I seduttori

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I SEDUTTORI

Commedia in due tempi

di MARIO FRATTI

                                   

PERSONAGGI

VITTORIO, lo scrittore

LORENZO, l'attore

L'AMERICANA

Il PROFESSORE

La SIGNORA

AFRO

BENITO

DOMTO

ELIO

FORTUNATO

MARINA, la commessa

Il prestigiatore

La decapitata

Il lettore italiano

Il lettore tedesco

Primo cameriere

Secondo cameriere

Clienti dei due caffè

A Venezia, oggi

Commedia formattata da

PRIMOTEMPO

Una piazza. Al centro, una Libreria con vistosa vetrina. A sinistra, un caffè con orchestra (o juke-box), a destra, il Caffè-Accademia (triste e squallido), tavoli, sedie, vasi con piante, fanali. In angolo di ribalta, a destra, un albero ed una panchina. In primissimo piano, ad un metro dalle prime poltrone, collegata alla ribalta con due ponticelli veneziani ed una passerella, una bassa alcova con tendi­le chiuse. Nel caffè di sinistra, qualche cliente e il primo cameriere. Sulla soglia della Libreria, seduta su di uno sgabello, lettrice attenta, Marina, la com­messa: una giovane con occhiali. Nel Caffè-Acca­demia, nessun cliente e il secondo cameriere. L'orchestra suona musica americana; con discre­zione dovuta alla noia. All'inizio dell'azione è messo a fuoco, pienamente illuminato, solo il settore destro. All'interno del Caffè-Accademia, la sala biliardi è trasformata in aula scolastica. Noteremo: a destra, un biliardo e due sedie, in funzione di doppia cattedra, una lavagna e la carta geografica degli Stati Uniti; a sinistra, tavoli e sedie in fun­zione di banchi. Entrano Afro e Fortunato. Sono due giovani vestiti modestamente, spavaldi. Capelli corti, maglione, atteggiamento svogliato dell'ame­ricano cinematografico.

Afro                              - (indicando l'ambiente) Ecco l'aula. Ti trove­rai bene. Io ho già cominciato a lavorare. Una me­dia di duecento dollari al mese. Perché sono agli inizi, poco pratico. Tu conosci l'inglese meglio di me, ti affiderà clienti di riguardo. (Indica una delle due sedie che sono dietro « la cattedra ») Qui siede la moglie del professore. Ancora giovane, una bella donna. Dipende tutto da lei. Impegnati, ricama. Se ti boccia, non c'è possibilità d'appello. (Entra Benito, un giovane molto simile ai precedenti) Domanda a luì. Aveva portato il fratello. Niente da fare.

Benito                           - (svogliatamente) Ciao. Uno nuovo? (Gli dà la mano con molta cordialità).

Fortunato                      - Nuovo.

Afro                              - (a Benito, insistendo) Digli di tuo fratello. Benito (malvolentieri) Chi sa che aveva per la testa, quella! E' come me, mio fratello. Forse meglio. Questione di incompatibilità, a volte. (En­trano Corso e Donato, altri due allievi. Corso è molto più alto e robusto).

Corso                            - Hello!

Donato                          - Hello! (Prendono posto nei banchi, par­lottano in secondo piano).

Afro                              - Falle un bel sorriso appena entra. Può dipendere dalla prima impressione. Il professore è un povero disgraziato. Epurato, sì dice. Un disoc­cupato come noi. Si contenta del dieci per cento. Ha organizzato seriamente, ci conviene. Le dieci­mila per l'iscrizione te le presto io. (Gliele porge. Entra la « signora », una donna ancora giovane, bella, con il volto triste, impenetrabile). Corso e Donato (che l'hanno notata per primi, alzandosi con rispetto) Buon giorno, signora.

La Signora                    - Buon giorno.

Afro                              - (scusandosi di non averla notata subito) Non l'avevo vista, signora. Buon giorno. Le pre­sento uno nuovo: Fortunato. Fortunato (porgendo con imbarazzo la mano dalla quale ha fatto appena sparire la banconota) Lietissimo.

La Signora                    - (con distacco) Piacere. (Mentre For­tunato la squadra con ammirazione) Dov'è Elio? Posta per lui. (Mostra una lettera).

Corso                            - Non è ancora venuto. Gliela dò io. (Prende la lettera).

La Signora                    - (a Fortunato, facendogli cenno di seguirla) Venga. (Escono a sinistra). Corso (guardando la busta in trasparenza) C'è un cinquantone. Fortunato, quello. Non passa settimana...

Afro                              - (guardando con invidia la porta dalla quale sono usciti il suo amico e la signora) Fortunato quest'altro. Di nome e di fatto. La sua ora più. bella, qua dentro... (Entra Elio. Stessa età degli altri, più elegante).

Elio                               - (afferrando a volo l'ultima frase e indicando l'uscita col cenno del capo) Uno nuovo?

Afro                              - Uno nuovo.

Elio                               - (ironico) Ancora innamorato della padrona?

Afro                              - Stizzito, piuttosto. Una volta e basta. Una donna ti resta qua (si tocca la gola) se non ci fai tutto.

Corso                            - Posta.

Elio                               - Nonna Baby? (Prende la busta).

Donato                          - E' il solito cinquantone.

Elio                               - (baciando la busta) Cara. Se ce la facesse a tornare, a quella venerabile età, la tratterei meglio. (Ironico) Tu, Afro, come la tratteresti la padrona se ti permettesse una seconda volta?

Afro                              - Coi guanti. Come tutti voi, d'altronde. Nessuno di noi l'ha « avuta » sul serio.

Elio                               - Forse. (Legge la lettera che accompagna i cinquanta 'dollari) ... Mi sogna, desidera... Spera di tornare. - Dio la immobilizzi! - ...I dolori si pla­cano, ha fame dì tenerezze. Fame, dicono. Incre­dibile la resistenza di queste nonnine americane... (Entra il professore: un cinquantenne anziano, asciutto, duro; si alzano tutti in piedi. Elio fa sparire la busta con il denaro).

Tutti                              - Buon giorno, professore! Il Professore (con sussiego) Seduti. (Un silenzio. A Elio, sorprendendolo con una domanda che non si aspettava) Quanto ti ha mandato?

Elio                               - (preso alla sprovvista) Cinquanta... cinquan­ta dollari.

Il Professore                  - Versa le tremilacento. (Elio effettua il versamento sulla cattedra con ostentata indifferenza).

Elio                               - (mentre torna al banco, con cattiveria, vendi­candosi della percentuale) C'è uno nuovo, di là, con sua moglie.

Il Professore                  - (impenetrabile, senza dar peso) Ripassiamo qualcosa dalle lezioni precedenti. Tu, Donato. Qual è la capitale del Maryland? (Indica con la bacchetta lo stato su una carta geografica priva di capitali).

Donato                          - Annapolis.

Il Professore                  - Dell'Alabama?

Donato                          - Montgomery.

Il Professore                  - Del Kentucky?

Donato                          - Frankfort.

Il Professore                  - Tu, Benito. Quali sono i tredici stati che si federarono per primi?

Benito                           - (lentamente, contando sulle dita) Con­necticut, Delaware, Georgia, Maryland, Massachu­setts, New Hampshire, New Jersey, New York-Pennsylvania... South Carolina, North Carolina...

Virginia                         - (Non trova l'ultimo).

Il Professore                  - Manca uno. (Un silenzio).

Elio                               - (intervenendo) Rhode Island.

Il Professore                  - Bene. (A Elio) Quand'è nato Wash­ington?

Elio                               - Ventidue due 1732.

Il Professore                  - Lincoln?

Elio                               - Dodici due 1809.

Il Professore                  - (a Corso) Quante calorie contiene un succo di carote?

Corso                            - Cinquanta.

Il Professore                  - Un Hamburger?

Corso                            - Duecento.

Il Professore                  - Uno yogurt?

Corso                            - Centosessantacinque.

Il Professore                  - (ad Afro) Un esempio di cibo ad alte calorie?

Afro                              - Caviale, acciughe...

Il Professore                  - Basse calorie?

Afro                              - Sèdano, gelatina...

Il Professore                  - (a Elio) Un'americana a scheletro forte, alta, quante calorie dovrebbe ingerire al giorno?

Elio                               - Minimo, 1845. Massimo, 2580.

Il Professore                  - Bene. (A Corso) La vitamina A aiuta...

Corso                            - Vista e funzioni glandolati.

Il Professore                  - (a Donato) Quella C?

Donato                          - Ossa, denti, gengive, pelle.

Il Professore                  - (con compiacimento) Bene. E' evi­dente che non avete perduto né tempo né denaro. Grazie alla nostra Accademia siete sempre pronti a far ottima figura con le ospiti d'oltremare. Bene­meriti della Patria. Ora... (Rientra da sinistra la signora, scortata da Fortunato. Tutti gli sguardi sono ora puntati sulla donna che porge al profes­sore una « pagella ». Fortunato siede accanto ad Afro che gli rivolge domande sussurrate. Non cessa di guardare la signora che prende posto in cattedra. Risponde alle domande di Afro con distratti cenni del capo).

Il Professore                  - (dopo essersi consultato con la signora) Parere di mia moglie: favorevole. (a Fortu­nato) Can you speak English?

Fortunato                      - Yes.

Il Professore                  - Cominciamo male. Se dico « Can you? », devi rispondere « I can ». Se dico « Do you? », devi rispondere « I do ».

Fortunato                      - Ha ragione. Scusi.

Il Professore                  - Traduci, adesso. « Do you like Italy? ».

Fortunato                      - Le piace l'Italia?

Il Professore                  - Passeggiare.

Fortunato                      - To walk.

Il Professore                  - Amare.

Fortunato                      - To love.

Il Professore                  - Dormire.

Fortunato                      - To sleep.

Il Professore                  - Labbra.

Fortunato                      - Lips.

Il Professore                  - Carezza.

Fortunato                      - Caress.

Il Professore                  - Capezzolo.

Fortunato                      - Nipple.

Professore                     - Piede sottile.

Fortunato                      - Thin foot.

Il Professore                  - Sangue ardente.

Fortunato                      - Eager blood.

Il Professore                  - Col significato nostro, latino, meglio: « Hot blood ». Luna di miele.

Fortunato                      - Honey moon.

Il Professore                  - Tenerezza.

Fortunato                      - Tenderness.

Il Professore                  - Desiderio.

Fortunato                      - Desire.

Il Professore                  - Sogno.

Fortunato                      - Dream. (Una breve pausa. Il profes­sore cerca altre domande; legge il nome sulla « pagella »).

Il Professore                  - Traduci: « Mi chiamo Fortunato. Lo sono veramente, oggi. Ho incontrato lei ». Fortunato         - (sicurissimo, con buona pronuncia) My name is Lucky. I am really Lucky today.

I met you.

II Professore                 - (con compiacimento) Bene. Lavo­ ravi in proprio?

Fortunato                      - Quando ne capitava qualcuna...

Il Professore                  - Ricevi rimesse? (Indica denaro con il movimento delle dita).

Fortunato                      - ... No...

Il Professore                  - Vedi? Ti mancava l'or-ga-niz-za-zione. C'era la semina, la tua buona volontà. Non era però seguita dal raccolto dei frutti. Ovvia­mente. (Indica Elio) Oggi ha ricevuto cinquanta dollari. Tutti ne ricevono, di tanto in tanto. Uno    - (all'aula, vagamente) - uno che nessuno di voi ricorda - ha avuto in regalo una volta un paio di gemelli di rubini. Li ha rivenduti per « duemila­cinquecento » dollari. Una fortuna.

Afro                              - (al vicino, sottovoce) Non è vero. Lo ha letto in un romanzo di Williams.

Il Professore                  - (avvertendo il bisbigliare) Che ti dice quello? Non badargli. Legge troppo. E la fantasia gli prende la mano. Bene, Fortunato. (Guarda la signora che conferma con il cenno del capo) Ti accettiamo fra noi. Le diecimila dell'iscri­zione. (Alla signora) Tu raccogli i compiti. (Mentre Fortunato porta in cattedra le diecimila e firma una carta, la signora, fissata morbosamente dagli allievi, raccoglie i compiti. Dopo la firma, Fortu­nato riceve un elenco che va a leggersi al banco).

Il Professore                  - (dopo aver atteso che sia ristabilito il silenzio, cattedratico, assaporando le parole) Vedi, caro Fortunato - 'lo sei davvero ad essere fra noi - ho usato prima la parola « OR-GA-NIZ-ZA-ZIONE »... Con fondatezza. (Scandendo) Questa è infatti una organizzazione di prim'ordine, doman­da. (Gesto vago all'indirizzo degli allievi) Costruita con fatica per raggiungere anche dopo la sconfitta - nonostante la sconfitta - un altissimo scopo. Il miglioramento, per effetto del nostro purissimo sangue latino, delle altre razze. (Prende fiato) Qual è, oggi, la razza alla quale sono affidati i destini del mondo? La razza americana. Dobbiamo quindi rafforzarla, migliorarla, contribuire, noi, al nobilis­simo compito di difendere la civiltà. (Attenuando) Sono quindi qui - in una scuola aperta con intui­zione geniale - per darvi una cultura americana, mettervi in grado di sfruttare appieno le vostre, nostre qualità. L'Accademia cura infatti lo sfrutta­mento intensivo e razionale del nostro patrimonio virile. I tedeschi hanno una splendida industria siderurgica, gli statunitensi missilistica, noi... noi ne abbiamo creata una nuova: l'AMERICANA, la donna americana, la turista americana. (Scendendo ai dettagli, con tono più pratico) Nel foglio che ti ho appena consegnato c'è l'elenco delle nostre sedi in altre città, quello dei negozi che ci fanno sconti: il fioraio, il fotografo, il libraio et similia. Mandalo a memoria. Cominciamo ora dall'essen­ziale. Dove abiti?

Fortunato                      - Via Garibaldi.

Il Professore                  - Quartiere popolare, inadatto. Devi trasferirti qui, nei pressi. (A Elio) E' libera la camera in Bacino?

Elio                               - Sì.

Il Professore                  - Lo presenterai dopo a madame Lucilie. (A Fortunato) Un'amica. Cameretta forni­tissima. Un letto matrimoniale, liquori, musica, tele­fono. In questo sestiere. Posizione signorile, como­dissima. Nel suo albergo, l'americana non ti porta. Si vergogna. Lontano, non viene. Diffidenza. Il loca­le dev'essere a portata di mano. E «già pagato>. Nelle prime ore l'uso del denaro dev'essere infatti accortissimo. (Indicandolo con imperio) Pagherai sempre tu. II conto al restaurant, al caffè, altrove. Abbiamo fama di sfruttatori. Ti mostrerai così superiore, disinteressato. (Assaporando, con partecipazione) Ti domanderai: « Dov'è il .guadagno, allora? ». Non precipitare. Riceviamo giornalmente un rapporto dagli alberghi. Ci danno solo l'elenco delle signore che si trattengono almeno quattro giorni. (Sottolineando) Quattro, almeno. (A Donato) Perché, Donato? Spiegagli.

Donato                          - (in piedi, ripetendo la lezione a memoria) Il primo giorno paghiamo tutto noi. Il secondo le permettiamo una spesa piccolissima. Il terzo le raccontiamo la storiella.

Il Professore                  - Che storiella? Spiegagli.

Donato                          - (a Fortunato) Il terzo giorno ci presen­teremo con il volto « gloomy », tristissimo. « What's the matter, darling? », ci domanderà la ormai inna­moratissima pulzella. « Mio papà ha fatto falli­mento. Un crack spaventoso. Abbiamo perduto tut­to, denaro, casa, onore ». Lei pagherà il pranzo, poi la cena, ci rimborserà le spese sostenute in precedenza e... un bigliettone tira l'altro.

Il Professore                  - Siedi. (A Fortunato) Funziona sempre. Il primo giorno avrai avuto cura di pren­dere il suo indirizzo, darle il tuo. Lettere disperate, quando sarà partita, ve le scrivo o correggo io. Il vostro inglese non è perfetto. Ingegnoso, vero? Se è opportuno, poi, le seguirete anche nelle città più vicine. Le spese sono totalmente a loro carico, dopo la rivelazione fallimentare. Per voi, una piace­vole vacanza. (A Corso) Numero di telefono a Milano?

Corso                            - 482559.

Il Professore                  - A Firenze?

Corso                            - 53771.

Il Professore                  - A Roma?

Corso                            - 815683.

Il Professore                  - (a Fortunato) A memoria, questi. L'indirizzo della casa madre resta tuttavia il prin­cipale. Vi scriveranno tutte qui.

Afro                              - Non tutte, purtroppo.

Il Professore                  - Colpa vostra. (a Fortunato) Allude al fatto che qualcuna non risponde. Sarà colpa esclusivamente vostra. Non avrete lavorato con tatto, sensibilità, intelligenza. Conquistare un esse­re umano non è facile. (Continuando una lezione che conosce a memoria) Il nostro materiale grezzo, l'americana, può presentarsi sotto due aspetti. Quella che « sa » e paga. Quella che « non » sa e paga lo stesso. La prima è una donna astuta, soli­tamente moglie di qualche grosso industriale, abi­tuata a comprar tutto. Compra la merce sul posto, paga, « non » desidera pagare da lontano quanto non ha più sottomano. Nonostante le apparenze è proprio questa la cliente più difficile. Si tratta di convincerla che può avere di più, meglio. All'ultimo giorno apparirà nella vostra vita - la tirerete in bal­lo con fastidio, rammarico - la fidanzata esigente che dovevate vedere in quei ritagli di tempo che le avete negati. Capirà in quel momento che potete di più, meglio. Insisterete poi sulla vostra ripu­gnanza per il viver qui, il vostro desiderio di tra­sferirvi in America, accettare da lei « qualunque » sistemazione. Anche quella di valletto personale. Solo se sarete stati amabili, convincenti, riceve­rete posta. Un filo invisibile le avvincerà a voi, le costringerà a pagare. (Indicandolo) Benito, così laconico, apparentemente riservato, dà un senso di fiducia, forza. Riesce molto bene con questa cate­goria. Ci son poi quelle che non sanno, le roman­tiche. Divorziate o sedotte, abbandonate. Son quelle che rendono di più, anche se i primi approc­ci sono ovviamente più delicati, difficili. Descrivi tu, Donato, questi primi contatti.

Donato                          - (in piedi) Riceviamo dall'albergo il rap­porto, dal fotografo l'istantanea. A seconda della statura andiamo io o Corso. Attesa nei pressi dell'albergo, pedinamento, scelta del momento più opportuno per una cortesia. Salvataggio da un pap­pagallo - che paghiamo a parte -, intervento come interprete quando non riesce a capire perché deve pagare quella certa cifra, eccetera... Nei casi dispe­rati - quando avremo visto per esempio respinti con decisione uno o due « ganimedi in proprio » -ci procureremo l'amicizia di un americano, la faremo abbordare in qualche modo, ci faremo presentare. E' un metodo corretto, borghese, effi­cace. Si paga una prima consumazione, poi una seconda, poi il « dinner ». Distacco, signorilità, sfog­gio di un minimo di cultura americana, interesse ed ammirazione per il loro mondo. Si offre infine la gita in gondola - ti indicherò i nostri colle­gati - si comincia l'assedio vero. « Il gondoliere è cieco e muto ». Lo si dirà scherzando, rassicu­randola. Un braccio sulla spalla, una carezza. Non oserà rifiutare dopo tanta cortesia, correttezza.

Il Professore                  - « A patronizing attitude ».

Donato                          - Atteggiamento protettore, dolce, ancora discreto. Poi, lentamente...

Il Professore                  - (intervenendo) Ci si affida all'istinto personale, il fascino fisico, l'aggressività che ci è propria, a noi latini. Se si riesce in gondola, tanto meglio. Diventerà tutto estremamente più facile. Non si riavrà più dalla sorpresa - il passaggio da malcelato distacco a trepido assalto - e accetterà tutto, la vostra camera, la notte, i vostri guai, la vostra disperazione, poi, quando vostro padre fallirà. Domanda a mia moglie. (Si rivolge a lei) E' vero che dopo, dopo è troppo tardi? Nessuna donna ha il coraggio di tornare indietro, rifiutare?

La Signora                    - E' vero.

Afro                              - (afferrando la palla al balzo) Lei, signora, è il vivente esempio del contrario. Con noi -almeno credo - con nessuno di noi lei si è lasciata andare, dopo, ha accettato tutto.

Il Professore                  - (freddamente) Stiamo parlando di americane, altra razza, altra mentalità. (Sviando) Donato ha parlato di cultura, prima. Ecco perché oltre all'inglese e alla psicologia sessuale         - (indica la signora quale titolare della materia) illuminiamo su storia, geografia, igiene, alimentazione, religione, politica, sociologia et similia. Per permettervi di essere all'altezza, ben preparati, più interessanti. Benito, di' al nuovo allievo quali sono i due presi­denti che non è opportuno lodare.

Benito                           - (alzandosi in piedi) Lincoln perché fece un certo torto agli schiavisti del Sud, Roosevelt perché ha aumentato le tasse.

Il Professore                  - Elio, cosa non bisogna domandare mai ad una cliente di Washington?

Elio                               - (senza alzarsi in piedi) Se è vero che a Washington non si vota perché altrimenti vince­rebbero i negri.

Il Professore                  - Afro, quali sono gli autori italiani più conosciuti?

Afro                              - Moravia, Pavese, Carlo Levi, Danilo Dolci.

Il Professore                  - ... e da un po' Tornasi di Lampe­dusa: « Il gattopardo ». (A Corso) Gli scrittori ame­ricani da non lodare?

Corso                            - Arthur Miller che ha rifiutato di denun­ciare i marxisti di gioventù e Howard Fast che li ha sempre frequentati.

Afro                              - (correggendo) ... Howard Fast sì. Ha liti­gato con i rossi, tempo fa.

Corso                            - Non lo sapevo.

Il Professore                  - E' sempre più prudente ignorarlo. Un passato ce l'ha. (A Donato) Il poeta da non citare alle ebree?

Donato                          - (diligentemente) Ezra Pound. Nato nel 1885. Ancora vivo. Buon amico dell'Italia.

Il Professore                  - (a Fortunato) Per non sfigurare in poesia ti basta il volumetto « The pocket Book of Modera Verse ». Contiene poesie degli ultimi cento anni. Le meno noiose. Se vai dal libraio qui accanto (indica anche l'elenco) te lo fa pagare solo quattrocento. Imparane a memoria una di Frost e una di Sandburg. Sbalordirai. Fra gli autori da leg­gere e citare: Thomas Wolfe, 1900-1938; Ernest He­mingway, 1898-1961; William Faulkner, 1897-vivo       - Poi ci sono gli argo­menti delicati. Elencaglieli tu, Afro.

Afro                              - Missilistica, politica, religione.

Il Professore                  - Missilistica non tanto. Si può tor­nare a parlarne. Han riguadagnato un po' di ter­reno. Due anni fa sarebbe stata una gaffe imper­donabile.

Afro                              - Politica e religione.

Il Professore                  - Come ti regoli, tu, in politica?

Afro                              - Se proprio devo parlarne - quando ho esau­rito gli altri argomenti - per riempire i vuoti fra l'una e l'altra - (risate degli altri allievi) le racconto che avevo un minimo di interesse per il socialismo. Lo vado perdendo.

Il Professore                  - (a Fortunato) Capito? Non si sba­glia mai. Sanno vagamente che cos'è. Se ne hanno stima cercheranno di convertirti a quello ameri­cano: il Taylorismo. Se no, saranno liete di contri­buire ad allontanarti dal diavolo. (Ad Afro che è ancora in piedi) Siedi. Altro grosso guaio è la reli­gione. Fra Battisti, Protestanti, Discepoli di Cristo, Cattolici, Presbiteriani, Episcopali, Metodisti e Mor­moni, non ci si capisce niente. Qual è il compor­tamento più saggio, Benito?

Benito                           - (alzandosi in piedi, recitando) « Sono cattolico. Un po' scoraggiato da alcune interferen­ze politiche del Vaticano ma pur sempre praticante».

Il Professore                  - (a Fortunato) Hai capito? Se la cliente non è cattolica sarà entusiasta e commos­sa da questo velato rimprovero. Se è invece catto­lica - la minoranza - non se ne offenderà perché si sa che in Italia i rapporti fra Stato e Chiesa sono delicati... un problema di coabitazione... (Squil­la il telefono che è sulla cattedra; il professore risponde, prende appunti). Sì... Sì... Bene... Età? (Scrive) Statura? (Scrive) Sì... Vedova... (Scrive) Bene... Avete sviluppato le foto?... Mando l'incari­cato a ritirare... Sì... Grazie... (Riappende il ricevitore; spiega agli allievi) Ossigenata, statura media, vedova da otto mesi. Erede di alcune fabbriche di insaccati. Ha affittato un intero appartamento. Cinquantasette anni. Chi vuole andare?

Donato                          - Vado io.

Il Professore                  - Hai bisogno di un anticipo?

Donato                          - Cinquantamila.

Il Professore                  - (alla signora) Trentamila. Fattele dare da mia moglie. (Mentre la signora effettua il versamento e si fa firmare una ricevuta) Ricorda, allora. Prima ritiri la fotografia - che nasconderai accuratamente nel portafoglio - poi ordini i fiori. Non permetterle di spendere una lira. In gondola: distacco, malinconia, sprazzi di cultura. E all'ulti­ma mezz'ora, con la complicità della luna, laguna, notte...

Donato                          - D'accordo. (Ha ritirato i soldi, s'avvia a destra. Ai colleghi) So long!

Gli Allievi e Il Professore      - Auguri! (Esce).

Il Professore                  - (commosso, seguendolo con simpa­tia) Una mia creatura che se ne va. Una parte di me. Lo siete un po' tutti. Ed ogni vostra con­quista è mia. Amo attraverso voi, con voi. Hai qualche domanda da fare, Fortunato?

Fortunato                      - (lentamente) Se riusciamo la prima sera, in gondola, a che scopo dobbiamo continuare a pagare anche il secondo giorno?

Il Professore                  - L'esperienza ci insegna che spedi­scono di più se non sono sfiorate dal dubbio. Pa­gare alcune consumazioni anche dopo il possesso, la conquista, dà garanzia di moralità. Altro?

Fortunato                      - I fiori, chi li paga?

Il Professore                  - Io vi ho procurato lo sconto. Toc­ca a voi. Non dimenticate che a me viene solo il dieci per cento delle somme che voi incassate. (Fortunato siede di nuovo, parlotta con Afro) Al­tre domande? (Nessuna risposta) Vado ora a pren­dere il rapportino serale. Vi lascio con mia mo­glie. Per le domande psico-sessuali. (A Benito) Tu non ne hai bisogno. Vieni con me. Torniamo subito.

Benito                           - (ai colleghi) Bye, bye. (Escono. I quattro allievi rimasti fissano ora intensamente la signora; un lungo silenzio).

Afro                              - (aggressivo, spietato) Hai detto, prima, che dopo quella cosa, l'ora che passi con ognuno di noi, non dimentichi. E' difficile, per una donna. E' vero, è vero anche adesso che non c'è tuo marito che t'imbecca?

La Signora                    - E' vero.

Afro                              - Che un uomo « non si dimentica mai ».

La Signora                    - E' vero.

Afro                              - ...che nessuna donna ha il coraggio di tor­nare indietro?

La Signora                    - (con minor sicurezza) E' vero.

Afro                              - Dove lo trovi, tu, allora, il coraggio di respingerci, preferire quel vecchio?

Corso                            - Ti disgusta il nostro mestiere?

Afro                              - E la prima volta, allora, non lo sai lo stesso che lo facciamo per mestiere? Se veniamo qui è perché abbiamo accettato «l'organizzazione, il lavo­ro su scala razionale »...

Corso                            - Tuo marito non è come noi, peggio di noi? E' lui, in fondo, l'organizzatore, il fondatore, lo sfruttatore di una situazione. Se non mancasse il lavoro, in Italia...

Fortunato                      - E se pagassero salari onesti, suffi­cienti... Perfino il professore, forse...

La Signora                    - (troncando) Basta così. Vi insegna tutto. Gli dovete tutto.

Afro                              - E tu, che gli devi? (Una lunga pausa. La signora li fissa con severità. Vuole scoprire il vero valore di questa domanda).

La Signora                    - (freddamente) Quello che deve una moglie. Altre domande?

Elio                               - (dopo una breve pausa) Io sono stanco di vecchie. Posso sperare in una parentesi di giovi­nezza, qualche volta, con te? O mi tocca procu­rarmi una « fidanzatina »? (La signora lo fulmina con una occhiata severissima. Elio intimidito) Come non detto. (Nuova pausa imbarazzante).

Fortunato                      - (facendosi coraggio) Come giudica, lei, uno di noi, « una marchetta»?

La Signora                    - Non giudico. E' un mestiere come un altro. Se ci fosse per ognuno di voi un lavoro più dignitoso, vi comportereste meglio. Conseguenze della sconfitta.

Elio                               - ... Dice suo marito. (Agli altri) E lei ripete pappagallescamente. Ne è innamorata.

Corso                            - Incredibile.

Fortunato                      - Cosa si aspetta, una donna, da un uomo?

La Signora                    - (sviando un discorso troppo personale) Cosa si aspetta un'americana? Forse un'avven­tura latina. Forse lo stordimento. Forse un po' di compagnia.

Fortunato                      - E se la « mia » non appartenesse a queste categorie e fosse una brava ragazza come lei?

La Signora                    - Non sia avventato nei discorsi. Non sa niente di me. Non saprà niente di quella cliente.

Fortunato                      - Come si fa a conoscerla bene, una donna?

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La Signora                    - Le si permette di parlare. Si attende.

Fortunato                      - Se è una di quelle serie, pulite - ce ne sono - non avrà voglia di parlare. Attenderà in silenzio.

La Signora                    - Toccherà a lei, allora, descriversi. Lungamente. Per farsi conoscere. Senza mostrare insofferenza al suo silenzio, ad una eventuale ironia.

Fortunato                      - Che argomenti?

La Signora                    - Glieli insegnerà lui. (Indica la porta dalla quale è uscito il professore) Centinaia di notizie, col tempo. Per ora, per le prime clienti, si affidi all'estro. Argomenti vari, la sua vita...

Fortunato                      - (interrompendo) I miei guai.

La Signora                    - Quelli degli altri. Non dimentichi che è un figlio di papà, un papà che può permet­tersi dei crolli finanziari. (Una breve pausa).

Fortunato                      - Si può provare... la prima sera?

La Signora                    - Perché no? Con dolcezza, tenerezza. Alle donne piace l'uomo corretto, tenero e al tempo stesso abile. L'uomo sicuro di sé, apparentemente distaccato, incurante della conquista per la conqui­sta, l'atto sessuale per se stesso. Può. Con discre­zione. Fingendo disinteresse, prima, sorprendendo­la, quindi.

Fortunato                      - Ma avvertirà pure, ad un certo mo­mento, che lo scopo è quello... che le molte chiac­chiere servono solo a mascherare quel traguardo?

La Signora                    - Non le dia il tempo di pensare, rea­gire. Si adatterà subito, si adagerà nella nuova condizione.

Fortunato                      - (dopo una breve pausa) Sente la donna un amore vero? Se è realmente desiderata, preferita?

La Signora                    - Difficilmente. Sapete mentire bene. Specialmente voi professionisti.

Fortunato                      - E' in grado di avvertire odio, fastidio, repulsione? Non si possono amare tutte. Sono sentimenti che vengono a galla.

La Signora                    - Li mascheri con una scenata di gelo­sia, una crisi di violenza, un'eventuale promessa di matrimonio. Una donna sola, stanca, è suscettibi­lissima su questo tasto. Non dimenticherà mai una offerta spontanea, una crisi di pianto, una prof­ferta d'amore alla latina... Anche più tardi, mesi dopo, quando sarà sul punto di spedire i dollari, penserà a quella spontaneità, violenza, ai fiori con i quali le avrà riempito la camera. Tornerà in alber­go tardi, stordita, sorpresa. I fiori la commuove­ranno più di ogni cosa. Il professore lo sa. E le telefoni spesso, con desiderio nella voce. E sia sua cura averle dato, ai primi approcci, quando era ancora un signore, il suo indirizzo, il suo numero di telefono. Le scotterà nella borsetta. « Dovrà » chiamarla prima o poi. O scriverle. E' sola, non dimentichi. (Partecipe) Una donna sola è una cosa atroce. Non lo capirete mai, voi uomini. (Una breve pausa).

Fortunato                      - Lo dice con partecipazione. La difende.

La Signora                    - (sorridendo tristemente) Solidarietà femminile.

Afro                              - Io, per colpa tua, ho perduto qualche bat­taglia. Ero tanto preso dal ricordo di te che me la son fatta soffiare. Qualche consiglio per ricon­quistare una donna?

La Signora                    - Saper perdere. (Lo fissa) Nessuna donna dimentica chi sa amare, attendere in silen­zio, accettare la sua vita, la sua scelta. Saper per­dere, ragazzi, ci fa migliori agli occhi di tutti. Anche a quelli delle vostre clienti: quelle donne. (Torna il professore. Non è accompagnato da Benito. Mostra alcuni foglietti).

Il Professore                  - Benito ha trovato il suo ideale. E' già all'aperitivo. (Accennando ai rapportini) Non c'è male, oggi. (Consegnando a Corso note descrit­tive ed una fotografia) Adatta per te. Guarda che sospensioni. E leggi che conto in banca.

Il Professore                  - (consegnando ad Afro) Questa è longilinea, ieratica. Su misura. Hai il complesso materno, non ti vergogni dei capelli bianchi. (Con­segnando ad Elio) A te... la più difficile. Conosciamo le tue qualità. Diffidente, prevenuta. Ha fatto im­pazzire uno di Roma. Se non ce la fai tu... Gentle-men, auguri. (Li congeda).

Gli Allievi                     - (a soggetto) Grazie, professore. So long, professore! Arrivederla, signora! A domani   - (/ tre allievi escono).

Il Professore                  - (paterno, a Fortunato che è l'unico rimasto) A te, Fortunato, la migliore. Non hai ancora lo stomaco per le sinistrate. Una splendida italoamericana di trent'anni. E' arrivata l'altro ieri e si trattiene ancora un po', prima di andare a Milano. Stringere i tempi, quindi. (Mostra la foto­grafia) Guarda che occhi tristi, belli... Ancora gio­vane, colta, una musicista divorziata... Unirai l'utile al dilettevole... (Gli batte una mano sulla spalla) Ciao. (Lo segue con simpatia mentre si avvia. For­tunato indugia prima d'uscire, guarda la signora senza trovare il coraggio di salutarla) Saluta mia moglie, su. (La indica con il gesto).

Fortunato                      - (timidamente) Arrivederla.

La Signora                    - Arrivederla. (Fortunato esce).

Il Professore                  - Tutti felici, hai visto? Dà ad un italiano il gusto dell'avventura erotica e ne fai un trionfatore. Sono come i bambini, gli italiani. Amano il frutto proibito. Un complesso religioso di cui non li libererà nessuno. Divorziate, sedotte, mogli ripudiate. Purché siano mogli. Le donne di qualcuno. E per un italiano anche una divorziata è una moglie. Gli basta invadere il terreno altrui, per essere felice. (Una pausa. Il professore va alla finestra, scosta la tendina offrendo le spalle alla signora che lo fissa intensamente).

Il Professore                  - (senza voltarsi) Ti piace questo nuovo, mogliettina? (Un silenzio) Perché non rispondi, mogliettina?

La Signora                    - Uno dei tanti. Tutti uguali.

Il Professore                  - Ho... idea... che questo riesca bene, ci porti buone percentuali. (Una pausa; la osserva) Fa una buona impressione. (Una breve pausa) Anche a te, mogliettina. Me ne sono accorto.

La Signora                    - (sempre triste, impenetrabile) Il tuo fiuto comincia a far cilecca.

Il Professore                  - (guardando di nuovo Fortunato che si allontana) Spalle solide, da bersagliere. (Una breve pausa) Ti piacciono i bersaglieri, mogliettina?

La Signora                    - (mentre lui continua a guardare l'ester­no, esplodendo con dolore) Perché insisti nell'at­tribuirti una donna come me, una...? (Con soffe­renza) Ti umili continuamente, così. Hai fatto già troppo, per me, ritirandomi dalla strada...

Il Professore                  - (senza voltarsi) Sono io in debito. (A lei che lo fissa con interrogazione, voltandosi, lentamente) Il mondo è tutto un « fregatolo », te l'ho detto. (La fissa, spiega) Le diecimila dell'iscri­zione non le scucirebbero se non ripetessi loro che mi appartieni « legalmente », se non dessi loro una contropartita importante: «mia moglie »... (Indica l'esterno, Fortunato che si allontana) Passo sicuro, vedi? E' felice. Ha avuto una « moglie », va a caccia di altre. Un mestiere piacevole, lusin­ghiero. (Ironico, alato) Verso la meravigliosa avven­tura... Riempirà il gran vuoto nella vita di una donna disperata? Spezzerà un destino? (Stringen­dosi nelle spalle) A noi interessano le diecimila di oggi, le future percentuali. A lui, la nuova indu­stria: l'AMERICANA...

(Note musicali vibranti, alte, mentre viene miglio­rata l'illuminazione nella zona centrale del palco­scenico, dove troneggia la Libreria. Entra da sini­stra Lorenzo, l'attore. E' signorile, elegante, sicuro. Un raffinato gentiluomo. Si dirige verso Marina, la giovane commessa che, per tutta la durata della « lezione », era restata appollaiata sul suo sga­bello, intenta a leggere).

Lorenzo                         - Buon giorno, Marina. E' dentro?

Marina                           - No. Ha telefonato da casa che non viene. Sta scrivendo.

Lorenzo                         - Anche a me ha telefonato. Di venire.

Marina                           - (senza dare importanza) Avrà finito, allora.

Lorenzo                         - (dopo una pausa, quando Marina tenta di leggere di nuovo) Ha incontrato qualcuna?

Marina                           - (senza sollevare il volto) La solita americana.

Lorenzo                         - Era tutto eccitato, al telefono.

Marina                           - Lo è sempre, con le tardone.

Lorenzo                         - Giovane, mi ha detto.

Marina                           - (ridendo forzatamente) Più di quaranta, in ogni caso. Evidentissimi.

Lorenzo                         - Significa « trenta », sulle labbra di una rivale. Gelosa?

Marina                           - Io? Non è mica mio marito.

Lorenzo                         - Ha mai provato, con te?

Marina                           - (freddamente cortese) Fatti miei, signor Lorenzo.

Lorenzo                         - Scusami. So che sei una sua ammi­ratrice.

Marina                           - (precisando) Delle sue poesie. Meritano.

Lorenzo                         - Io non le capisco.

Marina                           - Ma gli fa la corte per farsi scrivere una commedia « personale », calibro suo.

Lorenzo                         - Era il migliore, a scuola. Vinceva sem­pre i « Ludi Juveniles ».

Marina                           - A scuola. A quei tempi.

Lorenzo                         - E' stato pure segnalato al Premio « Ric­cione », recentemente.

Marina                           - Chi non è stato segnalato al « Riccione »? Solo a... , ventisette probi professionisti della penna.

Lorenzo                         - Ce l'hai con lui, oggi.

Marina                           - E con lei che lo incoraggia, lo spinge a scrivere per l'inviso, inutile teatro. Trascurando l'unica vera arte: la poesia. (Aggressiva, sprezzante) Con tutti i suoi soldi, se ne vada in America, da Strasberg, all'Actors' Studio. Imparerà a reci­tare... e...

Lorenzo                         - (offeso) Prego. Io « so » recitare.

Marina                           - ...Realizzerà il suo sogno, allora. Reci­tare sul serio.

Lorenzo                         - (allettato, titubante) Non parlo l'inglese. Come farei?...

Marina                           - Lo imparerebbe là, sul posto.

Lorenzo                         - Potrò mai recitare in un'altra lingua? E' umanamente possibile?

Marina                           - Piuttosto che non recitare mai qui, in Italia, meglio delle particine da « straniero balbu­ziente », là.

Lorenzo                         - Tu non hai fiducia in me. Né in Vit­torio.

Marina                           - E' il direttore. (Indica con il cenno del capo la Libreria) Quel tanto che basta.

Lorenzo                         - (dopo averla studiata) Ce l'hai con lui perché corteggia le americane. Quest'ultima, poi, ti brucia.

Marina                           - (sfogandosi) Forse. E' comunque inde­gno che un intellettuale serio debba... procurarsi delle emozioni, per scrivere. E quelle disgraziate delle americane ne pagano le spese. Mi sembrano tanti vasi di coccio in mezzo a botti di ferro.

Da un lato                     - (indica l'Accademia), quattro disoc­cupati aggressivi per fame.

Dall'altro                       - (indica la Libreria), poeti a caccia di emozioni. E chi ci rimette le penne, poi...

Lorenzo                         - (ironico) Siete voi fanciullette. Trascu­rate e... tradite.

Marina                           - (con finta indifferenza) Noi? Siamo al sicuro, noi. (Ironica) Troppo pericolosa, la purezza, per i destini di un poeta. Meglio le viaggiatrici romantiche, le tardone deluse, l'adulterio a buon prezzo. (Con rabbia) Son così presi dal desiderio delle mogli altrui, dalla mancanza di rischi che non vedono nemmeno... (Entra di corsa Vittorio, lo scrittore, con un rotolo di fogli sotto il braccio. E' giovanile, pieno di vita, febbrilmente esaltato).

Vittorio                         - Trovata! Una creatura adorabile, dolce, umile. Una tenerissima storia d'amore. Ieri, qui. Ho cominciato una commedia meravigliosa. Sin­cera, fresca, vera. Bisogna viverla, una situazione, per scriverne, farla sentire. La più bella storia d'amore che scrittore abbia mai dedicata ad un amico, ad un attore come te. Un trionfo per entram­bi. Anche per te che parteciperai all'azione, vivrai i miei sentimenti, godrai la dolcezza dell'incontro. Più per te che darai vita al personaggio dell'amante. Leggi... (Porge i fogli, segue la lettura con parteci­pazione. Lorenzo legge ma non sembra eccessiva­mente entusiasta del contenuto. Vittorio segue la sua mimica, è contrariato dall'espressione d'indif­ferenza suscitata da pagine di cui è evidentemente innamorato).

Lorenzo                         - La solita americana che indugia negli acquisti...

Vittorio                         - (strappandogli i fogli di mano) No. Non capisci, così, non vedi... (Ricostruendo) Ero seduto qua, come sempre. (Sposta due sedie) La vedo avanzare con lentezza... un passo stanco, pieno... Occhi bellissimi. Ha sentito subito il fuoco del mio sguardo. (Lorenzo indietreggia in ombra, Vittorio evoca da destra l'americana, una bella creatura con vestito insolitamente dimesso ed una borsa di paglia ricolma di acquisti. Vittorio si alza, la segue fino alla vetrina dei libri dove l'americana indugia sentendosi osservata. Marina, appollaiata sullo sga­bello, continua, imperturbabile, a leggere).

L’Americana                 - (rivolta a Marina, in un italiano pitto­resco perché ricco di espressioni proprie dell'ingle­se, con pronuncia esotica) Avete ottenuto, prego, « Among women only », by Pavese? Titolo italiano...

Marina                           - (senza sollevare lo sguardo, con professio­nale esattezza) « Tra donne sole », dal volume «La bella estate», Einaudi. Prima edizione: 1953. Tradotto da D.D. Paige. E' in arrivo la ristampa. Abbiamo molte prenotazioni. Lo distribuiamo a giorni.

Vittorio                         - (intervenendo) Forse sì. Ancora una copia. All'interno.

L’Americana                 - (senza voltarsi « sentendo » la sua pre­senza) La giovane lady ha detto no. (Si volta; si fissano).

Vittorio                         - (rapito in lei) Occhi-belli, la prego... (Le indica l'interno della Libreria).

L’Americana                 - (senza abbassare gli occhi) Avete al minimo una traduzione francese?

Vittorio                         - (con allegra sincerità) In verità, no. Nessuna traduzione ma la prego, entri. I suoi occhi sono meravigliosi. La prego...

L’Americana                 - Non amo back rooms.

Marina                           - (senza sollevare il volto dal libro, con indif­ferenza, quasi fosse un robot-traduttore) I retro­bottega.

Vittorio                         - (non ringraziando Marina nemmeno con lo sguardo) Allora fuori, qui, la prego... (C'è qual­cosa di teneramente comico nei suoi atteggiamenti. L'americana ne è incuriosita, vinta e prende posto al suo tavolo nel caffè di destra. Si fissano a lungo. Vittorio è in ammirazione. Con evidente sincerità).

L’Americana                 - (con imbarazzo) State bevendo nel mio volto. Vi prego, no. Mi imbarazza...

Vittorio                         - Il suo volto è luminoso. Non posso non goderne la luce.

L’Americana                 - Mio marito disse così. La prima volta che ci parlammo. (Una lunga pausa. Vittorio sembra rattristato) Arriverà domani? (Vittorio non pensa al libro, non le risponde) L'ho già letto. Da copertina a copertina. Poi l'ho prestato...

Vittorio                         - E' qui con lei?

L’Americana                 - (che ha subito capito il riferimento al marito) No. (Una pausa).

Vittorio                         - Non è piacevole viaggiar soli.

L’Americana                 - Ogni nuvola ha una fodera d'argen­to. (Vittorio non capisce; ne è a disagio. Marina, senza sollevare il volto, traduce).

Marina                           - Ogni medaglia ha il suo rovescio.

Vittorio                         - (rianimato dalla traduzione) Grazie. Dice per me... il nostro incontro.

L’Americana                 - Uno gode meglio la città. Uno ha tempo libero...

Vittorio                         - (prendendole la mano che l'americana ritirerà poi lentamente) Grazie. Le piace Venezia?

L’Americana                 - La mia tazza di tè.

Marina                           - (sempre senza alzare gli occhi dal libro, venendo in aiuto di Vittorio) La città che preferisce.

L’Americana                 - Siete un nativo?

Vittorio                         - Venezia, sì.

L’Americana                 - Nato con un cucchiaio d'argento in bocca.

Marina                           - Fortunato.

Vittorio                         - Parla bene, lei, l'italiano. Con espres­sioni strane.

L’Americana                 - Strane?

Vittorio                         - Pittoresche, sì.

L’Americana                 - L'ho imparato da papà. Nato qui, in un villaggio dei vostri, sul mare. Egli parla così. Traduce parola per parola. Uno risparmia lo studio della grammatica, la costruzione...

Vittorio                         - Anche suo marito, italiano?

L’Americana                 - No.

Vittorio                         - Capisco, allora, perché viaggia sola.

L’Americana                 - Perché?

Vittorio                         - Perché suo marito non è italiano. Non è geloso della sua bellezza.

L’Americana                 - Oliate la vostra lingua.

Marina                           - (sempre con il volto sul libro, traducendo) Adulate.

Vittorio                         - No. Sento veramente la sua bellezza. Ne sono turbato.

L’Americana                 - La bellezza è profonda quanto la pelle.

Vittorio                         - (baciandole la mano) Tutto è bello, in lei.

L’Americana                 - Una bianca bugia.

Marina                           - Giustificata.

Vittorio                         - Anche il suo modo di parlare... La adoro.

L’Americana                 - A tutte le clienti, così?

Vittorio                         - (con sincerità) Oh, no, le giuro. Ho sen­tito il mio cuore battere forte « prima » di vederla. Un presentimento di gioia. L'ho sentita avvicinarsi. Tenerezza, in me, le giuro.

L’Americana                 - E' facile giurare. Facile come mentire.

Vittorio                         - (baciandole di nuovo la mano che non le permetterà più. di ritirare) No. Sarebbe delitto mentire con lei. La prego, mi creda, aiuti. Sento che nasce qualcosa di bello, in me. Non uccidiamo il bello. Sento che... (La bacia più volte sulle mani).

L’Americana                 - (sorridendo, commossa) Mi piace la vostra guancia.

Marina                           - (avvertendo lo sguardo fra sorpreso e lusin­gato di Vittorio) ...la vostra sfacciataggine.

Vittorio                         - Guancia, dite... Carino.

L’Americana                 - (cercando lo sguardo di Marina, per ringraziarla) Sfacciataggine, sì, dite meglio...

Vittorio                         - Una dolce sincerità... Mi sento felice, nuovo... La prego, non sciupiamo questa bellezza-Ora... (Si alza) Ora desidero baciarle la fronte, gli occhi... Non si ritragga, non mi dia questo dolore. Mi limiterò, lo giuro, mi limiterò a... (Le bacia più volte la fronte, gli occhi, con rispetto. L'ameri­cana, turbata, si leva in piedi, dà uno sguardo alla commessa, si sente a disagio).

L’Americana                 - (con imbarazzo) Prego... Ci guar­dano... (Osserva Marina) La giovane lady non...? (Indica Marina che non si distoglie dalla lettura) Lei non...?

Vittorio                         - (ravviandole i capelli) Una ragazza di­ligente. Saggiamente miope. Ci allontaniamo un po'? (La vince con il gesto).

L’Americana                 - (turbata) Sono una canna scossa con il vento... Nemmeno parlarvi volevo quando ho sentito il vostro sguardo con l'angolo dei miei occhi... (L'accompagna a destra fissandola con te­nerezza. Permette all'evocazione di scomparire). Vittorio (tornando indietro con entusiasmo, quasi aggredendo Lorenzo che esce dall'ombra, mentre l'orchestra attacca un nuovo motivo) Divorzia­ta, capisci! Delusa, assetata, stanca! La moglie di un ingenuo peccatore. E' lui che ha chiesto il di­vorzio. E' lui che me la butta fra le braccia! Li­bera, dolce, commovente. Una storia tenera tenera, te lo prometto. Le costellavo il volto di baci, mi guardava con occhi limpidi... (Mentre comincia a preparare un tavolino, a disporre le due sedie vi­cinissime) Mi torna adesso, ha detto di sì... (am­miccando) « di non leggere il suo silenzio come consenso... ». Indicativo, in una donna. Muta, gli ultimi momenti. Nemmeno una parola. Quasi tri­ste. Una « lucida mestizia », direi in poesia... (Pensa a quel comportamento, a quella « mestizia », nell'americana) Torna, la vedrai... Prima di baciarla le ho detto: « Desidero le tue labbra, ora. Mi av­vicinerò lentamente, le cercherò... Per darti il tem­po di respingermi, rifiutarmi ». La volevo sponta­nea, scoprivo prima le carte perché tutto fosse più bello, non ci fosse violenza, equivoco. Sembravo innamorato, sincero. (Ripensandoci) Me ne stu­pivo. (Resta soprappensiero per un attimo) Un ba­cio struggente, di quelli al limite fra realtà e so­gno. Era lei a cercarmi, aggrapparsi. Se avessi vo­luto, ieri sera stessa... Ma ho preferito darle il tempo di riflettere.

Lorenzo                         - Hai la Rossana, a mezzanotte.

Vittorio                         - Anche. Ma era più che altro per darle tempo, godere di una spontaneità. Creatura mera­vigliosa, sensibilissima. Una musicista.

Lorenzo                         - (indicando i fogli) E' protagonista lei, finora. E' a me che devi dar risalto. (Vittorio sem­bra non udirlo tanto è preso dalla preparazione del tavolo, dalla sistemazione delle piante) Come fai, qua, con quell'impalato? (Indica il secondo cameriere, impettito e sornione).

Vittorio                         - Decorativo, utile. Se vengono clienti. (Si ricorda di lui, lo priva del tovagliolo, gli ap­pende al collo un cartello che stacca da un lam­pione. Nel cartello leggiamo ora, vistosamente scritto: « Cessi in riparazione fino a Natale ». Tra­scina avanti il cameriere ponendolo in posizione tale che i clienti si sentano convogliati nel caffè di sinistra. Fissa il cartello, fatto in modo che dopo « in riparazione » ci sia uno spazio bianco, glielo toglie, scrive con il carboncino, nello spazio vuoto, fra la seconda e l'ultima riga: « Arrangiatevi ». E' soddisfatto del suo capolavoro, fa un passo indie­tro, mette il tovagliolo sul braccio dello sbalordito Lorenzo) Per tutte le evenienze... (E' ancora in am­mirazione del cartello. Ricordandosi di Lorenzo) Anzi, con questo  - (indica il tovagliolo) se senti un suono falso nelle mie parole - distacco, freddezza -pulisci il fanale. Ti noterò, migliorerò il tono. (Pren­de una seconda tovaglia, copre le gambe del suo tavolinetto).

Lorenzo                         - (sempre più sorpreso) Che fai, adesso?

Vittorio                         - (seriamente) Per la censura. Se comin­cio a tastarla da qui. (Entra da destra l'americana. Vittorio le va incontro, la bacia castamente sulle labbra, l'accompagna al tavolo. Si guardano a lun­go in silenzio. Il cartello esibito dal cameriere fa il suo effetto. I clienti vengono indirizzati al caffè di sinistra dove un prestigiatore inizia abili giochi con le carte. Fra i clienti, qualche « allievo » del­l'Accademia e qualche turista) Non credo ai miei occhi... Sei qui. Posso specchiarmi nel tuo volto, carezzarti la mano... (La carezza).

L’Americana                 - (lentamente) Buona quanto la mia parola.

Vittorio                         - Buona, sì... ti aspettavo... dormito bene?

L’Americana                 - No. Pensavo.

Vittorio                         - A noi?

L’Americana                 - Anche... A quante avrai dato l'occhio lieto... guardate con desiderio... invitate den­tro. (Accenna alla Libreria).

Vittorio                         - (con sincerità) Difficile giurare. Suona falso. Ma anche se ne avessi conosciute cento, per te sento qualcosa dì nuovo... Nemmeno io ho dor­mito. (Una tenera pausa).

L’Americana                 - (lentamente) Io anche, qualcosa, dentro... il nostro strano incontro... il tuo compor­tamento ieri sera... (Vittorio le bacia ancora la mano) Avevo pensato di andarmene alla francese. Senza rivederti...

Vittorio                         - Ti adoro... la tua mano... (la bacia di nuovo) il tuo modo di parlare... il desiderio che hai saputo vincere - il desiderio di sfuggire all'istin­to - la spontaneità che ci fa sentire già vicini, intimi...

L’Americana                 - (mentre Vittorio, attirato dai giochi di carte del prestigiatore, è distratto) Io ho un timore... paura, dite meglio... del sentimento che nasce dentro, dei tuoi occhi... sapienti e spietati come quelli di Steve, mio marito... paura di... (Si domina, tace. Lorenzo, che ha notato il distacco di Vittorio, pulisce rumorosamente il fanale per farsi notare, per ricordargli di esser affettuoso. Vittorio si scuote, realizza., le bacia di nuovo la mano, sente riecheggiare nel suo orecchio la parola « paura ).

Vittorio                         - Hai spesso paura?

L’Americana                 - Una volta in una luna azzurra.

Vittorio                         - Mai, allora.

L’Americana                 - Quasi mai.

Vittorio                         - Io mai... (Recitando) Se il tremore che mi tormenta l'anima da ieri, non è paura... (Si fis­sano con tenerezza).

L’Americana                 - Quando mi guardi così, ti sento sincero... (Vittorio la stringe a sé, le bacia il collo. Con imbarazzo) Guarda a noi la giovane lady? (Vittorio dà uno sguardo alla commessa che, ap­pollaiata sullo sgabello, continua a leggere senza sollevare gli occhi dal libro).

Vittorio                         - No.

L’Americana                 - Ti ama?

Vittorio                         - (sorpreso) Perché me lo domandi? (Scherzosamente minaccioso) Voi donne... Mi cono­sce. No. (L'americana lo studia per rendersi conto di quanta verità e quanta ironia ci siano in quelle parole).

L’Americana                 - Ti conosce. No... (Vittorio la bacia di nuovo sul collo e ne approfitta per riosservare, senza farsene accorgere, l'abile prestigiatore) Io non so niente della tua vita... (Lorenzo avverte la distrazione dell'amico, pulisce di nuovo il fanale riuscendo a farsi notare, a fargli seguire le parole dell'americana) ...niente... Ti ho parlato molto dì me, ieri... Volevo tu mi conoscessi... sapessi tutto...

Vittorio                         - (riprendendosi) Ti ho seguita con inte­resse, gioia. Qualunque cosa tu dica ne son felice, ne cresce il mio amore... Voglio che tu mi accetti così come sono... con i miei occhi, la mia bocca, il tono della mia voce, il calore del mio desiderio... (La bacia sulla bocca. Il secondo cameriere, quello che ha deviato i clienti a sinistra con il suo car­tello, e a sua volta attirato dall'abilità del presti­giatore. Appende il cartello al fanale, cerca di con­fondersi fra i clienti. Imitando gli atteggiamenti di un giovane americano, si scompiglia, intasca la cravatta, infila nel collo della camicia un fazzo­letto, mette i piedi sul tavolo. Vittorio recitando) Quanto di bello stiamo vivendo, vivremo, è pre­potenza di spontaneità, forza dì desiderio, attra­zione divina... Il tremito che mi vince, che forse tormenta anche te, è profondità d'amore...

L’Americana                 - Ho paura, io... paura di vivere... domandare... (La signora ed il professore, prove­nendo dall'interno del caffè di destra, sono nel frattempo entrati e siedono ad un tavolo. Il pro­fessore fa cenno a Lorenzo-cameriere di avvici­narsi).

Il Professore                  - Sei il nuovo cameriere? (Lorenzo è impacciatissimo) Portaci due bibite. Dolce, a me.

La Signora                    - La stessa. (Nota Vittorio e l'ameri­cana; li riconosce, probabilmente, perché ne parla al professore indicando anche la Libreria. Lorenzo, dopo aver preso l'ordinazione, indietreggia con impaccio. Non sa come sbrigarsela. Risolve il pro­blema sottraendo un vassoio dal tavolo di un di­stratto cliente del caffè di sinistra. Vittorio e l'americana si alzano, avanzano abbracciati verso di noi, attraverso il ponticello di sinistra).

Vittorio                         - Una dolce paura, amor mio... Quella della felicità... (Entrano nell'alcova a noi vicina, celandosi al nostro sguardo. Lorenzo che è final­mente riuscito a servire il professore e la signora, nota con sorpresa che Vittorio e l'americana sono scomparsi. Nonostante il professore cerchi di trat­tenerlo per reclamare sul sapore della bibita -« Dolce, avevo ordinato, dolce!... » - esce a destra alla ricerca dell'amico Vittorio). Il Prestigiatore (mentre vengono attenuate le luci per creare un'atmosfera di sogno ed il professore va a reclamare all'interno del Caffè-Accademia) Ed ora... Und jetzt... And now, maintenant... (Ab­bozza un inchino) Frauen, Ladies, Mesdames... (Fra i clienti del bar prevalgono gli uomini ma il presti­giatore fa quel che può con le poche parole stra­niere che ha appreso per contingenti esigenze pro­fessionali) mostrerò, l'I! show... prodigi di fusioni, confusioni, apparizioni... (Mentre una dolce musica fa da sottofondo, esibisce a curve serpentine un primo fazzoletto bianco, poi un secondo) Primo fazzoletto bianco, secondo fazzoletto bianco... deux mouchoirs, two, zwei... (vengono fusi, confusi, separati, annodati), li metto nel cilindro... uno-due... (Effettua lentamente; capovolge il cilindro su un tavolinetto) Diamo loro del tempo... Zeit, tìme, du temps... (Schiocca le dita: viene spinto in avanti il solito tavolino a specchi con la decapi­tata) Ed ora vi mostrerò la vittima del più tragico incidente del secolo... La donna lavora (fa cenno al direttore d'orchestra di suonare il motivo tele­visivo « la donna che lavora »), in questo secolo, è soggetta agli incidenti di questo periodo di feb­bre... (Indica la testa) Azionatrice di una sega a ruota che serviva per tagliar altri... altro - mi cor­reggo - ne è stata decapitata... (Si passa la mano sulla gola con gesto universale) Fortunatamente, Luckily... Gliicklicherweise... era a portata di mano un chirurgo americano e... « puntiperfettipuntiper-fettipuntiperfetti »... ha, con provvidenziale inter­vento, suturato le arterie permettendo almeno alla testa di sopravvivere... (Alla decapitata) Come ti senti?

La Decapitata               - Sola.

Il Prestigiatore              - E' vero. Suo marito, egoista, non ha più tempo, per lei. (Di nuovo alla decapitata) Fisicamente, volevo dire, come ti senti?

La Decapitata               - Mutilata, vecchia, stanca. Il Prestigiatore - (ai clienti del caffè e agli spettatori in sala, traducendo solo l'ultimo aggettivo) Miide, tired, fatiguée... E non fa niente tutto il giorno. Figuriamoci voi... (con arguzia, correggen­dosi) quelli che lavorano per voi... (Si ricorda del cilindro, lo solleva, ne estrae, lentamente, un faz­zoletto rosso. Mostra con soddisfazione il cilindro che è ora vuoto) White and white: red. Weiss und weiss: rot. Blanc et blanc: rouge, mesdames... (Alla decapitata, mentre depone di nuovo il ci­lindro vuoto) Perché bianco e bianco si fondono nel rosso?

La Decapitata               - Per sete di vita.

Il Prestigiatore              - Pensiero valido. (Agli spetta­tori) Vedete che basta la testa per pensare valida­mente? (Alla decapitata) Che ne dici di questi messieurs che pensano con testa ed altro?

La Decapitata               - (tristemente) lo ho un timore... paura, dite meglio... (In questo momento, anche gli spettatori più sprovveduti hanno la conferma che il linguaggio della decapitata è lo stesso dell'americana. La prima simboleggia la seconda, non presentabile in palcoscenico durante l'amplesso).

Il Prestigiatore              - (sorpreso da una risposta non pre­ventivata) Paura?

La Decapitata               - Di te... (Al prestigiatore che la guarda con sorpresa) ...Mi sei troppo vicino... Ti sento troppo... Non voglio aver bisogno di te.

Il Prestigiatore              - (ridendo a mezza bocca) Nes­sun timore. Son già neutralizzato, io, coniugato... (Nella voce c'è una falsa allegria che la musica punteggia tristemente) Married, verheiratet, ma­rie... (Ride falsamente, indica gli spettatori) Salu­tali... Saluta... Saluta... (La decapitata, avvilita, in­differente a tutto, non saluta. Agli spettatori) Si vede che i doveri verso gli altri hanno sede in altra zona di pelle... (Le nasconde il capo sotto una sca­tola. Accompagnato dalla musica, poi, valendosi delle mani, della bocca, di un sigaro, traccia nell'aria geroglifici, cerchi, lettere dell'alfabeto: parole di fumo) E per finire... (Tamburi) Frauen, Ladies, Mesdames... (Solleva il cilindro, mostra un palpi­tante coniglio) Dal rosso - simbolo d'amore, pas­sione . nasce un palpito... un cuore che batte... vi­brazione dell'essere... Rabbit, Lapin.. (Gli manca il termine tedesco) ... Katze con lunghe orecchie... (Cerca ancora) Come Katz si dice, in tedesco?... (tentando di spiegare) coniglio mit langen Ohren... Dal nulla, un cuore palpitante... Herz, heart, coeur... (Si inchina, esce; si attenuano lentamente le luci in secondo piano, viene messa a fuoco l'alcova le cui tendine si aprono. Vittorio, a torso nudo, sta passandosi un asciugamano bagnato sul collo e sotto le ascelle. L'americana è a letto, sotto un lenzuolo che le delinea il corpo. Lo fissa con amore, tristemente. Vittorio si volta, le lancia l'asciuga­mano bagnato).

L’Americana                 - (mentre lo passa sul corpo agendo sotto il lenzuolo) Neutralizzato, hai detto, coniu­gato... (Un breve indugio) Hai anche bambini?

Vittorio                         - Figli no. Questo vincolo no. Ma in Ita­lia è sufficiente il matrimonio a legare per tutta una vita. Il matrimonio è indissolubile, lo sai. Sacro. (Un lungo silenzio).

L’Americana                 - (tristemente, quasi a sé stessa) So young, so unfaithful... (Traducendo a Vittorio che la fissa stupidamente, senza capire) Così giovane, così infedele...

Vittorio                         - (mentre infila la camicia) Per amor tuo. (La bacia).

L’Americana                 - (con dolore, paura) Non sono an­cora le undici. Resta con me, questa notte...

Vittorio                         - (con l'allegro distacco di chi ha posseduto) Non posso. « Lei » è gelosa. (Silenzio sostenuto mentre lui finisce di vestirsi. Le si accosta, cerca di rincuorarla) Pensami... (guarda l'orologio) alle dodici, all'una, alle due. Ti penserò anch'io, bacerò. (Paterno) Alle tre, no. Devi dormire. (La bacia sugli occhi, si allontana a destra mentre l'alcova piomba nell'oscurità. Incontra Lorenzo in angolo di ribalta).

Lorenzo                         - Perché non sei restato?

Vittorio                         - (ammiccando) Istintiva, sincera, appas­sionata. Per prendermi una vacanza.

Lorenzo                         - Se la tratti bene, quella ti porta in America.

Vittorio                         - (duramente) Non mi piace l'America, lo sai.

Lorenzo                         - (con rapimento) Io andrei... I'Actors' Studio, Kazan, Stanislawsky... No, questo è russo... (Perplesso) Sarà un russo bianco.

Vittorio                         - (guardando in direzione dell'alcova) Mi sta pensando. M'ama! M'ama! M'ama! Bella la libertà, l'amore! (A Lorenzo) A proposito, ho speso tredicimila. E' per te che scrivo. (Lorenzo porge due fogli da diecimila) Non ho il resto. Anticipo sulla cenetta di domani!... (Sottobraccio, tornano in Libreria, verso l'immobile, impenetra­bile Marina).

SECONDO TEMPO

 (Stessa scena. Sera inoltrata della giornata seguen­te. Pochi clienti nel caffè di sinistra dove l'orche­stra suona svogliatamente. Il professore è sulla soglia del Caffè-Accademia e scambia delle occhia­te con la signora che è in piedi di fronte alla ve­trina della Libreria. Il lettore italiano sta interpel­lando Marina la quale ha notato anche la signora e mostra diligenza nel servizio).

Il Lettore Italiano         - (pigramente) Niente di nuovo di Miller?

Marina                           - Arthur, Henry o J. P.?

Il Lettore Italiano         - (intimidito da una domanda che gli rivela ben tre Miller; dopo una pausa, leziosetto) Quello sporco, pornografico.

Marina                           - Henry. E' in arrivo la ristampa. Abbia­mo molte prenotazioni. Lo distribuiamo a giorni. Questo è Arthur. (Porge un libro) Questo è J. P., uno del Texas. (Porge un secondo libro) Un gio­vane che scrive originali per la televisione. Glielo consiglio. (Mentre il lettore sfoglia) « Trappola per conigli ». Un realistico quadro di vita americana. Rapporti fra padrone generoso ed impiegato timi­do. Un gioiello. Lancaster e Hecht hanno girato la versione cinematografica.

Il Lettore Italiano         - (che ha terminato di sfogliare i due volumetti con imbarazzo anche perché som­merso da questa valanga di notizie) No, grazie. Scritti a dialogo. Dimentico sempre chi pronuncia la battuta. (Restituisce i libri, si allontana. Marina prende un volumetto dalla vetrina, lo porge alla signora).

La Signora                    - (molto sorpresa) Che cos'è?

Marina                           - Poesie americane.

La Signora                    - Non capisco... Non gliele ho chieste, scusi...

Marina                           - Credevo che fossero per suo marito. O per un suo allievo. E' il libro che comprano regolarmente. Il direttore ha anche concesso uno sconto speciale.

La Signora                    - (lentamente) Mi conosce, vedo.

Marina                           - Fra vicini... Ci si sorveglia a vicenda. Anche se non se ne ha l'intenzione.

La Signora                    - Non l'ho mai « sorvegliata », io. Non ne ho mai avuto il desiderio, io. Cosa può spin­gere a... « sorvegliare il prossimo »?

Marina                           - (riponendo il libro che le è stato restituito) Ammirazione, curiosità, invidia.

La Signora                    - Tutte e tre?

Marina                           - Una delle tre.

La Signora                    - Quale, nel suo caso?

Marina                           - Curiosità.

La Signora                    - Dica pure. La solleverò dal fastidio di « tirare il collo ».

Marina                           - Perché il professore - suo marito - inse­gna inglese in quel caffè e non in una scuola pubblica?

La Signora                    - Fu epurato nel '45.

Marina                           - L'ultimo epurato italiano, indubbiamente. Son tutti tornati ai loro posti. Come mai, lui?...

La Signora                    - (troncando recisamente) Non so. L'ho conosciuto dopo. Molti anni più tardi. (Una breve pausa) Confidenza per confidenza. E' il padrone quel signore che?... (Indica il tavolo dove siede so­litamente Vittorio).

Marina                           - Solo il direttore. E ci pagano maluccio. Pessimo cliente... per lezioni d'inglese, eventual­mente.

La Signora                    - (non raccogliendo l'allusione) E'... sposato?

Marina                           - Curiosità?

La Signora                    - Un tantino. L'ho visto, ieri, qui, con una signora che mi sembra di conoscere...

Marina                           - Quella è soltanto un'amica.

La Signora                    - Si potrebbe sapere... dove abitano? (Entrano in questo momento da destra Vittorio e Lorenzo, parlandosi; la signora non li vede).

Marina                           - (prontamente) Eccolo che viene. Lo do­mandi a lui.

La Signora                    - (senza voltarsi, dominandosi con diffi­coltà) Non importa, lasci stare. Scusi. Grazie. (Si allontana velocemente, raggiunge il professore, scompare con lui nell'interno del Caffè-Accademia).

Vittorio                         - (che non ha notato nulla, a Marina) S'è vista?

Marina                           - No. (Siede nuovamente sullo sgabello e riprende la lettura).

Vittorio                         - (mentre prendono posto al tavolo) Sono in ritardo. (Strizza l'occhio a Lorenzo) Fa parte del metodo. ...Ti dicevo... Quando una situazione la vivi, la senti, la sai anche descrivere. Ne farò un capolavoro, non c'è dubbio. (Una pausa; con­sulta l'orologio) E tu ne beneficerai, come inter­prete. La buona commedia salva l'attore mediocre. (Rettificando la gaffe) E viceversa.

Lorenzo                         - Non capisco il viceversa. L'interessante è comunque finirla bene. Tragicamente. A che ora doveva venire?

Vittorio                         - (vagamente) Adesso. (Una pausa).

Lorenzo                         - Vuoi che vada via?

Vittorio                         - Senti. (Legge dai fogli che ha con sé) Lei dice - dopo - a bruciapelo: « Sei sposato? ». Io, fingendo sorpresa: «Sì. Non te l'avevo detto?». « No. Era questo che avevo paura di domandarti ». Una lunga pausa. Lei: « Hai anche bambini? ». Io: « Figli no. Questo vincolo no. Ma in Italia è suffi­ciente il matrimonio a legare per tutta una vita. Il matrimonio è indissolubile, lo sai. Sacro ». Un lungo silenzio. « Non sono ancora le undici. Resta con me, questa notte... ». « Non posso. Lei è ge­losa ». (Sollevando il volto dal foglio) Ti piace?

Lorenzo                         - A che ora doveva venire?

Vittorio                         - Adesso. (Eludendo) Una ragazza for­midabile. Non una scena, una lacrima. Dice sem­pre sì. Una creatura adorabile. Fin dal primo mo­mento. Senza schermaglie, finzioni. Una creatura spontanea, sana. Solo per un attimo ho avuto paura. Mi ha detto: « Ho perduto qualcosa ». Mi son venuti i brividi. Quando una straniera mi con­fida di aver perduto qualcosa, mi sento male. Cre­devo chi sa che. Soldi, gioielli.. Invece no, una cosa sua, intima. Attrezzate, le americane.

Lorenzo                         - Ti ha telefonato stamattina?

Vittorio                         - No...

Lorenzo                         - E' in ritardo. (Una pausa).

Vittorio                         - (nervosamente) Un po'. (Breve indugio) Ma se tu sapessi quanto impiega per vestirsi!...

Lorenzo                         - E se non viene?

Vittorio                         - (dopo una lunga pausa, « cinicamente ») Aspetto un'altra e attacco con lei dove avevo interrotto con la prima. (Entra l'americana con passo lento, incerto. Un velo di tristezza le intor­bida il bel volto. Lorenzo indietreggia rapidamente in secondo piano. Si impadronisce di un tovagliolo, pronto a « spolverare » nuovamente il fanale).

Vittorio                         - (raggiante) Ciao, amor mio... (Le va incontro con entusiasmo, le porge le mani che lei riesce ad evitare sedendo pesantemente) T'aspetto da tanto... con il cuore che fa pum pum. Sono ore che pregusto questo momento, l'indimenticabile colore dei tuoi occhi, la gioia di un nuovo incon­tro... ore... Mi hai fatto temere, te lo confesso, una fuga... (allegro) una fuga alla francese, come dici tu... Grazie... Grazie, amore... (Attenua l'entusiasmo avvertendo il suo sguardo smarrito, la sua tri­stezza).

L’Americana                 - (dopo una lunga pausa) E' su.

Marina                           - (intervenendo subito per evitargli curiosità; senza sollevare gli occhi dal libro) E' finita. (Una lunga pausa).

Vittorio                         - Finita come? Sei un po' triste, natu­ralmente... Senza la mia carezza, separati per tante ore... Guardami negli occhi.

L’Americana                 - (con difficoltà) Ho la stanza piena di fiori.

Vittorio                         - (allarmato) Fiori come? Che fiori? Non capisco. Io non...

L’Americana                 - Qualcuno li mandò...

Vittorio                         - (sempre più preoccupato) Qualcuno chi? Non io. Chi? (Pende dalle sue labbra. E' ner­vosissimo).

L’Americana                 - Un giovane...

Vittorio                         - Uno che conosci da prima? Un ame­ricano?

L’Americana                 - Un italiano.

Vittorio                         - (con nervosismo crescente) Chi è? Quando lo hai conosciuto?

L’Americana                 - (lentamente, dopo una pausa) Ieri sera, quando mi hai lasciata... stavo morendo... (Parla con molta fatica) Sono uscita... lungo ca­nali... poi in un caffè... uno... uno mi ha domandato se poteva accompagnarmi, se volevo... (Stancamen­te) Gli ho detto che aspettavo mio marito... (Sorridendo tristemente) Mio marito... Pensavo a te. (Solleva il volto) Guardavo l'orologio, io... Ho ba­ciato te alle dodici... all'una... alle due... Come promesso.

Vittorio                         - (nervosissimo) E lui?

L’Americana                 - Lui parlava parlava... E mi doman­dava: « Perché guardi sempre l'orologio? ».

Vittorio                         - Fino alle due?

L’Americana                 - Fino alle due.

Vittorio                         - Poi... Poi sei andata in albergo?

L’Americana                 - No.

Vittorio                         - Andata dove? Fatto cosa?

L’Americana                 - Parlava molto... Con intelligenza... Senza irritarsi al mio silenzio. Aveva capito che non mi dispiaceva il calore di una voce umana.

Vittorio                         - (impaziente) Sì, sì, sì. E poi? (Una pausa).

L’Americana                 - (fissandolo) Dopo le due ho comin­ciato a rispondergli. (Una lunga pausa. Vittorio è teso e vive intensamente la situazione) Mi avevi detto: « ... fino alle due, pensami ».

Vittorio                         - Sì... e poi?

L’Americana                 - Abbiamo passeggiato... Non voleva il mio ritornare in albergo.

Vittorio                         - (dopo una lunga pausa) Dove li hai messi i fiori?

L’Americana                 - Portati via. Gettati dentro il canale.

Vittorio                         - (dopo una nuova pausa, insistendo) Fino a che ora? (L'americana non osa rispondergli. Tentando di dominarsi) Fino a che ora? Le due e mezza, le tre?...

L’Americana                 - Alle tre... ha preso una barca.

Vittorio                         - Chi vogava? lui?

L’Americana                 - Qualcuno... Lui continuava a par­lare.

Vittorio                         - E tu a rispondergli. Di che?

L’Americana                 - Vita, disoccupazione...

Vittorio                         - Sì, sì. Fino a che ora?

L’Americana                 - Non so...

Vittorio                         - (inquieto, turbatissimo) « Non so, non so... ». E l'orologio? Lo guardavi l'orologio?

L’Americana                 - No...

Vittorio                         - Insomma, fino a che ora?... Pres­sappoco?

L’Americana                 - Non so. (Si studiano).

Vittorio                         - Va bene... e dopo, dopo la barca?... (Riflettendo) C'era sempre il vogatore, in barca? (Un silenzio).

L’Americana                 - (con stanchezza, dolore) Non l'ho più visto... ad un certo tempo...

Vittorio                         - (con rabbia) E dov'è andato? Dov'è andato, il ruffiano? E' scomparso in acqua? Si è volatilizzato?... (Riflettendo ancora) Avete toccato terra?

L’Americana                 - (tormentata) Non so, non so...

Vittorio                         - Eri ubriaca, avevi bevuto?

L’Americana                 - No.

Vittorio                         - Eri lucida, così, come adesso. Come con me. Come... con me, ieri... (Con dolore) Parla, parla tu. E poi?

L’Americana                 - Sembrava distaccato, prima... Abile, abile come... Aveva qualcosa di mio marito.

Vittorio                         - (urlando) Anch'io, anch'io, ieri, anch'io avevo qualcosa di tuo marito! Allora, allora, al­lora? Fatti, parla. Esponi i fatti. Che avete...? (Gli mancano le parole. Lottando per dominarsi) Parla tu, di' tu... Dove siete stati, fino a che ora? Sarà pur finita la « romantica » passeggiata in gondola? Sarà pur riapparso l'uomo? Era andato a bere, avete accostato qualche riva?

L’Americana                 - Rive no.

Vittorio                         - (un po' più calmo) Rive no. Bene. (Con speranza) Allora il vogatore era sempre là, pre­sente... alle vostre spalle... che guardava...

L’Americana                 - Non so... Non lo vedevo...

Vittorio                         - (volendo convincersene) Ma sapevi che c'era ed allora... Allora, in gondola, niente... Non ti ha toccata... (Attende inutilmente un cenno di conferma) E dopo? Ti avrà pur riaccompagnata in albergo? A che ora? (L'americana realizza la dolorosa sincerità di Vittorio e ne è molto turbata. Dopo una pausa d'attesa) Allora? Parla, parla tu, perdio! Di' tu... E dopo? « A che ora » hai dormito?

L’Americana                 - Non ho... dormito. (Vittorio è pie­trificato, non osa parlare).

Vittorio                         - (quasi sillabando) Dormito, no... Paghi ottomila lire una stanza e nemmeno dormi... Guardi dalla finestra, pensi... passeggi... (Una pausa).

L’Americana                 - Non sono tornata in albergo. (At­tesa convulsa di Vittorio).

Vittorio                         - (non ricevendo altri dettagli) E così... sempre con lui... fino a...

L’Americana                 - ... le undici, stamattina... E quando sono tornata in albergo c'erano fiori, tanti...

Vittorio                         - (tentando di essere disinvolto, penosa­mente ironico) Non i miei... - se non c'era bigliet­taio - non i miei...

L’Americana                 - Il bigliettino c'era. (Un lungo si­lenzio).

Vittorio                         - Cose in grande, con raffinatezza... (Disprezzandolo) Un fioraio, probabilmente... (Bru­scamente) Dove ti ha portata?

L’Americana                 - (eludendo) Mi ama... Vuole spo­sarmi.

Vittorio                         - (amaramente) Ah! Il grande amore, il colpo di fulmine!

L’Americana                 - Non credevo t'importasse tanto. (Vittorio, colpito dalla frase, si arresta con il gesto a mezz'aria).

Vittorio                         - (riprendendosi) In meno di ventiquat­tro ore. Uno che ami - il sottoscritto - me l'hai detto. Uno che sposi... Così (gesticola nervosamen­te), in poche ore... Congratulazioni. E perché? Per­ché lo sposi? Perché lo ami?

L’Americana                 - (insistendo) Non credevo t'impor­tasse tanto.

Vittorio                         - (ignorando la tesi) « Dove » ti ha por­tata?

L’Americana                 - (dopo una lunga pausa, umilmente, in un soffio) To his place... al suo posto.

Marina                           - (fissandolo per la prima volta con trionfo) In camera sua.

Vittorio                         - (a Marina il cui scherno non sopporta, urlando) Che vuoi tu? Che vuoi tu? Vattene! Chiudi e vattene! (Marina, mortificatissima, chiude il negozio, si allontana rapidamente).

Vittorio                         - (quando Marina è uscita, parlando quasi a se stesso) Nello spazio di una giornata, una notte... E mi avevi detto... (Non trova parole. Tormentandosi) Credevo nel valore della tua sponta­neità nei « miei » riguardi, io... Credevo in qualcosa di bello... un amore sincero, fatto d'istinto, attrazione vera, unica... Io... (c'è commossa sincerità, ora, nelle sue parole e l'americana ne è sconvolta) avevo riacquistato fede nei valori della sincerità... E Mi sentivo felice, dentro... Rinnovato, felice per la prima volta. T'avevo perfino dato il tempo di rifiutarmi, ore... ore per riflettere su di me, su di noi... per non pesare con le mie labbra sulla tua decisione... Lui no... lui non t'ha dato il tempo di pensare... lui... (Si copre il volto con le mani) Che schifo! Che schifo!

L’Americana                 - (con voce di lamento) Eri distaccato, ieri... tenero ma distaccato... Non pensavo... E

Vittorio                         - T'avevo detto: « Pensami alle dodici, all'una, alle due... ». E tu... tu hai mantenuto, sì. « Buona come la tua parola » fino alle due... (Torcendosi le mani) Che schifo... (Entra da destra Fortunato. Prende posto nell'ultimo tavolo, distan­te dalla coppia che non vede e dalla quale non è visto. Mette i piedi sul tavolo e ordina qualcosa al secondo cameriere).

L'Americana                 - (protesa verso Vittorio, nel « materno » desiderio di consolarlo) Non sapevo, ti giuro... (Insistendo) Non avevo capito t'impor­tasse tanto di me... Quasi allegro... assente... un'avventura, per te, pensavo...

Vittorio                         - Son sempre così, io... La vita mi ha in­segnato - la riprova, ieri - mi ha insegnato a fingere allegria, distacco. Anche quando... quando si ama... Ti sentivo, io... amavo... Quella tua dolcezza... (Piange) Eri la mia donna, tu... trovata dopo... (Si perde nei singhiozzi).

L’Americana                 - (con sofferenza, difendendosi) No... No, Vittorio...

Vittorio                         - Sì, sì, sì. Te l'avrei detto. Aspettavo per conoscerti meglio, riflettere... E' importante vivere insieme... Non si decide così, in un batter d'occhi... Come avete fatto tu e lui... come te che ] hai fretta, una fretta dannata. Ricordo una, una che aveva due, tre fidanzati alla volta. « Uno mi sposa », diceva, « uno qualunque ». Per fretta, cecita... Paura avete, paura di diventar vecchie.

L’Americana                 - Lo sarò, fra qualche anno.

Vittorio                         - Non è la data sul passaporto, il primo capello bianco. E' la giovinezza di cuore che conta, la pulizia morale... Vedi, ne parlo... posso parlarne io... Quando si affronta una situazione, si accetta un uomo... si ha il dovere di... essere sua... solo sua... di dargli il tempo di decidere, conoscere meglio... Non me l'hai dato, tu. Hai fretta, tu, una fretta disgustosa... Sento vergogna per te... Hai avvilito il tuo corpo... intristito il sentimento... (Con il pianto nella voce) Non sei che... non sei che... Nemmeno con gli occhi saprei più sfiorarti.

L’Americana                 - (con disperazione) Non è vero, no... non è vero che mi amavi... Non avevamo futuro... non c'era futuro, per noi...

Vittorio                         - Non te l'avevo promesso, no. Ma lo abbiamo tutti, un futuro... E dipende da noi.

L’Americana                 - (con decisione) Ho una data, con lui, qui.

Vittorio                         - (sollevando il volto) Una data? Un ap­puntamento, con lui. Qui?

L’Americana                 - Qui vicino.

Vittorio                         - (esplodendo) E che aspetti? Vacci, va'!

L’Americana                 - Se vuoi... Se vuoi... (Indugia. Vitto­rio attende la proposta con curiosità) Io devo... solo un momento... Se mi aspetti, torno da te. Io non sapevo che...

Vittorio                         - Perché « devi »?

L’Americana                 - Mi ha telefonato mille volte... in albergo, dopo. Gli avevo detto che ci sei tu, nella mia vita... E' un violento.

Vittorio                         - (aggrappandosi ad una speranza) Una violenza, allora?

L’Americana                 - (con sincerità) No. Non è solo colpa sua... No... Se mi aspetti. (Si fissano in silen­zio. Lei si alza timidamente) Solo un momento... (Crollando di nuovo a sedere e cercando inutil­mente la mano di Vittorio) No, no... non lasciarmi sola. Io prego te. Accompagnami. (Silenzio teso. Sentimenti contrastanti animano Vittorio: il desi­derio di toglierla al rivale, il desiderio di cono­scerlo, la « paura » di conoscerlo) Non lasciarmi sola, ti prego... (Riesce a prendergli il braccio).

Vittorio                         - (dopo una lunga pausa, accettando) Dove? (L'americana si alza con decisione. E' pron­ta. Si avviano lentamente all'angolo estremo del palcoscenico dove, con i piedi sul tavolo, Fortu­nato attende. L'orchestra, che ha sottolineato il loro passo, attenua i suoi ritmi, trattiene il respiro. I due uomini si fissano in assoluta immobilità). L'Americana       - (con voce soffocata, a Fortunato) Mi sento malata, questa sera... Non posso... Ti dispiace se...? (Fortunato sembra non udire e con­tinua a fissare implacabilmente Vittorio che riesce a non flettere lo sguardo. Silenzio teso. Risolve l'americana avviandosi, trascinando Vittorio sulle sue orme. Giungono alla panchina posta a destra, in ribalta. Prendono posto. Mentre nel caffè di sinistra riappare il prestigiatore con lo stesso pro­gramma di giochi di carte, Fortunato chiama il secondo cameriere, verga un biglietto). L'Americana          - (fissando lo scrittore che è triste, distratto) Di', che pensi? (Nessuna risposta) Grazie... Grazie di avermi dato quel coraggio... (Con pietà per Fortunato) Sono stata crudele... (Vittorio la fissa interrogativamente, pronto a ferirla di nuovo. Rettificando) Ho sbagliato... sbagliato nel giudicarti... Non credevo, ti giuro... Grazie. (Il ca­meriere porta il biglietto all'americana che lo apre lentamente, con sospetto. Legge. Ne è felice, solle­vata. Porge il foglio a Vittorio che lo legge con finto disinteresse. Mentre Vittorio legge) Sono fe­lice, felice, felice! Avevo paura... Mi sento sollevata, finalmente, per la prima volta... (« Legge », a me­moria) « Non telefonarmi dopodomani a Milano al... Fortunato ».

Vittorio                         - ...al 482559. Tieni. Il numero te l'ha messo. Questo è un appuntamento. (Le restituisce, sgraziatamente, il foglietto).

L’Americana                 - (effettuando) Lo strappo, lo strap­po... piccoli pezzi... Credimi, io non sapevo. Io non potevo indovinare che tu... (Nel frattempo Fortu­nato ha scritto un secondo biglietto che il came­riere porta all'interno del Caffè-Accademia).

Vittorio                         - (quasi a se stesso, con amarezza) Si chiama Fortunato... Sai che significa?

L’Americana                 - Sì, mi ha detto, ieri... ma non par­lare così. Guardami.

Vittorio                         - (sempre senza guardarla) Uno qualun­que... pescato in mezzo alla strada... « Fortunato »... Ed io che credevo... che fosse « amore », il nostro, spontaneità... scelta perché eravamo « noi »... fatti in quel certo modo, taglio di bocca, luce di pupilla...

L’Americana                 - (con disperazione) Ti prego, ti prego... Sono stata cieca, pazza...

Vittorio                         - (quasi a se stesso) E pensare che io, ieri sera... (L'americana è immobile, tesa. Attende questa confidenza) Io, ieri sera... (Indugia con evi­dente desiderio di torturarla).

L’Americana                 - (con ansia) Che cosa?

Vittorio                         - (dopo una lunga pausa, torcendosi le mani) Non l'ho toccata io, pensando a te. (La fissa per un attimo. Urlando) Per te, per te, per te! (Si alza e le volta le spalle).

L’Americana                 - (disperata, fra le lacrime, alzandosi a sua volta e sfiorandolo in un timido abbraccio) Perché non me l'hai detto? Ero gelosa, io, ieri. Vi odiavo, io... Odiavo la vostra felicità. (Gli ca­rezza le spalle, i capelli).

Vittorio                         - (ritraendosi) Non toccarmi. (L'ameri­cana ne è umiliata, ne soffre. Con equivoca genti­lezza) Va', ti prego... (L'americana è addolorata dalle parole, dal suo atteggiamento di ripulsa ma indugia accanto a lui. Vittorio la prende per la collana) Avevi questa... ieri?... (L'americana fa cenno di no) Perciò la tocco, vedi, perciò so toccarla... (Bacia la collana) Perciò so baciarla... (Lascia li­bera l'americana, la congeda con il gesto, la induce ad allontanarsi a destra. L'americana esce. Vittorio resta immobile, pensieroso. Avanza fino a lui Lo­renzo con atteggiamento di condolente).

Vittorio                         - (dopo una lunga pausa) Vatti a fidare, a questo mondo...

Lorenzo                         - (lentamente) T'è convenuto, però. (Vit­torio mostra curiosità alla volpina espressione di Lorenzo. Spiegando) Non ho dovuto « spolverare » il fanale, oggi... Sei apparso più sincero... Inna­morato.

Vittorio                         - (fissandolo di traverso) Innamorato, dici... (Riflettendo su questa probabile verità) In­namorato sul serio... (Entrano dall'angolo destro della ribalta tre giovani con i baveri dei giubbotti alzati, il volto semicoperto. Riconosciamo Benito, Corso e Donato. Avanzano con passo sicuro, urtano Vittorio, rovesciano alcune sedie, si piantano di fronte alla vetrina della Libreria. Dopo qualche attimo, quando Vittorio sembra un po' rassicurato, lanciano tre mattoni contro il cristallo, fuggono sul fondo).

Vittorio                         - (urlando) Ferma, al ladro! Ferma! (A Lorenzo) Guardami la vetrina. (Insegue i tre) Van­dali! Ladri! Vandali! (Scompare sul fondo mentre la voce riecheggia in lontananza. Fortunato si alza lentamente dal suo tavolo, esce dall'ombra, si avvicina a Lorenzo con la sigaretta spenta).

Fortunato                      - (a Lorenzo che è alquanto impaurito) Ha un cerino? (Lorenzo gli accende la sigaretta. Fortunato aspira, osserva la vetrina frantumata) Vorrei « The pocket Book of Modem Verse ». Ecco le quattrocento. (Tiene le quattro monete fra l'in­dice e il pollice).

Lorenzo                         - Mi dispiace. E' chiuso.

Fortunato                      - (ironico) Non mi pare... Più aperto del solito, direi. Ha nemici, il padrone?

Lorenzo                         - (sul chi vive) Non so... Non credo... Lo conosco poco, io...

Fortunato                      - (con estrema lentezza) Gli affari pro­sperano meglio senza nemici, secondo me. Ed è facile non averne. Basta... « vivere e lasciar vive­re ». (Lo fissa intensamente) Glielo dica, al suo amico. (Un silenzio) Buona notte. (Esce lasciandosi alle spalle un Lorenzo pensieroso, preoccupato).

(Buio completo. Breve intervallo musicale: Frank Sinatra che canta. A metà canzone viene calato un cartello pubblicitario con questo annuncio: « Of­ferti a Frank Sinatra trenta milioni per un'ap­parizione sul video italiano. Canterà...» ]. Ul­time battute della canzone mentre la luce not­turna si trasforma in luce del mattino. Marina raccoglie le ultime schegge di vetro, fra i libri. Si avvicina il lettore tedesco).

Il Lettore tedesco         - (sorpreso e interessato alla ve­trina rotta) Kaputt?

Marina                           - (sconsolatamente) Kaputt.

Il Lettore tedesco         - Chi ha questo fatto?

Marina                           - Delinquenti. (Il tedesco non capisce) Vagabondi. (Il tedesco non capisce) Porci distrut­tori. (Il tedesco non capisce) Nazisti!

Il Lettore tedesco         - (ha capito e saluta romanamen­te, in maniera goffa) Heil!

Marina                           - (cambiando discorso) Was brauchen Sie? (Entra nel frattempo Vittorio, scuro in volto. Guar­da sconsolatamente la vetrina).

Il Lettore tedesco         - (con pronuncia terribile) Ave­te « Mein Kampf » di... (correggendosi rapida­mente) entschuldigen, volevo dire di Hitler.

Marina                           - (alla quale è sfuggito lo « scusate-entschul-digen ») Quello di...? (Con frase che pronun­cia abitualmente) E' in arrivo la ristampa. Abbia­mo molte prenotazioni. Lo distribuiamo a giorni. Quello di Hitler, eccolo. (Lo porge. Il lettore te­desco paga, batte militarmente i tacchi e, rigido rigido, se ne va).

Vittorio                         - (che ha seguito la vendita, appena il let­tore si è allontanato, con nervosa aggressività) Ma che racconti ai clienti? Un giorno o l'altro mi fai passare un guaio.

Marina                           - (timidamente) Ma è stato lei a dirmi che quando chiedono un autore nuovo devo ri­spondere: « E' in arrivo la ristampa. Abbiamo molte prenotazioni. Lo distribuiamo a giorni ».

Vittorio                         - (gesticolando) Non capirete mai un accidenti, voi donne! (Entra Lorenzo la cui appa­rizione interrompe il gesto di Vittorio a mezz'aria. Una lunga pausa mentre Vittorio cerca di assu­mere un atteggiamento).

Lorenzo                         - Ciao. Come va?

Vittorio                         - (che ancora accusa davanti all'amico il colpo della « disavventura») Bene. (Una pausa).

Lorenzo                         - E' partita?

Vittorio                         - (consultando l'orologio) Fra poco.

Lorenzo                         - E la conclusione?

Vittorio                         - La scriverò. (Una breve pausa).

Lorenzo                         - Con chi? (Si fissano a lungo in silenzio. Mentre prende posto) E manda i fiori, a quest'al­tra. Pago io. Basta che tu li ordini...

Vittorio                         - (quasi a se stesso, tormentandosi) Non è per i fiori o per le altre gentilezze alle quali la donna tiene e ch'io trascuro, dimentico... E' il ma­trimonio che non so promettere. (Con smorfie) « FU marry you - Ti sposo ». (Indica il Caffè-Ac­cademia) E' la prima cosa che imparano. (Con rabbia) Li farei impiccare, io, quelli che promet­tono a vanvera, con facilità, incoscienza...

Lorenzo                         - (badando al « suo » problema di futuro interprete della commedia che Vittorio sta scri­vendo) Sei sicuro che con la sostituzione della donna la commedia non ne soffra? Riuscirai ad immedesimarti, fingere che sia la stessa? (Vittorio lo guarda con disprezzo, « offeso » dal dubbio) Forse, riflettendo, penso che sia meglio... In ve­rità, era lei, finora, la protagonista. Troppo risalto alle sue azioni, alla sua sfuggente personalità... E io? Quando diventavo importante, io? E' su di me che devi far perno. (Vittorio getta un pacchet­to di fogli sul tavolo. Sgarbatamente, facendoli piovere dall'alto della sua arte).

Lorenzo                         - (prendendoli con impeto) Che è questo? Che è?

Vittorio                         - L'ho già finita. E' là che diventi pro­tagonista.

Lorenzo                         - (sfogliando con gioia) Quando? Quando l'hai scritta? Grazie... (Legge).

Vittorio                         - Stanotte. Non dormo, io, se devo fi­nire un lavoro, « se lo sento... » (Mentre Lorenzo legge avidamente) E' là che la torturi, devasti, distruggi... Con giusta ferocia, con il giusto odio di chi è offeso, tradito... La mia vendetta... (Raccon­tando) Ha insistito per stare con me, prima di par­tire... Almeno una volta. (Facendole il verso) « Le ultime ore, perdonami », piangeva nel telefono... Ho detto di sì. L'ho lasciata adesso... Spedita sola, in stazione, poco fa...

Lorenzo                         - (accendendosi alla lettura) C'è, c'è qual­cosa di forte. Sono io che domino, condanno... C'è cinismo, un piglio robusto. Grazie, Vittorio, grazie.

Vittorio                         - (strappandogli i fogli di mano, deciso ad evocare) Mi ha telefonato subito dopo l'inci­dente della vetrina. Da qua vicino, forse, perché è apparsa immediatamente. Appena le ho detto di sì, di venire... (Appare da sinistra, umilissima, con gli occhi di pianto, l'americana. Lorenzo si ritira in ombra). Vittorio     - (all'americana, restando seduto) Siedi. (La donna, in piedi, lo fissa con tristezza. Dopo una pausa, alzandosi) Ho capito. (Le fa un ironico inchino avviandola al ponticello con il gesto. A Lorenzo, mentre lei avanza verso l'alcova) Ameri­cana. Una che fa tutto senza compromessi. In fretta e furia. (Quando lei ha già superato il pon­ticello) Nemmeno indugia per l'aperitivo. Lo pre­ferisce a letto. (La segue. L'americana è già entrata e guarda intorno a sé con nostalgia. Siede sul letto. Buio in palcoscenico mentre viene messa a fuoco l'alcova. Quando entra Vittorio, l'americana si alza, gli tende le braccia. La freddezza dell'uomo la sco­raggia, la pone in una situazione d'inferiorità, di crescente imbarazzo. Vittorio va al lavandino, si guarda nello specchio, comincia a sciogliersi len­tamente il nodo della cravatta. Lei siede di nuovo sul letto e si toglie le scarpe).

L’Americana                 - (mentre Vittorio appende la cravatta) In rare occasioni ho sofferto, nella mia vita, così tanto come ora...

Vittorio                         - (mentre si toglie la giacca) Ah. Sei tu che soffri.

L’Americana                 - Anch'io... (Una lunga pausa men­tre Vittorio si toglie la camicia con studiata len­tezza) Freddo come la carità, ti sento, oggi. (Vit­torio piega accuratamente la camicia, si volta a fissarla con velata ironia) Perdonami... Avessi solo immaginato di ferirti tanto... Pensavo tu giocassi una partita... desiderassi solo mettere un'altra don­na sullo scaffale dei tuoi ricordi... volessi solo raccoglier le rose del piacere... Ti vedevo distac­cato... Anche distratto, a volte, mentre tutte le mie ossa sembravano crescer soffici entro di me... Ti sentivo, io... ti amavo già... E ne avevo paura. (Mentre Vittorio si toglie la canottiera, lei si sfila le calze e le lascia cadere nelle scarpe) Non vedevo l'ombra di una possibilità, per noi... L'ultima pa­glia è stato il tuo bacio, dopo... Allegro, in una fretta... Non ti dispiaceva lasciarmi... C'era « lei », gelosa, là... oltre il ponte.

Vittorio                         - Forse sentivo che m'avresti tradito.

L’Americana                 - (mentre si toglie la camicetta) No... non sentivi niente, prima... Solo « dopo », quando ti ho detto, hai avuto interesse per me. E sei diven­tato cieco con passione.

Vittorio                         - (mentre comincia a lavarsi i denti) Rab­bia. Schifo per il tradimento... (Sputa nel lavan­dino).

L’Americana                 - Ho pagato.

Vittorio                         - Pagato che?

L’Americana                 - L'umiliazione, la pena... avendo ca­pito il errore...

Vittorio                         - Per debolezza sei tornata da me, perché le ultime parole a risuonarti nell'orecchio erano le mie, perché sei pigra. (L'americana è colpita da una verità della quale non si rendeva conto, forse, una verità che la ferisce) Debole sei, una debole femmina! E' questa la tua condanna. Hai mai preso una decisione, tu, in vita tua?

L’Americana                 - (con tutta se stessa) Oh sì, sempre!

Vittorio                         - (sconcertato) Mai. Giurerei di no.

L’Americana                 - Da quando avevo quattro anni, la­voro, io. Ho saputo impormi una disciplina, per riuscire.

Vittorio                         - A che? (Con ironia, insistendo) A che? (L'americana china il capo, non sa reagire) Ad aprire la porta a chi bussa? Al primo che bussa? A me o a lui, indifferentemente? Perché t'ha la­sciata, tuo marito?

L’Americana                 - (a capo chino, lentamente) L'ho lasciato io.

Vittorio                         - A chi lo racconti? Cercavi, tu, cercavi chi sa che - emozioni nuove, varietà - e lui t'ha piantata. Meno efficiente di me, l'altro, che l'hai liquidato? Tempo ne hai avuto per farti un'idea... (Con dolore) Alle undici vi siete divisi... lunghe ore... Quante? Fino alle due, niente « pensavi a me ». E dopo? A che ora avete cominciato, a che ora?... (Con malcontenuta sofferenza) Parla, ti fa bene... mi fa bene... Dettagli, su... Se mi dai dettagli - chi sa? - forse ti perdono... A che ora? Sei tu che gli hai proposto il coperto, una camera?

L’Americana                 - Ha parlato un lungo tempo... Par­lava sempre, l'ho già detto...

Vittorio                         - Per questo l'hai piantato. Racconta. La camera, dov'è la sua camera? In che sestiere? Lontana o vicina?

L’Americana              - (tormentandosi) Non so, non so...

Vittorio                         - (ironico) Tu non sai mai niente, tu no. Oppiata t'aveva, vero? (Con disprezzo) Ci vuole del fegato per andare nella camera del primo sco­nosciuto, del fegato. Sai che significa? Coraggio, « guancia ». (A se stesso, gesticolando) Andata al « suo posto »... Dopo avermi appena lasciato e di­cevi, forse lo ricordi, dicevi - mentre -: « Give me a baby». Lo ricordi? Il pargoletto volevi. E' perché non te l'ho dato io che hai?... E' per questo che sei andata in camera sua?

L’Americana                 - (scuotendo il capo) Non m'impor­tava più di niente, ormai...

Vittorio                         - (con sorpresa) Più di niente, ormai... Che significa? Dopo essere stata con me?

L’Americana                 - Dopo la barca...

Vittorio                         - (ferito, intuendo) Dopo la barca? Al­lora... Era successo prima, allora? Prima? Dove? Parla, parla, dove?

L’Americana                 - (dopo una pausa) In gondola...

Vittorio                         - (sbalordito, con veleno) Con l'uomo a poppa... a godersi lo spettacolo... Come nelle piazze, le cagne... (Con sofferenza, torcendosi le mani) E io pensavo... Vivendo minuti terribili... Fino all'una, ieri, era mia... Anche fino alle due... Anche fino alle tre, forse. Poi, poi mi perdevo alle quattro, le cinque... Con nostalgia di te... rispetto per i mi­nuti ancora nostri... Abile, il giovanotto, a imporsi subito. Per facilitare poi l'accesso alla tana... Una cameretta d'infimo ordine, immagino. Quanto, quanto hai pagato, per la camera, con la scusa che lui non aveva spiccioli? Quanto?

L’Americana                 - Era sua, affittata da tempo, credo... (Riflettendo) Però... (Si pente del dubbio).

Vittorio                         - Però?

L’Americana                 - (con incertezza) Money, credo... Forse ho perduto della moneta.

Vittorio                         - Dove?

L’Americana                 - Là... in barca... Non so...

Vittorio                         - (con trionfo) Chiaro! Uno sfruttatore, uno di quelli che fingono di pagare e invece...

L’Americana                 - Non credo... (Rettificando) Non so... (Lo carezza, riesce a stringerlo a sé) Non parlia­mone più.

Vittorio                         - (amaramente) « Non parliamone più »... (Trattenuto dall'americana, si inginocchia ai suoi piedi, passivo. Il suo sguardo cade sulle due scarpe nere. Le impugna, le carezza nervosamente. Con allucinazione) Sono nuove, queste... le posso carez­zare, queste... Non viste da lui, là sul pavimento... Erano di paglia, quella sera. Vedi che memoria? Te le ho tolte io. (Prende le calze) ...Né avevi le calze, ricordo. Salivo alle tue gambe nude... Anche queste posso baciare. Sono pulite... (L'americana, con le lacrime agli occhi, gli stringe il capo contro il suo seno).

L’Americana                 - Basta, basta, per pietà... (Cerca la sua bocca; si sente evitata).

Vittorio                         - (impadronendosi della camicetta) Que­sta sì, questa la posso baciare... Non è la stessa della nostra sera... (Con amarezza) « Nostra ».... (Affondandovi le mani) Hai avuto il buon gusto di cambiare gli indumenti. (Con aggressività) Ma sotto, sei pulita? La pelle, è pulita? L'hai lavata, raschiata? (Le prende la mano, le toglie a forza un anello) Anche questo, con me, ti sei tolta. Con lui? Anche con lui? In gondola no. Ecco una diffe­renza, una piccola differenza... Ma in camera, poi?... (Ironico) Dov'eri abbattuta, triste - pensavi a me, vero? -. Ti sei ricordata di toglierlo, in camera?... Una differenza, una piccola differenza... (Sembra piangere sul suo grembo mentre lei lo carezza) Ti prego, dimmi tutto, dimmi quello che non hai fatto con lui... Dimmi come posso baciarti... Perché non hai saputo attendere, capire. Perché... Io t'avrei. (Gli mancano le parole) Dovevi intuirlo. (Lei continua a carezzarlo maternamente).

L’Americana                 - (con dolcezza) Chi ama, perdona. (Lo scrittore la fissa) Chi ama, dimentica... Io ho già dimenticato. Una sporca cosa, uno sporco errore...

Vittorio                         - (alzandosi dì scatto, con frenesia morbosa) Sei tu, sei tu, ora, ad esser sporca! (Insistendo) Racconta racconta. Senza cambiar discorso. Quali centimetri della tua pelle posso carezzare, quali sono ancora miei? Dettagli dettagli dettagli! Per­ché io non mi ripeta, non ripeta i suoi gesti, non gli somigli. Pensavi a me, ieri?

L’Americana                 - Sì.

Vittorio                         - Ecco. Penseresti a lui, oggi, se gli somi­gliassi. Racconta. Racconta!...

L’Americana                 - Perché soffrire inutilmente, perché tormentarsi?

Vittorio                         - Per sapere. « Lo sposerò », mi hai detto. Ricordi? Perché, se pensavi a me?

L’Americana                 - Perché mi sentivo colpevole.

Vittorio                         - Colpevole come?

L’Americana                 - Nei tuoi riguardi.

Vittorio                         - Buona questa. « Per espiare ». Vedi che non sai vivere? Avresti sbagliato un'altra volta solo per sentimento di colpevolezza. Sai qual è il tuo problema? Il tuo complesso? - perché tutti voi americani, tutti avete un complesso - ... Incapacità di risolvere, di scegliere. Una specie dì... stanchez­za. Forse perché la vostra vita esige che a quattro anni vi facciate la corazza per dar poi gomitate, per non esser feriti dagli urti.

L’Americana                 - (con disperazione) Io, io sola a quattro anni, quando gli altri giocavano... Erano mio padre e mia madre a costringermi, perché volevano far dì me un'artista. L'imposizione a studiare, ricordo, di mio padre e di mia madre. Affetto, io, no.

Vittorio                         - E lo cerchi qua? Scegliendo dal mazzo per non sbagliare? A Roma, quanti ne hai cono­sciuti a Roma?

L’Americana                 - Ti giuro, darling, hai una falsa opinione di me.

Vittorio                         - (abbozzando un inchino) Chiedo scusa. (Va a lavarsi le mani).

L’Americana                 - Io... io ho commesso quell'errore, un grave errore... per paura... Sì, per paura d'in­namorarmi, to get involved... Tu non sai quel che ho provato con te.

Vittorio                         - (senza voltarsi) Meglio io? Grazie per il complimento.

L’Americana                 - Una sola volta, mi sono innamo­rata, io, nella vita...

Vittorio                         - (lusingato) Di me?

L’Americana                 - Di mio marito.

Vittorio                         - Toccato! Ti sento sincera per la prima volta. Ogni tanto ne parli. Lo avevo intuito. Mi hai paragonato a lui, distrattamente, lo hai parago­nato a lui, distrattamente. Scherzi del subcosciente.

L’Americana                 - (narrando con tristezza) L'ho cono­sciuto ad un concerto... Corteggiava le mie amiche, sembrava non mi avesse notata... Poi, la sera, si è appartato con me... Non capivo se parlasse sul serio... Pieno di vita, ridente... Non capivo... - nean­che con te ho capito... - Un uomo sano, vivo... Ho rinunciato alla carriera. Sono fuggita con lui.

Vittorio                         - (mentre comincia a lavarsi lentamente il collo ed il torso nudo) Sempre rapida. Compli­menti. Decisioni istintive. Ed io che credevo che fosse perché ero « io », fatto così, con questa fac­cia, il mio modo di desiderare, soffrire... (Con cu­riosità per la continuazione) E ti eri sbagliata anche allora?,..

L’Americana                 - No. E' stata una cosa bella. Anche con te... Il mio istinto non sbaglia... (Vittorio si volta a fissarla con ironia) Non ho sbagliato ac­cettando te. Solo dopo... per necessità di fuga, fuor di dolore... (Continuando il racconto) Steve era tenerissimo in quei momenti, distratto durante la giornata... Come te. Tremavo, ai tuoi gesti, rico­noscendoli.

Vittorio                         - (con tagliente ironia) E per evitare il doppione... Meglio l'altro. Anzi no, sei sfortunata. Mi hai detto che anche lui gli somiglia. Una con­danna, il ricordo di questo marito. Un'ossessione!... Anche l'altro, tenerissimo in quei momenti, distrat­to prima e dopo?...

L’Americana                 - (ingenuamente) Meglio prima, quando parlava... Sembrava sensitivo, intelligente...

Vittorio                         - (fissandola con ironia) Lo dici per consolarmi? (Aggressivo) Per curiosità sei andata, per sete di novità, per pigrizia. Non sei che una e (si) u           - (iu) n - (en) t - (ti). (La donna è schiaffeggiata dalla violenza della parola che Vittorio ha compitato) Ho domandato alla commessa come si chia­ma quell'organo, al tuo paese. Me l'ha detto arros­sendo, compitando così. (Un lungo silenzio. L'ame­ricana sembra non abbia più voglia di reagire, lottare).

L’Americana                 - (con uno sforzo, nel desiderio di de­scriversi, difendersi) Eravamo felici... Un pro­verbio per felicità, negli occhi dei vicini... Perché ero umile... Avevo rinunciato alla carriera, per lui. Ne fu lieto. Sperò di diventare migliore di me. Ritengono tutti, laggiù, che io valga molto. Un uomo ambizioso. Voleva il suo nome in luci... Devi essere un successo ventiquattr'ore fuor di ventiquattr'ore, in America. Non ti perdonano la ca­duta... Fu una lunga caduta, per lui... delusioni... sempre migliore io, a casa, dove qualche volta mi esercitavo... Gli davo consigli. Non ne voleva, lo capii tardi... Mi umiliava con idee pazze... dovevo tenergli in ordine piccole barche con motore, per esempio, tanti giocattoli. Una passione che mi ob­bligava a condividere perché non mi restasse tem­po per suonare... Lo feci per amore, lo adoravo... Mi costrinse a prendere il brevetto di pilota per portarlo su, a pensare. Ne ero terrorizzata. Lo feci per amore, umilmente... (Con infinita tristezza) Non riuscì ad avere il nome in luci. Cominciò a dare a me la colpa... « Troppa tenerezza, l'amore impedisce il successo. Devo ignorarti, per arri­vare... ». E cominciò con la frusta dell'insulto... - « Prenditi un amante. Esco con Jane, io stasera. Ha un marito importante ». - Non era vero... Pren­devo l'insulto con rassegnazione... Lo amavo... Sa­pevo ancora amare nonostante la tristezza mi col­masse il cuore... Mi confidavo con un amico di fa­miglia e...

Vittorio                         - Appare l'amico. Non potevo dubitarne.

L’Americana                 - (ignorando l'insulto) Mi confidavo a lui e a sua moglie, gli unici amici che avessi...

Vittorio                         - ...finché tuo marito scoprì che sulla stessa pagina di un'agendina c'erano due nomi di maschio. Lo stesso errore fatto con me e l'altro. Ho guardato nella tua borsa, nei tuoi appunti. Vittorio e Fortunato. Due nomi nella stessa pagina.

L’Americana                 - (ignorando) Un reale amico. Honest. Capiva sempre, tutto...

Vittorio                         - Avrebbe capito anche il tuo comporta­mento a Venezia?

L’Americana                 - (dopo una pausa) Sì.

Vittorio                         - Generoso. Un amico « reale ».

L’Americana                 - Finché... (Vittorio è teso a questa nuova « confidenza ») morì in un incidente auto­mobilistico. Ne fui sconvolta. Mio marito mi stu­diava, in quei giorni. Voleva sapere di più, forse sospettava amore fisico, sesso... Ebbi il torto di dirgli: « Puoi avere molti mariti ma un solo amico ». L'unica frase che ho sbagliata con lui. Mi schiaffeggiò, cominciò a tradirmi... Tralasciai la musica, vissi in silenzio, umile attesa... Ma lo seguivo con tutti i miei orecchi, tutti i miei oc­chi... Lo vidi tentare ancora. Ogni pollice un com­battente. Per riuscire bruciava l'olio di mezza­notte... Voleva denaro, molto, perché nessuno ti perdona, in America, la mancanza di denaro, il fallimento... Un periodo lieto, per lui, intenso... Adorato, con la speranza di riuscire... Non suonavo più, non avevo più amici, poteva girarmi intorno al suo piccolo dito... (Sospirando) Io ero contenta lo stesso, felice per lui... Fui poi con bambino, pregnant - sono pazza per un bambino penso di adot­tarne uno -... Quando glielo dissi urlò: « Necessi­tavamo questo mezzosangue come un buco nella testai »... E mi fece ucciderlo, qua. (Si tocca il grembo; è stanca, scoraggiata, forse ha freddo, lascia cadere la gonna che aveva già sbottonata, infila le gambe fra le lenzuola) Capii allora che avevamo costruito una casa dì carte... Non è riu­scito, non è ricco. Destinato a suonar secondo vio­lino per tutta sua vita... (Vittorio comincia a co­spargersi il torso con cipria, asciugarsi. Si avvicina a lei) Ricominciò ad insultarmi... Parlava ai venti. Io pensavo al bambino... Poi si ricordò che mia mamma è ebrea... Prese ad offenderla, offender­mi... Anche io, mezzosangue... Abbiamo divorziato per antisemitismo. (Vittorio le è ora vicino, sembra commosso. L'americana ha bisogno di tenerezza, lo guarda con occhi colmi di lacrime) Sono sola, darling, schiacciata con solitudine, con sete d'amo­re... Perciò avevo paura di te.. Ti ho sentito « mio », vicino, adorabile... Ti ho poi saputo legato... Lo so­spettavo, avevo paura di domandarlo...

Vittorio                         - (chino verso di lei) Con te, sarei ve­nuto, dovunque. Una probabilità su dieci, « pri­ma », che ti sposassi.

L’Americana                 - (aggrappandosi al suo collo) No, no, no! Non dire così. Non mentirei

Vittorio                         - Una probabilità su dieci, « prima ».

L’Americana                 - No, no, noi (Gli ingemma il volto di baci) Aiutami, aiutami, io ti amo... aiutami... Mio, mio, mio! Sii mio, tutto mio per un anno, al­meno un anno!... Vittorio ~ Prima.

L’Americana                 - Non essere crudele, darling, non essere antagonistico! I love you, I love you... (Tor­mentandosi) Perché sei sposato, perché sei sposato?

Vittorio                         - (vicinissimo al suo volto) Posso ba­ciare le tue cose... (Bacia la collana, la sottoveste)... Bere le tue lacrime...

L’Americana                 - (baciandolo) Ti amo, ti amo, ti amo! Ti farò felice. Nessuna, nessuna, mai, potrà darti quanto ti darò io! Ti amo, ti amo, ho un tesoro in me, un tesoro di represso amore. Valgo amore, io! Vedi, vedi? Cerco di vendermi a te...

Vittorio                         - (bevendo le sue lacrime) Nessuna mano ha mai toccato le tue lacrime. Sono belle, pulite... (Si solleva, ha un brivido freddo, infila la canot­tiera. Indicando il lavandino) Vuoi lavarti?

L’Americana                 - (che non ha ancora capito la « ven­detta ») Ho appena fatto la doccia. Tante volte, dopo, subito. Dopo essere stata con te, invece no... (Segue con sguardo preoccupato Vittorio che si infila la camicia. Un silenzio teso).

Vittorio                         - (mentre si annoda la cravatta) Avevo deciso di assistere anche allo spettacolo del tuo rivestirti... Te ne faccio grazia. (Infila la giacca, spegne la luce, esce. Si chiude il siparietto dell'alcova. Vittorio oltrepassa il ponte, torna da Lorenzo).

Lorenzo                         - (congratulandosi) Buona scena. Ci fac­cio la figura del tipo in gamba... Una cosa non ho capita, però... Perché hai mentito, all'inizio, di­cendo d'essere sposato?

Vittorio                         - (dopo una pausa) Ho paura, dell'Ame­rica... (Fissandolo) Paura. (Indicando l'alcova) Devi essere un successo ventiquattr'ore su ventiquattro. Io voglio pur dormire un po', nella vita, adagiarmi. L'obbligo alla lotta irti dà la nausea. (Suona il tele­fono all'interno della Libreria. Marina va a rispon­dere. A Marina che riappare sulla soglia dopo la telefonata) Chi è? Quello dell'assicurazione-vetri?

Marina                           - Informazioni... (Senza partecipazione, a Vittorio che sta per voltarsi) Aveva il nostro nu­mero telefonico nella borsetta.

Vittorio                         - (teso) Chi?

Marina                           - « Lei ». (Una lunga pausa) Si è uccisa in stazione.

Vittorio                         - (quasi a se stesso, con apparente soffe­renza) In stazione... (Guardando interrogativa­mente la commessa) Sotto il treno... (Marina fa cenno di sì) Sporco mondo... (Con estrema lentez­za) Se l'avessi accompagnata, là, avrei potuto de­scrivere, migliorare. (Indica i fogli)... Sarebbe stata un'esperienza, un'emozione nuova... L'avrei vista morire... (La cornetta che aveva suonato con discre­zione, emette un lungo, lacerante a solo. Sipario).

(Si riapre il sipario per permettere agli attori di ricevere gli applausi. Non si presenta la decapitata (la quale deve restare per gli spettatori solo la con­trofigura dell'americana}. Restano in secondo piano gli eventuali orchestrali, il lettore italiano, il let­tore tedesco e i figuranti-clienti dei due caffè. Ven­gono invece sulla passerella formata dai due pon­ticelli e dalla ribalta dell'alcova - vicinissimi al pubblico quindi - gli altri attori, in questo ordine: Lorenzo, Vittorio, l'americana, Fortunato, la signo­ra, il professore, Afro, Benito, Elio, Corso, Dante, Marina, il prestigiatore, il primo cameriere, il se­condo cameriere. Se gli applausi sono particolar­mente intensi [non sempre, quindi] calerà dall'alto, alle spalle degli attori in passerella, un vistoso cartello con su scritto: Appendice regalo per gli spettatori che applaudono. // tamburo, bat­tendo con frenesia un tam tam selvaggio, richiama l'attenzione degli attori i quali si voltano e scor­gono il cartello. Si consultano con lo sguardo, de­cidono di offrire l'« appendice regalo »).

Vittorio                         - (agli spettatori, confessandosi con impac­cio) Quel finale... me l'ha pagato lui... (Indica Lorenzo) Per essere protagonista cinico, inventore di un metodo...

Lorenzo                         - (precisando) ...un metodo che concili ammirazione per l'attore ma insegni alle donne come difendersi. (Guardano l'americana dalla quale si attende un'« appendice »).

L’Americana                 - (con dolce tristezza) Io, i fiori, li ho conservati, in camera.

Fortunato                      - A Milano, mi ha telefonato. E' an­data meglio della prima volta. Avevo due uomini, da beffare. Il marito e... l'amante. (Indica Vittorio con il cenno del capo) E c'era della rabbia, in me. Il desiderio di farle male, segnarla. (Rivolto a Vit­torio) La faccenda dei soldi scomparsi non è vera. Li ho pagati con i miei, i fiori.

Vittorio                         - (con aggressività) Sono stato io, allora?

L’Americana                 - (intervenendo) Ho controllato me­glio. Li avevo spesi.

Vittorio                         - (rasserenato, a Fortunato) Ne sono con­tento. (Gli porge la mano ignorando l'americana che è fra di loro) Mi ha detto, « questa », che sim­patizzi per il mio partito. (Bisbigliano poi qualcosa alle spalle dell'americana. Con voce troppo debole perché giunga agli spettatori). Uno Spettatore        - Voce!

Vittorio                         - (con imbarazzo, rispondendo) Gli do­mandavo se mi fa vedere il « posto suo », la ca­mera. (Guardano la signora invitandola a parlare).

La Signora                    - (agli spettatori, dopo essersi assicurata che il professore non ascolti) Mio marito -quello vero - è stato ammazzato con la lupara, giorni fa, in Sicilia... (Indica il professore con il cenno del capo) Se venisse a saperlo... perderei ai suoi occhi la qualità di adultera e mi licenzierebbe.

Il Professore                  - Qualche soldo da parte ce l'ho... Il diritto alla pensione me l'hanno riconosciuto... (La osserva con amore... quando realizza che è di­stratta da qualcosa che Fortunato le bisbiglia; agli spettatori, con complicità) Adesso che è vedova, se avesse un po' di dignità, se avesse la forza di ribellarsi a questo mostruoso commercio... la spo­serei...

Afro                              - (indicando la signora e il professore con il cenno del capo) Se ci fosse un po' più di confi­denza, fra gli esseri umani, quante ferite verreb­bero sanate... Basterebbe parlarsi. (Riflettendo sul suo caso) Io ce l'avrei uno zio prete... Se avessi il coraggio di non considerare elemosina, l'elemo­sina che farebbe piovere dalla sommità del suo pulpito... chi sa, forse, mi tirerei su... Uscirei da questo pantano.

Benito                           - (mentre si risente l'ultima canzone di Frank Sinatra) Se non ci lodassero tutto ciò che viene dall'estero, se non ci ripetessero ogni giorno che siamo dei falliti, in Italia, se non ci insegnassero che è più importante chiamarsi Frank che Franco, John che Giovanni, Bob che Roberto, non ci ven­deremmo, forse, non tradiremmo... Piace a tutti esser puliti. E ci contenteremmo delle trentamila che offrono al primo impiego italiano. (Termina la canzone di Frank Sinatra).

Elio                               - (che stava conteggiando sulle dita) Ho fatto i calcoli. A me occorrono novantamila. (Agli spet­tatori, molto direttamente) Se me le date, divento l'uomo più onesto di questa terra. (Solennemente) Lo giuro. Tremila al giorno. Sicure. (Indica uno spettatore) Quello fa le smorfie. Le sembra troppo? Non sono poi tante, se si riflette. Al baronetto di­ciottenne erre moscia - che frequento solo per ra­gioni di prestigio - il padre ne dà diecimila al giorno. Per i vizietti...

Corso                            - Novantamila? Ci metto subito la firma.

Donato                          - Due firme. E ci lascio la mano, sul fo­glio. Se mi ammettono di essere dei cannibali. (Indica gli spettatori delle prime poltrone).

Marina                           - (che tutti guardano, ora, perché tocca a lei parlare; lentamente, con rimpianto) Se gli avessi detto « Sì »... quel pomeriggio che mi mise le mani addosso, la commedia sarebbe dedicata a me, la protagonista sarei io...

Lorenzo                         - (offeso, con vocetta stridula) Prego, io. Sono io il cinico, quello che fa la Storia.

Il Prestigiatore              - (fa un brevissimo gioco con le carte, svela poi il trucco estraendo un jolly dalla manica) Io sono il più onesto, dopo tutto. La verità la dico in faccia. (Mostra il jolly) Gabbo solo chi vuol essere gabbato. Per sopravvivere. E lo conoscono tutti, il mio mestiere.

Primo Cameriere           - (includendo nel gesto anche il se­condo) Noi ascoltiamo soltanto. E giudichiamo in cuor nostro. Eccezionalmente, questa sera... giac­ché aspettate il nostro parere, per andare a casa... ripeteremo una confidenza che ci siamo già fatta, inter nos. (Parla al secondo cameriere, « ripetendo la confidenza ») Dieci lire di mancia, l'«autore». (Lo indica con il cenno del capo) Se consuma. Un pidocchio.

Secondo Cameriere       - Venti, a me. Perché gli faccio credito, di tanto in tanto. Un pidocchio lo stesso. (Inchino degli attori mentre viene ripetuto Va solo conclusivo).

FINE