratularsi vivamente... (stringe con effu­sione la mano che Stanley gli porge).

Joe                                 - (ironico) Modesto collega? Non sapevo che anche voi scriveste romanzi polizieschi, Steven... Ora mi spiego perché avete la testa ira le nuvole...

Steven                           - (freddo) Modesto collega non come scrit­tore, signor Fraser... sarebbe troppa presunzione... Ma come compagno... il signor Banks-Orsini era nella po­lizia metropolitana, sergente come me...

Joe                                 - (vibra una rapidissima occhiata a Jim).

Jim                                - (abbassa la testa un po' confuso).

Steven                           - (continuando) ... enormemente più intelli­gente di me, senza dubbio...

Stanley                          - Non dite sciocchezze, Steven!

Steven                           - E' la verità... Come ingegno molto supe­riore a me, ma come grado (sì tocca la manica dove ha il distintivo) lo avevamo tutti e due uguale...

Yvonne                         - (a Stanley) E non ci dicevate nulla,: signor Banks?

Stanley                          - Non credevo potesse interessarvi... ho avuto anche il morbillo da bambino, e nemmeno ve ne ho detto niente...

Joe                                 - E siete sempre in servizio?

Stanley                          - Vi pare? Non avrei il tempo per scrivere un romanzo al mese'.

Joe                                 - Avete lasciato la polizia in seguito al successo letterario ?

Stanley                          - No, in seguito ad una eredità...

Wong                            - (appare sulla destra con un foglio in mano, avanza verso Joe e glielo porge).

Joe                                 - (prendendo il foglio con lieve fastidio) Sei an­dato a fare una passeggiata?

Wong                            - Ho pensato di riscrivere l'elenco per averne copia.

Joe                                 - Ah! (congeda Wong con un gesto).

Wong                            - (esce per il vano).

Joe                                 - (porgendo il foglio a Steven) Ecco.

Steven                           - (prendendolo) Grazie... E... (esita, rigira il foglio fra le mani)... sarei indiscreto, signor Banks, se vi chiedessi di consacrarmi dieci minuti?

Joe                                 - (seccato)     - Ma cosa c'entra il signor Banks...

Steven                           - Volevo solo domandargli il suo parere... Visto che è qui...

Stanley                          - (cordialmente) Volentieri... (depone l’arco e le frecce).

Joe                                 - (seccato) Ma il signor Banks è qui per diver­tirsi, non per fare il sergente di polizia...

Stanley                          - E' un divertimento anche quello... Ditemi, Steven... (A Jim) Vi raggiungerò fra poco...

Yvonne                         - (seccata) E io resto senza compagno al giuoco... Piuttosto vengo con voi, e lascio i colombi a tubare...

Joe                                 - No, Yvonne... va con Silvia a tirare, e cerca d'insegnarle a non rompere tanti vetri. L'altro colombo resta con me perché devo parlargli.

 Yvonne                        - Come vuoi, zio. (Esce con Silvia dalla si­nistra).

Silvia                             - (lancia un bacio a Joe con le dita, segue Yvon­ne portando l'arco e le frecce).

Steven                           - (a Stanley) Allora noi andremo di là (va alla destra seguito da Stanley). Questa notte, non si «a come, qualcuno s'è introdotto qui... (è uscito dalla destra parlando).

Stanley                          - (lo ha seguito).

Jim                                - (è rimasto in piedi, senza osare di guardare il padre, a capo chino, come un ragazzo che sa d'aver me­ritato dei rimproveri).

Job                                - (in preda alla sua fredda collera, senza mai per­dere l'abituale correttezza) Hai visto? (batte un leg­gero colpo sul tavolo, viene avanti nervoso).

Jim                                - (dopo una pausa, esitante) Non mi pare però che ci sia nulla di male...

Joe                                 - C'è moltissimo di male! C'è un mistero che si scopre lentamente, man mano che passano i giorni... Chi è quest'uomo? Cosa è venuto a fare qui, in casa mia, nella mia piantagione? S'annunzia come scrittore di versi, poi si sa che scrive romanzi polizieschi sotto un nome di donna, ora apprendiamo ch'era sergente di po­lizia, e chi lo sa se non lo è ancora...

Jim                                - (sempre esitante) Ma... anche se lo fosse, papà... Tu non hai nulla da nascondere...

Joe                                 - Ho da nascondere la mia piantagione... Una piantagione d'alberi di gomma è un campo di battaglia, un... (esita, poi, seccato) Ma già! Tu non capirai mai nulla di queste cose! Non sai far altro che divertirti!

Jim                                - (punto, con rispetto, ma con fermezza) Mi per­metterai di farti osservare che non è colpa mia...

Joe                                 - (muovendosi, seccato della piega che sta per pren­dere il discorso) Sì, si...

Jim                                - (c. s.)...e che non è giusto che me lo rimpro­veri, quando cento volte t'ho chiesto di farmi lavorare, di aiutarti nel limite di quella poca intelligenza che ho...

Joe                                 - (brusco) Non dire scempiaggini!

Jim                                - (addolorato) Oh, io lo so che mi giudichi un buono a nulla, e che non hai nessuna fiducia in me... Ma anche se sono un deficiente...

Joe                                 - (interrompendo, addolorato del dolore del figlio) Ma chi t'ha mai detto queste cose?

Jim                                - (c. s.) Non c'è bisogno di dirle... comprendo quale dolore sia il tuo per la certezza di non poter con­tare su di me... E' la mia sofferenza, la mia pena, tu non potrai mai immaginare quanto dolore mi costa il pen­sare che... (ha un singhiozzo).

Joe                                 - (commosso, avvicinandoglisi, toccandolo, facendo per abbracciarlo) Ma... cosa diamine dici... (Io abbrac­cia con impeto). Ma chi t'ha detto che non ho fiducia in te?

Jim                                - (commosso) Tutto, babbo... la tua premura di tenermi lontano dai tuoi affari... dai tuoi amici perfino...

Joe                                 - (si stacca dal figlio, ha un gesto d'impazienza).

Jim                                - (continuando) ... che io non conosco, come non conosco i tuoi nemici, niente di te e della tua vita... A dieci anni m'hai mandato in Inghilterra, e posso dire che il collegio d'Oxford è la mia vera casa... Non hai voluto che studiassi agrimensura, chimica... Ti sei opposto a che imparassi qualunque cosa sull'industria della gomma, si­curo che non avrei mai capito, certo della mia deficienza... E se non avessi fatto di testa mia... (s'interrompe, con un gesto nervoso).

Joe                                 - (si volge, lo fissa) Cos'hai fatto?

Jim                                - (scattando) Ho studiato lo stesso, e so tutto quanto occorre sulla gomma... Oh, finalmente l'ho detta!

Joe                                 - (quasi con ammirazione, eppure con dispetto) Tu? Tu hai fatto questo...

Jim                                - Sì, babbo.

Joe                                 - (c. s.) Contro i miei ordini?

JlM                                - Non li ho capiti... E se vuoi puoi interrogarmi su qualunque punto... Posso rispondere su tutto!

Joe                                 - (c. s.) Tu credi.

JlM                                - Ne sono certo! Gomme, lattoresine, guttaperca, resine alifatiche, glucoresine, solubili, insolubili, sottopro­dotti, trementine, colofonie... Tutto, ti dico, tutto... Non mi manca che la pratica!

Joe                                 - (dopo una pausa, c. s.). Perché hai fatto questo, Jim?

Jim                                - Per te, per darti la prova che non sono uno stupido, come hai sempre creduto.

Joe                                 - (c. s.) Non l'ho mai creduto. Ho anzi avuto sempre un gran concetto del tuo ingegno e vedo che non mi sono ingannato.

Jim                                - (sbalordito) Ma... allora... perché?...

Joe                                 - Perché t'ho voluto lontano da qui? Perché la gomma è guerra, Jim, ed io, come tutti i veri guerrieri, voglio tener lontano mio figlio dalla guerra. La gomma non è soltanto lattoresina, mirra, mastice... non è soltanto incenso, la più bella e soave delle resine, tanto bella e soave da essere ritenuta degna d'essere offerta al Cielo la gomma è anche sangue, veleno, assassinio... E' un in­ferno nel quale non t'ho voluto e non ti voglio... capisci, Jim?

Jim                                - (stupito) Ma... scusa, babbo... tu sai come ti amo... pure è necessario pensare che un giorno dovrò di­rigerla io quest'azienda...

Joe                                 - No, Jim. Affido il segreto alla tua intelligenza, avvertendoti che lasciandone trapelare solo il sospetto, po­tresti cagionare un disastro... Io venderò l'azienda in tem­po... Era un anno... fra un mese, forse.., (Jim lo fissa meravigliato). Sono cinque anni che tento di vendere.

Jim                                - Ma credevo di sapere che stavi intensificando le piantagioni...

Joe                                 - Non posso fermarmi... far supporre che sono stanco... Si tratta di interessi immensi, di isole, di Pro­vincie intere da cedere... Ed ecco perché diffido di ogni faccia nuova...

Jim                                - Ti posso garantire che Banks è assolutamente insospettabile.

Joe                                 - Come l'hai conosciuto?

Jim                                - Ha studiato anche lui a Oxford, ed eravamo amici. Poi l'ho perduto di vista per qualche anno, e lo ritrovai una sera al ricevimento dell'Associazione della Stampa...

Joe                                 - (pensoso) All'Associazione della Stampa... (Pau­sa, pensa, poi) Che pretesto t'ha dato, il tuo amico, per chiederti d'accompagnarti qui sullo yacht?

Jim                                - Te l'ho detto: vuole scrivere un romanzo che abbia per ambiente una piantagione di gomma.

Joe                                 - Poliziesco, naturalmente.

Jim                                - Ah, certo.

Joe                                 - Quindi pensa che può accadere un delitto, qui.

Jim                                - 'Ma... i delitti possono accadere dovunque...

(Dall'interno a destra s'ode improvvisamente un rumore di cristalli infranti).

Joe                                 - (si volge vivamente).

Jim                                - (sussulta).

Eva                                - (forte, dall'interno) E che cosa fate? Dove avete gli occhi?

Joe                                 - Ch'è successo? (Va alla sinistra, apre la porta).

Wong                            - (è fermo sulla soglia).

Job                                - Cosa c'è?

Wonc                            - La signorina...

Eva                                - (c.s. interrompendo) Che modo è questo? Siamo sul campo di battaglia?

Wonc                            - La signorina ha tirato una freccia contro la finestra e...

Yvonne                         - (dall'interno a sinistra, allegra) Scusa, zio, ora ti farò subito rimettere il vetro!

Jim                                - (seccato) Un'altra dì Silvia, naturalmente... Bi­sogna assolutamente impedirle di tirare d'arco.. Non ha il senso del bersaglio... (Movendosi verso la sinistra, for­te) Silvia... Silvia!

Silvia                             - (affacciandosi dalla finestra a sinistra che apre dall'esterno, allegra, beffarda) Eccomi! T'aspettavo... ed è inutile che strilli...

Jim                                - Dammi subito quell'arco!

Silvia                             - (c. s.) Nient'affatto, caro signore!

Jim                                - Dammi quell'arco ti dico! (va verso la finestra).

Silvia                             - (ridendo, gli chiude la finestra sul viso).

Jim                                - (seccato, va verso la sinistra).

Silvia                             - (irrompe con l'arco in mano, seguita da Yvonne e da Eva) Non sono stata io questa volta!

Yvonne                         - (ridendo) Già, sono stata io, l'infallibile!... (si stringe un dito della destra fra le dita della sinistra).

Eva                                - (ha l'arco e le frecce di Yvonne).

Joe                                 - (a Yvonne) Cos'hai? Ti sei fatta male?

Yvonne                         - Una scorticatura... (mostro il dito su cui appare un po' di sangue). M'è scappata la freccia... (fa per succhiare il dito).

Joe                                 - (allarmato) Ferma... Bisogna disinfettare su­bito...

Eva                                - (seccata) Meno male che ho portato la tintura di jodio...

Joe                                 - Che jodio! Alcool ci vuole... Dieci minuti col dito nell'alcool, e poi un impacco d'alcool... (A Eva) Vai, presto... (Agli altri) Andiamo, andiamo...

Yvonne                         - (ridendo) Ma, zio... Non sono ancora morta...

Joe                                 - (quasi brutalmente) Se fossi già morta non ci sarebbe bisogno d'alcool... Via, via... un'infezione si fa presto a prenderla, qui...

Yvonne                         - Vado, vado... (Andando verso il vano a destra, in fretta, allegra, gridando) Alcool! Alcool! Tutto l'alcool! L'alcool o la vita! (Esce).

Wong                            - (l'ha seguita).

Eva                                - (l'ha seguita, portando frecce e arco, alzando gli occhi al cielo).

Silvia                             - (esce per ultima, dopo aver fatto una smorfietta a Jim).

Jim                                - (dopo una pausa) Domani farò sparire archi e frecce!

Joe                                 - E farai bene. Magari si potessero far sparire tutti gli altri archi e frecce dei piantatori... Ma già... (s'interrompe, udendo bussare alla porta a destra) Avanti, chi è?

Martinez                        - (capo della piantagione, tipo serio, rude, quarant’anni, abbronzato, camicia e pantaloni kaki, sti­valoni, revolver alla cintola, appare sulla destra con un pacchetto in mano) Scusi...

Joe                                 - Che c'è, Martinez?

Martinez                        - . M'hanno detto che la signorina Yvonne s'è ferita a un dito...

Joe                                 - Be'?

Mabttnez                       - Ho pensato di farle un'iniezione... (mostra il pacchetto).

Joe                                 - (non del tutto convinto) Mah... del resto... non è mai male abbondare in precauzioni... Andate, andate pure.

Martinez                        - (movendosi verso il vano) Grazie.

Joe                                 - (o Jim) Accompagnalo.

Martinez                        - (senza voltarsi) Oh, non occorre... (Esce dal vano).

Joe                                 - (fa cenno a Jim di accompagnarlo).

Jim                                - (guarda il padre, esce dal vano).

Joe                                 - (viene avanti pensoso, con le mani in tasca: dopo una pausa torna al tavolo, prende un sigaro, lo prova all'orecchio, si accinge a tagliarne la punta).

Wong                            - (appare sulla destra).

Joe                                 - (non se ne accorge).

Wong                            - Il signor Kernan.

Joe                                 - (voltandosi vivamente) Ah? Fa passare, fa pas­sare.

Wong                            - (esce dalla destra).

Joe                                 - (lascia il sigaro, viene avanti).

Wong                            - (rientra dalla destra, si fa da parte per far pas­sare Michele Kernan).

Michele                         - (sessant’anni, tipo dì contabile invecchiato a tavolino, occhiali, baffi, abito scuro, severo. E' inquieto).

Wong                            - (esce dalla destra).

Joe                                 - (per rassicurarlo) Non è niente di grave.

Michele                         - (non comprendendo) Altro che! (Si fruga in tasca).

Joe                                 - (equivocando) Una graffiatura, nient'altro.

Michele                         - Cosa?

Joe                                 - Un graffio, e le ho fatto mettere il dito nell'alcool.

Michele                         - Ma chi?

Joe                                 - Yvonne!

Michele                         - (un po' allarmato) Yvonne... cosa è suc­cesso?

Joe                                 - S'è graffiata con la freccia mentre tirava, e al­lora...

Michele                         - (burbero) Oh... poteva fare a meno di ti­rare... Guarda qui, invece... (gli dà un radiotelegramma che si toglie dalla tasca, poi esce dal vano. Dall’interno, dopo una pausa) Dov'è Yvonne? Cosa s'è fatto?

Joe                                 - (ha aperto il radiotelegramma che ha già il listello lacerato e legge. Ha un gesto di collera, poi prende il microtelefono dall'apparecchio da campo sul tavolo) Pronto... pronto... (schiaccia il bottone nervosamente, poi suona il campanello, impaziente).

Wong                            - (appare sulla destra).

Joe                                 - La comunicazione con la nave... presto...

Wong                            - (avanza verso Joe come per spiegare qualcosa) Basta chiamare da...

Joe                                 - (nel telefono) Pronto, sì! Sono io! Cosa fate, là? Dormite? Il comandante! (A Wong) Il cavallo, su­bito!

Wong                            - (esce per la destra).

Joe                                 - (al telefono) Pronto? Siete voi, Ward? Potete farmi avere una comunicazione telefonica con Saigon, subito? Benissimo. Sarò da voi fra cinque minuti... Man­date la lancia a prendermi (Stupito) No? Credete che possa parlare di qua? Col telefono da campo? Va bene, grazie. Aspetto. (Rimette a posto il telefono).

Michele                         - (ritorna dal vano, facendo spallucce) Dunque?

Joe                                 - Come sta Yvonne?

Michele                         - (ha un gesto di fastidio) Fin troppo bene. Stia più attenta un'altra volta... (Accennando col mento il radiatele gromma aperto sul tavolo) Hai visto?

Joe                                 - (prende il radiotelegramma, lo guarda) Un aero­plano di nazionalità sconosciuta ha lungamente incro­ciato sulla piantagione... (getta con rabbia il radiotele­gramma). Sconosciuto... Posso quindi sparargli contro senza misericordia.

Michele                         - (allarmato) Ma... sei pazzo?

Joe                                 - Contro uno sconosciuto che fa la spia in casa mia, ho il diritto di prendere tutte le misure che voglio! Ho chiamato Saigon... ora sentirai.

Michele                         - (c. s.) Cosa vuoi fare?

Joe                                 - Voglio mettere un paio di cannoni antiaerei in ogni piantagione... Così appena ne avremo buttato giù qualcuno sapremo chi sono questi sconosciuti...

Michele                         - (freddo) E tutta questa roba vuoi dirla per radiotelefono?

Joe                                 - (fissandolo) Hai ragione. Andrai tu a Saigon, stasera.

Michele                         - (c. s.) Con la nave?

Joe                                 - (lo fissa; pausa) Già, non posso rimanere sei giorni qui, senza nave, isolato, senza radio... Hai ragione, sempre ragione...

Michele                         - Purtroppo. Non è consolante aver sempre ragione con te.

Joe                                 - (eludendo) Io ho la mia linea.

Michele                         - No, hai i tuoi capricci e le tue ostina­zioni. Vedrai come finirà.

Joe                                 - Finirà come al solito, che vincerò io.

Michele                         - Questa volta no.

Joe                                 - (ironico) Sei confortante.

Michele                         - Sono logico. Si può vincere contro chi è più bravo, più onesto...

Joe                                 - (seccato) Michele!

Michele                         - Non è vero, forse? Ma non si può vin­cere contro chi è più forte, inesauribilmente più forte.

Joe                                 - (ironico) Quanto ti danno per farmi paura?

Michele                         - (sdegnoso) Un altro segno della tua debolezza è nella tua mancanza di stile... Due anni fa non avresti detto una frase simile!

Joe                                 - Due anni fa non mi avresti consigliato di cedere le mie piantagioni per pochi soldi!

Michele                         - Quattro milioni di sterline non sono pochi soldi.

Joe                                 - I miei impianti valgono dieci milioni.

Michele                         - (lo guarda, si toglie gli occhiali, li pulisce accuratamente, fissa di nuovo Joe) Alle volte mi pare che dimentichi che nulla, né un soldo né un grammo di lattoresina sfugge al mio controllo.

Joe                                 - Che c'entra.... Io ho la massima fiducia in te...

Michele                         - Non prendiamoci in giro, specie in certi momenti... Sei troppo furbo per aver la massima fiducia in chicchessia...

Joe                                 - (c. s. attentissimo, pur fingendo di prendere leg­germente ciò che gli dice Michele) E tu stai diven­tando troppo brontolone, proprio come una vecchia go­vernante che non si ha il coraggio di mandare in pen­sione.

Michele                         - (guarda di nuovo stranamente Joe: nella sua voce e nel suo gesto c'è insieme avvertimento, consiglio, vaga minaccia) Io ho una grande superiorità su di te: il senso del dovere. Ho servito sempre e continuo a ser­virli anche dopo che mi hai negato la ricompensa di tutta una vita...

Joe                                 - (punto) Scusa...

Michele                         - (continuando) ... promessa, giurata...

Joe                                 - Non è colpa mia se Jim s'è sposato come un ragazzaccio, facendomi sapere la verità solo quando era troppo tardi.

Michele                         - E perché s'è sposato come un ragazzaccio? Perché tu l'hai costretto a vivere come un ragazzaccio. E intanto la mia povera Yvonne ha passato gli anni mi­gliori della sua giovinezza a rifiutar partiti... aspettando il principe azzurro.

Joe                                 - (addolorato) Tutto ciò che posso dirti è che hai ragione, come sempre... ma che non è colpa mia.

Michele :                       - Lasciamo correre. Parliamo di cose più im­portanti. Bisogna che ti decida, Joe.

Joe                                 - A che?

Michele                         - Non cadere dalle nuvole... t'ho già detto ch'è stupido prenderci in giro fra noi.

Joe                                 - Ed io t'ho detto quanto valgono i miei impianti.

Michele                         - (freddo) Valgono meno dei quattro milioni che ti offrono, Joe.

Joe                                 - (con un balzo) Tu osi...

Michele                         - Io oso, perché è venuta l'ora di osare. Gl'impianti valgono la quarta parte di quello che ti of­frono, le piantagioni la metà... e ne varranno ancora meno fra un anno se continui ad allargarle, nella vana speranza di gettar polvere negli occhi...

Joe                                 - (nervoso, quasi convulso) Non capisco come fai a supporre...

Michele                         - Lo sforzo per mantenere una cifra di pro­duzione che può essere assorbita solo da un consumo di guerra ti costa quattrocentomila sterline l'anno...

Joe                                 - (colpito) Ah? Hai fatto proprio un'inchiesta, a quanto vedo...

Michele                         - Sì, Joe, era necessario. Credevo di diventare il suocero di Jim, e ho considerato l'azienda come cosa mia.

Joe                                 - (fremendo) Non ti sei limitato a investigare l'azienda, le cui perdite riguardano me solo, nel caso, ma anche il mio bilancio privato!

Michele                         - Perché è il tuo bilancio privato che colma le perdite dell'azienda... Ed ecco perché ti dico che devi deciderti. Ti offrono quattro milioni di sterline... Ne hai tre di debito...

Joe                                 - (emozionato) Ah? Sai anche questo?

Michele                         - (calmo) Uno nell'Arcipelago, mezzo mi­lione a Londra, uno e mezzo in Giappone.

Joe                                 - (fremendo) E' fantastico, non c'è che dire!

Michele                         - Pagati i tre milioni di debito te ne resta uno, con cui si può vivere comodissimamente in qualun­que punto del mondo...

Joe                                 - ... e vegetare...

Michele                         - Meglio vegetare che continuare a perdere quattrocentomila sterline all'anno. In due anni e mezzo sfuma anche l'altro milione, Joe.

Joe                                 - (esclamando) Ma non conti... (si ferma).

Michele                         - Cosa? Un movimento di denaro come il tuo non può dipendere dal calcolo delle probabilità. E' un'industria, non un giuoco. E tu hai giuocato anche troppo.

Wonc                            - (sulla destra) Il cavallo è pronto.

Joe                                 - Non occorre più, vattene... (Wong fa per uscire). No... (Wong si ferma, Joe pensa) Non gli levare la sella.

Wong                            - i Bene, signore. (Esce dalla destra).

Joe                                 - (fissa Michele, poi prenda il radiotelegramma, lo gualcisce, lo getta con dispetto nel cestino, si muove ner­voso, poi) Vedi, se fosse presente l'amico Banks ti direbbe una frase da romanzo poliziesco... Tu ne sai troppo, mio caro amministratore!

Michele                         - So quanto basta.

Joe                                 - Sai troppo e troppo poco... Troppo di quello che si vede, e troppo poco di ciò che si può solo indo­vinare... e che sta qui... vedi     - (sì tocca la fronte con le dita della destra)... qui... e verrà fuori solo quando dovrà venir fuori, né un minuto prima ne un minuto dopo. (Va alla destra, apre, fa per uscire).

Michele                         - Te ne vai?

Joe                                 - Si... c'è il cavallo sellato e ne profitto... così ci divagheremo un po' tutti e due... Siamo tutti e due bestie da soma, ciascuno a suo modo! (Esce per la destra).

Michele                         - (si stringe nelle spalle, fa per uscire dal vano).

Martinez                        - (viene dal vano) Oh, buongiorno, signor Kernan. La signorina Yvonne...

Michele                         - (freddo) So, so, ho già visto.

Martinez                        - (stupito) Ah?

Michele                         - Sono entrato nella stanza, ma voi eravate troppo occupato a preparare l'iniezione per accorgervi di me.

Martinez                        - Vi prego di scusarmi...

Michele                         - Quante iniezioni avete fatto?

Mabtinez                       - (stupito) Ma... una...

Michele ....................... - Dal tempo che siete stato su credevo che ne aveste fatte almeno una dozzina.

Martinez                        - (imbarazzato) Dopo siamo rimasti un po' a conversare e...

Michele                         - (interrompendo) Voi non avete il tempo per conversare, signor Martinez, avete troppo da fare per sorvegliare i piantatori.

Martinez                        - (rigido) Io non sono un sorvegliante, ma il direttore della piantagione, signor Kernan...

Michele                         - Ossia un capo sorvegliante, signor Mar­tinez... un capo sorvegliante e nient'altro. Gli alberi cre­scono non perché li dirigete voi, ma perché così piace a Dio. Voi non fate altro che sorvegliare che l'umore della loro corteccia sia raccolto in recipienti puliti.

Martinez                        - (torvo) Si direbbe che vi divertiate a umiliarmi...

Michele                         - Non voglio umiliare nessuno, ma tengo a che ciascuno stia al suo posto... (fa per andare verso il vano).

Stanley                          - (entra dalla destra e chiude la porta) Oh, buongiorno, signor Kernan.

Michele                         - (ancora seccato) Buongiorno... Scusatemi, signor Banks. (Esce dal vano).

StanlEy                         - (risalendo verso Martinez) Cos'ha?

Martinez                        - (vago) Sembra di cattivo umore.

Stanley                          - (ridendo) Sembra? «E'»! Una discussione, forse ?

Martinez                        - (c. s.) Solite cose di servizio.

Stanley                          - Ho capito. (Guarda gli stivaloni di Mar­tinez, poi) Siete stato allo stagno, stamattina?

Martinez                        - (stupito) Sì...

Stanley                          - Me ne accorgo dai vostri stivali. (Martinez si guarda gli stivali). C'è una lieve traccia di quel fango rossastro che si trova solo là.

Martinez                        - (stupito, ride) E' vero... (Osserva gli sti­vali di Banks) E... mi pare che anche voi...

Stanley                          - (sedendo) Sì, vengo di là. (Prende una sigaretta). Perché vi ci siete fermato più del solito, sta­mattina?

Martinez                        - Verso le quattro m'è parso di sentire dei passi in quella direzione, e così mi sono alzato per vedere...

Stanley                          - E cosa avete visto?

Martinez                        - Ah, niente, nessuno.

Stanley                          - E voi vi alzate alle quattro solamente perché sentite camminare qualcuno?

Martinez                        - I piantatori non debbono uscire dalle baracche prima della sveglia.

Stanley                          - Perché tutto questo rigore?

Martinez                        - Una piantagione di gomma è un po' come una piazzaforte in tempo di guerra...

Stanley                          - Ah, ah... temete che rubino la gomma?

Martinez                        - Oh, questo sarebbe il meno... Temiamo che danneggino le piante... che le avvelenino... si son visti tanti casi, specialmente durante la guerra...

Stanley                          - Strano... il mio amico sergente m'ha rac­contato un sacco di storie e questa no.

Martinez                        - (sorridendo) Vi avrà certamente parlato di qualche moglie di piantatore.

Stanley                          - Già, pare che le conosca tutte.

Martinez                        - E' un bel tipo.

Stanley                          - Molto ameno. Ma, scusate, per vigilare che  nessuno esca dalle baracche durante la notte ci saranno dei sorveglianti.

Martinez                        - (un po' rigido) Sì, dei sorveglianti e le guardie del sergente Steven.

Stanley                          - Che vanno in giro, di notte.

Martinez                        - Certo.

Stanley                          - E i passi che avete udito non avrebbero potuto essere di qualche sorvegliante?

Martinez                        - Già, e difatti ho chiamato dalla finestra, ma non avendo ottenuto risposta mi son vestito e son andato a vedere.

Stanley                          - Solo?

Martinez                        - (sorride) Signor Banks... (tocca il calcio del revolver) „.. io non sono mai solo.

Stanley                          - Ah, ah... E così dunque non avete visto niente?

Martinez                        - Niente.

Stanley                          - Non un'ombra, non un'impronta?

Martinez                        - Ecco... ho creduto di vederne qualcuna, ma mi son subito accorto che sbagliavo. Anzi m'è venuto da ridere...

Stanley                          - (sorridendo) Ah?

Martinez                        - (ridendo) I piantatori sono tutti scalzi, ed io, quando ho osservato, ho visto che erano impronte di stivaloni... le mie! (Ride).

Stanley                          - (ride) Ah, ah... strano, eh? E come avete fatto, all'oscuro, a notare che c'erano delle impronte in riva allo stagno... Perché avete detto sulla riva, se non sbaglio?

Martinez                        - Sì, sulla riva... Le ho notate per abitudine, perché guardo sempre verso il piede degli alberi... dove cola la gomma... E così, movendo la lampada, m'è parso di vederne una... mi sono avvicinato e ho visto che seguivo le mie tracce.

Stanley                          - Siete sicuro di non aver camminato anche nello stagno?

Martinez                        - (stupito) Nello stagno? E perché?

Stanley                          - Perché ho visto anch'io quelle impronte e ho notato che ce n'era una anche dove arriva l'acqua... la traccia d'un tacco, nettissima... Ora, siccome lo stagno non subisce la marea, non posso pensare che l'acqua abbia avanzato verso le impronte, ma al contrario... che le impronte abbiano avanzato verso l'acqua... nell'acqua, forse, anche per vari metri, fin dove il fondo dello stagno si avvalla bruscamente.

Martinez                        - (stupito) Non so che dirvi, signor Banks... forse avrò camminato nell'acqua senza accorgermene.

Stanley                          - Può darsi. Ah, certo, può darsi. L'oscurità...

Martinez                        - Poi c'era un po' di nebbia...

Stanley                          - Ecco, giustissimo.

Yvonne                         - (viene dal vano. Ha un dito dì guanto sull'indice ferito) Oh... ancora qui, Martinez?

Silvia                             - (la segue).

Martinez                        - (si volge bruscamente) Scusatemi, signo­rina... Davo alcune informazioni al signor Banks... (Si muove verso la destra).

Stanley                          - (si è alzato).

Yvonne                         - (gentile, a Martinez) Ma non c'è bisogno di scappare...

Martinez                        - Devo andare. E' mezz'ora che son qui.

Silvia                             - (a Martinez) Dovrà portarlo per molto altro tempo il vostro apparecchio ortopedico?

Yvonne                         - (mostrando il dito) Oh, non mi dà fa­stidio... Martinez è un infermiere perfetto.

Martinez                        - Vi consiglierei di tenerlo per due o tre giorni. Una ferita anche piccolissima è sempre una fine­stra aperta a tutti i microbi... specialmente in queste parti...

Yvonne                         - A proposito di finestre... Non sentite caldo? (Apre la finestra a sinistra, ripiegandone le impannate completamente).

Martinez                        - Fra poco sentirete più caldo.

Yvonne                         - Io sono per l'aria aperta.

Stanley                          - Oh, anch'io. Anche se è più calda.

Martinez                        - Ciascuno pensa in un modo... (Inchinan­dosi) Con permesso.

Yvonne                         - Veniamo anche noi. Diamo un'occhiata ai buoni villici... (Si avvia alla destra, seguita da Silvia e da Martinez) E voi, Banks?

Stanley                          - Ho qualche appunto da prendere. Vi rag­giungerò dopo.

Yvonne                         - (esce dalla destra).

Silvia                             - (la segue).

Martinez                        - (segue, dopo un nuovo inchino a Stanley).

Stanley                          - (accende la sigaretta che ha tenuta finora in mano).

Wonc                            - (viene in silenzio dal vano, non vede Stanley, va verso il cestino, vi fruga dentro, prende il radiotele­gramma che Joe ha gualcito).

Stanley                          - (lo osserva tranquillamente).

Wonc                            - (si volge, vede Stanley, ha un gesto quasi im­percettibile dì disappunto, s'inchina, poi col cestino in mano raccoglie altre carte e giornali).

Stanley                          - (lo guarda).

Wonc                            - (finita la raccolta, esce dopo un altro inchino dalla destra).

Stanley                          - (si alza) Oh, oh... (S'affaccia alla finestra, si sporge, guarda attentamente, poi si accinge a scaval­carla).

Wonc                            - (è riapparso sulla destra col cestino vuoto in mano, si ferma) Scusate, signore...

Stanley                          - (si volge di scatto rimanendo a cavalcioni della finestra, fissa Wong).

Wonc                            - C'è il sergente Steven che vuole parlarvi.

Stanley                          - Ah? Fate entrare... (Rientra, si assesta i pantaloni).

Wonc                            - (va a rimettere a posto il cestino, torna avanti, esce dalla destra).

Stanley                          - (lo ha sorvegliato attentamente, fingendo di assestarsi i pantaloni, ed ora fissa la destra pensoso).

Wonc                            - (sulla destra, precede Steven).

Steven                           - (entra).

Wonc                            - (esce e chiude la porta).

Steven                           - (preoccupato) Niente! Ho frugato tutte le baracche...

Stanley                          - Vi avevo detto che era inutile frugarle...

Steven                           - Qualcosa bisogna farla... Il signor Fraser pretende che gli consegni il ladro entro oggi!

Stanley                          - Gli consegnerete la refurtiva.

 Steven                          - Magari! Tutto sta nel trovarla.

Stanley                          - L'ho trovata io.

Steven                           - (stupefatto) Eh?

Stanley                          - Sì, è nello stagno, appena s'avvalla il fondo.

Steven                           - Ma... dite sul serio?

Stanley                          - Sul serissimo... E' là, e nessuno può averla ancora portata via.

Steven                           - L'avete vista ?

Stanley                          - No, perché l'acqua è un po' torbida e piena di foglie... Troppe foglie. Prendete un rampino e cercatela.

Steven                           - Signor Banks... Siete certo di non ingan­narvi...

Stanley                          - Certissimo.

Steven                           - Non vorrete farmi una burla...

Stanley                          - (stupito) Ma... (gestisce come per dire: « Siete matto? »).

Steven                           - (umile) ,      - lo so d'esser poca cosa di fronte a voi, ma non vorrei... Ognuno ha la sua dignità, voi mi capite, signor Banks...

Stanley                          - Vi dico di munirvi di un paio di rampini e di frugare lo stagno in quel punto. Se non trovate niente nello stagno, troverete certamente, sulla riva, la traccia di qualcuno che ha pescato prima di voi... non più di cinque minuti fa... e in tal caso vi basterà seguire la traccia, perché il fagotto, inzuppato d'acqua e di fango, continuerà a gocciolare per un chilometro.

Steven                           - (guarda fisso Stanley, poi, decidendosi) Vado. (Esce per la destra).

Stanley                          - (si guarda intorno, poi va al cestino, lo prende, lo esamina attentamente, lo rimette a terra, torna verso la finestra, si sporge, poi) Oh... signor Fraser...

Joe                                 - (dall'interno a sinistra) Prendete il fresco?

Stanley                          - Ce ne sarebbe bisogno... (Pausa). Bravo, saltate come un ragazzino...

Joe                                 - (dall'interno) E sono un ragazzino... Di qua­rantacinque anni, ma sempre ragazzino...

Stanley                          - (s'allontana dalla finestra e, muovendosi, ne chiude le vetrate).

Joe                                 - (dopo una pausa entra dalla sinistra) Dunque?

Stanley                          - (gentilmente) Dunque?

Joe                                 - A che punto siamo con le indagini?

Stanley                          - (volubilmente) Ah, tutto a posto.

Joe                                 - (ironico) Avete arrestato il ladro?

Stanley                          - Non so ancora set lo farò arrestare.

Joe                                 - (stupito) Ah? Deciderete voi?

Stanley                          - Anche voi.

Joe                                 - (ironico) Grazie. E chi è?

Stanley                          - I sospetti gravano su tre persone.

Joe                                 - Allora è una cosa complicata.

Stanley                          - Non credo. Intanto, son certo d'aver tro­vato la refurtiva.

Joe                                 - Ah?

Stanley                          - Sì, nello stagno, dove quel burlone di ladro l'ha gettata.

Joe                                 - (ha un fremito, stringe i pugni).

Stanley                          - (che ha guardato due o tre volte di sfuggita gli stivaloni di Joe) Ho già mandato il sergente Steven a ripescarla. In quanto ai sospetti, ricadono tutti sulle tre persone che hanno attaccata alla suola degli stivaloni un po' di quel caratteristico fango rossastro delle rive dello stagno... (Joe si guarda gli stivaloni, Stanley pro­segue) Strano colore, non è vero? Dev'esserci del mine­rale di ferro verso lo stagno, no?

Joe                                 - (dominandosi, sperando di prender tempo e di sviare la conversazione dall'oggetto che lo preoccupa) No, è una vegetazione speciale di queste parti... Dà una colorazione curiosa alla... e mi sembra d'averne un po' anch'io.

Stanley                          - Appunto.

Joe                                 - (guardando gli stivali dì Stanley) Anche voi, però.

Stanley                          - Già.

Joe                                 - Io ci sono passato adesso.

Stanley                          - Ma adesso non avete potuto raccoglier fango sotto le suole. Eravate a cavallo.

Joe                                 - Già, è vero.

Stanley                          - Signor Fraser... perché avete voluto tor­mentare quel povero sergente?

Joe                                 - (fissa Stanley, poi scoppia a ridere, d'un riso un po' falso) Non avrei mai creduto che un romanziere poliziesco fosse così perspicace.

Stanley                          - (ride a fior di labbra) Povero Steven... Era disperato.

Joe                                 - E' un fannullone... Non fa che correr dietro a tutte le donne della piantagione... E allora, per svegliarlo un po'...

Stanley                          - (c. s.) Capisco... uno scherzo un po' cru­dele...

Joe                                 - ...ma sempre uno scherzo. Ed è allo stagno, ora?

Stanley                          - Già, con i suoi uomini, i rampini...

Joe                                 - Quasi quasi andrei anch'io... Che ne dite?

Stanley                          - Ah, per me...

Joe                                 - Venite anche voi?

Stanley                          - Volentieri.

Joe                                 - Così si ride un po'...

Stanley                          - Ridere non fa mai male.

Joe                                 - (ride).

Stanley                          - (ride).

Joe                                 - (si avvia alla destra, poi) Oh... avete parlato a Steven dei vostri sospetti?

Stanley                          - Ne gliene parlerò...

Joe                                 - Ecco! Perché, a dirvi la verità, mi sono subito pentito di... già, capite? (E' già alla porta a destra, l'apre, cede il passo a Stanley).

Stanley                          - Prego.

Joe                                 - (protestando) Oh... sono il padrone di casa... ladro notturno, ma sempre padrone di casa... (Ride).

Stanley                          - (lo guarda, ride, esce per la destra).

Joe                                 - (ridendo lo segue).

Michele                         - (dopo una pausa entra vivamente dal fondo, guarda sulla tavola, fruga impazientendosi, poi, ad un certo punto, si batte la mano sulla fronte ricordando, va al cestino, lo solleva, lo trova vuoto. Ha un gesto di dispetto, suona).

Wonc                            - (dopo una pausa appare sulla destra).

Michele                         - Hai vuotato tu il cestino?

Wonc                            - Sì, signore.

 Michele                        - (ha un gesto di dispetto) Non hai notato un radiotelegramma?.. Sì, scritto sui modelli di bordo?

Wonc                            - Non conosco i modelli di bordo, signore..

Michele                         - Non fare lo sciocco, i modelli di bordo del nostro yacht... Me li avrai consegnati mille volte...

Wonc                            - Ah, sì, ho capito... su carta azzurra...

Michele                         - Eh.

Wonc                            - Non mi pare che ci fosse niente, signore.

Michele                         - (spazientito) Dove hai gettato le carte?

Wonc                            - Nella cassa, in cucina.

Michele                         - Va a vedere.

Wonc                            - Sì, signore. (Esce per la destra).

Michele                         - (riprende a frugare sul tavolo. Ad un certo punto si trova verso la destra, volgendo le spalle alla finestra di sinistra. S'ode un lieve scatto, poi come uno stridio metallico e il lieve rumore di vetro che si spezza. Subito Michele ha un urlo soffocato e cade sulle ginoc­chia, poi bocconi. Qualcosa lo ha colpito alla schiena).

Eva                                - (viene dalla sinistra, tranquilla, vede Michele a terra, ha un'esclamazione) Ma... (gli corre accanto) Michele... (lo osserva, ha un urlo, arretra terrorizzata).

Jim                                - (dopo una pausa, affacciandosi alla finestra) Cosa c'è? (Salta nella stanza).

Wonc                            - (arriva di corsa dalla destra).

Eva                                - (indicando Michele) Là...

Jim                                - Cos'è stato...? (Si china sul corpo di Michele).

Wonc                            - (mostrando la freccia che Michele ha nella schiena) Una freccia!

Jim                                - (ha un grido, strappa la freccia dalla ferita) Presto... l'alcool... chiama qualcuno all'infermeria...

Wonc                            - (esce di corsa dalla destra).

Yvonne                         - (irrompe dalla sinistra).

Martinez                        - (irrompe dalla destra).

Silvia                             - (irrompe dal vano a destra).

(Vocio, confusione).

Yvonne                         - (riconoscendo il padre, con un urlo) Papà! (Gli corre accanto).

Martinez                        - S'è sentito male?

Jim                                - E' stato colpito con una freccia! (Mostra la freccia).

Silvia                             - (ha un grido, sta per svenire).

Eva, Martinez               - (la sorreggono).

Stanley                          - (è apparso dalla prima porta in fondo, se­guito da Steven. Prende la freccia dalle mani di Jim, la esamina).

Steven                           - (guardando la freccia) Ma questa è una freccia malese... (La, odora) Ed è avvelenata!

Tutti                              - (hanno un grido d'orrore).

Steven                           - (chinandosi sul corpo di Michele) E per il povero signor Kernan è finita... (Gli guarda gli occhi, gli prende un braccio che è già quasi rigido) Vedete... non c'è più nulla da fare...

Yvonne                         - (scoppia in un pianto dirotto).

Martinez e Jim              - (s'affaccendano intorno a lei).

Silvia                             - (fissa Stanley ch'è rimasto pensoso con la freccia in mano).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Tre ore dopo gli avvenimenti del primo atto, stesso ambiente).

Steven                           - (passeggia nervoso per la scena, pensando e gestendo).

Wonc                            - (dopo una pausa viene dal vano. A Steven) Il signor Banks scenderà fra cinque minuti.

Steven                           - (mugolando) Mh. (Riprende a passeggiare).

Wonc                            - (va alla destra, l'apre) Avanti.

Junca                             - (donna malese sui venticinque anni, ma ne di­mostra almeno dieci di più. Veste di cotonina scura, senza calze, sandali di paglia, ha due secchi in mano. Giunta sulla soglia sorride beata a Steven).

Steven                           - (volge altrove la testa disgustato).

Wonc                            - (osserva la scena ed ha un gesto dì fastidio).

Junca                             - (sempre sorridendo amorosamente a Steven fa per sfilare i piedi dai sandali).

Wonc                            - (precipitosamente) No, no! Non levare san­dali!

Junca                             - Si sborca bavimento con sandali!

Wonc                            - Si sborcherà di più se te li levi... Vai, che t'aspettano.

Junca                             - Vuoi un bo' di latte di gocco anche tu, signor sergente?

Steven                           - (nauseato) No!

Wonc                            - Fa presto, che il dottore t'aspetta!

Junca                             - Berchè il signor sergente non vuole più mio latte di gocco?

Wonc                            - Non ha sete.

Junca                             - Brima lui aveva sempre sete e veniva a bere sempre sempre.

Steven                           - (la guarda, sospira) Purtroppo!

Junca                             - Berchè non vuoi più, signore sergente?

Wonc                            - Non ha tempo.

Junca                             - Ma lui ha tempo di andare a bere da Simba, perché è più giovine... Ma il marito di Simba non è con­tento.

Steven                           - Te ne vai o no?

Junca                             - E mio marito è contento invece, e ieri ha bastonato me!

Wonc                            - K contento e t'ha bastonata?

Junca                             - Ha bastonata me perché lui non viene più! Quando lui veniva dava tabacco a mio marito e gli diceva vai a fumare fuori... E mio marito è contento di fumare f«ori...

Steven                           - (con le mani nei capelli, a Wong) Portala via... Portala via!

Wonc                            - (prendendo Junga per un braccio) Andiamo, su!

Junca                             - Voglio dire solo una piccola cosa a lui nel suo orecchio...

Eva                                - (dall'interno a destra) Ma viene o non viene questo latte di cocco?

Wonc                            - (trascinando Junga) Ecco, signora... subito!

 Eva                               - (apparendo sulfureo del vano) Dov'è?

Wong                            - (trascinando Junga) Eccola... è venuta adesso...

Junca                             - No, io non sono venuta adesso, ma...

Wonc                            - (trascinandola fuori per il vano) Andiamo, stupida! (Esce seguito da Junga).

Eva                                - (scrollando le spalle) Sono bestie, queste donne, bestie!

Steven                           - (convinto) Oh!

Eva                                - Credete che il latte di cocco le farà bene?

Steven                           - Senz'altro, signora... Nei paesi tropicali bi­sogna curarsi coi sistemi tropicali, e... (Bussano alla destra. Steven si vòlta).

Eva                                - Avanti.

Mabtinez                       - (appare sulla destra. E' pallido, sembra più curvo) Permesso...

Eva                                - Desiderate, signor Martinez?

Martinez                        - Son venuto a chieder notizie della signo­rina Yvonne...

Eva                                - Sta molto meglio. Le stanno facendo degli im­pacchi di latte di cocco.

Maktinez                       - Sì, lo so, l'ho fatto raccogliere io. E' l'u­nico rimedio contro le furie di sangue.

Eva                                - (seccata)     - Che furie di sangue! Non è che un'emi­crania! Quante storie!

Steven                           - Ma un'emicrania, qui, può diventare una con­gestione cerebrale...

Eva                                - (si stringe nelle spalle) Esagerazioni!

Martinez                        - (timidamente) Potrei... salire?

Eva                                - (aspra) A far che?

Martinez                        - A vedere come sta!

Eva                                - Non muore, non muore... Non abbiate paura! Un po' di miai di capo è naturale quando si vede morire il proprio padre... Io sono stata un anno malata quando è morto il mio!

Martinez                        - Allora non posso andare?

Eva                                - (spazientita) Ma sì, andate, se vi preme tanto!

Martinez                        - (s'inchina, fa un cenno di saluto a Steven, s'avvia in punta di piedi verso il vano).

Stanley                          - (viene dal vano, s'incontra con Martinez, lo fissa).

Martinez                        - (gli fa un breve inchino, esce dal vano).

Stanley                          - (risponde al saluto, viene avanti) Eccomi, caro Steven.

Steven                           - (si volge verso Stanley) Scusatemi...

Stanley                          - Prego, prego... (A Eva) Si sta riavendo. Fra poco starà benissimo.

Eva                                - Oh, sono convinta che sta già benissimo... Le sarà passata per sempre la voglia di tirare d'arco.

Steven                           - (ha un gesto di stupore).

Stanley                          - (sorridendo) Non credo che la signorina Yvonne pensi a fare dello sport.

Eva                                - (aspra) La decenza lo comanderebbe... almeno per il momento. Il povero Kernan è stato sotterrato ap­pena un'ora fa! (Esce dalla sinistra scrollando le spalle).

Stanley                          - (la guarda uscire, attento, poi, a Steven) Dunque, sentiamo. Cosa avete trovato?

Steven                           - Niente.

Stanley                          - Niente è troppo poco, Steven.

Steven                           - Non c'è niente, salvo qualche impronta con­fusa vicino a quell'albero.

Stanley                          - E una piccola macchia di sangue sul para­petto del terrazzo (indica la finestra a sinistra).

Steven                           - Ah... ah, ma quella l'ho notata anch'io... Ma non ha nessuna importanza.

Stanley                          - Credete?

Steven                           - E' la signorina Yvonne stessa che l'ha fatta, quando s'è appoggiata al parapetto con la mano ferita... Sapete, quando ha rotto il vetro con la freccia.

Stanley                          - Siete certo che il sangue è della signorina Yvonne?

Steven                           - Certissimo. Me l'hanno confermato tutti. Stanley            - Tutti chi?

Steven                           - Il servo giapponese, Martinez, la signorina Silvia, la cameriera Stefania, il signor Jim.

Stanley                          - Io posso assicurarvi che il signor Jim stava qui, parlando col padre. Come può dire che la macchia di sangue sul parapetto l'ha fatta Yvonne quando ha rotto il vetro, se mentrei si rompeva il vetro lui era qui e non là? Steven          - Questo anche è vero...

Stanley                          - (si muove per la stanza, si ferma accanto al tavolo dov'è caduto Michele) Pure non c'è dubbio. La freccia ha colpito qui... (indica il posto esatto)... e non può essere entrata che di là! (indica la finestra).

Steven                           - Non potrebb'essere stata tirata di là...? (in­dica la sinistra)... o anche di là? (indica la prima porta al fondo).

Stanley                          - No. Kernan è caduto bocconi così, in que­sto senso... (indica il senso giusto). Non ha potuto muo­versi. La freccia ha seguito questa linea retta... (indica il senso giusto). Qui, finestra, albero... Guardate... (Col­loca Steven dietro di sé, indica con la mano la linea immaginaria verso la finestra). La linea della freccia passa proprio su quel punto di parapetto dove c'è la macchiolina di sangue.

Steven                           - Ah! Se fossimo a Singapore.. O almeno a Saigon! Potrei far cantare tutti!

Stanley                          - Potete benissimo farlo anche qui!

Steven                           - (guarda Stanley, poi scuote la testa).

Stanley                          - Chi può opporsi?

Steven                           - (basso, grave) Signor Banks... Secondo la carta geografica ci troviamo su territorio olandese... In sostanza io sono un sottufficiale di polizia inglese e co­mando sei soldati di polizia, tre inglesi, uno austriaco, due portoghesi... Poi... (si ferma).

Stanley                          - Poi?

Steven                           - Poi il padrone di Banca è il signor Fraser... e col signor Fraser si discute poco, sapete... pochissimo. Le indagini non sono facili.

Stanley                          - (freddo) Non vi capisco, Steven. Un sot­tufficiale di polizia ha il dovere...

Steven                           - ...ha il dovere di ubbidire al suo superiore, e il mio superiore, qui, è il signor Fraser,

Stanley                          - M'accorgo che non è un servizio piacevole il vostro.

Steven                           - Ah no, affatto. Si accetta perché la paga è ottima, e la responsabilità relativa.

Stanley                          - Relativa?

Steven                           - Ah, certo! Io mi sono fatto annunziare al signor Fraser tre volte per chiedere ordini, e non sono stato ancora ricevuto. Ho fatto le indagini che mi avete consigliato voi, per una deferenza al collega illustre... (Stanley ha un vago gesto di protesta)... ma non per altro.

Stanley                          - Cosicché, se il signor Fraser vi ordinasse di non muovervi?

Steven                           - Mi dimetterei... Ma non è possibile che mi dica questo. Mi dirà anzi di far tutto quanto è in mio potere per scoprire chi è stato...

Stanley                          - E allora?

Steven                           - (lo fissa) Ma scusate, Banks... Non avete ancora capito che la prima persona da interrogare è pro­prio lui?

Stanley                          - (guarda attentamente Steven, pensa, poi) E voi non vi sentite d'interrogarlo?

Steven                           - Mi risponderebbe quello che vorrebbe.

Stanley                          - Troppo poco.

Steven                           - Nulla. Ecco perché ho detto se fossimo a Singapore o a Saigon...

Stanley                          - (grave) Se fossimo a Singapore o a Saigon avrei già fatto analizzare quella macchiolina di sangue da un chimico, e forse a quest'ora avrei già ammanet­tato l'arciere misterioso...

Steven                           - Disgraziatamente siamo qui.

Stanley                          - Ma, scusate, il signor Fraser non deve mai più tornare a Singapore o a Saigon? I suoi uffici sono là, mi pare!

Steven                           - E quando sarà là se la sbrigheranno i miei superiori, mi capite, Banks?

Stanley                          - Vi capisco. Voi non volete grane, come si dice fra noi.

Steven                           - Le odio le grane, io.

Stanley                          - (con brio) Ma io le adoro, invece... Le cerco! Lo interrogherò io il signor Fraser!

Steven                           - (sincero) Ed io, se potrò esservi utile, ne sarò felicissimo.

Stanley                          - i Vi prendo in parola. Rinunziate a parlare con Fraser e trovatemi quelle frecce.

Steven                           - Non esistono, Banks, non vi ostinate.

Stanley                          - V'ho pure dimostrato che c'era quella roba nello stagno...

Steven                           - E nessuno vi ha ammirato più di me! Ma questa volta vi sbagliate. Ho frugato le quattro baracche centimetro per centimetro.

Stanley                          - Vuol dire che non sono nelle baracche.

Steven                           - Ho frugato personalmente le stanze di Mar­tinez, del medico, dei sorveglianti, ho fatto frugare l'in­fermeria da due soldati e tornerò a frugarla io per es­sere più sicuro.

Stanley                          - Ciò prova soltanto che non sono nemmeno là. Ma vi garantisco che esistono altre frecce, intrise nello, stesso veleno, ed un'arma per lanciarle, un arco o un fucile ad aria compressa. Cercatele e le troverete. Nell'isola, sono.

Steven                           - Non posso frugare un'isola, Banks.

Stanley                          - Devono essere in un raggio di cinquecento metri dal posto dov'è caduta la vittima. Siccome siamo accorsi tutti qui, quello di noi che ha tirato non può aver avuto il tempo di andare a nasconderle molto lon­tano.

Steven                           - (fissa Stanley) E se, come sono matematicamente sicuro, non trovo mente in questi cinquecento me­tri di raggio?

Stanley                          - Sarò certo di due ipotesi, e mi fermerò a studiare solo quelle... La prima è che freccia e arma per lanciarle sono state portate via oltre i cinquecento metri, ed in questo caso l'arciere ha avuto un complice...

Steven                           - (attentissimo) E non può essere stato proprio questo complice, da solo, a far tutto?

Stanley                          - No, perché il delitto è opera d'un bianco. I malesi usano le frecce avvelenate solo nei romanzi, e, caso mai, le fanno con rami o pezzi di legno tagliati roz­zamente, non curati con la minuzia balistica con cui è fabbricata la freccia che ha colpito il povero Kernan! Sembra fatta al tornio! Se c'è un complice lo scopriremo: con la pazienza, il tempo, le buone maniere, ma lo sco­priremo. La seconda ipotesi che voi avete capita ma che avete paura di formulare...

Steven                           - Io?

Stanley                          - Sì, voi. La seconda ipotesi è questa: se non c'è un complice, le frecce sono state nascoste nell'unico nascondiglio possibile esistente nel raggio di cinquecento metri...

Steven                           - (s'è alzato, e continua) ...ossia qui, in casa:

Stanley                          - Perfettamente.

Steven                           - (col tono di chi sapeva da molto tempo di tro­varsi di fronte ad un ostacolo insormontabile) E chi la fruga, la casa?

Stanley                          - Portatemi la prova certa che non c'è niente qui intorno, e la frugherò io, senza riguardi! (S'odono dei passi da destra, voci bisbiglianti. Stanley fa cenno a Steven di tacere).

JlM e Guarando            - (vengono dal vano, discorrendo a bas­sa voce. Vedono Stanley e Steven e tacciono, ma non per imbarazzo).

Stanley                          - Dunque, dottore?

Guarando                      - (cinquant’anni, cordiale, rumoroso, gestico­lante, barbetta brizzolata, colorito bruno, abito coloniale adorno di catena d'oro un po' ordinario che gli esce da una tasca di petto, anelli d'oro alle dita) Niente, niente, sciocchezze... la signorina si rimetterà benissimo in un paio di giorni... (A Jim) Quello che vi raccomando... su cui insisto, tassativamente... è che la facciate alzare, al massimo fra un'ora. Non deve stare coricata... non deve avere la testa in giù... (Agli altri) Si deve muovere, deve camminare, vibrare, vivere... (abbozzando una risatina) ...eh, eh... queste sono le cose da fare nelle nostre lati­tudini.

Stanley                          - Non vorrete che si metta a ballare il fox-trot a tre ore dalla morte del padre...

Guarando                      - Eh, eh... Voi, sentimentalista come tutti quelli che si trovano qui da poco, mi troverete esage­rato!... Eh, eh... Pure vi garantisco che, se fosse conci­liabile con la civiltà e l'educazione d'una bianca, sarebbe proprio il caso di fare qualche giro di fox-trot... Eh, eh... anzi: di one step o addirittura di galop accelerato... eh, eh.

Stanley                          - Per accelerare il sangue?

Guarando                      - Naturale... eh, eh... Il selvaggio cosa fa quando muore un suo caro parente? Prende il tamburo e si mette a suonare e danzare... Usi funebri, diffusissimi anche fra i popoli a civiltà relativamente alta... eh, eh... Il siamese balla, il cinese canta e s'agita, i polinesiani e gli africani si abbandonano a danze frenetiche... eh, eh... Per facilitare la circolazione del sangue dopo l'inevita­bile congestione che porta il dolore o altra causa ester­na... eh, eh... Qui, per i bianchi, compresse di latte di cocco alle tempie... e movimento...

Stanley                          - E per gli indigeni?

Guarando                      - Oh... pedate nel sedere e acqua fresca... non occorre altro... Il latte dì cocco li fa ubriacare.

Steven                           - A proposito di latte di cocco, dottore, volevo pregarvi di darcene un po' anche a noi, al posto di guardia...

Guarando                      - Volentieri... Ve ne manderò subito un secchio.

Steven                           - Oh, andrò all'infermeria io stesso... (guarda Stanley) ...giusto devo cercare una cosa...

Guarando                      - Che cosa?

Steven                           - Sciocchezze, un po'... già... d'ovatta, di tin­tura... e così mi porterò via un po' di latte... (Si muove).

Guarando                      - Voi?

Steven                           - Me lo farò portare dall'infermiere.

Junca                             - (appare sul vano, si ferma a sorridere a Steven).

Steven                           - (si volge altrove, nauseato).

Guarando                      - Ma l'infermiere non può muoversi...

Steven                           - (seccato) Me lo porterò io...

Guarando                      - Ma non è possibile... Mi oppongo assolu­tamente... Piuttosto... (Vede Junga) Tu! Accompagna il sergente all'infermeria e portagli al corpo di guardia tutto quello che desidera!

Junca                             - (sorridendo beata) Gon biagere!

Steven                           - (disperato) Ma non occorreva...

Guarando                      - Oh... vi pare? Non ci mancherebbe altro!

Junga                             - Io moldo biagere di accombagnare lui!

Guarando                      - Vedete? Qui non si chiede che di ser­virvi... eh, eh...

Steven                           - (esce dalla destra, stizzito).

Junca                             - (lo segue allegra).

Stanley                          - (sorride).

Jim                                - (si stringe nelle spalle).

Guarando                      - Eh, eh... Il nostro sergente è un furbo di tre cotte!

Stanley                          - E voi un umorista squisito, dottore.

Guarando                      - Io? Ma io sono tutta superficie, signore, niente in profondità... Quello che ho sulla bocca ho nel cuore... Spirito, se volete, e grossolano, alle volte.» Ma umorismo... oh... (Pausa). Mah! Così il nostro povero signor Kernan se n'è andato, pace all'anima sua... Pove­retto... Non ho mai visto diventare un bianco così nero... eh, eh... e così rapidamente!

Stanley                          - Già... Sarebbe stato utile forse farne fare l'esame necroscopico...

Guarando                      - A Saigon? Ma ci sarebbero voluti almeno quattro giorni... E noi invece siamo stati obbligati a seppellirlo poco più d'un'ora dopo... Non avete visto che sfacelo?...

Stanley                          - Il veleno che agiva, eh?

Guarando                      - Naturale... veleno potente... cercherò di analizzare la freccia... L'avete voi, a proposito, m'hanno detto?

Stanley                          - Sì, ma se ci tenete ve la darò...

Guabando                     - Grazie...

Stanley                          - Un pezzetto soltanto, naturalmente...

Guarando                      - E perché? Ah, capisco, volete farla ana­lizzare in un gabinetto bene attrezzato, a Singapore o Saigon... Giustissimo... La mia analisi potrebbe essere imperfetta...

Stanley i                        - - Non dico questo...

Guarando                      - Dovete dirlo perché è la verità... Deve essere imperfetta, dato gli strumenti di cui dispongo... E poi, la mia analisi potrebbe far sparire ogni traccia del veleno...

Stanley                          - Ecco: questa è la vera ragione.

Guarando                      - Giustissima, giustissima. Allora non ve ne chiedo nemmeno un pezzetto.

Stanley                          - Quale credete sia il veleno?

Guarando                      - Curaro... Ah, curaro, senza dubbio... nella sua forma più elementare... forma gommosa direi, par­lando alla buona... freccia intrisa direttamente alla re­sina, come sgorga dalla corteccia dell'albero, all'uso malese.

Stanley                          - Ah! Dunque è un malese che deve aver tirato, allora.

Guarando                      - Senza dubbio, non si discute nemmeno.

Stanley                          - Avete molti malesi fra i piantatori?

Guarando                      - (ride) Molti? Tutti malesi, egregio si­gnore, tutti malesi! Chi volete che regista a questo clima? Eh, eh... Vedrete che, quando si troverà l'autore dello scherzo, si scoprirà che è un malese! (Pausa). Mah! Io me ne torno ai miei pelandroni...

Stanley                          - Avete molti malati?

Guarando                      - Una diecina al giorno... Siccome i primi tre giorni di malattia son pagati ugualmente, ne profit­tano per batter fiacca... eh, eh... L'uomo è lo stesso do­vunque... infingardo e scansafatiche! Eh, eh... Arrive­derci... (S'avvia alla destra).

Stanley                          - Arrivederci, dottore.

Jim                                - (fa un distratta cenno di testa al dottore).

Guarando                      - (esce dalla destra).

Stanley                          - (dopo una pausa) Be'... Andiamo. (Si alza).

Jim                                - (fissandolo) Dove?

Stanley                          - (movendosi) Nella mia stanza. Ho qualche appunto da buttar giu…. Poi….. dice d’essere un pò stanco. (soffocando uno sbadiglio) (si muove verso la sinistra)

Jim                                - (gli si para davanti) Perché mi sfuggi, Stanley?

Stanley                          - (fermandosi) Io ti sfuggo?

Jim                                - Cerco di parlarti, mi eviti; ti interrogo, mi dai risposte evasive…

Stanley                          - E’ una tua impressione.

Jim                                - Se c’è un altro ti fermi parli, discuti… fai mille domande con l’aria di conversare….

Stanley                          - Ti assicuro…..

Jim                                - (interrompendo) Hai conversato… ossia hai fatto dei veri e propri interrogatori… con tutti, meno che con mio padre e con me… mio padre non hai potuto vederlo… me non vuoi vedermi….

Stanley                          - Vedi tu sei sovraeccitato…. Nervoso…

Jim                                - Sto benissimo… per lo meno abbastanza bene da capire che non vuoi rimaner solo con me.

Stanley                          - (con lievissimo fastidio) Ma ti sbagli, caro, assolutamente... Del resto, eccomi... (siede) ...parla, inter­rogami, di' tutto quello che vuoi.

Jim                                - (lo guarda, ma Stanley fissa un punto davanti a se e non ne incontra gli occhi. Jim ha un gesto disperato).

Stanley                          - (non l'ha veduto e s'accinge ad accendere la sigaretta).

Jim                                - (con impeto) Stanley... Stanley...

Stanley                          - (si volge a guardarlo spegnendo il fiammifero con cui ha acceso).

Jim                                - (dopo una pausa) Tu non puoi abbandonarmi così...

Stanley                          - Ma io non t'abbandono... Sono il tuo amico, il tuo ospite...

Jim                                - Se potessi te ne saresti già andato...

Stanley                          - Forse sì... Ma per tornare, con degli agenti di polizia veri...

Jim                                - (spaventato) Sospetti che questi non sono dei veri agenti?

Stanley                          - Voglio dire degli agenti da cui fossi certo di farmi ubbidire...

Jim                                - (dolorosamente) Tutto mi sembra così... inau­dito... Ho il presentimento d'una sciagura immensa che deve colpirmi...

Stanley                          - Devi cercare di dominare i tuoi nervi...

Jim                                - Non sono nervi... E' qualcos'altro, una sensibi­lità acuta, dolorosa... A Oxford, quando mi sentivo così, sapevo che doveva succedermi qualcosa di spiacevole... Questa oppressione diventò tristezza profonda tre giorni prima che m'arrivasse la notizia della morte di mamma...

Stanley                          - Vedi, tu sei eccitato... Il clima...

Jim                                - (interrompendo) No, no, non è il clima... Sono io che presento...

Stanley                          - (turbato anche lui) Ma andiamo, via-questo significa dar corpo alle ombre...

Jim                                - Sì, son proprio ombre quelle che vedo... ombre minacciose che vogliono qualcosa, che la chiedono... non so a chi... a me, forse... alle persone che amo... E a questo tormento ora s'aggiunge quello di sapere che tu m'abbandoni, mi sfuggi...

Stanley                          - (cercando di calmarlo) Ma, Jim...

Jim                                - (agitato) Non voglio ascoltarti…

Stanley                          - (con violenza, scuotendolo) Adesso finiscila con questo atteggiamento di visionario, altrimenti mi costringerai a credere che non hai la testa a posto e che occorre sorvegliarti…..

Jim                                - (fissandolo) Anche me?

Stanley                          - (sbadatamente) Anche a te, si….

Jim                                - Dunque riconosci che stai sorvegliando degli altri?

Stanley                          - (evasivo) Ma cosa ti salta in mente?....

Jim                                - Tu stai sorvegliando… ti conosco troppo bene…. (scoppiando) Oh, te ne scongiuro, Stanley, tu non fai parte della polizia, non sei legato ad un giuramento, non infrangeresti nessuna legge tacendo….

Stanley                          - (decidendosi brusco) Parlami francamente Jim. Cosa sai tu?

Jim                                - (lo fissa, poi) Nulla.

 Stanley                         - (con indagine franca) Allora perché questa paura? Cosa devo tacere?

Jim                                - (subito) I tuoi sospetti, Stanley.

Stanley                          - (subito) Su chi?

Jim                                - (c. s.) Su. mio padre!

Stanley                          - (c. s.) E come sai che sospetto tuo padre?

Jim                                - (c. s.) Perché ti ho osservato!

Stanley                          - No. (Muove l'indice destro, negando anco­ra) No. Non hai osservato me. Hai osservato lui!

Jim                                - (balzando) Io?

Stanley                          - Lui. Ecco perché pensi che io lo sospetti... Perché sei tu a sospettarlo...

Jim                                - (atterrito) Stanley!

Stanley                          - ...e lo sospetti perché l'hai osservato!

Jim                                - (c. s. puntando l'indice contro Stanley) Tu...

Eva                                - (entrando in fretta dalla sinistra) Jim... Jim...

Jim                                - (sussulta, si volge).

Stanley                          - (si volge verso Eva).

Eva                                - Tuo padre sta arrivando. Ricordati quello che t'ho detto...

Jim                                - (quasi con fastidio) Ma sì, zia...

Eva                                - Ora o mai... La morte di quel disgraziato di Kernan può essere il motivo... (A Stanley) Voi non mi crederete, signor Banks, ma nello stato in cui sono farei qualunque cosa per andar via di qui... mi sentirei capace d'una follia, d'un delitto...

Jim                                - Ma, zia, come vi viene in mente di dire certe cose, proprio nei momenti meno opportuni...

Eva                                - Zitto, non discutere. Ricordati cosa m'hai pro­messo... devi attaccar subito, senza curarti di ciò che può risponderti, senza debolezze... bisogna andarcene, vendere e andarcene, respirare, vivere...

Wong                            - (apre la destra, viene avanti si fa da parte ri­spettosamente).

Job                                - (appare sulla destra. E' cupo, accigliato, lo sguardo duro, un curbasc in mano. Fissa Stanley, poi Jim,. A Wong) Fai badare ai cavalli che sono sfiniti... Venite, capitano        - (viene avanti).

Wong                            - (è uscito in fretta).

Ward                             - (capitano dello yacht, abito di tela azzurra, sti­valoni da marinaio, infangato, sudato. Venticinque-trenta-cinque anni, bel tipo, robusto, facile al sorriso. Saluta Eva, Stanley, Jim).

Joe                                 - Jim!... (fa per andare al fondo).

Yvonne                         - (viene dal vano, pallida, con una benda in­torno alla fronte, gli occhi brillanti di febbre, è come in preda a un calmo delirio) Voglio parlargli io.

Silvia e Martinez           - (la sorreggono, un po' inquieti).

Joe                                 - (aspro) Cosa c'è?

Yvonne                         - Voglio parlare col signor Banks.

Stanley                          - (stupito) Con me?

Silvia                             - (gli fa cenno di non contraddirla) Ma certo che l'ascolterete, non è vero, signor Banks? (A Yvonne) Calmati, vedi? Ha detto che ti ascolterà...

Stanley                          - (andando incontro ad Yvonne) Ma certa­mente...

Joe                                 - (aspro) Rimettetela a letto...

Martinez                        - Ma il medico...

Joe                                 - Non state a sentire quell'imbecille di medico... (Squadrando Martinez) Voi, cosa fate qui?

 Martinez                       - (confondendosi) Ero venuto per vedere... (indica Yvonne).

Joe                                 - (furioso) E' forse per questo che vi dò trecento sterline al mese, io? Il vostro dovere è di vedere come stanno gli alberi!

Martinez                        - (umiliato, lasciando Yvonne, subito sostituito da Stanley) Signor Fraser, io sono qui da pochi mi­nuti soltanto...

Joe                                 - E' tutto il giorno che state qui fra i piedi... (Mar­tinez si erge sulla persona, lo guarda torvo). Ed è inutile che tentiate di farvi più alto.» Io me ne infischio di quello che avete comandato... compagnia battaglione o reggimento... Non me lo ricordate se non volete questo sulla faccia! (leva lo scudiscio).

Jim                                - Ma papà!

Eva                                - (insieme a Jim) Joe!

Ward                             - (insieme a Jim) Signor Fraser...

Silvia                             - Babbo...

Martinez                        - (è rimasto immobile, mortalmente pallido, schiacciato dall'insulto, non dal timore).

Joe                                 - (gridando) Silenzio!

Stanley                          - (lo guarda).

Joe                                - (fissando Stanley) Sono io che comando qui! Io solo! (A Martinez) Da quanto tempo mancate dalla punta sud dell'Isola? i

Martinez                        - (rigido) Da tre giorni soltanto.

Joe                                 - Io vi manco da tre quarti d'ora soltanto! Ho fatto il giro dell'isola, col capitano Ward, per vedere con gli occhi miei e non con quelli dei poltroni che mangiano il mio pane a tradimento...

Martinez                        - (tremando) Signor Fraser...

Joe                                 - (puntandogli lo scudiscio sul volto, senza che Marti­nez si muova, interrompendo) E ho trovato cento alberi attentati...

Martinez                        - (con un urlo) No!

Joe                                 - (trasportato dalla collera) ... e veleno su cento tronchi... e ce ne sarà su mille, su diecimila forse, e voi state a prendere il fresco qui...

Martinez                        - (agitatissimo) Signor Fraser, comprendo, scuso le vostre parole...

Joe                                 - Grazie tante!

Martinez                        - (c. s.) ... ma non è possibile... Tre giorni fa non c'era nulla, nulla, vi giuro...

Joe                                 - Dite che tre giorni fa, come tre mesi fa, come tre anni fa eravate ubriaco!

Martinez                        - (disfatto) Signor Fraser...

Joe                                 - Andate a provvedere immediatamente!

Martinez                        - (esce in fretta dalla destra senza salutare né guardare nessuno).

Joe                                 - (fra i denti) Miserabile... (Guarda Stanley, poi Jim) Andiamo, Jim. (Esce in fretta dalla seconda porta in fondo).

Jim                                - (lo segue e chiude la porta).

Wari                              - (è spaventato).

Stanley                          - (è pensoso).

Silvia                             - (è atterrita).

Yvonne                         - (sembra non aver inteso nulla).

Eva                                - (è sbalordita, dopo una pausa) E'... è inaudito... Mio fratello che bestemmia, che minaccia... che insulta in quel modo un gentiluomo, un ufficiale...

Ward                             - (a Stanley) Maggiore di cavalleria nell'esercito austriaco, dicono...

Stanley                          - E si chiama Martinez?

Ward                             - Non è il suo nome... Molti che arrivano qui rovinati, perseguitati... si scelgono un nome spagnolo od olandese per vergogna... o per prudenza...

Eva                                - Ma quello che mi stupisce è mio fratello, signor Ward... Un cambiamento così radicale in poche ore... Quando nessuno, in tutto l'arcipelago, può dire d'averlo visto mai perdere la calma, o dire una parola scorretta... Doveva essere enormemente irritato per battere due dita sulla scrivania...

Silvia                             - (spaventata) A me Jim me ne aveva parlato molto differentemente...

Ward                             - Bisogna scusarlo, signora... si tratta d'interessi immensi... Il principio di sabotaggio scoperto nell'isola è molto grave... significa non poter più avere fiducia nel personale e nelle guardie...

Silvia                             - Può cambiarle...

Ward                             - E non è facile... Si tratta di cinquecento per­sone...

Stanley                          - E cinquecento persone che, a credere al signor Martinez, fino a tre giorni fa non avevano fatto nulla di male...

Yvonne                         - (come in sogno) Tre giorni fa siamo arri­vati noi..

Silvia                             - (inquieta) Ma non pensare sempre queste brutte cose, Yvonne...

Yvonne                         - (c. s.) La sventura è venuta con noi... Hanno ucciso mio padre col veleno... ora uccideranno la pianta­gione col veleno... Mio padre era l'anima, la piantagione è il corpo. Morto lui, tutto morrà.

Ward                             - (inquieto) Io proporrei di trasportarla a bordo, e là col ghiaccio...

Yvonne                         - Non voglio venire a bordo... (ss anima)... nessuno può costringermi...

Silvia                             - Ma nessuno vuol costringerti, cara...

Yvonne                         - Io sono scesa per parlare col signor Banks...

Silvia                             - E il signor Banks è qui che t'ascolta... Non è vero, signor Banks?

Stanley                          - (premuroso) Ma sì, signorina... Eccomi... Ditemi tutto quello che volete...

Yvonne                         - Voglio parlare a voi solo...

Stanley                          - Sicuro... parlerete solo con me... Ora questi signori si allontaneranno... (fa cenno agli altri di accon­tentarla)... in fondo alla stanza, e...

Yvonne                         - No, voglio che escano!

Stanley                          - Eva bene, usciranno (fa cenno agli altri di passare nel vano).

Ward, Silvia ed Eva      - (vanno nel vano, ma rimangono verso il limitare, vigilando angosciati la scena).

Yvonne                         - (c. s.) Voi avete la freccia, m'hanno detto?

Stanley                          - Sì... perché?

Yvonne                         - Dovete darmela.

Stanley                          - Ma... volevo farla analizzare...

Yvonne                         - (come chi ha qualcosa di molto meglio da pro­porre) No... non occorre... Datela a me... Io sono una tiratrice abilissima con l'arco, sapete...

Stanley                          - (fissandola, attentissimo) Ah...

Yvonne                         - Oggi ho rotto un vetro ma... (ride)... è stato un caso, stranissimo... Non so come ho inciampato, mi sono mossa... (ride). Non so. Ma che io sbagli un colpo (ridiventa truce) è impossibile... Ricordate Guglielmo Teli?

Stanley                          - (passandosi una mano sulla fronte) Sì, si­gnorina, sì...

Yvonne                         - Io ho rifatto l'esperimento... Ho segnato sa un albero l'altezza del bambino, proprio sopra la testa... poi ho disegnato un circoletto grande come una mela... e zac! ho colpito al centro! (ride). Silvia s'è provata venti volte senza riuscirvi mai e s'è seccata... (grave)... come se fosse una cosa da nulla imparare a tirar con l'arco. Mh!

Stanley                          - (asciugandosi il sudore con un fazzoletto) Ah, certo, certo... è un esercizio difficile...

Yvonne                         - Io tiro da cinque anni... Ho vinto anche un torneo a Singapore.

Stanley                          - (c. s). Brava... benissimo...

Yvonne                         - Io dunque voglio quella freccia... Appena avrete trovato l'assassino di mio padre... perché so che lo troverete, certamente... ah, ne sono sicura come son sicura d'essere qui... appena lo troverete... non direte nulla a nessuno...

Stanley                          - (c. s.) Ah?

Yvonne                         - Certo! Verrete a dirlo solo a me. Allora io e voi, zitti, zitti... senza farci vedere... prenderemo io l'arco e le frecce... e voi il vostro scudiscio... Gli darete una scudisciata e l'obbligherete a correre davanti... Noi lo inseguiremo... Io gli tirerò contro tutte le mie frecce, una per una... hanno una piccola punta d'acciaio e gli si conficcheranno nella schiena come le banderillas al toro... (eccitandosi) lui sentirà dolore e fuggirà sempre più ur­lando... e noi dietro, senza pietà, senza dargli requie, voi a frustarlo, io a tirargli frecce... e quando gli avrò tirata l'ultima delle mie, gli tirerò la sua, quella avvelenata, proprio in mezzo alla schiena, dove ha colpito lui! Solo allora cadrà e morirà, dopo aver sofferto come una belva feroce, inseguita, dilaniata, straziata... (ha le mani tese e le mostra, fremente, con le dita fatte adunche nello sforzo dell'evocazione, tremanti di odio)... così!

Stanley                          - (turbato) Va bene, signorina... appena avrò trovato l'assassino vi darò la freccia...

Yvonne                         - E perché non subito?

Stanley                          - Potreste pungervi... siete così nervosa...

Yvonne                         - Starò attenta...

Stanley                          - Ma se vi pungete per disgrazia?... Capite: non potreste più mettere in atto la vostra idea... inse­guirlo... colpirlo... capite?

Yvonne                         - Già... Ma voi mi promettete, è vero? Sulla vostra parola d'onore?

Stanley                          - Sulla mia parola d'onore (fa cenno agli al­tri di avvicinarsi, e quelli eseguono). Ma ora, signorina, dovete promettermi voi di andare a riposarvi....

Yvonne                         - Sul letto no! No!

Stanley                          - No, sulla poltrona... ma nella vostra stan­za, cercando di star calma... di rimettervi...

Yvonne                         - (si alza) Sono calmissima...

Silvia, Eva e Ward        - (si sono avvicinati).

Stanley ---------------- - Lo vedo... ma vi vorrei ancora più calma... Riposatevi, ora... V'ho dato la mia parola e dovete cre­dermi... (l'affida a Eva e Silvia).

Yvonne                         - Vi credo, vi credo... (esce dal vano, sorretta da Eva e Silvia, continuando a parlare) Vedrete... vedrete che cosa sapremo fare il signor Banks ed io... (è uscita seguita dalle due donne).

Ward                             - (scuote la testa) Povera ragazza...

Stanley                          - Credete che...? (gli fa cenno: a Rimarrà col cervello sottosopra? »).

Ward                             - No, è una febbre tropicale che dura qualche giorno, ma fa soffrire assai... che inferno deve avere nel cervello, povera ragazza... non pensa che ad inseguire, dilaniare, uccidere... Pensare ch'è una creatura così dolce...

Stanley                          - La conoscete da molto tempo?

Ward                             - Cinque anni... sì, circa cinque. Quello che v'ha detto sulla sua abilità nel tirar d'arco è vero... E' real­mente straordinaria.

Stanley                          - (lo guarda).

Ward                             - (guarda Stanley).

Stanley                          - (dopo la pausa) L'ho vista all'opera.

Ward                             - (rispondendo ad un suo pensiero, esitando) Certo... è... è un mistero... angoscioso...

Stanley                          - (sospirando) Ah, sì.

Joe                                 - (apre la seconda porta in fondo, entra a passo ra­pido. Sembra più calmo).

Jim                                - (lo segue. Appare un po' più abbattuto).

Stanley                          - (si volge al rumore).

Ward                             - (si alza).

Joe                                 - Allora si parte stasera, Ward. Preparate tutto.

Ward                             - Sì, signor Fraser.

Joe                                 - E' inutile che mandiate a prender i bagagli. Penserò io a farli trasportare a bordo.

Ward                             - Bene, signor Fraser.

Joe                                 - Vi terrete pronto a salpare appena arriveremo al porticciuolo.

Ward                             - Sì, signor Fraser. Nient'altro?

Joe                                 - No, grazie.

Ward                             - (saluta e fa per uscire per la destra).

Joe                                 - Ah... (Ward si ferma). Non staccate la comuni­cazione telefonica col villino se non sarò arrivato.

Ward                             - Di solito...

Ioe                                 - (interrompendo, secco) Di solito la staccate quando partiamo di qua... invece voglio che rimanga finché non arriverò io alla nave.

Ward                             - Bene, signor Fraser.

Joe                                 - Arriverà forse un radiotelegramma da Singapo­re.,, o da Borneo. Se arriva me lo comunicherete per te­lefono senza perder tempo.

Ward                             - Sì, signor Fraser. Altro?

Joe                                 - No, grazie.

Ward                             - (saluta ed esce per la destra).

Joe                                 - (fissando Stanley) Mi scuserete se dispongo di voi e vi faccio viaggiare a mio capriccio. Le circostanze lo esigono.

Stanley                          - (fissandolo) Capisco.

Joe                                 - (a Jim) Tu fai preparare il bagaglio e spediscilo subito.

Jim                                - (umile) Sì, babbo. (Si muove).

Joe                                 - (aspro) E ricordati di quello che t'ho detto...

Jim............................... - (c. s.) Non dubitare...

Joe                                 - (c. s.) Di « tutto » quello che t'ho detto.

Jim                                - (c. s.) Si, babbo. (Esce dal vano).

Joe                                 - (fissa Stanley) Scusatemi... (fa per andare alla seconda porta al fondo).

Stanley                          - Avrei qualcosa da dirvi, signor Fraser.

Joe                                 - (sì ferma con la mano sul pomo della porta) Dite.

Stanley                          - Se vi pregassi di lasciarmi nell'isola?

Joe                                 - (subito) Rifiuterei.

Stanley                          - Allora è deciso che si parte senz'altro sta­sera.

Joe                                 - Prima del tramonto se è possibile. Aspetto una comunicazione da Singapore o da Borneo. Credo m'ab­biate sentito dirlo al capitano Ward.

Stanley                          - Sì, vi ho sentito.

Joe                                 - Vedete, allora.

Stanley                          - Ma non vi ho creduto.

Joe                                 - (guarda Stanley, chiude la porta in fondo, viene avanti. Stupito, ma non offeso) Signor Banks?

Stanley                          - Non occorre esser delle cime per sapere che un radiotelegramma può arrivarvi qui nello stesso modo che in navigazione.

Joe                                 - Difatti... è vero, non ci avevo pensato.

Stanley                          - Allora perché non partiamo subito?

Joe                                 - (calmo) Perché c'è una ragione per cui è neces­sario rimanere ancora qui.

Stanley                          - Qual è questa ragione?

Joe                                 - (calmo) Non voglio dirvela.

Stanley                          - Ve la dirò io. Volete distruggere le prove dell'assassinio di Kernan.

Joe                                 - (calmo) No. Le ho già distrutte.

Stanley                          - (guarda fisso Joe, pausa, poi) Allora la mia situazione diventa terribile, signor Fraser...

Joe                                 - (siede a cavalcioni di una sedia, tranquillo, quasi sorridente) Siete di prima forza, signor... Banks... una intelligenza veramente aitìmirevole...

Stanley                          - (c. s.) E sarebbe peccato distruggerla.

Joe                                 - (c. s.) Cosa temete?

Stanley                          - (c. s.) Di non saper nuotare abbastanza a lungo... Cadendo dallo yacht questa notte non raggiun­gerei mai più la terra.

Joe                                 - Banks vi chiamate, è vero? Banks-Orsini?

Stanley                          - Sì Stanley Banks-Orsini, nato a Londra nel milleottocentottantasette, scrittore di qualche fama. M» non capisco perché vi preoccupiate del mio epitaffio... Non si può scriverlo sulle onde.

Joe                                 - Perché anche Orsini?

Stanley                          - La mia famiglia è oriunda italiana.

Joe                                 - Guarda, guarda... ecco perché siete bruno.

Stanley                          - Mia madre era molto bruna.

Joe                                 - E' molto che è morta?

Stanley                          - Circa dieci anni.

Joe                                 - Peccato. Siete ammogliato?

Stanley                          - No.

Joe                                 - Peccato.

Stanley                          - Due volte peccato... Vorreste far piangere non solo una madre, ma anche una vedova?

Joe                                 - Ho detto peccato perché, se aveste avuto una famiglia in Inghilterra, non vi sarebbe venuta l'idea di lasciarla, per venire nelle Indie Olandesi.

Stanley                          - Oh... vi ho imparato delle cose interessanti. E' un arcipelago istruttivo. (Si batte sulle tasche, poi) Permettete che prenda uno dei vostri sigari, signor Fraser? (stende la mano).

Joe                                 - (calmo) No, non v'avvicinate al tavolo.

Stanley                          - (sorpreso) Perché?

Joe                                 - (calmo) Odio i corpo a corpo.

Stanley                          - (ha un fremito) Signor Fraser... Io sono un buon giocatore... non al tavolo verde, ma nella vita... do­vete esservene accorto...

Joe                                 - (calmo) E' perciò che vi ammiro.

Stanley                          - (è un po' sconcertato) Sto pensando che: ci sarebbe un modo per non bagnarmi nell'Oceano Indiano... Rimanere qui insieme a voi, a tener compagnia al signor Kernan.

Joe                                 - La vostra rivoltella è scarica, signor Banks.

Stanley                          - (porta vivamente la mano alla tasca di dietro dei pantaloni).

Joe                                 - Oh! Verificate pure.

Stanley                          - (cava la rivoltella, l'osserva; è scarica. La getta sul tavolo, scoppia in una risata amara) Giuocato... giuocato come un ragazzo... Ah, questa non me la per­donerò mai!

Joe                                 - Non dovete vergognacene tanto. Siete stato giuocato da Joe Fraser, il più gran giuocatore dell'arci­pelago... Non è un onore da poco!

Stanley                          - Ah, signor Fraser, per favore, non parliamo d'onore, ve ne prego. Io lo concepisco in un altro modo.

Joe                                 - (alzandosi, ferito) Descrivendo assassini nei vo­stri romanzi, forse?

Stanley                          - Ma non commettendone...

Joe                                 - Or ora ne avreste commesso uno se aveste avuta la rivoltella carica!

Stanley                          - L'avrei commesso per difendere la mia vita... legittima difesa, non assassinio!

Joe                                 - Anch'io agisco per legittima difesa quando man­do qualcuno a riposare sotto i miei alberi per impedirgli di farmi del male...

Stanley                          - Non credo che Kernan volesse farvi del male.

Joe                                 - Non l'ho ucciso io, Kernan.

Stanley                          - (fissa Joe, stupito) Ah?

Joe                                 - Voi potete averlo ucciso...

Stanley                          - (sbalordito) Io?

Joe                                 - Martinez può averlo ucciso... mio figlio... mia sorella forse... il giapponese Wong... ma non io. Qualcuno di voi ha tirato una freccia, qualcuno di voi è venuto a dire ai complici che sono nell'isola, confusi fra i cin­quecento piantatori, ch'era venuta l'ora di segare le cor­tecce degli alberi alla base, d'avvelenare i tronchi... di agire, insomma, secondo il piano prestabilito da un ac­corto e diligente stato maggiore.

Stanley                          - (si porta le mani alle tempie, le stringe, pensa intensamente).

Joe                                 - Capite, signor Banks-Orsini? Le uniche persone insospettabili siamo io e il capitano Ward... Il capitano Ward che era a bordo, ed io, che non solo sono il dan­neggiato, ma avrei dovuto... (S'interrompe). Ma questo non interessa.

Stanley                          - (fremendo) Voi... Si... sì... è vero... Ora capisco, ora vedo tutto, chiaro, lampante... Voi dovevate essere colpito, non Kernan... C'è stato un errore di persona...

Joe                                 - (con feroce ironia) Mi pare che indovinate] troppo facilmente, signor Banks!

Stanley                          - (c. s.) No, non indovino... capisco, collego,ricordo, deduco... Voi siete minacciato da un pericolo e lo sapete... ma non sapete quale...

Joe                                 - (calmo) Oh... so che è il pericolo d'essere assassinato...

Stanley                          - (c. s.) Sì, ma non dove, non come, non quando, non ha chi... (Pausa, pensa, poi) La prova è che! lasciate Singapore col pretesto di offrire una crociera a Jim che non ne aveva nessun bisogno, visto che siamo arrivati dall'Inghilterra proprio con lo stesso yacht... Non portate che due sole persone di servizio, il giapponese Wong, e la cameriera di vostra sorella, di cui credete di potervi fidare... Andate a Saigon, ma dopo due giorni ci fate riprendere il mare... evidentemente la minaccia vi ha seguito anche là... Andiamo a Borneo, e dopo un giorno ripartiamo diretti alle Filippine... Ma nella notte il timo­niere dà un giro di ruota e navighiamo nella direzione opposta, per cui, tre giorni fa arriviamo e sbarchiamo a Banca, la vostra piantagione più giovane... E' un'isola, non ci siete che voi e le vostre persone care, non ci dev'esser pericolo... Invece il pericolo c'è... Voi lo sentite, ma non riuscite ancora a precisarlo... Questa notte vi viene improvvisamente il pensiero che il pericolo possa essere rappresentato da un povero scrittore che è venuto qui soltanto per raccogliere idee per un romanzo ambientato in una piantagione di gomma... Allora vi alzate, scendete qui, mettete alla rinfusa quattro posate e mezza dozzina di piatti d'argento in un tappeto, v'aggiungete qualche altra cianfrusaglia ed organizzate un furto che v'affrettate a denunziare al vostro capoposto rimproverandolo per la sua trascurataggine che ha potuto cagionarlo... (si ferma, guarda Joe).

Joe                                 - (ha ascoltato, impassibile) Bravo. Continuate.

Stanley                          - (come chi vuol convincere un ostinato, e al­linea disperatamente argomenti) Sto dandovi la prova che non sono io il pericolo, perché non so, non indo­vino, come credete o temete, ma deduco, ragiono... Col­lego gli anelli della catena uno per uno, davanti ai vostri occhi...

Joe                                 - Meglio per voi, se è così. Continuate.

Stanley                          - (lo guarda, poi) Questo furterello volgare farà spargere la voce che qualcuno ruba. La sorveglianza sarà intensificata, e la notte seguente, nell'oscurità, scam­biato erroneamente per il ladro, il povero scrittore riceve una palla nella testa... E' l'unico modo per levarselo dai piedi, visto ch'è una persona un po' conosciuta ed è meglio non farlo scomparire come uno qualunque senza spiegazioni... Accertata la disgrazia, si telegraferanno le dovute scuse alla famiglia e all'editore, gli si faranno dei commossi funerali e forse un piccolo monumento funebre... Non è così?

Joe                                 - Ben dedotto.

Stanley                          - Siete convinto adesso che io non vi minaccio... che non sono un pericolo, ma posso essere forse un aiuto prezioso per voi?

Joe                                 - (dopo una pausa) Sono una persona intelligente, Banks... ma non mi convinco tanto presto.

Stanley                          - (preoccupato, quasi sconcertato) Signor Fraser... v'ho detto tutto quello che so e che posso. Non mi resta da offrirvi che la mia parola d'onore.

Joe                                 - Non posso accettarla, Banks. Al di là d'una certa cifra d'affari la parola d'onore è un mito... e i miei affari sono molto al di là di quella cifra.

Stanley                          - (con un fremito) Allora è la fine... e tutta la mia difesa è stata inutile.

Joe                                 - (quasi con simpatia) No. La verità la sto cer­cando. Se prima di partire l'avrò trovata potrete imbar­carvi senza paura, perché avrò la prova certa che quella maledetta spia non siete voi.

Stanley                          - E se non scoprirete niente?

Joe                                 - (c. s.) Vi lascerò nell'isola, Banks. Tanto qui potrò sempre ritrovarvi.

Stanley                          - (respirando) Grazie, signor Fraser.

Joe                                 - Andatevene ora. Ho molte cose da fare. (Apre la seconda porta al fondo).

Stanley                          - Un'ultima parola, signor Fraser... Non mi permettereste di dare una sola occhiata a quella stanza?

Joe                                 - Abbiamo già discorso troppo. Basta, ora... (fa per muoversi).

Stefania                         - (cameriera di Eva, venticinque-trentacinque anni, civettuola, tipo un po' equivoco, appare sulla si­nistra, si ferma interdetta) Oh... scusi...

Joe                                 - (rude) Che volete?

Stefania                         - La signora Eva mi manda a chiedere no­tizie della signorina Yvonne...

Joe                                 - Andate, allora.

Stefania                         - (attraversa la scena, esce dal vano a destra).

Joe                                 - (a Stanley) Addio, Banks.

Stanley                          - Arrivederci, signor Fraser. (Esce per il vano a destra).

Joe                                 - (lo guarda uscire, poi esce dalla seconda al fondo e chiude la porta),

Eva                                - (dopo una pausa viene dalla sinistra, guarda in­torno, va alla seconda porta al fondo, fa per aprire. La porta resiste, ed Eva si sforza a premere sulla maniglia).

Joe                                 - (dall'interno, allarmato) Chi è?

Eva                                - Sono io, Joe.

Joe                                 - (c. s.) Cosa vuoi?

Eva                                - Aprimi.

Joe                                 - (c. s.) Non posso.

Eva                                - Perché?

Joe                                 - (c. s.) Ho da fare.

Eva                                - Ma io voglie parlarti.

Joe                                 - (appare sulla soglia, seccato) Dimmi.

Eva                                - Ma... non è una cosa che posso dirti così, in piedi, in un minuto.

Joe                                 - Allora parleremo dopo. Non ho tempo adesso (fa per uscire).

Eva                                - E quando?

Joe                                 - Stasera, a bordo.

Eva                                - (felice) A bordo?

Joe                                 - Eh.

 Eva                               - (c. s.) Ma allora partiamo?

Joe                                 - Sì, che partiamo! Non te l'ha detto, Jim?

Eva                                - Ma... non l'ho veduto...

Joe                                 - (ha un gesto di collera, chiude, va verso il vano gridando) Jim!

Stefania                         - (accorrendo dal vano, a Eva) Signora, si­gnora... si parte stasera... me l'hanno detto adesso...

Joe                                 - (aspro) Chi ve l'ha detto?

Stefania                         - La signora Silvia...

Joe                                 - Non il signor Jim?

Stefania                         - Il signor Jim non l'ho visto... Sono en­trata solo' dalla signorina Yvonne...

Eva                                - Bene, bene, l'importante è che si parte... (A Joe) Era solo questo che volevo dirti, e, grazie al Cielo» questa volta sono stata esaudita prima di pregare... (si muove verso la sinistra; a Stefania ch'è rimasta a guar­dare imbambolata Joe) Andiamo, andiamo, c'è un mente di bagagli da fare... (si ferma). Stefania?

Stefania                         - (riscuotendosi) Eh? Oh... comandi, si­gnora.

Eva                                - Cosa stai a fare là, come un'allocca?

Stefania                         - Ah, vengo, Signora, eccomi... (segue Eva).

Eva                                - (esce dalla sinistra).

Stefania                         - (la segue).

Joe                                 - (ha un nuovo gesto furioso, e richiama) Jim!

Silvia                             - (entra in fretta dal vano) Volete Jim, babbo?

Joe                                 - (meno rude) Son cinque minuti che lo chiamo.

Silvia                             - (intimidita) Non deve aver sentito. E' sul letto, e credo che non si senta bene.

Joe                                 - (c. s.) Cos'ha?

Silvia                             - (c. s.) M'ha detto ch'è molto stanco.

Joe                                 - (pensa, poi, come chi si convince che non c'è nulla da fare) Mh.

Silvia                             - (c. s. dopo una pausa) Volete che lo chiami?

Joe                                 - (senza guardarla) Sì.

Silvia                             - (fa per uscire).

Joe                                 - No, aspetta...

Silvia                             - (si ferma).

Joe                                 - (pensa un istante, poi rialza la testa, fissa Silvia) Lo conosci bene tu, quello Stanley Banks-Orsini?

Silvia                             - (esitante) Bene... sì, come collega... Scrivevo qualcosa anch'io prima, ed ero socia della stampa, a Londra.

Joe                                 - L'hai conosciuto là?

Silvia                             - Sì, anche lui frequentava...

Joe                                 - Chi te lo presentò?

Silvia                             - Non ricordo... uno dei soliti amici... M'in­vitò a ballare, e così... (finisce la frase con un gesto).

Joe                                 - (pensoso) Mh... Sai se parla il tedesco?

Silvia                             - Ah, molto bene. Una sera l'ho udito parlare con dei giornalisti di Berlino proprio speditamente...

Joe                                 - Sai se è stato mai in Germania?

Silvia                             - Molte volte, me l'ha detto lui.

Joe                                 - E non t'ha detto che genere di persone conosce in Germania... (Silvia fa per parlare, Joe la interrompe) Stai attenta, pensaci bene, perché è molto importante quello che ti chiedo.

Silvia                             - Non ho bisogno di pensarci, me lo ricordo bene a causa d'una coincidenza...

 Joe                                - Ah.

Silvia                             - Sì, perché fu quella sera che conobbi Jim e ci ballai la prima volta... Banks m'aveva detto poco prima che conosceva delle persone in Germania che si occupavano di gomma, e poi, più tardi, presentandomi Jim disse, ridendo: «Ecco un altro colosso di caucciù».

Joe                                 - E queste persone che conosce in Germania... non ti disse come si chiamavano?

Silvia                             - (esitante) Forse sì... ma non ricordo...

Joe                                 - (paziente) Vediamo... Bender?

Silvia                             - (pensa, poi) No.

Joe                                 - (c. s.) Polonsky?

Silvia                             - (c. s.) No.

Joe                                 - (c. s.) Gundermann?

Silvia                             - (c. s., poi lo guarda, tende l'indice) Mi pare questo... sì... ed anche un altro...

Joe                                 - Magidon!

Silvia                             - No, questo no... No, non questo, certamente... Era un altro nome, teutonico, e finiva con una enne... c'era un'enne, ne son certa... (pensa).

Joe                                 - (dopo una pausa, quasi con disappunto, come chi scopre una cosa che non vorrebbe aver scoperta) Christiansen...

Silvia                             - (subito) Ecco! Christiansen!

Joe                                 - (rimane pensoso, poi guarda Silvia, poi si rimette a pensare. Quindi, senza guardare Silvia) Il colosso di caucciù... il colosso di gomma... non sempre è fatto d'un velo sottile e pieno d'aria... che un colpo di spillo basta a sgonfiare... Alle volte è pieno, solido, formida­bile, e le frecce avvelenate vi si spuntano senza intac­carlo... Le ho tutte là le altre frecce... (indica la seconda porta al fondo). Le ho trovate... e nessuno me le tirerà più...

Silvia                             - (lo guarda, un po' turbata dal soliloquio che scambia per un mezzo delirio).

Joe                                 - (rialza la testa, la fissa, sorride).

Silvia                             - (sorride anche lei).

Joe                                 - (come chi si decide) Senti, piccina... Tu ami molto il mio Jim, non è vero?

Silvia                             - (appassionata) Oh, babbo...

Joe                                 - Allora senti, cara... Convincilo a tornarsene a Londra. L'aria dell'arcipelago non è fatta per lui.

Silvia                             - (stupita) Abbandonarvi di nuovo qui... chissà per quanto altro tempo...

Joe                                 - Io sono resistente come la mia gomma.

Silvia                             - (con dispiacere) Lui che non sognava che di esservi utile... aiutarvi... E' venuto qui con quest'idea...

Joe                                 - Te ne ha parlato?

Silvia                             - Spessissimo ne abbiamo parlato... è stato, si può dire, il programma della nostra vita futura...

Joe                                 - E tu la trovi divertente una vita d'isolamento e di lotta, quando altrove ci sono dei saloni, dei balli, delle toilettes, dei teatri...

Silvia                             - Quando si ama il proprio marito...

Joe                                 - Quando si ama il proprio marito si può anche accontentare un suocero brontolone...

Silvia                             - Ah, babbo, io farò tutto quello che vorrete, nei limiti delle mie possibilità...

Joe                                 - Pensi che Jim non voglia ritornare a Londra?

Silvia                             - So che vuol rimanervi vicino. Ha studiato, senza che voi lo sapeste, tutta la...

Joe                                 - (interrompendo) Sì, lo so. Jim è ancora un ragazzo perché non conosce la vita, non sa cos'è la lotta,  Il mio danaro gli ha risparmiato questa dolorosa espe­rienza che forse... (pensoso) ... sarebbe stato un bene...

Wonc                            - (appare sulla destra, si ferma sconcertato vedendo Joe e Silvia).

Joe                                 - (secco) Cosa vuoi?

Wong                            - Il sergente vuole parlare col signor Banks...

Joe                                 - Non c'è. Vattene.

Wonc                            - (esce dalla destra).

Joe                                 - (dopo una pausa, a Silvia) Hai capito, piccola? E' un cuore vergine, un cervello giovine, facile a ricevere le idee altrui. Non ti ci vorrà molto a convincerlo che starà meglio a Londra. Quando donna vuole... hai capito?

Silvia                             - Sì, babbo.

Joe                                 - E così quando Christiansen se lo vedrà ritor­nare a Piccadilly Circus... sarò io che riderò dall'arci­pelago... Addio, cara (fa per uscire dalla seconda porta a destra).

Silvia                             - (confusa) Babbo...

Joe                                 - (la fissa).

Silvia                             - (avvicinandogli) Voi non m'avete mai dato un bacio.

Joe                                 - (grave) E' vero (le prende il volto fra le mani, la guarda, poi la bacia in fronte, e torna a guardarla senza lasciarle la faccia. Quindi, dopo un istante, le dà un buffetto) Io l'amo molto, il mio Jim. Troppo, cara (la lascia).

Silvia                             - (confusa, esitante) Un padre... non ama mai troppo il figlio...

Joe                                 - (fissandola) Ne! mio caso, sì. Addio, cara (esce dalla seconda porta al fondo).

Silvia                             - (esce dal vano asciugandosi gli occhi col faz­zoletto).

Stefania                         - (dopo una pausa entra dalla sinistra, avanza, guarda un po' spaurita la seconda porta al fondo, esce dal vano a destra. Dopo una nuova pausa rientra dal vano a destra con un cestino ed un involto, va alla destra, mette l'involto sotto il braccio, apre la porta con la mano che s'è resa libera, esce e chiude la porta. Dopo una pausa s'ode nell'interno al fondo il fracasso d'un mobile che cade, il rumore d'un vetro infranto. Subito dopo due secche detonazioni di rivoltella, a brevissimo intervallo l'una dall'altra).

(Vocio intenso nell'interno, rumori, esclamazioni, passi).

Eva                                - (appare sulla sinistra, allarmatissima) Ch'è successo?

Jim                                - (entra correndo dal vano a destra) Cosa c'è?

Stefania, Wonc e Steven        - (accorrono per la destra).

Joe                                 - (spalanca la seconda porta al fondo, irrompe, quasi cade sulla tavola, comprimendosi il petto verso la spalla destra).

Eva                                - (spaventatissima) Joe!

Joe                                 - (fissando Jim, minacciandolo col pugno) Tu... tu...!

Jim                                - (costernato) Babbo... (si slancia verso di lui).

Joe                                 - (fremente) Non v'accostate... Nessuno s'avvicini al tavolo... Banks... Dov'è Banks?

Wong                            - (si slancia verso il vano a destra).

Stanley, Silvia e Yvonne        - (irrompono dal vano a destra).

Guaeando                     - (arriva affannato dalla sinistra).

Jdnga                            - (entra stupita dalla destra).

Wong                            - (fermandosi di scatto) Signor Banks...

Stanley                          - (allarmato) Cosa è successo?

Joe                                 - (aggrappandosi al tavolo) Banks, venite qui!

Stanley                          - (accorre accanto a lui, lo sorregge).

Joe                                 - (indicando la seconda porta al fondo) Chiu­dete quella porta... (Stanley esegue) ... a chiave... (Stan­ley cerca la chiave) ...è dentro... (Stanley esegue in fretta). Datemi la chiave... Mettetemela qui... nella tasca dei pantaloni... (Stanley esegue).

Eva                                - Ma che cosa è successo, Dio santo?

Joe                                 - E' successo' che sono un colosso di gomma... e che quindi sono anche elastico... quanto basta per sal­tare e non farmi ferire al cuore...

Stanley                          - (allarmato) Ma... siete ferito...

Joe                                 - (allontanando un po' la mano) Sì... qui... due colpi... tutti e due giunti a destinazione.

Tutti                              - (hanno un grido d'orrore).

Eva                                - (terrorizzata) Presto... dottore...

Guarando                      - (si slancia verso la sinistra).

Joe                                 - (con un urlo) No! Andate via tutti... Non voglio, nessuno... Solo Banks...

Guarando                      - Ma... non volete nemmeno farvi medi­care...?

Joe                                 - No... Niente... Non voglio nessuno... Fuori tutti... Rimanga solo Banks...

Tutti                              - (rimangono immobili, stupiti).

Joe                                 - Sergente Steven!

Steven                           - (scattando) Comandi!

Joe                                 - Mandate via tutti!

Steven                           - (appoggia una mano sulla spalla di Jim).

Jim                                - (esce dal vano a destra, disperato).

Yvonne, Silvia ed Eva  - (lo seguono piangendo).

Stefania, Junca e Wonc          - (escono per la destra).

Guarando                      - (esce per la sinistra).

Steven                           - (saluta militarmente Joe, esce per la destra e chiude la porta).

Joe                                 - (a Stanley) Sedetemi.

Stanley                          - (lo fa sedere con precauzione).

Joe                                 - Chiamate la nave.

Stanley                          - (apre l'apparecchio da campo, gira la mano­vella, poi, dopo una pausa) Ecco.

Joe                                 - Il capitano Ward.

Stanley                          - (nel telefono) Il capitano' Ward... (Pausa brevissima). Ecco (porge il telefono a Joe).

Joe                                 - (con voce più tranquilla che può) Ward... non si parte più. Vi giungerà la notizia che sono ferito... Non è vero. Non lasciate la nave per nessun motivo, non vi scostate dall'apparato Marconi nemmeno un secondo... Telegrafate a Singapore ed a Saigon che Joe Fraser ha scoperto una spia a Banea... e che l'ha uccisa... Sì... Bra­vo... Sì... In linguaggio chiaro, non in cifra... Sì, non m'importa che lo intercettino. Nient'altro   - (rida il tele­fono a Stanley).

Stanley                          - (rimette il telefono a posto, guarda fisso Joe).

Joe                                 - (lo guarda, un po' ansante, poi sorride dolorosa­mente).

Stanley                          - (grave) Chi avete ucciso?

Joe                                 - (sorridendo con pena, toccandosi il cuore) Qualcuno che era in me... il mio orgoglio... (fa per al­zarsi, non ci riesce) Aiutatemi, Banks...

Stanley                          - (l'aiuta a levarsi in piedi).

Joe                                 - Ora... datemi il braccio e accompagnatemi nella mia stanza... (Stanley fa per prenderlo in braccio) No, non c'è bisogno di portarmi... Voi mi curerete... Ho tutto quanto occorre... bende, disinfettanti, ferri. (Sorri­dendo) Vi guiderò io... me ne intendo abbastanza di chirurgia tropicale... (comincia a muoversi sorretto da Stanley). E se non muoio stanotte... fra dieci giorni starò di nuovo perfettamente bene   - (sorretto da Stanley, si muove lentamente verso il vano a destra. Ma prima di raggiungere il limitare il dolore lo vince, e si piega sulle ginocchia, sviene).

Stanley                          - (lo afferra, lo solleva di peso, ed esce dal vano con Joe fra le braccia).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (Otto giorni dopo gli avvenimenti del secondo atto, stesso ambiente, verso le cinque del pomeriggio).

Wong                            - (sta guardando qualcosa alla serratura della seconda porta al fondo. Osserva con attenzione, poi preme sulla maniglia, tenta d'aprire la porta che resiste. Ritorna ad osservare con maggiore attenzione la ser­ratura).

Stanley                          - (appare sul vano a destra, con la sigaretta accesa in mano. Si ferma a guardare ciò che fa Wong).

Wong                            - (inquieto, sente la presenza d'un estraneo, si volge di scatto. Rimane interdetto).

Stanley                          - (venendo avanti tranquillo) Cosa cercate, signor Wong? (Siede).

Wong                            - (.sconcertato, viene avanti, si ferma davanti a Stanley a capo chino) Io non so cosa pensate di me, signore...

Stanley                          - Oh, lo sapete benissimo cosa penso di voi... ed ho la vaga impressione che non v'importi nulla di quello che penso.

Wong                            - (confuso) Signor Banks...

Stanley                          - Cosa stavate cercando?

Wong                            - Niente, signor Banks. Notavo soltanto che la serratura ha subito uno o più tentativi di scassina-mento.

Stanley                          - (interessato, ma come lo si può essere da una storiella divertente) Ah, ah... Perbacco! Uno o più tentativi... Come fate a vedere che sono stati più di uno?

Wong                            - Ci sono varie graffiature sull'ottone. Una è quasi sbiadita e si distingue poco, le altre seno più fresche... Si vede che sono state prodotte solo da due o tre giorni.

Stanley                          - E ve ne siete accorto solo oggi?

Wong                            - Sì, signore.

Stanley                          - Ciò dimostra che trascurate le pulizie, signor Wong.

Wong                            - Le ho fatte forse in fretta, tanto che solo oggi ho osservato la serratura.

Stanley                          - Avete notato altro?

Wong                            - Sì, signore... E' stata aperta più volte con una chiave falsa...

Stanley                          - (stupito) Ah?

Wong                            - Si notano i graffi caratteristici della chiave non perfetta che forza sempre un po'...

Stanley                          - (ammirato) Siete un compendio d'erudi­zione, signor Wong.

Wong                            - Chiamatemi pure signore, se la cosa vi di­verte... Ma credetemi, non sono un ufficiale di Stato Maggiore travestito da servo, signor Banks.

Stanley                          - (osservandolo) Pure ho sentito raccontare di ufficiali giapponesi che sono andati a fare gli operai, i facchini, i cuochi, per imparare, all'estero, delle cose utili...

Wong                            - (fermo) Ciò avveniva una volta, signore... Sessanta anni fa...

Stanley                          - (osservandolo) Io non ci trovo niente di disonorante... Pietro il Grande ha fatto il carpentiere nei cantieri olandesi per imparare come si costruiscono le navi.

Wong                            - (con orgoglio, ma sempre contenuto) Noi non abbiamo più bisogno d'imparare da nessuno, signor Banks, siamo noi che insegniamo' sul Pacifico, in attesa d'andare più oltre.

Stanley                          - Senti, senti... Meno male che ce ne siamo accorti anche noi... Bravo, Wong, essere orgogliosi della propria terra è sempre bello, qualunque sia la terra!

Wong                            - (con un lampo negli occhi) Specialmente quando' è la mia, signor Banks.

Stanley                          - (lo fissa, poi abbassa la testa, pensoso).

Wong                            - (dopo una pausa) Posso andare?

Stanley                          - (lo guarda) Dove avete imparato tutte quelle belle cose sulle serrature, Wong?

Wong                            - Sono stato in carcere, signore.

Stanley                          - Ah? E perché?

Wong                            - Per aver ferito una persona.

Stanley                          - Al Giappone?

Wong                            - A Londra. Sono stato due anni a Dartmoor.

Stanley                          - E il signor Fraser che m'ha detto di fi­darmi completamente di voi...

Wong                            - Ha ragione, signore. Quella persona era un suo nemico, al servizio di Magidon.

Stanley                          - L'importatore francese di gomma?

Wong                            - Sì, signore... E fu per difendere il signor Fraser. E' stato lui anzi che m'ha fatto fuggire da Dartmoor.

Stanley                          - Ah, siete fuggito? Credevo d'aver capito che v'avevano dato due anni.

Wong                            - Me ne dettero dodici.

Stanley                          - Dodici anni... Ma allora avete dovuto fe­rirla abbastanza gravemente quella persona...

Wong                            - Molto, signore. Morì, in seguito.

Stanley                          - (rabbrividendo) Ah, ah... Ho capito. Ma­gidon... Ha una sede a Saigon, non è vero?

Wong                            - Sì, signore. La più grande società dopo la nostra.

Stanley                          - E a Singapore?

Wong                            - A Singapore, a Borneo, a Mindanao...

Stanley                          - Ho capito. (Pausa). Non avete nient'altro da dirmi, Wong?

Wong                            - No, signore.

Stanley                          - Dico... un'idea, una supposizione tutta vostra, che magari credete sbagliata?

Wong                            - Non so niente di più di quanto sa il signor Fraser... E se lui non vuol punire...

Stanley                          - (attentissimo) Ebbene?

Wong                            - Non tocca a me. E' lui il padrone: io non devo che obbedire.

Stanley                          - Ma... se fosse stato ucciso?

Wong                            - Lo avrei vendicato.

Stanley                          - (basso) Voi sapete, Wong?

Wong                            - (ha un nuovo lampo negli occhi) No.

Stanley                          - E, non sapendo, su chi lo avreste ven­dicato?

Wong                            - Avrei trovato.

Stanley                          - (dopo una pausa) Se sapete qualche cosa fate male a tenermela nascosta. Il tentativo può essere ripetuto.

Wong                            - No, signor Banks. Sto attento.

Stanley                          - Anch'io sto attento, ma...

Wong                            - Anche lui sta attento.

Stanley                          - Lui... Chi?

Wong                            - Il padrone.

Stefania                         - (entra dalla sinistra, vede Stanley) Oh, signor Banks...

Stanley                          - (volgendosi) Che c'è?

Wong                            - (ha visto subito Stefania e la fissa).

Stefania                         - La signora Eva desidera parlarvi.

Stanley                          - Ditele che vado subito da lei.

Stefania                         - (esce dalla sinistra).

Stanley                          - (guarda Wong, poi pensa, quindi, fissandolo di nuovo) Ditemi, Wong... Voi dovete essere molto forte, non è vero?

Wong                            - (ha un lievissimo sorriso) Abbastanza, si­gnore.

Stanley                          - Potreste trasportare un peso di circa un quintale?

Wong                            - Credo di sì... Ma non in segreto, signore.

Stanley                          - Non vi fidate di me?

Wong                            - Il signor Fraser m'ha ordinato di obbedirvi in tutto... Ma penso che il peso d'un quintale non si può trasportarlo senza essere veduti.

Stanley                          - E' vero... e a trasportarlo di notte si corre pericolo d'esser notati di più.

Wong                            - Cosa volete trasportare, signore?

Stanley                          - (guardandolo fisso) Una barca.

Wong                            - (colpito) Ah...

Stanley                          - E' meglio che se ne vada, Wong.

Wong                            - Una barca si può trasportare benissimo col cavallo.

Stanley                          - (battendogli su una spalla) Bravo, Wong. Tornate qui fra mezz'ora. Devo andare dalia signora Eva, adesso

Wong                            - Bene, signore (s'inchina, esce per la destra).

Stanley                          - (fa per uscire dalla sinistra).

Eva                                - (apparendo sulla sinistra) Ebbene, signor Banks...

Stanley                          - Eccomi, signora.

Eva                                - (viene avanti) Ho da chiedervi un gran favore.

Stanley                          - A vostra disposizione.

Eva                                - (sedendo) Il padrone di casa ormai siete voi... (Stanley ha un gesto dì protesta, ma Eva risponde ne­gando con la destra) ...e nessuno può trovarci niente da ridire, meno che mai io che sono un'ospite.

Stanley                          - Un'ospite? Ma scusate, signora, voi...

Eva                                - (interrompendolo) Io sono la sorella di Joe, ma, da otto giorni, non ho il diritto di metter piede nella sua camera...

Stanley                          - Ma il signor Fraser non ha permesso nem­meno a suo figlio di...

Eva                                - Sì, né a Jim, ne a Yvonne, né a Silvia, ne al dottore: a nessuno. Solo a voi ed a Wong è concesso l'onore di vederlo, parlargli, sapere se è vivo o morto...

Stanley                          - Ma, signora, non è colpa mia se il signor Fraser ha dato questi ordini. Eravate presente, e sapete che io non li ho provocati.

Eva                                - Io non voglio sapere se è per voi o no che ha disposto così. Constato il fatto e lo trovo ridicolo.

Stanley                          - Sarà ridicolo per voi, per me no.

Eva                                - (aggressiva) Ah, sì?

Stanley                          - Sì, signora. Voi dite che non volete sapere se questi ordini sono stati dati per me...

Eva                                - Non ci tengo.

Stanley                          - Io, invece, ci ho tenuto ed ho voluto sapere.

Eva                                - Ah? Avete avuto l'onore delle confidenze di Wong?

Stanley                          - Signora, io mi onoro delle confidenze di tutti, perché ascolto tutti e a tutti chiedo informazioni e consigli. Poi penso con la testa mia.

Eva                                - E cosa avete pensato, se è lecito?

Stanley                          - Ho pensato che quegli ordini sono stati dati per tutti meno che per me. Riflettendo, coordinando, deducendo, ho capito perché il signor Fraser vuole solo me vicino... me che sono un estraneo... e nessun altro, nemmeno fra i più cari...

Eva                                - (scattando) Signor Banks... Non abbiamo potuto essere stati tutti a tentare d'assassinarlo! E questo so­spetto, gettato su tutti noi, è un insulto continuo, una infamia insopportabile!

Stanley                          - (fissandola) Secondo voi avrebbe dovuto ricevere le persone che non crede sospettabili?

Eva                                - Naturale! Non possiamo essere tutti sospetta­bili! Io, intanto, sua sorella, non lo sono... (Stanley la fissa) ...o spero di non esserlo.

Stanley                          - (fissandola) Ricevendo delle persone e non delle altre il signor Fraser avrebbe indicato chia­ramente di chi sospetta.

Eva -                             - E avrebbe liberato gli altri da una tortura atroce! Gli avete consigliato voi di regolarsi così?

Stanley                          - L'ho scongiurato di parlare, almeno con me, e non ha voluto.

Eva                                - Ma perché, Dio santo?

Stanley                          - Una ragione deve esserci.

Eva                                - (dispettosamente) Una stupidaggine!

Stanley                          - (fermo) No, il signor Fraser non può con­cepire stupidaggini. Ho imparato a conoscerlo in questi otto giorni... E' un colosso, signora... un uomo formida­bile con tutti i suoi difetti... con un ingegno enorme ed un cuore immenso.

Eva                                - (attenta) Un cuore?...

Stanley                          - Sconfinato, signora. Dalla sua bocca non uscirà mai un'accusa.

Eva                                - (c. s.) Lui che ha punito sempre... senza pietà... (guarda oltre i vetri della veranda rabbrividendo).

Stanley                          - Questa volta non vuole punire.

Eva                                - E... perché?

Stanley                          - (la fissa) Ve l'ho detto, signora... ha troppo cuore.

Eva                                - (lo fissa sbalordita, poi balza in piedi terrorizzata) Ah!... (Pausa, poi puntandogli Vindice contro) Voi... cosa volete dire... cosa volete dire... (si ferma, fremente d'orrore).

Stanley                          - Non so nulla, io.

Jim                                - (appare sulla destra. E' infangato, stanco, cupo, la barba d'un giorno o due, un mozzicone di sigaretta nell'angolo della bocca, lo scudiscio in mano. Entrando lo getta sul divano. Guarda Eva e Stanley) Buongiorno.

Eva                                - (lo fissa, esce dalla sinistra fremendo).

Stanley                          - Buongiorno, Jim.

Jim                                - Hai niente in contrario che mi faccia servire qualcosa? Muoio di sete, vengo dalla punta sud... sedici chilometri di cavallo. (Pausa). Cos'hai?

Stanley                          - Io? Nulla.

Jim                                - E perché non mi rispondi?

Stanley                          - M'hai chiesto se ho niente in contrario che tu beva qualcosa... Questa è una ridicolaggine, ed io alle ridicolaggini non rispondo.

Jim                                - Mah! Visto che sei il padrone di casa!

Stanley                          - Non rispondo nemmeno a questa.

Jim                                - Insomma, posso bere. (Suona il campanello).

Silvia                             - (sta già entrando dal vano. Va accanto al ma­rito guardando un po' spaurita Stanley, quasi a chiedergli il permesso di confortare Jim. Prende il braccio di questi, gli siede accanto, senza parlare, con una muta carezza).

Jim                                - (dolcemente) Cara... Come stai?

Silvia                             - Tu come stai?

Jim                                - (con qualcosa di febbrile nella voce) Bene… molto bene... meglio.

Silvia                             - Sembri stanco, però.

Jim                                - E' perciò che sto meglio.

Wong                            - (appare sulla destra).

Jim                                - Whisky.

Wong                            - (s'inchina, fa per uscire).

Silvia                             - (subito) No! (Wong si ferma).

Jim                                - Lasciami bere, Silvia. Non tormentarmi anche tu (fa un cenno imperioso a Wong).

Wong                            - (esce per la destra).

Silvia                             - (guardando Stanley) Gli fa male... Non è vero?

Stanley                          - Certo. Ma io ho rinunziato a ripeterglielo.

Jim                                - Dimmi... Tu che ne detieni ambo le chiavi del cuore... Come sta il mio signor padre?

Stanley                          - Molto meglio.

Jim                                - In quale epoca più o meno lontana credi che potrò avere l'onore di presentargli i miei rispetti?

Stanley                          - Oggi, credo.

Jim                                - Ah? S'è deciso a ricevermi?

Stanley                          - Scenderà qui verso il tramonto... farà meno caldo.

Jim                                - Ah, ricevimento pubblico, non privato. Per me è lo stesso. Io non chiedo altro che salutarlo ed an­darmene.

Stanley                          - Andartene... Quando?

Jim                                - Oggi. Appena gii avrò detto poche parole, a quattr'occhi o in presenza di tutti.

Wong                            - (viene dalla destra con un vassoio con su la bot­tiglia del whisky e un bicchiere. Colloca il vassoio su uno sgabello, davanti a Jim).

Stanley                          - E come farai ad andartene? La nave non è ancora tornata! (Wong guarda di sfuggita Jim, si mette a rassettare intorno invece di uscire).

Jim                                - (s'è versato un bicchiere di whisky e beve avida­mente) Non m'occorre la nave... Non voglio niente da lui... Finché starò qui dovrò adattarmi a mangiare... e bere... (prende il bicchiere che ha riempito di nuovo) ...a sue spese... (beve) ...ma appena gli avrò detto ciò che gli debbo dire, cesserà ogni rapporto di convivenza (riempie di nuovo il bicchiere).

Stanley                          - (freddo) Ti consiglierei di non bere tanto. Hai bisogno di tutte le tue forze per andartene di qui a nuoto.

Jim                                - A nuoto? No. Sarà l'ultima cosa che porterò via a mio padre... una delle sue barche di corteccia.

Wong                            - (si ferma, fissa Jim attentamente).

Stanley                          - (scambia una rapida occhiata con Wong).

Silvia                             - (si stringe di più a Jim, ha un grido di spavento) Ma cosa vuoi fare?

Jim                                - Da Banca a Sumatra non c'è che un braccio di mare...

Stanley                          - (attento) Trentacinque miglia marine...

Jim                                - Si superano, col mare calmo.

Wong                            - C'è la corrente verso Sumatra.

Jim                                - (a Stanley) Vedi? (A Wong) Bravo, Wong. Sei sempre prezioso.

Silvia                             - (disperata) Ma è una follia... Non s'entra, in due, in una barca di quelle...

Jim                                - (accarezzandola) Ah, ma non ho nessuna in­tenzione di portare anche te, cara...

Silvia                             - Vorresti ch'io rimanessi sola, qui, mentre tu... Oh... (scoppia a piangere).

Stanley                          - (seccato) Non piangete, signora... Scherza...

Jim                                - (ride) Lascia che parli col genitore, e vedrai se scherzo!

Stanley                          - Comincia col parlargli! (A Wong) Andiamo, Wong. (Esce per la destra; Wong lo segue).

Jim                                - (beve ancora mezzo bicchiere).

Silvia                             - (stringendosi a lui) Jim... tu non penserai sul serio a questa follia di lasciarmi qui?

Jim                                - Silvia... tu sai come ti amo... Pure ti lascerò, perché l'offesa che mio padre m'ha fatta è terribile... supera anche l'amore che sento per te...

Silvia                             - (piangendo) Ma è un abbandono... tu mi lasci «osi... sola.»

Jim                                - Mi raggiungerai... mio padre non ti negherà i mezzi per ritornare a Londra... Ha tanto affetto per te, tanta stima ora che ti conosce... E, nel caso fosse impaz­zito, anche con te c'è Banks... Banks è troppo amico mio, anche in questa dolorosa circostanza.

Silvia                             - Ma è pericolosissimo affidarsi, solo, in una di quelle barchette...

Jim                                - (sorridendo) Macché! Qualche decina di mi­glia... Sono andato centinaia di volte a pescare sul ca­nale, quando son venuto qui da ragazzo e da giovanotto... Arriverò a Sumatra in cinque o sei ore, e ti farò subito un telegramma. (Silvia gli prende le mani, supplice, Jim si scioglie febbrilmente, quasi respingendola) No, non insistere. Del resto me l'ha detto lui d'andarmene... Il giorno stesso che... sì, che fu ferito... (ha una smorfia d'a­marezza) ...che lo ferii... (Si batte un violento colpo sulla faccia) Io! Io!

Silvia                             - (spaventata) Jim!

Jim                                - Sì, quel giorno stesso, poco prima... era in preda ad una collera tremenda... e non fece che dirmi di tornarmene a Londra, che non aveva bisogno di me, che l'aria dell'arcipelago mi rendeva nervoso, mi provo­cava degli accessi di sonnambulismo... (E' fremente). E poi... Questi otto giorni di tortura... Sospettare di... di me, non volermi vicino nemmeno per essere curato, fe­rito gravemente, mortalmente forse... Oh Dio, Dio, Dio, io impazzisco, impazzisco! (Si porta le mani sul volto) Ma perché? Perché? Perché?

Silvia                             - (accarezzandolo) Non tormentarti così...

Jim                                - (rimettendosi con violento sforzo) E' finita, ormai. Lavorerò, non ho paura del lavoro... Da otto giorni non sto forse lavorando come un bruto, fra i piantatori, ultimo fra gli ultimi? Guarda... guardami le mani...

Silvia                             - (gli guarda le mani, ha un gesto di spavento) Ma... ti sei tagliato?

Jim                                - Dove?

Silvia                             - (indicando) Qui... questo è sangue!

Jim                                - Ah! E' lo scudiscio            - (lo prende, lo guarda, quasi con compiacenza). Non me n'ero accorto.

Silvia                             - (guardando lo scudiscio, che è macchiato dì sangue anche sul manico) Ma... (Spaventata) Jim... c'è del sangue anche là... (indica lo scudiscio, arretra).

Jim                                - (brandendo lo scudiscio, quasi allegro) Ah? Tanto meglio, così glielo metterò sotto gli occhi...

Silvia                             - (terrorizzata) Ma a chi?

Jim                                - A mio padre! Ecco perché voglio parlargli prima d'andarmene... (fa vibrare lo scudiscio in preda alla collera).

Silvia                             - (spaventata) Jim... Tu mi spaventi... Cos'hai fatto?... Sei sempre così nervoso, bevi tanto, ora...

Jim                                - (bevendo l'altro mezzo bicchiere) Ah, ah... bevo al ritorno, non all'andata... Ah, ah      - (fa vibrare ancora lo scudiscio).

Silvia                             - (con disperata energia) Jim, tu mi fai mo­rire di paura... Devi dirmi tutto, sono tua moglie, ho diritto di sapere!

Jim                                - Ah, non voglio farne un mistero... Lo dirò a tutti, anzi... Ci tengo... (Fremente di sdegnoso dolore) Devi sapere che, mentre il mio signor padre si isolava, eleggendo Stanley Banks al grado di ciambellano asso­luto e coprendo di vergogna tutti noi, io mi sono messo in testa di scoprire chi è che gli recideva le cortecce e gli avvelenava gli alberi, convinto che era la stessa mano che aveva colpito lui e il povero Kernan!

Silvia                             - (ansiosa, sempre spaventata) Ebbene?

Jim                                - L'ho scoperto, anzi li ho scoperti, poco lontano dalla punta sud...

Silvia                             - (c. s.) Chi?

Jim                                - Due piantatori... e il caro dottor Guarando del mio cuore... che deve aver finito d'avvelenare Kernan con l'iniezione che gli ha fatta... Non ho mai visto il cadavere d'un europeo diventare così nero in meno di un'ora...

Silvia                             - (terrorizzata) E... cosa hai fatto?

Jim                                - (ride).

Silvia                             - (balzando, pazza di spavento) Li hai uccisi?

Jim                                - (ridendo ferocemente) No! Mi ci son gettato addosso, poi è arrivato Martinez e li abbiamo legati a un albero... Li ho frustati senza pietà finchè non mi sono sentito più forza di picchiare... Ah, ah! Questo voglio raccontare al mio signor padre... E saranno le ultime parole mie che sentirà, perché non mi rivedrà mai più! Non gliela perdonerò mai!

Silvia                             - (ancora atterrita, pensosa) Ma... sei sicuro di non esserti ingannato?

Jim                                - Sicuro? Li ho colti sul fatto, con gli strumenti, le siringhe, il veleno.

Silvia                             - Cosa hanno detto?

Jim                                - Niente... O, se hanno detto qualcosa, chi li ha sentiti? Non he smesso un istante di frustarli... Ah, ma penserà il genitore a farli parlare... Conosce tutti i si­stemi per sciogliere le lingue, lui... La saprà la verità, finalmente! (Siede, fremente).

Silvia                             - (dopo una lunga pausa, pensosa) Perché non vieni su, ora? (Jim la guarda, Silvia prosegue dopo la pausa) Sì... Ti metterai un po' sul letto... ti laverai... Fai... spavento così...

Jim                                - Non ho' voglia di farmi bello.

Silvia                             - (dolce) Fallo per me... (Si alza, lo forza ad alzarsi) Riposati un po', almeno... Ne hai bisogno... come hai bisogno... di riflettere... (lo trascina con dolcezza).

Jim                                - No, è l'unica cosa di cui non ho bisogno... (Escono per il vano a destra). Ho tanto riflettuto... troppo...

Yvonne                         - (viene dalla prima porta al fondo. E' in abito diverso, ha un largo cappello di paglia, dei fiori. Sembra di buon umore. Chiude la porta, va verso il vano).

Steven                           - (bussa alla destra dall'interno).

Yvonne                         - (fermandosi) Avanti.

Steven                           - (entra dalla destra, vede Yvonne, la saluta cor­dialmente) Buongiorno, signorina.

Yvonne                         - (sorridendo) Buon giorno, Steven... Come state?

Steven                           - A me non c'è bisogno di domandarlo... A voi si vede... State benissimo...

Yvonne                         - (c. s.) Sì, grazie, mi sento molto meglio... So che vi siete tanto interessato di me e vi ringrazio...

Steven                           - Per carità, signorina... Dovere...

Yvonne                         - (dopo una pausa) Cercate qualcuno?

Steven                           - Il signor Banks.

Yvonne                         - (sorridendo un po' ironica) Ah, non si può cercare che lui, è logico... E' tutto' lui...

Stanley                          - (entra dalla destra).

Mahtinez                       - (sporco di fango, sudato, lo segue).

Wong                            - (lo segue).

Yvonne                         - (continuando, indicando Stanley a Steven) Eccolo là.

Stanley                          - (inchinandosi) Scusate, signorina...

Yvonne                         - (con lieve ironia) Prego, prego, scusate voi, vado via subito...

Stanley                          - Non volevo dire...

Yvonne                         - (s'è già avviata al vano a destra) Oh, non occorre, cedo il campo senza discutere. (Esce dal vano).

Stanley                          - (ha un gesto di dispetto, poi, a Steven) Che c'è, Steven?

Steven                           - Sta arrivando la nave.

Stanley                          - Ah, meno male. Riavremo finalmente il telegrafo.

Steven                           - L'abbiamo avvistata cinque minuti fa.

Stanley                          - Appena getterà l'ancora attaccate il tele­fono e dite al capitano Ward di venir subito qui con la posta.

Steven                           - Benissimo. Altro?

Stanley                          - Sì, scusate, Steven. Un momento solo. (A Wong) Tu accompagna il signor Martinez dal signor Fraser.

Wong                            - Ma...

Stanley                          - Gli dirai che lo prego io di riceverlo e di sentirlo. Poi scenderai subito. Ho ancora bisogno di te. Andate, signor Martinez.

Wong                            - (esce per il vano a destra; Martinez lo segue).

Stanley                          - (a Steven) Voi, Steven... Troverete al Corpo di Guardia tre uomini che v'ha portato Martinez...

Steven                           - Ah... degli altri ubbriachi?

Stanley                          - No, il dottor Guarando e due piantatori... (Steven sgrana gli occhi). Eh, sì, caro Steven... è così... Pare che siano in gran cattivo stato. Passando per l'in­fermeria prenderete quanto occorre per medicarli... Fa­tevi aiutare da qualcuno.

Steven                           - Io sono sbalordito...

Stanley                          - Io no... Sono stato sempre convinto che i complici finiscono per tradirsi... Questione di tempo.

Steven                           - Il dottor Guarando... E' inaudito...

Stanley                          - E' inaudito che abbia preso Bolo due pian­tatori per farsi aiutare... Quando si è tanto stupidi da prendere due complici se ne prendono anche quattro… anche otto. Verranno fuori, come le lumache dopo la pioggia... Si denunzieranno fra loro, come sempre... Ora state attento, Steven... (Tossisce: sa che sta per dire una cosa difficile) Fra un'ora... fra. due... al tramonto... stanotte forse... non posso dirvi con precisione quando... vedrete una barchetta staccarsi dalla riva e andare verso Sumatra...

Steven                           - Preparo la mitragliatrice subito.

Stanley                          - La mitragliatrice dev'esser sempre prepa­rata... ma non contro quella barchetta. La lascerete tran­quillamente andare al suo' destino.

Steven                           - (si strofina il mento, esitante) E' un ordine del signor Fraser?

Stanley                          - Tutti gli ordini che dò io sono in nome del signor Fraser.

Steven                           - (c. s.) Vi dispiacerebbe di scrivermelo questo ordine? (Stanley fissa Steven, va al tavolo, scrive rapida­mente, asciuga, porge un foglio a Steven. Questi lo legge attentamente, lo piega, lo mette in tasca).

Stanley                          - Non credevo che poteste diffidare di me.

Steven                           - Non diffido di voi, ma di lui, Banks. Io lo conosco meglio di voi.

Wong                            - (rientra dal vano a destra).

Stanley                          - (rispondendo a Steven) Non credo.

Steven                           - Sarà. C'è altro?

Stanley                          - No, Steven. Grazie.

Steven                           - (abbozza un saluto, esce per la destra).

Wong                            - Il signor Fraser ha voluto alzarsi. Scenderà fra poco. (Dopo una pausa) L'arrivo della nave può di­ventare un contrattempo, signore...

Stanley                          - (pensa, poi) Scrivi spesso, tu, Wong?

Wong                            - Pochissimo.

Stanley                          - E' conosciuta la tua scrittura?

Wong                            - E anche se fosse, signore?

Stanley                          - (gli indica il tavolo) Siedi là... (Wong ese­gue). Scrivi... (Wong si dispone ad eseguire). La barca è sulla spiaggia... (Wong scrive) ...nella piccola insena­tura... (Wong scrive) ...a cui s'arriva per il sentiero che parte dall'infermeria... (Wong scrive) Basta un lieve sforzo per spingerla in acqua... (Wong scrive) C'è anche una piccola vela... due bottiglie d'acqua e un pacco di biscotti... (Wong scrive) Una borsetta di cuoio, con del denaro... Potete essere a Sumatra in poche ore.

Wong                            - (ha scritto).

Stanley                          - Nient'altro. (Prende il foglio, legge, poi si ferma, pensoso). Sto pensando, Wong... se si trovasse questo scritto... si potrebbe accusare te di complicità.,.

Wong                            - (calmo) Non importa, signore.

Stanley                          - (con un gesto) Poi... ci sono sempre io. (Piega il foglio, lo dà a Wong) Va.

Wong                            - (va alla prima porta al fondo, esce)

Stanley                          - (va verso il vano).

Joe                                 - (vestito di tela, senza stivaloni, pantaloni stretti alla gamba da una fila di bottoni. E' dimagrito, ancora un po' sofferente; s'appoggia al braccio di Martinez).

 Martinez                       - (rigido si muove lentamente, per tenersi al passo di Joe).

Stanley                          - (contento) Oh! Finalmente!

Joe                                 - (sorridendo) Ce n'è voluta, eh, Banks? (Pro­cede). Grazie, Martinez. (Aiutato da questi siede su una poltrona).

Martinez                        - (rigido) Altri ordini, signor Fraser?

Joe                                 - (fissa Martinez) Penserò per voi, Martinez.

Martinez                        - Non ho nessun merito, signore. Chi li ha scoperti è stato il signor Jim.

Joe                                 - (fissandolo) Me lo avete detto.

Martinez                        - (inchina lievemente la testa, rettificando h posizione d'attenti, facendo leggermente sentire l'urto dei tacchi).

Joe                                 - (lo guarda, poi) Grazie, signor Martinez.

Martinez                        - (saluta, esce dalla destra).

Stanley                          - (dopo una pausa) Volete interrogare quella gente, signor Fraser?

Joe                                 - Domani.

Stanley                          - Volete che la interroghi io?

Joe                                 - No.

Stanley                          - Dunque... avete proprio tanta paura di sapere.

Joe                                 - Cosa volete che mi dicano, Banks? Sono agenti inferiori. Io so da dove viene il colpo e grazie al cielo l'ho sventato.

Stanley                          - Ah, sì.

Joe                                 - (lo fissa, poi) E grazie a voi, Banks.

Stanley                          - (lo guarda, poi si stringe nelle spalle) Grazie a me?

Joe                                 - (lo fissa, pausa, poi) Sapete, Banks... ho con­cepito una grande ammirazione per voi.

Stanley                          - Anch'io. Non avrei mai creduto di poter diventare un così bravo chirurgo.

Joe                                 - Vi darò una grande prova della mia stima.

Stanley                          - (un po' rigido) Ah?

Joe                                 - Leggerò qualcuno dei vostri romanzi.

Stanley                          - (scoppia a ridere) Si vede che tenete a perderla.

Joe                                 - Come sono i vostri romanzi, Banks?

Stanley                          - Bellissimi. Si vendono molto.

Joe                                 - Il vostro prossimo libro avrà per ambiente Bua piantagione di gomma, dunque.

Stanley                          - Già.

Joe                                 -: Quando comincerete a scriverlo?

Stanley                          - L'ho già scritto.

Joe                                 - Così presto?

Stanley                          - Ah, io sono uno scrittore molto rapido.

Joe                                 - E' venuto bene?

Stanley                          - Come gli altri...

Joe                                 - C'è tutto, dunque... La descrizione dei luoghi, il delitto improvviso...

Stanley                          - I delitti.

Joe                                 - Già. Le indagini...

Stanley                          - Naturalmente.

Joe                                 - E la scoperta dell'assassino.

Stanley                          - (fissandolo) Sì, signor Fraser.

Joe                                 - Banks, m'è venuta un'idea. Voglio essere io l'editore del vostro nuovo romanzo.

Stanley                          - E' impossibile. Ho un contratto col mio editore.

Joe                                 - Ve ne farò uno molto più ricco.

Stanley                          - Io scrivo per vivere, signor Fraser, non per arricchire. Guadagno abbastanza, e ho anche una rendita.

Joe                                 - Già, m'hanno riferito qualcosa del genere. Un indiano vi lasciò una grossa somma, è vero?

Stanley                          - Sì, ero sergente nella Metropolitana ed ebbi l'occasione di trovarmi a passare accanto a lui, così come son passato accanto a voi... E allora, morendo, volle ricordarsi di me.

Joe                                 - Dovrò ricordarmelo anch'io, allora.

Stanley                          - Sono già ricco... secondo la mia idea della ricchezza. Che volete che me ne faccia di altro danaro? Per quanto ne abbia non posso comprarmi che un solo paio di scarpe, perché non ho che due piedi... guardate, uno e due.

Joe                                 - Ditemi, Banks... che servigio rendeste a quell'indiano?

Stanley                          - Gli salvai la vita.

Joe                                 - Ma m'avete detto che morì.

Stanley                          - Un anno dopo.

Joe                                 - Ah... come?

Stanley                          - (fissandolo) Ucciso.

Joe                                 - Ah! Da chi?

Stanley                          - (c. s.) Dalla moglie.

Joe                                 - (con un fremito) Oh, poveraccio... Sfuggire al primo assassino...

Stanley                          - Non al primo assassino, ma al precedente tentativo.

Joe                                 - Ah... fu la moglie anche l'altra volta?

Stanley                          - (guardandolo) Sì.

Joe                                 - E non glielo diceste?

Stanley                          - (c. s.) Glielo dissi.

Joe                                 - E lui?

Stanley                          - (c. s.) L'amava, signor Fraser, come un pazzo.

Joe                                 - Siamo tutti un po' pazzi, Banks.

Stanley                          - Purtroppo. (Pausa).

Joe                                 - Raccontatemi quel vostro romanzo.

Stanley                          - (con fastidio) Oh... non ne vale la pena.

Joe                                 - (dopo una pausa) Capisco.

Stanley                          - (vivamente) Cosa?

Joe                                 - Capisco la vostra riluttanza. E' certamente il so­lito romanzaccio in cui una persona inverosimilmente cattiva perseguita una persona inverosimilmente buona finche arriva l'ispettore di polizia e arresta lo stupidis­simo delinquente. Non è così?

Stanley                          - (nervoso) E' così fino ad un certo punto.

Joe                                 - Certo, finche il pubblico digerirà questa roba gliela darete. Ma è strano che siate diventati così mer­cantili, voialtri scrittori... senza un lampo d'originalità, di vita nuova nelle vostre pagine... mai!

Stanley                          - Mai? Voi dite mai, signor Fraser? E come potete dirlo, senza aver letto mai niente di mio?

Joe                                 - Se desiderate un giudizio sereno, raccontatemi quello che avete scritto, allora...

Stanley                          - (lo fissa, ancora seccato: poi, come chi ha in­dovinato le intenzioni dell'avversario, fissandolo) Vi racconterò quello che non ho scritto, signor Fraser... Ah, voi mi provocate, tentate di stizzirmi per farmi parlare, saper che cosa so... cosa penso... Vi dirò qualcosa che forse non vi farà piacere! Il romanzo che non ho ancora scritto combatte la tirannide del miliardo, contro il quale, finalmente, è cominciata la ribellione. Questo è il feno­meno che l'arte contemporanea deve seguire: lo sgreto­lamento del supercapitalismo, il progressivo annulla­mento d'un immenso potere senza doveri accentrate in mano di pochi, l'agonia di Moloch, dio dell'oro, sotto i colpi di coloro che vogliono una più alta giustizia so­ciale! Noi scrittori li presentiamo, i padroni del secolo, nei nostri romanzi, nelle nostre commedie, come sono e come li vediamo... e il pubblico già sa, ormai, che il cattivo che nel Seicento si chiamava don Rodrigo e nel secolo scorso il visconte Gontrano, oggi è quel signore che sorride dietro il miliardo... ossia dietro i monopoli mondiali... la grande industria dei combustibili, dei me­talli, dell'alimentazione, delle armi...

Joe                                 - ...della gomma!

Stanley                          - Della gomma, sicuro! Incuranti di tutto, questi colossi, questi rapaci, quando cominciano a lottare fra loro, possono causare delle catastrofi in cui sono tra­volti anche i piccoli, gli innocenti... (Pausa). Uno dei colossi siete voi, signor Fraser!

Joe                                 - (attentissimo) Davvero?

Stanley                          - (come accusando) E l'altro è Magidou!

Joe                                 - (c. s.) Ah?

Stanley                          - I due rapaci, le due piovre... prese nelle spire dei loro tentacoli, spargono la rovina nell'arcipe­lago, per conquistare quella supremazia che, quando l'ora sarà scoccata, permetterà, a quello di loro che avrà vinto, di guadagnare milioni, milioni, milioni...

Joe                                 - Qual è l'ora che deve scoccare, Banks?

Stanley                          - L'ora in cui una flotta uscirà improvvisa­mente da Panama, un'altra dal Mar Giallo... L'ora in cui migliaia d'aeroplani si leveranno dagli hangar più im­pensati ad oscurare il cielo, per dire allo spirito del gran Magellano qual errore fu chiamare Pacifico un oceano che non conobbe mai pace.

Joe                                 - Bravo: la frase è letterariamente perfetta.

Stanley                          - Lo è anche come esattezza. La lotta dunque è accanita, senza tregue, senza pause, massacrante... Uno dei collaboratori del colosso numero uno... ammettiamo che sia il povero Kernan, questo collaboratore...

Joe                                 - (inquieto) Kernan?

Stanley                          - ...viene a dire al suo padrone: «Bada, è ora di cadere, tu sei sull'orlo della rovina... ».

Joe                                 - (balzando in piedi) Questo è troppo indovinare, Banks...

Stanley                          - (scattando) Ve l'ho già detto che non indo­vino mai, io. Kernan aveva addosso i suoi consuntivi... Mi è bastato leggerli..;

Joe                                 - Per leggerli occorreva trovarli!

Stanley                          - Li ho trovati. Sono là! (indica la seconda porta al fondo).

Joe                                 - (frugandosi nella tasca dei pantaloni) Ma la chiave di quella porta l'ho io... (mostra la chiave).

Stanley                          - Ed io! (mostra un'altra chiave che si toglie di tasca). Ci vuol poco a copiare una chiave!

Joe                                 - (dominandosi con uno sforzo) Dunque uno dei colossi è rovinato, eh?

Stanley                          - No! E' il povero Kernan che lo crede, perché è uomo di tavolino, non abituato alla vera guerra-La verità è che sono rovinati tutti e due, i colossi!

Job                                - (palpitando, in preda ad una speranza pazza) Banks, se è vero, se non ti sbagli, io t'abbraccerò come un figlio, ti farò re di questo angolo di mondo...

Stanley                          - E' rovinato anche lui, più di voi!

Joe                                 - (fremente) Cosa ve lo dice?

Stanley                          - Me lo ha detto Magidon... lui stesso... con quello che fa! Solo un uomo sull'orlo della rovina com­pie gli atti disperati che lui tenta contro di voi...

Joe                                 - (fremendo, riflettendo) Disperati... sì... è vero... disperati... odiosi...

Stanley                          - Ma non per odio. L'odio è una passione... e i due colossi sono insensibili alla passione... Magidon, dunque, sull'orlo della rovina, ricorre ai mezzi dispe­rati, che son quelli degli uomini rovinati... Tenta di farvi assassinare a Londra... Wong vi salva.

Joe                                 - Questo ve l'ha detto Wong!

Stanley                          - Qualcuno bisogna pure che me le dica, certe cose! Non posso dedurre dal nulla! (si ferma).

Job                                - Avanti... Avanti, Banks... non vedete che sono sui carboni ardenti?

Stanley                          - Ci starete per poco. O mi sbaglio di grosso, o il capitano Ward, insieme alla posta di Singapore, vi porterà anche la resa di Magidon...

Joe                                 - (stupito, con un principio di indignazione) Ward s'è incontrato con Magidon?

Stanley                          - Sì, gliel'ho ordinato io.

Joe                                 - (fremente) E quel miserabile ha osato...

Stanley                          - Voi avete ordinato a tutti d'obbedirmi.

Joe                                 - (soffocando) Sentiamo. Cos'è andato a fare da Magidon ?

Stanley                          - A portargli una lettera.

Joe                                 - (quasi con disdegno) Vostra?

Stanley                          - Mia. Gli ho offerto l'assorbimento a vostro nome, per cessare la lotta ed aspettare insieme l'ora del Pacifico.

Joe                                 - Mi riderà in faccia, e con lui tutto l'arcipelago riderà di me. Avete dato l'ultimo colpo al colosso di gomma, Banks.

Stanley                          - Non credo che riderà. Non ha che due vie: accettare o uccidersi.

Joe                                 - Uccidersi?

Stanley                          - Sì, uccidersi, non metaforicamente, ma con una bella palla nella testa! Insieme alla proposta, gli ho mandato anche il piano di un nuovo romanzo sulla gomma che potrei scrivere...

Joe                                 - (vacillando) Ah, Banks... sì, sì, questo è genio, sì, davvero...

Stanley                          - E nel piano ci sono tutti i nomi e tutti i fatti, meno quello di Londra che ho' saputo solo poco fa... Gli ho detto chi ha armato la mano all'arciere, a quale orrendo trucco è ricorso per distruggere un nomo che, anche se fosse morto, sarebbe sopravissutc nella sua opera, quale terribile infamia ha commesso scavando un abisso fra un padre ed un figlio...

Joe                                 - (emozionato) Banks... voi avete visto tutto, là?   - (indica la seconda porta al fondo).

Stanley                          - (addolorato) Sì, signor Fraser... Le altre frecce... il fucile ad aria... ho decifrato i telegrammi con cui il vostro amico Christiansen vi informava da Londra..

Joe                                 - (tremando) Anche l'ultimo?

Stanley                          - Anche l'ultimo, quello che non avete vo luto mai lasciare, per paura che se ne potesse indovinare qualcosa anche attraverso la cifra che pure crede vate tanto sicura... L'ho letto e copiato prima di conse-gnarvelo.

Joe                                 - (dopo un silenzio) Banks... (Dopo una pausa) Vi ringrazio. (Umilmente prende la mano di Stanley, fa per baciarla).

Stanley                          - (commosso, ritirando vivamente la mano) Signor Fraser... ma cosa fate...

Joe                                 - (riafferrandogli la mano) Solo io... solo io deve sapere... Non dovete parlare con nessun altro!

Stanley                          - Non sarà possibile. Tre dei complici sene stati presi e parleranno.

Joe                                 - Non parleranno, Banks... non li interrogherò... Date una barca a quei miserabili... che se ne vadano... spariscano... non voglio nemmeno vederli (alza la testa, fissa Stanley).

Stanley                          - (rigido, contenendo un dolore che lo tormen­ta) Ho già dato una barca ad altri miserabili, signor Fraser... E a quest'ora... (ha un gesto).

Job                                - (scoppia a piangere, convulso; con un grido stra­ziante) Jim... mio povero Jim... Io non ho altri al mondo... nessuno!

Jim                                - (appare sul vano. Sembra ancora più lacero, più sporco. Vacilla come un ubriaco. Ha lo sguardo torvo, una luce cattiva negli occhi, la bocca contorta in un sor­riso sinistro) O mi sbaglio... o parli di me, babbo...

Joe                                 - (balzando in piedi, convulso, afferra Jim, se lo stringe al petto, lo bacia) Jim... Jim... figlio mio...

Jim                                - (si stacca dal padre con rispettosa fermezza) So­no venuto a riferirti qualcosa... prima d'andarmene...

Joe                                 - Tu?

Jim                                - Un affare d'ordinaria amministrazione per te... un po' più importante, forse, per me... Martinez ed io, due ore fa, alla punta sud, abbiamo sorprese Guarendo e due piantatori...

Joe                                 - (nasconde la testa fra le mani, disperato).

Stanley                          - (guarda Joe, poi Jim, poi di nuovo Joe, esi­tando, fremendo per parlare).

Jim                                - (ha continuato) ... nell'atto di fare iniezioni vele­nose alle piante. Li abbiamo arrestati e portati qui. Pro­babilmente anche ora, tu, abituato a credere di non sba­gliare mai, sarai ancora sicuro che io...

Joe                                 - (fremendo d'orrore) Jim... Jim!

Jim                                - (continuando) ...sono un assassino!

Joe                                 - (dolorante) Basta, Jim.

Stanley                          - (scattando) Sì, basta!

Joe                                 - (con un grido) Banks!

Stanley                          - No! Basta. Parlerò, ora.

Jim                                - Sì, parla... parla, poliziotto del mio cuore, emulo di Sherlok Holmes... Raccontaci la tua inchiesta, per gradi, piano piano, col colpo di scena finale, col brivido te occorre...

Stanley                          - Sì, ti racconterò l'inchiesta proprio per gradi, piano piano... col colpo di scena finale e col bri­vido... non perché voglio mettercelo io, ma perché c'è...

Jim                                - Sentiamo...

Stanley                          - Ti ricordi quando incominciasti a studiare i problemi della gomma?

Jim                                - (feroce) Ah? C'è l'antefatto?

Stanley                          - Tutti i fatti hanno un antefatto... Chi ti consigliò di studiarli?

Jim                                - Io volli studiarli. Nessuno mi consigliò.

Stanley                          - Eppure ricordo benissimo che ci fu chi ti disse che, nei tuoi panni, si sarebbe formato una cultura di quello che formava l'essenza della vita del proprio padre...

Jim                                - (fissandolo) Cosa vuoi dire?

Stanley                          - E' vero o non è vero?

Jim                                - E' vero, ma questo non è che un suggerimento...

Stanley                          - Un suggerimento ben dato, a momento giu­sto, può diventare il primo gradino d'una grande scala... per scendere, beninteso, non per salire...

Jim                                - (ha un gesto di furore).

Stanley                          - Dopo quel primo suggerimento ce ne fu un secondo... io, nei vostri panni, non lascerei mio padre, alla sua età, lavorare da solo, stancarsi, sfibrarsi, per go­dermi la vita brillante sui campi di corse e nei grandi alberghi di Londra...

Jim                                - (tremando) Queste non sono che parole nobili...

Stanley                          - Nobilissime... degne d'essere ascoltate ed ammirate... è solo parlando nobilmente che un consi­gliere furbo riesce a conseguire il suo scopo... E lo scopo fu conseguito.

Jim                                - (gridando) Quale?

Stanley                          - Venire qui... nell'arcipelago! A dar l'ordine di agire! Segare gli alberi! Spargere il terrore!

Jim                                - (urlando) Silvia?!?

Stanley                          - Sì, Silvia, la spia! La sirena di cui Magidon s'è servito per incantarti!

Jim                                - (urlando) Miserabile... (Stanley lo guarda fisso, Jim gli si getta contro con i pugni alzati, ma non col­pisce. Improvvisamente, scattando, urlando) Silvia! (Cor­re al vano) Silvia! Silvia! Scendi, vieni qui, subito!

Eva                                - (si mostra sulla sinistra, spaventata).

Yvonne                         - (appare sul vano a destra, spaurita).

Wong                            - (entra dalla destra, si ferma).

Jim                                - (guarda gli astanti, terrorizzato; pausa, poi, a Yvonne) Dov'è Silvia?

Yvonne                         - (spaventata) Non so... L'ho vista scendere in giardino... M'ha detto ch'eri stanco e che voleva la­sciarti dormire.

Jim                                - (volge uno sguardo in giro, terrorizzato, in ulti­mo guarda Stanley).

Stanley                          - (con profondo dolore) Vedi, Jim... Non manca che lei...

Jim                                - (si precipita verso il vano).

Stanley                          - (parandoglisi davanti, fermandolo, affettuo­samente) E' inutile, Jim. Non c'è. più.

Wong                            - (senza guardare Jim, come se annunziasse un avvenimento normale) E' partita con la barca, un'ora fa.

Eva                                - Ah, già... ho visto dalla finestra una barca andare verso Sumatra... cos'è andata a fare?

Jim                                - (è nello stato di stupore che segue alle grandi catastrofi. Guarda Stanley, si scioglie da lui, sì volge verso il padre) E tu... tu sapevi, babbo...

Joe                                 - (con un singhiozzo) Sì, Jim.

JlM                                - E non hai parlato.... hai preferito esporti...

Stanley                          - Perché tu non sapessi mai... Per non darti questo terribile dolore...

Joe                                 - (commosso) Tu l'amavi tanto, Jim...

Jim                                - (scoppiando) Babbo... (si slancia verso il padre).

Joe                                 - (l'abbraccia, convulso) Jim... Mio povero Jim...

JlM                                - (piangendo) Babbo io l'amo... io l'amo... L'a­vranno trascinata, costretta... Bisogna raggiungerla, sal­varla...

Steven                           - (entrando dalla destra, in fretta) La nave è arrivata... Il capitano Ward verrà subito, appena a posto l'ancoraggio...

Jim                                - (supplichevole) Babbo...

Joe                                 - (con slancio, a Steven) Correte da Ward a dir­gli di ritirare l'ancora e disporre la rotta verso Su­matra... Noi arriveremo fra qualche minuto... non posso correr troppo a cavallo... (Steven esce in fretta).

Jim                                - (ha abbracciato il padre).

Joe                                 - Andiamo, Jim. (Esce dalla destra, Jim lo segue).

Stanley                          - (fa per uscire).

Wong                            - (gl'impedisce il passo).

Stanley                          - (lo fissa).

Wong                            - (basso, senza guardare Stanley) Non la rag­giungeranno.

Stanley                          - Sì!

Wong                            - (c. s.) La barca ha tre buchi nel fondo... ot­turati con resina e con sale... a quest'ora l'acqua del mare ha già sciolto il mastice...

Stanley                          - (atterrito) Wong!

Wong                            - Sì, signore.

Stanley                          - (fa per battere la mano sulla spalla di Wong, poi, come pentendosene, si slancia fuori dalla destra).

Wong                            - (lo segue impassibile).

Yvonne                         - (piange silenziosamente, con la fronte sul pet­to di Eva).

Eva                                - (stringe dolcemente Yvonne al seno, guardando fisso davanti a sé qualcosa ch'essa sola vede).

FINE